XVIII Legislatura

VI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Giovedì 7 novembre 2019

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ruocco Carla , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI SISTEMI TRIBUTARI DELLE REGIONI E DEGLI ENTI TERRITORIALI NELLA PROSPETTIVA DELL'ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE E DELL'AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
Ruocco Carla , Presidente ... 3 
Toma Donato , presidente della Regione Molise ... 5 
Armao Gaetano , vicepresidente della Regione Siciliana ... 6 
Ruocco Carla , Presidente ... 8 
Forcolin Gianluca , vicepresidente della Regione Veneto ... 8 
Ruocco Carla , Presidente ... 9 
Pagano Alessandro (LEGA)  ... 9 
Ruocco Carla , Presidente ... 10 
Garavaglia Massimo (LEGA)  ... 11 
Ruocco Carla , Presidente ... 12 
Topo Raffaele (PD)  ... 12 
Ruocco Carla , Presidente ... 14 
Toma Donato , presidente della Regione Molise ... 14 
Armao Gaetano , vicepresidente della Regione Siciliana ... 15 
Forcolin Gianluca , vicepresidente della Regione Veneto ... 16 
Caparini Davide Carlo , coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ... 16 
Ruocco Carla , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione depositata dai rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ... 17

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Cambiamo!-10 Volte Meglio: Misto-C10VM;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
CARLA RUOCCO

  La seduta comincia alle 9.50.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui sistemi tributari delle regioni e degli enti territoriali, nella prospettiva dell'attuazione del federalismo fiscale e dell'autonomia differenziata, che saluto e ai quali do il benvenuto a nome di tutta la Commissione.
  Come è a tutti noto, il percorso attuativo del federalismo fiscale, introdotto dalla legge n. 42 del 2009 in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, finora si è realizzato solo parzialmente e, per quanto concerne le regioni a statuto ordinario, il nuovo sistema di finanziamento, costituito da entrate di tipo tributario ed entrate proprie, è stato più volte rinviato, da ultimo al 2020, ad opera della legge di bilancio 2018.
  Sono tuttavia rimaste immutate le esigenze di autonomia finanziaria e gestionale delle regioni ed è interesse della Commissione approfondire le modalità di attuazione del processo di riforma, anche con riferimento al trasferimento delle risorse alle regioni e agli enti territoriali. Ciò al fine di pervenire ad un modello istituzionale in grado di contemperare le istanze di autonomia con le esigenze di perequazione, basato su livelli essenziali delle prestazioni, capacità fiscali e fabbisogni standard.
  Non rubo ulteriore tempo ai nostri auditi, ai quali cedo subito la parola e ai quali chiederei di limitare il proprio intervento a una ventina di minuti al massimo in modo da lasciare poi spazio al successivo dibattito. Abbiamo con noi i rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome: il dottor Donato Toma, presidente della Regione Molise; il dottor Gianluca Forcolin, vicepresidente della Regione Veneto; il professor avvocato Gaetano Armao, vicepresidente della Regione siciliana; il dottor Davide Carlo Caparini, coordinatore della Commissione affari finanziari nell'ambito della Conferenza e assessore della Regione Lombardia; il dottor Antonello Turturiello, segretario generale della Regione Lombardia; il dottor Carmelo Cutuli, funzionario direttivo della Regione siciliana e il dottor Antonino Strusi, direttore dell'Unità operativa processi innovativi del bilancio della Regione Veneto.

  DAVIDE CARLO CAPARINI, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Grazie, presidente. A me spetta il compito di fare un'introduzione proprio a seguito del suo incipit, che è perfetto, quindi vado nel flusso di ciò che ha appena detto in quanto qui si tratta di applicare l'articolo 119 della Costituzione, quindi di dare compimento a un'opera che purtroppo ad oggi è rimasta abbondantemente incompiuta. Il mio compito è quello di illustrare alla Commissione dove il federalismoPag. 4 fiscale è stato applicato e dove ha funzionato.
  Voi sapete che nell'articolo 119 della Costituzione c'è il riconoscimento dell'autonomia finanziaria di entrata e di spesa, la congruità delle risorse rispetto alle funzioni attribuite, la territorialità dei tributi e la perequazione, ovvero le risorse con programmi specifici; la grande incompiuta – ovvero il federalismo fiscale – è stata compiuta in questi anni con grandi risultati proprio per quanto riguarda la spesa sanitaria. Voi avete tutti le slide, vi invito ad andare a pagina 17. Dal 2013 le regioni hanno chiesto di applicare il federalismo fiscale con la logica pattizia determinando il fabbisogno sanitario, quindi determinando i fabbisogni standard derivati dalla determinazione dei LEA, erogati in condizioni di efficienza e appropriatezza. Questo ha comportato l'applicazione dell'articolo 27 del decreto legislativo n. 68 del 2011 – che ricorrerà nei nostri interventi, perché siamo qui a chiederne l'attuazione – con l'individuazione delle cinque regioni che sono in equilibrio economico e che hanno garantito l'erogazione dei LEA con appropriatezza e con efficienza e delle tre regioni benchmark, che hanno dato la possibilità di definire l'ammontare dei trasferimenti, soppressi nel 2017 da parte dello Stato e sostituiti con l'intervento da parte delle regioni proprio sulla base di una perequazione fatta al 100 per cento per quanto riguarda un ammontare pari a 90,96 miliardi di euro. Si tratta di risorse che – vi ricordo – costituiscono l'85 per cento della spesa dei nostri bilanci, quindi la spesa sanitaria vale l'85 per cento. Per quanto riguarda i servizi che le regioni erogano, seguendo la logica pattizia (di questo voglio sottolineare l'importanza, la crucialità), abbiamo creato un sistema che ci ha consentito di perequare totalmente il fabbisogno standard, quindi con delle entrate a copertura dei trasferimenti che abbiamo soppresso nel 2017 (parliamo della compartecipazione IVA, dell'addizionale IRPEF, dell'IRAP e di altre entrate) e abbiamo costituito un fondo di solidarietà sulla compartecipazione IVA di 5,36 miliardi che ci ha consentito di mantenere l'equilibrio di bilancio, di determinati fabbisogni standard, di rispettare i livelli essenziali definendo le regioni benchmark e quindi riequilibrando il tutto con la compartecipazione. Per esempio, la Regione Lombardia partecipa con il 43 per cento a questo fondo di solidarietà. Per dire che sulle spese sanitarie siamo riusciti a realizzare l'idea fondamentale che guidava la legge sul federalismo fiscale.
  A pagina 21 abbiamo invece indicato come sono andate le cose per tutto il resto. Dove la sanità ha funzionato, per tutto il resto – trasporto pubblico locale, livelli di assistenza relativamente alle tante funzioni che le regioni sono tenute a garantire – la legge n. 42 prevedeva la ricognizione dei trasferimenti, prevedeva quindi tributi propri, la compartecipazione erariale e la perequazione a partire dal 2013: tutto ciò non è avvenuto. Ci si aspettava una corrispondente diminuzione della pressione fiscale statale, invece è avvenuto l'esattamente l'opposto. A pagina 6 delle slide abbiamo fotografato la situazione per quanto riguarda il costo del personale dipendente delle amministrazioni regionali e di quelle statali: dato che il tasso di crescita dei contratti è omogeneo, le amministrazioni locali – lo vedete dalla tabella, ma anche dal grafico – hanno efficientato e quindi hanno diminuito considerevolmente (del 9 per cento) il costo del personale dipendente. Ciò non è accaduto per quanto riguarda le amministrazioni centrali. Quindi possiamo dire (e non è solo questo il caso) che le amministrazioni regionali hanno contribuito alla tenuta dei conti pubblici e hanno contribuito in modo importante.
  Lo vediamo anche a pagina 7 per quanto riguarda i consumi di beni e servizi: Consip c'è per tutti, però per le regioni ha significato un taglio del 27 per cento, per le amministrazioni centrali invece un aumento del costo del 20 per cento. Altra dimostrazione (la più eclatante): la sanità in rapporto al prodotto interno lordo. Come vedete (e non dovrebbe essere così) purtroppo dal grafico a pagina 16, abbiamo un tendenziale in decrescita che passa dal 6,86 per cento al 6,32, quindi c'è stata una diminuzione delle risorse date al comparto Pag. 5della sanità e un conseguente efficientamento, perché comunque abbiamo continuato a erogare servizi in base ai costi standard e garantendo i LEA. Questo vuol dire che c'è stato un grande efficientamento da parte della macchina regionale (pagina 8) laddove invece le amministrazioni centrali hanno continuato a spendere. Per quanto riguarda per esempio le entrate correnti per le regioni sono diminuite del 10 per cento, per i comuni dell'8 per cento; le entrate correnti delle amministrazioni centrali sono aumentate del 9 per cento.
  Se andate alla slide 15, vedete che per la spesa globale istruzione, sanità e trasporti – quindi ci sono tutti e tre i livelli di amministrazione dello Stato – c'è anche qui una decrescita che passa da 226 miliardi del 2009 a 194 miliardi nel 2017 (meno 14 per cento). Quindi lo Stato in tutte le sue articolazioni investe di meno per quanto riguarda i servizi fondamentali, però costa di più. L'abbiamo visto prima. Laddove costa di meno abbiamo visto che c'è stato un efficientamento, proprio dovuto all'applicazione del federalismo fiscale. Lo vedete anche dalla grafica successiva a pagina 9, dove vedete che il debito delle amministrazioni locali, comprese le regioni, è diminuito di un quarto (24 per cento) rispetto al 2009, mentre quello dello Stato centrale è aumentato del 35 per cento.
  Questo per dirvi concludendo che noi abbiamo contribuito (lo vedete a pagina 14, sono dati di bilancio) al pareggio di bilancio e alla tenuta dei conti pubblici. Lo abbiamo fatto con responsabilità e lo abbiamo fatto mantenendo ed erogando con appropriatezza i servizi che lo Stato stesso ci ha chiesto di erogare; abbiamo contribuito per 14,5 miliardi nel 2019 e per 13,8 miliardi nel 2020. Siamo orgogliosi di averlo fatto. Lo abbiamo fatto negli ultimi due anni anche cambiando il metodo, e di questo ringraziamo i Governi che hanno preferito concordare la manovra prima di portarla in Consiglio dei ministri, con degli accordi in Conferenza Stato-Regioni che hanno sancito la leale collaborazione, cosa che ci ha consentito di riqualificare la spesa corrente; ci ha consentito di utilizzare gli avanzi che ci sono stati imposti per la crescita, quindi per gli investimenti; ci ha consentito di mantenere tutte le politiche sociali, tutti quei capitoli che sono fondamentali al funzionamento dello Stato. L'unico dato critico è che il deficit lo fanno gli altri, qui le regioni fanno avanzo, perché è quanto risulta dai dati che vi abbiamo fornito. Dal 2015 – e voglio sottolinearlo, lo dico sempre – le regioni a statuto ordinario sono in equilibrio di bilancio, quindi abbiamo contribuito con il nostro avanzo alla tenuta della finanza pubblica, pur potendo utilizzare le sentenze della Corte costituzionale che – voi sapete – avrebbero consentito ai comuni l'utilizzo degli avanzi: non lo abbiamo fatto, responsabilmente, proprio perché vogliamo continuare nel solco della leale collaborazione.
  Ora c'è tantissimo da fare, però le prospettive sono, come vogliamo dimostrare, ottime nel senso che, se il federalismo fiscale viene attuato, se il decreto legislativo n. 68 del 2011 viene attuato, ci sono tutti i presupposti affinché la macchina statale possa riprendere laddove in questo momento è inceppata.

  DONATO TOMA, presidente della Regione Molise. Grazie, presidente. Io aggiungerò poco, ma quel poco sarà mirato rispetto a quanto ha detto l'assessore Caparini, che ha abbracciato un po' tutti gli argomenti di interesse oggi.
  Vorrei richiamare la vostra attenzione su un aspetto del federalismo fiscale a mio avviso assolutamente inattuato: l'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 del federalismo fiscale, la perequazione infrastrutturale. Io vengo da una regione del Sud, il Molise, sono dunque un uomo del Sud, e anche se ritengo che l'Italia non vada suddivisa in Nord e Sud, comunque esiste un divario, un gap, che deve essere colmato.
  In linea di principio noi sappiamo che l'autonomia delle entrate delle regioni è data da precise fonti di finanziamento quali l'addizionale all'IRPEF, la compartecipazione regionale all'IVA, l'IRAP, i tributi propri derivati e il Fondo perequativo. Tenete presente che il Fondo perequativo è quello che pareggia la non autonomia finanziaria, specialmente nelle regioni del Sud. Se voi esaminate la tabella dei residui fiscali delle Pag. 6regioni del Sud, noterete che – si tratta di un dato disponibile sulle banche dati ufficiali – a partire dal Molise sino ad arrivare alla Sicilia abbiamo un residuo fiscale negativo: noi prendiamo dallo Stato più di quanto contribuiamo, secondo questo calcolo. Ha dei limiti il calcolo del residuo fiscale, ma non mi addentro nelle questioni tecnico-statistiche. Questo significa che per le regioni del Sud, in particolare per una regione piccola come la mia, che è la più piccola regione d'Italia a statuto ordinario, noi potremo attuare poco il regionalismo differenziato, perché non abbiamo un'autonomia almeno sulla carta, a meno di non efficientare la spesa – e questo è uno sforzo sul quale ci stiamo muovendo, tant'è che stiamo producendo avanzi correnti che tra l'altro, se non stiamo attenti, ci vengono imbrigliati e non possiamo utilizzarli. Sotto questo profilo concordo con quanto ha detto l'assessore Caparini e ringrazio il Governo di concederci di utilizzare gli avanzi vincolati. Però una cosa è importante: nel momento in cui una parte del Paese va in regionalismo differenziato, perché può tranquillamente gestirsi le proprie risorse – ci sono state regioni efficienti, regioni brave a gestirsi le proprie risorse – non dobbiamo dimenticare che abbiamo regioni, come la mia, che, non avendo autonomia finanziaria, possono vedersi aumentato il gap, le differenze economiche fra Nord e Sud, che poi diventano pure differenze sociali e di servizi alla popolazione.
  L'aspetto che più mi preme in questa sede sottolineare è che noi dobbiamo incrementare il gettito, perché dobbiamo eliminare il residuo fiscale negativo e, per eliminare il residuo fiscale negativo, abbiamo la necessità di sviluppo, perché il gettito è direttamente proporzionale allo sviluppo economico e sociale dei territori. Quindi l'investimento in un piano straordinario per il Sud, una perequazione seria infrastrutturale, consentirebbe ai territori del Sud di sviluppare il gettito fiscale attraverso lo sviluppo economico del territorio. Quindi voglio sottolineare questo aspetto. È importante il regionalismo differenziato, fondamentale, costituzionalmente garantito, ma è importante avviare, in contemporanea, un serio piano di riequilibrio infrastrutturale per il Sud. Questo porterà poi allo sviluppo infrastrutturale dei territori e alla riduzione del residuo fiscale negativo, e ci porterà sullo stesso piano delle regioni che legittimamente chiedono il regionalismo differenziato.
  Concludo con un altro richiamo di informativa, come direbbero alcuni tecnici. La perequazione non dovrà alterare la graduatoria delle regioni in termini di capacità fiscale per abitante. Questo è chiaro. Però dovrà tenere conto in maniera inversa della dimensione demografica, quindi per le regioni che hanno una dimensione demografica minore, che hanno necessità di svilupparsi, che hanno necessità di perequazione infrastrutturale spinta e coraggiosa, si deve tenere conto, nel momento in cui c'è l'attribuzione di risorse da parte dello Stato, che sono regioni piccole e hanno bisogno assolutamente di questa perequazione anche nell'ordinario, nei servizi che devono ordinariamente erogare alla loro popolazione.

  GAETANO ARMAO, vicepresidente della Regione Siciliana. Grazie, presidente. A compendio delle cose che sono già state puntualizzate dal presidente Caparini e dal presidente Toma, io mi concentrerò, d'intesa con la Regione Sardegna, sul tema della condizione di insularità, delle prescrizioni che la legge n. 42 reca sul punto, ma anche degli adempimenti che chiediamo alla luce dei recenti orientamenti della Corte costituzionale che, con una pronuncia giurisprudenziale molto importante dell'inizio di quest'anno, ha invitato il legislatore a intervenire puntualmente per individuare meccanismi di riequilibrio della condizione di insularità.
  Una premessa. Sul tema del regionalismo differenziato mi sembra di registrare all'interno della Conferenza delle Regioni molte più convergenze di quanto sembra si registrino nel dibattito istituzionale e politico. Tra le regioni residua - ed è elemento portante - una capacità di confronto, di dialogo e di intesa che porta difatti ogni anno a raggiungere delle intese sulla distribuzione della spesa sanitaria. Non è mai accaduto che non ci siamo intesi sulla Pag. 7spesa sanitaria. Questo significa che il sistema regionale sa trovare al suo interno un equilibrio. Equilibrio che speriamo possa essere utile a dare attuazione a una legge che, dopo dieci anni, per molte parti purtroppo è ancora inattuata e che invece deve accompagnare questo percorso. È chiaro che il regionalismo differenziato passa dalla legge n. 42 del 2009 e non è prefigurabile in assenza di quei paletti che il presidente Toma e, prima di lui, il presidente Caparini hanno evocato.
  Secondo elemento. La condizione di insularità è una condizione essenziale. L'Italia è il primo Paese continentale d'Europa per numero di cittadini isolani, dopo la BREXIT sarà il Paese europeo con il più alto numero di cittadini residenti in un'isola. Abbiamo sette milioni di italiani insulari su diciassette milioni di europei insulari, che rappresentano circa il 12 per cento della popolazione del Paese. Quindi è il Paese che più si deve occupare di insularità e che oggi se ne occupa meno. Non dimentichiamo che la riforma costituzionale del 2001 ha cancellato l'espressione «isola» dalla Costituzione, fermo restando che è approdata a un articolo 119 più articolato. Tuttavia oggi la condizione di insularità trova riferimento diretto nell'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, cioè addirittura nel Trattato europeo che, come tale, non ha necessità di una ripetizione di garanzie sul piano costituzionale. Il tema è che sia il Parlamento europeo, con una risoluzione di due anni fa, sia il Comitato delle Regioni hanno invitato gli Stati membri a intervenire puntualmente sulle condizioni di insularità: questo continua a non avvenire.
  La sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2019, emessa sulla condizione di insularità della Sardegna, ma pacificamente applicabile ed estensibile nei suoi precetti e nelle sue prescrizioni alla Regione siciliana, prevede che lo Stato e le regioni trovino un'intesa. E, presidente, mi permetto di evidenziare che in questo momento le regioni speciali del Nord hanno completato l'accordo finanziario e tributario con lo Stato; purtroppo le regioni speciali nel Sud e le due insulari ancora no. Il Ministero dell'economia e delle finanze ritarda questa conclusione e sarebbe opportuno che si ponesse fine a questa discriminazione di trattamento tra le regioni speciali del Nord e del Sud e che il Ministero dell'economia e delle finanze si impegnasse a chiudere le intese con le regioni speciali del Sud. La Corte costituzionale impone che nel negoziato tra regione e Stato, quindi nella declinazione dell'autonomia finanziaria e tributaria, si tenga conto della dimensione della finanza della regione rispetto alla finanza pubblica nazionale, delle funzioni effettivamente esercitate e dei relativi oneri, degli svantaggi strutturali permanenti, dei costi dell'insularità, dei livelli di reddito pro capite, del valore medio dei contributi alla stabilità della finanza pubblica e, infine, del finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni – che lei poc'anzi opportunamente evocava – concernenti i diritti civili e sociali, attraverso un meccanismo che punta a invertire la tendenza alla degradazione dei diritti sociali (elementi che la SVIMEZ qualche giorno fa ha evidenziato), che in questo momento fanno sì che al Sud sia in atto una compressione dei diritti sociali fino a prefigurarne la degradazione. Oggi assistiamo alla prima legge di bilancio dopo la sentenza costituzionale n. 6 del 2019 che nulla dice sulla condizione di insularità. Quindi ci troviamo di fronte a una distonia – e mi limito a questa espressione – tra le iniziative del legislatore e quanto prescrive la Corte costituzionale.
  Noi chiediamo, come regioni speciali, che la Commissione e la sua presidenza, si facciano carico di questa discrasia affinché si possa recuperare, nella prima legge di bilancio successiva alla sentenza n. 6 del 2019, questo gap e quindi si possa intervenire sulla condizione di insularità. Ovviamente non si può risolvere tutto con la prima legge di bilancio, ma aprire un fronte su questo piano è importante e riguarda le prescrizioni della Corte costituzionale, ma riguarda anche delle opportunità. Le isole e i cittadini insulari non chiedono solo continuità territoriale, interventi sui trasporti (che saranno oggetto di approfondimento da parte di questo Parlamento in Pag. 8altra sede), ma sicuramente, per esempio, la fiscalità di sviluppo: non risorse. Non chiediamo ulteriori contributi, ma la possibilità di utilizzare l'autonomia fiscale della Sicilia e della Sardegna per incentivare attività di impresa, quindi senza onere alcuno per lo Stato. La Sicilia e il Ministero dell'economia e delle finanze hanno già individuato una soluzione nella declinazione di una norma, che dovrebbe far parte dell'accordo, che per esempio consente di utilizzare l'autonomia finanziaria per incentivare le start-up, incentivare nuove iniziative territoriali senza onere alcuno per lo Stato, facendo capo soltanto alla fiscalità regionale, quindi utilizzando la fiscalità in modo innovativo oppure a completamento di misure quali ad esempio «Resto al Sud», che è una misura tutta basata sui trasferimenti finanziari alle start-up, che può essere completata sul piano fiscale attraverso la fiscalità di sviluppo e quindi con incentivi di tipo fiscale che compendiano le misure di incentivo già predisposte dall'ordinamento giuridico.

  PRESIDENTE. È molto importante che questa indagine conoscitiva si svolga proprio a ridosso della sessione di bilancio, perché è un confronto molto pertinente che può arricchire le proposte che poi convergeranno e confluiranno lì.

  GIANLUCA FORCOLIN, vicepresidente della Regione Veneto. Grazie, presidente. Credo che lo scopo fosse proprio quello di centrare questo tipo di opportunità, ma anche di consigli e quindi di questioni che sono state poste in modo esaustivo dai colleghi.
  Quello che preme sottolineare è che – come ha detto il collega Caparini – già dallo scorso anno con il viceministro Garavaglia si è aperta una stagione di leale collaborazione, nel senso che erano anni forse che non arrivavamo a intese sottoscritte a metà ottobre. Questa è stata la dimostrazione che le regioni ci sono, ci vogliono essere, però ci vuole anche un rafforzamento – e qui lo dico ai commissari della Commissione Finanze – delle certezze e della stabilità del sistema di finanziamento, perché molto spesso ci troviamo di fronte a situazioni che arrivano dal Governo e poi non trovano la leale collaborazione, soprattutto nelle certezze dal punto di vista finanziario. Due esempi semplicissimi: la legge Delrio che ha avuto delle criticità enormi nella tenuta dei bilanci regionali, perché è di fatto una legge che ha implicato la copertura totale delle funzioni e delle risorse umane da parte delle regioni. Quindi una legge con ripercussioni sulla tenuta dei bilanci dei territori. Ma anche la questione IRAP sulla deduzione del costo del lavoro: la compartecipazione a quei mancati gettiti che non arrivano nei territori sono molto difficili da recuperare con incertezza notevole. Quindi definire le certezze nella programmazione per gli amministratori dei territori è fondamentale: ridare certezza ai bilanci. Altrimenti corriamo il rischio, al di là delle difficoltà che ci sono a trecentosessanta gradi nei vari livelli delle istituzioni, di non riuscire a programmare e a mettere in piedi bilanci di previsione che possano avere un minimo di cognizione.
  Chiederei anche di evitare il più possibile le complessità che oggi ci sono all'interno della macchina amministrativa regionale, quindi di elaborare un sistema di standardizzazione delle spese e delle entrate, creare la possibilità di capire e programmare.
  Sui LEP abbiamo sentito anche le posizioni del Ministro, siamo assolutamente convinti che non ci si può esimere dal definire LEP adeguati a un esercizio congruo delle funzioni, però è altrettanto vero che non possiamo pensare che questi debbano rientrare, come sempre, all'interno della spesa storica e quindi non possa essere messa mano al portafogli per dare quel di più qualora ce ne fosse bisogno. Altrimenti ci si riduce a quei tagli lineari, a quel modus operandi che abbiamo visto in questi anni dove il saldo della spesa storica è questo e si va a compensare.
  Fa piacere che dall'autonomia differenziata – quindi il tema che è arrivato alle cronache nazionali (tutta la politica ne parla) – abbiamo risvegliato quel federalismo che era dormiente dal 2011-2012 e Pag. 9finalmente se ne parla. Noi abbiamo la convinzione che questo Paese non deve funzionare con un sistema in cui tutti fanno tutto, ma deve essere data la possibilità di migliorare o di espletare al meglio determinate funzioni, territorio per territorio. Abbiamo la fortuna di avere un Paese e delle regioni bellissime, ognuna con le proprie capillarità ma anche peculiarità, si tratta solo di fare un vestito sartoriale – come dice il mio presidente Zaia – e dare la possibilità, territorio per territorio, di sviluppare quel valore aggiunto che poi ha ripercussioni: esempio classico è quello del turismo in Veneto che tocca un volume di 18 miliardi di euro. Noi abbiamo l'ambizione di volerlo espletare come funzione, per aumentare quel volume d'affari che avrà ripercussioni, dal punto di vista socioeconomico, anche per le altre regioni, perché quando c'è maggiore volume d'affari e maggiore redditività, a beneficiarne dal punto di vista fiscale sono anche i gettiti IRAP, IRPEF, IRES e quant'altro che hanno una ricaduta positiva sulle altre regioni, che potranno usufruire di questa funzione esercitata al meglio. Quindi anche su questo tema sarebbe interessante che ci fosse una valorizzazione dei territori.

  PRESIDENTE. Collega Pagano, prego.

  ALESSANDRO PAGANO. Grazie, presidente. Ancora grazie perché l'indagine conoscitiva giorno dopo giorno conferma la bontà dell'iniziativa che questa Commissione ha voluto realizzare, visto che emergono fatti assolutamente inequivocabili.
  Avendo sempre pochissimo tempo a disposizione, mi rifarò solo all'intervento dell'assessore Caparini, che ci ha aperto uno scenario che già tutti conoscevamo (gli addetti ai lavori), ma portarlo qui con dati scientifici e soprattutto con ragionamenti seri e strutturati, ci dà tanta forza nei ragionamenti che vogliamo svolgere.
  Cosa dice l'assessore Caparini, dimostrandolo con i fatti? Che l'unica forma di federalismo che si è finora realizzata in Italia è avvenuta nel campo della sanità. Il fabbisogno standard è stato rispettato, i livelli essenziali di assistenza sono stati rispettati, la perequazione delle spese correnti di fatto – non l'ha detto – è stata rispettata, perché, ex articolo 20, gli investimenti strutturali in sanità si sono realizzati e soprattutto la spesa corrente si è raggiunta con l'altro elemento che ha indicato, con i patti correntizi. L'ha definita testualmente logica pattizia: negoziati. Noi in Regione Sicilia abbiamo un'esperienza clamorosa in questo senso: una decina d'anni fa, dodici anni fa, c'era un deficit clamoroso nella sanità; con i negoziati oggi la regione è in pareggio. Ciò ha comportato qualche sacrificio, come è giusto che sia, quando ci sono sperperi e situazioni che non vanno bene, però l'obiettivo è stato raggiunto: pareggio di bilancio. Quindi è evidente che il negoziato è la base su cui tutte queste cose vanno misurate e contemporaneamente – questo lo aggiungo io, non è stato detto, ma era implicito nel ragionamento – abbandono del costo storico. La spesa storica cristallizza un'anomalia: se in un posto si spende cento, in un altro cinquanta e tu continui a dare al primo cento e al secondo cinquanta, è evidente che poi il gap aumenta a dismisura, specie in tempi complicati come questo. Se nella sanità il sistema ha funzionato, è evidente che l'anomalia sta nel contesto complessivo. E ben vengano le iniziative, quando si vuole realizzare l'autonomia differenziata, se poi alla fine i risultati sono virtuosi come questi. Come anche sono virtuosi – lo dico per la nostra regione – nel campo della sanità, molto meno in altri ambiti.
  Il ragionamento che a questo punto mi sento di offrire come spunto di riflessione è che però dobbiamo essere consequenziali, perché, se questo ragionamento ha trovato una virtuosa capacità di applicazione e tutti siamo orgogliosi di quello che è accaduto, non si comprende perché tutto ciò non sia accaduto in altri ambiti. Provo ad offrire una chiave di lettura, che probabilmente mi viene non solo dall'osservazione del reale, ma dalla consapevolezza che talvolta le cose sono così lapalissiane che ne dimentichiamo l'evidenza. E cosa è accaduto per cui in altri contesti tutto questo non si è realizzato? Perché la catena globale del valore si è interrotta nel circuito Pag. 10virtuoso italiano. Prima c'era un Nord che produceva soprattutto tecnologia, beni di consumo che venivano consumati al Sud o venivano utilizzati dal tessuto industriale del Sud, perché è chiaro che c'era un tessuto imprenditoriale che ovviamente utilizzava semilavorati o prodotti tecnologici che provenivano dal Nord, quindi c'era anche un mercato virtuosissimo. Nel momento in cui c'è stato il crollo al Sud – con la crisi del 2008, ma con un processo che parte dal 2001 – sono state tolte le ruote ai vagoni, ed è evidente che quei vagoni, che venivano trainati da una locomotiva, siano diventati una zavorra e, diventando una zavorra, ovviamente il processo recessivo si è ripercosso anche nei confronti delle regioni virtuose, che hanno smesso di essere locomotive di alto valore aggiunto, ma sono diventate locomotive frenate.
  E per rimettere le ruote cosa bisogna fare? Quattro cose essenziali: il rispetto della riforma che si vuole realizzare, cioè il rispetto degli articoli 114, 115, 116 e 117 della nostra Costituzione. Occorre quindi affrontare nella globalità questi tre aspetti, che sono stati già realizzati nel comparto della sanità: i fabbisogni standard; i livelli essenziali – che sono di assistenza nella sanità, qui sono di prestazioni complessive (LEP) –; l'abbandono complessivo del costo storico. Nel momento stesso in cui però il 33 per cento della spesa al Sud non è stato mai realizzato da quando c'è stata la riforma costituzionale e, se va bene, si è arrivati al 29 per cento, addirittura certe annate anche al 19 per cento; quando c'è il crollo degli investimenti e non esistono più gli investimenti strategici al Sud (nessuno: i primi quattordici investimenti strutturali sono tutti da Firenze al Nord); quando è crollata la spesa corrente, perché è stata tolta la spesa corrente (tranne che nella sanità), le conseguenze sono chiare: il crollo demografico; il crollo del sistema universitario. E se ne vanno i cervelli, mi dovete spiegare come si fa a far rinascere un popolo.
  In conclusione ritengo che questo sia il modello virtuoso che deve essere realizzato (quello che è stato spiegato in campo sanitario) e deve essere replicato pari pari con tutti gli elementi che lo hanno caratterizzato anche negli altri settori, non solo strategici, del nostro Paese.

  PRESIDENTE. Personalmente, quando sento il concetto di residuo fiscale, un po' rabbrividisco, perché è un concetto completamente contrario ai dettami costituzionali. Immagino, se si volesse applicare il concetto di residuo fiscale nell'ambito per esempio di un'area metropolitana, si dovrebbero ghettizzare sempre più i quartieri con minore capacità fiscale a tutto vantaggio dei quartieri più ricchi, per cui si creerebbe una bomba sociale dove addirittura i ricchi dovrebbero andare in giro blindati, perché non potrebbero paradossalmente più uscire di casa. Quindi, se trasponiamo questo, dobbiamo assolutamente superare il concetto di residuo fiscale, come anche il concetto di spesa storica. E mi fa molto piacere dalla relazione comprendere che intanto il danno fondamentale è stato fatto a causa di una grande incompiuta (la riforma del 2009), quindi le cose incompiute e tronche di fatto distruggono il Paese da Nord a Sud. Infatti, dati alla mano, si dimostra che da un lato si è addirittura aumentata la pressione fiscale a livello centrale, dall'altro lato la coperta è stata sempre più corta per gli enti territoriali e per gli enti locali. Immagino questo che cosa abbia significato per i cittadini, che hanno subito questo doppio contraccolpo. Tra l'altro, a proposito di riforme incompiute, mutatis mutandis, questo mi ricorda un po' quello che avviene in Europa, laddove noi abbiamo un'Europa a metà che, da un lato, chiede determinate equiparazioni sotto alcuni parametri, dall'altro lato non garantisce alcuni Paesi, soprattutto della fascia mediterranea, la competitività delle imprese, eccetera.
  Quindi dobbiamo assolutamente – e questo è il motivo dell'indagine conoscitiva che è importante che sia svolta proprio a ridosso della manovra di bilancio – tutti impegnarci affinché questo sia superato e finalmente si metta mano a un'autonomia differenziata, basata sui cardini costituzionali. Non dimentichiamo che la perequazione infrastrutturale è da realizzare soprattutto per il tessuto produttivo del Nord, Pag. 11perché non può una regione del Nord uscire dai propri confini e trovare il deserto, nemmeno una strada di accesso per collegare il proprio mercato. Questo peraltro indebolisce l'impresa laddove constatiamo che sempre più facilmente a livello internazionale si mettono dei dazi, che impoveriscono la competitività delle imprese a livello internazionale. Tanto più quindi è importante che funzioni tutto bene, quantomeno a livello interno, per dare certezza al tessuto produttivo. Ricordiamo che infatti il criterio della spesa storica e il problema di una riforma incompiuta ha portato 61 miliardi (come si rileva da un'indagine effettuata) di euro annui, che avrebbero dovuto essere investiti al Sud, ad essere investiti in altre aree del Paese.
  Non ne voglio fare una questione di Nord e di Sud, è assolutamente da superare questo concetto, perché il nostro è un Paese in cui una parte ha bisogno dell'altra e per il Nord il fatto che il Sud sia in queste condizioni è una grande occasione mancata di sviluppo, di coesione e di prospettiva per il futuro. Prego, collega Garavaglia.

  MASSIMO GARAVAGLIA. Grazie, presidente. Ringrazio i rappresentanti delle regioni, perché hanno aperto uno spiraglio di conoscenza che il Parlamento non ha sempre a disposizione.
  Faccio una premessa e tre domande. La premessa è proprio su questo punto. I parlamentari spesso vivono di un luogo comune: «il centro è bravo e la periferia spreca». Queste simpatiche slide invece dimostrano l'esatto opposto. Laddove trasferisci competenze e risorse alla periferia, alle componenti dello Stato, queste sono più efficienti dello Stato. Il problema dello Stato italiano è lo Stato. Questo dimostrano i dati che avete portato, e questo è il primo luogo comune da ribaltare. Dovrebbe aiutare molto anche i deputati, in sede di legge di bilancio, che pensano invece che la genialata sia accentrare e tentare di risolvere i problemi da qui, ponendo duecentomila finalizzazioni, il cui risultato è che i soldi non si spendono. O si spendono male.
  Secondo. Un altro dato importante e interessante, è come a livello di regione, tra di voi, riusciate a trovare le intese molto meglio che in Parlamento. Questo lo posso dire per esperienza personale, perché ho avuto l'onore di essere prima in Conferenza delle Regioni a fare il lavoro che sta facendo oggi ottimamente Davide Caparini e mi ricordo un caso specifico che riguarda proprio il Molise: la Regione Molise aveva un problema, le altre regioni si sono accollate il problema, hanno risolto il problema della Regione Molise con risorse proprie, perché così funziona in uno Stato. In Parlamento trovare questo tipo di intese è non dico impossibile ma rarissimo e difficile. Quindi due luoghi comuni da sfatare.
  Veniamo alle ulteriori questioni facendo un focus sul Fondo sanitario nazionale. I vostri dati dimostrano e smontano un altro luogo comune: la sanità non funziona, perché le regioni sono inefficienti. Un momento, parliamone. Le regioni hanno dei problemi, perché i Governi dal 2013 al 2018 hanno ridotto il Fondo sanitario nazionale di quasi mezzo punto di PIL. Se tu togli 8 miliardi di euro dal Fondo sanitario nazionale, perché 0,4 di PIL sono circa 7/8 miliardi di euro, è logico che causi dei problemi. Fornisco un dato, almeno è chiaro. La Calabria – correggetemi se sbaglio, vado a memoria – ha il 3,2 per cento di accesso al Fondo sanitario nazionale; il 3,2 per cento sono circa 250 milioni di euro: vi immaginate come potrebbe la Regione Calabria migliorare il servizio con 250 milioni di euro in più? È ovvio, si tratta di cifre che equivalgono quasi alla mobilità sanitaria della Calabria che – sempre a memoria – ammonta a circa 300 milioni. Quindi, se semplicemente i Governi non avessero fatto questa follia, i Governi e il Parlamento, di ridurre il Fondo sanitario nazionale dal 6,9 al 6,4 per cento, è evidente che la Calabria non avrebbe i problemi che ha oggi. Sicuramente tutto è migliorabile, però a monte il vero problema è il calo del Fondo.
  Fatte queste premesse, le domande. Una prima domanda riguarda le regole. Mi risulta che tutte le regioni chiedano da anni l'applicazione della legge. La fiscalizzazione è in legge, e la fiscalizzazione significa trasformare i trasferimenti in riserva d'imposta. La domanda è: le regioni confermanoPag. 12 che questa è un'esigenza prioritaria? E vorrei sapere a che punto siamo. Quando eravamo al Governo, avevamo attivato un tavolo proprio per arrivare finalmente a chiudere questa partita e attuare la legge esistente. Vorrei sapere a che punto siamo.
  Seconda domanda sui fondi, spese di investimento e spese correnti. L'altra grossa partita che giocano le regioni è il trasporto pubblico locale. Quando si parla di regioni, si parla del complesso regione, provincie e comuni; il TPL è gestito dalle regioni, ma di fatto è un complesso unico regione-province-comuni. Laddove i chilometri sono aumentati e il fondo del TPL è costante negli anni, significa che è stato fatto un taglio, anche importante, e la domanda che facciamo alle regioni è dunque questa: non ritenete opportuno che il TPL venga rivisto nei criteri, aggiornando i chilometri attuali? Poiché se nel frattempo qualcuno ha fatto dei chilometri in più e riceve sempre gli stessi soldi, ha difficoltà. Ho presente il dato – che conosco – della Regione Lombardia: riceve 800 milioni, ne aggiunge 400 di tasca sua. Quindi lo Stato è inefficiente perché sottofinanzia di 400 milioni una funzione. Non sono caramelle. Secondo aspetto: ci sono realtà invece dove i chilometri non sono aumentati: non ritenete opportuno che gli investimenti vengano finalizzati proprio a migliorare i servizi, cioè ad aumentare i chilometri dove non sono aumentati?
  L'ultima questione riguarda la cosiddetta «perequazione infrastrutturale». È una mia opinione che qui non sia tanto un problema di risorse, ma di capacità di spesa. Traduco. Se abbiamo 120 miliardi di euro nel settennato da spendere tra fondi europei e FSC (Fondo sviluppo e coesione) e siamo poco sopra il 10 per cento a metà del settennato, qui il problema non sono tanto i soldi ma spendere i soldi. Se ci sono risorse ma siamo solo al 10 per cento di utilizzo, significa che non è un problema di stanziamenti aggiuntivi: è un problema di capacità di spesa. Mi domando: non può essere utile in quest'ottica pensare a dei meccanismi premiali, come ad esempio che la regione o l'ente che spende di più ha diritto a spendere anche quelli di quella regione o ente che nel frattempo non li sta spendendo, per svariati motivi? Ovviamente all'interno dello stesso bacino. Nell'ambito dello stanziamento delle regioni del Sud, ad esempio, se la Regione Molise sta andando bene, diamole la possibilità di fare qualcosa in più, piuttosto che lasciare le risorse ferme in un cassetto. Questo magari consente di innescare una sana competizione virtuosa, per cui si accelera la spesa da parte di tutti. Resto naturalmente consapevole che il problema non è tanto dei singoli enti, quanto delle amministrazioni centrali che mettono duecentomila vincoli alla capacità di spesa.

  PRESIDENTE. È molto corretto, a mio avviso, il riferimento all'efficienza e alla premialità, molto meno l'ipotesi di una somma complessiva tra fondi europei e fondi nazionali da utilizzare con un sistema di vasi comunicanti, perché altrimenti fa bene l'Europa poi a richiamarci. Se viene concesso un supporto in più a uno Stato perché ha una criticità, non può poi quello Stato risparmiare 61 miliardi, tanto ci sono i fondi europei. Anche perché abbiamo visto benissimo che spendere fondi europei richiede una procedura molto più articolata che non per quelli nazionali.
  Prego, collega Topo.

  RAFFAELE TOPO. Intanto ringrazio anch'io i relatori per questa operazione di verità su quanto accaduto negli ultimi anni.
  Io faccio una premessa e mezza domanda. La premessa si basa su ciò che ho vissuto direttamente, perché ho fatto un percorso nelle autonomie, sin dal 2000, alla provincia e alla regione, e quindi ciò che stava accadendo lo abbiamo avvertito ogni giorno. È accaduto quello che è certificato qui: che per le regioni i consumi in beni e servizi si sono ridotti del 27 per cento, mentre quelli dello Stato sono aumentati; le entrate correnti sono diminuite del 10 per cento, quelle dello Stato sono aumentate del 9 per cento; il debito e la normativa di rigore introdotta a partire dal 2010 hanno «soffocato» le regioni, nel senso che le hanno obbligate a percorsi di riorganizzazionePag. 13 della spesa e ovviamente di pagamento improprio del debito, compreso il debito sanitario, che prima della riforma costituzionale era coperto dallo Stato; infine la spesa del personale (che è un indicatore) che è scesa del 9 per cento nel sistema delle autonomie e cresciuta nello Stato. Questa premessa ci deve servire a porre delle domande.
  Non è partita nel 2013 – rispondo al collega Garavaglia – l'operazione di riduzione delle risorse: è partita molto prima. Dobbiamo fare un discorso onesto, che mi permetto di integrare in questa parte. L'operazione è partita in particolare, con una logica massacratoria, con il decreto-legge n. 78 del 2010. Era agosto, avevo lasciato il ruolo di sindaco per passare in regione, ed è stato un massacro. Dopo di che le regioni sono state brave, perché sono state – mi permetto di dire – anche costrette ad esserlo (talvolta le performance migliorano, quando lo Stato introduce normative di rigore, soprattutto quelle dei controlli) e in questo Paese è passata l'idea che in un pezzo del sistema di governo del Paese c'erano sprechi e inefficienze, mentre altrove andava tutto bene.
  È l'esatto opposto: in questo Paese funziona meglio la vita dei cittadini se sono forti in primo luogo i comuni, che sono la parte debole di questo meccanismo, perché il grande vantaggio delle regioni è quello di avere una finanza derivata (quota IVA e quota IRPEF), mentre i comuni i soldi li devono andare a prendere a casa dei cittadini. Non è la stessa cosa. Se proponeste uno scambio, i sindaci brinderebbero. Quindi anche su questo punto c'è un tema da affrontare molto importante, perché di finanza derivata si campa cent'anni. Quando invece devi fare prelievo locale, con i tesorieri, la cosa è – lo sapete meglio di me – di gran lunga più complicata, soprattutto se il prelievo lo fai in aree a reddito debole dove vengono messe in fila le bollette: prima il telefono, poi l'energia elettrica e solo alla fine la bolletta comunale. È un tema che spero affronteremo anche con i rappresentanti dei comuni.
  Sulle proposte. Di fronte a questo quadro, che è ovviamente incoraggiante per il livello di capacità di governo delle regioni, io proverei a fare questa domanda e questa proposta: perequazione infrastrutturale. I dati sono evidenti, non li commento – penso che il collega Garavaglia abbia fatto un discorso onesto e non li ha commentati nemmeno lui – e il tema riguarda la capacità di spesa. In questo Paese ci sono due esempi: EXPO e Universiadi, 240 milioni spesi in quindici mesi. Quando una cosa si deve fare, si fa. Io non so se il meccanismo giusto è quello premiale, con quello più bravo che si prende i soldi di quello che sta dormendo a fianco; quindi cancelliamo Calabria e Sicilia e prendiamo tutto in Campania, perché vi assicuro che prenderemmo tutto noi. Non va bene così!
  Invece bisogna dedicare strutture per la spesa di investimento, altrimenti le risorse rimangono ferme. Chi ha fatto l'amministratore sa benissimo che per fare una villa comunale, senza grandi procedure espropriative, ci vogliono cinque anni, solo perché devi mettere in ordine le carte. Ma così si riempiono di trasparenza le popolazioni e si indeboliscono nei bisogni del pane quotidiano. Questo è il rischio. Si può fare un'operazione, visto che si costruisce un meccanismo di perequazione infrastrutturale? Prendo ad esempio una delle poche cose che condivido di quanto detto dal collega Pagano: una dichiarazione del presidente della Sicilia Musumeci, il quale ha sollevato il problema di fare una task force per le opere. Io penso che la debba fare qualche struttura dello Stato modellata come l'EXPO, perché dubito che ci si riesca in altre sedi. La dico proprio così.
  Il secondo tema è quello dell'attuazione della riforma costituzionale, che adesso siamo pronti a fare. Fino a qualche tempo fa non eravamo pronti, adesso siamo pronti. Quindi io penso che il Governo abbia fatto una buona proposta cominciando dagli asili nido, perché gli asili nido servono al Paese, servono al sistema Paese, valorizzano le potenzialità delle donne, e danno uno spazio al Sud che altrimenti non recuperiamo mai, perché – chiariamocelo – noi vogliamo misurarci: noi crediamo che questo sia un Paese lungo, ma non per questo lo dividiamo in due e lo rendiamo ingovernabile.Pag. 14 Bisogna metterlo insieme. E lo mettiamo insieme, se noi al Sud corriamo di più. Non reclamiamo nulla da nessuno.
  Articolo 22, perequazione. Quest'anno c'è per la prima volta un piano di investimenti che applica un criterio stabilito del 34 per cento. Perciò questo 34 per cento deve camminare ogni anno così e la battaglia politica diventa difenderlo e soprattutto praticarlo, perché il tema vero è quello.
  L'ultima cosa che mi permetto di sottolineare è la seguente: cominciamo con il dato degli asili nido, che dà il segnale del superamento della spesa storica. Io credo che si debba lavorare così. I livelli essenziali delle prestazioni non li costruiamo in pochi mesi, perché c'è bisogno di risorse e di azioni, però il punto è fissarli come obiettivo. Quindi suggerisco e chiedo alla Conferenza delle Regioni di fare un ordine attuativo del dettato costituzionale. Quest'anno si comincia con gli asili nido e con l'applicazione della norma sugli investimenti; proverei a fare un'agenda, da concordare con il Governo, per tutto il resto.

  PRESIDENTE. Darei ora la parola al presidente Toma. Prego.

  DONATO TOMA, presidente della Regione Molise. Grazie, presidente. Io parto dalla questione infrastrutturale posta inizialmente dall'onorevole Garavaglia e da ultimo ripresa. Chiariamo che i fondi comunitari sono fondi aggiuntivi, che significa che occorre innanzitutto avere fondi nazionali da allocare sull'infrastrutturazione, cui si aggiungono i fondi comunitari; in realtà – lo dico in maniera chiara e trasparente – noi i fondi comunitari al Sud (nella mia regione succede) li utilizziamo come fondi ordinari, altrimenti non saremmo in grado di dare i servizi minimi essenziali. Lo dico senza tema di smentita e con molta sincerità, perché poi le cose, se non ce le diciamo nelle audizioni, quando ce le diciamo? Noi quindi li utilizziamo massimamente come ci vengono attribuiti, non con aggiuntività, ma la politica di coesione è una politica di aggiuntività.
  I fondi infrastrutturali dovrebbero provenire dal Fondo sviluppo e coesione, c'è poco da fare. Ma non è tanto quello il problema. Il problema sono le opere strategiche. Io faccio gli esempi del mio territorio, perché sono quelli che conosco meglio. Io visito tutti i territori, sono invitato da tutti i colleghi di tutte le regioni per rendermi conto di quello che succede nelle altre regioni e vi dico che la mia situazione è un po' quella che sta vivendo il Sud. Noi abbiamo la necessità di alcune opere strategiche: abbiamo la necessità di un collegamento stradale a quattro corsie, perché usciamo dall'isolamento; abbiamo la necessità di andare a rifare tutte le strade provinciali che le province non riescono più a manutenere, perché non hanno le risorse per manutenerle, e tutto questo si fa con il Fondo sviluppo e coesione primariamente, con i fondi dello Stato. Sono quelli i fondi che dovrebbero essere bilanciati in una maniera adeguata fra Nord e Sud. Gli investimenti il Nord li ha avuti, ha avuto anche una maggiore efficienza, perché è anche un problema di efficienza, di bravura – su questo sono d'accordo con l'onorevole Garavaglia; essendo io un politico di una giovane amministrazione (sono insediato da quindici mesi), il primo approccio che ho avuto è quello dell'efficienza. Sono arrivato con un Patto per il Sud, un Patto per il Molise, tra l'altro tardivamente firmato nel 2016 – e stiamo parlando di una programmazione 2014-2021 – e avviato nella mia regione nel 2017: quattro anni di ritardo recuperati in sette mesi. Nel 2018 abbiamo realizzato il 106 per cento degli obiettivi. Significa che, se sei bravo e sei efficiente, la spesa si recupera. Su questo sono perfettamente d'accordo. E non è difficile spendere bene.
  Però ho due difficoltà: la prima sono i controlli di primo livello e di secondo livello, che sui fondi comunitari sono infiniti, sono interminabili, sono troppo farraginosi. Questo problema però si sta contrattando con il partenariato a livello europeo. Il secondo problema, lo introduco forse per la prima volta nei tavoli a cui partecipo: se noi avessimo un piano infrastrutturale serio nella mia regione, io non avrei bisogno di tutti i fondi comunitari e dei fondi del Patto per il Molise, perché le imprese da Pag. 15me non dovrebbero essere attratte con la percentuale di contributo pubblico che diamo sugli investimenti ma con le infrastrutture efficienti. Se io ho una infrastruttura stradale efficiente, se ho il porto che stiamo realizzando a Termoli più efficiente, se l'area ZES che abbiamo varato con il Governo precedente si efficienta, le imprese vengono senza necessità di avere questi grandi contributi pubblici, siano essi comunitari o del Fondo sviluppo e coesione, perché trovano un substrato infrastrutturale ideale, trovano una regione che non ha malavita organizzata, trovano una regione a scarsa litigiosità sindacale, trovano una regione quasi priva – dico quasi, perché ormai regioni prive di inquinamento non esistono – di inquinamento, trovano delle basi buone. Ma se vengono oggi, pure con tutti i denari che noi mettiamo in campo sia di fondi FESR sia di FSE e sia di FSC, facendo un calderone, e trovano l'infrastrutturazione che abbiamo, preferiscono rinunciare. Noi abbiamo avuto il caso del gruppo Amadori, 40 milioni di euro di contratto di sviluppo: Invitalia, Molise e Amadori hanno rinunciato, perché hanno detto di avere problemi con le infrastrutture, perché devono raggiungere i mercati di sbocco, perché devono raggiungere i macelli collocati in altre regioni e hanno problemi con le strade. Altre aziende mi hanno manifestato la stessa problematica. Io non ho l'urgenza di avere i fondi comunitari e i fondi per l'ordinario: io ho l'urgenza che le opere strategiche siano fatte nella mia regione e siano manutenute. Il resto è aggiuntivo. Così dovrebbero funzionare i fondi europei.

  GAETANO ARMAO, vicepresidente della Regione Siciliana. Due battute, una sulla puntualizzazione dell'onorevole Pagano e poi su quella dell'onorevole Garavaglia.
  Per quanto concerne il dato finanziario è proprio vero che il sistema regionale ha una capacità di dialogo e di confronto che ci può portare avanti nel percorso del regionalismo differenziato e del federalismo fiscale, ma c'è anche un tema di struttura finanziaria diversa e differenziata tra le nostre regioni, che purtroppo alcune volte in sede di regolazione (penso al 118) non si è percepita. Noi abbiamo per esempio ridotto in venti mesi del 10 per cento il debito della regione, tuttavia ci troviamo un disavanzo pesantissimo che viene dalle precedenti gestioni. Scusate l'espressione: alla faccia della responsabilità di mandato! Per cui da un lato la Corte dei conti dice che c'è la responsabilità di mandato e che il disavanzo va ricomposto entro il mandato, però poi si prevede che entro tre anni vada ripianato. Sotto questo profilo sono delle cose che vanno considerate. Il 118 va applicato alle singole situazioni. È come dare la stessa dieta a un malato e a uno che sta bene: gli effetti saranno diversi, in alcuni casi devastanti. Quindi su questo, mi rivolgo a voi che siete la Commissione competente, è necessario andare «cum grano salis» per evitare effetti devastanti, fermo restando che il risanamento e la trasparenza dei bilanci è un valore indiscutibile e assoluto. Credo di aver risposto anche a questa provocazione utile sulla necessità di adeguare anche meccanismi di riequilibrio finanziario.
  Sul tema dei fondi europei due battute. Il mio presidente lo ha detto – e ringrazio di aver richiamato il presidente Musumeci –: è un problema non di efficienza ma di regole. Vi do due dati: la Sicilia ha affidato 80 milioni di euro della scorsa programmazione a FEI e BEI, le istituzioni finanziarie europee più importanti (Fondo europeo di investimenti e Banca europea degli investimenti). Sapete quanto ci hanno restituito? 50 milioni, perché non sono riusciti a spendere i fondi europei. Hanno impiegato due anni solo per scegliere l'intermediario con le regole europee.
  Secondo dato. I PON, se li andate a verificare, sono indietro rispetto ai POR. Lo Stato spende i fondi europei (non tutti, in alcuni casi) peggio di quanto fanno le regioni. Poi è chiaro che la Regione Lombardia ha mille elementi di efficienza (tant'è che abbiamo tante collaborazioni), però una cosa è spendere 800 milioni di euro in cinque o in sette anni, altra cosa è spendere 5 miliardi. È chiaro che è molto più complicato, soprattutto se fai opere enormi, perché la Lombardia con i fondi europei fa alcune cose a compendio, perché le cose Pag. 16grosse le fa in altro modo, invece noi facciamo appalti da un miliardo: sfido chiunque a costruire una procedura da un miliardo! Ecco perché il nodo delle regole è fondamentale.
  Poi è essenziale, parlando di Piano del Sud – so che avete cominciato a parlarne – mettere in atto uno straordinario piano di rafforzamento amministrativo delle amministrazioni del Sud, che stanno implodendo. Non sono più capaci di spendere, scusate la franchezza. È inutile che si continui a parlare di più soldi e di più risorse: è inutile, perché le amministrazioni stanno implodendo. Mi ha scritto poc'anzi il mio dirigente che vanno in pensione cinque persone, non possiamo fare il ricambio, devo chiudere tre uffici. Non riusciamo più a fare l'ordinario con il personale che abbiamo. Quindi, se non mettete le amministrazioni del Sud in grado di avere professionalità e competenze, altro che spendere risorse: ne spenderemo, caro onorevole Garavaglia, sempre meno. Quindi ci sarà ancora minore possibilità di spesa. Se poi i nostri dirigenti non ci sono più e non riusciamo a spendere, i soldi li leviamo alla Sicilia per darli a una regione che li spende meglio: non so se questa sia la soluzione. Sarebbe un incentivo importante, purché le regioni che vogliono spendere possano spendere e non siano bloccate perché non hanno più personale.

  GIANLUCA FORCOLIN, vicepresidente della Regione Veneto. Una cosa sola sul trasporto pubblico locale. Sicuramente ha ragione l'onorevole Garavaglia sul fatto che un'integrazione del finanziamento andrebbe riconosciuta, perché da anni non solo non è aumentato ma, addirittura, è stato ridotto, cercando, per esempio, di pescare dal Fondo nazionale trasporti per la questione dell'agevolazione sugli abbonamenti. Quindi ogni anno ci ritroviamo in una rincorsa; anche per l'anno 2019 conosciamo la questione riguardante 300 milioni di euro, più volte dibattuta. Bisognerebbe realizzare quella sostituzione dal contributo al trasferimento con entrate fiscali. Questo sarebbe il passaggio da fare, per non rincorrere ogni volta il Ministro di turno e le difficoltà di turno. Questa è la risposta.

  DAVIDE CARLO CAPARINI, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Grazie. In chiusura, ringraziandovi per l'attenzione, per la disponibilità e soprattutto per gli interventi, sottolineo che il tavolo tecnico di attuazione del decreto legislativo n. 68 del 2011, che dovrebbe terminare i lavori nel 2021, è l'occasione prima di tutto per definire la fiscalizzazione dei trasferimenti delle compartecipazioni erariali e per la perequazione, la lotta all'evasione, quindi una quota del gettito derivante dalla lotta all'evasione, che è un tema centrale anche della vostra manovra.
  Per quanto riguarda il TPL integro ciò che ha detto il vicepresidente Forcolin: è il comparto che ha subito più tagli, ancora di più rispetto alla sanità e c'è l'occasione adesso in manovra di poter intervenire. Ritengo che, avendone contezza, il Parlamento riuscirà ad alleviare il carico che oggi le regioni devono sopportare.
  Chiudo dicendo che, per quanto riguarda i fondi europei, la componente dei vincoli amministrativi imposti dalla burocrazia è un tema che dobbiamo affrontare, come diventerà un tema che sarà presto nella vostra agenda quello della compartecipazione delle regioni, che rischia di diventare un nuovo taglio, perché chiaramente, aumentare la quota di compartecipazione vuol dire ridurre le risorse, di cui noi oggi disponiamo per fare ciò che già ci chiedete di fare.

  PRESIDENTE. Grazie a tutti. Autorizzo la pubblicazione, in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna, della documentazione consegnata dai rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (vedi allegato) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.

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