Sulla pubblicità dei lavori:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI POLITICHE DELL'IMMIGRAZIONE, DIRITTO D'ASILO E GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI
Audizione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Mauro Palma.
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3
Palma Mauro , Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ... 3
Brescia Giuseppe , Presidente ... 6
Pollastrini Barbara (PD) ... 6
Giorgis Andrea (PD) ... 6
Brescia Giuseppe , Presidente ... 7
Palma Mauro , Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ... 7
Brescia Giuseppe , Presidente ... 9
Palma Mauro , Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ... 9
Brescia Giuseppe , Presidente ... 10
Palma Mauro , Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ... 10
Brescia Giuseppe , Presidente ... 10
ALLEGATO: Documentazione presentata dal Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale ... 11
Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Civica Popolare-AP-PSI-Area Civica: Misto-CP-A-PS-A;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Noi con l'Italia-USEI: Misto-NcI-USEI;
Misto-+Europa-Centro Democratico: Misto-+E-CD;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Sogno Italia - 10 Volte Meglio: Misto-SI-10VM.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE BRESCIA
La seduta comincia alle 9.15.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
Audizione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Mauro Palma.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di politiche dell'immigrazione, diritto d'asilo e gestione dei flussi migratori, l'audizione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, dottor Mauro Palma, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione e al quale chiedo cortesemente di contenere il suo intervento in circa dieci-quindici minuti, in modo da consentire ai commissari di porre eventuali domande.
Cedo, dunque, la parola al dottor Palma.
MAURO PALMA, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Buongiorno a tutti e grazie per quest'opportunità.
Il Garante nazionale ha presentato in Parlamento la sua relazione il 27 marzo scorso. La relazione conteneva tutti i dati relativi al 2018; è nel sito, può essere consultata ed è a disposizione di tutti. Ho pensato, quindi, di contenere il mio intervento sui dati nel 2019, cioè su come sono andati questi primi sei mesi.
Dico subito che sono reduce da una visita abbastanza approfondita a tutti i centri per il rimpatrio attualmente funzionanti, e cioè quelli di Palazzo San Gervasio, vicino Potenza, di Ponte Galeria – adesso, è stata aperta anche la sezione maschile – di Torino, di Caltanissetta, di Brindisi e di Bari.
I dati mostrano una situazione che giudico abbastanza utile porre all'attenzione della Commissione, proprio perché si tratta della Commissione che si occupa di affari costituzionali.
Delle 2.267 persone che sono state trattenute nei centri nei primi sei mesi – ho preso i dati al 20 giugno, quindi possiamo parlare dei primi sei mesi – soltanto una percentuale pari al 39,3 per cento è stata rimpatriata. Tale questione ci pone il problema della legittimità della privazione della libertà per le rimanenti persone.
Per dare un esempio, a Palazzo San Gervasio sono state complessivamente trattenute per periodi vari 491 persone, delle quali sono uscite per essere rimpatriate – altre sono uscite per scadenza dei termini o altro – soltanto 80, ovvero il 16,3 per cento. Questo significa, praticamente, che 420 persone sono state trattenute, per periodi vari, senza che questo avesse portato all'esito per il quale il centro è istituito.
Tengo anche a precisare che sono state trattenute e in 349 casi il giudice non ha convalidato il trattenimento. Questo significa una certa scioltezza – uso questo termine – nel trattenere le persone indipendentemente dal fatto che ci fossero le basi giuridiche per farlo. Potrei dare un altro dato molto simile, per esempio, per Bari: 267 persone trattenute, solo il 39,3 per cento rimpatriate e in ben 123 casi non è stato convalidato il trattenimento. Pag. 4
Capite che questo problema al Garante nazionale pone degli interrogativi su come vengono condotte le operazioni di trattenimento e su come questo trattenimento – loro mi scuseranno il termine – sia produttivo. Trattandosi di centro per il rimpatrio, questo è produttivo nella misura in cui il trattenimento è funzionale a un effettivo rimpatrio. Nel momento in cui, invece, diventa una misura indipendente dall'effettivo rimpatrio, c'è il rischio che essa sia soltanto una misura che agisce sul piano simbolico e sul piano dell'avvertimento, come un messaggio del tipo: non venite in Italia, perché rischiate di essere trattenuti, indipendentemente dal fatto che poi questo avvenga con il rimpatrio.
Avevo già sollevato qualche perplessità sul fatto che si aprisse un centro a Palazzo San Gervasio. Ricordo che il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13 stabilisce che i nuovi centri devono essere piccoli, ridotti e vicino agli aeroporti. L'unico centro nuovo – le altre sono riaperture di vecchi CIE – è stato aperto nell'unica regione d'Italia che non ha l'aeroporto, cioè la Basilicata. E la questione mi aveva sollevato sin dall'inizio alcuni problemi.
Chi di loro avrà l'opportunità di andare a Palazzo San Gervasio, si accorgerà che per chi lavora in quel centro – chi lì è trattenuto rimane per periodi più o meno brevi, ma chi ci lavora resta lì con continuità – si tratta di una condizione di grande difficoltà. Oltretutto, le persone lavorano in strutture che sono sostanzialmente dei container, e anche gli avvocati incontrano le persone nei container.
Collego questo dato – poi, sarò disponibilissimo a rispondere a eventuali domande – a un altro che desta in me molta preoccupazione. Come sapete, il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale è l'organismo nazionale che, in base alla direttiva dell'Unione europea, è incaricato del monitoraggio dei rimpatri forzati, cioè io, come Garante nazionale, devo tenere il contatore, praticamente, e monitorare le varie situazioni.
Bene: se esaminiamo, per esempio, i voli charter vediamo che ne sono stati organizzati dall'inizio dell'anno 26: quattro per l'Egitto, uno per il Gambia, quattro per la Nigeria e diciassette per la Tunisia. Questi 26 voli charter hanno portato all'espulsione di 566 persone in sei mesi. Poi vi dirò il dato complessivo di quanti respinti in generale. Ora mi preme sottolineare che per l'espulsione di queste 566 persone sono stati impiegati 1.866 operatori. Capite bene il rapporto tra l'effettività di un'operazione e l'impiego di risorse, anche umane, che tale operazione comporta.
In generale, poi, il numero delle persone che in questo semestre sono state rimpatriate è in linea con quanto avvenuto negli anni precedenti: esattamente, sono state rimpatriate 2.839 persone. Prima, ho citato i charter, gli altri sono stati voli singoli. Posso lasciare alla Commissione tutti i dati. La fonte è il Ministero dell'interno, con il quale abbiamo una buona collaborazione sui dati. Il documento che consegno riporta il rendiconto analitico Paese per Paese, che indica dove sono stati rimandati.
Essendo passato un semestre, è presumibile che anche quest'anno arriveremo a circa 5.600-6.000 persone rimpatriate. Attenzione: molti di questi sono rimpatri dovuti all'esecuzione di atti che hanno natura penale. Al termine della pena, la persona viene rimpatriata. Non c'entrano niente con i numeri che si dicono delle persone irregolarmente presenti nel territorio nazionale che in varie note di stampa sono oscillati tra i 60.000 e i 90.000. Queste persone sono solo parzialmente comprese in questo dato, poiché molte di queste 2.899 erano persone che al termine della pena dovevano essere espulse. Comunque, complessivamente siamo in un panorama di circa 6.000 in un anno, facendo la proiezione su base annua il dato è del tutto analogo al panorama che stiamo monitorando negli ultimi 10-15 anni.
Vorrei portare alla vostra attenzione un'osservazione di questo tipo: negli anni, la possibilità di trattenimento delle persone in funzione del rimpatrio è variata a seconda di posizioni politiche su cui io non posso e non devo prendere posizione; essa è stata a volte di 30 giorni, a volte di 90, a volte di sei mesi e via dicendo. Bene, l'oscillazione Pag. 5 relativa alla produttività è stata tra il 45 e il 52 per cento, non è andata al di là, anche quando si era arrivati a 18 mesi, e alcuni di loro lo ricorderanno. L'oscillazione è stata tra il 45 e il 52 per cento, cioè non c'è una stretta correlazione tra il tempo di trattenimento delle persone e l'effettiva possibilità di ottenere dal Paese che deve ricevere la documentazione idonea il riconoscimento del fatto di riaccettare la persona.
Il problema, quindi, non è tanto l'allungamento dei tempi, che produce soltanto maggiore detenzione amministrativa, in condizioni anche molto precarie. L'andamento dei dati, infatti, è quasi uguale sia che ci si stia 30 giorni sia che ci si stia sei mesi o addirittura 18 mesi.
Apro una parentesi. A Palazzo San Gervasio non c'è neanche un posto dove mangiare. Le persone trattenute mangiano sul letto. Ora, loro capiscono che mangiare sul letto è molto diverso se questo è per tre settimane, quattro settimane, o per sei mesi. Tale questione, anche in termini di aggressività interna, determina una serie di situazioni per gli stessi operatori. Potrei trattenervi a lungo – ma non è il caso, tanto noi pubblichiamo il rapporto – su alcune condizioni materiali.
Indipendentemente da come allunghiamo i tempi, e quindi da come determiniamo condizioni materiali che incidono sempre più anche sulla sofferenza delle persone, la produttività, cioè l'effettività di poterli rimpatriare, oscilla ben poco.
Allora, è su un altro piano, visto che c'è interesse a rimpatriare le persone, che dobbiamo agire: probabilmente sul piano degli accordi internazionali, costruendo un numero maggiore di accordi internazionali che permettano l'effettività di questi rimpatri, stabilendo schemi di relazione che possano far ricevere le persone e, come l'Unione europea più volte ha anche affermato, cercando forme incentivanti per i cosiddetti rimpatri volontari. Nessuno è volontario di per sé, devono esserci delle forme incentivanti, alle quali potrebbero essere destinate risorse invece ampiamente destinate per i tutto sommato pochi rimpatri forzati.
Concludo con un'ultima questione, quella del rapporto con Frontex. Il Garante nazionale è anche parte del team di Frontex per i rimpatri coordinati da Frontex stesso. Questo è a volte anche un po’ un problema, perché in un volo Frontex, per esempio, per la Nigeria, in cui ci siano taluni rimpatriati dall'Italia, taluni dall'Austria, taluni dalla Francia, e via dicendo, le modalità di esecuzione del rimpatrio anche a bordo sono diverse. L'Italia utilizza, per esempio, le fascette ai polsi per tutte le persone da rimpatriare, mentre il Belgio non le accetta.
E voi capite che, dal punto di vista anche della sicurezza complessiva, avere a bordo delle persone che subiscono lo stesso destino, ma talune hanno le fascette e talune no, è un problema. È vero che quando il volo è in quota vengono tolte, ma è un problema anche di gestione. Noi stiamo lavorando, allora, all'interno di una rete di coordinamento con Frontex, perché si arrivi all'uniformità delle modalità esecutive tra i vari Paesi.
Allo stesso modo, stiamo lavorando per costruire una rete nei Paesi di arrivo dove ci siano organismi analoghi al Garante nazionale. Voi sapete che il Garante nazionale è anche organismo dell'ONU. Allora, con i Paesi che hanno ratificato lo stesso protocollo della Nazioni Unite stiamo cercando di costruire una rete per il cosiddetto passaggio, per l’end over delle persone, in maniera tale da vedere i destini futuri.
Ma, voi capite che, dei quattro Paesi con cui abbiamo i contatti per i charter (Marocco, anche se non accetta i charter, però c'è una sedimentata relazione, Tunisia, Nigeria ed Egitto), i quattro Paesi con cui c'è un accordo stabile, il Marocco sta creando un'istituzione analoga alla nostra, la Tunisia l'ha istituita, in Nigeria ne era stata inizialmente istituita una poi rivelatasi non affidabile, mentre l'Egitto non ha firmato il protocollo ONU che prevede tale istituzione. La situazione, in questo caso, è quindi complessa.
Non so se questi punti possono essere, presidente, introduttivi di una discussione; sono disponibilissimo a fornire tutti i dati Pag. 6e tutte le risposte alle domande che riterrete di pormi.
PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Palma. Sicuramente ci sono già dei dati molto interessanti.
Prima di cedere la parola ai colleghi, partirei io con alcune questioni. Leggo da questo documento che i Paesi interessati dal rimpatrio delle persone sono tantissimi, ma lei poi si è soffermato sugli ultimi quattro che ha citato, Marocco, Tunisia, Nigeria ed Egitto, con i quali l'Italia ha degli accordi più stabili. Con tutti gli altri Paesi, elencati tre pagine, quindi immagino che si vada ben oltre questi quattro, che tipo di accordi ci sono? Secondo quali intese con questi Paesi avvengono i rimpatri delle persone interessate?
Chiederei anche qualche dato in più sulla condizione dei centri. Lei ha parlato di Palazzo San Gervasio, e io colgo l'occasione della sua sollecitazione per sottoporre all'attenzione della Commissione l'opportunità di svolgere una missione, nell'ambito di quest'indagine, proprio presso il centro per il rimpatrio di Palazzo San Gervasio, visto che mi pare che, tra tutti i centri, sia quello con la situazione un po’ più particolare. Vorrei avere informazioni, però, anche sugli altri centri.
Le chiederei, poi, di soffermarsi anche un attimo sugli hot spot. Anche all'interno degli hot spot c'è una forma di trattenimento. Vorrei sapere, in base alla sua esperienza, quali sono le procedure che si seguono, se legittimamente vengono trattenute le persone all'interno degli hot spot e che cos'è cambiato anche dopo la normativa del decreto sicurezza.
Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
BARBARA POLLASTRINI. Anch'io voglio ringraziare il dottor Palma.
Naturalmente, come egli stesso ha detto, ci lascerà la sua relazione e i dati, che per noi tutti, credo, in questa Commissione, sono assai significativi. Vorrei poi fare due domande molto mirate, ma intanto ringrazio il presidente anche per la proposta di svolgere un'indagine sul campo, sul territorio. Sarà molto interessante e molto utile.
Venendo alle domande, la prima è molto semplice; vorrei chiedere al dottor Palma se dai dati già in suo possesso, credo proprio di sì, e dai dati eventuali che potrà fornirci, si possa evincere un quadro più preciso delle differenze di trattamento, se esistono, tra donne e uomini.
Quello che lei ci ha delineato dei centri che devono ospitare è un quadro dal mio punto di vista umanamente drammatico, oltre che democraticamente complicato, e quindi mi interesserebbe capire se al loro interno c'è, quantomeno, il rispetto della condizione della donna. Sappiamo che cosa può maturare, che cosa può crescere in condizioni così difficili, così dure.
La seconda domanda è simile e riguarda i minori stranieri e la legge che abbiamo molto discusso e di cui sono stata relatrice. So che i minori dovrebbero seguire un altro percorso. Tuttavia, chiedo sempre ai nostri auditi: vi è capitato, capita che, malgrado la legge dello Stato che tanto abbiamo voluto e che – ci tengo a dirlo – abbiamo approvato in modo trasversale, qualche minore comunque vada a finire in un luogo che non dovrebbe essere il suo? Le è capitato, durante la sua esperienza?
Vorrei porle un'altra domanda, che credo sia la stessa che le ha posto il presidente Brescia: a seguito del decreto sicurezza, dal suo osservatorio, che offre un punto di vista più oggettivo, basato sui dati, le condizioni in generale per tutti i migranti – le risultano peggiorate o meno? Io penso che non siano certamente migliorate, ma non vorrei rappresentare un punto di vista di parte.
ANDREA GIORGIS. Rivolgo al nostro ospite un ringraziamento per il lavoro che ha svolto e che quotidianamente svolge.
Vorrei fare una domanda, ma vorrei trovare le parole giuste, perché la mia domanda non suoni come strumentale o, peggio, come una domanda che la mette in imbarazzo e la trascina nel gorgo delle polemiche politiche. Spero, quindi, di trovare le parole giuste. Il mio intendimento non è assolutamente quello di coinvolgere il nostro autorevole ospite in un dibattito, Pag. 7che noi svolgeremo nelle sedi opportune. La domanda, però, sento il dovere di farla. Tutte le forme di controllo delle frontiere, come tutte le forme di regolazione dell'immigrazione, che si traducono in una limitazione della libertà delle persone, sono sottoposte ai princìpi costituzionali, alle norme costituzionali, e sono sottoposte al rispetto di quei diritti fondamentali riconosciuti nelle diverse carte internazionali. Abbiamo un sistema giuridico che prevede espressamente dei limiti alla sovranità politica delle maggioranze e, in particolare, dei limiti alla sovranità politica dei legislatori.
Potremmo dire, citando i classici, che con l'entrata in vigore delle Costituzioni e con il riconoscimento dei diritti fondamentali, nessuno Stato che riconosca le Costituzioni e i diritti fondamentali è più del tutto sovrano. Naturalmente, è una grande questione, molto complicata, è una grande intuizione, una grande idea, un grande sogno quello di riuscire a limitare la sovranità di ogni comunità, di ogni Stato, in nome e per la tutela dei diritti fondamentali, ed è un obiettivo che giorno per giorno si tratta faticosamente di realizzare.
Ora, ieri abbiamo iniziato la discussione del disegno di legge di conversione del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, il cosiddetto «decreto sicurezza-bis», che è in vigore e che noi siamo chiamati a convertire in legge. La domanda che io le faccio è la seguente: lei è stato coinvolto, nella sua funzione istituzionale, per un parere, una valutazione sui contenuti del decreto?
In sede di conversione, naturalmente, operiamo secondo le dinamiche politiche, e la conversione di un decreto-legge è l'atto più politico che vi sia. Tuttavia, e lo dico con un po’ di ingenuità, non vorrei rinunciare del tutto a pensare che gli argomenti abbiano una qualche forza, e che quindi non sia indifferente quali tipi di argomento si possono mettere in campo nella discussione sul come atteggiarsi in sede di votazione. So bene, e non vorrei che si pensasse il contrario, che la forza delle maggioranze va al di là degli argomenti che si possono usare in Aula, però gli argomenti che si usano a volte sono un po’ come un fiume carsico, vengono sotterrati e considerati alla stregua del nulla, ma poi, se sono argomenti molto solidi, se sono argomenti molto fondati sulle ragioni del diritto e sulle ragioni dei diritti, prima o poi magari riemergono in superficie.
Ecco, dunque, che il tema della configurazione del soggetto abilitato a introdurre limitazioni alla libertà non è una questione, a mio avviso, assimilabile ad altre che abbiamo affrontato. Se è possibile, se ci sono le condizioni (diversamente, sarebbe anche un gesto sgradevole, non rispettoso di questa sede), se lei ritiene, eventualmente anche non oggi, di fornirci delle considerazioni, io credo che sarebbero preziose, indipendentemente dal fatto che esse producano delle conseguenze sulla vicenda che nei prossimi giorni l'Aula si troverà a trattare.
PRESIDENTE. Do la parola al dottor Palma per la replica.
MAURO PALMA, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Parto da quest'ultima questione, che è, per così dire, di inquadramento rispetto al rapporto inter-istituzionale tra l'istituzione parlamentare e l'autorità indipendente.
Ho detto prima che il Garante nazionale è organismo nazionale di prevenzione ai sensi del Protocollo opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti, ratificato e reso esecutivo dall'Italia con legge n. 145 del 2012. È stato così designato dall'Italia, e quindi si applicano tutti gli obblighi relativi a ciò che la Convenzione ONU prevede. Tra questi, l'obbligo di consultarlo in quella che nel testo inglese viene detta «draft legislation», procedimenti legislativi in via di approvazione.
È chiaro, quindi, che come Garante nazionale – ne parlavo prima con il presidente – dovrò essere consultato sia alla Camera sia al Senato, perché è obbligo di legge. Ed è chiaro che il mio riferimento è duplice: ovviamente, rivolgendomi alla Commissione affari costituzionali, non è mio compito ricordare l'articolo 13 della Costituzione, Pag. 8 ma ricordo anche l'articolo 117, e anche il fatto che le convenzioni diventano diritto interposto, e quindi in qualche modo entrano a far parte del diritto. E siccome questo obbligo è contenuto in una convenzione ratificata dall'Italia, è chiaro che la consultazione del Garante nazionale è necessaria, anche se in effetti, essendo un'autorità di recente istituzione, vi è meno abitudine a questo fatto, e più volte ai presidenti di Camera e Senato ho dovuto rammentarlo. Parto da questo, e mi riservo sul tema del «decreto sicurezza-bis» di venire in Commissione anche con una serie di valutazioni scritte sui singoli aspetti.
Ciò mi porta alla domanda dell'onorevole Pollastrini relativa agli effetti già in atto del predetto decreto, e parto da alcuni elementi positivi. Come Garante nazionale, avevo segnalato la mancata tassatività delle norme che prevedono la privazione della libertà e l'incongruità dell'espressione «locale idoneo». Devo, per esempio, segnalare alla Commissione che tali osservazioni già trovano delle verifiche: mi sono capitati almeno tre casi in cui le questure di alcune grandi città italiane hanno previsto che una persona venisse trattenuta in un locale idoneo da mettersi a disposizione da parte della questura stessa; questi atti sono stati vagliati dai giudici di pace, i quali non hanno avuto la curiosità di sapere dove fossero tali locali idonei, quanto meno di conoscerne l'indirizzo, e hanno confermato i trattenimenti: capite che il trattenimento in «locali idonei» di cui non si conosce neppure l'indirizzo lascia molti problemi al Garante nazionale.
Sul versante positivo, invece, posso dire che, per esempio, con il Ministero dell'interno abbiamo stabilito in una serie di incontri alcune definizioni di tali locali idonei, alcune verifiche per dichiararli tali. La prima verifica per il Garante nazionale è che ci sia una mappa, che si sappia dove siano. La legge dà al Garante nazionale la possibilità, come elemento protettivo, di avere accesso in qualunque momento a qualunque locale ritenuto idoneo: ho accesso formalmente a qualunque locale idoneo, solo che è necessario sapere dove siano.
Il primo requisito, quindi, perché un locale di frontiera sia idoneo è che ci sia una mappa, che ci siano dei registri, che ci siano, quindi, delle forme di definizione e di controllo, perché altrimenti, come ho avuto in altra sede parlamentare occasione di dire, sarebbe stato meglio prevedere il trattenimento nelle camere di sicurezza: sarebbe potuto sembrare più duro, ma in realtà le camere di sicurezza sono un oggetto giuridicamente definito, e quindi si sarebbe saputo chi poteva avervi accesso. Ho segnalato i tre casi che ho citato prima e anche dal Ministero dell'interno sono stati presi come punti di criticità, e quindi da affrontare insieme.
Quanto ai minori stranieri non accompagnati, c'è un problema, che io segnalo alla Commissione perché mi sembra molto importante. Quando il minore sa indicare soltanto l'anno di nascita ma non il giorno e il mese, viene sistematicamente registrato come nato il 1° gennaio. Rivolgendomi al Parlamento – ma erano presenti anche il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio – nella mia ultima relazione ho detto che era un'offesa a Blaise Pascal e al calcolo delle probabilità, perché mi sembra improbabile che siano tutti nati il 1° gennaio. Ho trovato persone nate il 1° gennaio ed espulse il 20 gennaio, quindi non so rispondere alla domanda se fossero minori, a meno che non fossero realmente nate in quei primi venti giorni. Diversamente, erano minori espulsi, e ne ho trovati diversi. Avevo proposto quanto meno – mi passino l'espressione – di fare «fifty-fifty», registrandoli al 1° luglio, se non si vuole registrarli, per tutelarli di più, al 31 dicembre, invece vengono sistematicamente registrati al 1° gennaio. In quasi nessun caso viene applicata la legge n. 47 del 2017, la cosiddetta «legge Zampa», perché ci si accontenta soltanto della radiografia della mano. Quindi, mi risulta difficile rispondere sui minori. Dopo che il Parlamento ha discusso su una molteplicità di approcci, su un approccio pluridisciplinare per stabilire la minore o maggiore età, avere un meccanismo che sistematicamente registra al 1° gennaio e fa semplicemente la radiografia, a mio avviso è una disapplicazione della legge vigente.
Per quanto riguarda la distinzione tra donne e uomini, le donne, come voi sapete, sono soltanto a Ponte Galeria, a Roma, dove Pag. 9si trova l'unico centro per il rimpatrio che ha la sezione femminile. Le condizioni sono deplorevoli in maniera assoluta, al punto tale che ho anche ritenuto, forzando la mano, di portare il viceprefetto, che era venuto ad accogliermi, nei servizi igienici di quel luogo e chiedergli se avrebbe mai usato dei servizi igienici in quelle condizioni, non per il mantenimento, ma per il nugolo di zanzare e moscerini che ricopriva la parete. Il centro è stato realizzato, infatti, in una zona sotto il livello del mare, vicino Ostia, in un avvallamento. Sono stati poi fatti alcuni lavori, alcune cose sono senz'altro anche migliorate, c'è una buona attenzione da parte del personale, ma è la situazione in sé che è segnata anche dal fatto che in tutto il 2018 soltanto il 13 per cento delle donne lì trattenute è stato rimpatriato. Nell'87 per cento dei casi, le donne sono state trattenute lì, dopo varie retate sulla prostituzione e per questioni di questo genere, e non rimpatriate, bensì fatte uscire, perché non c'era la possibilità del rimpatrio.
Un caso molto particolare che ho dovuto segnalare ultimamente, purtroppo in maniera infruttuosa, è stato quello del rimpatrio in Nigeria di una donna che aveva evidenti problemi di disagio mentale. Apro una parentesi: il Garante nazionale riceve la comunicazione delle operazioni di rimpatrio che saranno fatte di lì a cinque giorni e deve fare un esame cartolare, in quei giorni, delle situazioni. Poi, a campione, andiamo anche a monitorare l'operazione. Dall'esame risultava una situazione di disagio mentale. La persona è stata, invece, ugualmente rimpatriata, data la genericità di quello che viene chiamato il fit to fly, il visto per il volo: mentre sul piano fisico, infatti, si hanno degli elementi oggettivi con una diagnosi specifica, quando si tratta di disagio mentale la situazione è molto più fluttuante e molto più difficile da certificare in tempi così stretti.
Il problema delle donne si pone in maniera particolare. Noi siamo in contatto con il GRETA, che nel Consiglio d'Europa è l'istituzione di controllo sulla tratta. Siamo in contatto con loro e sostanzialmente quello è il tipo di parametro che più esaminiamo: che non siano donne per le quali ci sia stata già una segnalazione di essere vittime di tratta, tema comunque molto difficile. Abbiamo tenuto un seminario sia con la dottoressa Mariagrazia Giammarinaro, relatrice speciale dell'ONU sulla tratta di esseri umani, sia con Petya Nestorova, segretaria esecutiva del Consiglio d'Europa per le azioni contro il traffico di esseri umani, per cercare di migliorare la formazione di quelli che operano all'ufficio del Garante nazionale al fine di avere indicatori: cinque giorni infatti è un tempo molto ristretto per riuscire a capire. È chiaro, però, che le vulnerabilità nei luoghi di privazione della libertà diventano ancora maggiori. A me dispiace chiamare le donne «vulnerabilità», ma nei luoghi di privazione della libertà divengono una vulnerabilità.
Si è risolta o non si è risolta la questione degli hot spot? Non si è risolta. Più volte è stato denunciato che l’hot spot è un limbo giuridico, nel senso che è una privazione della libertà che non prevede la convalida da parte del magistrato, quindi non prevede l'autorità di natura giurisdizionale che convalida tale trattenimento.
Nel precedente «decreto sicurezza» è prevista tale convalida nel caso in cui nell’hot spot ci sia il richiedente asilo, che rimane poi per trenta giorni, ma per il trattenimento in hot spot del non richiedente asilo, che rimane molti meno giorni, non c'è, quindi quella parte di limbo giuridico è ancora rimasta. E per le categorie vulnerabili, a volte, devo dire, per un atteggiamento positivo delle autorità italiane (finché non trovano dove mandarli, li trattengono), ci si trova in una situazione in cui un giovane, una giovane donna possono essere rimasti lì cinque o sei giorni in attesa di una sistemazione, ma quei cinque o sei giorni non corrispondono all'articolo 13 della Costituzione, cioè sono privazione della libertà senza un'autorità che possa giurisdizionalmente controllarla.
Mi è stato chiesto di fare un excursus rapidissimo sui centri.
PRESIDENTE. Le devo chiedere di avviarsi alla conclusione, in considerazione dell'imminente svolgimento di votazioni in Assemblea.
MAURO PALMA, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della Pag. 10libertà personale. Sarò sintetico. Io consiglierei alla Commissione, se mi posso permettere, di visitarli. Comunque, noi pubblichiamo rapporti continui sui centri. Ho parlato di Palazzo San Gervasio, che architettonicamente è anche migliore di altri. Il centro di Bari (mi dispiace, presidente, so che è la sua città)...
PRESIDENTE. Lo conosco bene...
MAURO PALMA, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Lo dico con una certa esperienza (non per dare una nota biografica, ma per undici anni ho presieduto a Strasburgo il Comitato europeo per la prevenzione della tortura, quindi ho visitato i centri di privazione della libertà, allora non visitavo gli italiani, perché nessuno può visitare il proprio Paese, ma quelli di vari altri Paesi), il centro di Bari è indecoroso, così come è indecoroso quello di Torino. Peraltro, a Torino sono intervenuto in un convegno, il cui titolo era «Visibile e invisibile», perché è un mondo invisibile visibilissimo: a corso Brunelleschi, dietro ci sono i palazzi, quindi gli abitanti lo vedono dalla finestra. È un mondo invisibile, ma ben visibile. Quello che viene chiamato l’«ospedaletto», cioè il luogo in cui nel centro sono ospitate le persone malate, credo che richieda un'attenzione particolare. Mi sono assunto la responsabilità di asserire che i posti previsti per le persone assomigliano a un giardino zoologico più che a posti per umani: si ha una piccola costruzione con una porta davanti e uno spazietto con la grata, come avviene nello zoo, col bambino che spera che l'animale venga fuori.
È sbagliato pensare ai centri, un po’ come accade per il carcere, come unitari. In un centro ci può essere un reparto, una sezione ben tenuta, e un'altra no. Io dico, per Torino, di quella sezione. Allo stesso modo, a Torino ho dovuto trovare nel seminterrato due stanze, la cui esistenza era stata negata al Garante nazionale da parte delle autorità responsabili, in cui le scritte sui muri lasciavano capire la presenza di persone ospitate almeno per periodi limitati di tempo all'interno di quelle stanze.
A Torino, quindi, c'è quella situazione. A Roma, la situazione delle donne presenta varie questioni. È migliore la situazione a Brindisi. Va male la situazione a Bari. Vado in velocità. Palazzo San Gervasio è il nowhere. Più che la sua architettura di Palazzo San Gervasio, la problematicità è nella sua collocazione.
Questa è un po’ la prospettiva dei vari centri. Abbiamo già pubblicato un rapporto, ne pubblicheremo, dopo questo giro che abbiamo fatto adesso, abbastanza a breve, un altro. Non sarà a brevissimo per il fatto che per impegno istituzionale non pubblichiamo mai subito il rapporto: il rapporto lo mando, in questo caso al Ministero dell'interno, che mi risponde, e io pubblico dopo trenta giorni sia il rapporto sia la risposta del Ministero dell'interno, perché il Garante nazionale non è un organo che fa scandalismo, ma un organismo inter-istituzionale che lavora con l'altra istituzione.
PRESIDENTE. Grazie davvero per tutte le informazioni che ci ha fornito, che saranno sicuramente spunto per i nostri approfondimenti e per le nostre visite. A questo punto, infatti, credo sia doveroso da parte nostra visitare questi centri.
Avverto che l'audito ha messo a disposizione della Commissione una documentazione, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10.05.
Pag. 11ALLEGATO
Documentazione presentata dal Garante dei diritti delle
persone detenute o private della libertà personale
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