XVIII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Mercoledì 24 giugno 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 2329 BRESCIA, RECANTE «MODIFICHE AL TESTO UNICO DI CUI AL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 30 MARZO 1957, N. 361, E AL TESTO UNICO DI CUI AL DECRETO LEGISLATIVO 20 DICEMBRE 1993, N. 533, IN MATERIA DI SOPPRESSIONE DEI COLLEGI UNINOMINALI E DI SOGLIE DI ACCESSO ALLA RAPPRESENTANZA NEL SISTEMA DI ELEZIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI E DEL SENATO DELLA REPUBBLICA. DELEGA AL GOVERNO PER LA DETERMINAZIONE DEI COLLEGI ELETTORALI PLURINOMINALI»

Audizione del professor Roberto D'Alimonte, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma.
Brescia Giuseppe , Presidente ... 3 
D'Alimonte Roberto , Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma ... 3 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 6 
Forciniti Francesco (M5S)  ... 6 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 8 
D'Alimonte Roberto , Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma ... 9 
Forciniti Francesco (M5S)  ... 9 
D'Alimonte Roberto , Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma ... 9 
Forciniti Francesco (M5S)  ... 9 
D'Alimonte Roberto , Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma ... 10 
Forciniti Francesco (M5S)  ... 10 
D'Alimonte Roberto , Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma ... 10 
Forciniti Francesco (M5S)  ... 10 
D'Alimonte Roberto , Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma ... 10 
Forciniti Francesco (M5S)  ... 10 
D'Alimonte Roberto , Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma ... 10 
Forciniti Francesco (M5S)  ... 10 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 10 
D'Alimonte Roberto , Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma ... 10 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 10 

Audizione dell'avvocato Felice Besostri:
Brescia Giuseppe , Presidente ... 10 
Besostri Felice , avvocato ... 10 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 13 
Forciniti Francesco (M5S)  ... 13 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 13 
Besostri Felice  ... 13 
Brescia Giuseppe , Presidente ... 14 

Allegato 1: Memoria presentata dal professor Roberto D'Alimonte ... 15 

Allegato 2: Documentazione consegnata dall'avvocato Felice Besostri ... 18 

Allegato 3: Documentazione consegnata dall'avvocato Felice Besostri ... 133

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE;
Misto-Popolo Protagonista - Alternativa Popolare: Misto-PP-AP.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE BRESCIA

  La seduta comincia alle 12.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Roberto D'Alimonte, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione del professor Roberto D'Alimonte, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma, al quale chiedo di contenere l'intervento in circa quindici minuti, in modo da consentire ai commissari di porre eventuali domande.

  ROBERTO D'ALIMONTE, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma. La ringrazio, presidente, e ringrazio i membri della Commissione che sono qui per avermi offerto la possibilità di esprimere senza reticenze il mio pensiero su questo progetto di riforma elettorale. Contrariamente a quanto di solito faccio, leggerò un testo breve, perché ci tengo a precisare nei dettagli il mio pensiero. Questo intervento sarà poi messo a disposizione della Commissione.
  Il titolo del mio intervento è, semplicemente, il seguente: «Perché questa è una riforma elettorale sbagliata». Dopo la ristrutturazione del sistema partitico della Prima Repubblica, il Parlamento italiano è stato sempre eletto fino ad oggi con sistemi elettorali misti. Per la precisione, sono stati tre: il primo – la «legge Mattarella» – era un sistema prevalentemente maggioritario, con una quota del 75 per cento di collegi uninominali. È stato utilizzato tre volte. Il secondo sistema elettorale misto è stato la «legge Calderoli», che era un sistema proporzionale con premio di maggioranza. Anche questo è stato utilizzato tre volte. Il terzo è la «legge Rosato». Anche questo è un sistema misto, ma prevalentemente proporzionale, a differenza della «legge Mattarella», con una quota di un terzo di collegi uninominali, ed è stato utilizzato una sola volta, nelle elezioni del 2018. Sette elezioni, tre sistemi elettorali diversi, questo sarebbe il quarto. Già questo è un chiaro segno di patologia del sistema (non conto i sistemi elettorali introdotti dalla Corte costituzionale, che sono due, visto che con quelli non si è votato).
  Tre sistemi diversi, ma accomunati da una caratteristica cruciale. Sono tre sistemi che hanno «costretto» o, se preferite, incentivato le forze politiche a decidere prima del voto con chi allearsi per governare il Paese. Con questi sistemi si è passati da un Pag. 4modello di competizione fondato sulle coalizioni post-elettorali della Prima Repubblica a un modello basato sulle coalizioni pre-elettorali della Seconda. Questo meccanismo ha introdotto una responsabilizzazione maggiore dei partiti nei confronti dei cittadini. Non solo, fino al 2012 il sistema elettorale ha prodotto maggioranze di governo come espressione diretta del voto popolare. Sono stati gli elettori a decidere «direttamente» il Governo del Paese con il loro voto, e non i partiti dopo il voto. In altre parole il sistema elettorale è stato, come diciamo noi politologi, decisivo, perché ha assegnato la maggioranza assoluta di seggi alla coalizione con più voti, elemento importante di legittimazione in una fase politica in cui la sfiducia nei partiti è altissima, e non solo in Italia. Certo, nel 2013 questo esito non si è verificato, perché il successo del Movimento 5 Stelle e della coalizione di Monti ha messo in evidenza un grave difetto della riforma berlusconiana del 2005 legato al meccanismo di assegnazione dei premi al Senato, vale a dire quella che ho chiamato «la lotteria dei premi». La «riforma Rosato» del 2018 non ha reintrodotto un sistema elettorale decisivo, perché la quota di collegi uninominali è troppo esigua.
  In ogni caso, fino al 2013 collegi uninominali e premio di maggioranza hanno permesso di trasformare una maggioranza relativa di voti in maggioranza assoluta di seggi. Questo è il punto. È la disproporzionalità del sistema che ha favorito quel minimo di stabilità degli esecutivi, e quindi di governabilità, di cui ha goduto il Paese negli anni a partire dal 1993, nonostante la debolezza dei partiti attuali. Sedici governi in ventisei anni non sono pochi, sono troppi, eppure la loro durata media è stata quasi il doppio dei governi della Prima Repubblica. Tra il 1948 e il 1993 i governi sono durati in media circa undici mesi. Dal 1994 a oggi circa diciannove mesi, e la durata sarebbe stata maggiore se i sistemi elettorali fossero stati disegnati meglio e accompagnati da altre riforme, per esempio quella dei Regolamenti parlamentari. Tanto per fare degli esempi di altri Paesi con sistemi proporzionali come quello che si vorrebbe introdurre oggi, in Svezia la durata dei governi è stata di cinquanta mesi, nel periodo tra il 1948 e il 1993; nei Paesi Bassi, che è un Paese più frammentato del nostro, ventinove mesi; in Germania, trentadue mesi.
  Cosa vi fa pensare, onorevoli deputati, che reintroducendo il proporzionale il sistema funzionerebbe come in Svezia, in Olanda o in Germania? Cosa vi fa pensare che la nostra cultura politica faccia funzionare il proporzionale come in questi Paesi che ho citato, e non come nell'Italia della Prima Repubblica o nella Francia della Quarta Repubblica, dove i governi duravano in media sei mesi con un sistema proporzionale? Non a caso cito la Francia. Politicamente Italia e Francia sono Paesi molto simili, anzi da certi punti di vista la Francia è messa peggio dell'Italia. Sono le regole che fanno la differenza. Senza le regole della Quinta Repubblica, senza l'elezione diretta del Presidente, senza il sistema elettorale maggioritario a due turni, la Francia oggi sarebbe il Paese più instabile d'Europa. Certo, le regole non sono tutto, ma le regole sono necessarie per metterci sulla strada di un buon governo e oggi le regole proporzionali che voi vorreste reintrodurre non sono quelle adatte a questo Paese in questa fase storica. Faremo la fine non della Prima Repubblica, ma della Francia della Quarta Repubblica.
  Coalizioni pre-elettorali, ruolo decisivo degli elettori, maggioranze di governo uscite dalle urne, alternanza: sono le caratteristiche del modello di democrazia italiana degli ultimi ventisei anni. È un modello che ha trovato applicazione anche a livelli subnazionali, nei comuni e nelle regioni. In questi casi il modello è rafforzato dall'elezione diretta del capo dell'esecutivo. È quello che io chiamo il «modello italiano di governo» per sottolinearne l'originalità. Il progetto di riforma elettorale in discussione rappresenta la rottura di questo modello. È la vera controriforma. È la rottura del modello di democrazia che abbiamo prodotto a partire dal 1993 prima nei comuni, poi nelle regioni e che poi abbiamo cercato di introdurre a livello nazionale. Questo è l'abbandono del tentativo di costruire una democrazia fondata su un equilibrio più Pag. 5efficiente tra rappresentatività e governabilità.
  Non sono così ingenuo da credere che coalizioni pre-elettorali e sistemi elettorali disproporzionali siano la soluzione del problema della governabilità, ma sono profondamente convinto che senza buone regole istituzionali ed elettorali non riusciremo mai ad avere stabilità dei governi. La stabilità non è certo condizione sufficiente del buon governo, ma è una condizione assolutamente necessaria. Come fanno governi instabili a programmare il futuro? Come fanno governi instabili a prendere decisioni e a seguirne l'applicazione, rendendosi responsabili della decisione e della sua applicazione? I sistemi elettorali sono uno strumento che favorisce o meno la creazione di governi stabili in un dato contesto. Nel nostro contesto oggi per fare questo abbiamo bisogno o dei collegi uninominali o del premio di maggioranza. Senza uno di questi due meccanismi il rischio, per non dire la certezza, è quello del ritorno a governi ancora più instabili e a elettori sempre più delusi e disorientati. Nella sostanza voi siete di fronte alla scelta se ritornare al passato o meno. Il sistema proporzionale in discussione è un sistema che priva gli elettori della possibilità di decidere chi governa, lascia i partiti liberi di decidere a piacimento con chi allearsi senza impegni preventivi nei confronti degli elettori, rende l'esito del voto incerto. Non incertezza nel senso della distribuzione dei seggi tra i partiti, il che è un fatto normale, ma incertezza sulle modalità di formazione dei governi e sulla loro capacità di durare. L'approvazione di questo sistema elettorale significherebbe il ritorno alla democrazia della delega, una delega in bianco ai partiti a fare dopo il voto gli accordi che preferiscono senza un'approvazione preventiva degli elettori. Il paradosso è che questo cambiamento è voluto principalmente dal partito che ha fatto della democrazia diretta il suo obiettivo ideale, ma così va il mondo di questi tempi (il presidente Brescia mi perdonerà della mia sincerità).
  L'unico elemento positivo del sistema elettorale in discussione è la soglia del 5 per cento. Questo meccanismo potrebbe generare una disproporzionalità sufficiente a trasformare una minoranza di voti in maggioranza di seggi, ma solo alla condizione che ci sia voto disperso. Ho messo a disposizione la media dei sondaggi dell'ultima settimana. Se questo fosse l'esito del voto con il sistema elettorale che voi vorreste approvare, la coalizione di centrodestra avrebbe la maggioranza assoluta dei seggi. Perché questo esito? Perché in questo caso c'è un 16 per cento di voto disperso. Quindi la coalizione di centrodestra che, sommando le percentuali dei vari partiti che la compongono, arriva al 47 per cento dei voti, supererebbe la soglia del 50 per cento dei seggi grazie al 16 per cento di voto disperso. Ma voi sapete che i sistemi elettorali cambiano le decisioni dei partiti e i comportamenti degli elettori. Se fosse introdotta una soglia del 5 per cento, non sarebbe questo l'esito del voto, ma un altro. Quindi, il punto essenziale è che la possibilità, con questo sistema elettorale, di avere maggioranze più o meno coese è legata alla quantità di voto disperso generato dal sistema. La governabilità del Paese con questo sistema elettorale sarebbe appesa al voto disperso, al voto cioè dato ai partiti sotto la soglia. Se questa soglia non verrà approvata, come a mio avviso è probabile, o se non funzionerà come elemento distorsivo, nel senso che ho appena spiegato, il Paese sarà destinato alla ingovernabilità. Il risultato sarà un sistema di governi deboli, in preda al ricatto di piccoli partiti che avranno un potere di coalizione sproporzionato rispetto ai voti ottenuti.
  Voi conoscete meglio di me quali sono le vere motivazioni che stanno dietro a questo progetto di riforma. La prima è quella di impedire una vittoria netta del centrodestra alle prossime elezioni, vittoria che con l'attuale sistema di voto, la «legge Rosato», e le attuali dinamiche elettorali appare oggi probabile (ma questa vittoria, come vi ho già spiegato, ci sarebbe in ogni caso con questi dati, se il voto disperso fosse di questa entità). È la stessa motivazione che ha spinto Berlusconi, sbagliando, a cambiare la legge elettorale prima delle elezioni del 2006, quando sembrava che il centrosinistra Pag. 6 potesse ottenere un'ampia vittoria grazie ai collegi uninominali. La seconda motivazione, in parte collegata alla prima, è quella di liberare il Movimento 5 Stelle e Forza Italia dall'«obbligo» di dichiarare prima del voto con chi allearsi per governare il Paese.
  Queste sono le vere ragioni. Quelle addotte nelle dichiarazioni pubbliche e nei documenti ufficiali sono un alibi. In ogni caso, onorevoli deputati, voi avete la possibilità di dimostrare che io ho torto. Potete introdurre un premio di maggioranza a livello nazionale sia alla Camera sia al Senato per la coalizione con più voti, posto che abbia almeno il 40 per cento. Può essere fatto con un turno solo o meglio con due turni, pur mantenendo un impianto proporzionalistico e andando incontro ai rilievi della Corte costituzionale, oppure potete incrementare il numero di collegi uninominali. L'una o l'altra soluzione sarebbero soluzioni di equilibrio molto più efficienti tra rappresentatività e governabilità. La rappresentatività verrebbe garantita dalla formula proporzionale di assegnazione dei seggi, la governabilità verrebbe favorita dalla decisività del sistema grazie al collegio uninominale e al premio. In aggiunta, se si scegliesse di adottare i collegi uninominali, si supererebbe il problema delle liste bloccate che il sistema elettorale in discussione rafforza. Questo soprattutto se si evitassero gli errori fatti in passato nel disegno complessivo del sistema elettorale e delle sue norme di accompagnamento.
  In questo modo dimostrerete a me che ho torto, ma questo naturalmente non è importante. Sarebbe importante invece che dimostriate agli elettori che non li volete privare della possibilità di decidere «direttamente» chi debba governare e con quale programma. Così dimostrerete che avete a cuore la governabilità del Paese, perché in questa fase politica solo dando agli elettori la possibilità di scegliere il Governo, magari esprimendo una seconda preferenza (questo è un punto tecnico su cui non mi soffermo), si può sperare di mitigare la sfiducia dei cittadini nella politica e ottenere esecutivi che durino un tempo tale da poterli considerare responsabili di quello che fanno o che non fanno. Inoltre, non credo che sia superfluo sottolineare come in un momento così critico della storia del Paese la stabilità dell'azione di governo sia ancora più di ieri un ingrediente necessario per superare la crisi in cui ci troviamo. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCESCO FORCINITI. Ringrazio il professor D'Alimonte per la sincerità con cui ci ha esposto le sue osservazioni e le sue riflessioni. Vorrei partire dalla fine, ossia da quella velata accusa, che viene rivolta a questa maggioranza e ai firmatari della proposta di legge, di manipolare, di voler mettere mano alla legislazione elettorale per mero tornaconto elettorale in vista di eventuali elezioni che, sulla base dei dati attuali dei sondaggi, vedrebbero il centrodestra in vantaggio con il sistema vigente. Penso che questa prima osservazione cada sul nascere, perché stiamo lavorando sulla legge elettorale nel 2020 mentre la fine della legislatura sarà nel 2023. Noi sappiamo che i sondaggi sono molto volatili, le opinioni sono molto mutevoli, le impressioni, le percezioni, le sensazioni di questo mondo politico attuale non ci permettono di cucire adesso un vestito, anche se per assurdo lo volessimo, su quello che sarà o che dovrà essere nel 2023. Se volessimo utilizzare quel modus operandi che altri hanno seguito in passato, avremmo magari temporeggiato sul tema della legislazione elettorale, per poi metterci mano pochi mesi prima del voto, e a quel punto magari cucirci un vestito su misura. Se lo stiamo facendo nel 2020, anziché nel 2023, è proprio perché vogliamo invertire una rotta e cambiare un metodo che noi abbiamo censurato in passato e che continuiamo a censurare, e che una volta maggioranza vogliamo «mandare in pensione», facendo le cose per bene, facendo le cose con il giusto tempo, senza aspettare che si arrivi all'ultimo momento. Quindi, su questo primo argomento vorrei porre a mia volta, con Pag. 7altrettanta sincerità, questa riflessione. La trovo un'accusa anche un po' gratuita, quasi politica più che tecnica, però la accetto, perché tutto serve e noi dobbiamo far tesoro di tutto quello che ascoltiamo e che ci viene detto.
  Ciò premesso, intendo soffermarmi su un'altra questione. Lei sostiene che un sistema maggioritario, un sistema che spinga quasi il cittadino ad avere la percezione di eleggere direttamente chi lo governa, benché siamo in un sistema parlamentare che non prevede l'elezione diretta del Presidente del Consiglio, sarebbe un sistema più vicino al cittadino, perché gli permetterebbe di scegliere chi lo governa. A mio avviso però, paradossalmente, lo priverebbe della possibilità di scegliere chi lo rappresenta, perché l'effetto disproporzionale che si otterrebbe in presenza di sistemi con collegi totalmente uninominali non si confà, a nostro avviso, a quella che è una Repubblica parlamentare proporzionale e con un Parlamento rappresentativo composto da due rami. Secondo me invece, le dirò, è il contrario, perché i modelli maggioritari tendono a spingere le forze politiche a polarizzarsi, a spingersi verso due poli – benché poi la storia ci dica che questo non sempre si è verificato, anzi non si è verificato quasi mai – e quindi anche il cittadino tende a rincorrere il voto utile, quindi a scegliere non sulla base delle sue convinzioni o sulla base di quella che è la sua sensibilità o sulla base di qual è la forza politica che lo rappresenta di più, bensì quella forza politica, quel blocco, quella coalizione che può avere realisticamente maggiori possibilità di vittoria. Quindi, secondo me, è il modello maggioritario che è un modello più elitario, più liberal-elitario, se vogliamo, alla Pareto, per così dire, un modello in cui ci sono delle élite che si alternano e che una volta che hanno vinto sono «blindate» per cinque anni e il popolo non controlla più niente. Quello è un modello di delega, perché è un modello in cui tu voti in quel momento, c'è una coalizione che è praticamente blindata, perché gli diamo un premio di maggioranza abnorme, il cittadino a quel punto sparisce, perché sono delle élite che fanno politica e si chiudono nel palazzo. Dopo cinque anni magari il cittadino è stanco e voterà l'altro blocco, quindi ci sarà l'alternanza. Per me questo è un modello di delega in bianco da parte del cittadino.
  Invece il modello proporzionale è un modello in cui ci sono tante forze politiche e tante sensibilità che comunque danno al cittadino la possibilità di scegliere di essere rappresentato, e poi nell'assemblea rappresentativa tutti gli interessi, tutte le voci, tutte le anime del Paese vengono rappresentate, e a quel punto il cittadino ha anche la possibilità, tramite i suoi rappresentanti, di contare di più. È una questione di diverse sensibilità, rispetto il suo punto di vista e con altrettanta sincerità le dico che non sono d'accordo con questa sua impostazione, tanto più che poi la storia di questi venticinque anni ci ha dimostrato che comunque alla fine il sistema maggioritario non è detto che garantisca necessariamente la stabilità. Immaginiamo che si vada a votare con un sistema totalmente fatto di collegi uninominali: con questi dati e soprattutto con la diversificazione territoriale che c'è sul territorio nazionale non è detto che un sistema maggioritario ci garantisca di dare al blocco del centrodestra, visto che stiamo ragionando su questo esempio, la maggioranza assoluta dei seggi. Le elezioni del 2018 ci insegnano, infatti, che il partito principale di centrodestra è un partito molto radicato al Nord che poi magari fa più fatica al Centro e al Sud e che quindi potrebbe non vincere quel numero di collegi uninominali necessario per disporre di un buon margine per poter governare, per poter trainare la coalizione di centrodestra, tanto più che poi alla fine, se anche per ipotesi ci riuscisse, ci sarebbero tre forze politiche, dentro questa ipotetica coalizione vincente, che dovrebbero comunque assestarsi dopo le elezioni. Quindi, questa idea per cui andiamo a votare e la sera stessa sappiamo già chi ha vinto le elezioni, è il sogno, la visione di una democrazia facile, immediata, decidente, che secondo me è una chimera, perché la democrazia è sacrificio, la democrazia ha dei tempi fisiologici che vanno osservati, la democrazia non può essere abbattimento Pag. 8di tutte le anime e le realtà di un Paese, di una nazione, di un territorio, in nome dell'idea di una governabilità che poi, peraltro, la storia di questi venticinque anni ci insegna che non è stata neanche raggiunta, perché nei venticinque anni di esperimenti più o meno maggioritari da cui proveniamo non si è mai verificato che una legislatura abbia avuto per cinque anni lo stesso Governo. Al contrario, l'esordio del modello maggioritario in Italia col «Mattarellum», approvato nel 1993 a seguito di un referendum votato a furor di popolo, vide un Governo che dopo otto mesi era già caduto, e addirittura ci fu il primo Governo tecnico, nonostante il sistema maggioritario.
  Quindi questa idea, che anche nel suo intervento ho colto, che una mancanza di credibilità dei partiti politici possa essere un limite del nostro sistema cui possa sopperire un determinato sistema elettorale, è un'idea, secondo me, poco corrispondente alla realtà dei fatti. Se c'è un sistema politico in Italia che è portato alla litigiosità, alla frammentazione e che non riesce a fare sintesi, che non riesce a esaltare proprio l'assemblea rappresentativa del nostro sistema parlamentare, per me non è colpa di una legge elettorale. Non è con una legge elettorale che risolviamo questi problemi del nostro sistema istituzionale, ammesso che vi siano, tanto più che il nostro è un sistema parlamentare, voluto espressamente dei padri costituenti, non è il sistema semipresidenzialista francese che lei esaltava. Ma se si vuole proporre ai cittadini un sistema presidenziale con l'elezione diretta del Capo dello Stato, lo si deve fare in maniera chiara, trasparente, con una riforma costituzionale, non attraverso il grimaldello della legge elettorale. Finquando siamo in un sistema parlamentare e proporzionale, questo è il perimetro disegnato dai padri costituenti. Se, legittimamente, si vuole altro, lo si dica, ma lo si faccia nella sede opportuna, non mediante una modifica surrettizia della forma di Governo attraverso la legge elettorale. Questo è l'obiettivo, a mio avviso, di chi propugna soluzioni maggioritarie.
  Un'ultima osservazione, perché lei ha parlato anche del modello dei comuni, esaltandolo come un modello di buona democrazia e di buona amministrazione. Intanto faccio umilmente notare che amministrare un comune è un conto, fare delle scelte di politica nazionale è tutt'altra cosa, quindi sono ambiti di competenza totalmente diversi. Al di là di ciò, io ho seguito molto la politica comunale, posso dirle che nella scorsa consiliatura del mio comune una forza politica col 20-25 per cento al primo turno, che poi ha vinto il ballottaggio, è stata blindata da un premio di maggioranza abnorme e il consiglio comunale è scomparso, perché forte di quella maggioranza, assegnatagli d'ufficio, l'esecutivo ha potuto di fatto imporre qualsiasi cosa al consiglio comunale. Il consiglio comunale è finito in quel momento, perché per cinque anni non c'è stata discussione politica dentro il consiglio comunale, che dovrebbe essere l'assemblea rappresentativa dei cittadini. Quindi, quel modello non lo vedrei come un modello da traslare sul Parlamento, anche perché chi ci ha provato, con l'«Italicum», poi si è scontrato anche con le censure della Corte costituzionale.
  Non dimentichiamoci del faro che deve essere la Costituzione, e in particolare dell'articolo 48, a norma del quale il voto è personale e uguale, libero e segreto. Quindi, se vogliamo che il voto sia «uguale» e che il cittadino possa esprimerlo in libertà, dobbiamo quanto più tendere verso un sistema proporzionale, per quanto comunque con dei correttivi maggioritari, come la soglia di sbarramento. Se vogliamo rispettare l'articolo 48 della Costituzione, dobbiamo dare la possibilità al cittadino di esprimere il suo voto in libertà, in serenità e di farlo attraverso un sistema proporzionale che possa garantire alle varie anime del Paese di essere ugualmente rappresentate in misura di quella che è la loro cifra elettorale.
  Su molti aspetti, quindi, non sono d'accordo col suo intervento, il che non mi impedisce, ovviamente, di ringraziarla per le osservazioni che ci ha offerto.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor D'Alimonte per la replica.

Pag. 9

  ROBERTO D'ALIMONTE, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma. Io non riesco a rispondere a tutte le osservazioni che lei mi ha fatto, dovrei invitarla a seguire il mio corso sui sistemi elettorali alla Luiss, ma credo che lei abbia altro da fare. Lei ha mischiato cose giuste con inesattezze e contraddizioni. In primo luogo, va detto che la vera differenza tra me e lei e tra me e la sua parte politica è che io ho a cuore il fatto che questo Paese sia governato, soprattutto oggi ancora di più di ieri, e quindi mi pongo il problema di cercare di trovare un assetto istituzionale che garantisca governi stabili. Per lei la stabilità non è un valore, e così per il suo Movimento. Per lei il valore è la rappresentatività. L'eccesso di rappresentatività non porta a governi stabili e senza governi stabili, con governi rappresentativi, come vorrebbe lei, ma senza governi stabili, che Paese siamo? Che responsabilità possiamo attribuire a governi che durano undici mesi, o i sei mesi della Quarta Repubblica francese, che a lei farebbe molto piacere (perché la Quarta Repubblica francese era molto rappresentativa, così come la Prima Repubblica italiana)? Quale circuito di responsabilizzazione, di accountability si può attivare con governi che non durano, ma che sono altamente rappresentativi, e quindi espressione fotografica della volontà popolare? Si tratta di trovare un equilibrio, onorevole, tra rappresentatività, governabilità e stabilità degli esecutivi. Io le ho fornito un dato su cui lei ha sorvolato: nonostante tutte le difficoltà del sistema partitico della Seconda Repubblica, nonostante gli errori commessi nel disegno dei sistemi elettorali che ho citato, che sono tutti imperfetti, con errori macroscopici nel loro disegno, nonostante le difficoltà che lei citava, nonostante tutto ciò i governi sono durati in media diciannove mesi, c'eravamo messi sulla strada di una maggiore durata dei governi. Quindi, la differenza è semplicemente questa: a lei non interessa la stabilità, e quindi le va bene un sistema altamente rappresentativo; a me, che guardo all'Inghilterra e non soltanto, perché immagino che per lei l'Inghilterra sia una democrazia di scarsa qualità...

  FRANCESCO FORCINITI. È una cultura diversa.

  ROBERTO D'ALIMONTE, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma. È una democrazia in cui gli elettori vanno a votare in collegi uninominali, sapendo che il giorno dopo molto probabilmente viene fuori il Primo ministro. Questa non è democrazia? Eppure è una forma di governo parlamentare, storicamente la prima. La Francia non è una democrazia? I francesi hanno eletto Macron con un sistema non democratico? Gli Stati Uniti non sono una democrazia? L'Australia non è una democrazia? Il Canada non è una democrazia? Mi scusi, di cosa stiamo parlando? Questi sono tutti Paesi, che io considero democratici, in cui si è raggiunto un equilibrio – che è modificabile, che è imperfetto, perché è tutto imperfetto – tra stabilità dei governi e rappresentatività, ed è quello che ci ha consentito di stabilizzare i comuni, perché è vero quello che lei dice, e si potrebbe correggere quel meccanismo, di cui lei parla, dell'esproprio dei poteri dei consigli comunali e regionali, ma senza intaccare la stabilità. Lei sa quanto duravano i sindaci o i presidenti di giunta regionale durante la Prima Repubblica? Quello è un buon governo? Lo sa il numero di mesi che duravano i sindaci, i presidenti di giunta? E lei vorrebbe quel sistema lì, dove i consigli dettavano legge ed esprimevano rappresentativamente la volontà popolare?

  FRANCESCO FORCINITI. Io non sto esaltando un sistema proporzionale puro. Sono d'accordo con lei sul fatto che serva un equilibrio, però è su dove fissare l'asticella di quell'equilibrio che probabilmente noi discordiamo, perché non stiamo esaminando una proposta di legge elettorale totalmente proporzionale, lo ha riconosciuto lei, c'è una soglia di sbarramento che al momento è anche abbastanza alta, al 5 per cento.

Pag. 10

  ROBERTO D'ALIMONTE, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma. Al momento. Facciamo una scommessa, onorevole?

  FRANCESCO FORCINITI. Questo non è il momento di fare scommesse, dovremmo cercare un minimo di rimanere per quanto possibile più nel tecnico che nel politico.

  ROBERTO D'ALIMONTE, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma. La mia era una battuta.

  FRANCESCO FORCINITI. Quanto ai dati che citava sulla durata media di un Governo, che dovrebbe essere aumentata di alcuni mesi negli ultimi venticinque anni, con il maggioritario, a parte che sono dei lassi di tempo non paragonabili tra loro, perché parliamo di cinquantacinque anni contro venti, la statistica che riguarda la Prima Repubblica è falsata, perché molti di quei governi furono i cosiddetti «governi balneari», quei governi che durarono pochi giorni, perché poi arrivarono in aula e nemmeno ottennero la fiducia delle Camere, quindi anche quella statistica lì viene usata probabilmente in maniera strumentale.

  ROBERTO D'ALIMONTE, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma. Quindi erano stabili i Governi della Prima Repubblica?

  FRANCESCO FORCINITI. Non erano stabili, ma non esiste la certezza di un sistema elettorale che ci garantisca stabilità...

  ROBERTO D'ALIMONTE, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma. Ma certo, glielo faccio io il sistema elettorale!

  FRANCESCO FORCINITI. E che sia al contempo anche costituzionale, se prima non cambiamo anche la Costituzione e non ci trasformiamo in una Repubblica presidenziale.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio per questo acceso dibattito e prometto al professore che il presentatore della proposta di legge, il relatore e gli altri colleghi che hanno contribuito alla redazione di questo testo, dovremmo trovare il tempo per andare al corso del professore alla Luiss dove siamo stati invitati gentilmente!

  ROBERTO D'ALIMONTE, Professore ordinario di sistema politico italiano presso l'Università «Luiss Guido Carli» di Roma. Con molto piacere!

  PRESIDENTE. Avverto che il professore ha messo a disposizione della Commissione una memoria, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Nessun altro chiedendo di intervenire, dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione dell'avvocato Felice Besostri.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in relazione all'esame della proposta di legge C. 2329 Brescia, recante «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e al testo unico di cui al decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, in materia di soppressione dei collegi uninominali e di soglie di accesso alla rappresentanza nel sistema di elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Delega al Governo per la determinazione dei collegi elettorali plurinominali», l'audizione dell'avvocato Felice Besostri. Saluto il nostro audito, chiedendogli di contenere il suo intervento in circa 10-15 minuti.

  FELICE BESOSTRI, avvocato, cercherò di essere anche più breve, perché sono reduce da tre ore di attesa di una discussione telematica in Camera di Consiglio del TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) Lazio, dove, tra l'altro, tra i motivi del Pag. 11ricorso, c'era la illegittimità costituzionale di parte della legge n. 165 del 2017 e della legge n. 51 del 2019.
  Per questo ritengo sia veramente urgente che ci sia un nuovo testo di legge elettorale, anche per la connessione con la riduzione dei parlamentari, che crea un particolare problema. Se avessimo delle leggi elettorali diverse da quelle attualmente vigenti, noi potremmo affrontare con più serenità la discussione sul taglio dei parlamentari. Questo è il primo punto. Alcune cose però è importante che ve le dica a proposito del rapporto tra i tre ottavi di collegi uninominali maggioritari e i cinque ottavi di plurinominali proporzionali.
  Infatti, l'obiettivo della legge n. 51 del 2019 era quello di consentire una ripartizione dei seggi, a prescindere dal numero dei parlamentari e, quindi, in prospettiva, della loro riduzione. Misteriosamente, i criteri con cui si calcolano i tre ottavi e i cinque ottavi non sono uguali alla Camera e al Senato. Sono due Camere diverse, ma trovo estremamente grave che al Senato la Camera meno numerosa, la ripartizione sia calcolata in modo da aumentare la quota maggioritaria. Questo fatto una ragione di fondo ce l'ha: in tutte le altre leggi maggioritarie precedenti, essendo il Senato eletto a base regionale, chi avesse una maggioranza chiara alla Camera non è detto che la avesse al Senato. Ora si cerca di rimediare in questa maniera poco trasparente.
  Vorrei capire perché il voto di chi ha venticinque anni e vota al Senato deve essere calcolato in maniera diversa, considerato che il voto deve essere uguale. Qual è la differenza sostanziale? L'articolo 2 della legge n. 51 del 2019 non prevede un arrotondamento all'unità inferiore, come è previsto per la Camera nella quale, infatti, nella divergenza tra proporzionale e maggioritario c'è una chiara scelta a favore del proporzionale, perché si arrotonda all'unità inferiore.
  Al Senato non si è arrivati all'esagerazione di arrotondare all'unità superiore, però ci siamo quasi, perché si arrotonda all'unità più prossima, perciò applicando il criterio della frazione inferiore o superiore allo 0,5. In conclusione – ciò significa che sedici seggi su 196 – lasciamo da parte quelli della circoscrizione estero – sono sottratti alla parte proporzionale per darli alla parte maggioritaria. Metto a disposizione della Commissione una documentazione: è un po' lunga, perché il ricorso al TAR è lungo 115 pagine (e oggi sono stato rimproverato, perché non possono studiarsi 115 pagine!). La questione fondamentale è che in questo modo una lista o coalizioni di liste, che raggiungano una percentuale anche tra il 30 e il 35 per cento – siamo sotto al 40 per cento, che era stato individuato dalla legge n. 52 del 2015 come la soglia minima per attribuire un premio di maggioranza – in presenza di un voto distribuito in maniera omogenea sul territorio nazionale, possono avere la maggioranza assoluta alla Camera e al Senato, nonché nel Parlamento in seduta comune.
  Questo fatto crea uno squilibrio ordinamentale inimmaginabile. Chi ha il controllo del Parlamento in seduta comune – vi ricordo l'articolo 90 della Costituzione – ha la possibilità di mettere o minacciare di mettere in ogni momento il Presidente della Repubblica in stato di accusa.
  Nel nostro ordinamento costituzionale attualmente il Presidente del Consiglio dei ministri è sotto-ordinato rispetto al Presidente della Repubblica, che è l'ultimo organo di garanzia. Se passa la riduzione dei parlamentari con questa legge elettorale vigente, noi avremo un Presidente della Repubblica che, grazie a una legge ordinaria, perde il suo status di garante e finisce per essere un soggetto «ricattabile» (messo tra virgolette, perché penso che nessuno vorrà ricattare il Presidente della Repubblica) dal Presidente del Consiglio. Non solo, chi ha la maggioranza assoluta, specialmente se si riduce il numero dei delegati regionali (come previsto da un altro progetto di legge in discussione) avrà il controllo sull'elezione del Presidente della Repubblica nel 2022. Inoltre, tale maggioranza eleggerà un terzo dei membri del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura), eleggerà cinque membri della Corte costituzionale e il Presidente della Repubblica eletto da questa maggioranza quattro (e non cinque, perché la presidente Cartabia, Pag. 12 scadendo a settembre, sarà rinnovata da questo Presidente della Repubblica).
  Nell'arco della prossima legislatura – se si vota nella primavera del 2022 – cinque saranno di competenza di quel Parlamento in seduta comune. Perciò una maggioranza, che teoricamente può non superare il 35 per cento, controllando il Parlamento, elegge cinque membri della Corte costituzionale, elegge il Presidente della Repubblica che a sua volta ne nomina quattro (sono nove su quindici), elegge un terzo del CSM e ha la possibilità di mettere in stato d'accusa il Presidente della Repubblica. Senza rendercene conto, stiamo realizzando una riforma costituzionale attraverso delle leggi ordinarie, e questo, a mio avviso, semplicemente non è tollerabile. Non per nulla l'articolo 72, comma quarto, della Costituzione fa riferimento, nella famosa endiadi, alla «materia elettorale e costituzionale». Si faccia bene attenzione che si parla di «materia», mentre per gli altri casi per i quali è prevista la procedura ordinaria si fa riferimento ai disegni di legge di approvazione di bilanci e consuntivi, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di delegazione legislativa; quindi le materie costituzionale ed elettorale sono assolutamente equiparate.
  Dunque, si pone la problematica della questione di fiducia in una materia elettorale, posto di recente con la previsione della cosiddetta «giornata elettorale unica», (la nostra lingua è l'italiano; dovremmo abolire la parola «election day» che tra l'altro è anche sbagliata, perché ci vorrebbe il genitivo sassone), misura che è stata votata con la fiducia. Durante la conversione del decreto-legge alcune previsioni sono state estese alla consultazione referendaria, incidendo su una materia che, non essendo prevista nel decreto-legge originario, è stata introdotta in sede di conversione (c'è già una sentenza – relatrice era l'attuale presidente Cartabia – che afferma che è incostituzionale introdurre materie nuove in sede di conversione). Abbiamo già questi due elementi di incostituzionalità.
  Dobbiamo perciò tranquillizzare l'opinione pubblica che non si vuole creare un precedente; mi riferisco al fatto di aver convocato i comizi referendari per il 29 marzo e di averli revocati il 5 marzo, senza fissare in quell'occasione la nuova data. In questo modo, io penso del tutto involontariamente, si è dato uno strumento alla maggioranza di un Parlamento che, sapendo di non essere più tale, in caso di nuove elezioni, potrebbe convocare, ai sensi dell'articolo 61 della Costituzione, le nuove elezioni in tempo per rispettare i settanta giorni – per svolgere la campagna elettorale – e poi revocare la convocazione di tali elezioni. Per il referendum non succede niente di negativo: semplicemente non si celebra, ma ricordiamoci che l'articolo 61 della Costituzione afferma che i poteri della Camera precedente – quella sciolta o scaduta – sono prorogati fino alla prima riunione della nuova, che potrebbe non esserci mai o molto in ritardo.
  Parliamo di scenari fantascientifici, però se un fatto può accadere, anche soltanto in teoria, vuol dire che c'è un buco nella normativa e, quindi, si deve provvedere, ad esempio prevedendo che si possono revocare le elezioni già indette soltanto indicando contestualmente la nuova data. Ci vorrebbe poco o niente. A quanto mi risulta questa era una proposta che il sottosegretario Fraccaro aveva avanzato (perché il 5 marzo c'era tempo teoricamente di riconvocare entro il 23 di marzo), però tale questione nella delibera del Consiglio dei ministri – che si è riuscita a ottenere solo oggi – non è menzionata. Infatti noi non abbiamo ancora formalmente la data della convocazione dei nuovi comizi. Vorrei poi soffermarmi su un'altra questione. Pur essendo il diritto di voto uguale alla Camera e al Senato, ci sono due anomalie che emergerebbero con la riduzione dei parlamentari e con i criteri di arrotondamento: nessun candidato nel Molise, che è una regione piccola (312.000/316.000 abitanti) può essere eletto nella parte proporzionale sia alla Camera che al Senato. È stata fatta appositamente una norma che impedisce la rielezione della deputata Occhionero (o di qualsiasi altro), che è stata eletta nella quota proporzionale Camera del Molise nelle elezioni del 2018. Chiaramente anche Pag. 13su questo richiamo in modo particolare il presidente e i commissari. Non si possono fare delle norme ad hoc che non servono per risolvere il problema del Molise. La seconda questione su cui prestare attenzione è che si sono ridotti i parlamentari, ma l'articolo 56 della Costituzione non è stato modificato (tale aspetto dovrebbe essere previsto nella legge elettorale per la Camera e per il Senato); mentre al Senato la Valle d'Aosta è garantita dal numero fisso (per Costituzione, ha un senatore), non c'è norma costituzionale equivalente che garantisca alla Valle d'Aosta di avere almeno un deputato, visto che la norma di carattere generale prevede di assegnare quozienti interi e maggiori resti in rapporto alla popolazione. Finché resta l'attuale numero di parlamentari, il problema non esiste, perché, essendo il quoziente intero per la Camera dei deputati circa 94.000, avendo la Valle d'Aosta circa 127.000 abitanti, sicuramente essa disporrebbe di un quoziente intero; ma in caso di riduzione, con quozienti oltre i 150.000 abitanti, ne disporrebbe soltanto nel caso di maggiore resto (un'eventualità che si è sempre voluta scongiurare). Pensate un po', per un decreto del Luogotenente del Regno, quando si costituì l'Assemblea costituente, si stabilì che nell'Assemblea costituente dovesse essere garantito almeno un seggio alla Valle d'Aosta. Che sia una regione che merita un certo rispetto penso sia inutile ricordarlo e che sia una regione fragile lo dimostra il fatto che nel prossimo «election day» potrebbero esserci le elezioni anticipate, considerato che i suoi organismi regionali devono essere rinnovati. Tale questione penso che diventerà oggetto della campagna elettorale e potrebbe indurre gli elettori della Valle d'Aosta a scegliere di essere a favore o contrari alla riduzione dei parlamentari per ragioni del tutto estranee a quelle che dovrebbero improntare il giudizio su una simile materia. Dunque, oltre alle questioni critiche che riguardano la Camera, ce ne sono due che riguardano il Molise e la Valle D'Aosta: una regione (la Valle D'Aosta) non avrebbe la garanzia di avere un deputato (e sarebbe l'unica regione per di più speciale che non ha un deputato, pur avendo un senatore, previsto in Costituzione); nell'altra regione (il Molise) nessuno sarebbe eletto con la quota proporzionale, pur essendoci tre seggi; se fosse stata applicata la regola generale dei tre ottavi e dei cinque ottavi, sarebbe stato semplicissimo attribuire un seggio con il maggioritario e due seggi con il proporzionale, ma ciò non è possibile, in presenza di due collegi uninominali.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCESCO FORCINITI. Ringrazio l'avvocato Besostri per le osservazioni di cui comunque faremo tesoro; vorrei però doverosamente precisare che il decreto-legge n. 26 del 2020, che ha disposto lo slittamento delle elezioni, è intervenuto in una situazione totalmente emergenziale e non credo possa costituire un precedente pericoloso da questo punto di vista, tanto più che quello che propone lei – ovvero fissare già nel momento in cui si annullano i comizi elettorali una nuova data per le elezioni – non era in quel momento possibile, perché la curva del virus andava monitorata costantemente e quotidianamente. Quindi sarebbe stato impossibile già in quella sede ipotizzare una data per le nuove elezioni. Faremo tutti quanti tesoro delle sue osservazioni e delle sue riflessioni, però va tenuto presente che questa maggioranza, il Governo e le istituzioni si sono trovati a dover affrontare un momento drammatico di contingenza, che non può costituire un precedente da applicare in situazioni normali (a maggior ragione alla fine di una legislatura parlamentare). Vorrei che ciò rimanesse agli atti. Per il resto, la ringrazio per il suo intervento.

  PRESIDENTE. Do la parola all'avvocato Besostri per la replica.

  FELICE BESOSTRI. Su questo le do tranquillamente atto, ma il problema poteva essere risolto; dal Ministero era stato affermato – pur non risultando agli atti – che non era necessario fissare tale data, essendo pendente il vecchio termine. Allora Pag. 14bastava dirlo! Bastava semplicemente dire qualcosa sul fatto. Il problema non è tanto per il referendum costituzionale o per un futuro referendum abrogativo; il problema è che in materia costituzionale i precedenti sono molto importanti. Lo strumento con cui si convocano i comizi elettorali per il referendum è lo stesso strumento con cui sono convocate le elezioni: decreto del Presidente della Repubblica su deliberazione del Consiglio dei ministri. Allora questo è un precedente, che, sono convinto, il TAR spazzerà via; è un precedente che deve scomparire. Mi va benissimo che risulti dagli atti di un'autorevole Commissione che quello non è un precedente; è quello che fece anche un Presidente del Senato: quando gli fecero votare la fiducia nel 1953 su una legge elettorale, disse a verbale che quello non era un precedente (perciò è conosciuto come «il precedente non precedente Paratore» dal nome dell'allora Presidente).

  PRESIDENTE. Nessun altro chiede di intervenire, autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dall'avvocato Besostri (vedi allegati 2 e 3) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.35.

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