COMITATO PERMANENTE PER I PARERI
Giovedì 14 aprile 2022. — Presidenza del vicepresidente Fausto RACITI.
La seduta comincia alle 11.15.
Deleghe al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario e per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura.
C. 2681 Governo e abb.
(Parere alla II Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).
Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.
Fausto RACITI, presidente, rileva come il Comitato permanente per i pareri sia chiamato a esaminare, ai fini del parere alla Commissione Giustizia, il disegno di legge C. 2681, recante deleghe al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario e per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, come risultante dagli emendamenti approvati nel corso dell'esame in sede referente presso la II Commissione, al quale sono abbinate le proposte di legge C. 226 Ceccanti, C. 227 Ceccanti, C. 489 Zanettin, C. 976 Rossello, C. 989 Bartolozzi, C. 1156 Dadone, C. 1919 Colletti, C. 1977 Dadone, C. 2233 Pollastrini, C. 2517 Sisto, C. 2536 Zanettin, C. 2691 Costa e C. 3017 Costa.
In sostituzione della relatrice, Corneli, impossibilitata a partecipare alla seduta odierna, illustra il contenuto del provvedimento, come modificato nel corso dell'esame in sede referente, rilevando innanzitutto come esso sia articolato in sei Capi.
Il Capo I, composto degli articoli da 1 a 5, reca una delega al Governo per la riforma ordinamentale della magistratura.
In particolare, l'articolo 1 conferisce delega al Governo per la riforma di alcuni aspetti ordinamentali della magistratura, definendo l'oggetto dell'intervento riformatore – che dovrà essere realizzato entro un Pag. 7anno dall'entrata in vigore della legge – e le procedure per l'esercizio della delega.
La delega mira alla riforma dei criteri di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi, alla revisione del numero degli incarichi semidirettivi, alla revisione dei criteri di accesso alle funzioni di legittimità, del procedimento di approvazione delle tabelle organizzative degli uffici giudicanti e al riordino della disciplina del collocamento in posizione di fuori ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili.
L'articolo 2 ha un triplice contenuto. Il comma 1 detta principi e criteri direttivi per la revisione, secondo principi di trasparenza e di valorizzazione del merito, dei criteri di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi.
Si stabiliscono principi per lo svolgimento delle procedure comparative per l'attribuzione degli incarichi (dalla pubblicità delle stesse, al divieto per ciascun magistrato di presentare contemporaneamente più di due domande, all'ordine di definizione dei procedimenti, alle audizioni dei candidati) e si interviene sulla valutazione delle attitudini e del merito dei candidati.
In dettaglio, il legislatore delegato dovrà tenere conto delle specifiche competenze richieste per l'incarico al quale il candidato aspira, considerando le esperienze fatte in posizione di fuori ruolo solo se idonee a favorire l'acquisizione di competenze coerenti con le funzioni direttive e semidirettive.
In caso di parità di valutazione degli indicatori del merito e delle attitudini, subentrano due criteri residuali: anzitutto il criterio del genere meno rappresentato (se a livello nazionale e distrettuale emerge nella copertura dei posti direttivi o semidirettivi, una significativa sproporzione tra i generi) e, infine, il criterio dell'anzianità. Ulteriori principi sono dettati per la conferma dei magistrati che già svolgono le funzioni direttive e semidirettive; inoltre, il Governo è delegato a ridurre il numero degli incarichi semidirettivi.
Il comma 2 detta principi e criteri direttivi per la riforma del procedimento di approvazione delle tabelle organizzative degli uffici giudiziari, disciplinando la documentazione che il presidente della Corte d'appello dovrà allegare al progetto inviato al CSM e semplificando le successive procedure di approvazione.
Il comma 3 individua principi e criteri direttivi per la revisione dei criteri di accesso alle funzioni di consigliere di Cassazione e di sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione.
La norma, in primo luogo, consente l'accesso alle funzioni di legittimità dopo 10 anni di esercizio effettivo delle funzioni di merito (in luogo degli attuali 16).
Inoltre, si dettano criteri per la valutazione delle attitudini e del merito per l'accesso a queste funzioni e specifica i parametri dei quali dovrà tenere conto la Commissione tecnica chiamata a valutare la capacità scientifica e di analisi delle norme dei magistrati che aspirano alle funzioni di legittimità.
L'articolo 3 contiene principi e criteri direttivi in merito alla valutazione di professionalità dei magistrati, con riferimento:
al funzionamento dei consigli giudiziari, nei quali è esteso il ruolo dei componenti laici ed è soprattutto consentito agli avvocati di esprimere un voto unitario sul magistrato in verifica (ricorda che sul punto è pendente un referendum abrogativo giudicato ammissibile dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 59 del 2022);
ai criteri di valutazione della professionalità, tra i quali sono inseriti il rispetto dei programmi annuali di gestione dei procedimenti e l'esito degli affari nelle successive fasi del giudizio;
alla semplificazione della procedura di valutazione in caso di esito positivo della stessa; al rapporto tra procedimento disciplinare e valutazione di professionalità, stabilendo che i fatti accertati in via definitiva in sede disciplinare debbano comunque essere oggetto di valutazione ai fini della progressione della carriera;
all'istituzione del fascicolo per la valutazione del magistrato, da tenere in considerazionePag. 8 oltre che in sede di verifica della professionalità anche in sede di attribuzione degli incarichi direttivi e semidirettivi;
agli effetti sulla progressione economica e sull'attribuzione delle funzioni di reiterati giudizi non positivi.
L'articolo 4 interviene sulla disciplina dell'accesso in magistratura, dettando principi e criteri direttivi volti ad abbandonare l'attuale modello del concorso di secondo grado, così da ridurre i tempi che intercorrono tra la laurea dell'aspirante magistrato e la sua immissione in ruolo.
Il Governo è altresì delegato:
a consentire lo svolgimento del tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari anche ai laureandi in giurisprudenza;
a prevedere che la Scuola superiore della magistratura organizzi corsi di preparazione al concorso destinati a coloro che abbiano svolto il predetto tirocinio formativo, oltre che a coloro che abbiano prestato la propria attività nell'ambito dell'ufficio del processo, in attuazione dell'investimento previsto dal PNRR;
a riformare tanto le prove scritte (tre, volte a verificare le capacità di inquadramento teorico sistematico del candidato) quanto quelle orali, nell'ottica di una riduzione delle materie.
L'articolo 4-bis detta principi e criteri direttivi per il riordino della disciplina del fuori ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili. Rileva come questa delega non coinvolge anche i magistrati militari, che sono invece considerati dal Capo III del disegno di legge, ai fini dell'eleggibilità e il ricollocamento.
In particolare, il legislatore delegato dovrà individuare tra i vari incarichi extragiudiziari, quelli che determinano obbligatoriamente il collocamento fuori ruolo e quelli che possono invece essere svolti ponendosi in aspettativa e dovrà dettare una regolamentazione specifica per gli incarichi da svolgere a livello internazionale.
La riforma dovrà essere volta a un complessivo ridimensionamento dell'istituto del collocamento fuori dal ruolo organico, riducendo il numero dei magistrati che possono accedervi e contenendo tanto la durata del periodo quanto la tipologia degli incarichi che i magistrati potranno assumere.
In particolare, il Governo dovrà:
prevedere che il magistrato possa essere collocato fuori ruolo solo dopo aver svolto le funzioni giudiziarie per almeno 10 anni; inoltre, rientrando dopo 5 anni di fuori ruolo il magistrato non potrà essere nuovamente collocato fuori ruolo se non dopo aver svolto le funzioni giudiziarie per almeno 3 anni; complessivamente, il magistrato non potrà restare fuori ruolo per più di 7 anni, prolungati a 10 per specifici incarichi (presso gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, gli organi del Governo e gli organismi internazionali);
consentire il collocamento fuori ruolo solo quando per l'incarico che il magistrato intende assumere risulti necessario lo specifico grado di preparazione, competenza ed esperienza del magistrato, e l'incarico stesso corrisponda a un interesse dell'amministrazione, dovendo valutare l'organo di autogoverno le possibili ricadute dell'incarico sull'imparzialità e l'indipendenza del magistrato. Inoltre, a valorizzazione dell'interesse dell'amministrazione di provenienza, il fuori ruolo non potrà essere autorizzato se il magistrato esercita le proprie funzioni in una sede che presenta una rilevante scopertura di organico.
L'articolo 5 delega il Governo a provvedere al coordinamento delle disposizioni vigenti con quelle introdotte in sede di riforma.
Il Capo II, composto dagli articoli da 6 a 11, novella alcune disposizioni dell'ordinamento giudiziario. Diversamente dal Capo I, quindi, su alcuni specifici argomenti, non si conferisce una delega al Governo, ma si modificano direttamente le norme in vigore.Pag. 9
In particolare, l'articolo 6, comma 1, riscrive l'articolo 115 del regio decreto n. 12 del 1941, il quale reca la disciplina dei magistrati dell'ufficio del massimario e del ruolo della Corte di Cassazione.
Il nuovo articolo 115, nel confermare l'attuale pianta organica della Corte di cassazione, che prevede 67 magistrati addetti all'ufficio del massimario e del ruolo, interviene sui requisiti che devono possedere i magistrati chiamati a comporlo, richiedendo che essi:
abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità;
abbiano non meno di 8 anni di effettivo esercizio delle funzioni giudicanti o requirenti di primo o di secondo grado;
abbiano una capacità scientifica e di analisi delle norme valutata dalla Commissione tecnica del CSM competente per la valutazione ai fini dell'attribuzione delle funzioni di legittimità.
La riforma sopprime la disposizione che attualmente consente al Primo Presidente della Cassazione di destinare, anno per anno, fino a trenta magistrati dell'ufficio del massimario alle sezioni della Corte con compiti di assistente di studio. La metà dei componenti dell'ufficio potranno infatti essere destinati dal Primo Presidente alle sezioni della Corte per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali di legittimità.
La riforma sul punto modifica la disciplina vigente, che già attualmente consente lo svolgimento di tali funzioni da parte dei componenti dell'ufficio del massimario, prevedendo:
che possano essere applicati «la metà dei magistrati addetti all'ufficio»;
che tale applicazione non sia più «temporanea», per un periodo non superiore a 3 anni e non rinnovabile;
che possano essere applicati soltanto i magistrati che abbiano conseguito la quarta valutazione di professionalità (attualmente è sufficiente la terza).
L'articolo 7 introduce ulteriori modifiche all'ordinamento giudiziario in materia di organizzazione degli uffici di giurisdizione, di incompatibilità di sede per ragioni di parentela o coniugio e di tramutamenti ad altra sede o ufficio.
Più nel dettaglio, la disposizione:
interviene sull'articolo 7-bis del regio decreto n. 12 del 1941, prevedendo che le tabelle degli uffici giudicanti siano adottate per un quadriennio (attualmente sono, invece, triennali);
aggiunge un ulteriore comma all'articolo 7-ter del regio decreto n. 12 del 1941, prevedendo che il dirigente dell'ufficio debba verificare che la distribuzione dei ruoli e dei carichi di lavoro garantisca obiettivi di funzionalità e di efficienza dell'ufficio e assicuri costantemente l'equità tra tutti i magistrati dell'ufficio, delle sezioni e dei collegi;
modifica la disciplina delle incompatibilità di sede dei magistrati per ragioni di parentela o coniugio di cui agli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario;
modifica l'articolo 194 dell'ordinamento giudiziario, in materia di tramutamento ad altra sede o ufficio, dettando una disciplina speciale relativa ai trasferimenti dei magistrati che esercitano le funzioni presso la sede di prima assegnazione, per i quali viene subordinato il trasferimento ad altra sede (o l'assegnazione ad altre funzioni) ad un periodo di permanenza triennale (anziché quadriennale).
L'articolo 8 interviene sul regio decreto legislativo n. 511 del 1946 (Legge sulla guarentigie della magistratura), ampliando i casi di collocamento in aspettativa dei magistrati, attraverso l'inserimento dell'ipotesi in cui al magistrato sia stato già accertato uno stato di infermità incompatibile con lo svolgimento delle funzioni giudiziarie, malgrado non sia ancora concluso il procedimentoPag. 10 volto alla verifica della natura permanente dell'infermità ai fini della dispensa dal servizio.
L'articolo 8-bis modifica il decreto legislativo n. 26 del 2006, relativo alle funzioni della Scuola superiore della magistratura.
In particolare, attraverso alcune novelle all'articolo 26-bis del predetto decreto legislativo n. 26, in tema di corsi di formazione per il conferimento degli incarichi direttivi, è esteso il campo d'applicazione della disposizione, riferendola anche al conferimento degli incarichi semidirettivi e dettagliando le caratteristiche dei corsi di formazione, che dovranno avere una durata non inferiore a 3 settimane e prevedere una prova finale.
L'articolo 9 apporta una serie di modifiche al decreto legislativo n. 109 del 2006, in materia di illeciti disciplinari dei magistrati.
Sono, in particolare, oggetto di intervento:
gli illeciti commessi nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, il cui elenco viene integrato con nuove condotte tra le quali, in particolare, il mancato rispetto delle nuove misure relative alla funzionalità degli uffici e allo smaltimento dell'arretrato: la condotta dell'omessa collaborazione del magistrato all'attuazione di tali misure costituisce illecito disciplinare punito con una sanzione non inferiore alla censura;
la violazione reiterata dell'obbligo di adozione – da parte dei capi degli uffici giudiziari – delle suddette misure costituisce specifico illecito per gli stessi dirigenti, punito con la temporanea incapacità di esercitare le funzioni direttive o semidirettive.
Tra i nuovi illeciti disciplinari sono inoltre inserite le condotte relative alla violazione dei divieti concernenti i rapporti tra organi requirenti ed organi di informazione, nonché l'avere indotto l'emissione di un provvedimento restrittivo della libertà personale in assenza dei presupposti previsti dalla legge, omettendo di trasmettere al giudice, per negligenza grave ed inescusabile, elementi rilevanti.
Per quanto riguarda gli illeciti commessi fuori dell'esercizio delle funzioni, anche in questo caso l'elenco viene integrato con nuove fattispecie, tra le quali il condizionamento indebito dell'esercizio delle funzioni del CSM, al fine di ottenere un ingiusto vantaggio per sé o per altri o di arrecare un danno ingiusto ad altri.
L'articolo introduce inoltre, nel predetto decreto legislativo n. 109, due nuovi istituti:
l'estinzione dell'illecito per il magistrato cui sia stata addebitata la condotta di «reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni», a condizione che lo stesso rispetti il piano di smaltimento dell'arretrato adottato dal capo dell'ufficio;
la riabilitazione, operante quando siano state comminate le sanzioni disciplinari dell'ammonimento e della censura e:
siano trascorsi, rispettivamente, almeno 3 o 5 anni dall'irrevocabilità dell'accertamento disciplinare;
il magistrato abbia conseguito una successiva positiva valutazione di professionalità ovvero, se gli sia già stata attribuita la settima valutazione, sia positivamente valutato il suo successivo percorso professionale.
L'articolo 10 modifica il decreto legislativo n. 160 del 2006, intervenendo sulle disposizioni in materia di:
indizione del concorso in magistratura, prevedendo che il Ministero debba ogni anno determinare il numero di posti che si renderanno vacanti nel successivo quadriennio e conseguentemente bandire il concorso annuale (entro il mese di settembre);
passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa; la regola generale è che tale passaggio possa essere effettuato una volta nel corso della carriera entro 9 anni dalla prima assegnazione delle Pag. 11funzioni; trascorso tale periodo, è ancora consentito, per una sola volta:
il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, purché l'interessato non abbia mai svolto funzioni giudicanti penali;
il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti civili o del lavoro, in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, purché il magistrato non si trovi, neanche in qualità di sostituto, a svolgere funzioni giudicanti penali o miste.
Disposizioni specifiche sono dettate quando il passaggio di funzioni avviene mediante conferimento delle funzioni di legittimità (resta fermo che al magistrato che svolge funzioni requirenti possono essere conferite le funzioni di consigliere di cassazione e di presidente di sezione della cassazione solo se non si tratta di funzioni giudicanti penali).
Ricorda che sul tema del passaggio tra le funzioni è pendente un referendum abrogativo giudicato ammissibile dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 58 del 2022. limiti di età per il conferimento di funzioni direttive.
Il provvedimento prevede che anche per l'assunzione delle funzioni direttive di legittimità e delle funzioni direttive superiori di legittimità sia necessario che, al momento della data della vacanza del posto messo a concorso, gli aspiranti assicurino almeno 4 anni di servizio prima della pensione. Per l'assunzione delle funzioni direttive apicali di legittimità (primo presidente della cassazione e procuratore generale presso la cassazione) gli aspiranti dovranno assicurare almeno due anni di servizio prima della pensione.
L'articolo 10-bis modifica l'articolo 1 del decreto legislativo n. 106 del 2006, in tema di attribuzioni del Procuratore della Repubblica, per definire i contenuti necessari del progetto organizzativo della Procura e l'iter per la sua adozione. Sostituendo i commi 6 e 7 del citato articolo 1, il provvedimento prevede che il progetto debba necessariamente contenere:
le misure organizzative dell'ufficio e i criteri di priorità per l'esercizio dell'azione penale: questi ultimi dovranno essere elaborati sulla base dei criteri generali espressi con legge dal Parlamento, e dovranno consentire di individuare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenuto conto del contesto territoriale e criminale, del carico complessivo degli affari da trattare e delle risorse a disposizione dell'ufficio;
i compiti di coordinamento e direzione dei procuratori aggiunti e i criteri per designare il procuratore vicario;
i criteri di assegnazione e di revoca dell'assegnazione dei procedimenti e le tipologie di reato per le quali l'assegnazione possa essere automatica;
i gruppi di lavoro, laddove le dimensioni dell'ufficio li consentano.
Quanto al procedimento, la riforma prevede che il Progetto abbia una durata di 4 anni (potendo essere variato i corso di esercizio, per sopravvenute esigenze d'ufficio) e debba essere adottato sulla base di criteri previamente dettati dal CSM. Il Procuratore predisporrà il progetto dopo aver sentito il dirigente dell'ufficio giudicante corrispondente e il presidente del Consiglio dell'ordine degli avvocati; successivamente trasmetterà il progetto organizzativo al consiglio giudiziario – che formulerà un parere – e al Ministero della giustizia – che potrà formulare osservazioni. Infine, l'approvazione competerà al CSM.
L'articolo 11 apporta una serie di modifiche all'articolo 37 del decreto-legge n. 98 del 2011, recante disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie.
In particolare, la disposizione specifica che nel programma annuale che deve redigere il capo dell'ufficio giudiziario dovranno essere indicati, per ciascuna sezione o, in assenza, per ciascun magistrato, Pag. 12dei risultati attesi, e si dovrà dare altresì conto del conseguimento degli obiettivi prefissati l'anno precedente.
La disposizione, inoltre, prevede puntuali obblighi per i capi degli uffici per assicurare la funzionalità degli uffici stessi e lo smaltimento degli eventuali procedimenti arretrati.
In particolare, inserendo nel citato articolo 37 tre nuovi commi, il provvedimento:
impone ai capi degli uffici giudiziari, al verificarsi di gravi e reiterati ritardi da parte di uno o più magistrati dell'ufficio, di accertare le cause degli stessi e di adottare ogni iniziativa idonea a consentirne l'eliminazione, attraverso la predisposizione di piani mirati di smaltimento, che possono anche prevedere, se necessario, la sospensione totale o parziale delle assegnazioni e la redistribuzione dei ruoli e dei carichi di lavoro;
impone un analogo onere di controllo e di intervento al capo dell'ufficio, il quale, al verificarsi di un aumento delle pendenze dell'ufficio o di una sezione in misura superiore al 10% rispetto all'anno precedente, o comunque in presenza di andamenti anomali, deve accertarne le cause e adottare ogni intervento idoneo a consentire l'eliminazione delle eventuali carenze organizzative che hanno determinato quell'aumento;
prevede che i presidenti di sezione, in caso di gravi e reiterati ritardi da parte di uno o più magistrati della sezione o di un rilevante aumento delle pendenze della sezione, abbiano l'obbligo di segnalare i fatti al capo dell'ufficio; la segnalazione dei ritardi può essere effettuata anche dai difensori delle parti.
Il Capo III, composto dagli articoli da 12 a 19, interviene con disposizioni puntuali – e immediatamente precettive – sulla disciplina dello status dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, con particolare riferimento alla loro eleggibilità, all'assunzione di incarichi di governo e al loro ricollocamento al termine del mandato.
In particolare, l'articolo 12 detta disposizioni in materia di eleggibilità dei magistrati, realizzando una più accentuata separazione tra politica e magistratura.
Il comma 1, infatti:
esclude l'eleggibilità a parlamentare nazionale ed europeo, a consigliere regionale o presidente di regione (o di provincia autonoma), nonché l'assunzione dell'incarico di assessore e di sottosegretario regionale, dei magistrati che prestano servizio, o l'hanno prestato nei 3 anni precedenti la candidatura, in uffici giudiziari aventi giurisdizione, anche parziale, sulla regione nella quale è inclusa la circoscrizione elettorale;
esclude l'eleggibilità a sindaco o consigliere comunale, nonché l'assunzione dell'incarico di assessore comunale, dei magistrati che prestano servizio, o l'hanno prestato nei 3 anni precedenti la candidatura, in uffici giudiziari aventi giurisdizione, anche parziale, sulla provincia in cui è compreso il comune o sulle province limitrofe.
Il comma 2 inoltre, specifica che l'ineleggibilità non opera per i magistrati che da almeno 3 anni prestino servizio presso gli uffici giudiziari con competenza territoriale nazionale; per coloro che svolgono tale servizio da meno di 3 anni si deve valutare, ai fini dell'ineleggibilità, la sede presso ha quale hanno svolto le precedenti funzioni.
Ai sensi del comma 3 la disciplina dell'ineleggibilità si applica anche ai magistrati in posizione di fuori ruolo, avendo anche in questo caso riguardo alla sede in cui hanno prestato servizio in precedenza.
Il comma 4 richiede in ogni caso al magistrato che intenda candidarsi di trovarsi al momento dell'accettazione della candidatura in aspettativa senza assegni.
Il comma 5 esclude l'eleggibilità a parlamentare nazionale ed europeo, a consigliere regionale o presidente di regione (o di provincia autonoma), a sindaco o consigliere comunale, nonché l'assunzione dell'incarico di assessore e di sottosegretario Pag. 13regionale e di assessore comunale, al magistrato che alla data di indizione delle elezioni sia componente del CSM, o lo sia stato nei 2 anni precedenti.
L'articolo 13 prescrive che i magistrati – ordinari, amministrativi, contabili e militari – non possano assumere l'incarico di componente del Governo (Presidente del Consiglio dei ministri, vicepresidente del Consiglio dei ministri, ministro, viceministro, sottosegretario di Stato), o di sottosegretario o assessore regionale, o di assessore comunale, se non siano collocati in aspettativa senza assegni all'atto dell'assunzione dell'incarico.
L'articolo 14 stabilisce che durante il mandato elettivo – tanto nazionale quanto locale – e durante lo svolgimento di incarichi di governo – tanto nazionali quanto locali – il magistrato deve obbligatoriamente trovarsi in aspettativa, in posizione di fuori ruolo.
Quanto al trattamento economico, il disegno di legge prevede che il magistrato possa scegliere tra la conservazione del trattamento economico in godimento in magistratura, senza possibile cumulo con altra indennità, e la corresponsione della sola indennità di carica, salvo, in entrambi i casi, il rispetto dei limiti di reddito attualmente previsti per i componenti del Governo.
La possibilità di optare per la conservazione del trattamento economico in godimento in magistratura è peraltro esclusa per i magistrati che assumono una delle cariche previste dall'articolo 81 del Testo unico degli enti locali (sindaci, presidenti delle province, presidenti dei consigli comunali e provinciali, presidenti dei consigli circoscrizionali, presidenti delle comunità montane e delle unioni di comuni, membri delle giunte di comuni e province).
L'articolo 15 disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati che si siano candidati alle elezioni europee, politiche, regionali o amministrative, senza essere stati eletti, prevedendo che essi non possano, per i successivi 3 anni, essere ricollocati in ruolo:
con assegnazione ad un ufficio avente competenza, anche parziale, sul territorio di una regione compresa in tutto o in parte nella circoscrizione elettorale in cui sono stati candidati;
con assegnazione ad un ufficio situato in una regione nel cui territorio ricade il distretto nel quale esercitavano le funzioni al momento della candidatura;
con assegnazione delle funzioni di giudice per le indagini preliminari o dell'udienza preliminare o delle funzioni di pubblico ministero; con assunzione di incarichi direttivi o semidirettivi.
Per quanto riguarda i magistrati in servizio presso le giurisdizioni superiori o presso gli uffici giudiziari con competenza territoriale a carattere nazionale, spetterà agli organi di autogoverno individuare attività non giurisdizionali (richiama la sezione consultiva del Consiglio di Stato o all'Ufficio del massimario e del ruolo della Cassazione) alle quali destinare tali magistrati per i 3 anni successivi alla candidatura.
L'articolo 16 disciplina il ricollocamento dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari che abbiano svolto il mandato elettorale al Parlamento europeo o al Parlamento nazionale ovvero abbiano ricoperto la carica di componente del Governo, di consigliere regionale o provinciale nelle Province autonome di Trento e Bolzano, di Presidente o assessore nelle giunte delle Regioni o delle Province autonome di Trento e Bolzano, di sindaco o di consigliere comunale, a prescindere dalla durata del mandato o dell'incarico.
Al riguardo si prevede che, alla cessazione del mandato o dell'incarico, i magistrati possano essere:
collocati fuori ruolo, presso il ministero di appartenenza (per i magistrati ordinari e militari) o la Presidenza del Consiglio (per i magistrati amministrativi e contabili) o l'Avvocatura dello Stato o presso altre amministrazioni, con trattamento economico a carico dell'amministrazione di appartenenza;
ricollocati in ruolo e destinati dai rispettivi organi di autogoverno allo svolgimentoPag. 14 di attività non direttamente giurisdizionali, né giudicanti né requirenti (previsione analoga a quella inserita nell'articolo 15).
La nuova disciplina è destinata a trovare applicazione unicamente con riguardo alle cariche assunte dai magistrati successivamente all'entrata in vigore della riforma.
Gli articoli 17 e 18 dell'originario disegno di legge sono stati soppressi nel corso dell'esame in sede referente.
L'articolo 19 disciplina il ricollocamento dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari collocati fuori ruolo per l'assunzione di incarichi politico-amministrativi apicali a livello nazionale o regionale e incarichi di governo non elettivi.
In particolare, per quanto riguarda i magistrati che hanno svolto incarichi politico-amministrativi apicali (capo e vicecapo dell'ufficio di gabinetto; segretario generale della Presidenza dei Consiglio dei ministri o di un Ministero; capo e vicecapo di dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e i Ministeri; capo e vicecapo di dipartimento presso i consigli e le giunte regionali) il comma 1 prevede due alternative: collocamento per un anno in posizione di fuori ruolo, presso il ministero di appartenenza o la Presidenza del Consiglio, oppure presso l'Avvocatura dello Stato o altre amministrazioni, senza che derivino posizioni sopranumerarie, in un ruolo non apicale; trascorso l'anno il magistrato potrà tornare a svolgere le funzioni giudiziarie ma non potrà per i 3 anni successivi assumere incarichi direttivi o semidirettivi; ricollocamento in ruolo e destinazione ad incarichi non direttamente giurisdizionali, individuati dagli organi di autogoverno. In questa seconda ipotesi, la disposizione non specifica se si tratta di uno status che il magistrato debba conservare fino alla maturazione dell'età per il pensionamento obbligatorio.
Ai sensi del comma 2 anche i magistrati che abbiano svolto incarichi di governo non elettivi (componente del Governo; assessore regionale o nelle giunte delle province autonome; assessore comunale) hanno a disposizione due possibilità:
il collocamento in posizione di fuori ruolo, presso il ministero di appartenenza o la Presidenza del Consiglio, oppure presso l'Avvocatura dello Stato o altre amministrazioni, senza che derivino posizioni sopranumerarie e con trattamento economico a carico dell'amministrazione di appartenenza; diversamente dai magistrati che hanno svolto incarichi apicali, per coloro che hanno svolto incarichi di governo il collocamento in fuori ruolo non ha durata limitata ad un anno;
il ricollocamento in ruolo e la destinazione, fino alla pensione, ad incarichi non direttamente giurisdizionali, individuati dagli organi di autogoverno.
In base al comma 3 le disposizioni sul ricollocamento non si applicano se l'incarico è cessato prima che sia trascorso un anno dall'assunzione, sempre che la cessazione non dipenda da dimissioni volontarie non conseguenti a ragioni di sicurezza, motivi di salute o altra giustificata ragione.
Con norma transitoria il comma 4 prevede l'applicazione della riforma solo agli incarichi assunti dopo l'entrata in vigore della legge.
Il Capo IV, composto dagli articoli da 20 a 38, contiene disposizioni immediatamente precettive, con le quali il Governo modifica la legge n. 195 del 1958, recante norme sulla Costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura.
Rileva come si tratti di un intervento organico, che investe tutti i Capi della suddetta legge, incidendo sulla composizione ed organizzazione, sulle attribuzioni e sul funzionamento del CSM, sul sistema elettorale per la nomina dei componenti togati nonché sul loro ricollocamento al termine del mandato.
In particolare, l'articolo 20 contiene modifiche al numero dei componenti elettivi del Consiglio superiore della magistratura (di cui all'articolo 1 della citata legge n. 195 del 1958), che vengono portati dagli attuali Pag. 1524 a 30, di cui 20 magistrati ordinari (in luogo degli attuali 16) e 10 eletti dal Parlamento (in luogo degli attuali 8).
L'articolo 21 reca modifiche alla disciplina della composizione delle commissioni del Consiglio superiore (di cui all'articolo 3 della legge n. 195 del 1958), prevedendo:
che tali commissioni siano nominate ogni 16 mesi dal Presidente del CSM, su proposta del Comitato di Presidenza e in conformità ai criteri di composizione previsti nel regolamento generale;
l'incompatibilità tra l'appartenenza alla sezione disciplinare e quella alle commissioni per conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, per le valutazioni della professionalità, in materia di incompatibilità nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e di trasferimento in caso di incompatibilità ambientale o funzionale.
L'articolo 22 interviene sulla composizione della sezione disciplinare del CSM (di cui all'articolo 4 della legge n. 195 del 1958), portando da 4 a 5 il numero dei componenti supplenti, specificando che la presidenza della sezione dura per l'intera durata della consiliatura.
Si riconosce, inoltre, la possibilità di eleggere ulteriori supplenti nel caso in cui sia impossibile formare il collegio.
La norma demanda al CSM la determinazione dei criteri per la sostituzione dei componenti della sezione (esclusivamente in caso di incompatibilità, astensione o altro impedimento motivato) e demanda invece al Presidente della sezione disciplinare (vice presidente del CSM) la determinazione dei criteri per l'assegnazione degli affari tra i componenti effettivi della sezione stessa.
L'articolo 23 reca modifiche alla disciplina del quorum per la validità delle deliberazioni del Consiglio superiore (di cui all'articolo 5 della legge n. 195 del 1958), in conseguenza dell'aumento del numero dei componenti del Consiglio: per la validità delle deliberazioni del Consiglio sarà necessaria la presenza di almeno 14 togati (invece degli attuali 10) e di 7 laici (in luogo degli attuali 5).
L'articolo 24 interviene sull'articolo 7 della legge n. 195 del 1958 in merito alla segreteria del Consiglio superiore della magistratura, ponendola alle dipendenze funzionali del Comitato di presidenza del CSM e ponendo al suo vertice un magistrato con funzioni di segretario generale (in carica per massimo 6 anni), coadiuvato, ed eventualmente sostituito, da un vicesegretario generale.
L'articolo 24-bis sostituisce l'articolo 3 del decreto legislativo n. 37 del 2000, in materia di contratti di collaborazione continuativa presso il CSM.
La disposizione prevede che tali contratti possano essere stipulati:
per un contingente massimo di 32 unità di collaboratori del Vicepresidente e dei singoli componenti;
per un massimo di 18 unità, per coprire le posizioni di componente esterno della segreteria generale del CSM;
per un massimo di 12 unità per coprire le posizioni di componente esterno dell'ufficio studi e documentazione.
L'articolo 25 incide sulla disciplina dell'ufficio studi del CSM, di cui all'articolo 7-bis della legge n. 195 del 1958, introducendo la possibilità di stipulare contratti di collaborazione con personale esterno (nel limite massimo di 12 unità, selezionate tramite una specifica procedura di valutazione, affidata a una apposita commissione). I magistrati assegnati all'ufficio dovranno essere collocati in posizione di fuori ruolo e potranno svolgere l'incarico per un massimo di 6 anni.
L'articolo 26 coordina il disposto dell'articolo 10-bis della legge n. 195 del 1958, che si occupa del procedimento di approvazione delle tabelle degli uffici, con la disposizione che ha elevato la durata di efficacia delle tabelle a quattro anni.
L'articolo 27, originariamente dedicato alla composizione della commissione competente per il conferimento degli incarichi direttivi, è stato soppresso nel corso dell'esame in sede referente.Pag. 16
L'articolo 27-bis, inserito durante l'esame in sede referente, intervenendo sull'articolo 20 della legge n. 195 del 1958, demanda al CSM l'adozione di un regolamento generale per disciplinare la propria organizzazione e il proprio funzionamento.
L'articolo 28 interviene in materia di eleggibilità dei membri laici, di cui all'articolo 22 della legge n. 195 del 1958.
In particolare, nel modificare il quarto comma del predetto articolo 22, si afferma che il Parlamento, nella scelta dei componenti da eleggere, dovrà tenere conto delle seguenti norme costituzionali: degli articoli 3 e 51, per quanto riguarda il rispetto della parità di genere; dell'articolo 104, per quanto riguarda i titoli che devono possedere professori universitari e avvocati.
Gli articoli da 29 a 33 delineano il nuovo sistema elettorale per eleggere i 20 componenti togati del CSM, attualmente disciplinato dagli articoli da 23 a 27 della legge n. 195 del 1958.
In particolare, l'articolo 29 individua una nuova articolazione dei collegi elettorali, così delineata:
un collegio unico nazionale per 2 componenti che esercitano funzioni di legittimità in Cassazione e relativa Procura Generale, maggioritario, in cui vengono eletti i due candidati più votati, a qualunque genere appartengano;
2 collegi territoriali binominali maggioritari per 5 magistrati che esercitano funzioni di pubblico ministero presso uffici di merito e presso la Direzione Nazionale Antimafia, in ciascuno dei quali vengono eletti i 2 candidati più votati nonché il «miglior terzo» per percentuale di voti presi sul totale degli aventi diritto al voto;
4 collegi territoriali binominali maggioritari per l'elezione di 8 magistrati con funzioni di merito o destinati all'ufficio del massimario della Cassazione, in ciascuno dei quali vengono eletti i due candidati più votati;
un collegio unico nazionale, virtuale, in cui vengono eletti 5 magistrati con funzioni di merito o destinati all'ufficio del massimario della Cassazione, con ripartizione proporzionale dei seggi.
La composizione dei collegi territoriali – formati in modo tale da essere composti, tendenzialmente, dal medesimo numero di elettori – è stabilita con decreto del Ministro della giustizia, sentito il CSM, mediante estrazione a sorte tra tutti i distretti di corte di appello, in modo tale che i distretti di corte di appello siano distribuiti in quattro collegi per i magistrati giudicanti e in due collegi per i magistrati requirenti.
La norma demanda a un decreto del Ministro della giustizia, sentito il CSM, la determinazione delle modalità delle estrazioni a sorte. In ogni collegio devono esserci almeno sei candidati, e ogni genere deve essere rappresentato in misura non inferiore alla metà dei candidati effettivi.
L'articolo 30 interviene in materia di elettorato attivo, per modificarne la disciplina in conseguenza dell'introduzione del nuovo sistema elettorale, e in materia di elettorato passivo dei membri togati del CSM, modificando la causa di ineleggibilità relativa all'anzianità di servizio che viene collegata al mancato conseguimento della terza valutazione di professionalità e introducendo nuove cause di ineleggibilità, tra cui quella relativa ai magistrati che, alla data di inizio del mandato, non assicurino almeno quattro anni di servizio prima della data di collocamento a riposo.
L'articolo 31 interviene in materia convocazione delle elezioni, costituzione degli uffici elettorali e verifica delle candidature, apportando significative modifiche alla disciplina contenuta nell'articolo 25 della legge n. 195 del 1958.
In particolare, per la presentazione delle candidature non è richiesta alcuna sottoscrizione ed essa può avvenire anche con modalità telematiche (ricorda che sul punto della sottoscrizione delle candidature è pendente un referendum abrogativo giudicato ammissibile dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 60 del 2022).
Inoltre, le candidature devono essere espresse in un numero non inferiore a 6 per ciascun collegio, nonché rispecchiare la rappresentanza paritaria tra generi.Pag. 17
Viene quindi introdotto un meccanismo di integrazione delle candidature quando le stesse sono in numero inferiore a sei oppure non è rispettato il rapporto tra i generi, che consiste nell'estrazione a sorte delle candidature mancanti tra tutti i magistrati che sono eleggibili e che non abbiano previamente manifestato la loro indisponibilità alla candidatura.
Nei collegi territoriali per i magistrati giudicanti di merito è inoltre previsto che le candidature possano essere individuali ovvero collegate con quelle di altri: per l'ipotesi di candidature collegate si specifica che ciascun candidato non può appartenere a più di un gruppo e che il collegamento opera soltanto ove intercorra tra tutti i candidati del medesimo gruppo (reciprocità) e se è garantita – all'interno del gruppo – la rappresentanza di genere. La scelta concernente la dichiarazione di collegamento non rileva ai fini dell'assegnazione degli 8 seggi dei collegi territoriali maggioritari, ma rileva ai fini dell'accesso al riparto proporzionale, su base nazionale, dei 5 seggi assegnati nel collegio unico nazionale.
L'articolo 32 interviene sulla disciplina delle operazioni di voto di cui all'articolo 26 della legge n. 195 del 1958, modificandola per adeguarla al nuovo sistema elettorale.
Al riguardo l'intervento di riforma:
individua il seggio presso i quali votano i magistrati;
specifica in ragione del nuovo sistema elettorale che ogni elettore riceve tre schede, una per ciascuno dei collegi (di legittimità, di merito requirente e di merito giudicante) ed esprime il proprio voto per un solo magistrato su ciascuna scheda elettorale;
conferma la nullità del voto espresso per magistrati eleggibili in collegi diversi ed inserisce quella riferita al voto espresso in conformità a quanto previsto dalle nuove disposizioni.
L'articolo 33 interviene sulla disciplina dello scrutinio e dell'assegnazione dei seggi di cui all'articolo 27 della legge n. 195 del 1958.
Le novelle delineano, in combinato disposto con le modifiche dell'articolo 29, il nuovo sistema elettorale del CSM, prevedendo un meccanismo maggioritario a turno unico, caratterizzato dall'elezione immediata di due candidati per ogni collegio e dai seguenti correttivi:
il recupero su base nazionale del miglior terzo per i magistrati requirenti;
il recupero su base nazionale di cinque candidati attraverso il metodo proporzionale per i magistrati giudicanti di merito.
L'articolo 34, originariamente relativo allo scioglimento del Consiglio superiore della magistratura, è stato soppresso dalla Commissione Giustizia.
L'articolo 35 modifica l'articolo 39 della legge n. 195 del 1958, in materia di sostituzione dei componenti eletti dai magistrati, in caso di cessazione degli stessi dalla carica, per qualsiasi ragione, prima della scadenza del Consiglio.
L'articolo 36 interviene sull'articolo 40 della legge n. 195 del 1958, che stabilisce il diritto ad alcune indennità a favore dei membri del Consiglio superiore della magistratura eletti dal Parlamento.
La modifica concerne l'applicazione anche ai componenti del CSM del limite massimo retributivo omnicomprensivo di 240.000 euro annui, fissato dall'articolo 13 del decreto-legge 66 del 2014.
L'articolo 37 novella la disciplina del ricollocamento in ruolo dei componenti togati del CSM alla cessazione dell'incarico, intervenendo sulle disposizioni di attuazione della legge sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura (di cui all'articolo 30 del DPR n. 916 del 1958), per escludere che tali magistrati possano:
essere nominati a funzioni direttive o semidirettive prima che siano trascorsi 4 anni dalla data di cessazione dall'incarico. La limitazione non opera se il magistrato, prima di divenire membro del CSM, era già Pag. 18titolare di un incarico direttivo o semidirettivo;
essere nuovamente collocato fuori ruolo prima che siano trascorsi 2 anni dalla data di cessazione dell'incarico; la limitazione non opera quando il fuori ruolo è disposto a seguito dell'assunzione di funzioni elettive.
La disposizione precisa che le nuove restrizioni non si applicano ai membri togati che facciano parte del C.S.M. prima dell'entrata in vigore della riforma.
L'articolo 38 detta disposizioni per lo svolgimento delle prime elezioni del CSM che si terranno dopo l'entrata in vigore della riforma, prevedendo che il decreto con il quale il Ministro della giustizia determina i collegi elettorali debba essere emanato entro un mese dall'entrata in vigore della legge.
La disposizione prevede inoltre la riduzione di alcuni termini relativi al procedimento elettorale.
Il Capo V, recante la delega al Governo per il riassetto delle norme dell'ordinamento giudiziario militare, si compone del solo articolo 39, nel quale sono indicati i principi e i criteri direttivi cui il Governo deve conformarsi nell'esercizio della delega, da esercitarsi entro 2 anni dall'entrata in vigore della legge.
Nell'esercizio della delega, il Governo dovrà adeguare la disciplina concernente i magistrati militari a quella dei magistrati ordinari di grado corrispondente, nei limiti di compatibilità tra i due ordinamenti di riferimento, in particolare in materia di accesso alla magistratura, stato giuridico, conferimento di funzioni e requisiti per la nomina, progressione nella valutazione di professionalità.
Inoltre, il Governo è delegato:
pur confermando la scelta di Verona, Roma e Napoli quali sedi dei tribunali e delle procure militari, ad adeguare le rispettive circoscrizioni territoriali;
a riorganizzare le circoscrizioni dei tribunali militari basata sui carichi pendenti e maggiormente aderente alla dislocazione degli enti e dei reparti militari sul territorio nazionale;
a istituire in ciascuna procura militare un procuratore militare aggiunto;
a prevedere l'applicazione delle disposizioni che regolano il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura al Consiglio della magistratura militare, ove compatibili, e che in quest'ultimo il componenti eletti siano 4 (attualmente sono 2);
a prevedere il mantenimento, per quanto compatibile, dell'equiparazione tra magistrati militari e magistrati ordinari.
Per quanto riguarda il Capo VI, recante Disposizioni finanziarie e finali, l'articolo 40 e l'articolo 41 contengono le disposizioni finali e finanziarie.
L'articolo 42 prevede che la legge entri in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Per quanto concerne il rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, rileva come il provvedimento sia riconducibile alle materie «organi dello Stato e relative leggi elettorali», «giurisdizione e norme processuali», «ordinamento civile e penale» e «giustizia amministrativa», attribuite alla competenza legislativa esclusiva statale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere f) e l), della Costituzione.
Quanto al rispetto degli altri princìpi costituzionali, in relazione alle disposizioni del Capo III del disegno di legge, ricorda che l'articolo 51 della Costituzione afferma, al primo comma, primo periodo, che «Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge».
La Costituzione afferma dunque il diritto di accesso alle cariche elettive, che è «diritto politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri dell'inviolabilità (ex articolo 2 della Costituzione)», come indicato dalla Corte costituzionale, Pag. 19nella sentenza n. 288 del 2007, la quale aggiunge: «pertanto, le restrizioni del contenuto di tale diritto sono ammissibili solo in presenza di situazioni peculiari ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un interesse generale». Segnala per inciso, come la medesima Corte costituzionale abbia più volte affermato che le cause di ineleggibilità sono di stretta interpretazione e devono essere contenute entro i limiti rigorosamente necessari al soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse (ricollegantisi alla funzione elettorale, cui sono di volta in volta preordinate: sentenze n. 306 del 2003, n. 132 del 2001, n. 141 del 1996).
Per quanto riguarda i magistrati, in linea di principio essi hanno i medesimi diritti, circa la manifestazione del pensiero e l'accesso agli uffici pubblici nonché alle cariche elettive, garantiti dalla Costituzione ad ogni altro cittadino. Tuttavia, l'esercizio dei diritti spettanti ai magistrati incontra alcuni limiti, connessi alla funzione che essi esercitano. Secondo la Corte costituzionale «deve riconoscersi – e non sono possibili dubbi in proposito – che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino e che quindi possono, com'è ovvio, non solo condividere un'idea politica, ma anche espressamente manifestare le proprie opzioni al riguardo. Ma deve, del pari, ammettersi che le funzioni esercitate e la qualifica rivestita dai magistrati non sono indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale (sentenza n. 100 del 1981). Per la natura della loro funzione, la Costituzione riserva ai magistrati una disciplina del tutto particolare, contenuta nel titolo IV della parte II (articolo 101 e successivi): questa disciplina, da un lato, assicura una posizione peculiare, dall'altro, correlativamente, comporta l'imposizione di speciali doveri. I magistrati, per dettato costituzionale (articolo 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità».
La Corte aggiunge inoltre che «nel disegno costituzionale, l'estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l'indipendente ed imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie, dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l'attività del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero, non sia guidata dal desiderio di far prevalere una parte politica», specificando che tutto questo «si correla ad un dovere di imparzialità e questo grava sul magistrato, coinvolgendo anche il suo operare da semplice cittadino, in ogni momento della sua vita professionale» (sentenza n. 224 del 2009).
Per questo riguardo, la medesima Corte costituzionale ha ribadito successivamente di avere «già affermato che, in linea generale, i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino, ma ha al contempo precisato che le funzioni esercitate e la qualifica rivestita dai magistrati non sono indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale, al fine di stabilire i limiti che possono essere opposti all'esercizio di quei diritti (sentenze n. 224 del 2009 e n. 100 del 1981). Tali limiti sono giustificati sia dalla particolare qualità e delicatezza delle funzioni giudiziarie, sia dai principi costituzionali di indipendenza e imparzialità (artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, e 108, secondo comma, Cost.) che le caratterizzano». «I principi costituzionali appena richiamati, del resto, vanno tutelati non solo con specifico riferimento all'esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche quali criteri ispiratori di regole deontologiche da osservarsi in ogni comportamento di rilievo pubblico, al fine di evitare che dell'indipendenza e imparzialità dei magistrati i cittadini possano fondatamente dubitare». Si tratta, qui, «oltre che dell'indipendenza e dell'imparzialità, anche della apparenza di queste ultime: sostanza e apparenza di principi posti alla base della fiducia di cui deve godere l'ordine giudiziario in una società democratica». E «va Pag. 20preservato il significato dei principi di indipendenza e imparzialità, nonché della loro apparenza, quali requisiti essenziali che caratterizzano la figura del magistrato in ogni aspetto della sua vita pubblica» (sentenza n. 170 del 2018).
Ancora, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 197 del 2018, ha avuto modo di rilevare come «i magistrati, ai quali è affidata in ultima istanza la tutela dei diritti di ogni consociato, [...] per tale ragione sono tenuti – più di ogni altra categoria di funzionari pubblici – non solo a conformare oggettivamente la propria condotta ai più rigorosi standard di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio nell'esercizio delle funzioni, secondo quanto prescritto dall'articolo 1 del decreto legislativo n. 109 del 2006 [recante “Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati”], ma anche ad apparire indipendenti e imparziali agli occhi della collettività, evitando di esporsi a qualsiasi sospetto di perseguire interessi di parte nell'adempimento delle proprie funzioni. E ciò per evitare di minare, con la propria condotta, la fiducia dei consociati nel sistema giudiziario, che è valore essenziale per il funzionamento dello Stato di diritto».
Rammenta quindi come il già richiamato articolo 51 della Costituzione, al terzo comma, stabilisca che «Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro».
In proposito, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 6 del 1960, ha affermato che «conservare il posto» vuol dire soltanto mantenere il rapporto di lavoro o di impiego, ma non già continuare nell'esercizio delle funzioni espletate dall'impiegato interessato. Tale pronuncia, a ben vedere, riguardava il caso del trasferimento al termine del mandato elettivo (ma perdurando il rapporto di lavoro) e non la costituzione obbligatoria di un nuovo rapporto presso un diverso corpo.
Poiché si tratta di accesso a cariche politiche, dunque di un riguardo della partecipazione alla vita politica – là dove «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale», scandisce l'articolo 49 della Costituzione – rileva altresì l'articolo 98, terzo comma della Carta costituzionale, il quale prevede: «si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero».
Per quanto concerne i magistrati, siffatta limitazione si concreta nell'articolo 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 109 del 2006, il quale configura quale illecito disciplinare – accanto al coinvolgimento nelle attività di soggetti operanti nel settore economico o finanziario che possono condizionare l'esercizio delle funzioni o comunque compromettere l'immagine del magistrato – l'iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa del magistrato a partiti politici. Tale disposizione di legge è uscita indenne dal vaglio di costituzionalità condotto dal giudice delle leggi in due occasioni (richiama le sopra citate sentenze della Corte costituzionale n. 224 del 2009 e n. 170 del 2018), su questione di legittimità sollevata dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (e calibrata nel primo caso sulla situazione di un magistrato fuori ruolo perché addetto ad una consulenza parlamentare, nel secondo caso di un magistrato fuori ruolo perché in aspettativa per motivi elettorali).
Richiamando solo la citata sentenza del 2018, la Corte costituzionale – nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale – ha rilevato che per i magistrati «un conto è l'iscrizione o comunque la partecipazione sistematica e continuativa alla vita di un partito politico, che la fattispecie disciplinare vieta, altro è l'accesso alle cariche elettive e agli uffici pubblici di natura politica che, a determinate Pag. 21condizioni (sentenza n. 172 del 1982), la legislazione vigente consente loro. Non è irragionevole, come opina [invece] la sezione disciplinare rimettente, operare una distinzione tra le due ipotesi, e perciò considerare non solo lecito, ma esercizio di un diritto fondamentale la seconda ipotesi, mantenendo al contempo quale illecito disciplinare la prima. Tanto più in un contesto normativo che consente al magistrato di tornare alla giurisdizione, in caso di mancata elezione oppure al termine del mandato elettivo o dell'incarico politico, va preservato il significato dei principi di indipendenza e imparzialità, nonché della loro apparenza, quali requisiti essenziali che caratterizzano la figura del magistrato in ogni aspetto della sua vita pubblica. Di tali principi il divieto disciplinare in questione è saldo presidio, e come tale esso non può che dirigersi nei confronti di ogni magistrato, in qualunque posizione egli si trovi. [...] Questa Corte è altresì consapevole della circostanza che, anche a prescindere dalle caratteristiche del sistema elettorale di volta in volta rilevante, nessun cittadino, nemmeno il cittadino-magistrato, si candida “da solo”. E, così come avviene per la candidatura alle elezioni politiche, amministrative od europee, anche l'assunzione di incarichi negli organi esecutivi di vario livello presuppone necessariamente un collegamento del nominato con i partiti politici. [...] Questi doverosi rilievi, tuttavia, non spostano i termini della questione e non depongono per l'accoglimento delle censure sollevate dalla sezione disciplinare rimettente. Al contrario, per il magistrato, deve restar fermo che il riconoscimento della particolare natura della competizione e della vita politica, alla quale gli è consentito a certe condizioni di partecipare, non può tradursi nella liceità né della sua iscrizione, né della sua partecipazione stabile e continuativa all'attività di un determinato partito [...]».
Formula, quindi, una proposta di parere favorevole (vedi allegato).
Augusta MONTARULI (FDI) dichiara il voto contrario del suo gruppo sulla proposta di parere.
Il Comitato approva la proposta di parere.
La seduta termina alle 11.25.