SEDE REFERENTE
Giovedì 24 ottobre 2019. — Presidenza del vicepresidente Franco VAZIO. — Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia, Vittorio Ferraresi.
La seduta comincia alle 9.35.
Modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere.
C. 569 Zan.
(Esame e rinvio).
La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.
Alessandro ZAN (PD), relatore, evidenzia che l'urgenza di un intervento legislativo sulla materia in titolo è testimoniata da numerosi episodi di cronaca che, nel nostro Paese, segnalano il preoccupante incremento di violenze e discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere. Si tratta peraltro di un fenomeno che ha determinato un allarme sociale diffuso non solo in Italia, al punto che ormai la larga maggioranza dei paesi europei ha inserito le manifestazioni omo e transfobiche tra le condotte penalmente rilevanti o tra i moventi che integrano circostanze aggravanti.
Osserva che l'intento della proposta di legge è quello di contrastare le discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere, novellando gli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, che hanno sostituito – a partire dalla scorsa legislatura, in attuazione della delega per la cosiddetta riserva di codice penale – le disposizioni della legge Reale (legge 13 ottobre 1975, n. 654) e della legge Mancino (decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 1993, n. 205), ovvero Pag. 20l'ossatura della legislazione italiana di contrasto alle discriminazioni. In questo modo, dunque, la proposta di legge mira a dare attuazione, a tutela della dignità delle persone che siano vittime di simili odiose condotte, al principio di uguaglianza sostanziale posto dall'articolo 3 della Costituzione, nonché a rispettare i vincoli derivanti all'Italia da obblighi internazionali (nella specie dalla Convenzione di New York del 1966 e dall'articolo 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo). Peraltro, già nella scorsa legislatura, si era avviato l’iter della proposta di legge A.C. 245 del collega Scalfarotto, approvata dalla Camera, iter che non era poi giunto a conclusione.
Rammenta a tale proposito che attualmente l'articolo 604-bis del codice penale (già articolo 3 della citata legge n. 654 del 1975, di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni Unite a New York nel 1966) punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commetta, istighi o provochi atti di discriminazione e violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. In particolare è punito: chiunque propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (primo comma, lettera a); chiunque, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (primo comma, lettera b); chiunque partecipa o presta assistenza ad organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (secondo comma); chiunque promuove o dirige organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (secondo comma).
Ricorda altresì che l'articolo 604-ter del codice penale (già articolo 3 del decreto-legge n. 122 del 1993) prevede la circostanza aggravante della finalità di discriminazione. Pertanto, per qualsiasi reato – ad eccezione di quelli per i quali è previsto l'ergastolo – commesso per le finalità di discriminazione o di odio o per agevolare le associazioni che hanno tra i propri scopi le medesime finalità, la pena viene aumentata fino alla metà (primo comma). L'attuale disciplina già prevede che, in caso di concorso di circostanze, il giudice non possa ritenere le attenuanti equivalenti o prevalenti rispetto all'aggravante della finalità di discriminazione e le eventuali diminuzioni di pena debbano essere calcolate sulla pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante. Tale principio non opera rispetto all'attenuante della minore età (secondo comma).
Sottolinea che la proposta di legge in esame è composta da due articoli, il primo dei quali interviene sull'articolo 604-bis, estendendo le pene ivi previste anche alle ipotesi di discriminazioni, violenze o provocazione alla violenza, fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere; l'articolo 604-bis è inoltre integrato attraverso la previsione del divieto di costituire un qualsiasi ente che preveda finalità di violenze o discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere. L'articolo 2 interviene, invece, apportando modifiche all'articolo 604-ter, stabilendo che la circostanza aggravante ivi prevista si estenda ai reati commessi in ragione dell'orientamento sessuale o dell'identità di genere della vittima.
Ciò premesso, evidenzia che colleghi di altri gruppi hanno presentato proposte di legge vertenti sulla materia e ritiene importante lavorare nell'ottica di un testo base condiviso.
Laura BOLDRINI (PD), nel ringraziare la presidenza per aver avviato l'esame di un provvedimento a suo avviso importante e urgente, fa presente di aver presentato la proposta di legge C. 107 vertente sul medesimo tema. Ricorda, altresì, che nella scorsa legislatura è stata istituita presso la Camera dei deputati la Commissione «Joe Cox» sull'intolleranza, la xenofobia, il razzismo Pag. 21e i fenomeni di odio, che aveva il compito, facendo seguito a delle raccomandazioni del Consiglio di Europa, di studiare tali temi. Evidenzia, inoltre, che il Parlamento italiano è stato il primo a istituire tale Commissione e ad elaborare sulla materia una relazione approfondita nella quale sono contenute 15 raccomandazioni. In proposito, chiede che tale relazione sia messa a disposizione dei commissari. Sottolinea come nella sua proposta di legge siano state inserite alcune delle citate raccomandazione quale, ad esempio, quella relativa all'istituzione di una autorità indipendente per i fenomeni di odio e le discriminazioni. Chiede, pertanto, l'abbinamento della sua proposta di legge alla proposta in titolo sottolineando come il provvedimento a sua prima firma, pur andando nella medesima direzione tracciata dalla proposta del collega Zan, ne allarghi il raggio di azione inserendo le discriminazioni di genere tra le fattispecie previste dalla legge Mancino. Ciò premesso, auspica che sul tema in oggetto la Commissione possa svolgere un approfondito dibattito.
Giusi BARTOLOZZI (FI) ricorda che il suo gruppo parlamentare aveva presentato, durante l'esame del cosiddetto «codice rosso», un emendamento di contenuto analogo a quello della proposta di legge in titolo, che era stato respinto. Stigmatizza il fatto che tale iniziativa sia invece attualmente sostenuta dalla maggioranza. Precisa quindi che per spirito di responsabilità il suo gruppo convergerà su tale proposta, sottolineando come Forza Italia sostenga da sempre che quello della violenza di genere e della discriminazione sessuale sia uno dei motivi da includere nell'articolo 604-bis del codice penale. Evidenzia, tuttavia, che una maggiore attenzione da parte della maggioranza avrebbe imposto di approvare il contenuto del testo in discussione già durante l'esame del «codice rosso». Fa notare, inoltre, che, quando importanti temi vengono evidenziati dalle opposizioni, questi non vengono presi in considerazione, mentre invece quando gli stessi sono portati all'attenzione da parte della maggioranza, le opposizioni collaborano.
Maria Carolina VARCHI (FDI) crede che, sebbene lo spirito della proposta di legge in esame possa essere in astratto condivisibile, poiché la violenza è esecrabile a prescindere da chi la subisca, il provvedimento in discussione violi il principio di determinatezza della norma penale. A suo avviso il provvedimento non supera tutte le censure mosse già nella scorsa legislatura dal Parlamento che sul tema si era pronunciato.
Franco VAZIO, presidente, fa presente che, quando la Commissione ha esaminato il cosiddetto «codice rosso», il Partito democratico era all'opposizione. Propone, quindi, di aggiornare la discussione ad altra seduta per consentire alla Commissione di esaminare gli ulteriori punti in convocazione prima dell'inizio del lavori dell'Assemblea e rinvia all'Ufficio di presidenza la valutazione dell'istanza di abbinamento formulata dall'onorevole Boldrini. Aggiunge quindi, che il tema oggetto del provvedimento è molto delicato e coinvolge tutti i partiti. Ritiene, pertanto, opportuno affrontarlo in tempi ragionevoli, in modo tale da consentire a tutti di apportare il proprio contributo tecnico e politico e di approfondirne i vari aspetti, compreso quello evidenziato dalla collega Varchi.
Manfredi POTENTI (LEGA), nel condividere la linea indicata dal presidente, evidenzia che il provvedimento reca una modifica molto delicata ad un testo di natura penale. Ritiene che il tema sia sensibile e che discenda dalla coscienza pubblica che sta maturando su un convincimento sul quale la politica ha diverse vedute. A suo avviso è necessario pertanto un confronto tra le forze parlamentari.
Franco VAZIO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
Pag. 22Modifiche alla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in materia di prescrizione del reato.
C. 2059 Costa.
(Esame e rinvio).
La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.
Enrico COSTA (FI), relatore, fa presente che la proposta di legge in discussione mira a sopprimere le modifiche in materia di prescrizione del reato introdotte dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, recante «Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici», che, all'articolo 1, comma 1, lettere d), e) e f), modifica gli articoli 158, 159 e 160 del codice penale. In sintesi, rammenta che la riforma introdotta dalla legge n. 3 del 2019 (inserita in fase emendativa nel corso dell'esame in sede referente alla Camera dei deputati) individua nel giorno di cessazione della continuazione il termine di decorrenza della prescrizione in caso di reato continuato e sospende il corso della prescrizione dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di condanna che di assoluzione) o dal decreto di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del citato decreto.
Evidenzia che la stessa legge n. 3 del 2019, all'articolo 1, comma 2, fissa l'entrata in vigore della riforma della prescrizione al 1o gennaio 2020. Lo stesso Esecutivo aveva infatti preannunciato in maniera chiara la volontà di realizzare entro tale termine un intervento riformatore del codice di procedura penale volto alla drastica riduzione dell'irragionevole durata dei processi in Italia, intendendo così marginalizzare l'impatto concreto dell'eliminazione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado.
Rammenta che lo stesso Ministro della giustizia, onorevole Bonafede, aveva parlato di un «accordo politico» che «prevede che approfittiamo di questo anno anche per scrivere la riforma del processo penale. Il Governo avrà la delega dal Parlamento con scadenza 2019».
Osserva che dall'approvazione della riforma della prescrizione ad oggi non è stata però esaminata dalle Camere alcuna proposta normativa concreta in tal senso. Solo a fine luglio scorso è stato approvato dal Consiglio dei ministri «salvo intese» un disegno di legge delega che avrebbe dovuto stabilire i princìpi e criteri direttivi per riformare il processo civile, il processo penale, l'ordinamento giudiziario, la disciplina sull'eleggibilità e il ricollocamento in ruolo dei magistrati, il funzionamento e l'elezione del Consiglio superiore della magistratura e la flessibilità dell'organico dei magistrati.
Ritiene che l'evoluzione in atto del quadro politico, lasci facilmente immaginare che non si riuscirà ad approvare alcun testo prima della fine dell'anno.
Senza entrare nel dettaglio della riforma del processo penale, ritiene evidente che questa non potrà certamente essere operativa prima del 1o gennaio 2020, termine dal quale dispiegherà la sua efficacia la soppressione – di fatto – della prescrizione. Ciò travolge e fa venire meno il presupposto politico che era stato dato per giustificare l'entrata in vigore posticipata della soppressione della prescrizione.
Si domanda come si possa quindi consentire che entrino in vigore le nuove norme sulla prescrizione che, in assenza di nuove regole acceleratorie, determinerebbero di fatto processi eterni. Le critiche alla riforma, unanimi da parte degli operatori della giustizia, hanno evidenziato come le nuove norme in materia di prescrizione comportano necessariamente un allungamento della durata dei processi, proiettando così numerosi e gravi profili d'illegittimità costituzionale sul sistema penale.
Fa notare che il problema più evidente è la palmare lesione del principio della ragionevole durata del processo, ai sensi degli articoli 111 della Costituzione e 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955. Pag. 23
L'obiettivo dichiarato – che ritiene del tutto condivisibile – è assicurare che i colpevoli siano puniti, che non si sottraggano alla giustizia sfruttando escamotage processuali e, più in generale, contenere gli sprechi di attività della macchina giudiziaria.
Con l'intervento ipotizzato, però, non si fa che scaricare sull'imputato tutto il peso delle inefficienze del sistema giudiziario: ogni ritardo, dilazione o rinvio dovuto a carichi di lavoro eccessivi o mal distribuiti, alle carenze di personale, dai magistrati ai cancellieri, diviene processualmente irrilevante e, anzi, normativamente legittimato e coperto da questo provvedimento. Quasi come se il legislatore, anziché cercare di risolvere queste problematiche, le assumesse come una costante invariabile e immodificabile.
Tutte queste disfunzioni, ataviche nel nostro sistema e per nulla presidiate da adeguate sanzioni disciplinari, non avranno più alcuna conseguenza neanche di ordine processuale: si tratta di una sorta d'impunità dell'apparato, a integrale detrimento delle persone offese e degli imputati, che si vedono destinati a languire nel limbo di una vicenda processuale senza termini.
A fronte del sacrificio indubbio che si opera nella sfera degli utenti della giustizia, non si può invocare alcun beneficio che valga a controbilanciarlo. La misura in questione, infatti, non farà che allungare ulteriormente la durata dei processi, acuendo vieppiù, anziché risolverle, le notorie patologie del sistema della giustizia. Molti procedimenti e processi oggi vedono una conclusione perché il magistrato preposto ha degli orizzonti temporali predeterminati da osservare e delle «ghigliottine» perentorie da evitare. È chiaro, quindi, che ove si introducesse una sospensione sine die della prescrizione, la scansione temporale del processo verrebbe sfumata, così come ogni interesse «acceleratorio» alla sua rapida definizione. Proprio qui sta il rischio di eterogenesi dei fini: l'intento di assicurare i colpevoli alla giustizia non viene conseguito allungando i tempi del processo, né sottoponendo indiscriminatamente colpevoli e innocenti alla pretesa punitiva dello Stato per un periodo indefinito.
Rileva, inoltre, l'esistenza anche di un problema di metodo. Se, infatti, si vuole – come è doveroso – ricondurre il funzionamento della giustizia italiana entro un binario conforme sia all'esigenza di punire i colpevoli, sia ai parametri costituzionali e convenzionali dell'equo processo, non è certo dalla prescrizione che si deve partire, ma da altri aspetti «di apparato», a monte: la disciplina dei termini e dei rinvii del processo, l'organizzazione e le dotazioni degli uffici delle procure e dei tribunali, una graduazione dei reati da perseguire in via prioritaria, la responsabilità disciplinare dei magistrati per i ritardi ingiustificati. Sottolinea che si tratta di tutti quegli aspetti rispetto ai quali innumerevoli volte la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato il nostro Paese.
In tale quadro, osserva che l'intervento sulla prescrizione dovrebbe rappresentare un complemento, un posterius da innestare sul tronco di una riforma organica del sistema, non certo la riforma salvifica cui affidare le sorti della giustizia. Di tutto questo, però, osserva che non v’è traccia, se non il citato disegno di legge delega, peraltro approvato «salvo intese» dal Consiglio dei ministri.
Peraltro, le peculiari e problematiche coordinate che caratterizzano la realtà della giustizia italiana privano di pregio l'evocazione dell'argomento comparatistico secondo il quale anche in altri ordinamenti occidentali sono previste cause di sospensione della prescrizione analoghe a quelle che oggi si vogliono introdurre. Lo slancio esterofilo può facilmente arrestarsi se a condizioni di puro diritto si sommano elementari osservazioni basate sul principio di realtà, cui da sempre la politica è più attenta dell'accademia. Negli altri Paesi presi a paragone (Francia e Germania in primis) i processi durano da metà a un terzo rispetto a quelli italiani, come dimostra il rapporto dell'OCSE 2013, più volte aggiornato. Ogni riforma va ovviamente valutata e meditata rispetto allo specifico contesto fattuale, prima ancora Pag. 24che giuridico, nel quale si immagina di inserirla: in questa prospettiva è fin troppo facile osservare come una riforma della prescrizione così strutturata ha senso in ordinamenti in cui i processi hanno una durata fisiologica e in cui esistono risorse interne (giuridiche ma anche culturali) di autocorrezione e di stimolo verso gestioni virtuose dei procedimenti; non altrettanto può dirsi per l'Italia, in cui l'intervento, se non accompagnato da correttivi che si muovano su un piano più generale e organico, sarebbe una comoda «foglia di fico» per coprire e aggravare ulteriormente disfunzioni già radicate.
Fa notare che un secondo aspetto critico si coglie a livello del diritto di difesa, del principio del giusto processo e del principio di parità delle armi: il passare del tempo, infatti, rende più difficile per l'indagato apprestare difese in fatto e in diritto rispetto a contestazioni specifiche, raccogliere o conservare elementi di prova e contestare le produzioni dell'accusa. In poche parole, il tempo, come una clessidra rovesciata, gioca a sfavore di chi si difende, erodendone gli strumenti di difesa e proprio per questo non può consentirsi che l'accusa possa brandire l'arma dell'atemporalità.
Un terzo aspetto, infine, riguarda la compatibilità della misura con la funzione rieducativa della pena stabilita dall'articolo 27 della Costituzione. In questa prospettiva, ritiene che il problema sia duplice. Da un lato, la sospensione a tempo indeterminato della prescrizione mina la funzione rieducativa della pena, poiché la sanzione, potendo intervenire anche a distanza di molto tempo dal fatto, incide su una personalità del reo inevitabilmente mutata nelle more nel senso che la rieducazione e il riallineamento alla tavola dei valori sociali sono avvenuti spontaneamente o comunque che il disvalore del fatto si è perso nella notte dei tempi e non è dunque più possibile mettere in atto un percorso rieducativo effettivo ed attuale. Dall'altro lato, la sospensione generalizzata dalla prescrizione per tutte le tipologie di reato, alla luce della portata afflittiva che essa indubbiamente possiede, potrebbe rappresentare una irragionevole e sproporzionata omogeneizzazione di trattamento per fattispecie anche marcatamente differenti sotto il profilo del disvalore e dell'allarme sociale.
Precisa che a queste considerazioni di principio altre se ne possono aggiungere su un piano più specifico e pragmatico e che le modifiche normative non appaiono risolutive del problema legato al fatto che la maggiore incidenza del decorso dei termini di prescrizione si registri nella fase delle indagini preliminari.
Ciò premesso, ritiene che il tema debba essere affrontato urgentemente, in quanto è fondamentale che il Parlamento si esprima prima del 1o gennaio 2020, e che si assuma la responsabilità o di non approvare il provvedimento in discussione – lasciando invariata la data di entrata in vigore della norma – oppure intervenire anche trasformandola in una proroga. Sottolinea che il provvedimento costituisce una base di lavoro sul quale la Commissione può lavorare in maniera condivisa e fa notare che le considerazioni da lui svolte sono state spesso sostenute anche da parte di esponenti dell'attuale maggioranza.
Roberto TURRI (LEGA) chiede che alla proposta di legge in discussione sia abbinata la proposta di legge a sua prima firma C. 2197, vertente su identica materia.
Franco VAZIO, presidente, fa presente che la proposta di legge Turri C. 2197 non è stata ancora assegnata e che, nel momento in cui ciò si realizzerà, la presidenza ne valuterà il contenuto ai fini dell'abbinamento. Nessuno altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 10.
SEDE CONSULTIVA
Giovedì 24 ottobre 2019. — Presidenza del vicepresidente Franco VAZIO. — Interviene il sottosegretario di Stato per la giustizia, Vittorio Ferraresi.
La seduta comincia alle 10.
Pag. 25Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 settembre 2019, n. 101, recante disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali.
C. 2203 Governo, approvato dal Senato.
(Parere alla XI Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).
La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.
Franco VAZIO, presidente, avverte che la votazione del prescritto parere sul provvedimento in titolo dovrà avvenire nella giornata odierna..
Roberto CATALDI (M5S), relatore, fa presente che la Commissione è chiamata ad esaminare ai fini del prescritto parere il disegno di legge di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 settembre 2019, n. 101, recante disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali, trasmesso dal Governo il 4 settembre scorso e approvato dal Senato nella seduta di ieri.
Segnala preliminarmente che il decreto-legge contiene disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e in particolare per garantire la tutela economica e normativa di alcune categorie di lavoratori particolarmente deboli, quali i cosiddetti riders, lavoratori con disabilità, LSU (lavoratori socialmente utili), LPU (lavoratori di pubblica utilità), lavoratori precari. Il decreto-legge contiene, inoltre, disposizioni per supportare l'attuazione del reddito di cittadinanza rimessa in gran parte all'INPS che quindi necessita, con urgenza, di rafforzare le proprie strutture amministrative. Il provvedimento reca, altresì, disposizioni per fare fronte a importanti crisi industriali in corso in vari territori del Paese, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e garantire sostegno al reddito dei lavoratori coinvolti.
Nel rinviare alla documentazione predisposta dagli uffici per una descrizione dettagliata dei contenuti del provvedimento, fa presente che in questa sede si limiterà ad illustrare le disposizioni che attengono ai profili di competenza della Commissione Giustizia. Si tratta delle disposizioni recate dagli articoli 1, 8-bis, 13-bis e 15.
Segnala che l'articolo 1, che interviene a modificare il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, vi introduce un nuovo Capo V-bis volto a definire misure di tutela del lavoro tramite piattaforme digitali. In particolare il nuovo articolo 47-bis del richiamato decreto legislativo introduce una disciplina specifica, intesa a porre livelli minimi di tutela per i rapporti di lavoro di soggetti (cosiddetti riders) che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l'ausilio di determinati veicoli, con riferimento ai casi in cui l'organizzazione delle attività sia operata attraverso piattaforme anche digitali e sempre che i medesimi rapporti non rientrino nella nozione di lavoro dipendente. Evidenzio in particolare che ai sensi del nuovo articolo 47-sexies, i dati personali dei lavoratori in esame sono trattati in conformità alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, e del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
L'articolo 8-bis, introdotto dal Senato, reca una disciplina particolare per il ricorso contro il provvedimento sanzionatorio emesso dalla struttura organizzativa competente della provincia autonoma di Bolzano a seguito dell'inosservanza di determinati obblighi previsti dalla normativa vigente in capo al beneficiario di strumenti di sostegno al reddito. In particolare – attraverso una modifica dell'articolo 21, comma 12, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 – il comma 1 dispone che, nel suddetto caso, è ammesso il ricorso alla commissione provinciale di controllo sul collocamento (di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 280), nel rispetto della previsione secondo cui le regioni a statuto speciale e le province Pag. 26autonome di Trento e Bolzano, in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, esercitano le competenze ad esse spettanti ai sensi dei rispettivi statuti, delle relative norme di attuazione e delle norme speciali recanti deleghe di funzioni e, in riferimento alla provincia autonoma di Bolzano, anche in materia di uso della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione (ex articolo 1, comma 5 del citato decreto legislativo n. 150 del 2015). L'articolo in esame fa salva la previsione in base alla quale, in via generale, avverso i medesimi provvedimenti sanzionatori adottati dai Centri per l'impiego è ammesso ricorso all'ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro), che istituisce un apposito comitato con la partecipazione delle parti sociali. Il comma 2 dell'articolo 8-bis dispone che dall'attuazione della suddetta previsione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L'articolo 13-bis interviene sull'apparato sanzionatorio previsto dall'articolo 42 del decreto legislativo n. 28 del 2011 in materia di incentivi nel settore elettrico e termico, erogati dal GSE.
In particolare precisa che si novellano i commi 3, 3-quater e 4-bis prevedendo che: il GSE possa decurtare l'incentivo in misura ricompresa fra il 10 e il 50 per cento (attualmente la decurtazione può essere disposta in misura ricompresa fra il 20 e l'80 per cento) in ragione dell'entità della violazione. Nel caso in cui le violazioni siano spontaneamente denunciate dal soggetto responsabile al di fuori di un procedimento di verifica e controllo le decurtazioni sono ulteriormente ridotte della metà (attualmente esse possono essere ridotte di un terzo) (comma 3); agli impianti di potenza compresa tra 1 e 3 kW nei quali, a seguito di verifica, risultino installati moduli non certificati o con certificazioni non rispondenti alla normativa di riferimento, si applica una decurtazione del 10 per cento della tariffa incentivante (attualmente la decurtazione è del 30 per cento della tariffa incentivante) sin dalla data di decorrenza della convenzione. Inoltre, la decurtazione del 10 per cento della tariffa incentivante si applica anche agli impianti ai quali è stata precedentemente applicata la decurtazione del 30 per cento, prevista dalle disposizioni previgenti (comma 3-quater); agli impianti di potenza superiore a 3 kW nei quali, a seguito di verifiche o controlli, risultano installati moduli non certificati o con certificazioni non rispondenti alla normativa di riferimento e per i quali il soggetto beneficiario della tariffa incentivante abbia intrapreso le azioni consentite dalla legge nei confronti dei soggetti responsabili della non conformità dei moduli, si applica, su istanza del medesimo soggetto beneficiario, una decurtazione del 10 per cento della tariffa incentivante base (in luogo del 20 per cento attualmente previsto) per l'energia prodotta dalla data di decorrenza della convenzione con il GSE. La decurtazione del 10 per cento della tariffa incentivante si applica anche agli impianti ai quali è stata precedentemente applicata la decurtazione del 20 per cento, prevista dalle disposizioni previgenti (comma 4-bis dell'articolo 42)
Fa presente che il comma 2 prevede che la minore sanzione di cui alla lettera a) del comma 1, si applica agli impianti realizzati e in esercizio oggetto di procedimenti amministrativi in corso e, su richiesta dell'interessato, a quelli definiti con provvedimenti del GSE di decadenza dagli incentivi, oggetto di procedimenti giurisdizionali pendenti nonché di quelli non definiti con sentenza passata in giudicato alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto in esame, compresi i ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica per i quali non è intervenuto il parere del Consiglio di Stato previsto dall'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1199 del 1971. La richiesta dell'interessato equivale ad acquiescenza alla violazione contestata dal GSE nonché a rinuncia all'azione. Le minori sanzioni disposte dal comma 1 non si applicano qualora la condotta dell'operatore che ha determinato il provvedimento di decadenza del GSE è oggetto di Pag. 27procedimento e processo penale in corso, ovvero concluso con sentenza di condanna anche non definitiva.
Con riferimento all'articolo 15, rileva che esso introduce diverse modifiche all'articolo 47 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, che ha istituito un Fondo salva opere per garantire il rapido completamento delle opere pubbliche e tutelare i lavoratori, al fine di: consentire l'accesso alle risorse del Fondo salva opere anche ai fornitori nelle ipotesi di affidamenti da parte di contraente generale (lettera a); prevedere da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la surroga nei diritti dei beneficiari del Fondo, oltre che nei confronti dell'appaltatore o dell'affidatario del contraente generale, anche verso il contraente generale (lettera b); disciplinare la procedura per l'accesso a favore delle imprese beneficiarie alle risorse del Fondo salva opere, anche in pendenza di controversie giurisdizionali, contributive e fiscali (lettera c).
Rammenta che con la lettera a) dell'articolo 15, comma 1, che modifica il comma 1-bis, quarto periodo, del suddetto articolo 47, viene specificato che le risorse del Fondo sono destinate, nel caso di affidamento a contraente generale, anche alla soddisfazione dei crediti dei subfornitori, subappaltatori, e subaffidatari, invece che dei soli affidatari di lavori. Con la lettera b), che modifica il comma 1-ter, quinto periodo, dell'articolo 47, si stabilisce che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è surrogato nei diritti dei beneficiari del Fondo, oltre che verso l'appaltatore o l'affidatario del contraente generale, anche nei confronti del contraente generale. La norma oggetto di modifica prevede la suddetta surroga del MIT nei diritti del sub-appaltatore, sub-affidatario o sub-fornitore verso l'appaltatore o l'affidatario del contraente generale nell'ambito della procedura concorsuale, senza contemplare specificamente anche la figura del contraente generale. Con la lettera c) sono inseriti cinque nuovi periodi al comma 1-ter dell'articolo 47 che disciplinano la procedura per l'accesso a favore delle imprese beneficiarie delle risorse del Fondo salva opere, anche in pendenza di controversie giurisdizionali, contributive e fiscali.
Osserva che il primo periodo stabilisce che l'eventuale pendenza di controversie giurisdizionali in merito ai crediti dei beneficiari del Fondo verso l'appaltatore, il contraente generale o l'affidatario del contraente generale non è ostativa all'erogazione delle risorse del Fondo da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Il secondo periodo prevede che, prima dell'erogazione delle risorse, il MIT verifica la sussistenza delle condizioni di regolarità contributiva del richiedente, attraverso il documento unico di regolarità contributiva (DURC); in mancanza delle stesse, dispone direttamente il pagamento delle somme dovute, entro i limiti della capienza del Fondo salva opere e – come previsto con una modifica approvata nel corso dell'esame al Senato – in proporzione della misura del credito certificato liquidata (il testo originario fa riferimento al solo credito certificato) al richiedente stesso, in favore degli enti previdenziali, assicurativi, compresa la cassa edile, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 31, commi 3 e 8-bis, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69. Il terzo periodo stabilisce che prima dell'erogazione delle risorse il MIT effettua la verifica fiscale sui versamenti notificati con cartelle di pagamento di cui all'articolo 48-bis, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602 e, nell'ipotesi di inadempienze, provvede direttamente al pagamento in conformità alle disposizioni del periodo precedente. Con il quarto e quinto periodo si precisa che resta impregiudicata: la possibilità per il beneficiario di accedere alle risorse del Fondo ove abbia ottenuto, rispetto ai debiti contributivi e fiscali, una dilazione o rateizzazione del pagamento ovvero abbia aderito a procedure di definizione agevolata previste dalla legislazione vigente; la prosecuzione di eventuali azioni giudiziarie nei confronti dell'erario, di enti previdenziali e assicurativi.
Ciò premesso desidera focalizzare l'attenzione sul segnale importante contenuto Pag. 28nel provvedimento che manifesta un particolare interesse per la tutela di alcune fasce deboli di lavoratori, sfruttati in maniera a volte non conforme a un paese civile come l'Italia. Desidera sottolineare come si sia superata una certa timidezza nell'affrontare un principio fondamentale già esistente nel nostro ordinamento, quello in base al quale non è concepibile sfruttare lo stato di bisogno altrui. Nel caso dei lavoratori deboli, ritiene sia importante acquisire anticorpi a livello legislativo e sociale per evitare che si verifichino tali fenomeni.
Per quanto concerne le crisi aziendali sottolinea che il suo territorio, colpito dal sisma, è anche provato da una grave crisi industriale, trattandosi di un'area complessa dove il 50 per cento delle imprese ha dovuto chiudere la propria attività. Ricorda che in Italia ci sono altre 13 zone di crisi industriale complessa e ritiene che in tali territori il provvedimento in discussione sarà molto apprezzato. Ciò premesso propone di esprimere, per le parti di competenza, parere favorevole sul provvedimento in discussione.
Giusi BARTOLOZZI (FI) interviene preliminarmente sul metodo utilizzato dalla maggioranza che strozza il dibattito sul provvedimento in discussione. Osserva, infatti che la Commissione dispone di un tempo particolarmente ristretto per esaminare un provvedimento già approvato con il voto di fiducia dall'altro ramo del Parlamento, e sottolinea come molto probabilmente anche l'Assemblea della Camera sarà chiamata a fare altrettanto. Ritiene, pertanto, che il Governo in carica non si distingua dal precedente in merito al ricorso alla questione di fiducia. Con riferimento al contenuto del provvedimento, ferma restando la stima nei confronti del collega Cataldi, esprime perplessità nel sentire parlare di risoluzione di crisi aziendali da parte di un esponente del M5S, ritenendo che tale movimento abbia dimostrato di non saper porre rimedio a tali situazioni. In proposito ricorda che i tavoli per la risoluzione delle crisi di impresa attivi erano 138 nel periodo in cui era ministro del lavoro l'attuale ministro degli esteri e come ora gli stessi siano già arrivati a 180, coinvolgendo quasi 250.000 di lavoratori a livello nazionale.
Franco VAZIO, presidente, nel ritenere che l'intervento della collega Bartolozzi sia più politico che di merito, in quanto sottolinea aspetti non di competenza della Commissione, rileva che l'apertura dei tavoli di crisi non si possa ascrivere ad un ministro bensì a una crisi oggettiva delle imprese. Sottolinea, inoltre, che alla loro apertura conseguono una serie di misure agevolative per le imprese stesse.
Flavio DI MURO (LEGA), nel condividere le osservazioni della collega Bartolozzi, segnala ai colleghi di Italia Viva alcune dichiarazioni rese oggi alla stampa da Matteo Renzi in merito al reddito di cittadinanza. Fa notare che il provvedimento in discussione prevede che l'attuazione del reddito di cittadinanza sia rimessa in gran parte all'INPS che di conseguenza necessita con urgenza di rafforzare le proprie strutture amministrative.
Si domanda come i colleghi di Italia Viva non si sentano in imbarazzo visto che Matteo Renzi ha affermato la necessità di rivedere il reddito di cittadinanza e «quota cento».
Manfredi POTENTI (LEGA) condivide le osservazioni del collega Di Muro e sottolinea che il contenuto del provvedimento è solo limitatamente di competenza della Commissione giustizia. Richiama l'attenzione sull'articolo 14-bis del provvedimento che interviene in materia di cessazione della qualifica di rifiuto. Segnala che tale articolo contiene una norma migliorativa che, pur non risolvendo il problema, rappresenta comunque una importante risposta delle istituzioni a esigenze che in queste ultime settimane sono state avanzate in maniera disperata da numerose imprese. Sebbene tale disposizione sia perfettibile, in particolare con riguardo alla parte in cui lascia al Ministero dell'ambiente alcune competenze, ribadisce che la Pag. 29strozzatura dei lavori da parte della maggioranza preclude la presentazione di molte proposte migliorative da parte del suo gruppo.
Cosimo Maria FERRI (IV), nel replicare al collega Di Muro, evidenzia che con riferimento alle crisi aziendali i risultati del precedente Governo non possono essere considerati positivi e che l'intervento su tale materia da parte della politica si è reso necessario. Con riferimento alla posizione del suo partito relativamente a «quota cento», evidenzia che il tema viene contestato in quanto le cifre devolute per la sua attuazione hanno coperto una determinata categoria, mentre sarebbe opportuno incidere maggiormente. Ribadisce, inoltre, che il suo gruppo sarebbe stato più favorevole al reddito di inclusione rispetto a quello di cittadinanza che è stato introdotto dal precedente Governo. A suo avviso tale strumento ha senso soltanto se offre lavoro, altrimenti sarebbe più utile sviluppare il reddito di inclusione. Ciò premesso, preannuncia il voto favorevole del suo gruppo sulla proposta di parere del relatore.
Anna Rita TATEO (LEGA) preannuncia il voto contrario del suo gruppo sulla proposta di parere, non vedendo nel decreto-legge in discussione disposizioni in grado di salvaguardare i livelli occupazionali. Si domanda, quindi, come i componenti dei gruppi Partito democratico e Italia Viva si rapportino su tali questioni con il Movimento cinque stelle.
Franco VAZIO, presidente, constata la disponibilità di tutti i gruppi parlamentari a porre in votazione già nella seduta in corso la proposta di parere favorevole formulata dal relatore.
Nessun altro chiedendo di intervenire, la Commissione approva la proposta di parere favorevole formulata dal relatore.
La seduta termina alle 10.20.