SEDE REFERENTE
Mercoledì 23 gennaio 2019. — Presidenza della presidente della III Commissione, Marta GRANDE. – Interviene il sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Manlio Di Stefano.
La seduta comincia alle 14.10.
Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa contro il traffico di organi umani, fatta a Santiago de Compostela il 25 marzo 2015, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno.
C. 1122 Governo.
(Esame e rinvio).
Le Commissioni iniziano l'esame del provvedimento
Marta GRANDE, presidente, nel sostituire la relatrice per la III Commissione, Sabrina De Carlo, impossibilitata a prendere parte alla seduta, illustra i contenuti della Convenzione in esame e, più generale, il quadro giuridico-internazionale nel quale essa s'inserisce. Sottolinea che la Convenzione del Consiglio d'Europa contro il traffico di organi umani del 25 marzo 2015 si propone di contribuire all'abolizione di tale traffico mediante l'introduzione di una serie di fattispecie penali nell'ordinamento giuridico delle Parti contraenti. Osserva che la complessa trama pattizia internazionale richiamata nel preambolo della Convenzione in esame ha già assicurato un'efficace lotta ai traffici di organi umani nel quadro del contrasto alla tratta di persone: tuttavia, resta al di fuori del vigente quadro normativo l'eventualità nella quale il donatore non sia stato coercitivamente indotto a privarsi di una parte del proprio corpo o non sia considerato vittima di traffico di esseri umani, fermo restando che il consenso all'espianto di organi può essere ottenuto illegalmente anche mediante corresponsione di somme di denaro o di altri benefici. Pag. 13Rileva che proprio a tale fattispecie la Convenzione in esame intende applicare specifiche disposizioni.
Tra gli strumenti internazionali che disciplinano l'azione di contrasto al traffico di esseri umani al fine di rimuoverne gli organi ricorda, in primo luogo, i tre protocolli adottati a livello delle Nazioni Unite, rispettivamente finalizzati alla prevenzione, soppressione e persecuzione del traffico di esseri umani, in particolar modo donne e bambini ed alla lotta al traffico illecito di migranti via terra, via aria e via mare, adottati il 15 novembre 2000 nel corso del Meeting del Millennio dell'Assemblea generale dell'ONU (con risoluzione A/RES/55/25), ed aperti alla firma nella Conferenza politica ad alto livello svoltasi a Palermo dal 12 al 15 dicembre 2000.
Richiama altresì la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani fatta a Varsavia il 16 maggio 2005, in vigore a livello internazionale dal 1o febbraio 2008 e ratificata da quarantasei Paesi tra i quali l'Italia, ai sensi della legge n. 108 del 2010.
Rammenta altresì la Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, firmata nella città asturiana il 4 aprile 1997, in vigore dal 1o dicembre 1999 e ratificata da ventinove Paesi tra i quali l'Italia (legge n. 145 del 2001): rileva che in questo caso non è stato ancora perfezionato il procedimento di ratifica, poiché non è stato depositato lo strumento di ratifica presso il Consiglio d'Europa.
Sottolinea che la Convenzione in esame si compone di 33 articoli raggruppati in nove capitoli.
Osserva che il capitolo I (articoli 1-3) è dedicato alle finalità della Convenzione, rinvenute nella prevenzione e nel contrasto al traffico di organi umani tramite la previsione dell'incriminazione di determinate condotte, proteggendo contestualmente i diritti delle vittime dei reati individuati; la Convenzione si propone altresì di facilitare la cooperazione internazionale su azioni volte al contrasto dei traffici di organi umani.
Evidenzia che l'ambito di applicazione della Convenzione è quello del traffico di organi umani a scopo di trapianto, come anche di altre forme di rimozione o di innesto illegale di organi umani. Le misure di tutela dei diritti delle vittime di traffico di organi umani ai sensi della Convenzione in esame dovranno essere assicurate senza alcun tipo di discriminazione in base al sesso, alla razza, alla lingua, alla religione, all'opinione politica, alla condizione sociale o nazionale, all'orientamento sessuale, alla disabilità.
Rileva che il capitolo II (articoli 4-14) concerne il diritto penale sostanziale, con l'indicazione delle figure di reato che le Parti sono tenute a introdurre nei rispettivi ordinamenti in relazione all'oggetto della Convenzione in esame. È previsto anzitutto che ciascuna delle Parti introdurrà nel proprio ordinamento il reato di rimozione di organi umani da donatori in vita o deceduti, intenzionalmente commesso, se la rimozione è effettuata senza il consenso libero e informato del donatore, ovvero, se questi sia già deceduto, senza un'autorizzazione alla rimozione conforme alla legislazione nazionale.
Segnala che verrà altresì considerata condotta criminale la corresponsione o anche la semplice offerta al donatore in vita o ad una parte terza di un compenso finanziario o di analogo beneficio in cambio della rimozione di organi. Infine, sarà parimenti criminalizzata la condotta consistente nell'offerta o nella corresponsione a una parte terza di un compenso finanziario o di analogo beneficio in cambio della rimozione di organi da un donatore deceduto.
Sottolinea che le Parti sono altresì impegnate a prevedere il reato di adescamento e reclutamento di donatori o riceventi di organi, qualora effettuato per compenso finanziario o analogo beneficio, ed anche da terze parti rispetto al ricevente degli organi. Verranno altresì criminalizzate l'offerta o la richiesta di indebiti benefici nei confronti di professionisti medico-sanitari, di funzionari pubblici o di persone operanti per conto di enti del Pag. 14settore privato, volte a facilitare la rimozione o l'innesto illegali di un organo umano.
Rileva che, alla stessa stregua, saranno criminalizzate le condotte collegate alla preparazione e conservazione di organi umani illegalmente rimossi, come anche al loro trasporto, ricezione, importazione ed esportazione. Le Parti adotteranno inoltre misure opportune per la criminalizzazione del favoreggiamento e della complicità nel perpetrare reati connessi al traffico illegale di organi, come anche del mero tentativo della commissione di detti reati.
Evidenzia la previsione per cui le misure legislative di diritto penale sostanziale introdotte da ciascuna delle Parti della Convenzione in esame non dovranno essere subordinate necessariamente alla denuncia da parte della vittima o al trasferimento di informazioni da parte di uno Stato nel cui territorio sia stato commesso un reato (articolo 10).
Segnala che è altresì contemplata la responsabilità degli enti per i reati introdotti ai sensi della Convenzione in esame, se commessi a loro vantaggio da una persona fisica dotata di un potere di rappresentanza o di decisione per conto dell'ente stesso, come anche di un potere di controllo al suo interno.
Sottolinea che gli enti verranno altresì ritenuti responsabili per omesso controllo da parte di una persona fisica ad essi riconducibili, dal quale sia derivato un beneficio per l'ente medesimo.
Osserva che il capitolo III (articoli 15-17) riguarda il diritto penale processuale: rileva in particolare la previsione per la quale, in riferimento agli specifici reati introdotti dalla Convenzione in esame e nell'eventuale carenza di un trattato bilaterale tra due delle Parti contraenti in materia di assistenza giudiziaria penale o di estradizione, la Convenzione in esame possa costituire la base legale sostitutiva.
Evidenzia che il capitolo IV (articoli 18-20) concerne le misure di protezione delle vittime di reati individuati nella Convenzione in esame, ovvero dei testimoni nell'ambito dei relativi procedimenti penali: tali misure di protezione riguardano sia la condizione di sicurezza e il benessere psico-fisico delle vittime dei reati, che la posizione di esse nell'ambito del procedimento penale – con estensione di tali misure per analogia anche ai testimoni.
Sottolinea l'importanza di quanto stabilito, in ordine alle misure di prevenzione, dal capitolo V (articoli 21-22). In particolare, ciascuna delle Parti è impegnata ad adottare misure legislative o di altra natura volte ad assicurare l'esistenza di un sistema nazionale trasparente per il trapianto di organi umani e di un equo accesso a tale sistema per i pazienti.
Segnala che il capitolo VI (articoli 23-25) è dedicato ai meccanismi di controllo della Convenzione: in questo ambito particolare importanza riveste la funzione del Comitato delle Parti, composto da rappresentanti dei vari Stati contraenti della Convenzione, nonché, ma senza diritto di voto, da altri rappresentanti dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, del Comitato europeo sui problemi penali e di altri comitati intergovernativi e scientifici del Consiglio d'Europa competenti per materia.
Osserva che il Comitato delle Parti è competente a monitorare l'attuazione della Convenzione in esame utilizzando un approccio multisettoriale e multidisciplinare, facilitando tra l'altro la raccolta e lo scambio di informazioni, di esperienze e di buone prassi tra gli Stati partecipanti. Laddove opportuno il Comitato esprime opinioni e formula specifiche raccomandazioni, identifica eventuali problemi che possano insorgere dall'applicazione della Convenzione o dagli effetti di dichiarazioni o riserve ad essa.
Rileva che il capitolo VII, costituito dal solo articolo 26, disciplina le relazioni della Convenzione in esame con altri strumenti internazionali, salvaguardando i diritti e doveri derivanti per le Parti della Convenzione in esame nei confronti di altri strumenti internazionali di cui sono o diverranno parti, e che contengano disposizioni su materie oggetto anche della Convenzione in esame. Evidenzia che le Parti della Convenzione potranno inoltre concludere tra loro ulteriori accordi bilaterali Pag. 15o multilaterali, per arricchire le sue disposizioni o facilitare l'applicazione dei principi in essa contenuti.
Evidenzia, infine, che i capitoli VIII (articolo 27) e IX (articoli 28-33) disciplinano gli emendamenti alla Convenzione e le clausole finali.
Conclusivamente, raccomanda una rapida conclusione del disegno di legge di ratifica, già approvato dalla Camera nella scorsa legislatura, che è perfettamente coerente con l'intenso e costante impegno profuso dal nostro Paese per la promozione dei diritti umani a livello internazionale, riconosciuto anche dalla recente elezione dell'Italia al Consiglio per i Diritti umani dell'ONU, per il periodo 2019-2021, con 180 voti da parte dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Sottolinea che si tratta di un impegno che il Parlamento della XVIII legislatura intende sviluppare, anche attraverso l'approvazione di accordi di questo tipo, nei riguardi di alcune grandi questioni umanitarie di rilievo globale, come il contrasto delle discriminazioni a carattere religioso e la piena garanzia della libertà di religione; la protezione dei bambini e dei minori; la concreta tutela delle persone con disabilità; l'effettiva parità delle donne nella società; l'estensione della moratoria della pena di morte nel mondo; e la lotta contro ogni tratta di esseri umani.
Luca Rodolfo PAOLINI (Lega), relatore per la II Commissione, prima di passare ad illustrare il contenuto del disegno di legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione in titolo, che si compone di otto articoli ed ha un contenuto identico all'A.S. 2833, approvato dalla Camera dei deputati nella scorsa legislatura (l'11 maggio 2017), rammenta che sul tema del traffico di organi è stata approvata la legge n. 236 del 2016. Tale legge ha introdotto nel codice il nuovo articolo 601-bis, che prevede il delitto di traffico di organi prelevati da persona vivente.
Rammenta, in particolare, che il nuovo articolo 601-bis punisce il commercio illecito di organi, prevedendo la reclusione da 3 a 12 anni e la multa da 50.000 a 300.000 euro a carico di chiunque illecitamente commercia, vende, acquista ovvero, in qualsiasi modo o a qualsiasi titolo, procura o tratta organi o parti di organi prelevati da persona vivente. Se autore del fatto è un esercente una professione sanitaria, la condanna comporta la pena accessoria dell'interdizione perpetua dall'esercizio della professione. Il presupposto per l'applicazione della fattispecie penale è che gli organi siano trattati illecitamente. La disposizione è dunque destinata a trovare applicazione in caso di violazione della disciplina del trapianto di organi e tessuti prelevati da vivente attualmente in vigore; punisce con la reclusione da 3 a 7 anni e la multa da 50.000 a 300.000 euro le due diverse condotte di organizzazione o propaganda di viaggi finalizzati al traffico di organi e di pubblicizzazione o diffusione con qualsiasi mezzo (anche per via informatica o telematica) di annunci finalizzati al suddetto traffico.
Evidenzia che l'entità delle pene consente l'applicazione della legge italiana anche quando i fatti siano commessi all'estero. Rammenta, inoltre, che la legge ha modificato il reato di associazione per delinquere, previsto dall'articolo 416 codice penale, per prevedere che lo stesso sia aggravato quando l'associazione è finalizzata a commettere i reati di traffico di organi prelevati da persona vivente, di traffico di organi provenienti da cadaveri e di mediazione a scopo di lucro nella donazione di organi da vivente. Il reato aggravato comporta l'applicazione della pena della reclusione da 5 a 15 anni o da 4 a 9 anni, a seconda che si tratti dell'attività di promozione, costituzione od organizzazione dell'associazione criminosa, oppure che vi si prenda semplicemente parte.
Segnala, infine, la che legge ha previsto alcune disposizioni di coordinamento con la legislazione sul trapianto di organi già in vigore. In particolare: interviene sulla legge sui trapianti (legge n. 91 del 1999) elevando la pena detentiva prevista per la mediazione, a scopo di lucro, nella donazione di organi da vivente, portandola nel massimo a 8 anni di reclusione (in luogo Pag. 16dei precedenti 6); abroga l'articolo 7 della legge n. 458 del 1967, in materia di trapianto del rene tra persone viventi. Si tratta della disposizione che punisce con la reclusione da 3 mesi a un anno e con la multa da 154 a 3.098 euro chiunque, a scopo di lucro, svolge opera di mediazione nella donazione di un rene. La disposizione è infatti superata dalla nuova fattispecie penale inserita nel codice.
Ciò premesso, nel passare all'illustrazione del contenuto del disegno di legge in esame, segnala che l'articolo 1 reca l'autorizzazione alla ratifica, mentre l'articolo 2 contiene l'ordine di esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa contro il traffico di organi (Santiago di Compostela, 25 marzo 2015). Al riguardo, ricorda che la Convenzione si propone di contribuire all'abolizione di tale traffico mediante l'introduzione di una serie di fattispecie penali nell'ordinamento giuridico delle Parti contraenti. In particolare, posto che accordi internazionali precedenti hanno già assicurato una efficace lotta ai traffici di organi umani nell'ambito del contrasto alla tratta di persone, la Convenzione di Santiago de Compostela si occupa dell'eventualità nella quale il donatore non sia stato coercitivamente indotto a privarsi di una parte del proprio corpo o non sia considerato vittima di traffico di esseri umani, ma comunque il suo consenso all'espianto sia stato ottenuto illegalmente, anche mediante corresponsione di somme di denaro o di altri benefici.
Fa presente che l'articolo 3 del disegno di legge modifica il codice penale: introducendo una ulteriore aggravante del delitto di associazione a delinquere, di cui all'articolo 416 del codice penale, quando l'associazione è finalizzata – oltre che a commettere il reato di traffico di organi prelevati da persona vivente (articolo 601-bis del codice penale, introdotto dalla citata legge n. 236) – a commettere il reato di prelievo di organi da persona vivente (articolo 601-ter) e di uso di organi prelevati illecitamente da persona vivente (articolo 601-quater). Il reato aggravato comporta l'applicazione della pena della reclusione da 5 a 15 anni o da 4 a 9 anni, a seconda che si tratti dell'attività di promozione, costituzione od organizzazione dell'associazione criminosa, oppure che vi si prenda semplicemente parte (lettera a); inserendo il delitto di prelievo di organi da persona vivente (articolo 601-ter del codice penale). La disposizione punisce con la reclusione da 6 a 12 anni chiunque illecitamente preleva un organo, parte di un organo o un tessuto da persona vivente. La fattispecie è costruita come reato comune (chiunque) e la pena individuata è analoga a quella prevista per le lesioni personali gravissime. Il presupposto per l'applicazione della fattispecie penale è che gli organi siano prelevati illecitamente; la disposizione è dunque destinata a trovare applicazione in caso di violazione della disciplina sul trapianto di organi e tessuti prelevati da vivente; inserendo il delitto di uso di organi prelevati illecitamente da persona vivente (articolo 601-quater del codice penale). La disposizione prevede l'applicazione della pena prevista dall'articolo 601-ter (reclusione da 6 a 12 anni), ridotta di un terzo (e dunque l'applicazione della pena della reclusione da 4 a 8 anni) a carico di chiunque, non concorrendo nel reato di prelievo illecito di organi da persona vivente, faccia uso dell'organo o del tessuto. La disposizione, che si applica quando la condotta non integra un più grave reato, pare destinata a punire tanto colui che «beneficia» del trapianto dell'organo o del tessuto quanto il medico che realizza l'intervento di trapianto utilizzando l'organo o il tessuto illecitamente prelevati; inserendo il delitto di violazione degli obblighi dell'esercente la professione sanitaria in materia di prelievo e uso di organi (articolo 601-quinquies del codice penale). La disposizione punisce con la reclusione da 4 a 10 anni l'esercente una professione sanitaria che si presta al traffico illecito di organi, rendendosi disponibile ad effettuare un prelievo o ad utilizzare un organo prelevato illecitamente, dietro promessa o corresponsione di un'utilità per se stesso o per altri. Alla condanna consegue, in base all'articolo 601-septies, l'interdizione perpetua dall'esercizio Pag. 17della professione. La stessa pena si applica a chi dà, offre o promette il denaro o altra utilità; introducendo un'aggravante dei delitti di cui agli articoli 601-bis, 601-ter, 601-quater e 601-quinquies del codice penale – con applicazione della pena della reclusione tra 7 e 12 anni – quando i fatti sono commessi in danno di un minorenne o di una persona in stato di inferiorità psichica o fisica (articolo 601-sexies del codice penale). Se la persona sottoposta a prelievo o a trapianto muore, si applica la pena della reclusione da 12 a 24 anni; introducendo la pena accessoria della interdizione perpetua dall'esercizio della professione sanitaria (articolo 601-septies del codice penale) a carico del medico che sia condannato per uno dei nuovi delitti previsti dagli articoli 601-ter, 601-quater e 601-quinquies; modificando l'articolo 601-bis del codice, introdotto dalla recente legge n. 236 del 2016, per punire anche il traffico di tessuti, oltre che di organi.
Rileva che con l'articolo 4 vengono aggiunti i delitti in materia di traffico di organi da persona vivente introdotti nel codice penale (articoli da 601-bis a 601-quinquies) tra quelli per i quali è prevista la responsabilità amministrativa degli enti, di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001. Rammenta che, come è noto, la disciplina di cui al citato decreto legislativo n. 231 del 2001 concerne gli enti, società ed associazioni (anche prive di personalità giuridica) privati, nonché gli enti pubblici economici, i quali sono responsabili (sulla base della specifica normativa) sotto il profilo amministrativo, per i reati commessi da determinati soggetti nell'interesse o a vantaggio dell'ente (o società o associazione) stesso. La sanzione pecuniaria a carico dell'ente «responsabile» di uno dei delitti è stabilita tra 400 quote e 1.000 quote (articolo 25-quinquies.1). Rammento che l'importo di una quota va da un minimo di 258 a un massimo di 1.549 euro. Se i reati sono relativi a organi, parti di organi e tessuti prelevati da cadavere, la sanzione pecuniaria per l'ente è dimezzata (da 200 a 500 quote).
Fa presente che, ai sensi dell'articolo 5, il Governo italiano, al momento del deposito dello strumento di ratifica, si riserverà il diritto di non applicare le disposizioni dell'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), che impongono a ciascuna Parte di adottare le misure necessarie per definire la giurisdizione su qualsiasi reato che sia commesso «da una persona che ha la sua residenza abituale sul proprio territorio». La riserva si fonda sulla circostanza che, nell'ordinamento penale italiano, non ha rilevanza il criterio della residenza abituale.
Rammenta che l'articolo 6 individua nel Ministero della Giustizia-Dipartimento per gli affari di giustizia, il punto di contatto responsabile per lo scambio di informazioni relative al traffico di organi umani (comma 1). Le denunce sono presentate al punto di contatto per l'inoltro al competente Stato Parte della Convenzione medesima (comma 2).
Evidenzia inoltre che l'articolo 7 del disegno di legge prevede la consueta clausola di invarianza finanziaria, demandando alle pubbliche amministrazioni l'attuazione della riforma con le risorse disponibili a legislazione vigente; l'articolo 8 prevede, infine, l'entrata in vigore del provvedimento senza vacatio legis, ovvero il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Ciò premesso, evidenzia l'opportunità che le Commissioni avviino un articolato ciclo di audizioni al fine di approfondire l'impatto delle norme di adeguamento recate dal provvedimento.
Laura BOLDRINI (LeU) si associa alla proposta di avviare un ciclo di audizioni, al fine di approfondire i delicati e complessi profili della materia oggetto del provvedimento.
Marta GRANDE, presidente, convenendo sull'opportunità che le Commissioni procedano ad un ciclo di approfondimenti istruttori, d'intesa con la presidente della II Commissione, rinvia alle determinazioni che potranno essere assunte dagli Uffici di presidenza, integrati dai rappresentanti Pag. 18dei gruppi, delle Commissioni, anche ai fini della ulteriore organizzazione dei lavori, preannunciando fin da ora che le Commissioni potranno essere nuovamente convocate per il seguito dell'esame preliminare del provvedimento nella giornata di mercoledì 30 gennaio.
Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.
Ratifica ed esecuzione del Protocollo n. 15 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013, e del Protocollo n. 16 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 2 ottobre 2013.
C. 1124 Governo e C. 35 Schullian.
(Esame e rinvio).
Le Commissioni iniziano l'esame dei provvedimenti.
Yana Chiara EHM (M5S), relatrice per la III Commissione, nel delineare il quadro giuridico-internazionale nel quale si collocano i due protocolli in esame, sottolinea che la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatta a Roma, 4 novembre 1950 ed entrata in vigore il 3 settembre 1953, è stata ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848: il testo della Convenzione, che ha delineato un sistema di protezione dei diritti umani da più parti riconosciuto come la più perfezionata struttura del genere operante al mondo, è stato successivamente integrato dal Protocollo n. 2 e modificato dai Protocolli n. 3, n. 5 e n. 8.
Evidenzia che il Protocollo n. 11, entrato in vigore il 1o novembre 1998, ha sostituito tali modifiche e integrazioni e ha inoltre abrogato il Protocollo n. 9.
Rileva che il sistema ha un carattere sussidiario rispetto alle forme di protezione dei diritti umani esistenti negli ordinamenti degli Stati membri: infatti, l'articolo 26 della Convenzione, pone la regola del «previo esaurimento dei ricorsi interni» rispetto all'attivazione del sistema internazionale.
Osserva che l'obiettivo del Consiglio d'Europa, in linea del resto con i princìpi internazionali in materia di tutela dei diritti umani, è infatti quello di assicurare che il rispetto dei diritti umani sia assicurato innanzitutto dagli ordinamenti interni.
Segnala che la Convenzione è articolata in tre parti: il Titolo I, che enuncia una serie di diritti delle singole persone; il Titolo II sulla Corte europea dei diritti dell'uomo e il Titolo III, che contiene disposizioni diverse e stabilisce gli obblighi degli Stati contraenti.
Sottolinea che il Protocollo n. 11 (ratificato dall'Italia con la legge 28 agosto 1997, n. 296) ha riformato radicalmente il sistema europeo di protezione dei diritti umani costituito dalla Convenzione.
Ricorda che l'esigenza di tale riforma scaturiva dal notevole incremento dei ricorsi sottoposti agli organi di tale sistema nonché dall'aumento del numero dei paesi membri della Convenzione.
Evidenzia che i due aspetti più rilevanti introdotti dal Protocollo n. 11 sono stati: la generalizzazione del diritto di ricorso individuale, in precedenza previsto da una clausola opzionale e che si impone invece ora a tutti gli Stati parte, collocando il ricorrente individuale sullo stesso piano dello Stato; la soppressione del potere decisionale spettante all'organo politico del Consiglio d'Europa, il Comitato dei ministri, che ha completato la giurisdizionalizzazione del sistema.
Osserva che negli anni successivi al 1950, alla Convenzione sono stati aggiunti dei Protocolli. Tra di essi, richiama il quattordicesimo, ratificato dal nostro Paese con la legge 15 dicembre 2005, n. 280, che ha apportato modifiche come l'introduzione di un nuovo criterio di ricevibilità, il trattamento di casi che si ripetono o di casi chiaramente inammissibili, per un più efficace funzionamento della Corte europea dei diritti umani.
Rileva che il disegno di legge in esame, già approvato dalla Camera nella scorsa Pag. 19legislatura, reca la ratifica ed esecuzione dei Protocolli n. 15 e n. 16, recanti emendamenti alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatti rispettivamente a Strasburgo il 24 giugno e il 2 ottobre 2013.
Segnala che il Protocollo n. 15 non è ancora in vigore a livello internazionale: è stato sinora firmato da 45 Stati membri del Consiglio d'Europa, 43 dei quali hanno depositato gli strumenti di ratifica (non lo ha ancora fatto, oltre all'Italia, la Bosnia-Erzegovina, che ha firmato il Protocollo l'11 maggio 2018).
Sottolinea che il Protocollo n. 16 è invece in vigore dal 1o agosto 2018 avendo raggiunto le 10 ratifiche da parte di Stati membri del Consiglio d'Europa. Gli strumenti di ratifica sono stati depositati da Albania, Armenia, Estonia, Finlandia, Francia, Georgia, Lituania, San Marino, Slovenia e Ucraina.
Osserva che il processo che ha portato all'adozione dei Protocolli n. 15 e 16 è derivato, anzitutto, dalla consapevolezza delle criticità nel funzionamento della Corte europea dei diritti dell'uomo che, nel tempo, ha accusato notevoli problemi di arretrato, col rischio di realizzare essa stessa una violazione di uno dei diritti fondamentali da essa stessa tutelati, quello relativo alla durata ragionevole del processo (articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, CEDU).
Evidenzia che è apparso inoltre necessario adeguare la struttura e le procedure della Corte a un'utenza potenziale che raggiunge ormai circa ottocento milioni di cittadini. Sottolinea che il dibattito sulla riforma della Corte europea dei diritti umani è culminato nella Conferenza di Brighton dell'aprile 2012, una volta constatata l'insufficienza del vigente quadro convenzionale ed in particolare di misure come l'introduzione di un giudice unico chiamato a decidere i casi manifestamente inammissibili, nonché l'ampliamento delle competenze attribuite ai comitati composti di soli tre giudici e l'aggiunta di un criterio di ammissibilità per il quale la Corte può rifiutare i ricorsi in mancanza di un pregiudizio importante dei diritti del ricorrente.
Rileva che, sulla scia della dichiarazione finale di Brighton – in particolare dell'obbligo degli Stati di provvedere all'attivazione della Convenzione, rafforzando tuttavia il principio di sussidiarietà e il principio del margine di apprezzamento nel rapporto delle rispettive giurisdizioni con la Corte europea – è stato redatto il Protocollo n. 15.
Ricorda che il margine di apprezzamento è costituito dall'ambito in cui la Corte riconosce agli Stati libertà di azione e di manovra, prima di dichiarare che una misura statale di deroga, di limitazione o di interferenza con una libertà garantita dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo configuri una concreta violazione della Convenzione stessa.
Per quanto concerne il contenuto del Protocollo n. 15 in oggetto, rileva che esso consta di un preambolo e nove articoli, il primo dei quali aggiunge un ulteriore considerando alla fine del preambolo della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nel quale si ribadisce la primaria responsabilità delle Parti contraenti, in conformità al principio di sussidiarietà, nel garantire il rispetto dei diritti e delle libertà definiti nella Convenzione medesima e nei suoi Protocolli. Si ribadisce altresì che le Parti contraenti godono di un margine di apprezzamento nell'attuazione delle disposizioni della Convenzione, sotto il controllo della Corte europea dei diritti umani.
Sottolinea che l'articolo 2 aggiunge un paragrafo dopo il paragrafo 1 dell'articolo 21 della Convenzione, dedicato alle condizioni per l'esercizio delle funzioni di giudice della Corte europea dei diritti umani: in base alla nuova formulazione, i candidati dovranno avere meno di 65 anni di età alla data in cui la lista dei tre candidati di ciascuna Parte contraente deve pervenire all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, come previsto dal successivo articolo 22 della Convenzione.
Segnala che l'articolo 3 prevede la soppressione della parte finale dell'articolo 30 della Convenzione, e segnatamente Pag. 20della possibilità che una delle Parti si opponga alla rimessione alla Grande Camera (Grande Chambre) di una questione oggetto di ricorso innanzi a una Camera della Corte europea, la quale sollevi gravi problemi interpretativi, o la cui soluzione rischi di andare in contrasto con la precedente giurisprudenza della Corte.
Osserva che l'articolo 4 interviene sull'articolo 35, paragrafo 1 della Convenzione, che riguarda le condizioni di ricevibilità dei ricorsi alla Corte europea dei diritti dell'uomo: in particolare, è prevista la possibilità di adire la Corte entro sei mesi a partire dalla data della decisione definitiva di un tribunale nazionale di una delle Parti contraenti della Convenzione. Rileva che la formulazione dell'articolo 4 del Protocollo n. 15 abbassa tale periodo a quattro mesi, accorciando pertanto la finestra temporale entro la quale esercitare l'opzione di ricorso alla Corte europea.
Evidenzia che l'articolo 5 interviene ugualmente sull'articolo 35 della Convenzione, ma sul paragrafo 3, lettera b), che riguarda una delle condizioni di irricevibilità di un ricorso da parte della Corte europea, e in particolare la fattispecie per la quale il ricorrente non abbia subito un pregiudizio importante dei propri diritti.
Sottolinea che l'articolo 5 del Protocollo n. 15 in esame sopprime l'ultima parte della lettera b), rimuovendo dal giudizio della Corte sull'entità del pregiudizio subito dal ricorrente la preoccupazione di non rigettare ricorsi non debitamente esaminati dai tribunali interni. Si ottiene in tal modo una maggiore agilità nel giudizio di apprezzamento della Corte sull'entità del pregiudizio subito dal ricorrente.
Segnala, infine, che gli articoli da 6 a 9 contengono disposizioni finali e transitorie del Protocollo.
Venendo ai contenuti del Protocollo n. 16, ricorda che esso si ricollega alle conclusioni della richiamata conferenza di Brighton che avevano affermato l'opportunità di introdurre un ulteriore potere della Corte europea, che gli Stati Parte avrebbero potuto accettare in via facoltativa, ovvero il potere di emettere su richiesta pareri consultivi sull'interpretazione della Convenzione, nell'ambito di una specifica causa livello nazionale.
Rileva che ciò costituisce l'oggetto del Protocollo n. 16 in esame, che si compone di un preambolo e di 11 articoli, il primo dei quali prevede che le più alte giurisdizioni di ciascuna Parte contraente, designate come previsto nell'articolo 10 del Protocollo, possano presentare alla Corte europea richiesta di pareri consultivi su questioni di principio concernenti i diritti e le libertà definiti dal sistema della Convenzione europea e relativi protocolli. Precisa che viene altresì specificato che tali pareri consultivi possono essere richiesti solo nell'ambito di una causa pendente dinanzi alla giurisdizione che presenta la domanda, la quale deve altresì motivare la richiesta di parere e produrre elementi di fatto e di diritto emersi nella causa.
Osserva che l'articolo 2 prevede il ruolo centrale della Grande Camera: infatti un collegio di cinque giudici ad essa appartenenti decide l'accoglimento della richiesta di parere consultivo, motivando l'eventuale rigetto di essa. Il parere consultivo, se la richiesta è accolta, è poi emesso dalla Grande Camera. Sono previste garanzie per le quali nel collegio e nella Grande Camera siano rappresentate le istanze della Parte richiedente, con la presenza del giudice ad essa riferito o di persona comunque ad essa gradita.
Evidenzia che l'articolo 3 conferisce al Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa e alla Parte contraente da cui proviene la richiesta di parere il diritto di presentare osservazioni scritte e di prendere parte alle udienze. Peraltro il Presidente della Corte europea può invitare anche altre Parti contraenti o persone ad esercitare le medesime prerogative.
Segnala che, in base agli articoli da 4 a 6, i pareri consultivi emessi dalla Grande Camera sono motivati e pubblicati, ed è altresì prevista la dissenting opinion. I pareri consultivi non sono vincolanti. Sottolinea che le Parti contraenti considerano Pag. 21gli articoli da 1 a 5 del Protocollo in esame come articoli addizionali alla Convenzione europea dei diritti umani.
I rimanenti articoli da 7 ad 11 del Protocollo in esame, rileva che essi contengono le consuete disposizioni finali: depositario del Protocollo sarà il Segretario generale del Consiglio d'Europa.
Ricorda che i due progetti di legge in esame – il disegno di legge C. 1124, d'iniziativa governativa, la proposta di legge C. 35 presentata dal deputato Schullian ed altri – riproducono il contenuto di un progetto di legge già approvato dalla Camera dei deputati nella scorsa legislatura.
Conclude formulando l'auspicio di una pronta approvazione del disegno di legge che consentirà al nostro Paese di aderire ad un importante riforma del sistema della Convenzione di Roma, dando un'ulteriore concreta testimonianza dell'impegno per una piena salvaguardia dei diritti umani a livello planetario che, come ha notato precedentemente la collega De Carlo, costituisce un tratto caratterizzante della nostra politica estera.
Iolanda DI STASIO (M5S), relatrice per la II Commissione, nel passare ad illustrare gli abbinati provvedimenti di ratifica ed esecuzione dei protocolli in titolo, segnala che il disegno di legge del Governo (C. 1124, che riproduce il contenuto dell'A.S. 2921, già approvato dalla Camera dei deputati nella scorsa legislatura) e la proposta di legge dell'onorevole Schullian, entrambi composti da 4 articoli, presentano identico contenuto, con un'unica limitata differenza al comma 3 dell'articolo 3, che illustrerò successivamente.
Fa presente che gli articoli 1 e 2 dei citati progetti di legge contengono, rispettivamente, l'autorizzazione alla ratifica dei Protocolli nn. 15 e 16, appena illustrati dal collega Ehm, e il relativo ordine di esecuzione. In particolare, l'articolo 2 precisa che è data piena ed intera esecuzione ai citati protocolli a decorrere dalla data della loro entrata in vigore. Segnalo a tale proposito che, in conformità a quanto disposto dall'articolo 7 del Protocollo n. 15, esso entrerà in vigore il primo giorno del mese successivo alla scadenza dei tre mesi decorrenti dalla data in cui tutte le Alte parti contraenti la Convenzione dei diritti dell'uomo abbiano espresso il loro consenso ad essere vincolate dal Protocollo. Come precisato dal medesimo Protocollo il consenso si intende espresso attraverso una firma senza riserve o attraverso una firma che, secondo le procedure nazionali, debba essere soggetta a ratifica, accettazione o approvazione. Ricordo che allo stato, oltre all'Italia, anche la Bosnia Erzegovina non ha ancora depositato gli strumenti di ratifica del Protocollo n. 15. Evidenzio inoltre che, in conformità a quanto disposto dall'articolo 8 del Protocollo n. 16 (che a differenza del precedente è un Protocollo opzionale), esso è entrato in vigore il 1o agosto 2018, vale a dire il primo giorno del mese successivo alla scadenza dei tre mesi decorrenti dalla data in cui dieci Alte Parti contraenti la Convenzione hanno espresso il loro consenso attraverso le medesime modalità sopra descritte.
Rammenta che l'articolo 3 dei progetti di legge in esame costituisce attuazione dell'articolo 10 del Protocollo n. 16 che prevede che ogni Parte contraente della Convenzione debba indicare al momento della firma o del deposito dello strumento di ratifica quali siano le alte giurisdizioni che possono fare richiesta dei pareri consultivi, non vincolanti, alla Corte europea dei diritti dell'uomo su questioni di principio relative all'interpretazione o applicazione dei diritti e delle libertà contemplati dalla Convenzione EDU e dai suoi Protocolli. La ratio dell'istituto non è quella di trasferire la causa alla Corte, quanto, piuttosto, di conferire all'autorità giudiziaria che presenta la richiesta i mezzi necessari per garantire il rispetto dei diritti previsti nella Convenzione durante l'esame della causa pendente dinanzi ad essa e, in prospettiva, di evitare l'intervento dei giudici sovranazionali successivamente all'esaurimento delle vie di ricorso interne.
Osserva che le alte giurisdizioni nazionali che possono presentare alla Grande Camera della CEDU le richieste di parere Pag. 22consultivo sono, ai sensi del comma 1: la Corte di cassazione; il Consiglio di Stato; la Corte dei conti; il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana. Si tratta di giudici di ultima istanza del processo penale, civile, amministrativo, contabile, tributario e militare. Come stabilito dall'articolo 1 del Protocollo, la richiesta di parere deve essere presentata nell'ambito di una causa pendente dinanzi all'autorità giudiziaria che presenta la richiesta. Viene quindi parzialmente meno la differenza tra l'investitura della CEDU, possibile solo a processo definito a livello nazionale e quindi dopo la formazione del giudicato, e quella della Corte di Giustizia dell'Unione europea, che viene operata in sede di richiesta pregiudiziale nel corso del giudizio pendente a livello nazionale. Oggi la Corte EDU potrà essere chiamata anche in corso di causa ad esprimere un parere consultivo sulla questione sottoposta dal giudice nazionale. Il giudice che abbia un dubbio in ordine all'interpretazione o applicazione di una disposizione alla luce della CEDU, nell'ambito di una causa pendente, potrà dunque adire la Corte Edu. Resta tuttavia fermo il principio in base al quale, nel nostro ordinamento, il giudice non potrà disapplicare direttamente la disposizione in contrasto con la CEDU, ma dovrà in ogni caso sollevare la questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale deducendo la violazione dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione al parametro interposto costituito dalle stesse norme della Convenzione.
Rammenta che la Corte costituzionale ha infatti sempre affermato la sua competenza a risolvere, attraverso il sindacato di legittimità costituzionale, il contrasto tra norme interne e norme pattizie internazionali (Corte costituzionale, nn. 348 e 349 del 2007; n. 39/2008; nn. 311 e 317 del 2009; nn. 138 e 187 del 2010; nn. 1, 80, 113, 236, 303, del 2011). In particolare, essa ha costantemente statuito che l'articolo 117, primo comma, della Costituzione, ed in particolare l'espressione «obblighi internazionali» in esso contenuta, si riferisce alle norme internazionali convenzionali. Così interpretato, esso ha colmato la lacuna prima esistente quanto alle norme che a livello costituzionale garantiscono l'osservanza degli obblighi internazionali pattizi. La conseguenza è che il contrasto di una norma nazionale con una norma convenzionale, in particolare della CEDU, si traduce in una violazione dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione.
Segnala che il comma 2 dell'articolo 3 dei provvedimenti in esame prevede che il giudice che richiede il parere consultivo alla Corte europea dei diritti dell'uomo può disporre la sospensione del processo fino alla ricezione del parere stesso. Si tratta dell'introduzione di una nuova ipotesi di sospensione del processo, che si aggiunge a quelle già previste dall'ordinamento e di seguito richiamate.
Rammenta che nel processo penale, la sospensione facoltativa del procedimento è, anzitutto, possibile in presenza di una questione pregiudiziale; l'articolo 3 del codice di procedura penale prevede, infatti, che il giudice – quando la decisione dipende dalla risoluzione di una controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza, ove ritenga seria la questione e se l'azione a norma delle leggi civili è già in corso – può sospendere il processo fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce la questione. Analoga possibilità di sospensione è previsto dall'articolo 479 del codice di procedura penale secondo il quale, fermo quanto previsto dall'articolo 3, qualora la decisione sull'esistenza del reato dipenda dalla risoluzione di una controversia civile o amministrativa di particolare complessità, per la quale sia già in corso un procedimento presso il giudice competente, il giudice penale, se la legge non pone limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa, può disporre la sospensione del dibattimento, fino a che la questione non sia stata decisa con sentenza passata in giudicato. L'articolo 41 del codice di procedura penale stabilisce, poi, che ove la dichiarazione di ricusazione del giudice, la corte può disporre, con ordinanza, che il giudice sospenda temporaneamente ogni attività Pag. 23processuale. Allo stesso modo, l'articolo 47 del codice di procedura penale stabilisce che, dopo la presentazione della richiesta di rimessione il giudice può disporre con ordinanza la sospensione del processo fino a che non sia intervenuta l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la richiesta.
Rileva che una ipotesi di sospensione obbligatoria del giudizio penale è, invece, disposta dal giudice con ordinanza quando sia proposta una questione di legittimità costituzionale di una legge e il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale (se non ritenga la questione sollevata manifestamente infondata). Analogamente, il processo penale deve essere sospeso, ai sensi dell'articolo 71 del codice di procedura penale, per accertata incapacità dell'imputato (sempre che non debba essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere). Ancora l'articolo 344 del codice di procedura penale impone al giudice di sospendere il processo e al pubblico ministero di richiedere senza ritardo l'autorizzazione a procedere qualora ne sia sorta la necessità dopo che si è proceduto a giudizio direttissimo ovvero dopo che sono state formulate le richieste di giudizio immediato, di rinvio a giudizio, di decreto penale di condanna o dopo che sia stato emesso il decreto di citazione a giudizio (nel processo militare, l'articolo 261 codice penale militare di pace rinvia, per quanto non espressamente stabilito, alla disciplina del codice di procedura penale).
Rammenta che nel processo civile una ipotesi di sospensione facoltativa concordata è dettata dall'articolo 296 del codice di procedura civile nel corso della fase istruttoria. Su istanza delle parti, il giudice istruttore, ove sussistano giustificati motivi, può disporre, per una sola volta, che il processo rimanga sospeso per un periodo non superiore a tre mesi, fissando l'udienza per la prosecuzione del processo medesimo. La sospensione del processo civile è, invece, obbligatoria (articolo 295 del codice di procedura civile) per il giudice in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa. Allo stesso modo, se è presentato regolamento di giurisdizione in cassazione, il giudice – ex articolo 367 del codice di procedura civile – sospende il processo se non ritiene l'istanza manifestamente inammissibile o la contestazione della giurisdizione manifestamente infondata.
Ricorda che nel processo amministrativo, in forza del rinvio operato dall'articolo 79 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, la sospensione del processo è disciplinata dalle stesse disposizioni del codice di procedura civile (oltre che dalle altre leggi e dal diritto dell'Unione europea).
Evidenzia che nel processo contabile, il regolamento di procedura per i giudizi dinnanzi la Corte dei conti (regio decreto 13 agosto 1933, n. 1038) non contiene una disciplina completa delle ipotesi di sospensione del giudizio se non nei casi di incidente di falso (articolo 9 e seguenti); attraverso il rinvio generale previsto dall'articolo 26, si applicano, pertanto, anche qui le disposizioni previste dal codice di procedura civile e, cioè, gli articoli 295 e seguenti nonché le altre norme che, di volta in volta, prevedono l'arresto del procedimento in presenza dei relativi presupposti.
Rammenta che nel processo tributario, l'articolo 39 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, detta una ipotesi di sospensione concordata (su richiesta conforme delle parti) nel caso in cui sia iniziata una procedura amichevole ai sensi delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni stipulate dall'Italia ovvero nel caso in cui sia iniziata una procedura amichevole ai sensi della Convenzione relativa all'eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate n. 90/463/CEE del 23 luglio 1990. Lo stesso articolo 39 stabilisce la sospensione obbligatoria quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle Pag. 24persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio; analogo obbligo di sospensione del processo da parte della commissione tributaria sussiste in ogni altro caso in cui essa stessa o altra commissione tributaria deve risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa.
Nel tornare al contenuto dei provvedimenti al nostro esame, segnala che, ai sensi del comma 3 dell'articolo 3, la Corte costituzionale può provvedere con proprie disposizioni all'applicazione del Protocollo n. 16 e quindi, eventualmente, nell'ambito dell'autonomia dell'organo costituzionale, disciplinare le modalità attraverso le quali rivolgersi in via consultiva alla Corte di Strasburgo. Segnalo che la proposta di legge dell'onorevole Schullian in proposito precisa che tale applicazione da parte della Corte Costituzionale avviene in conformità agli articoli 14, primo comma, e 22, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, recante norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale.
Fa presente, infine, che l'articolo 4 riguarda l'entrata in vigore del provvedimento, che ha luogo il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Laura BOLDRINI (LeU) sottolinea l'esigenza di programmare un ciclo di audizioni anche sul provvedimento in esame, al fine di approfondire, in particolare, gli effetti da esso prodotti sul funzionamento attuale della CEDU.
Marta GRANDE, presidente, nel preannunciare che le Commissioni potranno a riunirsi nella giornata di mercoledì 30 gennaio per il seguito dell'esame preliminare dei provvedimenti in titolo, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 14.40.