UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI
Lunedì 16 luglio 2018.
L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 16.45 alle 17.30.
SEDE REFERENTE
Lunedì 16 luglio 2018. — Presidenza della presidente della VI Commissione, Carla RUOCCO. – Intervengono il Sottosegretario Stato per l'economia e le finanze, Massimo Garavaglia, e il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Claudio Cominardi.
La seduta comincia alle 17.35.
DL 87/2018: Disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese.
C. 924 Governo.
(Esame e rinvio).
Le Commissioni iniziano l'esame del provvedimento.
Carla RUOCCO, presidente, ricorda che la Conferenza dei Presidenti di Gruppo, nella riunione del 10 luglio scorso, ha convenuto di avviare la discussione del provvedimento in Assemblea già a partire dal prossimo martedì 24 luglio.
Giulio CENTEMERO (Lega), relatore per la VI Commissione, introduce la relazione illustrativa del provvedimento in esame, preannunciando che si soffermerà in particolare sugli articoli da 7 a 14, di più diretta competenza della Commissione Finanze.
Ricorda quindi che l'articolo 7 subordina l'applicazione dell'iperammortamento fiscale alla condizione che il processo di trasformazione tecnologica e digitale delle imprese, su cui si fonda l'agevolazione, riguardi strutture produttive situate nel territorio nazionale, ivi incluse le stabili organizzazioni di soggetti non residenti.
Il comma 1 dell'articolo in commento fa riferimento al territorio nazionale di cui all'articolo 6, comma 1.
Ai sensi del comma 2, se nel periodo di fruizione del beneficio i beni agevolati vengono ceduti a titolo oneroso o destinati a strutture produttive situate all'estero, Pag. 4anche se appartenenti alla stessa impresa, si procede al recupero dell'iperammortamento.
Tale recupero avviene attraverso una variazione in aumento del reddito imponibile del periodo d'imposta in cui si verifica la cessione a titolo oneroso o la delocalizzazione degli investimenti agevolati, per un importo pari alle maggiorazioni delle quote di ammortamento complessivamente dedotte nei precedenti periodi d'imposta, senza applicazione di sanzioni e interessi.
Il comma 3 fissa la decorrenza delle norme suesposte, che si applicano agli investimenti effettuati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge, ovvero successivamente al 14 luglio 2018.
Il comma 4 dell'articolo intende coordinare le nuove disposizioni con la disciplina dei c.d. investimenti sostitutivi. Tale disciplina è stata introdotta dai commi 35 e 36 dell'articolo 1 della legge n. 205 del 2017 e prevede che non venga meno il beneficio dell'iperammortamento – per le quote residue – se il bene originariamente agevolabile viene sostituito nel tempo con un bene materiale strumentale nuovo (avente caratteristiche tecnologiche analoghe), purché il nuovo abbia caratteristiche tecnologiche analoghe o superiori e siano soddisfatte le altre condizioni di legge. Nel caso di investimenti sostitutivi, il comma 4 in esame impedisce che si applichi la revoca dell'agevolazione (di cui al comma 2), anche in caso di delocalizzazione.
L'articolo 8 esclude dal credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo (previsto dal decreto-legge n. 145 del 2013) taluni costi di acquisto – anche in licenza d'uso – di beni immateriali connessi ad operazioni tra imprese del medesimo gruppo. Si tratta, in particolare, di spese relative a competenze tecniche e privative industriali. La disposizione trova applicazione a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del decreto-legge in esame).
In particolare l'articolo, al comma 1, riconduce alla nozione di imprese appartenenti al medesimo gruppo, le imprese controllate da medesimo soggetto, controllanti o collegate, come definite dall'articolo 2359 del codice civile. Quanto alle persone fisiche, si tiene conto anche di partecipazioni, titoli o diritti detenuti da un familiare dell'imprenditore.
Il comma 2 stabilisce che l'esclusione dal beneficio trovi applicazione a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del presente decreto-legge) in deroga alle disposizioni sull'efficacia temporale delle norme tributarie dettate dallo Statuto del contribuente (legge n. 212 del 2000).
Restano esclusi dal beneficio i costi già attribuiti all'impresa italiana in relazione alla partecipazione ai progetti di ricerca e sviluppo relativi ai beni oggetto di acquisto, anche nell'ambito di operazioni infragruppo condotte nei periodi di imposta precedenti a quello di prima applicazione della norma in esame.
Il comma 3 ribadisce la condizione secondo cui, ai fini del credito di imposta, i costi sostenuti assumono rilevanza solo se i beni immateriali acquisiti vengono utilizzati direttamente ed esclusivamente nello svolgimento delle attività di ricerca e sviluppo considerate ammissibili al beneficio.
L'articolo 9, facendo salve le restrizioni già introdotte dal legislatore, vieta qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro, comunque effettuata e su qualunque mezzo, incluse le manifestazioni sportive, culturali e artistiche, le trasmissioni televisive o radiofoniche, la stampa quotidiana e periodica, le pubblicazioni in genere, le affissioni e internet (comma 1).
Per i contratti di pubblicità in corso al 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del decreto-legge in esame) si prevede che continui ad applicarsi la normativa previgente (c.d. decreto Balduzzi e legge di stabilità 2016), fino alla loro scadenza, e comunque per non oltre un anno dalla medesima data.
A partire dal 1o gennaio 2019, inoltre, il divieto si estende anche alle sponsorizzazioni di eventi, attività, manifestazioni, Pag. 5programmi, prodotti o servizi e a tutte le altre forme di comunicazione di contenuto promozionale, comprese le citazioni visive e acustiche, e la sovraimpressione del nome, marchio, simboli, attività o prodotti. Sono esclusi dal divieto le lotterie nazionali a estrazione differita, le manifestazioni di sorte locali, lotterie, tombole e pesche o banchi di beneficenza (di cui all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 2001, n. 430), e i loghi sul gioco sicuro e responsabile dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Il comma 2 dell'articolo 9 introduce sanzioni amministrative pecuniarie a carico del committente della pubblicità, del proprietario del mezzo o del sito di diffusione o di destinazione e dell'organizzatore della manifestazione, dell'evento o dell'attività, che violino i divieti del comma 1. A tali soggetti si applica la sanzione pecuniaria del pagamento di una somma pari al 5 per cento del valore della sponsorizzazione o della pubblicità e, in ogni caso, non inferiore, per ogni violazione, a 50 mila euro.
Il comma 3 individua nell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni l'autorità competente alla contestazione e alla irrogazione delle predette sanzioni amministrative, ai sensi della legge n. 689 del 1981.
Il comma 4 destina le risorse provenienti dalle sanzioni amministrative comminate in base ai commi precedenti all'apposito capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero della salute, finalizzate ad incrementare il Fondo per il contrasto al gioco d'azzardo patologico istituto in base alle norme della legge di stabilità per il 2016.
Il comma 6, introduce una norma di copertura finanziaria. La misura del prelievo erariale unico (PREU) sugli apparecchi idonei per il gioco lecito (articolo 110, comma 6, lettere a) e b) del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), vale a dire quelli dotati di attestato di conformità rilasciato dal Ministero dell'economia e delle finanze-Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato e obbligatoriamente collegati alla rete telematica, slot machine, e quelli facenti parte della rete telematica che si attivano esclusivamente in presenza di un collegamento ad un sistema di elaborazione della rete stessa, videolottery, è fissata rispettivamente nel 19,25 per cento e nel 6,25 per cento dell'ammontare delle somme giocate a decorrere dal 1 o settembre 2018, e nel 19,5 per cento e nel 6,5 per cento a decorrere dal 1o maggio 2019.
Nel comma 7, si prevede che agli oneri derivanti dai divieti di cui al comma 1, pari a 147 milioni di euro per l'anno 2019 e 198 milioni a decorrere dall'anno 2020, si provveda mediante quota parte delle maggiori entrate derivanti dalla misura del PREU sugli apparecchi idonei per il gioco lecito, stabilita al comma precedente.
L'articolo 10 reca disposizioni finalizzate a modificare l'istituto dell'accertamento sintetico del reddito complessivo (cd. redditometro), introducendo il parere dell'Istat e delle associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori. Contestualmente viene abrogato il decreto ministeriale contenente gli elementi indicativi necessari per effettuare l'accertamento.
Il comma 1 prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze possa emanare il decreto che individua gli elementi indicativi di capacità contributiva dopo aver sentito l'Istituto nazionale di statistica (Istat) e le associazioni maggiormente rappresentative dei consumatori per gli aspetti riguardanti la metodica di ricostruzione induttiva del reddito complessivo in base alla capacità di spesa e alla propensione al risparmio dei contribuenti.
Al comma 2 si dispone che il decreto ministeriale emanato il 16 settembre 2015, contenente gli elementi indicativi necessari per effettuare l'accertamento, è abrogato e non ha più effetto per i controlli ancora da effettuare sull'anno di imposta 2016 e successivi.
Dal tenore della norma sembra dunque evincersi che per gli accertamenti successivi a quelli indicati al comma 2 l'istituto del redditometro non trova applicazione fino all'entrata in vigore del nuovo decreto attuativo ai sensi del comma 1.Pag. 6
Il comma 3 fa salvi gli inviti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell'accertamento e agli altri atti previsti dall'articolo 38, comma settimo, del d.P.R. 600 del 1973, per gli anni di imposta fino al 31 dicembre 2015. Al medesimo comma, infine, viene stabilito che in ogni caso l'articolo non si applica agli atti già notificati e non si fa luogo al rimborso delle somme già pagate.
L'articolo 11 reca disposizioni sulla trasmissione dei dati delle fatture emesse e ricevute (c.d. spesometro) da parte dei soggetti passivi IVA. Esso stabilisce che la comunicazione dei dati relativi al terzo trimestre 2018 non debba essere effettuata entro il mese di novembre 2018 (in applicazione dell'articolo 21, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010), bensì entro il 28 febbraio 2019. Qualora si opti per la trasmissione con cadenza semestrale, i termini temporali sono fissati al 30 settembre per il primo semestre, al 28 febbraio dell'anno successivo per il secondo semestre.
Ricordo infine che la legge di bilancio 2018 (legge n. 205 del 2017), che ha introdotto l'obbligo della fatturazione elettronica tra privati dal 1o gennaio 2019, dalla stessa data abroga lo spesometro di cui all'articolo 21 del decreto-legge n. 78 del 2011.
L'articolo 12 prevede l'abolizione del meccanismo della scissione dei pagamenti, split payment, per le prestazioni di servizi rese alle pubbliche amministrazioni i cui compensi sono assoggettati a ritenute alla fonte (in sostanza, i compensi dei professionisti), di cui all'articolo 17-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972.
Viene a tal fine introdotto un comma 1-sexies al menzionato articolo 17-ter, col quale si dispone che le norme in tema di split payment non si applicano alle prestazioni di servizi rese alle pubbliche amministrazioni (di cui ai commi 1, 1-bis e 1-quinquies dell'articolo 17-ter; si veda il riquadro precedente per l'individuazione di tali enti) se i compensi sono assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o a ritenuta d'acconto per prestazioni di lavoro autonomo (ai sensi dell'articolo 25 del d.P.R. n. 600 del 1973, che disciplina tale ultima fattispecie).
Il comma 2 dispone che il nuovo ambito di applicazione dello split payment si applichi alle operazioni per cui è emessa fattura successivamente al 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del provvedimento in esame).
Il comma 3 reca la copertura finanziaria delle norme in esame, i cui oneri sono quantificati in 35 milioni di euro per l'anno 2018, 70 milioni per l'anno 2019 e 35 milioni per l'anno 2020.
L'articolo 13 sopprime le previsioni introdotte dalla legge di bilancio 2018 (commi da 353 a 355), in base alle quali le attività sportive dilettantistiche potevano essere esercitate anche da società sportive dilettantistiche con scopo di lucro e abroga le agevolazioni fiscali a favore delle stesse introdotte dalla medesima legge.
Inoltre, si abroga l'aliquota agevolata al 10 per cento per i servizi di carattere sportivo resi dalle società sportive dilettantistiche lucrative riconosciute dal CONI nei confronti di chi pratica l'attività sportiva a titolo occasionale o continuativo in impianti gestiti da tali società (di cui al comma 357 della legge di bilancio 2018). Viene inoltre disposta l'abrogazione dei commi 356 e da 358 a 360 dell'articolo 1 della legge n. 205 del 2017 concernenti la disciplina dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa stipulati dalle società sportive dilettantistiche aventi scopo di lucro. È conseguentemente abrogato il comma 359 ai sensi del quale i compensi derivanti dai richiamati contratti di collaborazione coordinata e continuativa sono considerati – sotto il profilo fiscale – redditi diversi se stipulati da società ed associazioni sportive dilettantistiche riconosciute dal CONI ovvero redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente se stipulati dalle società dilettantistiche lucrative riconosciute dal CONI.
L'articolo istituisce inoltre nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un nuovo fondo destinato a interventi in favore delle società sportive Pag. 7dilettantistiche, con una dotazione di 3,4 milioni di euro nel 2018, di 11,5 milioni di euro nell'anno 2019, di 9,8 milioni di euro nell'anno 2020, di 10,2 milioni nell'anno 2021, di 10,3 milioni nell'anno 2022, di 5,6 milioni nell'anno 2023 e di 5,2 milioni a decorrere dall'anno 2024. Alla copertura finanziaria degli oneri si provvede a valere sulle maggiori entrate e minori spese derivanti dalle disposizioni richiamate in precedenza, ovvero mediante la soppressione di alcune misure agevolative, di ordine fiscale e contributivo.
Infine, le disposizioni ripristinano la normativa in materia di uso e gestione di impianti sportivi vigente prima delle novità introdotte dalla stessa legge di bilancio 2018.
Davide TRIPIEDI (M5S), relatore per la XI Commissione, rileva, come si legge nelle premesse, che il decreto trae la sua motivazione dalla straordinaria necessità e urgenza, in primo luogo, di contrastare il fenomeno della crescente precarizzazione in ambito lavorativo, introducendo limiti all'utilizzo di tipologie contrattuali che nel corso degli ultimi anni hanno condotto a una eccessiva e allarmante espansione del fenomeno e, in secondo luogo, di arginare le cosiddette «delocalizzazioni», assicurando che le aziende destinatarie di incentivi e aiuti restituiscano quanto ricevuto a fronte di un trasferimento delle attività produttive.
Il decreto, inoltre, introduce semplificazioni fiscali in favore delle imprese. Infine, vengono previste nuove misure volte al contrasto della ludopatia, nonché misure per assicurare il regolare inizio dell'anno scolastico 2018/2019.
Osserva che il provvedimento consta di 15 articoli, suddivisi in cinque Capi, e che la relazione verterà prevalentemente sulle disposizioni che, anche indirettamente, rientrano nella competenza della XI Commissione, mentre il deputato Centemero, relatore per la VI Commissione, si concentrerà, come ovvio, sulle disposizioni di contenuto fiscale.
Venendo al merito del provvedimento, osserva che il Capo I reca le misure per il contrasto al precariato. In particolare, l'articolo 1 modifica la disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato recata dal decreto legislativo n. 81 del 2015.
Ricorda che, sulla base della disciplina previgente, il contratto di lavoro a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato che prevede un termine finale. Può essere concluso tra un datore di lavoro e un lavoratore per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, per una durata massima di 36 mesi. L'apposizione del termine, a pena di nullità, deve risultare dall'atto scritto, direttamente (data, evento) o indirettamente dal contesto complessivo dell'atto medesimo. Il contratto, nel quale non è necessario indicare la causale, può essere concluso tra un datore di lavoro e un lavoratore, sia nella forma del contratto a termine, sia nell'ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato. Il contratto a termine non può avere una durata superiore a trentasei mesi ed è prorogabile, con il consenso del lavoratore e nei limiti della durata massima prevista (36 mesi), fino a un massimo di cinque volte, indipendentemente dal numero dei rinnovi. Se dopo la scadenza del termine originario o validamente prorogato o dopo il periodo di durata massima complessiva di 36 mesi, il lavoro prosegue di fatto per 30 giorni (se il contratto ha una durata inferiore a 6 mesi) o per 50 giorni (se il contratto ha una durata maggiore di 6 mesi), il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione retributiva per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20 per cento fino al decimo giorno successivo e al 40 per cento per ciascun giorno ulteriore. La disciplina recata dal decreto legislativo n. 81 del 2015, inoltre, prevede la trasformazione del contratto da tempo determinato a tempo indeterminato nel caso di superamento di tale ulteriore periodo o nel caso in cui non sia rispettato il lasso di tempo richiesto tra il primo e il secondo contratto a termine (dieci giorni, se la durata del primo contratto è inferiore a sei mesi, 20 giorni se la durata è superiore). Il decreto legislativo prevede anche la possibilità di un'ulteriore Pag. 8deroga, per la stipula di un nuovo contratto, della durata massima di 12 mesi, una volta esauriti i 36 mesi cumulativi di tutti i periodi di lavoro a termine, compresi eventuali periodi di lavoro svolti in somministrazione. In tale caso, il contratto dovrà essere sottoscritto in regime di «deroga assistita» presso la Direzione territoriale competente. L'ordinamento pone limiti quantitativi alla possibilità per il datore di lavoro di stipulare contratti a termine: essi, infatti, non possono superare il 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1o gennaio dell'anno di assunzione, mentre, per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti, è in ogni caso possibile stipulare almeno un contratto di lavoro a tempo determinato. I contratti collettivi, anche territoriali e aziendali, hanno, comunque, la facoltà di individuare limiti quantitativi diversi. L'ordinamento, tuttavia, prevede limitate eccezioni a tali limiti quantitativi. In caso di violazione, è prevista l'applicazione a carico del datore di lavoro di una sanzione amministrativa pari al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a 15 giorni di durata del rapporto di lavoro, qualora la violazione si riferisca ad un solo lavoratore assunto in eccedenza al predetto limite, e al 50 per cento della retribuzione, qualora la violazione si riferisca a due o più lavoratori assunti in eccedenza. Per finanziare la Nuova Assicurazione sociale per l'impiego (NASpI), è prevista in caso di rinnovo un'aliquota contributiva aggiuntiva pari all'1,4 per cento che verrà restituita al datore di lavoro in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato.
Sottolinea che la lotta al precariato, obiettivo primario dichiarato dall'Esecutivo, parte con una profonda revisione dei contratti a tempo determinato che si concretizza introducendo diverse misure: aumento dell'aliquota contributiva in caso di rinnovo dopo il primo contratto; diminuzione della durata massima complessiva riferita ai rapporti a termine, intesi anche in sommatoria; introduzione delle causali, nel caso di utilizzazione del lavoratore oltre i dodici mesi, sia che si superi la soglia dell'anno in virtù di un contratto iniziale, sia in caso di una proroga o di un rinnovo; ampliamento dei termini per la proposizione del ricorso giudiziario.
A tali misure, occorre aggiungerne altre che fanno riferimento: al contratto di somministrazione a tempo determinato al quale si applicano, quasi interamente, le disposizioni sul contratto a termine (tra cui le causali); all'indennità risarcitoria relativa ai licenziamenti illegittimi prevista dall'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23 del 2015, che, per gli assunti a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015, nel limite massimo, rapportato all'anzianità aziendale, per le imprese dimensionate oltre le quindici unità, può arrivare fino a trentasei mensilità partendo da una base di sei (per quelle piccole, fermo restando il tetto massimo delle sei mensilità, la base di partenza viene innalzata a tre, come si evince dalla correlazione della nuova norma con il dettato dell'articolo 9 del predetto decreto).
Rileva che l'articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto-legge, modificando l'articolo 19 del decreto legislativo n. 81 del 2015, dispone, in primo luogo, la riduzione da trentasei a dodici mesi del termine massimo di durata del contratto a termine.
Tale durata può essere portata a ventiquattro mesi solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni: esigenze temporanee e oggettive, estranee all'ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori; esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell'attività ordinaria. Tali causali devono essere indicate nel contratto scritto in caso di rinnovo, ad eccezione dei casi in cui la durata del contratto è prorogata nell'ambito dei primi dodici mesi, come disposto dalla lettera b) del medesimo comma 1. Inoltre, sulla base di tale lettera b), solo per le attività stagionali il rinnovo o la proroga (ossia lo slittamento in avanti del termine inizialmente posto) del contratto non necessitano dell'indicazione delle causali.Pag. 9
Dunque, fatte salve le diverse determinazioni della contrattazione collettiva e considerando che il comma 2, su questo punto, non è stato toccato, come non è stata toccata la possibilità di stipulare alla scadenza del termine massimo un ulteriore contratto presso l'Ispettorato territoriale del lavoro, il contratto a termine può durare fino a ventiquattro mesi, ma l'assenza della causale riguarda unicamente il primo contratto a tempo determinato (fino a dodici mesi, anche raggiungibili con una proroga): una durata maggiore necessita di causali, come necessita di causale il rinnovo di un contratto a termine stipulato nell'arco temporale dei dodici mesi (perché si tratta di un secondo contratto). Quindi, in sostanza, il termine si è ridotto a ventiquattro mesi, ma le possibilità di deroga alla durata massima restano, seppur soggette ad alcune specifiche procedure.
La norma, inoltre, riduce da trentasei a ventiquattro il limite massimo (purché ci sia una causa) del contratto in presenza del quale ne è consentita la proroga e da cinque a quattro il numero massimo di proroghe consentite nell'arco del nuovo limite di ventiquattro mesi. Qualora poi il numero delle proroghe sia superiore, la norma prevede che il contratto si trasformi in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga, anziché della sesta, come attualmente disposto. Infine, la lettera c) aumenta da centoventi a centottanta giorni il termine di impugnazione del contratto, a decorrere dalla sua scadenza.
Sulla base del comma 2, inoltre, tali disposizioni si applicano ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge, nonché ai rinnovi e alle proroghe dei contratti in corso alla medesima data. Il comma 3 stabilisce che tali disposizioni, insieme a quelle recate dai successivi articoli 2 e 3, non si applicano ai contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni.
Passa quindi all'articolo 2, che reca modifiche alla disciplina del contratto di somministrazione di lavoro, recata anch'essa dal decreto legislativo n. 81 del 2015. In particolare, modificando il comma 2 dell'articolo 34 di tale decreto legislativo, la norma estende a tale tipologia di contratto la disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, come modificata dall'articolo 1 del decreto-legge in esame, esclusa l'applicazione delle disposizioni concernenti il numero complessivo di contratti a tempo determinato e i diritti di precedenza (rispettivamente, articoli 23 e 24 del decreto legislativo n. 81 del 2015).
Ciò significa, ad esempio, che, fatte salve le diverse determinazioni della contrattazione collettiva, il contratto di somministrazione può durare, al massimo, ventiquattro mesi (termine non superabile); che, ad eccezione del primo contratto, che può durare fino a dodici mesi, occorre che il rapporto sia giustificato da una delle causali individuate dal nuovo comma 1 dell'articolo 19; che le proroghe non possono essere più di quattro; che il termine di decadenza per impugnare il contratto è fissato in centottanta giorni.
Restano fuori le previsioni dell'articolo 23, che tratta il numero complessivo dei contratti a termine stipulabili in un'impresa calcolato sul numero dei dipendenti a tempo indeterminato in forza alla data del 1o gennaio dell'anno al quale si riferisce l'assunzione nella misura legale del 20 per cento o in quella diversa prevista dalla contrattazione collettiva, e dell'articolo 24 sul diritto di precedenza dei lavoratori che hanno prestato la propria attività a termine per un periodo, anche in sommatoria di più contratti, superiore a sei mesi.
Osserva che l'articolo 3, al comma 1, interviene sulla disciplina recata dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 23 del 2015 per i casi di licenziamento illegittimo riguardanti contratti di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. In particolare, la norma prevede la modifica in aumento dei parametri di riferimento per la determinazione dell'ammontare dell'indennità che il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore, da calcolarsi entro l'intervallo del limite minimo di sei Pag. 10mensilità e del limite massimo di trentasei mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. Ricorda che il previgente testo della disposizione fissava tali limiti in quattro e ventiquattro mensilità.
Tale disposizione va, necessariamente, correlata anche con l'articolo 9 del decreto legislativo n. 23 del 2015, ove si stabilisce che, per i datori di lavoro che non raggiungano i limiti dimensionali previsti dai commi 8 e 9 dell'articolo 18 della legge n. 300 del 1970 e per quelli, non imprenditori, che svolgono, senza fine di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione o di religione o di culto, gli importi previsti dall'articolo 3, comma 1 (che ora sono due mensilità all'anno partendo da una base di sei) sono dimezzati (quindi, una mensilità all'anno partendo da una base di tre) ma il tetto massimo, evidenziato esplicitamente all'articolo 9, che non è stato ritoccato, continua ad essere pari a sei mensilità.
Infine, fa presente che l'intervento normativo appare altresì opportuno, considerato che è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale del decreto legislativo n. 23 del 2015 (attuativo del cd. Jobs Act) innanzi alla Corte costituzionale, la cui decisione è attesa per il 25 settembre prossimo, anche in riferimento alla inadeguatezza ed esiguità dell'indennità risarcitoria stabilita.
Il comma 2 dell'articolo 3, modificando l'articolo 2 della legge n. 92 del 2012, dispone l'aumento di 0,5 punti percentuali del contributo addizionale applicato a ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione. Ricorda che il contributo, attualmente pari all'1,4 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, è destinato a finanziare la Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l'Impiego (NASpI). Come risulta dalla relazione tecnica, alla luce di tali modifiche, per il primo rinnovo del contratto a termine il contributo addizionale è pari all'1,9 per cento, crescente a partire dal secondo rinnovo, in corrispondenza del quale l'aliquota è pari al 2,4 per cento.
Il contributo addizionale non si applica: ai lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti; ai lavoratori assunti a tempo determinato per lo svolgimento di attività stagionali; agli apprendisti che, però, stipulano, sin dall'inizio un contratto a tempo indeterminato, fatta eccezione per quelli stagionali, disciplinati contrattualmente, al momento, nel solo settore del turismo; ai lavoratori dipendenti dalle pubbliche amministrazioni.
Dalla relazione tecnica si apprende che l'aumento del gettito contributivo derivante da tale disposizione appare idoneo a compensare la riduzione del monte imponibile di tale contributo addizionale, derivante dall'incentivo a ridurre le proroghe dei contratti a termine in favore della stipula di contratti a tempo indeterminato.
Con riferimento all'articolo 4, volto ad assicurare l'ordinato avvio dell'anno scolastico 2018/2019, osserva che esso interviene sulla questione dei diplomati magistrali con titolo conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002 e inseriti nelle graduatorie ad esaurimento (GAE), interessati dagli effetti della sentenza della adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 11 del 2017, che ha stabilito che il possesso del solo diploma magistrale, sebbene conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002, non costituisce titolo sufficiente per l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento del personale docente ed educativo istituite dall'articolo 1, comma 605, lettera c), della legge n. 296 del 2006.
A giudizio di tale organo, infatti, manca una norma che riconosca il diploma magistrale conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002 come titolo legittimante l'inserimento nelle graduatorie a esaurimento. Infatti, sin dalla loro originaria configurazione, le graduatorie permanenti, poi trasformate in graduatorie a esaurimento, sono state riservate a docenti che vantassero un titolo abilitante ulteriore rispetto al titolo di studio: il superamento di un concorso per titoli ed esami oppure il superamento di una sessione riservata d'esami per coloro che avessero prestato servizio per almeno 360 giorni a decorrere dall'anno scolastico 1994-1995.Pag. 11
La norma, pertanto, dispone l'applicazione alle sentenze che comportano la decadenza dei contratti del termine di esecuzione di 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo, di cui all'articolo 14, comma 1, del decreto-legge n. 669 del 1996, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 30 del 1997. Come si legge nella relazione illustrativa, tale termine concederà agli istituti scolastici i tempi necessari per fare fronte alla necessità di inserire nelle proprie graduatorie i docenti che, pur essendo destinatari di sentenze, non hanno avanzato in precedenza domanda di inserimento nella seconda fascia di istituto, riservata, come è noto, ai docenti abilitati ma non iscritti nelle graduatorie a esaurimento.
Rileva che il Capo II reca misure per il contrasto alla delocalizzazione e la salvaguardia dei livelli occupazionali. In particolare, l'articolo 5 introduce ulteriori limiti alla delocalizzazione delle imprese destinatarie di aiuti da parte dello Stato.
Ricorda che la normativa vigente, di cui all'articolo 1, comma 60, della legge n. 147 del 2013, prevede la decadenza dai benefici e l'obbligo di restituzione per le imprese che abbiano beneficiato di contributi pubblici in conto capitale, qualora, entro tre anni dalla concessione degli stessi, delocalizzino la propria produzione dal sito incentivato a uno Stato non appartenente all'Unione europea, con conseguente riduzione del personale di almeno il 50 per cento.
Il comma 1 dispone che le imprese che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato subordinato all'effettuazione di investimenti produttivi decadono dal beneficio qualora l'attività economica in tutto o in parte sia delocalizzata in Stati non appartenenti all'Unione europea o allo Spazio Economico Europeo (SEE) entro cinque anni dalla conclusione dell'iniziativa agevolata. In tal caso, le imprese sono soggette a una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l'importo dell'aiuto fruito. Il successivo comma 2 estende l'obbligo di restituzione ai casi di percepimento di aiuti collegati ad investimenti produttivi specificamente localizzati. Sulla base del comma 3, l'importo da restituire è maggiorato di un tasso di interesse pari al tasso ufficiale di riferimento vigente alla data di erogazione o fruizione dell'aiuto, maggiorato di cinque punti percentuali. Tale disciplina, ai sensi del comma 4, non si applica ai benefici già concessi o banditi, né agli investimenti agevolati già avviati anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge. Il comma 5 qualifica come privilegiati i crediti derivanti dalla restituzione dei benefici e dispone la loro destinazione all'entrata del bilancio dello Stato ai fini della loro riassegnazione all'amministrazione titolare della misura, ad incremento delle disponibilità della misura medesima.
A tale proposito, si compiace di sottolineare che la disposizione corona una battaglia condotta nel corso della scorsa legislatura dalla Commissione Lavoro, che ha preso le mosse dalla vicenda dei dipendenti dell'azienda Isolante K-Flex S.p.A. che, dopo avere beneficiato di contributi pubblici, aveva deciso di delocalizzare in Polonia la sua produzione.
Segnala che la relazione illustrativa sottolinea il carattere di novità delle disposizioni in esame non solo rispetto all'ordinamento italiano, ma anche rispetto a quello europeo, nei confronti del quale, peraltro, esclude ipotesi di incompatibilità. Ciò in quanto la disciplina europea pone vincoli agli aiuti a finalità regionale agli investimenti, stabilendo, da un lato, l'obbligo di mantenimento dell'investimento nel territorio per un periodo minimo di tre anni per le PMI e di cinque anni per le grandi imprese e, dall'altro, introducendo l'obbligo per l'impresa che presenti domanda di accesso al beneficio di confermare di non avere effettuato una delocalizzazione verso lo stabilimento finanziato nei due anni precedenti, nonché l'obbligo di impegnarsi a non effettuare una delocalizzazione nei due anni successivi al completamento dell'investimento. Pertanto, se la normativa europea riguarda solo una tipologia di aiuto e interviene nella fase precedente il riconoscimento del beneficio, il decreto-legge si Pag. 12applica a ogni tipo di beneficio, in qualunque forma sia concesso, e prevede che l'obbligo di restituzione scatti dopo la fine delle sovvenzioni. Anche l'aumento a carico delle PMI da tre a cinque anni del termine per la restituzione del beneficio non appare contrastare con la normativa europea, che qualifica tale termine di tre anni come un limite minimo derogabile in aumento. Infine, la relazione illustrativa esclude la possibilità di conflitti con il diritto dell'Unione europea anche sotto il profilo delle restrizioni territoriali che integrano i casi di delocalizzazione.
Conclude, quindi, l'illustrazione delle parti del decreto-legge di prevalente competenza dell'XI Commissione, ricordando brevemente che l'articolo 6 dispone la decadenza dal beneficio dell'aiuto di Stato che preveda la valutazione dell'impatto occupazionale per l'impresa che, al di fuori dei casi riconducibili a giustificato motivo oggettivo, riduca di più del 10 per cento i livelli occupazionali degli addetti all'unità produttiva o all'attività interessata al beneficio nei cinque anni successivi alla data di completamento dell'investimento. La decadenza dal beneficio è disposta in misura proporzionale alla riduzione del livello occupazionale ed è totale nel caso di riduzione superiore al 50 per cento.
Per concludere e in sintesi, rileva che le norme recate dal decreto in tema di riduzione della durata massima del contratto a tempo determinato, lungi dal sanzionare le imprese e i lavoratori, perseguono l'obiettivo di ridurre gli spazi concessi al contratto a termine, in modo da assicurare quelle misure di prevenzione degli abusi che l'attuale disciplina evidentemente non è stata in grado di garantire, a detrimento dell'utilizzo del contratto a tempo indeterminato. Né certamente è possibile stabilire alcun nesso causale tra la diminuzione della durata massima complessiva riferita ai rapporti a termine, volta a colpire l'abuso della reiterazione ingiustificata dei contatti a termine, e un impatto negativo sul mercato del lavoro.
In questi giorni, si è molto parlato delle stime effettuate dall'INPS e dalla Ragioneria generale dello Stato circa il presunto 10 per cento di contratti di lavoro a tempo determinato che, per effetto di queste norme di nuova introduzione, non verrebbero rinnovati annualmente. Ora, senza voler entrare in questo tipo di dibattito, si limita a segnalare come non sia affatto scontato che la Ragioneria generale dello Stato si preoccupi, ogni volta che viene modificata una singola tipologia contrattuale, di stimarne gli effetti macroeconomici in termini occupazionali e per un arco temporale di dieci anni – effetti per loro natura difficilissimi da prevedere, essendo ovviamente determinati da una pluralità di fattori economici, strutturali e congiunturali, nazionali e sovranazionali – per desumerne poi i possibili effetti secondari in termini di finanza pubblica. Si tratta di un esercizio estremamente arduo, che, ricorda, non fu fatto, ad esempio, nella relazione tecnica allegata al decreto-legge n. 25 del 2017, convertito dalla legge n. 49 del 2017, di abolizione dei voucher. Essa si limitava ad osservare che da quella abolizione non si potevano desumere direttamente diminuzioni dei livelli occupazionali, essendo presumibile che le prestazioni di lavoro acquisite tramite voucher sarebbero da quel momento in poi state acquisite attraverso le ulteriori, numerose forme contrattuali disponibili a legislazione vigente, tra cui si citava anche il contratto a tempo indeterminato.
Più in generale, osserva che spesso, come è noto, il contratto a termine «a-causale» è stato utilizzato non tanto per rispondere ad effettive esigenze temporanee quanto, soprattutto, come vero e proprio strumento di organizzazione del lavoro così da disporre di una stabile riserva di manodopera alla quale attingere, in modo ricorrente, in funzione delle esigenze del mercato.
Il presente intervento normativo, dunque, va a colpire gli abusi del ricorso del contratto a termine, confermato dai dati ISTAT del maggio 2018, che evidenziano il trend della forte prevalenza dell'ingaggio della forza lavoro con contratti a termine, piuttosto che con contratti a tempo indeterminato. Esso, inoltre, va nella direzione Pag. 13di promuovere il contratto a tempo indeterminato, in conformità allo spirito e al principio sancito dalla Direttiva europea 1999/70 e ribadito anche dalla legge delega n. 183 del 2014 e dall'articolo 1 del decreto legislativo n. 81 del 2015, che definisce il contratto a tempo indeterminato come la «forma comune» di rapporto di lavoro.
Claudio MANCINI (PD) interviene sull'ordine dei lavori, chiedendo conferma circa il fatto che la discussione sulle linee generali del provvedimento abbia luogo una volta esaurite le audizioni previste.
Debora SERRACCHIANI (PD), intervenendo sull'ordine dei lavori, considera irrituale lo svolgimento della discussione sulle linee generali prima dello svolgimento delle audizioni.
Ettore Guglielmo EPIFANI (LeU) si associa a quanto affermato dalla collega Serracchiani, osservando che a suo giudizio la seduta odierna dovrebbe essere limitata alle relazioni illustrative del provvedimento.
Carla RUOCCO, presidente, replica che la discussione sulle linee generali potrà svolgersi anche nella seduta di giovedì, compatibilmente con il calendario dei lavori dell'Assemblea.
Walter RIZZETTO (FdI) interviene sull'ordine dei lavori per chiedere alla presidente indicazioni di massima sull'inizio delle votazioni delle proposte emendative.
Carla RUOCCO, presidente, rammenta che, una volta presentate le proposte emendative, l'ufficio di presidenza delle Commissioni potrà decidere sul prosieguo dei lavori.
Luca PASTORINO (LeU) interviene sull'ordine dei lavori per sottolineare come i tempi riservati all'esame del provvedimento siano estremamente ridotti, considerando anche gli impegni legati ai lavori dell'Aula. Chiede pertanto alla Presidenza di farsi portavoce in Conferenza dei Capigruppo affinché venga valutata la possibilità di far slittare l'inizio dell'esame del provvedimento in Aula.
Carla RUOCCO, presidente, precisa che ciascun gruppo potrà segnalare al proprio rappresentante le perplessità in ordine alla programmazione dei lavori dell'Assemblea stabilita dalla Conferenza dei Presidenti di gruppo.
Debora SERRACCHIANI (PD) chiede ai presidenti delle Commissioni VI e XI di sollecitare, apprezzate le circostanze, la modifica del calendario dei lavori dell'Assemblea, allo scopo di consentire un più approfondito e ordinato esame del decreto-legge.
Carla RUOCCO, presidente, segnala che la maggioranza dei componenti le Commissioni Lavoro e Finanze concordano con il calendario proposto dalla Presidenza. Tuttavia, non volendo in alcun modo proseguire con il modus operandi adottato dalla maggioranza nella scorsa legislatura, comunica che terrà conto delle istanze sollevate dalle opposizioni.
Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
La seduta termina alle 18.25.