FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 792

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
CARFAGNA, PRESTIGIACOMO, BIANCOFIORE, CALABRIA, MARROCCO, RAVETTO, SIRACUSANO, SPENA, VERSACE

Introduzione degli articoli 558-bis e 558-ter del codice penale e altre disposizioni concernenti l'induzione al matrimonio mediante coercizione

Presentata il 27 giugno 2018

  Onorevoli Colleghi! — Ancora oggi assistiamo a episodi di violenza nei confronti di giovani donne che osano ribellarsi alla pratica del matrimonio forzato, che viene loro imposto dalla famiglia.
  I matrimoni precoci violano il diritto di bambine e ragazze di vivere in piena autonomia e tolgono loro la possibilità di crescere seguendo inclinazioni, desideri e tempi dettati da dinamiche riguardanti la libertà di scelta di ciascun individuo.
  Tali pratiche sono una violazione dei diritti umani: l'articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948 stabilisce infatti che «1. Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all'atto del suo scioglimento.
  2. Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi».
  Nell'ambito delle indagini sulla violenza contro le donne, il matrimonio forzato è esaminato come una forma di violenza strettamente connessa al patriarcato, ai ruoli di genere e alla marginalizzazione delle donne rispetto alle posizioni di potere nella società.
  Per diverse ragioni, non solo di natura metodologica, è difficile se non addirittura impossibile quantificare con precisione il fenomeno dei matrimoni forzati, a causa della concomitanza di vari fattori, quali la stima soggettiva del grado di coercizione e di conseguenza del consenso, il problema della sotto-dichiarazione, la carenza di basi di rilevamento e, quindi, la mancanza di rappresentatività statistica. Inoltre a tutto ciò si aggiunge la resistenza delle vittime a denunciare membri della propria famiglia o della comunità; l'argomento è ritenuto dalle vittime come imbarazzante e relativo alla sfera privata, e questo può spingere le ragazze al rifiuto di cooperare o di fornire informazioni attendibili.
  Sebbene non esistano stime complessive ufficiali, il fenomeno sembra essere in crescita. L'allarme è stato lanciato dall'ONU, secondo cui più di 700 milioni di donne in tutto il mondo vengono unite in matrimonio ancora bambine e comunque prima dei diciotto anni. Di queste, più di una su tre prima dei quindici anni: si tratta di circa 250 milioni di ragazze. L'UNICEF evidenzia che gli episodi di violenza sono diffusi nelle zone rurali e tra i ceti più poveri. Il 42 per cento delle spose bambine vive in Asia meridionale, con una massima concentrazione del 33 per cento in India, il 18 per cento in Africa e solo il 2 per cento nei Paesi industrializzati.
  L'Africa subsahariana è l'area geografica maggiormente interessata dal fenomeno, in proporzione alla popolazione complessiva: circa quattro ragazze su dieci si sposano prima dei diciotto anni, una su otto prima di aver compiuto quindici anni.
  Nel report «Child marriage around the world», presentato lo scorso marzo dall'UNICEF, si legge che tra i Paesi con il tasso più alto ci sono Niger (76 per cento), Repubblica centrafricana (68 per cento), Ciad (67 per cento), mentre al quarto posto c'è il Bangladesh, con il 59 per cento delle ragazze sposate prima dei diciotto anni. Secondo le stime, altre 150 milioni di bambine verranno forzate al matrimonio entro il 2030.
  Il numero dei matrimoni con minori, nel mondo, è ancora elevatissimo non solo nei Paesi mediorientali o in Africa, ma anche nei Paesi «sviluppati», come gli Stati Uniti d'America dove, secondo gli ultimi dati ufficiali, dal 2000 al 2015 sarebbero stati celebrati oltre 200.000 matrimoni con minori.
  Gli atti adottati a livello internazionale ed europeo per il contrasto del fenomeno dei matrimoni precoci e forzati sono numerosi. Tra questi, in particolare, la raccomandazione n. 1723 del 2005 dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, con la quale si invitano gli Stati ad adottare politiche di contrasto del fenomeno dei matrimoni precoci e forzati, sanzionando espressamente le persone che concorrono o aiutano nella celebrazione di tali accordi.
  Inoltre, tra gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, adottati nel settembre 2015, è inclusa l'eliminazione del fenomeno dei matrimoni con minorenni entro il 2030, un obiettivo chiave per raggiungere l'uguaglianza di genere, considerato che per le ragazze gli effetti sono particolarmente gravi: non sono pronte a diventare mogli e madri, né fisicamente né emotivamente, e raramente sono autorizzate a continuare la propria istruzione dopo il matrimonio.
  La pratica dei matrimoni combinati, purtroppo, riguarda il più delle volte bambine o donne giovanissime e, in alcuni casi, comporta anche viaggi di ritorno dal Paese di migrazione al Paese di origine. I genitori spesso ricorrono alla violenza e alle minacce psicologiche, come quella di allontanare le ragazze dalla famiglia o di non provvedere più al loro mantenimento, talvolta arrivando anche all'omicidio per punire il rifiuto delle tradizioni.
  Un tragico destino per migliaia di donne, soprattutto siriane, spesso adolescenti, che scappano dalla Turchia per salvarsi dalla guerra civile che attanaglia il loro Paese da ormai otto anni. Molte bambine vengono vendute dai loro padri a uomini già sposati che le prendono come «seconde mogli» in cambio di un lavoro o dell'affitto di un appartamento. Le donne siriane sono molto richieste anche perché a volte si tratta di immigrate irregolari, senza documenti, quindi inesistenti per lo Stato e come seconde mogli non possono vantare alcun diritto, neppure la cittadinanza. Ancora più grave è che, oltre ad un matrimonio senza amore, le giovani donne sono costrette a subire violenze fisiche e psicologiche non solo da parte dei mariti ma anche da parte delle mogli ufficiali, che spesso le trattano come schiave.
  Nel corso degli ultimi anni il quadro si è fatto ancora più complesso, considerato che i movimenti estremisti che vanno dalla Nigeria all'Iraq, dalla Siria alla Somalia, dal Myanmar al Pakistan hanno un elemento in comune: la violenza feroce contro le donne e la limitazione della libertà femminile.
  Gli yazidi sopravvissuti agli attacchi dello Stato islamico (ISIS) hanno parlato di donne e bambine vendute al mercato, stuprate, ridotte a schiave sessuali e costrette al matrimonio. La questione femminile nei movimenti estremisti è di ordine primario e sono pressoché identici non solo i limiti imposti alle donne nell'accesso all'istruzione e ai servizi sanitari, ma anche il meccanismo con cui tali restrizioni vengono fatte «rispettare»: una violenza terrificante.
  Diventa quindi essenziale domandarsi quanto sia profondo il nesso che lega gli atti di terrorismo che stanno scuotendo il mondo intero con la violenza maschile sulle donne. Tutti gli organi di informazione hanno evidenziato come l'autore della strage di Nizza fosse un uomo in fase di separazione dalla moglie con precedenti per violenza domestica. Rebecca Traister, autrice di «All the single ladies», pubblicato sul sito del New York Magazine, evidenzia come l'assassino che ha ucciso 49 persone e ne ha ferite 53 nella sparatoria in un club gay di Orlando abbia alle spalle una lunga storia di abusi domestici. Traister ricorda anche il caso di Robert Lewis Dear, che ha ucciso 3 persone e causato vari feriti nell'attacco alla clinica dell'organizzazione Planned parenthood a Colorado Spring, a cui sono attribuiti numerosi precedenti per violenza sulle donne.
  Rivolgendo lo sguardo agli atti di terrorismo di matrice islamica viene alla luce il fatto che la dominazione sulle donne rientra tra i fattori di attrazione che spingono molti uomini ad arruolarsi alle milizie del Califfo. Con tutta probabilità questi uomini disturbati – killer di massa – si richiamano alle tradizioni patriarcali per giustificare la rabbia e il risentimento verso le donne. Il corpo delle donne si fa campo di battaglia per l'affermazione di istanze identitarie e per ottenere il rispetto della propria virilità. È per questi motivi che le violenze contro le donne, e ancor di più i matrimoni combinati, sono una spia di allarme da tenere in debita considerazione per scongiurare tali episodi di matrice terroristica e per adottare misure contro di essi.
  Anche in Italia il quadro è piuttosto allarmante: vogliamo ricordare la signora Malijka, la madre che a Milano ha strappato il suo passaporto e quello della figlia Shaila di dieci anni per salvarla da un matrimonio già combinato in Bangladesh con un cugino di ventidue anni. Oppure Sana Cheema, venticinquenne residente a Brescia e uccisa in Pakistan per essersi ribellata al matrimonio combinato dalla sua famiglia.
  Numerosissimi studi sociologici ci spiegano che pakistane e bengalesi nel nostro Paese non lavorano quasi mai, perché le caratteristiche della migrazione dai loro Paesi di origine costringono le donne sull'orlo della segregazione: non escono per lavorare, non imparano l'italiano, la loro unica finestra sul mondo è una televisione satellitare che trasmette in urdu o in bengalese. Una ricerca universitaria che ha studiato da vicino la comunità romana di immigrati dal Bangladesh ha evidenziato come il 90 per centro di donne è arrivato attraverso un matrimonio combinato e celebrato in patria, senza aver mai visto il marito. Vengono a Roma abbagliate dalla promessa di una vita agiata e dalle bugie degli uomini che raccontano di successi favolosi, ma poi sono costrette a fare i conti con un'altra realtà. Se nel loro Paese di origine potevano lavorare e non portavano il velo integrale, una volta arrivate in Italia non possono esercitare alcuna professione e sono costrette a portare il velo come forma di difesa della propria identità in un contesto culturale estraneo. Criticati dagli altri uomini della comunità, redarguiti e controllati dagli imam, molti immigrati venuti dal Bangladesh adottano comportamenti ossessivi, vietano alle mogli di uscire e le perseguitano con telefonate continue e controlli a sorpresa. In questo contesto non sono rari episodi di violenza domestica contro mogli che, intravedendo la possibilità di una vita diversa, accennano ad una minima ribellione.
  In Italia il matrimonio forzato non è ancora una fattispecie di reato, a differenza della maggior parte dei Paesi europei. Nel Regno Unito il matrimonio forzato, nell'accezione che ne dà la Forced Marriage Unit, è «un matrimonio in cui uno o entrambi gli sposi non acconsentono e viene esercitata una costrizione. La costrizione può includere la pressione fisica, psicologica, finanziaria, sessuale ed emotiva».
  Nel 2014 la Svezia ha adottato un'apposita normativa in cui il matrimonio forzato è stato configurato quale nuova fattispecie di reato. L'introduzione della fattispecie comporta la punibilità per chiunque si adoperi affinché un minore si sposi utilizzandone lo stato di vulnerabilità. Pertanto, azioni come la pressione esercitata da genitori o parenti possono portare ad una pena detentiva fino ad un massimo di quattro anni ed è stata altresì introdotta l'ipotesi delittuosa di viaggio con inganno al fine di contrarre un matrimonio forzato.
  Le donne, vittime di tali pratiche, non possono più aspettare. Il nostro Paese non può e non deve più restare a guardare episodi in cui il desiderio di controllo da parte del genere maschile su quello femminile continua ad incidere sul libero e pieno consenso a contrarre matrimonio costringendo giovani donne a sposarsi contro la loro volontà. È necessario inviare un segnale chiaro contro questa pratica e contrastare la concezione erronea secondo cui si tratterebbe di una tradizione tollerabile poiché ricollegabile a culture diverse.
  Per questi motivi, l'articolo 1 della presente proposta di legge introduce una fattispecie specifica di reato, diretta a punire i matrimoni forzati con la reclusione da uno a cinque anni, anche se tale delitto è commesso all'estero in danno di un cittadino o di uno straniero legalmente residente in Italia al momento del fatto.
  Inoltre, considerato che il più delle volte i matrimoni combinati sono imposti a donne giovanissime, è prevista una pena più severa qualora il reato sia commesso in danno di un minore di anni diciotto. La pena è aumentata se il minore non ha compiuto gli anni quattordici e quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, il di lui convivente, il tutore ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia con quest'ultimo una relazione di convivenza. È altresì previsto che se concorrono le circostanze citate, ovvero se una delle stesse concorre con un'altra fra quelle indicate nell'articolo 61 del codice penale (circostanze aggravanti comuni), la pena è aumentata fino alla metà.
  Inoltre, la proposta di legge, all'articolo 2, prevede un programma di assistenza e integrazione sociale in favore delle persone offese dal reato di induzione al matrimonio mediante coercizione. È altresì previsto che qualora la persona offesa dal reato sia uno straniero, il questore, su proposta del procuratore della Repubblica o su parere favorevole della stessa autorità, può rilasciare uno speciale permesso di soggiorno per consentire alla stessa di sottrarsi alla coercizione e ai condizionamenti imposti e di partecipare ad un programma di assistenza e integrazione sociale.
  L'articolo 3 della presente proposta di legge, infine, sulla base del modello previsto dalla Forced Marriage Unit inglese, rivelatasi uno strumento molto efficace, prevede l'istituzione, presso il Ministero dell'interno, di un Osservatorio nazionale sulle vittime indotte a contrarre matrimonio attraverso coercizione al fine di ottenere, attraverso un monitoraggio periodico, un quadro di riferimento aggiornato sulla condizione delle donne costrette a subire tale violenza.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Introduzione degli articoli 558-bis
e 558-
ter del codice penale).

  1. Dopo l'articolo 558 del codice penale sono inseriti i seguenti:

   «Art. 558-bis. – (Induzione al matrimonio mediante coercizione). – Chiunque induce taluno a contrarre matrimonio o unione civile mediante violenza, minaccia, approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica ovvero mediante persuasione fondata su precetti religiosi è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
   Il delitto è punibile anche se è commesso all'estero in danno di un cittadino o di uno straniero legalmente residente in Italia al momento del fatto.
   Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena di cui al primo comma si applica altresì a chiunque con artifizi e raggiri, violenza o minaccia ovvero mediante persuasione fondata su precetti religiosi induce taluno a recarsi all'estero allo scopo di costringerlo a contrarre matrimonio o unione civile, anche se il matrimonio o l'unione civile non è contratto.
   Art. 558-ter. – (Induzione al matrimonio di persona minorenne). – Se i fatti di cui all'articolo 558-bis sono commessi in danno di un minore di anni diciotto, la pena è della reclusione è da due a sei anni.
   La pena è aumentata se i fatti di cui all'articolo 558-bis sono commessi:

    1) in danno di una persona che, al momento del fatto, non ha compiuto gli anni quattordici;

    2) dall'ascendente, dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore ovvero da altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia con quest'ultimo una relazione di convivenza.

   Se concorrono le circostanze previste dai numeri 1) e 2) del secondo comma, ovvero se una di tali circostanze concorre con un'altra fra quelle indicate nell'articolo 61, la pena è aumentata fino alla metà».

Art. 2.
(Programma di assistenza e integrazione sociale in favore delle persone offese dal reato di induzione al matrimonio mediante coercizione).

  1. Qualora la persona offesa dai reati previsti dagli articoli 558-bis e 558-ter del codice penale, introdotti dall'articolo 1 della presente legge, necessiti di assistenza allo scopo di sottrarsi alla coercizione e ai condizionamenti imposti, i servizi sociali del comune di residenza predispongono un programma volto a sostenere il raggiungimento dell'autonomia personale ed economica. Ove si tratti di un minore, la competente autorità giudiziaria accerta se sussistano le condizioni per disporre l'affidamento ai sensi del titolo I-bis della legge 4 maggio 1983, n. 184.
  2. Qualora la persona di cui al comma 1 sia uno straniero, il questore, su proposta del procuratore della Repubblica o con il parere favorevole della stessa autorità, può rilasciare uno speciale permesso di soggiorno per consentire a essa di sottrarsi alla coercizione e ai condizionamenti imposti e di partecipare a un programma di assistenza e integrazione sociale.
  3. Il permesso di soggiorno rilasciato ai sensi del comma 2 ha la durata di sei mesi e può essere rinnovato per un anno o per il maggior periodo occorrente per l'attuazione del programma di cui al medesimo comma 2. Esso è revocato in caso di interruzione del programma o di condotta incompatibile con le finalità dello stesso, segnalate dal procuratore della Repubblica o, per quanto di competenza, dal servizio sociale del comune di residenza o comunque accertate dal questore, ovvero quando vengono meno le altre condizioni che ne hanno giustificato il rilascio.
  4. Il permesso di soggiorno rilasciato ai sensi del comma 2 consente l'accesso ai servizi assistenziali e allo studio nonché l'iscrizione ai centri per l'impiego e lo svolgimento di lavoro subordinato, fatti salvi i requisiti minimi di età. Qualora, alla scadenza del permesso di soggiorno, l'interessato risulti avere in corso un rapporto di lavoro, il permesso può essere ulteriormente prorogato o rinnovato per la durata del rapporto medesimo o, se questo è a tempo indeterminato, con le modalità stabilite per tale motivo di soggiorno. Il permesso di soggiorno rilasciato ai sensi del comma 2 può essere altresì convertito in permesso di soggiorno per motivi di studio qualora il titolare sia iscritto a un corso regolare di studi.

Art. 3.
(Istituzione dell'Osservatorio nazionale sulle persone indotte a contrarre matrimonio attraverso coercizione).

  1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge è istituito, presso il Ministero dell'interno, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, l'Osservatorio nazionale sulle persone indotte a contrarre matrimonio attraverso coercizione, al fine di ottenere, attraverso un monitoraggio periodico, un quadro di riferimento aggiornato sulla condizione delle vittime dei reati previsti dagli articoli 558-bis e 558-ter del codice penale, introdotti dall'articolo 1 della presente legge. L'Osservatorio si avvale delle strutture e delle risorse umane, strumentali e finanziarie del Ministero dell'interno disponibili a legislazione vigente.