FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7
                        Articolo 8
                        Articolo 9
                        Articolo 10

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 77

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
TERZONI, DAGA, MICILLO, VIGNAROLI, ZOLEZZI, DEIANA, D'IPPOLITO, FEDERICO, LICATINI, ALBERTO MANCA, MARAIA, RICCIARDI, ILARIA FONTANA, ROSPI, TRAVERSI, VARRICA, VIANELLO

Limiti all'impiego di sostanze diserbanti chimiche

Presentata il 23 marzo 2018

  Onorevoli Colleghi! — Sembra proprio che, cinquant'anni dopo la pubblicazione di «Primavera silenziosa», la maledizione della pazzia autodistruttiva che Rachel Carson presagiva, già all'inizio degli anni sessanta, osservando i primi effetti dell'abuso irrazionale della chimica nelle campagne americane (Silent Spring, 1962), stia giungendo alle sue fasi più preoccupanti anche nel nostro Paese, un territorio che dovrebbe avere cultura, tradizioni, prodotti della terra, paesaggio e ambiente tra le risorse più preziose e condivise.
  Ci sono sempre più agricoltori che utilizzano il diserbo anche al di fuori delle aree coltivate, ma anche semplici cittadini che irrorano le fasce erbose nei pressi delle loro abitazioni con erbicidi per evitare lo sviluppo delle erbe infestanti.
  La pratica del diserbo, nata per il controllo delle piante commensali in agricoltura, erroneamente considerata come alternativa agli interventi di tipo meccanico, viene oggi utilizzata, sostenuta dalle industrie chimiche che producono il diserbante più aggressivo e meno selettivo oggi sul mercato (il glyphosate), per il «decoro» delle strade pubbliche e con la motivazione di combattere le allergie da polline (in realtà, anziché ridurre le fonti di produzione di polline, se ne determina un aumento significativo con la proliferazione delle graminacee, oltre alla nebulizzazione nell'aria di princìpi chimici tossici anche in aree urbanizzate e ad alta intensità di traffico), ben sapendo che, una volta effettuato il primo trattamento, si dovrà continuare anche negli anni successivi per evitare la proliferazione delle erbe più aggressive, libere di espandersi in seguito alla scomparsa della vegetazione che presidiava il terreno.
  Il glyphosate è certamente tossico per la vita acquatica. Tra le precauzioni d'uso del diserbante utilizzato (basato sul principio attivo del glyphosate) è infatti tassativamente vietato irrorare i bordi dei corsi d'acqua e delle zone umide a causa della sua accertata tossicità, anche a basse concentrazioni, sugli organismi acquatici. Eppure le pompe di veleno che operano lungo le strade e le linee ferroviarie non si fermano di certo di fronte a canali e a collettori posti ai lati dei tracciati.
  Sui rischi derivanti per tutti dall'uso di fitofarmaci e sui danni che sono stati procurati in tutto il mondo dalla sola impresa multinazionale americana della chimica, produttrice (dal 2014 non più esclusiva) del principio attivo glyphosate, è sufficiente la documentazione raccolta dalla giornalista francese Marie-Monique Robin sull'ormai famoso libro «Il mondo secondo Monsanto» (Arianna editrice, aprile 2009).
  Importanti da conoscere sono anche i risultati di numerose ricerche (esiste ormai una consistente letteratura internazionale in materia) che hanno dimostrato la relazione esistente tra l'esposizione umana al glyphosate e l'insorgenza di malattie, disfunzioni e malformazioni:

   1) studi separati condotti in Svezia hanno collegato l'esposizione al glyphosate alla leucemia e al linfoma non-Hodgkins (questi tipi di tumori erano molto rari, tuttavia il linfoma non-Hodgkins è oggi il tumore in più rapida crescita nel mondo occidentale, mentre negli Stati Uniti d'America negli ultimi quarant'anni la sua incidenza è aumentata del 73 per cento);

   2) studi dimostrano, inoltre, che l'esposizione al glyphosate, a dosi al di sotto della classica diluizione a scopo agricolo, è associata a una serie di alterazioni sulla riproduzione negli esseri umani e in altre specie animali a causa della sua tossicità sulle cellule della placenta.

  È importante sapere che il glyphosate ha una persistenza sul terreno e sull'acqua di gran lunga superiore a quanto viene generalmente supposto. Si ritiene, infatti, che il glyphosate venga rapidamente degradato nel terreno, ma i fatti dimostrano il contrario. Un rapporto della United States Environmental Protection Agency dichiara che il glyphosate è estremamente persistente in condizioni di applicazione normali, mentre studi condotti in Svezia dimostrano che una sua applicazione può perdurare fino a tre anni. Gli stessi dati pubblicati dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) rilevano la presenza del glyphosate e dell'AMPA (acido aminometilfosfonico, derivante dalla degradazione del glyphosate) tra le sostanze inquinanti più presenti nelle acque superficiali.
  L'ISPRA nei suoi annuali rapporti sui pesticidi nelle acque ha infatti evidenziato una gravissima contaminazione delle acque superficiali e sotterranee, oltre i limiti di legge, a causa della presenza di glyphosate o del suo metabolite AMPA. Purtroppo solo in pochissime regioni queste molecole sono state cercate e dove è stato fatto è risultata contaminata la stragrande parte dei campioni. Alcuni Paesi hanno già rinunciato all'uso del glyphosate. In Danimarca il suo uso è vietato già dal 2003. Proprio di recente negli Stati Uniti il National Cancer Institute Center for Disease Control (USDA) ha dimostrato un rapporto fra l'aumento delle malattie renali e l'introduzione di glyphosate (p.es. Roundup) sul mercato. Il 20 marzo 2015 la International Agency for Research on Cancer (IARC), un'istituzione dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), ha emesso un comunicato che classifica il glyphosate come probabile cancerogeno per l'essere umano. Inoltre secondo gli studi del MIT 2013/14 c'è una forte correlazione con l'insorgenza della celiachia. Recentemente in Germania si è riusciti a rilevare la presenza di glyphosate e dei suoi metaboliti nella popolazione in generale non solo nell'urina ma anche nel latte materno. In Italia questi erbicidi sono acquistabili anche da clienti privati. Ciò è veramente allarmante, considerati i citati rischi derivanti da un loro utilizzo non professionale. Molte aziende tedesche ma anche centri di bricolage e catene di supermercati svizzeri hanno deciso di non vendere più glyphosate e prodotti collegati a tutela dei clienti.
  Considerando che gli effetti del trattamento con diserbanti sistemici si manifestano a distanza di 10-15 giorni, c'è il rischio concreto che, soprattutto lungo le strade di periferia e in quelle meno trafficate, qualcuno raccolga lungo i margini stradali piante spontanee per uso alimentare senza rendersi conto della contaminazione chimica. La mancanza di qualunque segnalazione degli interventi fino ad oggi eseguiti dalle province e dall'Ente nazionale per le strade (ANAS spa) risulta quindi particolarmente grave e lesiva, non solo per questo aspetto, della sicurezza dei cittadini.
  Non va dimenticato, infine, che molti pesticidi sono xenobiotici e dopo la loro immissione nell'ambiente si mantengono sostanzialmente inalterati per lunghi periodi di tempo, arrivando a contaminare, grazie alle loro caratteristiche di volatilità, persistenza, bioaccumulo e biomagnificazione, organismi no target e reti alimentari su cui si basa l'organizzazione delle comunità biologiche naturali, anche a notevoli distanze dal punto iniziale di contaminazione.
  I danni superano largamente i benefìci (ammesso che ci siano). Occorre precisare, peraltro, che l'uso estensivo e sistematico del diserbo prevede una lunga serie di controindicazioni, tra le quali:

   1) mette a rischio la salute degli operatori (che si possono proteggere) e della popolazione (ignari automobilisti, motociclisti, ciclisti, pedoni, raccoglitori, agricoltori, cittadini), nebulizzando un prodotto chimico tossico che agisce a distanza di vari giorni (a seconda della concentrazione può manifestare i suoi effetti a distanza di diversi giorni e permanere nel terreno e sulla vegetazione per lungo tempo) lungo le strade e negli abitati;

   2) espone le scarpate sottoposte al diserbo a frane e a smottamenti e a conseguente elevato rischio di provocare incidenti stradali durante gli eventi piovosi e nelle ore notturne;

   3) abbassa drasticamente la biodiversità vegetale e animale e la capacità di autoregolazione dei numerosi habitat seminaturali che garantiscono, oltre a un aspetto gradevole, la funzionalità e la biodiversità biologica delle scarpate stradali;

   4) riduce sensibilmente l'assorbimento dell'anidride carbonica e l'abbattimento delle sostanze azotate da parte della copertura vegetale eliminata.

  La conservazione della biodiversità è una sfida che si combatte non solo in lontane foreste equatoriali, ma anche nel territorio che ci circonda e nel quale viviamo.
  Oggi la crisi economica mondiale ha messo in discussione molte certezze, ma le prime risposte fanno presagire che si tenti di cambiare la forma, non la sostanza. Tra questi obiettivi, la tutela delle specie vegetali e degli habitat minacciati nonché l'arresto della perdita di biodiversità costituiscono sicuramente delle priorità non solo per le ricadute negative più o meno dirette (come il degrado del paesaggio), ma anche per le stesse prospettive economiche (basti pensare quante nuove professioni e possibilità di vero sviluppo vengono perse nei settori naturalistico, turistico, culturale e ambientale). Nel territorio italiano, così fortunato per il valore del «capitale naturale» la crisi di molti habitat naturali e la frammentazione delle popolazioni delle specie selvatiche (dovuti all'urbanizzazione selvaggia e all'eccessiva pressione nelle aree agricole produttive, ma anche all'abbandono delle zone montane e marginali) hanno condotto alla scomparsa locale e anche all'estinzione di numerose specie vegetali, un tempo comuni (basti ricordare, per le aree agricole, non solo il fiordaliso o il tulipano dei campi, ma anche il più banale papavero) e di grande importanza biologica, insieme a un imprecisato numero di specie animali, delle quali (come accade per molti insetti) spesso non supponiamo neppure l'esistenza.
  I margini stradali vengono trattati come fossero situazioni uniformi e ripetitive. In realtà le strade, soprattutto quelle di interesse provinciale e locale, attraversano ambienti molto diversi e toccano numerosi habitat, spesso di grande interesse, anche per il semplice fatto che in tutta la fascia collinare e di pianura, dominata dall'agricoltura industriale e dagli insediamenti urbanizzati, gran parte della biodiversità è ormai rimasta concentrata lungo aree boscate localizzate, margini di campi, siepi e filari, spesso limitrofi alla viabilità minore e lungo i fiumi.
  Non esiste un'alternativa tra sfalcio e diserbo in quanto si tratta di due modalità di intervento che hanno finalità, procedure e risultati completamente diversi e che vanno utilizzate in situazioni e con obiettivi profondamente diversi.
  Lo sfalcio permette di controllare la rigogliosità della copertura erbosa dei prati (sia quelli del verde urbano, che quelli delle praterie secondarie della fascia collinare e montana), delle aree non coltivate, delle aie e dei margini erbosi stradali, favorendo le piante perenni (prevalentemente emicriptofite) che tendono a coprire uniformemente il terreno e a maturare arricchendosi di altre specie e mantenendo stabilmente la copertura e la protezione del terreno. Rappresentano, cioè, la migliore protezione del terreno sia dall'erosione che dall'ingresso delle erbe annuali e aggressive.
  Le cenosi che si sono adeguate alle condizioni locali e strutturate compenetrandosi, anche negli apparati radicali, dopo decine di anni di gestione attraverso lo sfalcio, nelle fasi di maturità raggiungono un'omeostasi che permette loro di mantenere uno stadio di stabilità che può tollerare lunghi intervalli di tempo (anche di qualche anno) tra un intervento di taglio e quello successivo.
  Il diserbo, una pratica che è nata e che dovrebbe rimanere limitata ai soli terreni coltivati, serve a eliminare la competizione delle specie spontanee con le piante coltivate e determina, quando viene utilizzata in modo improprio e su grandi superfici della componente erbacea delle scarpate stradali, un immediato azzeramento della maturità raggiunta e della complessità delle cenosi vegetali gradualmente maturate, selezionate e adattate dopo diverse decine di anni (dai 30 ai 50) di pratiche gestionali corrette.
  È bene chiarire che il diserbo dei bordi stradali, rispetto alle tecniche tradizionali, non presenta alcun vantaggio:

   1) l'aspetto dei bordi trattati è oltremodo sgradevole dal punto di vista estetico;

   2) non limita in alcun modo il numero degli interventi in quanto non elimina la necessità delle operazioni di sfalcio.

  In compenso il trattamento con fitofarmaci determina numerosi danni diretti e crea le condizioni per effetti negativi anche gravi e a volte non recuperabili:

   1) non permette alla vegetazione seminaturale di svolgere il ruolo di difesa del terreno ed espone le scarpate stradali all'erosione e agli smottamenti;

   2) arreca danni gravi alla vegetazione, che perde istantaneamente molti decenni di maturazione accumulati con il tempo, e provoca la scomparsa locale di numerose specie e l'impossibilità, in alcuni casi, del ritorno allo stato precedente, neppure dopo l'abbandono della pratica (dopo due o tre interventi in anni successivi si annulla anche la carica dei semi del terreno);

   3) arreca danni diretti e indiretti anche alla fauna minore, basti pensare agli effetti sulle popolazioni di carabidi che hanno uno stretto rapporto con il terreno e con la qualità della copertura erbacea;

   4) rende obbligatorio l'intervento anche negli anni successivi, in quanto le fasce denudate se non più trattate vengono invase da poche specie annuali particolarmente vigorose e aggressive;

   5) si acquistano attrezzature e prodotti chimici inutili, oltre che dannosi, mentre non si investe nel miglioramento delle conoscenze, della preparazione dei tecnici, oltre che nell'adeguamento dei mezzi e delle tecniche di manutenzione delle scarpate;

   6) si determina una perdita di maturità degli ecosistemi marginali, con conseguente riduzione della complessità e della funzionalità sia dal punto di vista vegetale che animale, tenendo conto, peraltro, che in molte aree collinari le fasce di vegetazione lungo le strade, come siepi e filari, costituiscono gli ultimi centri di conservazione della biodiversità.

  Le contraddizioni non finiscono qui perché il diserbo dei margini stradali non ha alcuna giustificazione neppure dal punto di vista strettamente tecnico.
  Innanzitutto è bene precisare che la migliore forma di gestione dei bordi stradali è quella dello sfalcio, che garantisce la maturazione, la funzionalità, la biodiversità, la capacità di recupero naturale (resilienza), i minori costi di gestione (grazie a una crescita delle emicriptofite, specie erbacea perenne più lenta rispetto alle annuali e prevalentemente orizzontale) e il miglior aspetto estetico dei margini stradali.
  In alcuni casi, a causa della particolare frequenza di ostacoli, come in corrispondenza dei guard-rail, risulta difficile intervenire con i più comuni mezzi meccanici di sfalcio, ma esistono numerose, efficaci e valide alternative «verdi».
  Dal punto di vista strettamente tecnico ci sono alternative naturali anche nelle situazioni più artificiose, come sotto i guard-rail; qui, infatti, si insediano frequentemente comunità di piccole graminacee (Poa annua, Bromus hordeaceus, Vulpia membranacea), mentre in altre condizioni caratterizzate da maggiore povertà di suolo si sviluppano spontaneamente tappeti di crassulaceae (Sedum album e S. rupestre) e cespi di piccole camefite (del genere Thymus), che svolgono il ruolo di protezione del terreno senza creare alcun problema di sviluppo in altezza e senza alcuna necessità di sfalcio.
  Inoltre l'Unione europea è intervenuta in questa materia introducendo, nella direttiva 2009/128/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi, un articolo apposito. All'articolo 11 si legge infatti: «Gli Stati membri assicurano che siano adottate misure appropriate per tutelare l'ambiente acquatico e le fonti di approvvigionamento di acqua potabile dall'impatto dei pesticidi» e, ancora, si auspica «La riduzione, per quanto possibile, o l'eliminazione dell'applicazione dei pesticidi sulle o lungo le strade, le linee ferroviarie, le superfici molto permeabili o altre infrastrutture in prossimità di acque superficiali o sotterranee oppure su superfici impermeabilizzate che presentano un rischio elevato di dilavamento nelle acque superficiali o nei sistemi fognari».
  Le medesime norme sono state riprese dall'articolo 147 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150, con il quale lo Stato italiano ha recepito la direttiva.
  Nella stessa direzione vanno la direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque, e il regolamento (CE) n. 1107/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, relativo all'immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari.
  Il Piano d'azione nazionale (PAN) per l'uso dei prodotti fitosanitari, adottato in Italia con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 22 gennaio 2014, ha introdotto limitazioni molto labili all'uso dei fitofarmaci con una normativa sostanzialmente aleatoria e priva di indicazioni cogenti ed efficaci.
  Il Ministero della salute ha emanato il 9 agosto 2016 un decreto che pone alcuni vincoli all'utilizzo del glyphosate in aree urbane e per alcuni trattamenti in agricoltura (divieto di uso in fase di pre-raccolto, ad esempio), riconoscendo di fatto il rischio connesso all'utilizzo di questa sostanza.
  Anche in questo caso i vincoli sono irrisori rispetto all'entità del problema.
  Purtroppo, nonostante la quasi totalità delle associazioni ambientaliste abbia avviato da tempo una campagna europea per il bando del glyphosate, la Commissione europea, senza tener conto delle gravi rivelazioni da parte della stampa internazionale sulle pressioni esercitate dalla multinazionale interessata sui ricercatori impegnati negli studi sulla pericolosità del prodotto (https://www.independent.co.uk/environment/glvphosate-roundup-weedkiller- cancer-bees-farming-greenpeace-echa-european-chemicals-agency-a7614736.html) nel 2017 ha prolungato di cinque anni il suo utilizzo.
  In generale l'uso dei pesticidi in agricoltura e in aree limitrofe a centri abitati è collegato allo sviluppo di gravissime malattie, non solo di carattere oncologico. Basti pensare ai numerosi studi scientifici che correlano l'insorgenza di malattie neuro-degenerative con l'esposizione a pesticidi (in ultimo, il recentissimo lavoro scientifico «Nitration of microtubules blocks axonal mitochondrial transport in a human pluripotent stem cell model of Parkinson's disease», di Stykel et al., 2018). In generale l'apporto negativo dei pesticidi sulla salute umana è ampiamente dimostrato. A tal proposito basterà leggere la review «Chemical Pesticides and Human Health: The Urgent Needfor a New Concept in Agriculture» (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC4947579/).
  Sugli effetti negativi su piante ed animali non-target la bibliografia scientifica è ancora più consistente se possibile e rivela il grande impatto dell'uso dei pesticidi sull'importante patrimonio di biodiversità del paese. Anche in tal senso il PAN approvato nel 2014 è assolutamente inidoneo a risolvere e mitigare tali effetti negativi sulla ricchezza floristica e faunistica che dobbiamo tutelare.
  Si segnala infine che con decreto del Ministero dell'ambiente 15 luglio 2015 sono state definite le modalità di raccolta dei dati per l'applicazione degli indicatori previsti dal citato PAN.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità)

  1. La presente legge è finalizzata alla tutela della salute umana e animale, dell'ambiente naturale, dell'ambiente acquatico e delle acque potabili nonché di quelle sotterranee e superficiali, della biodiversità, degli ecosistemi, delle attività agricole condotte con metodi biologici e naturali e dei consumatori, nonché alla riduzione del rischio idrogeologico e alla promozione dell'uso di tecniche alternative all'impiego di prodotti chimici, di prodotti tossici e di soluzioni saline di qualsiasi genere nelle operazioni di gestione della vegetazione spontanea.

Art. 2.
(Ambito di applicazione)

  1. La presente legge, ai fini di cui all'articolo 1, si applica in tutto il territorio nazionale.
  2. La presente legge, in particolare, regola gli interventi sulla vegetazione erbacea spontanea e su quella arbustiva o arborea appartenenti a formazioni naturali sviluppate:

   a) lungo la viabilità stradale, definita dal codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285;

   b) lungo la viabilità privata costituita da strade poderali, interpoderali, vicinali e di altro genere;

   c) lungo le massicciate ferroviarie, comprese le scarpate di pertinenza delle stesse;

   d) lungo il reticolo idrografico superficiale sulle sponde di laghi, canali e ambienti umidi naturali o artificiali entro 200 metri dalle rive;

   e) all'interno delle aree naturali protette costituite in parchi o in riserve nazionali e regionali e di quelle appartenenti alla rete Natura 2000;

   f) in tutte le aree naturali e seminaturali quali boschi, garighe, praterie primarie, praterie secondarie, ambienti rocciosi, falesie e ambienti costieri;

   g) all'interno delle aree urbanizzate e con funzioni sensibili in genere, nei cimiteri, negli ospedali, nelle scuole, negli impianti sportivi, nei parchi ricreativi e nelle aree verdi, pubblici o privati, nonché nelle altre aree immediatamente circostanti entro una fascia di 200 metri.

   h) nelle aree agricole entro una fascia di 200 metri dalle aree frequentate dalla popolazione o da gruppi vulnerabili, quali parchi e giardini pubblici, campi sportivi, aree ricreative, cortili e aree verdi all'interno di plessi scolastici, parchi gioco per bambini, superfici in prossimità di strutture sanitarie o altre funzioni sensibili;

   i) nei siti tutelati a vario titolo dall'UNESCO.

Art. 3.
(Divieti relativi all'uso di diserbanti)

  1. È vietato effettuare interventi di diserbo chimico con sostanze tossiche anche di tipo naturale o con soluzioni saline di qualsiasi genere su fasce di vegetazione erbacea, arbustiva o arborea poste a distanza inferiore a 100 metri da strade pubbliche o private, e su fasce di vegetazione erbacea, arbustiva o arborea poste a distanza inferiore a 200 metri da aree urbanizzate, pubbliche o private, fossi, torrenti, fiumi, raccolte d'acqua e da terreni con presenza di colture biologiche o biodinamiche.
  2. È vietato effettuare interventi di diserbo chimico o con sostanze tossiche anche di tipo naturale o con soluzioni saline di qualsiasi genere:

   a) nelle aree di cui alle lettere a), b) e c) del comma 2 dell'articolo 2;

   b) nelle aree di cui alle lettere d), e) e f) del comma 2 dell'articolo 2 se non in casi straordinari e per comprovate ragioni connesse alla tutela di specie ed habitat e alla rinaturalizzazione e restauro ambientale, in assenza di alternative meno impattanti. Tali interventi sono comunque sottoposti al parere dell'ISPRA e all'autorizzazione dell'ente gestore delle aree protette e dei siti Natura 2000, se individuati, previa valutazione di incidenza, o della regione o provincia autonoma nelle altre aree;

   c) nelle aree di cui alle lettere g) e h) del comma 2 dell'articolo 2, se non in casi straordinari e per comprovate ragioni connesse alla tutela dei beni culturali, in assenza di alternative meno impattanti. Tali interventi sono comunque sottoposti al parere dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e all'autorizzazione della regione o provincia autonoma;

   d) in presenza di venti con velocità superiore ai 5 nodi.

  3. Sono fatte salve eventuali norme più restrittive relative alle aree protette e ai siti Natura 2000 contenute in leggi istitutive, piani e regolamenti. Le regioni e le provincie autonome possono introdurre normative più restrittive di quelle della presente legge.

Art. 4.
(Altri divieti)

  1. È vietato l'utilizzo di prodotti fitosanitari nelle aree con funzioni sensibili in genere, nei cimiteri, negli ospedali, nelle aree di pertinenza delle scuole, negli impianti sportivi, nei parchi ricreativi e nelle aree verdi, pubblici o privati, nonché nelle altre aree immediatamente circostanti entro un raggio di 200 metri.
  2. Nelle aree di cui alla lettera h) del comma 2 dell'articolo 2 è vietato l'utilizzo dei prodotti fitosanitari classificati tossici, molto tossici o recanti in etichetta le frasi di rischio R40, R42, R43, R60, R61, R62, R63 e R68, ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2003, n. 65, o le indicazioni di pericolo corrispondenti, di cui al regolamento (CE) n. 1272/200 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008. Per gli altri prodotti fitosanitari l'estensione della fascia di divieto è dimezzata.
  3. Le regioni e le provincie autonome possono introdurre normative più restrittive di quelle della presente legge.
  4. In relazione ai commi 1 e 2 sono comunque fatti salvi gli interventi finalizzati alla tutela della salute umana e animale e alla lotta alle fitopatologie, previo parere preventivo della locale autorità sanitaria e adeguata comunicazione alla popolazione.

Art. 5.
(Regolamenti comunali)

  1. Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, d'intesa con la Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, adotta, con proprio decreto, un regolamento tipo per i comuni e le città metropolitane con criteri minimi sull'uso dei prodotti fitosanitari nelle aree urbanizzate e nelle aree immediatamente limitrofe volto alla tutela della salute umana e dell'ambiente, al progressivo ampliamento delle aree con restrizioni e divieto d'uso, alla promozione dei prodotti biologici o a bassa tossicità e alta biodegradabilità per gli interventi, anche attraverso una zonizzazione sulla base del grado di antropizzazione, dell'uso del territorio da parte dei cittadini nei diversi periodi dell'anno e dei valori ambientali.
  2. I comuni e le città metropolitane approvano, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il proprio regolamento sull'uso dei prodotti fitosanitari anche introducendo norme di maggiore dettaglio, che comunque non possono essere meno restrittive rispetto a quelle del regolamento tipo. Nelle more dell'approvazione, si applica comunque il regolamento tipo.

Art. 6
(Monitoraggio ambientale)

  1. L'ISPRA e la rete delle agenzie assicurano il monitoraggio annuale dei prodotti fitosanitari garantendo una esaustiva ed omogenea copertura del territorio nazionale per quanto riguarda la valutazione delle concentrazioni nelle acque superficiali e sotterranee nonché nell'aria. Nei monitoraggi, oltre alle normali misurazioni delle concentrazioni nelle matrici acqua e aria, vengono usati, ai fini delle valutazioni sul grado di esposizione ambientale, anche bio-indicatori e misurazioni delle concentrazioni nelle matrici biologiche, secondo linee guida congiunte redatte da ISPRA in accordo con l'Istituto superiore di sanità entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
  2. I monitoraggi sulle acque vengono condotti obbligatoriamente sui 40 princìpi attivi più venduti in Italia e, oltre a questi, sui primi 40 venduti in ciascuna regione o provincia autonoma. In ogni caso il monitoraggio deve garantire la copertura di almeno la metà dei princìpi attivi venduti in Italia e relativi metaboliti nonché i più diffusi princìpi attivi non più in commercio con ampia diffusione, persistenza o tossicità. Nella rete di monitoraggio sono obbligatoriamente inseriti i punti di captazione dei sistemi acquedottistici.
  3. L'ISPRA redige le linee guida per il monitoraggio della qualità dell'aria in relazione alla presenza di prodotti fitosanitari dispersi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, tenendo conto dell'obbligatorietà della misurazione delle concentrazioni dei princìpi attivi e dei metaboliti più diffusi che possono provocare esposizione per via aerea nonché della relativa pericolosità delle sostanze.
  4. L'ISPRA e le agenzie garantiscono, entro trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e successivamente con cadenza almeno annuale, la redazione di rapporti sul monitoraggio della qualità dell'aria per prodotti fitosanitari.
  5. Le informazioni di cui al presente articolo sono obbligatoriamente rese disponibili sui siti web istituzionali ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195.

Art. 7.
(Monitoraggio e tutela sanitaria)

  1. L'istituto superiore di sanità e l'ISPRA stabiliscono, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, delle linee guida di riferimento sulle soglie per la concentrazione di singoli princìpi attivi e metaboliti in acqua e in aria pericolose per l'esposizione all'uomo e all'ambiente, tenendo anche conto dell'effetto sinergico e di sommatoria tra le sostanze.
  2. Le regioni e le provincie autonome, in accordo con l'Istituto superiore di sanità, individuano, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le aree di maggiore vulnerabilità per l'esposizione umana e ambientale ai prodotti fitosanitari, aggiornandole almeno ogni tre anni sulla base dei risultati dei monitoraggi di cui all'articolo 6.
  3. Nelle aree di cui al comma 2 le regioni e le provincie autonome, oltre a predisporre specifici programmi per la riduzione dell'uso dei prodotti fitosanitari e dell'esposizione ad essi, attivano indagini epidemiologiche e apposite misure di prevenzione e di monitoraggio sanitario sulle patologie connesse all'uso e all'esposizione a prodotti fitosanitari. Le informazioni di cui al presente comma sono obbligatoriamente rese disponibili sui siti web istituzionali ai sensi dell'articolo 8 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195.
  4. Alle regioni che entro quarantotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge non abbiano realizzato le indagini e le misure di prevenzione di cui al comma 3 si applica una riduzione annua dei trasferimenti per la spesa sanitaria pari a una percentuale dello 0,5 per cento rispetto all'anno precedente.

Art. 8.
(Vigilanza)

  1. Sono incaricati in modo specifico del rispetto della presente legge tutti i corpi di polizia dello Stato, le polizie provinciali per i territori di loro competenza, i servizi guardaparco delle aree protette regionali per il territorio di loro competenza, i corpi di polizia locale e municipale per il territorio di loro competenza, gli Ispettorati agricoli regionali, il personale delle aziende sanitarie locali e dei servizi veterinari, le guardie zoofile volontarie, le guardie particolari giurate e le guardie venatorie e ittiche delle associazioni di protezione ambientale, ittiche e venatorie.

Art. 9.
(Sanzioni)

  1. Salvo che il fatto costituisca reato, per la violazione delle norme contenute nella presente legge si applicano le seguenti sanzioni amministrative:

   a) la violazione del comma 1 dell'articolo 3 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 200 euro a un massimo di 1.500 euro;

   b) la violazione del comma 2, lettera a), dell'articolo 3 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 200 euro a un massimo di 1.000 euro per ogni frazione di 500 metri di lunghezza della viabilità;

   c) la violazione del comma 2, lettera b), dell'articolo 3 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 500 euro a un massimo di 3.000 euro. Se la superficie della zona diserbata è inferiore a 100 metri quadrati si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 200 euro a un massimo di 1.500 euro;

   d) la violazione del comma 2, lettera c), dell'articolo 3 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 500 euro a un massimo di 3.000 euro. La sanzione è raddoppiata nel massimo e nel minimo se la violazione è commessa in prossimità di edifici scolastici, ospedali, impianti sportivi ed edifici di culto o con presenza ravvicinata di persone o di animali domestici;

   e) la violazione dei commi 1 e 2 dell'articolo 4 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 1.000 euro a un massimo di 5.000 euro. La sanzione è raddoppiata nel massimo e nel minimo se la violazione è commessa con presenza ravvicinata di persone o di animali domestici;

   f) la violazione del comma 2, lettera d), dell'articolo 3 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 200 euro a un massimo di 1.200 euro.

  2. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque sversa in ambiente naturale le acque di lavaggio dei contenitori o delle botti di prodotti diserbanti è punito con la sanzione amministrativa di cui al comma 1 dell'articolo 255 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, aumentata del doppio.
  3. Salvo che il fatto costituisca reato, chiunque abbandona i contenitori degli stessi in ambiente naturale è punito con la sanzione amministrativa di cui al comma 1 dell'articolo 255 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, aumentata del doppio se si tratta di rifiuti speciali non pericolosi e del triplo se si tratta di rifiuti pericolosi.

Art. 10.
(Proventi delle sanzioni amministrative)

  1. I proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'articolo 5 per il 50 per cento sono attribuiti agli enti parco o ai gestori di siti Natura 2000 o nel cui territorio è stata accertata la violazione o, in loro assenza, ai comuni competenti per territorio e sono destinati a interventi di manutenzione manuale o meccanica di aree di proprietà pubblica. Il restante 50 per cento è versato su un fondo presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, destinato a finanziare, previo bando nazionale aperto agli enti pubblici:

   a) campagne d'informazione dirette a tutta la popolazione sull'importanza dei servizi ecosistemici assicurati dagli agroecosistemi e dagli altri sistemi naturali e seminaturali che costituiscono i paesaggi regionali e locali;

   b) attività di ricerca, monitoraggio e sperimentazione, con la realizzazione di strutture di raccolta, riproduzione e conservazione, nonché interventi di recupero e di ricostruzione ambientali;

   c) programmi di aggiornamento per il personale tecnico delle pubbliche amministrazioni, in materia di criteri di manutenzione, di conservazione e di gestione delle aree seminaturali, nonché programmi di formazione per gli agricoltori in materia di funzioni delle aree non coltivate, modalità di gestione, di opportunità di utilizzazione, e per gli operatori turistici, in materia di riconoscimento delle erbe spontanee, delle caratteristiche e della gestione degli ambienti seminaturali e naturali;

   d) programmi di coordinamento regionale per la realizzazione di un sistema efficiente per lo scambio tecnico-informativo, per il coordinamento dei programmi e, ove possibile, per la sinergia negli interventi nonché una reale collaborazione tra il personale degli uffici degli enti locali competenti in materia ambientale e territoriale.