XVIII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 2693
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa della deputata GALIZIA
Disposizioni per la protezione degli interpreti e dei traduttori che svolgono le funzioni di perito o di consulente tecnico nei procedimenti per reati di criminalità organizzata nazionale o internazionale
Presentata il 30 settembre 2020
Onorevoli Colleghi! – In questi ultimi anni numerose procure della Repubblica e molti uffici giudiziari giudicanti hanno segnalato la difficoltà di avvalersi della collaborazione di ausiliari per la traduzione di atti e di conversazioni acquisiti nel corso delle indagini condotte contro organizzazioni criminali appartenenti a minoranze linguistiche nazionali e alla criminalità internazionale.
Le difficoltà sono attribuibili, in modo prevalente, alle minacce e alle intimidazioni alle quali sono sottoposti gli ausiliari quando i gruppi criminali vengono a conoscenza della loro identità e della collaborazione da loro prestata alle autorità giudiziarie per acquisire elementi di straordinaria rilevanza probatoria.
Per essere definite «mafiose», le organizzazioni criminali devono, a giudizio della Corte di cassazione (si veda, ad esempio, la sentenza n. 24535 del 9 giugno 2015), essere basate su valori tipici consistenti, principalmente, nella capacità degli appartenenti al sodalizio di avvalersi della forza intimidatrice acquisita dalla fama e dal prestigio criminale per le pregresse azioni di violenza e minaccia e dalla capacità di assoggettare anche a fini di affiliazione e di incutere paura nei non affiliati per garantirsi l'omertà.
Particolari difficoltà sono state riscontrate dalla magistratura per la traduzione delle conversazioni acquisite nel corso delle indagini svolte contro le famiglie Spada e Casamonica, conversazioni deliberatamente effettuate nei dialetti romanès utilizzati dalle comunità rom e sinti per impedire alla magistratura la conoscenza dei contenuti comunicati. Le stesse difficoltà sono affrontate dalla magistratura quando deve avvalersi della collaborazione di traduttori nei procedimenti contro le mafie nigeriana, cinese, albanese, ucraina, russa, sudamericana, giapponese e, in generale, internazionale, compreso il terrorismo arabo.
Il pericolo corso dagli interpreti di lingua romanès è dovuto alla particolare organizzazione sociale della comunità. Accade di frequente, infatti, che gli interpreti vivano nello stesso gruppo o kumpània degli indagati e la scoperta dell'attività di collaborazione con la magistratura è interpretata dagli indagati e dalla stessa comunità come un tradimento sanzionabile con pene severe.
L'interprete e il traduttore scoperti a collaborare con la magistratura subiscono sanzioni gravissime, lesive della loro integrità fisica, per ristabilire la pace e l'armonia nella comunità. Nella cultura tradizionale dei rom e dei sinti praticare condotte inappropriate significa alterare l'equilibrio spirituale e l'armonia della comunità, equilibrio e armonia recuperabili solo con l'espiazione delle pene inflitte dai loro tribunali tradizionali.
Nella comunità dei rom e dei sinti il giudizio più temuto è quello celebrato davanti alla kris, l'unico organo giudiziario – tribunale tradizionale – che regola la vita della kumpània. Il colpevole scoperto è condannato a pene corporali, economiche e sociali commisurate alla gravità del comportamento e nessuno può sottrarsi all'esecuzione del verdetto. È previsto l'eventuale giudizio di secondo grado, ma difficilmente è azionato perché in caso di conferma della condanna la pena è raddoppiata.
Per gli interpreti e per i traduttori rom e sinti negare la collaborazione con la kris, nell'ambito del procedimento davanti ad essa, è impossibile a causa dell'audizione dei testimoni e del rischio di condanna per lo «spergiuro», un comportamento ritenuto gravissimo dalla comunità e sanzionato con la maledizione solenne che il krisnitòri (il presidente del collegio) può chiedere a Dio nei casi in cui ritenga che l'imputato o i testimoni stiano mentendo.
Non si conoscono le pene effettivamente inflitte dalla kris in quanto la kumpània è una comunità chiusa: i pochi studiosi che hanno potuto osservare da vicino le comunità zigane sostengono che le sanzioni sono estremamente pesanti e che nel passato lo erano ancora di più. Attualmente, risulta che le pene siano più tenui e che si faccia ricorso principalmente alla pena pecuniaria quale risarcimento dei danni provocati all'offeso e, nei casi più gravi, anche all'estromissione dalla comunità a seguito della sentenza che decreta lo status di «impuro» e prevede che questi lasci il gruppo al fine di non contaminarlo. A prescindere dalla sanzione prevista nella sentenza, è comunque la stessa comunità che isola l'individuo che non si comporta in modo conforme alla legge romanì.
Sono praticate anche numerose procedure di giustizia privata, ma si ha conoscenza solo di due tipi di intervento, che consistono nell'azione diretta delle parti in causa e nell'applicazione dei metodi della faida e della vendetta. La faida è costituita da azioni di rappresaglia socialmente accettate, mentre la vendetta è la rappresaglia isolata di un individuo che decide di farsi giustizia da solo e non riguarda solo il traditore, ma può colpire qualsiasi familiare o parente, anche arrivando alla loro uccisione.
Le sanzioni nei confronti degli interpreti e dei traduttori da parte degli appartenenti alla mafia, scoperti dagli inquisiti a collaborare con la magistratura, sono molto afflittive e spesso crudeli. La mafia albanese, diffusa in tutto il nostro territorio, è strutturata, dal punto di vista organizzativo, su base familiare e non differisce dalla 'ndrangheta, con la quale ha stretto patti di collaborazione e di pacifica convivenza, spartendosi le aree di influenza per svolgere l'attività dello spaccio della droga.
Particolarmente delicata è la posizione dei traduttori e degli interpreti per gli atti riguardanti la mafia nigeriana. Benché la lingua ufficiale della Nigeria sia l'inglese, numerosi sono i dialetti utilizzati dagli appartenenti alle organizzazioni mafiose che richiedono la collaborazione di interpreti e di traduttori appartenenti allo stesso territorio di origine per portare a conoscenza degli inquirenti le azioni delittuose. Le lingue prevalentemente utilizzate per rendere inutili le intercettazioni e per sfuggire al controllo delle Forze dell'ordine sono le lingue agbo, eshan, benin yoruba e fon, oltre al linguaggio criptato conosciuto solo dagli appartenenti al secret cult.
Molti attribuiscono al fenomeno migratorio il proliferare delle mafie straniere nel nostro territorio. A tale proposito e in via di principio, gli studiosi di storia internazionale della criminalità organizzata hanno evidenziato che il fenomeno migratorio, pur non risultando un indicatore della criminalità straniera, ha in sé un'elevata potenzialità per la condizione in cui versano i migranti nei Paesi di accoglienza. Innanzitutto i fenomeni di xenofobia e i pregiudizi nei confronti degli stranieri isolano i migranti, che sono costretti a vivere in condizioni di insicurezza e di vuoto sociale che li spingono a intrattenere relazioni esclusivamente con i propri connazionali. Per la comunità nigeriana questo bisogno è molto più avvertito a causa delle tradizioni e del vissuto in patria. La società nigeriana, infatti, è ancor oggi formata da gruppi di origine tribale, che hanno favorito la proliferazione di confraternite nate negli anni '70 per proteggere la popolazione più debole nei campus universitari e, successivamente, tutta la popolazione della Nigeria. Dalle indagini storiche risulta che per arginare i disagi avvertiti dagli studenti universitari appartenenti alle classi meno abbienti gli stessi si organizzarono in confraternite per rivendicare un trattamento dignitoso nei campus. L'affiliazione era aperta a tutti, ma si praticava una rigida selezione a favore dei più forti e promettenti perché fra i compiti più importanti dei cult c'era quello di offrire una protezione che poteva essere conseguita solo con la violenza e con le intimidazioni, che divennero ben presto gli elementi caratterizzanti i gruppi. In pochissimi anni ci fu una proliferazione di confraternite che, per conquistare il dominio, si contrapposero fra loro scontrandosi con atti di estrema violenza. Conquistare il predominio e il controllo dei campus richiedeva la dimostrazione di una forza superiore agli avversari e per questo le confraternite fecero uso dell'estremo vandalismo, della violenza e della lotta sanguinaria e negli anni '90 si cominciò a parlare di «mafia del campus», anche perché gli affiliati, assoggettati al gruppo anche da giuramenti con rito voodoo, non avevano alcuna possibilità di abbandonare la confraternita. Chi tentava di uscire dal cult era considerato disertore e ucciso per evitare che ne rivelasse i segreti. La cronaca ha evidenziato che non si sfugge ai cult neppure fuggendo all'estero poiché la mafia nigeriana è presente in tutti i Paesi del mondo.
In Italia la mafia nigeriana ha impegnato già numerose procure della Repubblica e corti d'assise, in particolare quelle di Torino, di Bologna, di Palermo e di Salerno, che hanno incontrato notevoli difficoltà per trovare ausiliari disposti a tradurre le intercettazioni per il timore di questi di essere sottoposti a violenze, ma soprattutto per il timore che la vendetta potesse rivolgersi contro i componenti della loro famiglia. Numerose testimonianze raccolte dalle Forze dell'ordine e dalla magistratura hanno evidenziato che il timore maggiore riguarda i parenti rimasti in Nigeria, dove i cult sono potenti e si sono infiltrati all'interno della polizia e dei Governi degli Stati. Altre pratiche che hanno un'elevata forza intimidatrice, incutono timore e rafforzano l'omertà sono i riti voodoo, gli omicidi rituali, numerosi in Nigeria, e gli atti di cannibalismo.
Si stima che gli insediamenti «cultisti» siano ormai stabilmente diffusi in tutto il territorio nazionale ed esercitino un sistematico condizionamento intimidatorio sulla comunità nigeriana con l'impiego pianificato della violenza praticata con modalità particolarmente crudeli ed efferate. Le cronache fanno riferimento a pratiche di cannibalismo anche in Italia, anche se per il momento non risultano episodi giudizialmente accertati. La magistratura ha chiarito che la ferocia degli atti intimidatori e l'influenza dei gruppi è rivolta esclusivamente nei confronti dei propri connazionali, per il dominio del territorio e l'aumento degli affiliati, mentre sono esclusi i cittadini italiani.
La pratica di consumare la vendetta e l'intimidazione anche sui parenti rimasti in patria è utilizzata ampiamente anche dalla mafia ucraina, che con questa pratica esercita un forte potere coercitivo sulle vittime.
Queste sommarie motivazioni inducono gli interpreti e i traduttori a rifiutare l'incarico, preferendo assoggettarsi alla sanzione dello Stato italiano prevista a carico di chi è chiamato a svolgere una funzione pubblica obbligatoria. Quelli che accettano l'incarico per non incorrere nelle sanzioni previste dall'ordinamento italiano svolgono il lavoro con poca serenità, motivazione e volontà, con la conseguenza che moltissimi atti, utili alle indagini, non sono neppure tradotti, e con questo stratagemma sfuggono alle sanzioni della comunità di appartenenza.
Un altro aspetto critico è il bassissimo compenso previsto per remunerare l'attività svolta dall'interprete e dal traduttore, che scoraggia l'assunzione dei gravi rischi che la collaborazione comporta.
Per favorire la collaborazione e la funzione di ausiliario dell'interprete e del traduttore, che sono indispensabili alla magistratura per la conoscenza di materiale probatorio potenzialmente incriminatorio, è necessario introdurre nell'ordinamento strumenti di protezione che garantiscano l'incolumità personale degli ausiliari e delle persone a loro legate da vincoli familiari e di convivenza.
La riservatezza dell'incarico e l'anonimato dell'interprete e del traduttore devono essere garantiti in tutte le fasi processuali nelle quali è richiesta la loro collaborazione e in particolare nell'accesso ai palazzi di giustizia, autorizzando l'uso di ingressi riservati. È necessario, inoltre, adottare misure di riservatezza, a garanzia dell'anonimato, nella fase di liquidazione del compenso e del relativo pagamento.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Oggetto)
1. La presente legge reca disposizioni per la protezione degli interpreti e dei traduttori che svolgono le funzioni di perito o di consulente tecnico nei procedimenti instaurati nei confronti di esponenti della criminalità organizzata nazionale o internazionale, di seguito denominati «ausiliari del giudice», prevedendo l'applicazione di adeguate misure di protezione.
2. Le misure di protezione di cui alla presente legge si applicano, nei casi in cui ciò sia ritenuto necessario, anche nei confronti dei soggetti che a causa del vincolo familiare e del rapporto di convivenza con gli ausiliari del giudice risultino esposti a un grave, attuale e concreto pericolo.
Art. 2.
(Misure di protezione)
1. Al fine di assicurare l'incolumità e la sicurezza degli ausiliari del giudice e dei soggetti di cui al comma 2 dell'articolo 1, si applicano, secondo la gravità, l'attualità e la concretezza del pericolo, le seguenti misure di protezione:
a) l'uso di uno pseudonimo o di un codice alfanumerico per l'identificazione dell'ausiliario del giudice negli atti redatti ai fini dello svolgimento dell'incarico;
b) l'accesso nei luoghi di svolgimento dell'incarico tramite ingressi riservati;
c) misure per garantire la segretezza dell'identità e delle caratteristiche fisiche nonché la modifica delle caratteristiche fonetiche della voce, nel caso di svolgimento dell'incarico in presenza dei soggetti sottoposti alle indagini o degli imputati;
d) misure di vigilanza e di protezione personali;
e) accorgimenti tecnici di sicurezza per le abitazioni, per gli immobili e per i luoghi di comune frequentazione dell'ausiliario del giudice.
2. Le misure di protezione applicate agli ausiliari del giudice che hanno accettato l'incarico di collaborazione sono individuate dall'autorità giudiziaria procedente, caso per caso, tenendo conto della situazione di pericolo e della condizione personale, familiare e sociale degli ausiliari stessi.
3. Le misure di protezione applicate ai sensi del presente articolo non possono comportare alcuna perdita né limitazione dei diritti goduti dagli ausiliari del giudice, fatte salve eventuali situazioni temporanee ed eccezionali dettate dalla necessità di salvaguardare l'incolumità personale degli ausiliari stessi.
Art. 3.
(Contenuti e modalità di attuazione delle misure di protezione)
1. Le misure di protezione sono disposte dal procuratore della Repubblica dell'ufficio giudiziario presso il quale è richiesta la prestazione dell'opera di ausiliario del giudice.
2. Il verbale di nomina, con il quale è conferito l'incarico, deve contenere le generalità dell'ausiliario del giudice e contestualmente deve essere attribuito uno pseudonimo o codice alfanumerico con il quale l'ausiliario stesso deve essere identificato, a partire dalla data di accettazione dell'incarico, per tutte le attività richieste, dalla fase investigativa fino all'udienza preliminare e dibattimentale.
3. Il verbale di nomina deve, inoltre, specificare i delitti e le organizzazioni criminali oggetto di indagine nonché i motivi per i quali la traduzione è necessaria e la rilevante importanza che essa riveste ai fini delle indagini, del giudizio o delle attività investigative. Deve, altresì, indicare le circostanze dalle quali emerge la sussistenza del grave e attuale pericolo conseguente all'accettazione dell'incarico.
4. Nel verbale di nomina devono essere identificati gli eventuali soggetti destinatari delle misure di protezione legati all'ausiliario del giudice da rapporto di parentela o di convivenza e indicate le situazioni di grave, attuale e concreto pericolo che rendono necessaria l'estensione delle misure di protezione. Il verbale di nomina dell'ausiliario del giudice, contenente le generalità e lo pseudonimo o codice alfanumerico attribuito all'ausiliario stesso e l'indicazione dei dati anagrafici degli eventuali soggetti a lui legati da vincolo di parentela o di convivenza deve essere secretato, a cura del procuratore della Repubblica o dell'autorità giudiziaria che lo ha redatto.
Art. 4.
(Misure speciali di protezione)
1. Nei casi di particolare gravità dei fatti e di efferatezza dell'organizzazione criminale contro la quale si procede, all'ausiliario del giudice sono concesse ulteriori e speciali misure di protezione.
2. L'autorità giudiziaria procedente propone l'adozione delle misure speciali di protezione e predispone il piano di attuazione che segnala al prefetto del luogo di dimora dell'ausiliario del giudice per tutelare l'incolumità sua e dei soggetti a lui legati da vincolo di parentela o di convivenza.
3. Il prefetto e l'autorità di pubblica sicurezza dispongono, immediatamente, le misure richieste. L'eventuale misura di sorveglianza della dimora e dei luoghi di svolgimento della vita quotidiana dell'ausiliario del giudice deve essere effettuata con agenti in borghese.
Art. 5.
(Durata delle misure di protezione)
1. Le misure di protezione adottate nei confronti dell'ausiliario del giudice ai sensi degli articoli 2 e 4 sono mantenute fino alla conclusione dell'incarico e, comunque, fino alla cessazione della situazione di pericolo attuale, grave e concreto.
2. Le misure di protezione adottate nei confronti dell'ausiliario del giudice ai sensi degli articoli 2 e 4 sono revocate in caso di rinuncia all'incarico da parte dell'ausiliario.
Art. 6.
(Liquidazione dell'onorario)
1. L'onorario degli ausiliari del giudice è liquidato ai sensi e secondo le modalità disciplinate dal decreto del Ministro della giustizia 30 maggio 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 182 del 5 agosto 2002.
2. A favore degli ausiliari del giudice è riconosciuta un'indennità giornaliera di 150 euro per i giorni di effettivo svolgimento dell'attività, quale ulteriore remunerazione per i rischi assunti con l'accettazione e nell'espletamento dell'incarico.
3. L'autorità giudiziaria procedente liquida immediatamente l'onorario e il mandato di pagamento è eseguito entro trenta giorni con l'effettuazione del versamento diretto sul conto corrente bancario o postale intestato all'ausiliario del giudice e da questi comunicato all'atto dell'accettazione dell'incarico.
Art. 7.
(Disposizioni finanziarie)
1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge si provvede mediante corrispondente riduzione delle risorse del Fondo unico giustizia di cui all'articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181.