FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1564

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato COSTA

Modifica alla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in materia di ambito di applicazione delle disposizioni riguardanti il divieto di concessione dei benefìci penitenziari

Presentata il 4 febbraio 2019

  Onorevoli Colleghi! – La legge 9 gennaio 2019, n. 3, ha modificato l'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, sull'ordinamento penitenziario, inserendo nell'elenco dei reati ostativi alla concessione delle misure alternative alla detenzione e agli altri benefìci molti reati contro la pubblica amministrazione.
  La lettera b) del comma 6 dell'articolo 1 della citata legge n. 3 del 2019, infatti, recita: «dopo le parole: “mediante il compimento di atti di violenza, delitti di cui agli articoli” sono inserite le seguenti: “314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis,”». Ciò determina l'immediata applicazione di questo nuovo regime penitenziario a tutti coloro che alla data di entrata in vigore della legge n. 3 del 2019 avevano già concluso la loro vicenda processuale maturando la legittima aspettativa di essere sottoposti a un regime penitenziario meno gravoso, che, in alcuni casi, avrebbe potuto comportare persino la sospensione dell'ordine di esecuzione della pena.
  È noto, infatti, che l'articolo 656, comma 9, lettera a), del codice di procedura penale vieta la sospensione dell'ordine di esecuzione della pena anche per i reati contemplati nel catalogo previsto dall'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975.
  Le disposizioni introdotte dalla citata novella colpiscono anche tutti coloro che hanno già usufruito di benefìci penitenziari ancora in corso, che potrebbero essere revocati in conseguenza dell'immediata applicazione della condizione della collaborazione come requisito, prima non previsto, per l'accesso a strumenti extramurari di recupero. Né potrebbe essere eccepita, sic et simpliciter, l'applicazione del principio di irretroattività delle norme che incidono sulla pena in senso lato, compresa la fase della sua esecuzione, in ossequio al principio costituzionale sancito dall'articolo 25, secondo comma, della Costituzione.
  Per quanto opinabile, occorre dare conto di un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale le disposizioni concernenti le misure alternative alla detenzione, in quanto non riguardano l'accertamento del reato e l'irrogazione della pena ma attengono soltanto alle modalità esecutive della pena irrogata, non hanno carattere di norme penali sostanziali e quindi – in assenza di specifiche norme transitorie – soggiacciono al principio tempus regit actum e non alla disciplina dell'articolo 2 del codice penale e dell'articolo 25 della Costituzione.
  In attesa di un auspicabile, per quanto ancora incerto, revirement della giurisprudenza di legittimità che si conformi anche alle più recenti sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo (fra tutte, Corte europea dei diritti dell'uomo, terza sezione, sentenza 10 luglio 2012, presidente Casadevall – Del Rio Prada contro Spagna), occorre che sia il Parlamento a intervenire con una disposizione transitoria che allinei la riforma al principio di irretroattività della norma penale – id est della materia dell'esecuzione penale – sfavorevole, considerati gli angusti margini di manovra di un possibile sindacato di legittimità costituzionale sulle scelte di politica criminale.
  È opportuno notare, al riguardo, che in molti casi le leggi intervenute nella materia hanno previsto disposizioni transitorie; possono citarsi, in ordine cronologico, il decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, che reca disposizioni transitorie per quanto riguarda il lavoro all'esterno (articolo 21 della legge n. 354 del 1975), i permessi premio (articolo 30-ter della legge n. 354 del 1975) e l'ammissione alla semilibertà (articolo 50 della legge n. 354 del 1975): l'articolo 4 del citato decreto-legge ha stabilito in tale caso che le nuove norme si applicano solo ai condannati per delitti commessi dopo l'entrata in vigore dello stesso decreto-legge.
  Anche la legge 23 dicembre 2002, n. 279, che ha modificato in senso restrittivo il comma 1 dell'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975, presenta una norma transitoria (articolo 4) in base alla quale le modifiche apportate con l'articolo 1 «non si applicano nei confronti delle persone detenute per i delitti di cui agli articoli 600, 601 e 602 del codice penale ovvero per delitti posti in essere per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico, commessi precedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge».
  È stato quindi lo stesso legislatore a riconoscere la valenza del principio di irretroattività della norma penale meno favorevole anche con riferimento al regime della pena.
  D'altra parte, quando, all'opposto, si è intervenuti con una disposizione transitoria in malam partem (si ricorderà l'articolo 15, comma 2, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, recante «Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa», che aveva esteso il regime di maggior rigore a tutti coloro che alla data di entrata in vigore dello stesso decreto-legge stessero usufruendo di permessi premio concessi in base alla normativa previgente, prevedendo la revoca del provvedimento qualora non si trovassero nella condizione per l'applicazione dell'articolo. 58-ter della legge n. 354 del 1975) la Corte costituzionale (con la sentenza n. 306 del 1993) ha affermato princìpi validi anche oggi. Pur non prendendo posizione sulla violazione dell'articolo 25, secondo comma, della Costituzione – perché la questione fu giudicata sotto uno degli aspetti dedotti inammissibile, sotto un altro infondata – la Corte pervenne alla declaratoria di illegittimità costituzionale di quella disposizione in base ad altri parametri (segnatamente il principio di colpevolezza ex articolo 27 della Costituzione) riconoscendo che «la vanificazione con legge successiva di un diritto positivamente riconosciuto da una legge precedente non può sottrarsi al necessario scrutinio di ragionevolezza» e che «l'aspettativa del condannato a veder riconosciuto l'esito positivo del percorso di risocializzazione già compiuto si è trasformata nel diritto di espiare la pena con modalità idonee a favorire il completamento di tale processo».
  Dunque, ogni modifica in senso peggiorativo del trattamento penitenziario affidata a rigidi automatismi svincolati da un serio vaglio giudiziale rischia, anche su questo piano, di porsi in stridente contrasto con la Legge fondamentale.
  Per non parlare, infine, della disparità di trattamento che inevitabilmente questa riforma, orfana di una disposizione transitoria, è destinata a produrre per situazioni analoghe.
  Coloro che hanno già eseguito la pena (magari in regime di affidamento in prova) per reati commessi anteriormente all'entrata in vigore della novella citata avranno goduto di un regime più favorevole solo perché – per ragioni tutt'affatto imprevedibili – il processo ha avuto un iter di definizione più rapido rispetto a chi si troverà oggi (per fatti analoghi) a dover scontare la pena o parte di essa in un istituto penitenziario.
  Per consentire che il regime previsto dalla nuova disciplina non possa che disporre per l'avvenire e dunque non sia applicabile per i fatti commessi prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina, la presente proposta di legge modifica la legge n. 3 del 2019, stabilendo che le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 6 (che appunto inseriscono molti reati contro la pubblica amministrazione nell'elenco dei reati ostativi alla concessione delle misure alternative alla detenzione e agli altri benefìci) non si applicano ai delitti ivi contemplati, commessi prima dell'entrata in vigore della stessa legge.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

  1. Dopo il comma 6 dell'articolo 1 della legge 9 gennaio 2019, n. 3, è inserito il seguente:

   «6-bis. Le disposizioni di cui al comma 6 non si applicano ai delitti ivi contemplati, commessi prima della data di entrata in vigore della presente legge».