FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7
                        Articolo 8
                        Articolo 9
                        Articolo 10
                        Articolo 11
                        Articolo 12
                        Articolo 13

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1279

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
PORCHIETTO, GELMINI, BIGNAMI, CANNIZZARO, CASSINELLI, CORTELAZZO, D'ATTIS, FIORINI, GAGLIARDI, GIACOMETTI, GIACOMETTO, GIACOMONI, LABRIOLA, MAZZETTI, MULÈ, MUSELLA, NEVI, PEDRAZZINI, PELLA, PENTANGELO, PETTARIN, PITTALIS, ROSSO, RUFFINO, PAOLO RUSSO, SANTELLI, SOZZANI, SQUERI, VIETINA, ZANGRILLO

Disposizioni per favorire il rientro delle attività produttive delocalizzate, proroga del piano «Impresa 4.0» e misure per la riqualificazione delle aree industriali dismesse

Presentata il 18 ottobre 2018

  Onorevoli Colleghi! – C'è un settore in Europa in cui l'Italia è all'avanguardia nel continente, lasciando indietro i principali competitor occidentali, a partire dalla Germania e dagli Stati Uniti d'America (USA). Si tratta del reshoring, vale a dire il processo di trasferimento globale o parziale verso il Paese di origine (back-reshoring) o in aree limitrofe (near-reshoring) delle produzioni manifatturiere che, in precedenza, per ragioni di carattere prevalentemente economico, erano state delocalizzate in Paesi esteri molto distanti.
  Questo fenomeno, che si è palesato in modo naturale, è in parte figlio della crisi finanziaria che si è innescata a partire dal 2008 e che ha imposto alle imprese un severo controllo sul fronte dei costi. È proprio in questo contesto che diversi Governi in ambito europeo e occidentale hanno iniziato a mettere a punto formule per incentivare le grandi imprese locali a riportare le produzioni in patria, nella speranza di accrescere l'indotto e, di riflesso, di contribuire a mitigare l'annoso e diffuso problema dei tassi di disoccupazione a doppia cifra.
  Le varie formule in cui il reshoring prende piede sono da anni oggetto di studio da parte del consorzio interuniversitario «Uni-Club MoRe Back-Reshoring», che raduna numerosi studiosi degli atenei di Modena-Reggio Emilia, L'Aquila, Udine, Catania e Bologna. In uno degli ultimi approfondimenti effettuati, il pool di esperti ha messo sotto la lente di ingrandimento 102 decisioni di imprese italiane di back-reshoring e 12 di near-reshoring. La ricerca svela che i Paesi dai quali le imprese hanno assunto la decisione di ritornare sono in netta prevalenza quelli asiatici (Cina, in primo luogo), seguiti da quelli dell'est Europa, che rimangono tuttavia privilegiati per l'approdo in caso di near-reshoring. Per quanto riguarda i settori di attività delle aziende che scelgono di rimpatriare le filiere di produzione, spiccano il fashion, l’automotive e l'arredamento, i quali da soli rappresentano i due terzi del totale delle operazioni.
  Negli USA il fenomeno del reshoring è stato oggetto di specifici interventi legislativi, in particolare tramite il Blueprint dell'amministrazione Obama (The White House, 2012), che ha avviato una politica industriale basata sul back to manufacturing, non a caso teorizzato ad Harvard, e alla Reshoring Initiative di Harry Moser del 2010. L'amministrazione Trump sta utilizzando, in maniera secca e istantanea, la leva fiscale (i tagli delle aliquote aziendali dal 35 al 21 per cento), affiancata da incentivi al rientro dall'estero di capitali fino a 2.600 miliardi e da una forte moral suasion. A cagione di ciò, nella lista delle imprese intenzionate a tornare ad investire negli Stati Uniti si trovano sia l'America del 1900 sia l'America del 2000: AT&T, Apple, Fiat Chrysler Automobiles (un miliardo di dollari in più nella fabbrica di Warren in Michigan), General Motors e persino aziende straniere come Toyota-Mazda o la cinese Alibaba. Le stime provvisorie degli investimenti annunciati dalle sole multinazionali superano i 70 miliardi. Gli studi dimostrano il grande potenziale che gli USA sembrano avere in termini di opportunità di rientro. Quanto alle motivazioni, dagli studi emerge che per le imprese americane è prioritaria l'esigenza di assicurare adeguati standard di qualità, mentre, a livello di motivazioni aggregate, i fattori di costo (del lavoro, di trasporto e totali) sono quelli preminenti. Non si dispone di dati riguardo alla motivazione derivante dagli incentivi al rimpatrio per l'amministrazione Trump, ma si può certificare che fosse già al 13,7 per cento con la precedente amministrazione Obama.
  In Gran Bretagna (o meglio, nel Regno Unito) la politica di reshoring è stata avviata dall'amministrazione Cameron dopo l'annuncio fatto al World Economic Forum di Davos nel gennaio 2014, con l'obiettivo di creare 200.000 posti di lavoro nei settori tessile, dell'elettronica e dei macchinari, con un incremento del prodotto interno lordo (PIL) da 6 a 12 miliardi di sterline. A partire dal 2014 UK Trade & Investment (UKTI – www.ukti.gov.uk/investintintheuk) ha unito le forze con il Manufacturing Advisory Service (MAS) per il lancio di Reshore UK-Government advisor service for a welcoming economy. Sin dal 2011 UKTI ha individuato 1.500 produzioni manifatturiere che potenzialmente sarebbero potute tornare nel Regno Unito e un sondaggio MAS ha evidenziato come le aziende chiedessero in primis la riduzione dei costi per spostare la produzione nel Regno Unito. Le altre principali motivazioni riguardavano la qualità dei prodotti e la riduzione dei tempi di consegna. Di conseguenza sono stati adottati strumenti di semplificazione legislativa, di flessibilità del mercato del lavoro, di riduzione della tassazione su lavoratori e imprese, di esenzione fiscale per i dividendi realizzati all'estero dalle imprese residenti e di fornitura di energia a basso costo. MAS supporta le imprese che intendono tornare con la consulenza su incentivi ed agevolazioni, con strumenti di supporto per l'approdo sui mercati, con interventi di coordinamento tra imprese rientranti e fornitori locali (supply chains), con la consulenza per la definizione di strategie a breve e lungo termine. Infine, il Dipartimento governativo UK Trade & Investment, oltre a supportare le imprese all'estero, si occupa anche di reshoring e degli investimenti di imprese estere nel Regno Unito. I risultati sono che tra il 2014 e il 2017 un sesto delle 300 imprese associate in EEF – The Manufacturers’ Organisation ha riportato le attività produttive nel Regno Unito nonostante la Brexit.
  La Francia ha una lunga tradizione nell'assistenza attiva agli investitori. Gli obiettivi del Governo sono la creazione di un milione di posti di lavoro nel prossimo decennio grazie al reshoring, rilanciando il made in France (Origine France Garantie) e riorientando la competitività del Paese. La Francia dispone già della migliore detrazione fiscale in Europa per ricerca e innovazione e di un regime fiscale attrattivo per società finanziarie e sedi centrali (headquarters) di grandi imprese. Con la legge finanziaria 2018 la Francia ha deliberato specifici interventi per l'attrazione delle scelte di rilocalizzazione dei servizi assicurativi e finanziari. L'agenzia Invest in France agency (AFII) è collegata con una pluralità di agenzie di promozione e sviluppo a livello regionale e metropolitano e con aggregazioni di vario genere (communauté). Tramite il sito «Colbert 2.0» fornisce un piano di azione per la rilocalizzazione, oltre a strumenti di sostegno finanziario e contatti con le realtà locali. Esiste inoltre un Fondo di rivitalizzazione (Fond de revitalisation) per favorire la rilocalizzazione in aree industriali dismesse.
  Quel che emerge chiaramente dai dati comparativi è che l'Europa sta riscoprendo la propria vocazione manifatturiera e va prendendo coscienza del fatto che non di rado i benefìci economici attesi dalla delocalizzazione delle filiere produttive si sono rivelati inferiori rispetto al premio che i consumatori sono disposti a riconoscere per produzioni made in. Sulla decisione di rimpatriare i centri di produzione ha inciso nel tempo soprattutto l'aumento progressivo del costo del lavoro per unità prodotta in Paesi come la Cina, dove da anni sono in crescita le rivendicazioni dei lavoratori per ottenere salari più alti e condizioni migliori. Se dal 2000 al 2005 il costo del lavoro in Cina è cresciuto mediamente del 10 per cento annuo, nel quinquennio successivo la curva si è irripidita, fino a registrare un +19 per cento all'anno. Si tratta di un caso limite, ma anche negli altri Paesi cosiddetti emergenti i margini per gli imprenditori si vanno assottigliando progressivamente. Un peso determinante per accelerare le decisioni di rimpatrio delle filiere hanno avuto i costi di trasporto e stoccaggio logistico delle merci, che finiscono per incidere in maniera sensibile sul costo di produzione dei manufatti, con riverberi negativi, anche in questo caso, sui margini di guadagno. In particolare, il costo del petrolio è triplicato dal 2010. Inoltre, i tempi di trasporto delle merci sono piuttosto lunghi e rischiano quindi di non riuscire a tenere sempre il passo delle mode passeggere. Restando al caso della Cina, per esempio, occorre mettere in conto cinque settimane di navigazione veloce se si sceglie il trasporto via mare. In alternativa, servono circa sedici giorni se i manufatti viaggiano su rotaia, mentre il trasporto aereo risulta decisamente più oneroso.
  Il fenomeno del reshoring, soprattutto se ben gestito e incentivato, può portare diversi benefìci al sistema economico nazionale. In primo luogo, la riallocazione in Italia di produzioni industriali potrebbe contribuire alla crescita del PIL: obiettivo fondamentale per il nostro Paese, data la profonda crisi degli ultimi sei anni e la precedente limitata crescita. Un aumento del PIL, come è noto, permetterebbe anche di avere maggiori risorse da investire, in quanto i parametri europei (3 per cento del rapporto deficit/PIL) risulterebbero meno vincolanti, essendo maggiore la ricchezza prodotta dal Paese. Va inoltre tenuto presente che – a parità di pressione fiscale – un aumento del PIL genererebbe maggiori entrate tributarie o, in alternativa, la possibilità di ridurre le aliquote fiscali. Sempre con riferimento all'aumento del PIL, esiste anche un fenomeno similare a quello del reshoring, il cosiddetto near-shoring (ovvero il fenomeno per cui un'impresa che aveva delocalizzato delle produzioni in un altro Paese decide di rilocalizzarle in un Paese geograficamente meno distante): in questo senso l'Italia potrebbe rappresentare – in alcuni settori specifici (fashion e meccanica di precisione in primis) – un'interessante piattaforma produttiva per quei Paesi europei che desiderano riavvicinare le produzioni in precedenza delocalizzate. Ciò a motivo delle competenze, spesso uniche, che il nostro Paese e, in particolare, alcune aree geografiche in cui sono presenti aggregazioni imprenditoriali di tipo distrettuale posseggono e possono mettere a disposizione delle aziende straniere.
  In secondo luogo, è verosimile che le produzioni rientrate non siano destinate al solo mercato nazionale, ma possano essere vendute anche su mercati esteri, facendo aumentare il valore delle nostre esportazioni, con conseguente ulteriore miglioramento della bilancia commerciale. In terzo luogo, va evidenziato che spesso il reshoring riguarda linee di produzione di fascia alta, con conseguente necessità di investimenti in innovazione, altro risultato non trascurabile per il nostro Paese, che ancora non eccelle nel rapporto tra investimenti in ricerca e sviluppo e PIL. Infine, il reshoring può avere un impatto positivo sull'occupazione e sull'attivazione (o riattivazione) di filiere produttive, oltre che sulla valorizzazione dei distretti produttivi ad alta specializzazione, amplificando in via indiretta i benefìci sul territorio.
  Alcune regioni italiane, capeggiate dal Piemonte, hanno già messo in atto iniziative che, nell'ambito delle proprie competenze, vanno nella direzione di rendere più semplice il rientro delle attività dall'estero. In questa direzione si sono mossi il Piemonte, come detto, attraverso il «contratto di insediamento», la Lombardia con gli «accordi di attrattività», l'Emilia Romagna con la «Strategia regionale di innovazione per la specializzazione intelligente», Puglia e Veneto con il «Progetto reshoring», Marche e Umbria con accordi settoriali e l'Abruzzo tramite la «Carta di Pescara».
  Risulta necessario inserire queste iniziative singole all'interno di una strategia nazionale più chiara e definita e di un quadro normativo che possa integrare le misure regionali con iniziative normative nazionali, al fine di massimizzare i risultati potenziali e rendere maggiormente omogenea la regolamentazione di questo fenomeno.
  Ecco perché la proposta di legge prevede un pacchetto di interventi che possano sostenere, favorire e semplificare le procedure di rimpatrio di quelle attività economiche italiane che avevano delocalizzato le loro produzioni da oltre 5 anni e che oggi ritengono conveniente o necessario tornare ad investire in Italia.
  Naturalmente, occorre che la normativa in materia di reshoring sia equilibrata e in grado, al contempo, di sostenere le aziende che manifestano la volontà di ritornare, senza tuttavia danneggiare indirettamente e ingiustamente le imprese che, nonostante le difficoltà e la crisi, non hanno abbandonato l'Italia in cerca di costi di produzione ridotti.
  Per raggiungere questo difficile equilibrio l'unica via appare essere quella di parificare – nella misura possibile e compatibile – le aziende italiane che rientrano alle aziende straniere che investono in Italia, facendo rientrare de facto il fenomeno del reshoring all'interno della categoria degli «investimenti esteri da attrarre». Non a caso, come detto nell'ambito dell'analisi comparativa, anche altri Paesi come la Francia e il Regno Unito hanno affidato la gestione dei servizi per il reshoring alle stesse agenzie che in quei Paesi si interessano di attrazione di investimenti dall'estero. Attraverso questa via, inoltre, è possibile anche rendere meno stringente il rischio di entrare in conflitto con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato.
  Proprio in questa logica, la proposta di legge reca un pacchetto di misure a sostegno delle imprese che avevano delocalizzato la propria attività nei precedenti cinque anni e che manifestino un interesse reale e concreto a far rientrare tutta la produzione in Italia, garantendone il mantenimento per almeno un quinquennio (articolo 1).
  L'articolo 2 istituisce lo Sportello per l'attrazione degli investimenti esteri e il rientro delle attività produttive che hanno delocalizzato all'estero, che si pone come interlocutore tra gli investitori e gli imprenditori, da un lato, e le amministrazioni pubbliche dall'altro. La disposizione prevede una semplificazione delle procedure burocratiche e amministrative necessarie per avviare lo spostamento dell'attività attraverso la garanzia di interlocuzione con un solo soggetto facilitatore. La disposizione si pone inoltre l'obiettivo della parità di trattamento tra investimenti esteri e il rientro di investimenti italiani delocalizzati. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri saranno individuate le strutture e le dotazioni organiche e finanziare dello Sportello.
  L'articolo 3 riformula l'articolo 30 del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014, prevedendo che il Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e le misure per l'attrazione degli investimenti siano integrati al fine di comprendere, nelle linee guida e nella definizione delle strategie da mettere in atto, anche misure volte all'attrazione e al rientro delle aziende italiane delocalizzate in altri Paesi. Il Piano quindi va riformulato, mentre il Comitato previsto dal citato articolo 30 si vede ampliare le sue funzioni. Viene soppressa la cabina di regia per l'internazionalizzazione, di cui all'articolo 14, comma 18-bis, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, e le relative funzioni sono attribuite al Comitato.
  L'articolo 4 prevede che le aziende che intendono far rientrare la propria attività in Italia possono avvalersi degli accordi preventivi in materia di tassazione cui già possono accedere gli investitori esteri. Attraverso questa misura anche gli imprenditori che hanno intenzione di ricollocare la propria attività in Italia saranno garantiti con maggiore certezza rispetto al regime tributario applicabile, evitando di rimanere vittime della imprevedibilità della variabile fiscale, tipica del sistema italiano.
  L'articolo 5 prevede agevolazioni in materia di assunzioni a beneficio delle imprese rientrate. In particolare, si dispone l'esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per un massimo di 20.000 euro l'anno per cinque anni in relazione alle nuove assunzioni con contratti tempo indeterminato.
  L'articolo 6 promuove l'utilizzo, da parte delle imprese che ricollocano la loro produzione in Italia, degli strumenti forniti dalla contrattazione di prossimità sia a livello aziendale che territoriale, mentre l'articolo 7 prevede un regime speciale in favore per i lavoratori dipendenti delle imprese rientrate che, seguendo il datore di lavoro, si trasferiscano nel nostro Paese. In particolare, si dispone che i loro redditi da lavoro siano computati ai fini fiscali soltanto per il 50 per cento, per la durata di quattro periodi di imposta.
  L'articolo 8 proroga per un ulteriore anno il credito d'imposta per le spese per la «Formazione 4.0» del personale dipendente nel settore delle tecnologie previste dal piano «Impresa 4.0», mentre l'articolo 9 dispone la proroga di tale piano anche per l'anno 2019.
  L'articolo 10 propone il rifinanziamento della cosiddetta «nuova Sabatini», la misura di sostegno volta alla concessione alle micro, piccole e medie imprese di finanziamenti agevolati per investimenti in nuovi macchinari, impianti e attrezzature, compresi gli investimenti «Industria 4.0»: big data, cloud computing, banda ultralarga, cybersecurity, robotica avanzata e meccatronica, realtà aumentata, manifattura 4D, radio frequency identification.
  L'articolo 11 prevede un credito d'imposta in favore di coloro che, ricollocando nel nostro Paese le attività produttive o commerciali precedentemente delocalizzate all'estero, effettuano investimenti in termini di riqualificazione o di riconversione di aree industriali dismesse al fine di eleggervi la propria sede. Il credito d'imposta si applicherà nella misura del 50 per cento sulle spese sostenute per gli interventi di riqualificazione o di riconversione, fino ad un ammontare massimo di 500.000 euro per ciascuna impresa.
  L'articolo 12 propone di escludere dal patto di stabilità interno gli investimenti effettuati dagli enti locali qualora siano finalizzati alla riqualificazione di aree industriali dismesse. A tale scopo, si chiede di assegnare agli enti locali spazi finanziari nell'ambito dei patti nazionali nella misura di 700 milioni di euro e di 900 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018, oltre a prevederne la continuità per il periodo 2020-2023.
  L'articolo 13, infine, prevede l'istituzione nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze del Fondo straordinario per il supporto al rientro delle imprese italiane delocalizzate all'estero, a copertura degli oneri derivanti dalle misure contenute nella presente proposta di legge.

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Ambito di applicazione)

  1. In applicazione degli articoli 32 e 41 della Costituzione, la presente legge disciplina le misure a sostegno delle imprese e dei lavoratori finalizzate a incentivare e favorire il rientro in Italia degli investimenti e delle attività produttive delocalizzate all'estero.
  2. Possono beneficiare delle misure di cui alla presente legge le imprese che abbiano delocalizzato all'estero, in tutto o in parte, le proprie attività produttive o commerciali nei cinque anni precedenti alla data di entrata in vigore della presente legge e che manifestino un interesse reale e concreto al rientro in Italia.
  3. L'attività produttiva o commerciale che è rilocalizzata deve essere mantenuta nel territorio italiano per almeno cinque anni; l'eventuale cessione dell'attività, anche parziale, prima del decorso di tale termine, comporta la decadenza dai benefìci e l'obbligo di restituire l'intero importo degli stessi e i relativi interessi legali.

Art. 2.
(Sportello per l'attrazione degli investimenti esteri e per il rientro delle attività produttive delocalizzate all'estero)

  1. Al fine di incrementare la capacità del sistema Paese di attrarre investimenti, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, è istituito lo Sportello per l'attrazione degli investimenti esteri e per il rientro delle attività produttive delocalizzate all'estero, di seguito denominato «Sportello», con funzioni di coordinamento nazionale sia per gli investitori esteri, sia per le imprese che intendono ristabilire nel territorio italiano le proprie attività, manifestando un interesse reale e concreto alla realizzazione in Italia di investimenti di natura non finanziaria, di significativo impatto economico e di interesse per il Paese.
  2. Lo Sportello:

   a) costituisce il punto di riferimento operativo per gli investitori e le imprese di cui al comma 1, in relazione alle procedure amministrative e all'accesso ai benefìci di legge riguardanti il progetto di investimento o di rientro, fungendo da raccordo con le attività svolte dall'ICE – Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane e dall'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa – Invitalia Spa;

   b) per le finalità di cui alla lettera a) del presente comma, convoca apposite conferenze di servizi di cui agli articoli da 14 a 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241, anche ai sensi dell'articolo 27, comma 4, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, anche al fine di proporre la sostituzione di procedimenti amministrativi con accordi integrativi o sostitutivi dei relativi provvedimenti, ai sensi dell'articolo 15 della citata legge n. 241 del 1990. Per le finalità di cui alla lettera e) del presente comma può convocare e presiedere conferenze di servizi in ambito regionale o sovraregionale;

   c) coordina le proprie attività con il Comitato di coordinamento previsto dal comma 7 dell'articolo 30 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, come modificato dall'articolo 3 della presente legge;

   d) provvede all'attuazione del Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e l'attrazione degli investimenti in Italia, di cui al comma 1 dell'articolo 30 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, come modificato dall'articolo 3 della presente legge;

   e) provvede al raccordo con le attività e con gli organi delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano sulle medesime tematiche. A tale fine, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano individuano le strutture preposte al raccordo con lo Sportello. Le proposte di coordinamento delle diverse azioni sono approvate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

   f) formula annualmente proposte di semplificazione normativa e amministrativa sui temi di sua competenza, in particolare nei casi in cui le disposizioni vigenti incidono sulle attività programmate o in corso di esecuzione.

  4. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1 individua la struttura e le articolazioni dello Sportello e provvede all'individuazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie all'attuazione del presente articolo, utilizzando le dotazioni, le strutture e il personale delle amministrazioni coinvolte, nonché il personale reso disponibile dall'ICE – Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane e dall'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa – Invitalia Spa.
  5. Il Piano per la promozione straordinaria del Made in Italy e l'attrazione degli investimenti in Italia, di cui all'articolo 30 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, come modificato dall'articolo 3 della presente legge, è revisionato secondo le modalità ivi previste.

Art. 3.
(Modifiche all'articolo 30 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164)

  1. All'articolo 30 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) al comma 1, dopo le parole: «investimenti esteri in Italia» sono inserite le seguenti: «nonché favorire il rientro delle attività produttive delocalizzate all'estero»;

   b) al comma 2, dopo la lettera l) è aggiunta la seguente:

   «l-bis) sostegno a iniziative di promozione delle opportunità di ricollocamento degli investimenti in Italia, nonché di accompagnamento e assistenza degli investitori italiani la cui attività sia stata delocalizzata all'estero»;

   c) al comma 3-bis, le parole: «e dell'attrazione degli investimenti all'estero», sono sostituite dalle seguenti: «, dell'attrazione degli investimenti all'estero e delle iniziative volte a favorire il rientro delle attività produttive delocalizzate all'estero»;

   d) il comma 7 è sostituito dal seguente:

   «7. Presso il Ministero dello sviluppo economico è istituito un Comitato con il compito di coordinare l'attività in materia di attrazione degli investimenti esteri e il rientro delle attività produttive delocalizzate all'estero, nonché di favorire, ove necessario, la sinergia tra le diverse amministrazioni centrali e locali. Il Comitato è composto da un rappresentante del Ministero dello sviluppo economico, che lo presiede, da un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze, da un rappresentante del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, da un rappresentante del Ministro per la pubblica amministrazione e da un rappresentante della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Il Comitato può essere integrato con i rappresentanti delle amministrazioni centrali e territoriali di volta in volta coinvolte nel progetto d'investimento ovvero dai presidenti, rispettivamente, dell'Unione italiana delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, della Confederazione generale dell'industria italiana, di RETE Imprese Italia, dell'Alleanza delle cooperative italiane e dell'Associazione bancaria italiana. Ai componenti del Comitato non sono corrisposti gettoni, compensi, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati. Al funzionamento del Comitato si provvede nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;

   e) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

   «9-bis. La cabina di regia per l'internazionalizzazione, di cui all'articolo 14, comma 18-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è soppressa. Le relative funzioni sono attribuite al Comitato di cui al comma 7 del presente articolo»;

   f) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Promozione straordinaria del Made in Italy e misure per l'attrazione degli investimenti e per il rientro delle attività produttive delocalizzate all'estero».

Art. 4.
(Accordi preventivi per le imprese italiane rientrate in Italia)

  1. Alle imprese italiane delocalizzate in Paesi membri dell'Unione europea che optino per il rientro in Italia ai sensi dell'articolo 1 della presente legge si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni in materia di accordi preventivi di cui all'articolo 31-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
  2. Le disposizioni del comma 1 si applicano nelle modalità stabilite da apposito provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Art. 5.
(Agevolazioni in materia di lavoro subordinato per imprese italiane rientrate in Italia)

  1. Al fine di promuovere forme di occupazione stabile, con riferimento alle nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato da parte delle imprese italiane che optino per il rientro in Italia ai sensi dell'articolo 1, è riconosciuto, per un periodo massimo di cinque anni, ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, l'esonero dal versamento dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e dei contributi dovuti all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, nel limite massimo di 20.000 euro annui.
  2. L'esonero di cui al comma 1 spetta ai datori di lavoro in caso di nuove assunzioni, con esclusione di quelle relative a lavoratori che, nei sei mesi precedenti all'assunzione, risultavano occupati a tempo indeterminato presso un altro datore di lavoro; l'esonero non spetta, altresì, con riferimento ai lavoratori per i quali esso sia già stato usufruito in relazione a una precedente assunzione a tempo indeterminato.
  3. L'esonero di cui al comma 1 non è cumulabile con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente e non spetta ai datori di lavoro in relazione ad assunzioni relative a lavoratori in riferimento ai quali i datori di lavoro, comprese le società controllate o collegate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile o facenti capo, anche per interposta persona, allo stesso soggetto, hanno comunque già in essere un contratto di lavoro a tempo indeterminato nei tre mesi antecedenti alla data di entrata in vigore della presente legge.
  4. L'Istituto nazionale della previdenza sociale provvede, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, al monitoraggio del numero di contratti incentivati ai sensi del presente articolo e delle conseguenti minori entrate contributive, inviando relazioni mensili al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze.

Art. 6.
(Contrattazione di lavoro di prossimità)

  1. Le imprese italiane che optano per il rientro in Italia ai sensi dell'articolo 1 possono stipulare specifiche intese, con efficacia nei confronti di tutti i lavoratori, ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, all'emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività.
  2. Fermi restando il rispetto della Costituzione e i vincoli derivanti dalle normative dell'Unione europea e dalle convenzioni internazionali in materia di lavoro, le intese di cui al comma 1 operano anche in deroga alle disposizioni di legge e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Art. 7.
(Regime speciale per i lavoratori rientrati in Italia)

  1. I redditi da lavoro dipendente prodotti in Italia da lavoratori delle imprese di cui all'articolo 1, che hanno trasferito la propria residenza nel territorio dello Stato, ai sensi dell'articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 50 per cento del loro ammontare al ricorrere delle seguenti condizioni:

   a) i lavoratori non devono essere stati residenti in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti il trasferimento e si impegnano a mantenere la residenza in Italia per almeno cinque anni;

   b) l'attività lavorativa deve essere svolta presso l'impresa rientrata in Italia ai sensi dell'articolo 1 in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con una società che, direttamente o indirettamente, controlla la medesima impresa, ne sia controllata o sia controllata dalla stessa società che controlla l'impresa;

   c) l'attività lavorativa deve essere prestata prevalentemente nel territorio italiano.

  2. Il criterio di determinazione del reddito di cui al comma 1 si applica anche ai cittadini di Stati esteri diversi dai Paesi membri dell'Unione europea, con i quali sia in vigore una convenzione per evitare la doppia imposizione in materia di imposte sul reddito, ovvero un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, in possesso di un diploma di laurea, che hanno svolto continuativamente un'attività di lavoro dipendente, di lavoro autonomo o di impresa fuori dall'Italia negli ultimi ventiquattro mesi, ovvero che hanno svolto continuativamente un'attività di studio fuori dall'Italia negli ultimi ventiquattro mesi od oltre, conseguendo un diploma di laurea o una specializzazione post lauream.
  3. Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dal periodo di imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato italiano ai sensi dell'articolo 2 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e per i quattro periodi di imposta successivi. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono adottate le disposizioni di attuazione del presente articolo e, in particolare, quelle relative al coordinamento con altre agevolazioni vigenti in materia e alle cause di decadenza del regime previsto dal medesimo articolo.

Art. 8.
(Proroga del credito d'imposta Formazione 4.0)

  1. Al fine di favorire lo sviluppo di un'occupazione di alta specializzazione, il credito d'imposta previsto per le attività di formazione svolte per acquisire o consolidare le conoscenze delle tecnologie previste dal Piano nazionale Industria 4.0, di cui ai commi da 46 a 56 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, è prorogato, secondo le modalità ivi previste, con riferimento alle attività di formazione svolte nell'anno 2019, nei termini previsti dal decreto del Ministro dello sviluppo economico 4 maggio 2018, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 143 del 22 giugno 2018.
  2. Agli oneri derivanti dal presente articolo, pari a 250 milioni di euro per l'anno 2020, si provvede mediante corrispondente riduzione, per il medesimo anno, del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.
  3. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 9.
(Proroga del piano «Impresa 4.0»)

  1. Al fine di ridurre il rischio di delocalizzazione, di favorire il rientro in Italia delle attività delocalizzate all'estero, nonché di sostenere il livello degli investimenti industriali previsti dal piano «Impresa 4.0», le disposizioni dei commi da 29 a 36 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, si applicano, secondo le modalità ivi previste, dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2019, ovvero entro il 30 giugno 2020, nei limiti di quanto previsto dal citato comma 29 dell'articolo 1 della legge n. 205 del 2017.
  2. Agli oneri derivanti dal comma 1, valutati in 1.000 milioni di euro per l'anno 2019, in 1.600 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020, 2021, 2022 e 2023, in 1.000 milioni di euro per l'anno 2024, in 600 milioni di euro per l'anno 2025 e in 150 milioni di euro per l'anno 2026, si provvede in quota parte con le maggiori entrate rivenienti ai sensi del comma 3.
  3. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi volti alla riduzione complessiva dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale di cui all'elenco contenuto nel rapporto annuale sulle spese fiscali di cui all'articolo 21, comma 11-bis, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, secondo il principio e criterio direttivo di determinare maggiori entrate per un importo pari a 1.000 milioni di euro per l'anno 2019 e a 2.000 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020.
  4. A decorrere dall'anno 2020, le maggiori entrate di cui al comma 3 del presente articolo, eccedenti rispetto agli oneri di cui al comma 2 del presente articolo, confluiscono nel Fondo straordinario per il supporto al rientro delle imprese italiane delocalizzate all'estero di cui all'articolo 13.

Art. 10.
(Incremento delle risorse per gli investimenti in nuovi macchinari e per gli investimenti relativi al piano «Impresa 4.0»)

  1. Per fare fronte agli oneri derivanti dalla concessione dei contributi previsti dall'articolo 2, comma 4, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall'articolo 1, comma 56, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, le risorse previste dal comma 40 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, sono integrate di 80 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020.
  2. Al comma 41 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205, le parole: «30 per cento» sono sostituite dalle seguenti: «50 per cento».
  3. Agli oneri derivanti dal presente articolo, pari a 80 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020, si provvede mediante corrispondente riduzione, per i medesimi anni, del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.
  4. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 11.
(Attribuzione del credito d'imposta per gli interventi di riqualificazione e riuso di immobili e aree industriali dismesse)

  1. Ai soggetti titolari di reddito d'impresa, indipendentemente dalla natura giuridica, dalle dimensioni aziendali e dal regime contabile adottato, che, ai fini del rientro delle attività produttive ai sensi dell'articolo 1, effettuano investimenti di riconversione, riqualificazione e riuso di strutture produttive dismesse ubicate nel territorio dello Stato è attribuito, nel limite di spesa complessivo di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020, un credito d'imposta nella misura del 50 per cento delle spese sostenute per gli interventi di cui al presente comma, a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.
  2. Il credito d'imposta di cui al comma 1 è concesso a ciascuna impresa nei limiti e alle condizioni del regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all'applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea agli aiuti «de minimis».
  3. Il credito d'imposta di cui al comma 1 spetta a condizione che la spesa complessiva sostenuta in relazione a ciascun progetto di riconversione e di riqualificazione sia almeno pari a 50.000 euro.
  4. L'ammontare massimo dei costi eleggibili ai sensi del comma 1 è, in ogni caso, pari a 500.000 euro per ciascuna impresa.
  5. Le spese per gli interventi di cui al comma 1 si considerano sostenute secondo quanto previsto dall'articolo 109 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
  6. Le spese sostenute ai fini di cui al comma 1 devono risultare da un'apposita attestazione rilasciata dal presidente del collegio sindacale, da un revisore legale iscritto nel registro dei revisori legali, da un professionista iscritto all'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili o all'albo dei periti commerciali o in quello dei consulenti del lavoro ovvero dal responsabile del centro di assistenza fiscale.
  7. Il credito d'imposta di cui al comma 1 è alternativo e non cumulabile, in relazione alle medesime voci di spesa, con ogni altra agevolazione prevista dalla normativa nazionale, regionale o dell'Unione europea.
  8. Il credito d'imposta di cui al comma 1 del presente articolo non concorre alla formazione del reddito né della base imponibile dell'imposta regionale sulle attività produttive e non rileva ai fini del rapporto tra l'ammontare dei ricavi e altri proventi di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
  9. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le disposizioni di attuazione del presente articolo.

Art. 12.
(Esclusione dal patto di stabilità interno delle spese per investimenti di riqualificazione di aree industriali dismesse)

  1. All'articolo 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, il comma 485 è sostituito dal seguente:

   «485. Al fine di favorire gli investimenti da realizzare attraverso l'utilizzo dei risultati di amministrazione degli esercizi precedenti e il ricorso al debito, per l'anno 2018, agli enti locali sono assegnati spazi finanziari nell'ambito dei patti nazionali, di cui all'articolo 10, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 243, nel limite complessivo di 700 milioni di euro, di cui 300 milioni di euro destinati a interventi di edilizia scolastica. Agli enti locali sono altresì assegnati spazi finanziari, nell'ambito dei citati patti nazionali, nel limite complessivo di 900 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2019 e 2020, di cui 400 milioni di euro annui destinati a interventi di edilizia scolastica, 400 milioni di euro annui destinati alla riqualificazione di aree industriali dismesse e 100 milioni di euro annui destinati a interventi di impiantistica sportiva, e nel limite complessivo di 700 milioni di euro annui, per ciascuno degli anni dal 2021 al 2023, di cui 400 milioni di euro annui destinati alla riqualificazione di aree industriali dismesse».

Art. 13.
(Istituzione del Fondo straordinario per il supporto al rientro delle imprese italiane delocalizzate all'estero)

  1. Nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico è istituito il Fondo straordinario per il supporto al rientro delle imprese italiane delocalizzate all'estero.
  2. Al Fondo di cui al comma 1 è attribuita una dotazione iniziale di 70 milioni di euro per l'anno 2019. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione della proiezione per l'anno 2019 dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2018-2020, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2018, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dello sviluppo economico.
  3. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
  4. Al Fondo di cui al presente articolo confluiscono, a decorrere dall'anno 2020, le risorse di cui all'articolo 9, comma 4.