FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                Capo I
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                Capo II
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7
                        Articolo 8
                        Articolo 9
                        Articolo 10
                        Articolo 11
                        Articolo 12
                Capo III
                        Articolo 13
                        Articolo 14
                        Articolo 15
                        Articolo 16
                Capo IV
                        Articolo 17

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1130

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
CARNEVALI, BRAGA, MARCO DI MAIO, LA MARCA, NOJA, PEZZOPANE, RIZZO NERVO, SERRACCHIANI

Disposizioni in materia di tutela della salute mentale volte all'attuazione e allo sviluppo dei princìpi di cui alla legge 13 maggio 1979, n. 180

Presentata il 31 agosto 2018

  Onorevoli Colleghi! — La legge 13 maggio 1978, n. 180, le cui disposizioni sono state riprese anche dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, ha rappresentato un momento decisivo per la storia della legislazione sociale in Italia. La legge, ribattezzata nella vulgata «legge Basaglia», non si è limitata solo a sopprimere l'ospedale psichiatrico sancendone l'inadeguatezza quale istituto di cura per chi soffre di disturbi mentali, ma è stata una pioniera nel disciplinare il sistema dei servizi di assistenza psichiatrica senza e oltre il manicomio. La legge, infatti, ha introdotto nell'ordinamento italiano un sistema di assistenza reticolare su base territoriale, la cui struttura amministrativa si basa sui dipartimenti di salute mentale quali pilastri organizzativi dell'assistenza psichiatrica e quindi di un ambito assai rilevante del sistema di welfare italiano.
  Eppure, la legge n. 180 del 1978 ha portato ulteriori e rilevanti novità riuscendo a varcare una soglia oltre la quale nessun altro ordinamento democratico si era spinto. Il superamento dell'architrave della legislazione giolittiana, che accostava la malattia mentale alla pericolosità sociale per sé o per altri e all'essere di pubblico scandalo, ha determinato un radicale mutamento del sistema dei trattamenti sanitari obbligatori, attualmente disciplinati dagli articoli 33, 34 e 35 della citata legge n. 833 del 1978. Dunque, l'abolizione per via legislativa della falsa equazione tra disturbo mentale e pericolosità sposta il tema dell'assistenza psichiatrica sul fronte dei diritti sociali e della fruizione delle prestazioni assistenziali volte a garantire il diritto fondamentale alla salute mentale, tutelato dall'articolo 32 della Costituzione. Anche oltre il declino dell'anacronistica istituzione custodialistica, il legislatore della primavera del 1978 ha proiettato definitivamente la tutela della salute mentale nell'alveo di protezione offerto dai diritti a prestazione, depurandolo da improprie implicazioni di sicurezza pubblica.
  Eppure un'opera tanto valida – che costituisce uno dei capitoli della nostra migliore progettazione legislativa – ha visto un'applicazione sofferta, lungo l'articolato snodarsi di quasi quaranta anni di storia. Ardui ostacoli e talune incognite interpretative – queste ultime, non di rado, pretestuose – ne hanno incrinato l'effettività e rallentato l'attuazione, almeno fino alla definitiva adozione dei progetti obiettivo per la salute mentale della seconda metà degli anni novanta, ai quali si deve il totale completamento delle dimissioni dagli ospedali psichiatrici e una maggior attenzione agli istituti previsti dalla riforma del 1978, con le indicazioni del secondo progetto obiettivo «Tutela salute mentale (1998-2000)».
  Da tempo si coglie, tuttavia, nel nostro Paese una diffusa e profonda preoccupazione per lo stato della rete dei servizi di salute mentale. Sono le associazioni dei familiari e delle persone che vivono l'esperienza del disturbo mentale a denunciarne l'inadeguatezza e a chiedere attenzioni maggiori e diverse, nonché risposte concrete, più certe e durature. Operatori professionali, cooperatori sociali e cittadini attivi si aggregano e convergono nella denuncia rilevando l'urgenza del cambiamento.
  Non è raro che i mezzi di comunicazione di massa segnalino la qualità frammentaria dei percorsi di cura, le pratiche segreganti e contenitive, nonché il ritorno prepotente di servizi fondati sul modello bio-farmacologico. Ancora, non di rado, si scoprono, nelle regioni del nord come in quelle del sud, luoghi di abbandono e di violenza che diventano oggetto dell'intervento della magistratura. Inoltre, si registra da tempo una diffusa disattenzione alle necessarie politiche innovative.
  L'impoverimento progressivo dei servizi e dei sistemi di welfare mette ormai a grave rischio la possibilità di cura, di riabilitazione e di guarigione di tanti cittadini che oggi sarebbe alla nostra portata. Non parliamo, come spesso si lascia intendere, del vecchio internato e del grigiore di immagini, risalenti agli anni sessanta e settanta, che pure siamo riusciti a lasciarci alle spalle. Stiamo pensando, e non senza una tormentata partecipazione, ai ragazzi e ai giovani adulti che per la prima volta si trovano a vivere l'esperienza severa del disturbo mentale. Un'esperienza, questa, di per sé molto drammatica, che rischia di subire l'impatto con interventi inadeguati, spesso violenti e disabilitanti, con la conseguenza di costringere il soggetto e la sua famiglia a entrare in un labirinto senza vie d'uscita.
  Un'accoglienza «gentile», una «buona» cura e prospettive «ottimistiche» e di riabilitazione più efficaci sono possibili ovunque, ma sono realizzate con grande disomogeneità. Nella maggior parte delle regioni, infatti, il rischio di «cattive» pratiche è tuttora molto elevato.
  Malgrado tutto, è ancora lunga l'onda dei percorsi di inclusione e di allargamento della democrazia partecipata dei servizi e dei diritti avviata dalla legge n. 180 del 1978; la legge ha messo fine allo stato di degrado e di ghettizzazione delle persone con problemi di salute mentale, che sempre più entrano in gioco come protagoniste nel rivendicare i loro diritti di cittadinanza piena, intervenendo con consapevolezza nel dibattito sulla malattia, sulla guarigione, sui percorsi di ripresa e sulla qualità delle risposte dei servizi. Decine di migliaia di operatori di ogni profilo professionale s'impegnano quotidianamente con generosità e partecipazione. I «servizi per le persone» fondano la loro buona pratica sulla centralità degli individui, sulla motivazione e sul senso di appartenenza. Non deve sfuggire la sintonia di queste pratiche con lo spirito e con il testo dell'articolo 2 della Costituzione che – occorre ancora una volta ribadirlo – pone la persona al centro dell'ordito della Carta fondamentale. Spesso i dispositivi organizzativi e le inerzie amministrative rendono problematica la crescita della risorsa umana e, in particolare, dei giovani operatori, preziosissima e unica per un efficace affiancamento nel non facile lavoro terapeutico e riabilitativo. Da queste consapevolezze discende l'urgenza di una proposta di legge per la promozione e la garanzia della salute mentale nel nostro ordinamento.
  Il rapporto del febbraio 2013 della Commissione parlamentare di inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale su «alcuni aspetti della medicina territoriale, con particolare riguardo al funzionamento dei Servizi pubblici per le tossicodipendenze e dei Dipartimenti di salute mentale», approvato all'unanimità, è stato il frutto di un attento lavoro di indagine, analisi e dibattito parlamentare.
  Al lavoro della Commissione occorre fare costante riferimento. Essa ha operato nella «consapevolezza che le conoscenze scientifiche e le pratiche cliniche della psichiatria di oggi, in continua evoluzione a livello internazionale» richiedono aggiornamenti continui nelle organizzazioni, nelle politiche sociali di prevenzione e negli interventi a sostegno delle famiglie.
  È ormai passato quasi mezzo secolo di esperienze con intensità e tensioni diverse che hanno toccato tutte le regioni italiane. Le normative nazionali e regionali sulla tutela della salute mentale, le linee di indirizzo e i progetti obiettivo che si sono susseguiti hanno creato ovunque uno scenario nuovo e una prospettiva ricca di possibilità.
  Gli strumenti normativi in mano ai governi locali potevano offrire la possibilità di una più ampia attuazione e organizzazione dei servizi nella direzione della salute mentale comunitaria e delle pratiche di integrazione, in quella visione centrata sulla persona di cui si diceva. Invece, le indicazioni governative hanno avuto un'applicazione incompleta e troppo difforme tra le diverse regioni, con deroghe di fatto non sempre correlabili a impedimenti di carattere economico o a elementi di differenziazione che, purtroppo, non realizzano modelli virtuosi di regionalismo cooperativo, ma aumentano la forbice della disuguaglianza: dove è presente la disapplicazione delle norme, per disimpegno politico e incapacità amministrativa o per scelte di modelli di cura superati e insufficienti, sono presenti carenze e disuguaglianze a livello regionale e locale. Dove, invece, il riferimento alla legge di riforma del 1978 è stato costante e le regioni hanno redatto e messo in atto, con sollecitudine, i piani per la salute mentale e realizzato reti di servizi coerenti e aderenti ai princìpi della legge stessa, i servizi hanno cominciato a prendere forma, sono diventati visibili e veramente alternativi agli istituti e alle culture che si riteneva con convinzione di voler abbandonare. I risultati sono evidenti, tanto che sono stati valutati dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come modelli di eccellenza internazionale; dove questi risultati non sono stati raggiunti si sono prodotte lacune, anche gravi, nella rete globale dell'assistenza sanitaria, fino a situazioni di vero e proprio degrado.
  Il faticoso cambiamento che era stato avviato con le prime timide esperienze di comunità terapeutica e di «liberazione» degli internati nell'ospedale psichiatrico di Gorizia negli ormai lontani anni sessanta, ha arricchito il nostro Paese di culture, di esperienze e di pratiche della deistituzionalizzazione sicuramente innovative. Si è diffuso un esteso interesse che, nel corso del tempo, ha attraversato ambiti istituzionali molto ampi: dalla medicina alla scuola, alle carceri, ai ricoveri per gli anziani, agli istituti per i minori e per le persone con disabilità e, più in generale, all'intero ambito delle politiche di welfare.
  Le pratiche del cambiamento in Italia hanno influenzato i programmi di molti altri Paesi e sono state assunte come esemplari in numerosi documenti dell'OMS. Con molta più fatica esse vengono fatte proprie dalle programmazioni e dalle politiche locali e ancora, con ritardi e distrazioni non più giustificabili, dalle università e dai programmi di formazione di tutte le figure professionali impegnate nei diversi ambiti della salute mentale comunitaria.
  Non si può non prendere atto delle diverse declinazioni regionali delle normative nazionali, che «anche quando legittimamente congrue agli indirizzi generali» – annota la Commissione parlamentare – «hanno comunque prodotto una difformità di servizi sul territorio nazionale, con differenze, anche sostanziali, nelle possibilità di cura del cittadino nel luogo di vita».
  Merita qui ricordare il tenore del citato articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
  Malgrado la frammentarietà e la scarsità di studi valutativi, l'insufficienza di strumenti di verifica e di vigilanza e la disattenzione dei Ministeri, delle regioni e delle aziende che si sono succeduti, una descrizione qualitativa e quantitativa del sistema salute mentale è oggi comunque possibile. Bisogna riferirsi a quanto prodotto dal Ministero della salute (certo, occorre ripeterlo, in maniera discontinua e talvolta asistematica), dalle ricerche dell'Istituto superiore di sanità (ISS), dalle società scientifiche (segnatamente dalla Società italiana di epidemiologia psichiatrica) e, ancora, dai rapporti descrittivi annuali delle singole regioni relativi all'allocazione delle risorse, alla quantità degli operatori sul campo, ai profili professionali, alla sensata distribuzione nel territorio, alla disposizione strategica dei servizi, alla presenza del privato sociale e del privato mercantile.
  Un contributo empirico, che viene dall'esperienza immediata e dalla pratica giunge dall'ascolto attento (e non strumentale) delle persone con l'esperienza diretta e dei loro familiari. Non di rado, le associazioni hanno prodotto rapporti preziosissimi. Non trascurabile, e anzi fondamentale per ricostruire una piattaforma basata sul riconoscimento della singolarità, della dignità e del diritto delle persone è la risoluzione del febbraio 2000, adottata dal Comitato nazionale per la bioetica. Essa insiste sulla presenza sempre unica della persona in tutti i passaggi del processo di cura. Non si deve omettere di citare, peraltro, la risoluzione del maggio 2015, relativa alla questione giuridica della contenzione biomeccanica, di cui finalmente si comincia a cogliere il profilo di illiceità assoluta. Il rapporto finale della Commissione parlamentare già citata, adottato nel 2013, è stato il frutto di numerose visite ai dipartimenti di salute mentale, di audizioni di operatori, di familiari e di amministratori: non a caso permette di entrare efficacemente nel merito di una valutazione critica dello stato dell'intera rete dei servizi.
  I dipartimenti di salute mentale (DSM) presenti nelle regioni vanno diminuendo di numero, in ragione di accorpamenti di più aree territoriali conseguenti a programmi di «razionalizzazione» e di contenimento delle risorse, peraltro già al limite della sufficienza. L'estensione talvolta spropositata del bacino di utenza (in alcune regioni fino a 2 milioni di abitanti) crea vere e proprie impossibilità di governo, tradendo la dimensione della «piccola scala», uno dei princìpi fondativi della riforma del 1978 e del lavoro territoriale.
  Questo «gigantismo istituzionale», come lo si è chiamato, sottrae molto alle opportunità di cura e la presenza di programmi riabilitativi ben strutturati spesso diviene un miraggio. Talora, i DSM non riescono efficacemente a uniformare l'offerta di cure e di servizi all'interno del loro bacino di riferimento.
  La recente chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) ha ribadito l'esclusività e la centralità della presenza strategica dei DSM ma ha evidenziato drammaticamente le differenze: la presa in carico delle persone in uscita dall'internamento ha sopportato ritardi e spesso soluzioni che attendono di essere ulteriormente riconsiderate.
  In questo speciale frangente, la presenza di una struttura organizzativa «forte», ben motivata e strategicamente presente sul territorio, ha fatto la differenza, dimostrando quanto siano aggredibili anche le scommesse più ardue e quanto la cura, la ripresa e una vita dignitosa siano possibili per tutte le persone che vivono le diverse condizioni del disagio mentale e tanto più per quella vasta popolazione, affetta da disturbi mentali severi, sempre a rischio di cronicizzazione e di deriva sociale. Più di una persona su 100 è affetta da un disturbo mentale severo a rischio di disabilità e di marginalità sociale. Dunque, quasi un milione di persone che si triplicano se si considerano i familiari e le persone più vicine coinvolte.
  I centri di salute mentale (CSM), presenti mediamente in numero adeguato in tutto il territorio nazionale (1 ogni 80-100.000 abitanti) non sono equamente distribuiti. In alcune regioni, per via delle razionalizzazioni e degli accorpamenti, vanno ulteriormente riducendosi di numero, insistendo su aree estese e popolazioni sempre più numerose. Sono aperti per fasce orarie ridotte. Ad eccezione di alcune realtà regionali, i CSM sono aperti per 8-12 ore al giorno per cinque giorni alla settimana. Gli interventi di gestione della crisi, di presa in carico individuale, di sostegno alle famiglie e all'abitare, nonché di integrazione sociale finiscono per essere insufficienti o del tutto assenti ed è frequente la riduzione alle sole visite ambulatoriali (con il ricorso a lunghissime liste di attesa) soprattutto per la prescrizione di farmaci.
  L'effetto sul sistema sanitario territoriale e ospedaliero è facilmente intuibile: la risposta all'emergenza, alla crisi e al bisogno di percorsi riabilitativi diventa frammentaria e incerta, provocando una domanda mai esauribile di posti letto nei servizi psichiatrici ospedalieri, nelle case di cura private e nelle strutture residenziali.
  «Come conseguenza» – annota la Commissione parlamentare di inchiesta – «le tipologie delle prestazioni risultano poco o per nulla declinate sulle necessità della persona, a partire dalla disponibilità all'ascolto, mancano il sostegno integrato con il sociale presso il domicilio, la risposta all'emergenza e alla crisi nelle 24 ore, la mediazione familiare in situazione di allarme». L'esiguità di tali opportunità di intervento, personalizzato e domiciliare, risulta essere tanto più rilevante se è a scapito delle famiglie più bisognose a causa di problemi psicopatologici gravi e complessi.
  Il ricorso frequente e reiterato al trattamento sanitario obbligatorio (TSO) è un sintomo di carenza di offerta e di incapacità di intercettare il disagio mentale sul nascere, di assenza di azioni di tipo preventivo dell'acuzie.
  Considerazioni analoghe vanno svolte nel costatare le difficoltà dei CSM di occuparsi della salute mentale della popolazione detenuta, considerati anche i nuovi contesti e le nuove domande derivanti dalla totale e definitiva chiusura degli OPG.
  Il servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) rappresenta, drammaticamente, l'unico servizio all'interno del territorio che risponde nell'arco delle 24 ore. Il suo buon funzionamento è strettamente dipendente dalla coerente organizzazione dipartimentale e da un investimento rilevante sul CSM. La fragilità del servizio territoriale e spesso la totale mancanza di coordinamento e di comunicazione producono sovraffollamento, pratiche di contenzione e «porte chiuse». È questo il luogo del trattamento sanitario volontario (TSV) e del TSO che diventano, in sostanza, risposte totalizzanti offerte da organizzazioni territoriali dell'ordinamento.
  Gli SPDC rimangono per la maggior parte (otto su dieci) luoghi chiusi non solo per i ricoverati, ma anche, dall'esterno all'interno, per le associazioni di familiari e di utenti, nonché per il volontariato formalizzato e informale, a scapito di un «sapere esperienziale» prezioso che viene perduto. È largamente diffusa la pratica della contenzione meccanica e il trattamento è ovunque prevalentemente farmacologico. In ragione del pregiudizio della pericolosità, spesso le porte sono blindate e sono installati videocitofoni telecamere per proteggere una preoccupante inaccessibilità e produrre un forte impatto stigmatizzante. Ai visitatori è impedito, il più delle volte, di entrare materialmente nelle stanze dei ricoverati. La qualità della vita delle persone in trattamento è spesso misera e in nome della sicurezza è fatto divieto ai pazienti di possedere gli effetti personali usati comunemente nella vita quotidiana.
  Il TSO, ovvero la sua regolamentazione, nucleo sensibile – ma certo non dominante – della legge di riforma del 1978, rappresenta il punto di massimo equilibrio tra il bisogno di cura oggettivamente riconosciuto e la mancanza di consenso, fino al limite estremo del rifiuto ostinato; nella pratica esso assume, all'atto della sua applicazione, distorsioni e disattenzioni tali da renderlo uno strumento di repressione e di mortificazione.
  Passando da una regione all'altra e talvolta anche nell'ambito della stessa regione le modalità di esecuzione del TSO sono diverse. Differenze, queste, che espongono i cittadini a cattive pratiche e a lesioni dei loro diritti fondamentali, solo in ragione della loro appartenenza territoriale. Anche nelle statistiche il ricorso a questa pratica registra differenze molto significative (da un tasso di 6/100.000 per anno in alcune regioni a 30/100.000 in altre) mostrando ancora di più, e drammaticamente, le diversità delle politiche territoriali.
  Le «strutture residenziali» sono presenti in tutte le regioni e ormai consumano più della metà delle risorse regionali per la salute mentale. La tendenza a ricorrere al «posto letto residenziale» sembra in crescita inarrestabile e riduce irrimediabilmente la consistenza e la capacità di intervento dei servizi territoriali.
  Occorre dunque ripensare alla presenza della cooperazione sociale, costretta ad appiattirsi su infelici politiche regionali. Rischia di diventare dominante la diffusione di luoghi che assomigliano a cronicari. Le ingenti risorse, passivamente dedicate alla «residenzialità», sarebbero sufficienti per ripensare a forme diverse dell'abitare, dell'inserimento lavorativo e del vivere sociale. I progetti riabilitativi individuali, dove attivati, producono risultati tanto evidenti quanto inaspettati.
  Gli aggettivi che si utilizzano per coprire il fallimento delle pratiche residenziali e per qualificare questi luoghi come rassicuranti e necessari evocano la certezza della cura e dell'accoglienza: «terapeutiche, riabilitative, residenziali, familiari, sociali, comunitarie».
  Da molto tempo, ormai, è evidente che il difetto maggiore nell'assetto dei servizi di salute mentale è il ricorso illimitato, confuso e costosissimo a queste strutture e, ancora peggio, la delega totale della gestione, della cura e delle risorse al privato, sociale o mercantile che sia.
  Le strutture residenziali hanno avuto in questi ultimi anni, in particolare dopo il 1998, a seguito della definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici, una notevole crescita numerica: dalla ricerca «Progres – progetto residenze» (ISS, 2001), i posti-residenza nelle regioni risultavano essere circa 17.000. Da allora l'espansione si è rivelata inarrestabile. Il numero, anche se non verificato, è comunque rilevantissimo. Oltre 20.000 persone (forse 30.000) che, a vario titolo, sono ospitate in strutture residenziali.
  I tempi di permanenza, ma si dovrebbe dire di ricovero se non di internamento, diventano sempre più consistenti. Vi sono persone, e non sono poche, che in queste strutture restano ricoverate più di trenta anni. In tutte le regioni la scelta della comunità, che originariamente è stata perfino affascinante per molti giovani operatori, attratti dalla suggestione della «comunità», dell'accoglienza e della convivenza, è diventata un affare di dimensioni spesso mal gestibili proprio dagli stessi DSM e dalle amministrazioni che le hanno fatte nascere. Un numero rilevante di operatori – accompagnatori, tecnici, psicologi, psichiatri e infermieri – è impegnato in questo esteso arcipelago e, come isole lontane, queste strutture hanno perduto il contatto con la terra ferma, con il servizio pubblico, con il DSM, con una qualsiasi razionale attenzione a un progetto articolato e condiviso. Alcune strutture residenziali appaiono sovradimensionate nel numero, lontane dalla quotidianità dei paesi e dei quartieri, anonime, prive di oggetti e regolate ancora da logiche manicomiali. Spesso esse sono separate dal CSM, con équipe del tutto distinte e con profili professionali inadeguati e sono totalmente autoreferenziali. Sono dunque luoghi che non danno sbocco a forme di habitat o di convivenza più autonome e integrate nella comunità.
  In conseguenza dell'espansione residenziale sanitaria e delle scarse possibilità di dimissione dei pazienti accolti, le aziende sanitarie locali (ASL) finiscono per attuare deroghe di fatto alle normative nazionali e regionali sui tempi di ricovero e sulle dotazioni strutturali e di personale; anche i controlli in questo ambito sono, in alcuni casi, divenuti superficiali o addirittura inesistenti.
  Molte strutture rischiano di diventare i simboli dell'emarginazione sociale conseguente alla disabilità psichica, contrariamente alle finalità dichiarate, con conseguenti fenomeni di «vagabondaggio» istituzionale tra luoghi di ricovero.
  L'offerta di ricoveri in cliniche private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale, in alcune regioni al limite dello scandalo, accessibili anche senza il coordinamento da parte dei CSM, completa il quadro della residenzialità e rappresenta l'espansione di modelli di assistenza ospedaliera al di fuori della cultura territoriale dei progetti obiettivo e dei piani per la salute mentale adottati dopo la legge n. 180 del 1978.
  La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ratificata dall'Italia nel 2009, alla quale la presente proposta di legge fa esplicito e reiterato richiamo, all'articolo 1 dichiara che «Lo scopo della presente Convenzione è promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro inerente dignità».
  In questo quadro le azioni di difesa dei diritti delle persone con disabilità, e segnatamente di quanti vivono l'esperienza del disturbo mentale, assumono un valore assoluto e segnano il cammino di ogni uomo e di ogni donna verso la totale uguaglianza.
  Il diritto alla cura è coniugato nel contesto universalistico degli altri diritti fondamentali riconosciuti dalla citata Convenzione, che ha confermato le anticipazioni della legge di riforma italiana del 1978, ampliandone la portata e declinandole a livello del singolo soggetto, al quale vengono riconosciute le libertà fondamentali e la titolarità di ogni decisione sulla propria vita. Nel contrastare ogni forma di discriminazione legata alla disabilità o alla diagnosi, essa rimanda a un concetto di welfare d'inclusione e non solo di protezione. Non a caso l'OMS l'ha assunta a documento-base per il Piano d'azione globale per la salute mentale 2013-2020.
  La conseguenza autentica della scelta che ha compiuto il nostro Paese nel sottoscrivere e fare proprio il testo della Convenzione non può non mettere in campo azioni attente di vigilanza e di promozione, nella concretezza della vita e dell'agire quotidiano, di dispositivi organizzativi, campagne culturali e risorse umane qualificate per affermare e rendere esigibili i diritti delle persone con disabilità, per sostenere le famiglie e per rendere «visibili» i gruppi sociali a maggior rischio di discriminazione, esclusione e stigmatizzazione.
  La presente proposta di legge intende conferire ulteriore efficacia ai princìpi della legge Basaglia, rilanciando l'attualità delle sue linee di fondo e valorizzandole ulteriormente nell'attuale contesto costituzionale, normativo e sociale. Dunque, non un'iniziativa legislativa di modifica o revisione: nessuna delle disposizioni introdotte novella o integra il testo della legge Basaglia, fatta eccezione per la previsione di un'ulteriore garanzia sostanziale e processuale contro la disumana pratica della contenzione meccanica nei servizi psichiatrici.
  Gli obiettivi che ci si propone di perseguire sono, invece, quelli di rilanciare l'applicazione della legge Basaglia, di rafforzarne i contenuti di assistenza effettiva e universale sul territorio nazionale, di confermare la portata di definizioni e di princìpi che non devono essere cambiati ma, al contrario, sviluppati ed estesi. Viene pertanto garantita l'effettività del diritto alla salute, il quale, secondo l'OMS, non è – conviene ricordarlo sin da questa relazione illustrativa – «assenza di malattia» ma «stato psico-fisico di benessere».
  La presente proposta di legge si compone di quattro capi.
  Il capo I (articoli 1-4) declina una nuova disciplina puntuale volta ad applicare i princìpi alla base della riforma del 1978, alla luce del mutato sistema di competenze amministrative tra Stato ed enti territoriali; definisce, inoltre, l'orizzonte di sviluppo dell'assistenza psichiatrica italiana, nel quadro dei più rilevanti atti di indirizzo in ambito nazionale e sovranazionale.
  L'articolo 1 fissa il quadro normativo e le finalità alla base della legge delineandone, tra l'altro, la natura primigenia di provvedimento di diretto sviluppo dei contenuti normativi che già furono alla base della legge n. 180 del 1978.
  L'articolo 2 reca i princìpi generali in base ai quali sviluppare l'offerta di salute mentale sul territorio nazionale. L'articolo 3 prevede la disciplina e la regolazione dei livelli essenziali di assistenza per le persone con disagio e disturbo mentale. Si tratta di una disposizione di portata assai rilevante poiché costituisce, forse, il più rilevante strumento di garanzia e definizione dell'assistenza psichiatrica che deve essere garantita su tutto il territorio nazionale. Complementare a tale norma è quanto stabilito dall'articolo 4 in materia di Piano nazionale per la salute mentale, che richiama il valore fondamentale delle politiche di prevenzione integrate le quali rappresentano, anche secondo l'OMS, la frontiera per abbattere l'incidenza del disturbo mentale e costituiscono la chiave per offrire risposte adeguate e per decisivi risparmi di risorse.
  Nel capo II (articoli 5-12) viene analiticamente delineato il sistema dei servizi di tutela e assistenza psichiatrica sul territorio.
  Con l'articolo 6 si disciplinano e favoriscono le forme di partecipazione. Seguono, quindi, le analitiche previsioni delle strutture amministrative che afferiscono al DSM: i CSM, le strutture residenziali e i centri diurni. Esplicite disposizioni (articoli 10 e 11) sono inoltre dedicate al trattamento della crisi e dell'urgenza, nonché ai SPDC sui quali, pure, già la legge n. 180 del 1978 era tutt'altro che priva di indicazioni.
  Proprio l'articolo 10 si occupa di esplicitare e rendere ancora più chiaro, anche a livello di disciplina di legge ordinaria, il divieto di praticare la contenzione meccanica in psichiatria. Si tratta di attività illegittime e illecite alle quali si fa troppo sovente ricorso, talvolta in via sommersa, silenziosa e strisciante, nella rete dei servizi per l'assistenza psichiatrica. Appare innanzitutto opportuno rammentare i casi, drammaticamente assurti all'attenzione delle cronache, di decessi verificatisi dopo l'illegittimo ricorso alla contenzione nel servizio di diagnosi e cura di Vallo Lucania, in provincia di Salerno, nell'agosto 2009, e dopo un prolungato stato di contenzione nel servizio psichiatrico di diagnosi e cura nell'ospedale di Cagliari nel giugno 2006.
  La produzione scientifica e il dibattito culturale nel Paese (e anche la citata pronuncia del Comitato nazionale per la bioetica) evidenziano la necessità di porre un freno normativo alle pratiche di contenzione delle persone con disturbo mentale che provocano danni spesso irreversibili alle persone che le subiscono e gettano una luce sinistra su un intero ordinamento giuridico. Invero, l'illiceità delle contenzioni biomeccaniche in ambito medico-psichiatrico dovrebbe dirsi già direttamente sancita dal 1948 ai sensi della Costituzione, specie se si tiene a mente il chiaro dettato dell'articolo 13, quarto comma, della Carta fondamentale, il quale dispone: «È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà».
  Dunque l'articolo 10 della presente proposta di legge interviene introducendo un limite normativo espresso nell'articolo 33 della legge n. 833 del 1978, per poi corredarlo di una specifica disposizione di garanzia processuale, innestata sul complesso di norme recate dal successivo articolo 35 della medesima legge.
  L'articolo 11 regola l'integrazione socio-sanitaria e l'istituto del budget individuale di salute.
  L'articolo 12 reca disposizioni volte a incrementare le relazioni e i rapporti istituzionali integrati tra i DSM, gli istituti di pena e le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza che sono subentrate nel ruolo e nelle funzioni degli OPG e delle case di cura e custodia. L'obiettivo è consentire a ciascun magistrato di cognizione e di sorveglianza di disporre di un ventaglio di opzioni di assistenza psichiatrica per le persone con disturbo mentale che abbiano commesso un reato, adeguato e in grado di rispondere alle esigenze del singolo individuo. Solo così potrà realizzarsi l'obiettivo più alto perseguito dal decreto-legge n. 52 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 81 del 2014 (che ha disposto il superamento degli OPG): far ricorso alle misure di sicurezza detentive, per l'infermo di mente autore di reato, solo come soluzione estrema e residuale.
  Il capo III (articoli 13-16) disciplina le tecniche, i mezzi di promozione della salute psichica e, in definitiva, assegna la giusta preminenza al tema della prevenzione dei disturbi mentali come direttrice guida dell'operato dei servizi territoriali e dell'indirizzo politico governativo. Regola, inoltre, i rapporti del sistema di tutela della salute mentale con le università e i centri di alta formazione. Le disposizioni contenute nel capo III dettano, altresì, i princìpi in materia di formazione permanente del personale e istituiscono il sistema degli Osservatori per la salute mentale, a livello nazionale e territoriale.
  Il capo IV (articolo 17), da ultimo, reca la copertura finanziaria della legge.
  La presente proposta di legge è stata predisposta grazie al fondamentale contributo di numerosi esperti, professionisti, associazioni e persone che, con impegno e competenza, si prodigano quotidianamente per il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali delle persone con disturbo mentale e confidano nella concreta attuazione, su tutto il territorio nazionale, di misure adeguate a garantire a tali persone l'effettivo accesso a un'assistenza sanitaria e socio-sanitaria che tenga conto delle loro specifiche esigenze.

PROPOSTA DI LEGGE

Capo I

PRINCÌPI GENERALI E FINALITÀ

Art. 1.
(Finalità)

  1. La presente legge ha lo scopo di promuovere e di tutelare il pieno godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali delle persone con disagio e disturbo mentali nonché di prevedere misure adeguate a garantire alle medesime persone e alle comunità l'effettivo accesso a un'assistenza sanitaria e socio-sanitaria che tenga conto delle loro specifiche esigenze.
  2. In particolare, le finalità di cui al comma 1 sono perseguite mediante azioni volte alla realizzazione dei seguenti obiettivi:

   a) rimuovere qualsiasi forma di discriminazione, stigmatizzazione ed esclusione nei confronti delle persone con disagio e disturbo mentali, nonché promuovere l'esercizio attivo dei diritti costituzionali e delle libertà fondamentali da parte delle medesime persone;

   b) garantire la piena attuazione delle disposizioni previste dagli articoli 33, 34, 35 e 64 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, con particolare riguardo alle modalità di attivazione e di esecuzione del trattamento sanitario obbligatorio (TSO) al fine di evitare ogni forma di coercizione;

   c) valorizzare le attività e le iniziative volte a promuovere la prevenzione del disagio e del disturbo mentali, con particolare riferimento allo stile di vita, all'ambito familiare, al lavoro, alla scuola, agli ambienti di lavoro e alla comunità;

   d) garantire, con continuità ed efficacia, l'attuazione di percorsi personalizzati mediante l'erogazione di prestazioni integrate e appropriate, centrate sulla persona e sul suo complessivo ambito relazionale, nonché riconoscere il valore fondamentale della promozione dei percorsi di cura nel contesto di vita;

   e) attivare e valorizzare programmi di reinserimento abitativo, lavorativo e sociale;

   f) definire i principali strumenti destinati al governo dei servizi per la salute mentale;

   g) ridefinire gli indirizzi in materia di profili professionali e di formazione nel settore della salute mentale.

  3. Le disposizioni della presente legge costituiscono attuazione dell'articolo 32 della Costituzione e dei princìpi previsti:

   a) dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006, resa esecutiva dalla legge 3 marzo 2009, n. 18;

   b) dagli articoli 33, 34, 35 e 64 della legge 23 dicembre 1978, n. 833;

   c) dal progetto obiettivo «Tutela salute mentale 1998-2000», di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1999, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 274 del 22 novembre 1999;

   d) dal Piano d'azione per la salute mentale 2013-2020 dell'Organizzazione mondiale della sanità.

Art. 2.
(Princìpi generali)

  1. Ogni cittadino ha diritto di beneficiare di programmi di promozione della salute mentale rivolti all'individuo e alla comunità nonché di ricevere interventi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione volti alla tutela della propria salute mentale.
  2. È compito del Servizio sanitario nazionale garantire percorsi di promozione della salute mentale, nonché di prevenzione e di assistenza diagnostica, terapeutica e riabilitativa del disagio e del disturbo mentali e delle disabilità psico-sociali in tutte le fasi e a ciascun livello di cura, attraverso la realizzazione di politiche orientate al rispetto dei seguenti princìpi:

   a) effettivo accesso a servizi sanitari e socio-sanitari in grado di arginare il rischio di deriva sociale, avvio di percorsi di riabilitazione, raggiungimento della migliore condizione di salute possibile e promozione di un'appropriata qualità della vita;

   b) rispetto del principio della massima prossimità e adeguatezza degli interventi assistenziali, attraverso percorsi attuati in via preferenziale nell'ambiente di vita della persona, anche durante le fasi critiche e di acuzie;

   c) previsione e attuazione di strategie, azioni e interventi basati sulle evidenze scientifiche e sulle pratiche che hanno garantito i migliori risultati per la persona e per la collettività;

   d) progettazione e realizzazione delle politiche secondo un approccio interdisciplinare e intersettoriale;

   e) responsabilizzazione delle persone con disagio e disturbo mentali, dei nuclei e delle comunità di appartenenza, con il coinvolgimento degli stessi nella definizione, nell'attuazione e nel monitoraggio delle politiche, nonché nella coprogettazione degli interventi a loro destinati;

   f) prevenzione del disturbo psichiatrico severo, del suicidio e delle dipendenze in quanto priorità di salute pubblica;

   g) previsione dell'adozione di strategie e di interventi finalizzati a ridurre lo stress psico-sociale e lavorativo, nonché a migliorare il benessere sul posto di lavoro, l'organizzazione e gli orari di lavoro, a partire dalla pubblica amministrazione, al fine di conciliare in modo adeguato la vita lavorativa e la vita privata.

Art. 3.
(Livelli essenziali di assistenza)

  1. Al fine di garantire l'effettiva tutela della salute mentale quale componente essenziale del diritto alla salute, il Ministro della salute, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, provvede, con la procedura prevista dall'articolo 1, comma 554, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, all'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18 marzo 2017, privilegiando percorsi di cura in una prospettiva di presa in carico della persona nel complesso dei suoi bisogni e sulla base di un processo partecipato.
  2. L'aggiornamento di cui al comma 1 è volto in particolare a:

   a) assicurare percorsi di cura a complessità crescente, modulati in base ai bisogni della persona;

   b) garantire l'integrazione delle attività e delle prestazioni erogate dai dipartimenti di salute mentale (DSM) e dai servizi sanitari in generale, specie nelle fasi di transizione per età o patologia;

   c) prevedere l'integrazione dei percorsi di cura con i supporti offerti dai servizi sociali, dal terzo settore, dalla cooperazione sociale e dai programmi di formazione e di inserimento al lavoro;

   d) sviluppare i programmi terapeutici riabilitativi individuali (PTRI) quali percorsi esigibili a intensità variabile in rapporto ai bisogni della persona;

   e) adottare il budget individuale di salute quale strumento ordinario volto a realizzare progetti di vita personalizzati attraverso l'attivazione e l'integrazione di interventi sanitari e socio-sanitari e di tutte le risorse disponibili nella comunità.

  3. I percorsi di cura a complessità crescente di cui al comma 2, lettera a), sono modulati su quattro livelli:

   a) il primo livello garantisce un contatto a scopo di valutazione e di consultazione, previo invio del medico curante o mediante accesso diretto, compresi gli interventi precoci e quelli in età evolutiva, le disabilità complesse, le demenze e le comorbilità;

   b) il secondo livello prevede l'avvio di un rapporto di cura attraverso l'attivazione di un PTRI comprendente trattamenti psichiatrici, psicologici e multidisciplinari, ambulatoriali e domiciliari, psicoterapie individuali, familiari o di gruppo, con il coinvolgimento informato dei familiari, qualora accettato dalla persona interessata, e l'individuazione di un operatore di riferimento, prevedendo il possibile rinvio al medico curante al termine del percorso;

   c) il terzo livello è costituito dal percorso terapeutico di riabilitazione e di reintegrazione sociale, integrato con componenti socio-sanitarie e con l'eventuale impiego del budget individuale di salute; comprende trattamenti territoriali intensivi, specialmente in caso di basso livello di consenso alle cure, e programmi di prevenzione dei rischi di sanzione penale o di misure di sicurezza e di continuità di assistenza in condizioni di restrizione di libertà. L'intervento multidisciplinare prevede altresì interventi in favore del nucleo familiare, promozione dell'auto-mutuo-aiuto e programmi di inclusione sociale attiva;

   d) il quarto livello prevede la presa in carico, ad alta integrazione socio-sanitaria, in favore di persone che presentano bisogni complessi ed elevata disabilità, che necessitano di supporti per l'abitare assistito e di percorsi terapeutico-riabilitativi residenziali, nonché di altre azioni per garantire l'inclusione sociale.

Art. 4.
(Piano nazionale per la salute mentale)

  1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro della salute, anche avvalendosi della Consulta nazionale di cui all'articolo 16 della presente legge, il Governo adotta, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, un Piano nazionale per la salute mentale, di seguito denominato «Piano». Il Piano prevede interventi, azioni e strategie finalizzati alla promozione della salute mentale, alla prevenzione del disagio e dei disturbi mentali, alla riduzione dello stigma nei confronti dei malati mentali e al contrasto delle discriminazioni e delle violazioni dei diritti umani e delle libertà fondamentali dei medesimi malati.
  2. Il Piano individua specifici obiettivi e azioni volti in particolare a:

   a) salvaguardare e promuovere il benessere psichico di tutti i cittadini, tenendo conto dei fattori di rischio e di quelli protettivi in ogni fase della vita, anche intervenendo in maniera integrata sui determinanti sociali della salute e, in particolare, sulla condizione socio-economica, sul livello di istruzione, sull'abitazione e sull'esposizione a eventi di vita sfavorevoli quali le violenze e le migrazioni;

   b) definire le strategie di promozione della salute mentale e di prevenzione del disagio e del disturbo mentali, con particolare riferimento alle persone e ai gruppi di popolazione con maggiori difficoltà ad accedere ai servizi sanitari e socio-sanitari;

   c) sviluppare le capacità dell'assistenza sanitaria primaria a tutelare la salute mentale, riconoscere precocemente i disturbi, intervenire con programmi di assistenza psicologica a bassa soglia e favorire il reinserimento sociale e lavorativo;

   d) promuovere misure di supporto per la salute mentale in favore delle donne e dei nuclei familiari prevedendo, in particolare, il sostegno della genitorialità, in fase prenatale e post natale e per il contrasto della violenza domestica;

   e) promuovere la salute mentale nei minori e nei giovani adulti, nelle scuole e nei contesti familiari, anche allo scopo di rilevare precocemente i problemi nei bambini, intervenire contro il bullismo e contro ogni altra forma di disagio e di violenza, nonché contrastare gli abusi;

   f) favorire la realizzazione di campagne di informazione contro lo stigma nei confronti dei malati mentali, nonché per tutelare e difendere la dignità e i diritti umani dei medesimi malati;

   g) individuare modalità per il monitoraggio delle condizioni di salute e dei fattori di rischio, anche con riguardo all'impiego di psicofarmaci e alle situazioni a maggior rischio di discriminazione;

   h) promuovere strumenti e modalità per la presa in carico delle persone con disturbi mentali, in particolare con disturbi severi, garantendo un'adeguata risposta in caso di situazioni complesse, di scarsa adesione alle cure e di alto rischio di deriva sociale e di esclusione;

   i) definire strategie per la prevenzione del suicidio, in particolare nei gruppi più a rischio, compresi i comportamenti suicidari correlati alle dipendenze, e per il monitoraggio degli stessi;

   l) formulare indirizzi per rafforzare la capacità degli operatori di erogare trattamenti rispettosi, sicuri ed efficaci;

   m) formulare indirizzi per la qualificazione dei luoghi e degli ambienti in cui sono accolte le persone in cura e in cui operano i professionisti, superando l'eventuale degrado dei luoghi dedicati alla salute mentale.

  3. Il Piano definisce una strategia nazionale di promozione e di prevenzione specifica per la salute mentale, coordinata dal Ministero della salute e realizzata attraverso i piani regionali di prevenzione, integrata con le strategie di prevenzione generale e di promozione della salute, volta a perseguire gli obiettivi di cui al comma 2 mediante interventi generali e attività selettive in grado di rispondere ai bisogni della singola persona, delle aree di vulnerabilità e delle comunità.
  4. All'interno del modello organizzativo e dei servizi dipartimentali previsti dal capo II, il Piano individua i requisiti minimi di qualità della presa in carico e dei luoghi delle cure, con particolare riferimento a:

   a) prima accoglienza;

   b) sostegno ai familiari;

   c) condivisione dei percorsi di cura;

   d) risposta nelle situazioni di urgenza, emergenza e crisi;

   e) continuità dell'assistenza;

   f) integrazione socio-sanitaria;

   g) problematiche relative alla situazione abitativa e lavorativa;

   h) strumenti e modalità per la valutazione della qualità delle cure e relativi indicatori.

  5. Per le finalità di cui al comma 2, lettera m), è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per l'anno 2019, di 10 milioni di euro per l'anno 2020 e di 15 milioni di euro per l'anno 2021. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni per i medesimi anni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2018-2020, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2018, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
  6. Le risorse di cui al comma 5 sono assegnate alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano per la ristrutturazione e la qualificazione delle strutture pubbliche dei DSM, compresi le attrezzature e gli arredi, escludendo la costruzione o l'acquisizione di nuovi immobili, mediante le procedure di attuazione del programma pluriennale di interventi di cui all'articolo 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67.

Capo II
ARTICOLAZIONE DEI SERVIZI SU BASE DIPARTIMENTALE

Art. 5.
(Dipartimento di salute mentale)

  1. Il DSM garantisce la promozione e la tutela della salute mentale dell'area di riferimento all'interno dell'azienda sanitaria locale competente, tenendo conto delle caratteristiche culturali, orografiche e di percorribilità per una popolazione di norma non superiore a 500.000 abitanti. È dotato di autonomia tecnico-gestionale, organizzativa e contabile ed è organizzato in centri di costo e di responsabilità.
  2. Afferiscono al DSM le seguenti strutture organizzative:

   a) il centro di salute mentale (CSM);

   b) il servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC);

   c) i servizi e programmi per la residenzialità e la semiresidenzialità.

  3. Il DSM svolge le sue funzioni attraverso l'offerta di azioni e di risorse per:

   a) la promozione dell'integrazione professionale, organizzativa e disciplinare, a livello aziendale o interaziendale, di tutti i soggetti che si occupano della salute mentale;

   b) la predisposizione di linee di indirizzo assistenziale per specifici programmi di intervento relativi ad aree critiche della popolazione, al fine di conferire omogeneità ai percorsi sviluppati dai CSM;

   c) la promozione dell'integrazione tra servizi sanitari e servizi sociali, pubblici e del privato sociale, e associazioni, incentivando iniziative orientate a contrastare la marginalità sociale e a promuovere l'inclusione sociale;

   d) la valorizzazione e la formazione degli operatori e lo sviluppo delle competenze professionali;

   e) la garanzia dei flussi informativi definiti a livello statale e regionale, nonché il monitoraggio delle risposte ai bisogni di salute mentale;

   f) il riconoscimento del ruolo fondamentale dell'ascolto e del sostegno dei familiari, nonché del loro coinvolgimento nel PTRI e nel percorso di cura e di riabilitazione della persona;

   g) la promozione di modalità di accoglienza che consentano l'instaurazione di rapporti di fiducia e l'accettazione delle cure, garantendo la centralità della persona nel percorso di cura e di riabilitazione;

   h) la presa in carico delle persone affette da disturbo mentale che hanno commesso un reato, o che sono a rischio di condanne penali o di misure di sicurezza, o vi sono sottoposte, attraverso programmi terapeutico-riabilitativi individuali, di intensità modulata in rapporto ai bisogni della persona, evitando in prima istanza l'invio alle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) e assicurando le attività di tutela della salute mentale e di presa in carico dei detenuti e degli internati negli istituti di pena di competenza territoriale.

  4. Il responsabile del DSM si raccorda, per lo svolgimento delle funzioni di programmazione e pianificazione strategica, coordinamento e monitoraggio dei risultati raggiunti, con il responsabile del distretto sanitario e, per quanto di competenza, con i responsabili dei servizi di assistenza ospedaliera. L'integrazione con le strutture distrettuali, nonché le sinergie con l'ospedale, sono assicurate dal distretto sanitario.
  5. Per le finalità di cui al comma 3, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, comprese quelle che hanno sottoscritto i piani di rientro dai disavanzi sanitari, previa valutazione e autorizzazione del Ministero della salute, di concerto con il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e con il Ministero dell'economia e delle finanze, possono bandire concorsi per l'assunzione, in deroga alle disposizioni vigenti, delle figure professionali di cui all'articolo 14, comma 1.
  6. Ai fini di cui al comma 5, è autorizzata la spesa di 80 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2019. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307.

Art. 6.
(Forme di partecipazione)

  1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano predispongono linee di indirizzo sulla base delle quali i DSM programmano con continuità incontri e attività con le persone seguite e con i loro familiari; adottano iniziative atte a favorire la conoscenza e la comprensione dei percorsi di cura, a fornire adeguate informazioni sull'organizzazione e sul funzionamento dei servizi e ad accrescere la consapevolezza e la partecipazione di tutte le persone interessate; facilitano e incoraggiano la costituzione di gruppi di protagonismo e di auto-mutuo-aiuto. I DSM promuovono altresì iniziative volte ad accrescere le competenze delle associazioni senza fini di lucro di familiari e di persone con esperienza di disagio e disturbo mentale a svolgere in maniera costruttiva e indipendente il ruolo di interlocutori con le istituzioni, le professioni, i media e i soggetti erogatori.
  2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano le modalità attraverso le quali i DSM si dotano di strumenti finalizzati a promuovere l'adozione del PTRI sulla base dei princìpi della negoziazione e della massima condivisione, con la partecipazione attiva della persona e tenuto conto delle sue preferenze e delle sue aspettative. In tale processo, la persona può avvalersi di figure di aiuto che ritiene significative, inclusi familiari, persone di fiducia, associazioni e figure di garanzia. Nell'ambito della definizione dei profili professionali degli operatori addetti ai servizi sociali, socio-assistenziali e socio-educativi, è definito l'inserimento di figure formate nel supporto e nella valutazione tra pari.
  3. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano le modalità attraverso le quali ogni DSM istituisce un comitato di partecipazione comprendente rappresentanti delle figure professionali, delle persone seguite, dei loro familiari e delle associazioni accreditate.

Art. 7.
(Centro di salute mentale e servizio psichiatrico di diagnosi e cura)

  1. Il CSM è una struttura complessa polifunzionale che afferisce al DSM. Essa è deputata all'organizzazione e al coordinamento degli interventi di prevenzione, cura, riabilitazione e reinserimento sociale, nel territorio di competenza, tramite l'integrazione funzionale con le attività dei distretti sanitari. Il territorio di competenza è definito su scala distrettuale, dimensionato per una popolazione di norma pari a 60.000 abitanti e comunque non superiore a 100.000 al fine di favorire la conoscenza, l'accessibilità e la massima prossimità alla popolazione servita.
  2. Il CSM garantisce interventi ambulatoriali, domiciliari, di risposta alla crisi e di accoglienza della domanda di urgenza ed emergenza, almeno dodici ore al giorno per sette giorni alla settimana, provvedendo a forme di ospitalità diurna e notturna per tutti i casi che non necessitano di degenza ospedaliera. Per tali scopi è dotato di ambienti a carattere semiresidenziale e residenziale rispondenti ai requisiti minimi strutturali e organizzativi stabiliti dall'atto di indirizzo e coordinamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 1997.
  3. Il CSM è dotato di un’équipe multidisciplinare in grado di fornire risposte integrate nei luoghi di vita delle persone, anche in situazioni di crisi e di acuzie. L’équipe del CSM provvede a identificare al suo interno, all'atto della formulazione del PTRI, un operatore di riferimento che, sulla base di un rapporto fiduciario con la persona, svolge funzioni specifiche in merito alla personalizzazione del PTRI e degli interventi in sua attuazione, gestisce i rapporti con altri servizi socio-sanitari o soggetti coinvolti nel percorso medesimo e ne informa la persona e i familiari.
  4. Competono al CSM le seguenti attività:

   a) accoglienza, valutazione della domanda e diagnosi;

   b) definizione e attuazione della presa in carico, con le modalità proprie dell'approccio integrato, tramite interventi ambulatoriali, domiciliari e di rete, secondo il principio della continuità terapeutica;

   c) raccordo con i medici di medicina generale per fornire consulenza psichiatrica e per realizzare, in collaborazione, progetti terapeutici e attività formative;

   d) promozione di programmi per garantire ai soggetti con gravi patologie organiche un adeguato trattamento psicologico e psichiatrico, anche presso i presìdi ospedalieri;

   e) attività di autorizzazione, di filtro ai ricoveri e di controllo della degenza nelle case di cura neuropsichiatriche private, al fine di assicurare l'appropriatezza del ricovero e la continuità terapeutica.

  5. Il SPDC fa parte integrante del DSM ed è situato presso una struttura ospedaliera. Il SPDC attua trattamenti psichiatrici volontari e obbligatori in regime di ricovero, svolge attività di consulenza in favore degli altri servizi ospedalieri e può svolgere funzioni interaziendali attraverso la stipulazione di convenzioni o protocolli. Nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 6, quarto comma, della legge 13 maggio 1978, n. 180, ciascun SPDC dispone di un numero di posti letto in nessun caso superiore a quindici. Il DSM è comunque tenuto a garantire soluzioni alternative al ricovero presso un SPDC, in regime di ospitalità diurna e diurno-notturna come risposta a condizioni di crisi, pre-crisi e post-crisi, sia nelle sedi dei CSM che con idonee soluzioni residenziali transitorie.

Art. 8.
(Centro diurno, strutture residenziali
e percorsi di residenzialità)

  1. Nel rispetto dell'articolo 26 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e resa esecutiva dalla legge 3 marzo 2009, n. 18, di seguito denominata «Convenzione», le persone con disturbo mentale hanno diritto all'abilitazione e alla riabilitazione, in particolare nei settori della sanità, dell'occupazione, dell'istruzione e dei servizi sociali. Tale diritto deve trovare piena effettività sin dalle fasi precoci del disturbo, sulla base di una valutazione multidisciplinare delle abilità e dei bisogni di ciascuno. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, attraverso il DSM, organizzano processi e percorsi abilitativi in collaborazione con le realtà del territorio attraverso servizi e strutture.
  2. Il centro diurno (CD) è una struttura semiresidenziale con funzioni terapeutico-riabilitative, collocata in una o più sedi nel territorio o all'interno del CSM. È aperto almeno otto ore al giorno per sei giorni la settimana e dispone di locali idonei adeguatamente attrezzati. Nell'ambito di progetti terapeutico-riabilitativi personalizzati, consente di sperimentare e di apprendere abilità nella cura di sé, nelle attività della vita quotidiana e nelle relazioni interpersonali individuali e di gruppo, anche ai fini dell'inserimento lavorativo. Il CD può essere gestito direttamente dal DSM oppure, attraverso apposite convenzioni, da soggetti privati senza fini di lucro, fatti salvi i requisiti minimi strutturali e organizzativi previsti dall'atto di indirizzo e coordinamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 1997, e la garanzia della continuità della presa in carico.
  3. La struttura residenziale (SR) è una struttura extra-ospedaliera in cui si svolge una parte del programma terapeutico-riabilitativo e socio-riabilitativo per persone di esclusiva competenza psichiatrica. Persegue lo scopo di offrire una rete di rapporti e di opportunità emancipative, all'interno di specifiche attività riabilitative. Si differenzia in base all'intensità dell'offerta sanitaria, di ventiquattro ore, di dodici ore o per fasce orarie, e dispone al massimo di dieci posti. È soggetta ai requisiti minimi strutturali e organizzativi previsti dall'atto di indirizzo e coordinamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 42 del 20 febbraio 1997. È fatto divieto di istituire più moduli residenziali nello stesso edificio.
  4. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, tramite i DSM, promuovono percorsi di residenzialità che privilegiano soluzioni abitative per assicurare l'autonomia e la responsabilità delle persone, a prescindere dal loro grado di disabilità. È favorito il ricorso ad appartamenti a bassa protezione, nonché a libere convivenze e accoglienze da parte di nuclei familiari e di cittadini in grado di offrire contesti relazionali appropriati. Nell'ambito del diritto alla vita indipendente e all'inclusione nella società, previsto dall'articolo 19 della Convenzione, è possibile l'abitare assistito fuori da istituzioni e secondo adeguati livelli di vita in base all'articolo 28 della Convenzione medesima, in forma individuale o in piccoli nuclei di convivenza con un adeguato supporto.
  5. Nell'ambito dei percorsi di residenzialità di cui al comma 4, il DSM promuove e realizza in particolare:

   a) soluzioni residenziali in piccoli appartamenti con le caratteristiche strutturali delle civili abitazioni, per ospitalità temporanea nelle ventiquattro ore, gestiti da personale assistenziale ed educativo professionalmente formato in ambito psichiatrico;

   b) case-famiglia, senza vincoli temporali di permanenza, con le caratteristiche strutturali delle civili abitazioni, dotate di non più di sei posti letto, gestite da figure professionali con competenze socio-assistenziali;

   c) gruppi-appartamento, con le caratteristiche strutturali delle civili abitazioni, dotati di non più di sei posti letto, la cui gestione può essere interamente affidata a pazienti e familiari organizzati in forma di associazione o secondo modelli di mutuo-aiuto, in possesso di adeguata esperienza e capacità di gestione di tali situazioni. Nei gruppi-appartamento è garantito un supporto socio-assistenziale alle attività della vita quotidiana.

  6. Le tipologie di abitazione di cui al comma 5 devono essere ubicate nei centri urbani; è vietata l'attivazione di più moduli abitativi nello stesso edificio.
  7. I percorsi di residenzialità e di abitare assistito sono posti sotto il governo clinico e il monitoraggio costante dei CSM, i quali programmano e verificano l'attività terapeutica, riabilitativa e di inclusione.

Art. 9.
(Urgenza, emergenza e crisi
a livello territoriale)

  1. Nelle situazioni di emergenza, urgenza e crisi, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, attraverso i DSM, sono tenute ad assicurare, con la massima tempestività in caso di urgenze ed emergenze ed entro ventiquattro ore dalla segnalazione di una situazione di crisi, il proprio intervento anche a domicilio, avvalendosi degli operatori del CSM competente per territorio e coinvolgendo attivamente la rete relazionale e familiare, il medico di medicina generale e gli altri servizi aziendali eventualmente ritenuti necessari. Appositi protocolli sono definiti fra i DSM e i servizi di emergenza e urgenza sanitaria anche al fine di garantire il costante raccordo operativo. L'intervento prevede decisioni di trattamento assicurando prioritariamente le cure nel luogo di vita delle persone ed evitando, ove possibile, il ricorso al ricovero ospedaliero.
  2. In caso di mancata collaborazione della persona, gli operatori valutano le sue condizioni psichiche, utilizzando ogni mezzo ritenuto opportuno per tenere attivo il dialogo e la negoziazione con il fine ultimo di ottenere il consenso al trattamento da parte dell'interessato. Qualora gli operatori medici, esperito ogni possibile tentativo, non siano in condizione di entrare in contatto con la persona e di valutare le sue condizioni e ritengano, in base alle informazioni in loro possesso, che vi sia la necessità urgente di una valutazione psichiatrica, propongono un accertamento sanitario obbligatorio (ASO) ai sensi dell'articolo 34 della legge 23 dicembre 1978, n. 833. Qualora a seguito dell'ASO gli operatori medici accertino la presenza dei presupposti previsti dal citato articolo 34 della legge n. 833 del 1978, per un trattamento sanitario obbligatorio (TSO), dopo aver tentato senza successo di acquisire il consenso volontario del paziente, avanzano la proposta di TSO.
  3. Il TSO viene attivato presso il competente SPDC quando è necessario il ricovero presso una struttura ospedaliera. Qualora sia possibile adottare tempestive e idonee misure extraospedaliere, il TSO è eseguito presso il CSM o presso il domicilio.
  4. Contestualmente alla convalida del provvedimento del sindaco ai sensi dell'articolo 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, il giudice tutelare nomina un garante. Il garante è scelto nell'ambito di un albo predisposto presso l'ufficio del giudice tutelare e agisce al fine di verificare il pieno rispetto dei diritti della persona sottoposta a TSO e di sostenerla nella negoziazione del programma di cura con il CSM competente, favorendo la formazione del consenso, sia pure parziale, al trattamento.
  5. Fermo restando quanto disposto dagli articoli 33, 34 e 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, negli SPDC è vietato il ricorso a ogni forma di contenzione meccanica e sono promosse attività di formazione, aggiornamento e monitoraggio continuo della qualità degli interventi terapeutici svolti nel corso dei trattamenti sanitari volontari e obbligatori effettuati in degenza ospedaliera.

Art. 10.
(Modifiche alla legge 23 dicembre 1978, n. 833, in materia di tutela contro l'illegittimo ricorso a forme di restrizione della libertà personale nei riguardi delle persone con disturbo mentale)

  1. All'articolo 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, dopo il settimo comma è inserito il seguente:

   «Nei confronti delle persone sottoposte a trattamento sanitario obbligatorio, è punita ogni violenza fisica e morale e non è ammessa alcuna forma di misura coercitiva che si configuri quale ulteriore restrizione della libertà personale».

  2. All'articolo 35 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) dopo il quarto comma è inserito il seguente:

   «Al momento dell'esecuzione del trattamento sanitario obbligatorio, il sanitario responsabile del servizio psichiatrico dell'azienda sanitaria locale è tenuto ad avvisare la persona che ogni misura di coazione adottata nei suoi confronti può essere oggetto di immediato esposto al giudice tutelare»;

   b) dopo il sesto comma è inserito il seguente:

   «Nel caso in cui la persona sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio o un suo parente, affine o comunque una persona di sua fiducia, lamenti che sia stata effettuata una pratica di ulteriore limitazione della libertà personale, può chiedere che il medico curante rediga una relazione sulle modalità e sull'andamento del trattamento da trasmettere al giudice tutelare. Qualora il giudice tutelare ravvisi gli estremi della violazione di quanto disposto dall'articolo 33, ottavo comma, trasmette gli atti al tribunale competente per territorio per l'accertamento delle conseguenti responsabilità penali e civili»;

   c) al settimo comma, le parole: «quarto e quinto comma» sono sostituite dalle seguenti: «quarto e sesto comma, nonché dell'avviso di cui al quinto comma».

Art. 11.
(Integrazione socio-sanitaria)

  1. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, nell'ambito della programmazione e dell'organizzazione dei servizi sanitari e sociali, assicurano la risposta ai bisogni di cura, di salute e di integrazione sociale attraverso un approccio multisettoriale e intersettoriale.
  2. Al fine di cui al comma 1, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano programmano l'integrazione dei servizi di salute mentale con gli altri servizi, i percorsi socio-sanitari, il supporto sociale di base, il diritto all'abitazione, i percorsi di formazione e di inserimento al lavoro e il relativo diritto all'accesso, includendo il ruolo delle associazioni, del privato sociale e di altri soggetti per favorire l'inclusione nelle attività del territorio.
  3. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano il budget individuale di salute. Esso costituisce lo strumento principale di integrazione socio-sanitaria per la realizzazione del PTRI, in particolare a favore di persone con bisogni complessi, e per la realizzazione di percorsi riabilitativi, anche temporaneamente residenziali, volti ad assicurare il diritto all'abitazione. Prevede la valutazione multidisciplinare, che ne attesta la titolarità per finalità socio-sanitarie, basata sulla complessità delle condizioni e dei bisogni, con il concorso dei servizi sociali e di altri servizi competenti, con risorse definite ed eventuali forme di compartecipazione dei beneficiari o dei loro familiari. Esso è realizzato in partenariato, coprogettazione e cogestione con soggetti del privato sociale e prevede un'adeguata articolazione degli interventi e dei supporti e una durata definita in relazione ai bisogni.

Art. 12.
(Raccordo tra i dipartimenti di salute mentale, gli istituti di pena, il sistema di esecuzione delle misure di sicurezza non detentive e le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza)

  1. Ai sensi dell'articolo 12 della Convenzione, alle persone con disturbo mentale deve essere assicurato un trattamento giuridico paritario e un uguale riconoscimento dei diritti davanti alla legge. In particolare hanno diritto a fruire del sostegno di servizi adeguati di sanità, attraverso l'attività diretta delle équipe dei DSM presso gli istituti di prevenzione e pena, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del 30 maggio 2008. Al fine di consentire all'autorità giudiziaria di limitare al massimo, ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 maggio 2014, n. 81, il ricorso alle misure di sicurezza detentive e al ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), il DSM propone programmi per l'attivazione di misure alternative.
  2. Le REMS sono strutture afferenti al DSM. È favorita ogni forma di integrazione delle REMS con la rete dei servizi. Il funzionamento e l'organizzazione delle REMS sono improntati ai seguenti criteri:

   a) non applicabilità, all'interno delle REMS, delle disposizioni dell'ordinamento penitenziario;

   b) limite massimo di capienza di venti posti letto, esaurita la quale il sanitario responsabile può proporre al giudice il rinvio dell'esecuzione del ricovero;

   c) inapplicabilità, all'interno delle REMS, del TSO di cui all'articolo 34 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e sua eventuale esecuzione presso gli SPDC competenti per territorio;

   d) centralità della dimensione terapeutica del lavoro volto al recupero della soggettività e alla responsabilizzazione della persona;

   e) formulazione del PTRI, da parte del CSM competente per territorio, secondo i princìpi della partecipazione responsabile della persona sottoposta a misura di sicurezza e attraverso procedure atte a pervenire al consenso informato ad ogni trattamento sanitario;

   f) previsione di apposite disposizioni volte a garantire, nell'ambito del PTRI, la fruizione di ricoveri sanitari, l'accesso al lavoro esterno e percorsi di integrazione sociale anche ai fini della rivalutazione della pericolosità sociale attraverso l'attuazione del medesimo PTRI nei comuni contesti di esperienza quotidiana;

   g) garanzia di continuità trattamentale nell'esecuzione di misure di sicurezza non detentive presso i CSM e gli SPDC, attraverso un regime di libertà vigilata con prescrizioni mediche;

   h) divieto di realizzare più moduli di REMS in un singolo edificio o comprensorio e divieto di istituire REMS presso i locali o gli istituti in precedenza adibiti a ospedale psichiatrico, a ospedale psichiatrico giudiziario o a istituto di pena, nonché a strutture private residenziali sanitarie, socio-sanitarie o sociali;

   i) piena trasparenza delle prassi organizzative all'interno di ciascuna REMS, mediante la possibilità di far accedere, tramite apposita autorizzazione, le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione dei diritti umani nonché il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e i garanti regionali.

  3. Al fine di adempiere all'obbligo, per le aziende sanitarie locali, di presa in carico delle persone con disturbo mentale autori di reato, così da assicurare il diritto alle cure e al reinserimento sociale, i DSM si dotano di dispositivi di accoglienza e di presa in carico intensiva territoriale e si organizzano per fornire interventi multidisciplinari all'interno delle strutture penitenziarie, attraverso l'uso delle risorse impiegate per il rafforzamento dell'attività dei servizi, ai sensi dell'articolo 3-ter, comma 6, del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9.
  4. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nell'ambito delle risorse destinate alla formazione, organizzano corsi di preparazione e di formazione per gli operatori del settore finalizzati alla progettazione e all'organizzazione di percorsi terapeutico-riabilitativi e alle esigenze di mediazione culturale.
  5. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano predispongono annualmente programmi volti all'integrazione tra il Servizio sanitario nazionale e le esigenze di trattamento degli autori di reato, al fine di provvedere alla riqualificazione dei DSM, favorendo il contenimento del numero complessivo di posti letto da realizzare nelle strutture sanitarie di cui al comma 2 e la destinazione delle risorse alla realizzazione o riqualificazione delle strutture pubbliche. I programmi sono trasmessi ai presidenti delle corti di appello, ai presidenti dei tribunali e ai presidenti dei tribunali di sorveglianza di competenza.

Capo III

SISTEMI INFORMATIVI, FORMAZIONE E RAPPORTO CON LE UNIVERSITÀ

Art. 13.
(Sistema informativo, ricerca e formazione)

  1. I sistemi informativi sanitari comprendono strumenti per identificare, raccogliere e riportare sistematicamente dati sulla salute mentale e sulle attività svolte dai servizi. I dati epidemiologici sulla salute mentale, compresi quelli sui tentativi di suicidio e sui suicidi, sono raccolti allo scopo di migliorare l'offerta di assistenza e le strategie di promozione e di prevenzione.
  2. L'Osservatorio nazionale per la salute mentale di cui all'articolo 16, istituito presso il Ministero della salute, predispone strumenti di controllo della qualità e della sicurezza delle cure, da effettuare tramite organismi indipendenti, con il coinvolgimento delle persone in cura presso i servizi e dei loro familiari.

Art. 14.
(Figure professionali e formazione)

  1. Nell'ambito dei servizi per la salute mentale operano le seguenti figure professionali:

   a) medici psichiatri;

   b) psicologi;

   c) infermieri professionali;

   d) educatori professionali;

   e) terapisti della riabilitazione psichiatrica;

   f) terapisti occupazionali;

   g) sociologi;

   h) assistenti sociali;

   i) operatori socio-sanitari;

   l) personale amministrativo.

  2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano garantiscono a tutte le figure professionali l'aggiornamento e la formazione continua, inclusa la formazione sul campo, attraverso percorsi adeguati a migliorare la qualità dell'assistenza e a rafforzare la corretta gestione dei servizi, in coerenza con i princìpi e gli obiettivi della presente legge.
  3. Per le finalità di cui al comma 2, è autorizzata la spesa di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021, da assegnare alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano sulla base della popolazione residente. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni per i medesimi anni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2018-2020, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2018, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

Art. 15.
(Ruolo dell'università)

  1. Nell'ambito della programmazione regionale, tramite appositi accordi ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, sono individuate le modalità per l'affidamento alle cliniche universitarie e agli istituti universitari di psichiatria di funzioni assistenziali, da svolgere unitamente alle funzioni di didattica e di ricerca, su un'area territoriale delimitata e all'interno del DSM.
  2. Le scuole di specializzazione in psichiatria sono tenute, nel rispetto delle normative vigenti, a valorizzare e a promuovere le disposizioni della presente legge secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro della salute, da adottare di concerto con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della medesima legge.
  3. Le cliniche psichiatriche, nel rispetto delle normative vigenti, sono tenute a promuovere l'integrazione e la collaborazione con i DSM.

Art. 16.
(Osservatorio nazionale e Consulta nazionale per la salute mentale)

  1. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, il Ministro della salute, con proprio decreto, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, istituisce l'Osservatorio nazionale per la salute mentale, con il compito primario di monitorare l'attuazione della presente legge nel territorio nazionale. L'Osservatorio presenta entro il 31 dicembre di ogni anno una relazione alle Camere sull'attività svolta.
  2. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della salute, con proprio decreto, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, istituisce la Consulta nazionale per la salute mentale comprendente, oltre a rappresentanti dell'Osservatorio di cui al comma 1, rappresentanti delle associazioni delle persone con disturbi mentali e in cura presso i servizi per la salute mentale e delle associazioni dei familiari maggiormente rappresentative a livello nazionale. Con lo stesso decreto è istituita la rete delle consulte regionali per la salute mentale.
  3. La Consulta nazionale per la salute mentale ha, in particolare, i seguenti compiti:

   a) fornire supporto al Ministro della salute nella definizione delle strategie nazionali e nella predisposizione del Piano;

   b) contribuire a definire gli strumenti per la verifica dei risultati del Piano;

   c) contribuire a definire criteri e standard di assistenza relativi agli aspetti etici, organizzativi, logistici e procedurali;

   d) contribuire a verificare le risorse impiegate e le attività svolte;

   e) contribuire a sviluppare nuovi modelli organizzativi, di trattamento e prevenzione dei disturbi mentali, anche sulla base di proposte presentate dagli operatori pubblici e privati;

   f) contribuire a indirizzare le attività di formazione sui disturbi mentali, le cure e l'organizzazione dei servizi, nonché a promuovere l'attenzione all'ascolto e il dibattito sulle problematiche bioetiche.

Capo IV
FINANZIAMENTO DEI DIPARTIMENTI DI SALUTE MENTALE

Art. 17.
(Finanziamento dei dipartimenti
di salute mentale)

  1. In sede di riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale, nell'ambito dei parametri e dei criteri fissati per i livelli essenziali di assistenza, il Ministro della salute, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definisce le risorse da destinare alla tutela della salute mentale, assicurando a tal fine almeno il 5 per cento del Fondo sanitario nazionale.
  2. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano disciplinano, tenuto conto delle specifiche esigenze, le modalità per la ripartizione ai singoli DSM delle risorse destinate alla tutela della salute mentale e ne verificano l'utilizzo.
  3. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano individuano misure di razionalizzazione nell'impiego delle risorse destinate alla tutela della salute mentale, attribuendo priorità ai progetti, anche innovativi, volti a perseguire gli obiettivi di cui alla presente legge e perseguendo il graduale contenimento della spesa relativa alle strutture residenziali ad alta protezione, pubbliche e private.
  4. I risparmi derivanti dall'applicazione delle misure di razionalizzazione di cui al comma 3 rimangono nella disponibilità delle singole regioni e province autonome per le finalità di tutela della salute mentale di cui alla presente legge.