PROGETTO DI LEGGE
Capo I
Articolo 1
Articolo 2
Articolo 3
Capo II
Articolo 4
Articolo 5
Articolo 6
Articolo 7
Articolo 8
Articolo 9
Articolo 10
Articolo 11
Articolo 12
Articolo 13
Articolo 14
Articolo 15
Articolo 16
Articolo 17
Articolo 18
Articolo 19
Capo III
Articolo 20
Articolo 21
Articolo 22
Articolo 23
Articolo 24
Articolo 25
Capo IV
Articolo 26
Articolo 27
Articolo 28
Capo V
Articolo 29
Articolo 30
Articolo 31
Articolo 32
Articolo 33
Articolo 34
Articolo 35
Capo VI
Articolo 36
Articolo 37
Articolo 38
Articolo 39
XVIII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 388
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
SALTAMARTINI, FEDRIGA, CASTIELLO, GIORGETTI, GRIMOLDI,
GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, DE ANGELIS, BELOTTI, BIANCHI, ANDREA CRIPPA, GOBBATO, MATURI, RIBOLLA
Legge quadro sulla famiglia e per la tutela della vita nascente
Presentata il 26 marzo 2018
Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge intende affrontare in maniera sistematica la prima e più importante esigenza della famiglia: quella di esistere.
La famiglia ricopre un ruolo fondamentale in un'ottica di politiche finalizzate al contrasto della piaga della denatalità. L'obiettivo principale che si vuole raggiungere con la presente proposta di legge è quello di incentivare la natalità attraverso una serie di strumenti che intervengano nella fascia di età più delicata del bambino (fino al compimento del terzo anno di età), delicata in termini educativi e di richieste di attenzioni e di cure, nonché delicata per la maggiore difficoltà nella conciliazione delle esigenze familiari con quelle lavorative.
L'articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, definisce la famiglia nucleo fondamentale della società e dello Stato e come tale deve essere riconosciuta e protetta.
Il combinato disposto degli articoli della Costituzione 29, «famiglia società naturale fondata sul matrimonio», 30 «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli anche se nati fuori del matrimonio (...) La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale», e 31 «La Repubblica agevola con misure e altre provvidenze la formazione della famiglia (...) con particolare riguardo alle famiglie numerose», enuncia in modo inequivocabile il regime preferenziale della famiglia quale nucleo fondamentale della società.
Secondo i lavori preparatori dell'Assemblea costituente l'aggettivo «naturale» di cui all'articolo 29 della Costituzione sta a indicare che la famiglia non è un'istituzione creata dalla legge, ma una struttura di diritto naturale, legata alla natura umana come tale e preesistente rispetto all'organizzazione statale.
La stessa giurisprudenza costituzionale ha più volte rimarcato la netta distinzione tra la famiglia fondata sul matrimonio e la convivenza more uxorio.
I diritti individuali che derivano dall'istituzione matrimoniale non possono essere considerati diritti individuali assoluti ma diritti individuali derivati e subordinati alla condizione di essere sposati.
Le teorie neomalthusiane, indicando nella crescita demografica il peggiore dei mali, hanno condizionato pesantemente le istituzioni internazionali e le politiche dei Governi, con risultati che sono all'origine della crisi economica e che si sono rivelati devastanti per l'economia e per lo sviluppo dell'umanità. Con il verificarsi del crollo delle nascite, il prodotto interno lordo (PIL) mondiale è cominciato a decrescere ed i costi fissi ad aumentare. La mancanza di giovani e la crescita percentuale di anziani e di pensionati hanno fatto lievitare le spese sanitarie e quelle dei sistemi pensionistici. Per sopperire alla mancata crescita demografica, le economie avanzate hanno aumentato le tasse e incrementato i costi, praticando politiche di credito facile e a basso interesse e indebitando le famiglie in maniera vertiginosa. La riduzione del risparmio e la crescita del debito delle famiglie è più o meno simile in tutti i Paesi avanzati che hanno adottato politiche di decrescita demografica.
La capacità dei genitori di investire sul futuro dei figli dipende da molti fattori, tra questi il loro stato occupazionale, di salute, il livello di istruzione raggiunto e il sostegno nei compiti di cura che la comunità offre loro. La possibilità di disporre di competenze e di risorse, non solo economiche, è essenziale, soprattutto nei primi anni di vita del bambino, quando l'offerta educativa e di relazione è decisiva per farne emergere le potenzialità.
Affiancando i dati su povertà di reddito, di lavoro e indicatori di deprivazione, creando quello che a livello europeo viene definito l'indicatore di rischio povertà ed esclusione sociale, emerge come l'Italia abbia le percentuali più alte di minori a rischio di povertà ed esclusione sociale dell'Unione europea, pari al 28 per cento, dato al di sopra di 6 punti percentuali della media europea e inferiore soltanto a quella rilevata in alcuni nuovi Stati membri (Bulgaria, Romania, Ungheria, Lituania) o in Paesi particolarmente segnati dalla crisi finanziaria come l'Irlanda e la Grecia.
Sono più di 1.400.000 i minori che vivono in condizione di povertà assoluta (il 13,8 per cento di tutti i minori del nostro Paese, con un aumento del 34 per cento sul totale) e circa 2.400.000 quelli che vivono in condizione di povertà relativa (il 23 per cento del totale, con un aumento di quasi 300.000 minori in un solo anno). I dati più drammatici riguardano il sud e le isole, ma il peggioramento si registra in tutte le regioni ed è più marcato in relazione al numero dei figli: ad esempio tra le famiglie con tre o più figli, più di un terzo risulta in condizioni di povertà relativa e più di un quarto in povertà assoluta.
Questi dati allarmanti, incidenti sul destino delle nuove generazioni, incrociano le cause e gli effetti della denatalità, una realtà che rende l'Italia penultima in Europa, che frena la ripresa economica e che finirà con il determinare un pesante squilibrio generazionale. Secondo il rapporto Svimez 2014, relativo al 2013, nel Mezzogiorno d'Italia le nascite hanno toccato il minimo storico, 177.000, il numero più basso dal 1861. Questa caduta demografica è strettamente correlata alla crisi economica e occupazionale di un'area del Paese che, tra il 2008 e il 2013 ha visto mancare 800.000 posti di lavoro con un crollo dei redditi pari al 15 per cento.
La denatalità in Europa è ormai un'emergenza ed entro il 2025 i primi Paesi europei – Italia, Spagna, Germania e Grecia – potrebbero sperimentare l'implosione demografica, ovvero la diminuzione effettiva della popolazione.
Il progresso della società moderna è stato viziato dalla rinuncia a quei riferimenti valoriali che rappresentavano le fondamenta di una comunità capace di comprendere l'importanza della tutela dei propri figli quale bene primario, seminando il dubbio del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. L'accelerazione dei fenomeni di degenerazione nell'educazione sfocia, oggi giorno, in un vero e proprio allarme educativo. Sempre più in modo repentino si diffonde un pensiero unico laicista che trova sostegno anche in iniziative legislative assurde, come ad esempio quelle volte a cancellare dai documenti ufficiali i riferimenti alla madre e al padre per sostituirli con surrogati asettici. Scelte dettate da un'idiozia ideologica che non possono essere sottovalutate e che produrranno gravi danni nel medio e lungo periodo. A giustificazione di queste proposte che potremmo definire con un eufemismo originali, gli amministratori proponenti hanno addotto la motivazione di voler evitare discriminazioni nei confronti di bambini con genitori omosessuali. Queste proposte assurde, che hanno acceso un grande dibattito nel Paese e hanno trovato l'avallo di alte cariche istituzionali e di membri di Governo, sono state già adottate negli Stati Uniti d'America e nella Francia socialista di Hollande.
Chesterton scriveva: «La grande marcia della distruzione culturale proseguirà. Tutto verrà negato. Tutto diventerà un credo. Accenderemo fuochi per testimoniare che due più due fa quattro. Sguaineremo spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Non ci resterà quindi che difendere non solo le incredibili virtù e saggezze della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile: questo immenso, impossibile universo che ci guarda dritto negli occhi. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l'erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Saremo tra coloro che hanno visto eppure hanno creduto». Chesterton con queste parole intendeva dire che ciò che fino ad allora era stata un'affermazione di buon senso e di razionalità – per esempio che tutti nasciamo da un uomo e da una donna – in futuro sarebbe diventata una tesi da bigotti, un dogmatismo da condannare e sanzionare. Sosteneva che ci dovevamo preparare alla grande battaglia in difesa del buon senso. Ci troviamo dinnanzi, quindi, a un progetto ben organizzato perseguito in modo scientifico da gruppi militanti, schiavi della propria ideologia, che cercano con tutti i mezzi di affermare il proprio stile di vita utilizzando tecniche e strategie mirate a cancellare la verità in nome della volontà di instaurare una vera e propria dittatura relativista. Non potendo «abolire» la natura per legge si decide di abolire le parole che «dicono» la natura delle cose.
In Italia la Costituzione ha operato una scelta assai chiara tra la famiglia fondata sul matrimonio, espressamente riconosciuta dagli articoli 29 e seguenti, e altre forme di rapporto fra le persone. Tuttavia, nel nostro Paese il numero dei matrimoni risulta essere in forte diminuzione. Ci si sposa meno, ma anche più tardi. I giovani rimangono ormai per un periodo sempre più lungo a casa dei genitori, le cause sono molteplici e infatti non sempre si tratta di una scelta. È il fenomeno della cosiddetta posticipazione: tutto il ciclo di vita individuale si è infatti progressivamente spostato in avanti, con la conseguenza di aver determinato un inevitabile allungamento dei tempi che cadenzano gli eventi decisivi della vita del singolo. Si lascia più tardi la famiglia di origine, ci si sposa più tardi, si hanno figli più tardi. L'età media di chi mette al mondo il primo figlio è aumentata di circa tre anni in un ventennio e si assesta ormai sui trent'anni nelle ultime generazioni.
Il nobile desiderio dei giovani di voler contribuire al bene comune in piene autonomia e indipendenza sposandosi e mettendo al mondo dei figli si infrange dinnanzi a problematiche di difficilissima soluzione.
Si deve prendere esempio dalle politiche messe in atto in questi anni in altri Paesi europei, tra tutti la Francia, che in periodo relativamente breve è riuscita a invertire il trend demografico negativo grazie a interventi mirati a considerare la famiglia parte integrante dello Stato al centro di una politica di sicurezza sociale. Le politiche per la famiglia in Francia hanno avuto come obiettivo la ridistribuzione sia orizzontale che verticale del reddito per compensare i costi dovuti alla crescita dei figli. Nel sistema francese, infatti, le famiglie con più di un figlio ricevono contributi per la crescita dei figli e quelle con un reddito più basso possono beneficiare anche di altre forme di sostegno, come contributi per l'alloggio, per i libri scolastici e addirittura per le vacanze. In Francia è previsto, inoltre, un contributo economico in favore della prima infanzia dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età.
È doveroso garantire il diritto di ogni persona a formare una famiglia o a essere inserita in una comunità familiare, sostenere il diritto delle famiglie al libero svolgimento delle loro funzioni sociali, riconoscere l'altissima rilevanza sociale e personale della maternità e della paternità, sostenere in modo più adeguato la corresponsabilità dei genitori negli impegni di cura e di educazione dei figli, promuovere e valorizzare la famiglia come struttura sociale primaria di fondamentale interesse pubblico.
Gli italiani, se interrogati sul numero ideale dei figli, la pensano come i francesi, gli svedesi e i tedeschi. Ma quando poi si passa dai desideri alla realtà la condizione italiana precipita rispetto a quella di gran parte dell'Europa. I motivi sono noti e di facile individuazione: la situazione economica, l'esistenza o no di adeguati servizi sociali, i tempi della vita familiare e di quella professionale, la qualità del sistema educativo, la disponibilità di alloggi adeguati ai livelli di reddito delle giovani generazioni. Investire nelle politiche familiari significa pertanto investire sulla qualità della struttura sociale e, di conseguenza, sul futuro stesso della nostra società.
La presente proposta di legge intende conferire piena attuazione all'articolo 31 della Costituzione, il quale sancisce che «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi (...)».
Anche quando si affronta il problema di misure di sostegno economico alle famiglie con interventi mirati si agisce in modo assistenzialistico e non con una politica programmata di contrasto alla denatalità. Ad esempio la misura per il sostegno economico per le famiglie (contributo per ogni figlio nato o adottato dal 1o gennaio 2015) introdotta nella legge di stabilità 2015, legge n. 190 del 2014, e confermata dalla legge di bilancio 2018, legge n. 205 del 2017, nelle sue struttura e formulazione è viziata da un approccio errato al problema estendendo la misura oltre che a tutti i cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea anche a tutti cittadini di Stati non membri dell'Unione europea. In tal modo la misura introdotta si depotenzia rispetto ai suoi reali obiettivi e si trasforma in una disposizione di natura assistenzialista. Una misura finalizzata alla crescita demografica deve essere limitata ai cittadini italiani o di uno stato membro dell'Unione europea.
Ogni efficace politica di sostegno alla famiglia non può tuttavia prescindere da strumenti fiscali mirati e graduati. In Italia il sistema fiscale sembra ancora ritenere che la capacità contributiva delle famiglie non sia influenzata dalla presenza di figli e dall'eventuale scelta di uno dei due coniugi di dedicare parte del proprio tempo a curare, crescere ed educare i figli, mentre di norma in Europa a parità di reddito la differenza tra chi ha e chi non ha figli a carico è consistente. Basti pensare che la differenza di imposta diretta su un reddito nominale di 30.000 euro per una famiglia con due figli e per una senza figli è di circa 3.500 euro in Francia, di circa 6.000 euro in Germania e di appena 1.300 euro nel nostro Paese.
Considerata l'esigenza di una maggiore equità orizzontale, appare evidente che l'introduzione di un nuovo sistema fiscale che indichi nella famiglia e non più nell'individuo l'unità impositiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) segnerebbe una sostanziale inversione di rotta per il sistema fiscale italiano.
Il nostro Paese deve essere da esempio nell'elaborare una linea politica di invito alla vita e operare per garantire tutte le condizioni utili a una crescita della società incentrata sui valori di un umanesimo diffuso. Occorre, quindi, rimodulare l'azione politica sui valori fondanti della vita e della persona umana.
Il primo obiettivo deve essere quello di sviluppare al meglio i servizi dedicati all'infanzia.
Gli obiettivi fissati a Lisbona prevedono che il 33 per cento dei minori al di sotto dei tre anni di età possa usufruire del servizio di asilo nido. Dai dati risulta che in media nel nostro Paese solo il 18,7 per cento dei bambini da zero a due anni di età frequenta un asilo nido pubblico o privato.
È necessario affrontare in maniera sistematica il problema della carenza in tutto il territorio nazionale dei servizi socio-educativi (asili nido). Oggi l'offerta pubblica è di gran lunga inferiore alla domanda e in alcune città il rapporto è di un posto disponibile ogni dieci richiesti. Una realtà complessa e disomogenea e ancora molto lontana dal centrare gli obiettivi europei. La legge 6 dicembre 1971, n. 1044, che istituì gli asili nido comunali con la previsione di crearne 3.800 entro il 1976, ne vede ora realizzati poco più di 3.100 (e solo nel 17 per cento dei comuni): in termini di percentuale di posti disponibili rispetto all'utenza potenziale, si traduce in un misero 6 per cento a fronte del 33 per cento posto dall'agenda di Lisbona come obiettivo europeo che si sarebbe dovuto raggiungere nel 2010. Un 6 per cento che diventa un 9,1 per cento se si considerano anche le strutture private che offrono il servizio di assistenza alla prima infanzia, con una grande sperequazione territoriale: si passa dal 16 per cento in Emilia-Romagna all'1 per cento in Puglia, Calabria e Campania.
Gli asili nido comunali rientrano nella gamma dei servizi a domanda individuale resi dal comune a seguito di specifica domanda dell'utente. Nel caso degli asili nido, il livello minimo di copertura richiesto all'utente è del 50 per cento, ma le rette variano sensibilmente da comune a comune poiché la misura percentuale di copertura dei costi di tutti i servizi a domanda individuale da parte dell'utenza è definita al momento dell'approvazione del bilancio di previsione comunale. Le rette sono determinate nel 75 per cento dei casi in base all'indicatore della situazione economica equivalente, nel 20 per cento dei casi in base al reddito familiare e nel restante 5 per cento la retta è unica.
Si ritiene necessario un intervento che nel breve periodo possa offrire una risposta rapida alle richieste di posti nelle strutture socio-educative e per fare questo è importante agire con formule nuove cercando di coniugare l'iniziativa pubblica con quella privata applicando sistemi di collegamento rapidi tra le istituzioni nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale e orizzontale: l'ambizioso obiettivo che si vuole realizzare punta a introdurre un sistema territoriale gratuito di servizi socio-educativi per la prima infanzia. Tutto ciò è realizzabile concependo e istituzionalizzando l'idea di un sistema articolato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia. Un sistema cui concorrono il pubblico, il privato, il privato sociale e i datori di lavoro, con l'obiettivo di creare nel territorio un'offerta flessibile e differenziata di qualità. Un particolare rilievo deve assumere la centralità della famiglia, anche attraverso le sue formazioni associative, poiché sempre più ampi devono essere il suo protagonismo, la capacità di espressione della sua libertà di scelta educativa e le forme di partecipazione che può mettere in atto, anche nelle scelte gestionali e nella verifica della qualità dei servizi.
Per la gestione dei servizi del sistema educativo integrato, la regione e gli enti locali devono riconoscere e valorizzare, fra l'altro, il ruolo delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, richiedendo loro una collaborazione alla programmazione e alla gestione dei servizi educativi nel relativo ambito territoriale.
Nella presente proposta di legge si prevede anche un piano straordinario per il potenziamento dei servizi socio-educativi fondato sull'erogazione di un contributo statale ripartito per le regioni e, a cascata, per gli enti locali, finalizzato alla ristrutturazione degli immobili in disuso affinché siano utilizzati come asili nido da concedere a titolo gratuito ai privati, che si impegnano a garantire rette sociali elaborate in media a quelli che sono i costi degli asili nido pubblici della zona territoriale e ad assumere prioritariamente lavoratori socialmente utili al fine di offrire loro una vera occupazione. La realizzazione di questo piano straordinario renderà fruibili 1.000 nuovi asili nido su una superficie totale di 200.000 metri quadrati, 28.000 nuovi posti per i bambini e 10.000 nuovi posti di lavoro, contribuendo quindi anche a un rilancio economico e occupazionale del Paese attraverso la ricollocazione di un numero importante di lavoratori socialmente utili in scadenza e il rilancio delle aziende edili di ristrutturazione e dell'indotto a esse collegato.
Con questa proposta di legge, inoltre, si interviene con una serie di disposizioni per riformare l'istituto dei consultori familiari.
Sono passati oltre quaranta anni da quando è entrata in vigore la legge quadro n. 405 del 1975, con la quale furono istituiti i consultori familiari. Essi sono nati sotto l'influenza del dibattito sulle rivendicazioni per l'emancipazione della donna che ha caratterizzato gli anni settanta e che ha imposto all'attenzione dell'opinione pubblica la necessità di un luogo di dialogo e di informazione sulla sessualità, sulla procreazione e sulla contraccezione. Nelle intenzioni del legislatore, le attività consultoriali avrebbero dovuto offrire un vasto programma di consulenza e un servizio globale alla donna, alle coppie e ai nuclei familiari in tutti i settori tematici legati alla coppia e alle problematiche coniugali e genitoriali, ai rapporti e ai legami interpersonali e familiari, nonché alla procreazione responsabile. Pur ponendo l'accento sul valore storico che hanno rappresentato per la nostra società, è doveroso riconsiderare il lavoro svolto e l'attuale ruolo dei consultori familiari nel nostro Paese, alla luce anche dei notevoli cambiamenti sopravvenuti nell'attuale contesto socio-culturale. Il consultorio ha inoltre assunto in questi anni, anche a seguito della riforma sanitaria, di cui alla legge n. 833 del 1978, la struttura di servizio marcatamente sanitario, in cui si sono privilegiati gli interventi di tipo ginecologico e pediatrico a discapito della vocazione di ispirazione sociale. I consultori familiari devono quindi qualificarsi sempre di più, evitando una rigida settorializzazione e riduzione al pur importante ma non esclusivo ambito sanitario di competenza. Per rispondere a queste problematiche è necessario che all'interno del consultorio si rafforzino interventi di tipo sociale, psicologico e di consulenza giuridica che nella loro interazione continua possano costituire un valido riferimento per la donna e per la famiglia.
Si rende urgente, dunque, e non più procrastinabile una riforma dei consultori familiari che dimostri nei fatti particolari attenzione e sensibilità ai diritti dei minori e della famiglia e forte impegno nella tutela sociale della genitorialità e del concepito. Di qui l'intendimento di garantire il ruolo partecipativo delle famiglie e delle organizzazioni di volontariato a difesa della vita per lo svolgimento delle attività consultoriali. Bisogna tornare a ciò che già era ben esplicitato nelle intenzioni del legislatore che nel 1975 aveva approvato la legge n. 405 (ovvero l'assistenza alla famiglia, l'educazione alla maternità e alla paternità responsabili, l'educazione per l'armonico sviluppo fisico e psichico dei figli e per la realizzazione della vita familiare), ma che nei fatti è stato residualmente attuato, complice anche la talora mera funzione burocratica dei consultori, ridotti, troppo spesso, a pura assistenza sanitaria, carenti di quelle necessarie sensibilità e competenza su problematiche sociali per le quali furono istituiti. Nei consultori familiari non sempre viene pienamente attuato il diritto della donna di ricevere valide alternative all'aborto, poiché c'è chi sostiene che sarebbe un'ingerenza nella scelta personale, eppure proprio secondo quanto stabilito dagli articoli 2 e 5 della legge n. 194 del 1978, l'assistenza da dare alla donna in gravidanza deve essere attuata con l'informazione sui diritti spettanti alla gestante, sui servizi sociali, sanitari e assistenziali a lei riservati nonché sulla protezione che il mondo del lavoro deve assicurare a tutela della gestante.
In conclusione, la presente proposta di legge offre uno strumento dinamico di tutela dei diritti della famiglia: ampliando il ventaglio delle situazioni e delle posizioni giuridicamente rilevanti rende concreta l'attuazione dell’«interesse familiare», che discende dagli articoli 30 e 31 della Costituzione, come pure dei generali princìpi di sussidiarietà e di solidarietà sociale e riconosce, a tale interesse, tutela in sede giurisdizionale.
Sotto tale aspetto, più in particolare, la presente proposta non solo prevede il formale riconoscimento giuridico della famiglia, intesa come centro autonomo di imputazione di diritti e di doveri a cominciare dal sistema fiscale, ma qualifica l'interesse familiare quale interesse diffuso e collettivo.
A tutela dell'interesse familiare, alle associazioni di promozione per la famiglia è riconosciuta, nei giudizi civili e amministrativi, la legittimazione attiva attraverso la previsione di una vera e propria azione familiare e, nei procedimenti penali, la facoltà di intervento, analogamente a quanto previsto, ad esempio, in materia di ambiente e di sicurezza alimentare. Le utilità ricavate attraverso le azioni familiari alimentano l'istituendo Fondo di solidarietà per la famiglia cui attingere per l'attuazione delle politiche familiari. Al di là del riconoscimento e della tutela dei diritti individuali, si intendono prevedere, con particolare riguardo ai soggetti deboli, strumenti normativi idonei a trasformare la famiglia da semplice luogo di consumo a soggetto produttore di capitale umano e sociale.
In estrema sintesi la proposta di legge intende:
a) sostenere la famiglia quale nucleo fondamentale della società;
b) incentivare la natalità attraverso strumenti di sostegno economico;
c) prevedere il formale riconoscimento giuridico della famiglia, intesa come centro autonomo di imputazione di diritti e di doveri;
d) affermare il principio di sussidiarietà orizzontale e verticale e il riconoscimento del ruolo di rappresentanza delle associazioni familiari;
e) riconoscere il concepito quale componente a tutti gli effetti della famiglia;
f) introdurre un sistema territoriale gratuito di servizi socio-educativi per la prima infanzia;
g) assicurare libertà di scelta alle famiglie nell'individuazione dei servizi per la prima infanzia e per tutti gli altri beni e servizi necessari alla cura e all'assistenza dei figli minori;
h) introdurre un sistema fiscale basato sul quoziente familiare;
i) riformare i consultori familiari al fine di dimostrare nei fatti particolari attenzione e sensibilità ai diritti dei minori e della famiglia tutelando il valore sociale della genitorialità e del concepito.
PROPOSTA DI LEGGE
Capo I
PRINCÌPI FONDAMENTALI
Art. 1.
(Finalità).
1. La Repubblica, in conformità agli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, riconosce nella famiglia il soggetto sociale politicamente rilevante in base al ruolo procreativo, educativo, formativo, di solidarietà e di cura da essa svolto, nonché la struttura sociale in cui sono offerte le risorse per la maturazione della personalità del cittadino.
2. Ai sensi della lettera m) del secondo comma dell'articolo 117 e nel rispetto dell'articolo 28 della Costituzione, la presente legge tutela e garantisce il ruolo sociale dell'educazione dei figli attraverso il riconoscimento delle figure genitoriali quali madre e padre.
3. Tutte le persone hanno diritto a formare una famiglia. Lo Stato si impegna a rimuovere, attraverso le politiche per la famiglia di cui al capo II, gli impedimenti sociali ed economici che ostano all'attuazione delle finalità di cui ai commi 1 e 2.
4. La Repubblica, riconoscendo la famiglia quale soggetto privilegiato delle politiche sociali, imposta gli strumenti di programmazione e coordina gli interventi settoriali al fine di predisporre un sistema organico di tutela e di promozione delle relazioni familiari che valorizzi e sostenga il ruolo assegnato alla famiglia dalla Costituzione. Per la realizzazione delle finalità di cui ai commi 1, 2 e 3 nonché per l'attuazione degli interventi previsti dalla presente legge:
a) è promosso il ruolo di tutti i livelli istituzionali competenti, a partire dai comuni, nell'attuazione delle politiche e dei servizi in favore della famiglia in un'ottica di sussidiarietà verticale, favorendo il coordinamento dei servizi e degli enti interessati, nell'ambito dei princìpi e delle finalità di cui alla legge 8 novembre 2000, n. 328;
b) è riconosciuto e promosso il ruolo del volontariato negli interventi di cura e di assistenza della persona in un'ottica di sussidiarietà orizzontale, attribuendo alle associazioni familiari la qualità di rappresentanti della categoria e coinvolgendole nelle scelte che riguardano direttamente o indirettamente l'istituzione familiare.
Art. 2.
(Minori).
1. Ai minori, in particolare, è riconosciuto il diritto ad avere una famiglia, sia essa quella di origine, adottiva o affidataria.
2. Lo Stato garantisce le condizioni economico-sociali idonee a evitare l'allontanamento del minore dalla famiglia quando:
a) la famiglia è numerosa e incapace di fare fronte alle necessità dei figli;
b) il minore versa in un grave stato patologico o psico-patologico, congenito o sopravvenuto;
c) la famiglia versa in uno stato di grave disagio a causa di indigenza, di assenza di uno dei genitori, di condizioni abitative malsane o promiscue ovvero di carenze di ordine psico-pedagogico e culturale.
3. Al minore al quale non è in grado di provvedere la famiglia sono garantiti gli alimenti.
4. Il Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro o con il sottosegretario di Stato competente per le politiche della famiglia, di seguito denominato «Ministro», sentita la Consulta nazionale di cui all'articolo 37, determina, con proprio decreto, le modalità di riconoscimento, concessione ed erogazione degli alimenti garantiti ai sensi del comma 3 del presente articolo, nonché le modalità per la verifica della sussistenza dei requisiti previsti.
Art. 3.
(Riconoscimento giuridico).
1. La famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna è riconosciuta quale autonomo centro di imputazione di diritti, doveri e prerogative, anche distinti da quelli dei suoi componenti.
2. Lo Stato riconosce la famiglia quale formazione sociale necessaria alle proprie esistenza, sopravvivenza e stabilità.
3. Ai fini della presente legge, il concepito è riconosciuto quale componente del nucleo familiare a tutti gli effetti e, in particolare, ai fini del diritto ai benefìci previsti dalla medesima legge, attribuiti in base a graduatorie che tengono conto del numero dei figli. Per la concessione di tali benefìci il soggetto interessato è tenuto a presentare idonea documentazione comprovante lo stato di gravidanza e l'avvenuta nascita.
4. Ai fini della presente legge, l'adozione di un bambino di età inferiore a otto anni è equiparata alla nascita di un figlio.
5. Ai fini della presente legge, i diritti attribuiti alla famiglia si estendono agli ascendenti di primo grado e ai parenti in linea collaterale di secondo grado aventi stabile residenza presso la casa coniugale o presso dipendenze di essa.
Capo II
POLITICHE PER LA FAMIGLIA E PER LA TUTELA DELLA VITA NASCENTE
Art. 4.
(Destinatari degli interventi).
1. Al fine di sviluppare una politica di contrasto alla denatalità, gli interventi previsti dal presente capo sono rivolti ai cittadini italiani o di Stati membri dell'Unione europea componenti di nuclei familiari.
Art. 5.
(Abitazione).
1. Al fine di favorire la costituzione e lo sviluppo della famiglia, il Ministro, sentita la Consulta nazionale di cui all'articolo 37:
a) promuove lo sviluppo di piani di edilizia residenziale pubblica;
b) riconosce incentivi all'acquisto o alla locazione di unità immobiliari da adibire ad abitazione principale, anche attraverso la concessione di mutui agevolati;
c) pianifica interventi volti alla semplificazione degli adempimenti e alla riduzione degli oneri burocratici e tributari del frazionamento di appartamenti di ampia metratura;
d) favorisce l'incremento del mercato delle locazioni degli immobili a uso abitativo attraverso il riconoscimento di una detrazione fiscale per i redditi derivanti dalle predette locazioni, in caso di adesione a forme di contratto vincolate, quanto a canone e a durata, sulla base di criteri da individuare, con decreto del Ministro, anche in base a specifici accordi tra associazioni di categoria.
2. Il Ministro determina, con proprio decreto, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e sentita la Consulta nazionale di cui all'articolo 37, le modalità di riconoscimento e di concessione delle agevolazioni per l'acquisto e per la locazione dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale.
3. L'onere economico degli interventi previsti dal comma 1 è posto a carico del fondo di garanzia di cui all'articolo 6.
Art. 6.
(Fondo speciale di garanzia per l'acquisto dell'abitazione principale).
1. Ferme restando le competenze delle regioni in materia di edilizia residenziale pubblica, allo scopo di sostenere la piena realizzazione di una nuova famiglia da parte delle giovani coppie, è istituito presso la Cassa depositi e prestiti Spa, con una dotazione di 30 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2018, un fondo speciale di garanzia con gestione autonoma per consentire l'accensione di mutui da parte delle giovani coppie per l'acquisto di immobili da adibire ad abitazione principale.
2. Il fondo di cui al comma 1 è destinato a rilasciare garanzie sussidiarie, in aggiunta alle ipoteche ordinarie sugli immobili, alle banche e agli intermediari finanziari che, previa adesione ad apposita convenzione predisposta dalla Cassa depositi e prestiti Spa e approvata dal Ministro dell'economia e delle finanze, concedono mutui ai soggetti beneficiari di cui all'articolo 7 per l'acquisto in proprietà di unità immobiliari da adibire ad abitazione principale il cui prezzo di acquisto non è superiore a 250.000 euro.
3. I mutui di cui al comma 2 sono concessi a tasso zero per i primi cinque anni e a tasso agevolato, nella misura stabilita con regolamento da emanare, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, per un massimo di ulteriori quindici anni. Gli importi dei mutui possono essere annualmente modificati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.
4. Gli oneri relativi al mancato versamento degli interessi passivi maturati per i primi cinque anni ai sensi del comma 3, nonché quelli concernenti la differenza tra il tasso di mercato e quello agevolato, sono posti a carico del fondo di cui al comma 1.
5. Le garanzie prestate dal fondo di cui al comma 1 sono, altresì, finalizzate alla copertura dell'eventuale impossibilità da parte dei beneficiari di adempiere al pagamento delle rate a causa della cessazione del rapporto di lavoro o per altre circostanze di natura personale o familiare, individuate con il regolamento di cui al comma 3.
6. La copertura di cui al comma 5 si estende a un massimo di dodici rate mensili e, comunque, fino a un importo non superiore a 12.000 euro nell'ambito della durata complessiva del mutuo ed è concessa previa presentazione, da parte dei beneficiari, della documentazione attestante la sussistenza delle condizioni soggettive.
7. Le fattispecie che comportano la revoca, la cessazione o la sospensione delle agevolazioni concesse ai sensi del presente articolo sono individuate con il regolamento di cui al comma 3.
Art. 7.
(Soggetti beneficiari).
1. Possono accedere ai mutui di cui all'articolo 6 i soggetti in possesso dei seguenti requisiti:
a) giovani coppie sposate da meno di tre anni;
b) cittadinanza italiana o di un Paese membro dell'Unione europea;
c) età non inferiore a ventidue anni e non superiore a trentacinque anni di entrambi i coniugi;
d) non essere proprietari di altro immobile, nel territorio nazionale, il cui valore catastale supera 50.000 euro;
e) non fruire di medesime agevolazioni previste da leggi regionali o da provvedimenti di enti locali;
f) non aver dichiarato, per il periodo di imposta precedente a quello in corso alla data di concessione del beneficio, un valore dell'indicatore della situazione economica equivalente pari a 50.000 euro.
2. Il limite di reddito di cui al comma 1, lettera f), è annualmente verificato e adeguato alla variazione del costo della vita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, in base ai criteri utilizzati per l'adeguamento dell'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335.
3. Le agevolazioni concesse ai sensi del presente articolo cessano a decorrere dal 1o gennaio dell'anno successivo a quello nel quale il soggetto dichiara un reddito annuo lordo superiore a 40.000 euro o entra in possesso di un'altra proprietà immobiliare situata nel territorio nazionale il cui valore catastale supera 50.000 euro.
Art. 8.
(Assegno di base).
1. È concesso un contributo mensile, sotto forma di assegno di base, dell'importo di 150 euro ai nuclei familiari per ogni figlio di età inferiore a tre anni.
2. Il contributo di cui al comma 1 spetta a decorrere dal settimo mese di gravidanza fino al compimento del terzo anno di età del bambino, fatto salvo l'onere del richiedente di comprovare annualmente la permanenza dei requisiti per la concessione del contributo stesso.
3. Il contributo di cui al comma 1 è erogato dal comune di residenza del bambino.
Art. 9.
(Carta buono famiglia per l'accesso ai servizi per la prima infanzia).
1. È concessa una tessera elettronica prepagata denominata «carta buono famiglia» dell'importo annuo di 1.000 euro da utilizzare presso i servizi per la prima infanzia convenzionati individuati dal decreto di cui al comma 5, comprese le prestazioni di assistenza e di accudimento dei bambini erogate da soggetti allo scopo retribuiti.
2. La carta buono famiglia spetta ai nuclei familiari con almeno due figli di cui almeno uno di età inferiore a tre anni.
3. La carta buono famiglia è corrisposta con decorrenza dalla data della relativa richiesta del soggetto interessato fino al compimento del terzo anno di età del figlio.
4. Il contributo di cui al comma 1 è erogato dal comune di residenza del bambino.
5. Il Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto, individua le categorie merceologiche e le tipologie dei servizi oggetto della carta buono famiglia, le percentuali di agevolazione o di riduzione dei costi e delle tariffe, nonché le modalità e i requisiti per l'accesso alla convenzione.
Art. 10.
(Norme di attuazione).
1. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro sono individuati i criteri e le modalità per la concessione dei contributi di cui agli articoli 8 e 9.
Art. 11.
(Particolari forme di sostegno).
1. L'entità dei contributi previsti dagli articoli 8 e 9 è raddoppiata nell'ipotesi in cui il nucleo familiare richiedente comprenda uno o più minori fino a tre anni di età riconosciuti disabili gravi ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104.
Art. 12.
(Accelerazione delle procedure di affidamento preadottivo e di adozione).
1. Al fine di rimuovere gli ostacoli economici e sociali all'esercizio del diritto alla famiglia, il Ministro promuove interventi volti ad accelerare le procedure di affidamento preadottivo e di adozione.
2. Per il raggiungimento dell'obiettivo di cui al comma 1, alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 22:
1) al comma 3 sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «I richiedenti, durante le indagini di cui al comma 4, hanno il diritto di farsi assistere dalle associazioni per la promozione della famiglia riconosciute ai sensi della legislazione vigente in materia. In particolare, le coppie che hanno fatto richiesta di adozione possono chiedere e ottenere che soggetti in possesso di adeguata professionalità presenzino ai colloqui con gli assistenti sociali o con gli addetti delle aziende sanitarie locali cui sono stati delegati i compiti di indagine»;
2) al comma 4:
2.1) al primo periodo, le parole: «che devono essere tempestivamente avviate e concludersi entro centoventi giorni» sono sostituite dalle seguenti: «che devono essere avviate entro trenta giorni dal deposito della domanda di adozione presso il tribunale per i minorenni competente per territorio e concludersi entro i successivi novanta giorni»;
2.2) il secondo periodo è sostituito dal seguente: «Per gravi motivi e con provvedimento motivato il termine di conclusione delle indagini può essere prorogato una sola volta e per non più di novanta giorni»;
b) all'articolo 25:
1) al comma 1, le parole: «decorso un anno dall'affidamento» sono sostituite dalle seguenti: «entro i trenta giorni successivi alla data in cui è decorso un anno dall'inizio dell'affidamento»;
2) al comma 3, le parole: «un anno» sono sostituite dalle seguenti: «sei mesi»;
c) al comma 4 dell'articolo 26, le parole: «immediatamente trascritta» sono sostituite dalle seguenti: «trascritta entro tre giorni».
Art. 13.
(Quoziente familiare).
1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti la disciplina del regime del quoziente familiare, agli effetti dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, secondo i seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) in sede di dichiarazione dei redditi, i contribuenti coniugati e non legalmente separati possono optare per l'applicazione dell'imposta sul reddito delle persone fisiche con riferimento al reddito familiare;
b) in caso di opzione ai sensi della lettera a):
1) la base imponibile è costituita dalla somma dei redditi imponibili dei due coniugi e dei figli, facenti parte del nucleo familiare, di età inferiore a ventisei anni, ovvero anche di età superiore qualora siano affetti da minorazione avente connotazione di gravità ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, al netto degli oneri deducibili;
2) il quoziente familiare è determinato dividendo la base imponibile per il numero dei componenti del nucleo familiare indicati al numero 1);
3) l'imposta lorda è calcolata applicando al quoziente, determinato ai sensi del numero 2), le aliquote vigenti e moltiplicando l'importo così ottenuto per il numero dei componenti del nucleo familiare indicati al numero 1);
4) l'imposta netta è determinata operando sull'imposta lorda, fino alla concorrenza del suo ammontare, le detrazioni previste dagli articoli 12, 13, 15, 16 e 16-bis del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, come da ultimo modificato dalla presente legge, nonché da altre disposizioni di legge, ai sensi di quanto indicato dalla lettera c) del presente comma;
c) in caso di opzione ai sensi della lettera a):
1) le detrazioni previste dagli articoli 12, comma 1, lettere a) e b), 13 e 15, comma 1, lettera i-septies), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si applicano con riferimento all'importo del quoziente familiare, determinato ai sensi della lettera b), numero 2), del presente comma;
2) le detrazioni previste dall'articolo 12, comma 1, lettere c) e d), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si applicano, alle condizioni ivi stabilite, assumendo quale reddito complessivo, agli effetti del computo, l'importo del quoziente familiare, determinato ai sensi della lettera b), numero 2), del presente comma;
3) fatto salvo quanto stabilito dai numeri 1) e 4) della presente lettera, le detrazioni previste dall'articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, come da ultimo modificato dalla presente legge, si applicano nella misura spettante a ciascuno dei componenti del nucleo familiare indicati alla lettera b), numero 1), del presente comma, in relazione agli oneri da esso sostenuti;
4) le detrazioni previste dagli articoli 15, comma 1, lettera i), 16 e 16-bis del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si applicano con riferimento al reddito familiare, determinato ai sensi della lettera b), numero 1), del presente comma;
d) nelle ipotesi di tassazione separata previste dagli articoli 17 e seguenti del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per il calcolo dell'aliquota media si considerano anche i periodi di imposta per i quali è stata esercitata l'opzione ai sensi della lettera a) del presente comma.
2. Con i decreti legislativi adottati ai sensi del comma 1 si provvede altresì al coordinamento tra la disciplina del quoziente familiare e quella delle detrazioni per carichi di famiglia, prevista dall'articolo 12 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, attraverso la revisione del regime delle detrazioni per carichi di famiglia, con concentrazione dei benefìci in favore dei contribuenti con reddito familiare complessivo inferiore a 80.000 euro.
Art. 14.
(Detrazioni fiscali).
1. All'articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, in materia di detrazione per oneri, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, lettera c), dopo le parole: «le spese sanitarie, per la parte che eccede lire 250 mila» sono inserite le seguenti: «, calcolate per ciascun contribuente per ciascuna famiglia»;
b) dopo il comma 1-quater è inserito il seguente:
«1-quinquies. Dall'imposta lorda si detraggono le spese per la cura e l'assistenza della famiglia nella misura forfetaria di 1.000 euro l'anno per ciascun figlio di età minore di tre anni, per ciascun figlio adottivo nei primi tre anni dall'adozione, per ciascun minorenne affidato e per ciascun familiare convivente affetto da grave inabilità o non autosufficiente, e di 500 euro l'anno per ciascun figlio non rientrante nelle ipotesi precedenti. La detrazione è calcolata in favore di ciascuna famiglia e può essere fruita da qualunque dei familiari obbligati al pagamento delle imposte sui redditi o anche, congiuntamente, da più di uno».
Art. 15.
(Clausola di salvaguardia).
1. In ogni caso in cui si verifichi che l'applicazione di una disposizione tributaria o agevolativa rechi maggiore beneficio qualora applicata ai singoli componenti della famiglia anziché al nucleo familiare nel suo insieme, alla famiglia si applica di diritto la disposizione più favorevole.
Art. 16.
(Assistenza domiciliare dei familiari non autosufficienti).
1. In attuazione dei princìpi di sussidiarietà e di razionalizzazione della spesa pubblica, qualora un cittadino affetto da grave inabilità o non autosufficiente sia accudito da uno o più membri della famiglia nel cui contesto è stabilmente inserito, ai fini di sostenere la famiglia stessa e di assicurare risparmi per il Servizio sanitario nazionale, sono previsti i seguenti benefìci:
a) se il familiare che presta permanentemente assistenza ha un'età anagrafica pari o superiore a quarantacinque anni, o un'anzianità contributiva pari o superiore a venti anni anche maturata in più gestioni pensionistiche diverse, e rinuncia a esercitare il lavoro dipendente o autonomo o una libera professione, allo stesso è erogata una pensione calcolata proporzionalmente ai requisiti posseduti e comunque non inferiore a 450 euro mensili. Se lo stesso ha un'anzianità contributiva pari o inferiore a dieci anni, la pensione è pari a 300 euro mensili;
b) se i coniugi che assistono un familiare non autosufficiente hanno più di cinquanta anni ciascuno e la somma delle loro anzianità contributive è pari o superiore a trentacinque anni anche maturata in gestioni pensionistiche diverse e rinunciano entrambi a esercitare il lavoro dipendente o autonomo o una libera professione, su domanda congiunta, agli stessi è erogata una pensione pari a quella che spetterebbe a un cittadino con età anagrafica pari a quella ordinariamente prevista dalla normativa vigente per la pensione di vecchiaia e con un'anzianità contributiva pari a quella cumulata dei due coniugi e comunque non inferiore a 500 euro mensili.
2. L'accertamento delle condizioni sanitarie previste dal comma 1 è effettuato dalle regioni ai sensi della normativa vigente in materia. L'erogazione delle pensioni è a carico dell'ente previdenziale di competenza, il quale può rivalersi parzialmente sul Fondo di solidarietà di cui all'articolo 36, secondo i criteri fissati con il decreto emanato ai sensi del comma 4 del presente articolo.
3. Con cadenza almeno biennale l'ente erogatore verifica la permanenza dei requisiti per godere dei benefìci previsti dal comma 1.
4. Con decreto del Ministro, emanato di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Consulta nazionale di cui all'articolo 37, sono individuate le modalità di riconoscimento, di concessione e di erogazione della pensione di cui al comma 1 del presente articolo, nonché le modalità per la verifica della sussistenza dei requisiti prescritti e per la revoca della pensione e le modalità di coordinamento tra le diverse gestioni pensionistiche interessate. Con lo stesso decreto sono altresì fissati i criteri e le modalità della rivalsa esercitabile dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) sul Fondo di solidarietà di cui all'articolo 36.
Art. 17.
(Indennità per i minori di tre anni e per i familiari non autosufficienti a carico).
1. Senza pregiudizio degli eventuali ulteriori benefìci di legge, qualora una famiglia non possa avvalersi dei benefìci di cui all'articolo 16 e nella famiglia stessa sia presente un minore di tre anni, un minore affidato o un soggetto non auto-sufficiente e uno dei suoi componenti rinunci all'attività lavorativa dipendente, autonoma o professionale per il periodo durante il quale perdura la situazione anagrafica o di non autosufficienza, al componente medesimo è riconosciuta un'indennità pari a 400 euro mensili.
2. La sussistenza dei requisiti di cui al comma 1 del presente articolo è verificata dai servizi sociali territorialmente competenti. L'indennità è erogata dall'INPS, con parziale rivalsa sul Fondo di solidarietà di cui all'articolo 36.
3. Con decreto del Ministro, emanato di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Consulta nazionale di cui all'articolo 37, sono individuate le modalità di riconoscimento, di concessione e di erogazione dell'indennità di cui al comma 1 del presente articolo, nonché le modalità per la verifica della sussistenza dei requisiti prescritti e per la revoca dell'indennità.
Art. 18.
(Semplificazione dei rapporti tra le famiglie e la pubblica amministrazione).
1. Fatto salvo quanto previsto dal comma 2, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni e con i concessionari e i fornitori di servizi pubblici, le domande, le dichiarazioni e ogni altro atto agli stessi rivolto da una famiglia può essere sottoscritto indifferentemente e senza formalità, per conto della famiglia stessa o di suoi componenti, da uno dei due coniugi.
2. Per le pratiche caratterizzate dall'insostituibilità della persona dell'interessato, per quelle che comportano obbligazioni a carico dell'interessato e per quelle che comportano la comunicazione o la diffusione di dati sensibili dell'interessato si applica la normativa generale vigente sul mandato e sulla delega o quella sul carattere assolutamente personale della dichiarazione.
3. Qualora una famiglia includa un minore di tre anni o un familiare convivente non autosufficiente, le pubbliche amministrazioni e i concessionari e fornitori di pubblici servizi svolgono pratiche nell'interesse della famiglia presso il domicilio della stessa, su richiesta e ove le stesse non possano essere evase per via telefonica. Per le pratiche evase presso il domicilio della famiglia e che sarebbe stato possibile evadere per via telematica, gli enti procedenti possono richiedere alla famiglia il rimborso delle spese.
4. Con decreto del Ministro, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono individuate le pratiche e le procedure per le quali, ai sensi di quanto disposto al comma 2 o di insuperabili ragioni tecniche od organizzative, le semplificazioni di cui ai commi 1 e 3 non sono applicabili. Con il medesimo decreto sono altresì fissati i limiti massimi del rimborso delle spese previsto dal citato comma 3.
Art. 19.
(Divieto di utilizzare nei documenti ufficiali definizioni surrettizie dei termini madre e padre).
1. Ai fini di cui alla presente legge è fatto divieto di utilizzare in qualsiasi documento ufficiale definizioni surrettizie rispetto a quelle di madre e di padre per indicare i genitori.
2. I funzionari e i dipendenti pubblici che nell'esercizio delle loro funzioni contravvengono all'obbligo di cui al comma 1 sono punti con una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 10.000 euro.
Capo III
SERVIZI SOCIO-EDUCATIVI PER L'INFANZIA
Art. 20.
(Riordino del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per l'infanzia).
1. I servizi del sistema territoriale, destinati ai bambini di età compresa fra i tre e i trentasei mesi e alle loro famiglie, costituiscono funzioni essenziali dello Stato, delle regioni e degli enti locali. I servizi del sistema territoriale costituiscono, altresì, servizi di interesse pubblico a carattere universale, ferma restando l'effettiva disponibilità delle risorse finanziarie.
2. I servizi del sistema territoriale sono volti a favorire il benessere e la crescita psico-fisica dei bambini, a sostenere le famiglie nei loro compiti educativi e a realizzare condizioni di pari opportunità, promuovendo la conciliazione tra impegno professionale e cura familiare.
3. L'erogazione dei servizi del sistema territoriale è garantita in tutto il territorio nazionale, secondo criteri di efficacia e di equa distribuzione delle risorse finanziarie pubbliche.
4. Nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, nonché di libertà di scelta delle famiglie, i servizi del sistema territoriale sono forniti dalle pubbliche amministrazioni, dai datori di lavoro, dagli enti privati e del privato sociale, nonché dalle famiglie, singole o associate, nell'ambito della loro autonoma iniziativa e attraverso le loro formazioni sociali.
5. Al sistema territoriale concorrono gli asili nido, i servizi integrativi e i servizi sperimentali, organizzati in modo da garantire un'offerta, flessibile e differenziata, nonché idonea a rispondere in maniera adeguata alle esigenze dei bambini e delle loro famiglie, anche in considerazione delle condizioni socio-economiche e produttive del territorio.
6. Il sistema territoriale è regolato dai seguenti princìpi generali:
a) gratuità dei servizi e delle prestazioni;
b) requisito prioritario della residenza continuativa della famiglia nel territorio in cui sono richiesti i servizi e le prestazioni, la cui disciplina è demandata all'autonoma legislazione regionale;
c) partecipazione attiva della rete parentale alla definizione degli obiettivi educativi e delle scelte organizzative, nonché alla verifica della loro rispondenza ai bisogni quotidiani delle famiglie e della qualità dei servizi resi;
d) integrazione tra le diverse tipologie di servizi e collaborazione tra i soggetti di cui al comma 4;
e) continuità e interrelazione con la scuola dell'infanzia, nonché sinergia con il sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui alla legge 8 novembre 2000, n. 328;
f) inserimento dei bambini disabili, ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché dei bambini appartenenti a nuclei familiari monogenitoriali;
g) capillarizzazione dei servizi nel territorio, anche in relazione alla densità di popolazione del contesto di riferimento.
Art. 21.
(Servizi integrativi e asili nido nei luoghi di lavoro).
1. Le regioni e i comuni, in forma singola o associata, promuovono l'attivazione di servizi integrativi agli asili nido, diversificati per modalità strutturali, di accesso, di frequenza e di funzionamento, al fine di garantire ai bambini e alle loro famiglie una pluralità di risposte sul piano sociale ed educativo.
2. I servizi integrativi, fermo restando quanto previsto dalla legge 28 agosto 1997, n. 285, sono finalizzati a:
a) consentire la frequenza diversificata nell'arco dell'intera giornata, attraverso l'utilizzo di appositi spazi o delle stesse strutture degli asili nido;
b) agevolare la realizzazione di asili nido integrati presso le scuole dell'infanzia;
c) favorire forme di continuità educativa tra l'asilo nido e la scuola dell'infanzia, attraverso la realizzazione di appositi progetti educativo-formativi.
3. Le regioni e i comuni, in forma singola o associata, in ottemperanza a quanto stabilito dall'articolo 20, comma 2, favoriscono la realizzazione di servizi quali:
a) micro asili nido all'interno dei luoghi di lavoro, improntati a criteri di particolare flessibilità organizzativa, che tengano conto delle peculiarità strutturali dei luoghi stessi e delle esigenze dei genitori lavoratori;
b) asili nido all'interno dei luoghi di lavoro, o nelle loro immediate vicinanze, destinati alla cura e all'accoglienza dei figli dei lavoratori ed, eventualmente, dei residenti nel territorio limitrofo all'azienda;
c) asili nido familiari organizzati dalle famiglie, in forma singola o associata, presso il proprio domicilio o presso quello di educatori appositamente reclutati;
d) asili nido di caseggiato organizzati dalle famiglie, in forma singola o associata, e destinati all'accoglienza di bambini residenti in uno o più complessi abitativi limitrofi.
Art. 22.
(Servizi sperimentali).
1. Le regioni, in accordo con i soggetti pubblici, privati e del privato sociale, al fine di rispondere a specifiche esigenze presenti sul territorio, possono, nel rispetto dei princìpi della presente legge e del principio di sussidiarietà orizzontale, disciplinare e istituire servizi socio-educativi sperimentali per l'infanzia, aventi caratteristiche strutturali e organizzative diverse da quelle dei servizi di cui all'articolo 21.
Art. 23.
(Compartecipazione).
1. Ai fini del finanziamento dei servizi integrativi e degli asili nido di cui all'articolo 21, le regioni, con proprie disposizioni, possono disciplinare le modalità e i criteri di compartecipazione, da parte degli utenti, al costo degli interventi previsti. La quota di compartecipazione non può comunque superare la percentuale massima del 20 per cento del costo complessivo sostenuto per l'erogazione dei servizi.
Art. 24.
(Piano straordinario per i servizi socio-educativi per l'infanzia).
1. Fatte salve le competenze delle regioni, delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli enti locali, nelle more dell'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, il Ministro, di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, promuove, ai sensi dell'articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, un'intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, per stabilire, in conformità ai princìpi fondamentali contenuti nella legislazione statale e alle disposizioni di cui alla presente legge, i livelli essenziali delle prestazioni nonché i criteri e le modalità di attuazione, da parte delle regioni e delle province autonome, di un piano straordinario di intervento per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per l'infanzia, per il finanziamento del quale è stanziata una somma pari a 500 milioni di euro per il 2018.
2. Al fine di assicurare un'adeguata copertura territoriale dei servizi socio-educativi per l'infanzia e di attenuare gli squilibri esistenti tra le diverse aree del Paese, il piano straordinario di cui al comma 1 prevede, in particolare, la ristrutturazione degli immobili comunali in disuso al fine di concederne in convenzione l'uso a titolo gratuito agli operatori privati del settore che si impegnano a destinare tali immobili a servizi socio-educativi per l'infanzia con rette di importo pari alla media delle rette applicate dagli asili nido pubblici o privati presenti nel territorio di riferimento e ad assumere personale costituito da lavoratori socialmente utili.
Art. 25.
(Bonus baby-sitting).
1. È prevista la concessione di un assegno di cura e di custodia per sostenere le famiglie nelle spese necessarie all'assunzione di un'assistente materna riconosciuta o di un qualsiasi altro soggetto idoneo, qualora le famiglie non intendano o non possano usufruire dei servizi del sistema territoriale.
2. A decorrere dal 1o gennaio 2018, è istituita un'imposta di bollo sui trasferimenti di denaro all'estero effettuati dalle apposite agenzie. L'imposta è dovuta in misura pari al 3 per cento dell'importo trasferito con ogni singola operazione, con un minimo di prelievo pari a 5 euro. L'imposta non è dovuta per i trasferimenti effettuati da cittadini di Stati membri dell'Unione europea nonché per quelli effettuati verso gli Stati membri dell'Unione europea. Il gettito incassato dall'imposta è interamente utilizzato per le finalità di cui al comma 1.
3. Con decreto del Ministro, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le modalità di concessione dell'assegno di cui al comma 1 e di finanziamento di cui al comma 2.
Capo IV
ASSOCIAZIONISMO FAMILIARE E CONSULTA NAZIONALE PER LA FAMIGLIA
Art. 26.
(Associazioni per la promozione della famiglia).
1. Le associazioni per la promozione della famiglia sono rappresentative di interessi familiari e titolari di situazioni e posizioni giuridiche soggettive giuridicamente rilevanti.
2. Alle associazioni per la promozione della famiglia, in attuazione del principio di sussidiarietà, possono essere delegate dallo Stato e dagli enti territoriali funzioni pubbliche, in particolare nel campo educativo e dell'erogazione dei servizi alle famiglie.
3. Le associazioni per la promozione della famiglia sono organizzazioni senza fine di lucro che hanno, tra l'altro, come scopi statutari quelli di:
a) promuovere iniziative volte alla conservazione, alla valorizzazione e alla tutela della famiglia;
b) proporre petizioni e avanzare proposte al fine di sollecitare l'applicazione delle norme a tutela della famiglia e promuovere l'adeguamento delle medesime ai princìpi fondamentali della Costituzione e delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia;
c) sostenere e favorire la partecipazione della famiglia alle iniziative di tutela e di valorizzazione della medesima;
d) intervenire in giudizio anche al fine di rimuovere le situazioni pregiudizievoli alla comunità familiare o che comunque procurano alla stessa disagi anche morali.
4. Alle associazioni per la promozione della famiglia possono essere iscritti le famiglie, i genitori di figli minori di età o affetti da grave inabilità o non autosufficienti, anche se maggiorenni, nonché le persone cui sono affidati minori di età o affetti da gravi inabilità o non autosufficienti, anche se maggiorenni.
5. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia è istituito l'elenco delle associazioni per la promozione della famiglia rappresentative a livello nazionale. Il medesimo Dipartimento provvede alla tenuta e all'aggiornamento dell'elenco.
6. L'iscrizione nell'elenco di cui al comma 5 è subordinata al possesso dei requisiti individuati con decreto del Ministro, tra i quali sono comprese l'avvenuta costituzione per atto pubblico o scrittura privata, l'adozione di uno statuto a base democratica, la rappresentatività nel territorio, la rilevanza e la continuità dell'attività esterna.
7. Il Ministro promuove l'istituzione, presso la Commissione europea, di un elenco in cui possono essere iscritti gli enti legittimati a proporre le azioni per la tutela della famiglia ai sensi del presente capo.
Art. 27.
(Tutela della famiglia).
1. Le associazioni di cui all'articolo 26, comma 5, sono legittimate a intervenire e ad agire in giudizio per la tutela dell'interesse familiare:
a) dinanzi al giudice ordinario, con le modalità di cui all'articolo 28;
b) dinanzi al giudice amministrativo per l'annullamento di atti illegittimi;
c) dinanzi al giudice penale, ai sensi dell'articolo 91 del codice di procedura penale, anche con riferimento ai delitti di cui al libro secondo, titoli XI e XII, del codice penale.
Art. 28.
(Azione familiare).
1. Le associazioni di cui all'articolo 26, comma 5, sono legittimate a richiedere, al tribunale del luogo ove ha la residenza o la sede il convenuto, la condanna al risarcimento del danno, all'indennità, alla restituzione di somme o all'esecuzione della prestazione, in conseguenza di atti plurioffensivi dell'interesse familiare, definiti ai sensi del comma 2 del presente articolo.
2. È plurioffensivo dell'interesse familiare l'atto o il fatto illecito, l'omissione, l'inadempimento contrattuale o extracontrattuale lesivo dell'interesse familiare di una pluralità di soggetti
3. L'azione di cui al comma 1 produce gli effetti interruttivi della prescrizione, ai sensi dell'articolo 2945 del codice civile, anche con riferimento ai diritti di tutte le famiglie interessate dal medesimo atto.
4. Con la sentenza di condanna il giudice, quando le risultanze del processo lo consentono, stabilisce anche l'importo minimo da liquidare alle singole famiglie ovvero determina i criteri in base ai quali deve essere fissata la misura dell'importo da liquidare in favore delle singole famiglie nonché i modi e i termini di erogazione dell'importo stesso o la prestazione da svolgere nonché i modi e i termini della sua esecuzione.
5. In relazione alle controversie di cui al comma 1, dinanzi al giudice può altresì essere sottoscritto dalle parti un accordo transattivo nella forma della conciliazione giudiziale, nel quale sono indicati i criteri stabiliti ai sensi del comma 4.
6. A seguito della pubblicazione della sentenza di condanna di cui al comma 4 del presente articolo, le parti possono promuovere la mediazione presso uno degli organismi previsti dall'articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del capo II e dell'articolo 17 del citato decreto legislativo n. 28 del 2010.
7. In caso di inutile esperimento della mediazione di cui al comma 6, la singola famiglia può agire giudizialmente, in contraddittorio, al fine di chiedere l'accertamento, in capo a se stessa, dei requisiti individuati dalla sentenza di condanna di cui al comma 4 e la determinazione esatta dell'ammontare del risarcimento dei danni o dell'indennità, riconosciuti ai sensi della medesima sentenza. La pronuncia costituisce titolo esecutivo nei confronti del comune contraddittore. Le associazioni di cui all'articolo 26, comma 5, non sono legittimate a intervenire nei giudizi previsti dal presente comma.
8. A seguito della sentenza di condanna di cui al comma 4, nell'ipotesi in cui il giudice non stabilisca l'importo minimo da liquidare alle singole famiglie ovvero non determini i criteri in base ai quali definire i modi, i termini e l'importo per soddisfare le singole famiglie, ciascuna famiglia può agire giudizialmente, in contraddittorio, al fine di chiedere l'accertamento, in capo a se stessa, dei requisiti individuati dalla citata sentenza di condanna e la determinazione dell'ammontare del risarcimento dei danni o dell'indennità, riconosciuti ai sensi della medesima sentenza. La pronuncia costituisce titolo esecutivo nei confronti del comune contraddittore. Le associazioni di cui all'articolo 26, comma 5, non sono legittimate a intervenire nei giudizi previsti dal presente comma.
9. La sentenza di condanna emessa ai sensi del comma 4 del presente articolo in favore di un'associazione di cui all'articolo 26, comma 5, costituisce, ai sensi dell'articolo 634 del codice di procedura civile, prova scritta, per quanto in essa contenuto, per la pronuncia da parte del giudice competente di ingiunzione di pagamento, ai sensi degli articoli 633 e seguenti del medesimo codice di procedura civile, richiesta dalla singola famiglia.
10. Tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi ai procedimenti nascenti dalle azioni di cui al presente articolo sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.
11. In attuazione di quanto disposto dal comma 10, il Governo provvede, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ad apportare le necessarie modifiche all'articolo 10 (L), comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, al fine di comprendere, tra gli atti esenti dal contributo unificato ivi stabilito, i procedimenti previsti dal presente articolo.
12. La parcella dei patrocinatori per la rappresentanza e la difesa nell'azione familiare di cui al presente articolo è calcolata in base percentuale sui risarcimenti o sulle indennità ottenuti nella misura minima del 2,5 per cento e massima del 10 per cento in relazione alla complessità della controversia, al risultato raggiunto e all'attività svolta.
Capo V
RIFORMA DEI CONSULTORI FAMILIARI
Art. 29.
(Compiti dei consultori familiari).
1. Il presente capo detta i princìpi che regolano l'attività dei consultori familiari, in attuazione degli articoli 29, 30, 31, 32 e 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
2. I consultori familiari hanno i seguenti compiti:
a) fornire assistenza psicologica e sociale alle famiglie e alle donne, con particolare riferimento al sostegno delle responsabilità genitoriali e al rispetto della vita umana;
b) garantire la protezione dei minori e del loro sviluppo psico-fisico;
c) assicurare la tutela della vita umana fin dal suo concepimento;
d) fornire l'informazione medica per la prevenzione e per il trattamento delle malattie sessualmente trasmissibili, delle patologie e delle situazioni di disagio che incidono sulla vita sessuale e di relazione, nonché l'informazione sui metodi contraccettivi;
e) fornire l'informazione relativa alla diagnosi e alla cura dell'infertilità e della sterilità, nonché alle norme sulla procreazione assistita di cui alla legge 19 febbraio 2004, n. 40;
f) prevedere interventi sanitari per la tutela della salute della donna in gravidanza e del nascituro;
g) predisporre misure di prevenzione e interventi di tutela in caso di violenze, maltrattamenti e abusi sessuali;
h) assicurare interventi di mediazione familiare in caso di conflittualità in presenza di figli minori o disabili anche di maggiore età;
i) assistere le famiglie in presenza di soggetti disabili o con patologie gravi.
Art. 30.
(Tutela della maternità e del concepito).
1. Nell'ambito delle prestazioni socio-sanitarie relative all'area materno-infantile previste dalla tabella allegata all'atto di indirizzo e coordinamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 febbraio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2001, i consultori familiari assistono le donne in stato di gravidanza e si adoperano, in conformità alla legge 22 maggio 1978, n. 194, affinché le donne siano messe nelle condizioni di scegliere coscientemente e liberamente se portare a termine la gravidanza.
2. In attuazione di quanto previsto dal comma 1, i consultori familiari svolgono i seguenti compiti:
a) forniscono ogni informazione necessaria sul concepimento, sulle fasi di sviluppo dell'embrione e sulle tecniche attuate in caso di interruzione volontaria della gravidanza, avvalendosi di personale medico e ostetrico anche obiettore di coscienza;
b) informano sui diritti spettanti alle donne in gravidanza ai sensi della legislazione statale e regionale vigente in materia, nonché sui servizi sociali, sanitari e assistenziali offerti nel comune di residenza e nel territorio della provincia, anche in collaborazione con le associazioni del privato sociale;
c) informano sulla legislazione del lavoro vigente a tutela della maternità;
d) predispongono, in collaborazione con gli enti locali, interventi individualizzati per le donne che scelgono di proseguire la gravidanza;
e) offrono assistenza psicologica alle donne durante la pausa di riflessione prevista dall'articolo 5, quarto comma, della legge 22 maggio 1978, n. 194;
f) si avvalgono, attraverso appositi regolamenti e convenzioni, della collaborazione delle associazioni operanti a difesa della vita;
g) informano sulla normativa vigente in materia di non riconoscimento del nascituro ai fini dell'eventuale adozione.
Art. 31.
(Princìpi).
1. Le regioni fissano i criteri per la programmazione, il funzionamento, la gestione e il controllo del servizio prestato dai consultori familiari in attuazione dei compiti previsti dagli articoli 29 e 30 in conformità ai seguenti princìpi:
a) i consultori familiari sono istituiti da parte dei comuni, in forma singola o associata, o da parte di consorzi di comuni quali organismi operativi delle aziende sanitarie locali;
b) i consultori familiari operano nel territorio nazionale in base al principio della rispondenza alle esigenze territoriali;
c) i consultori familiari possono essere istituiti anche da istituzioni o da enti pubblici o privati che hanno finalità sociali, sanitarie e assistenziali senza scopo di lucro quali presìdi di gestione diretta o convenzionata delle aziende sanitarie locali;
d) ai fini dell'assistenza ambulatoriale e domiciliare, i consultori familiari si avvalgono del personale delle aziende sanitarie locali.
Art. 32.
(Compiti delle regioni).
1. Le regioni assicurano la vigilanza e il rispetto dei princìpi stabiliti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194, attraverso l'attività dei consultori familiari stabilita ai sensi del presente capo.
Art. 33.
(Personale).
1. La dotazione organica dei consultori familiari assicura la collaborazione delle seguenti figure professionali:
a) medici, di cui almeno uno obiettore di coscienza;
b) psicologi;
c) assistenti sociali;
d) educatori professionali;
e) infermieri.
2. Gli operatori di cui al comma 2 sono tenuti a esercitare la propria attività con il metodo del lavoro di équipe interdisciplinare.
Art. 34.
(Ripartizione delle risorse).
1. Ai fini della copertura dei maggiori oneri derivanti dall'attuazione del presente capo, entro il 31 dicembre di ogni anno, il Ministro della salute con proprio decreto, adottato di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e dell'economia e delle finanze e d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti, provvede alla ripartizione tra le regioni delle risorse del Fondo di cui all'articolo 36 sulla base dei seguenti criteri:
a) il 15 per cento in proporzione alla popolazione residente in ciascuna regione;
b) il 5 per cento in proporzione ai tassi di natalità e di mortalità infantili quali risultano dai dati ufficiali dell'Istituto nazionale di statistica relativi al penultimo anno precedente a quello della ripartizione dei finanziamenti.
Art. 35.
(Abrogazioni).
1. La legge 29 luglio 1975, n. 405, è abrogata.
2. L'articolo 2 della legge 22 maggio 1978, n. 194, è abrogato.
Capo VI
DISPOSIZIONI FINALI
Art. 36.
(Fondo di solidarietà per la famiglia).
1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia è istituito il Fondo di solidarietà per la famiglia, con una dotazione di 800 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020. A decorrere dall'anno 2020, confluiscono nel Fondo le eventuali somme ottenute a titolo di ristoro dei danni e di indennità ai sensi della presente legge, detratte le spese documentate.
Art. 37.
(Consulta nazionale per la famiglia).
1. Presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche della famiglia è istituita la Consulta nazionale per la famiglia, di seguito denominata «Consulta nazionale», composta dai rappresentanti delle associazioni per la promozione della famiglia, rappresentative a livello nazionale, di cui all'articolo 26.
2. La Consulta nazionale ha funzioni di studio e di ricerca, nonché di impulso e di consulenza nei confronti delle amministrazioni statali, con le quali collabora e alle quali segnala le misure idonee ad assicurare il perseguimento delle finalità concernenti lo sviluppo e la tutela della famiglia.
3. La Consulta nazionale, in particolare:
a) svolge funzioni di natura conoscitiva per accertare le modalità con le quali le amministrazioni statali hanno dato attuazione alle vigenti disposizioni legislative e regolamentari concernenti la condizione economica e sociale delle famiglie;
b) elabora analisi e studi, anche in collaborazione con enti e istituzioni culturali e di ricerca, procedendo altresì alla valutazione delle esperienze maturate all'estero, e specificamente nell'ambito degli Stati membri dell'Unione europea, sull'adeguatezza e sulla congruità della legislazione di cui alla lettera a), nonché delle misure attuate per fronteggiare situazioni di emergenza legate al disagio familiare;
c) attua il monitoraggio delle attività connesse al rispetto delle disposizioni della presente legge nonché delle altre disposizioni vigenti aventi riflessi sul benessere delle famiglie;
d) collabora con il Ministro, con il Ministro della giustizia, con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per l'elaborazione di strategie di contrasto del disagio giovanile nelle scuole di ogni ordine e grado e nella società nonché di tutela dei minori;
e) promuove intese, accordi e convenzioni con soggetti pubblici e privati diretti ad assicurare lo sviluppo delle politiche familiari;
f) propone alle amministrazioni statali e agli altri enti pubblici competenti l'adozione delle iniziative, di carattere normativo o amministrativo, che ritiene necessarie per la concreta realizzazione dei diritti della famiglia e del benessere familiare;
g) sollecita le amministrazioni statali ad attuare le misure previste dalle leggi o dai regolamenti vigenti nelle materie di interesse per le famiglie;
h) promuove intese con le regioni e con le associazioni del privato sociale dirette a garantire ai pazienti ricoverati presso presìdi ospedalieri pubblici o privati il benessere psico-affettivo e la continuità del rapporto con i loro familiari;
i) promuove intese con le regioni, con gli enti locali, con le istituzioni scolastiche e con le associazioni del privato sociale dirette ad assicurare forme di sostegno alle famiglie nelle quali sono presenti persone affette da gravi inabilità o non autosufficienti, finalizzate ad agevolare la loro permanenza nell'ambito familiare e a migliorare la qualità della loro vita;
l) promuove intese con le regioni, gli enti locali e con le associazioni del privato sociale dirette ad assicurare forme di sostegno alle famiglie nelle quali sono presenti anziani, finalizzate ad agevolare la loro permanenza nell'ambito familiare e il loro impiego in iniziative di carattere sociale per il miglioramento della qualità della loro vita;
m) esprime pareri al Ministro della salute in sede di definizione e di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni in essi contenute concernenti le attività dei consultori familiari di cui alla legge 29 luglio 1975, n. 405;
n) esprime pareri al Ministro e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali in sede di definizione e di aggiornamento dei livelli essenziali delle prestazioni sociali di cui all'articolo 22 della legge 8 novembre 2000, n. 328;
o) esprime pareri al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in sede di definizione delle convenzioni nazionali previste dall'articolo 4, comma 1, della legge 9 dicembre 1998, n. 431;
p) esprime pareri in sede di definizione dei parametri per la determinazione delle tariffe per l'acqua, l'energia elettrica, il gas e lo smaltimento dei rifiuti.
4. La Consulta nazionale presenta annualmente alle Camere una relazione sull'attività svolta, proponendo le riforme legislative opportune per l'incremento del benessere della famiglia, per la valorizzazione del ruolo e dei compiti delle associazioni per la promozione della famiglia, per l'ulteriore attuazione della sussidiarietà orizzontale e per l'eliminazione delle situazioni di criticità e di disagio rilevate dall'Osservatorio di cui all'articolo 38.
5. Per l'esercizio delle sue funzioni la Consulta nazionale accede:
a) ai documenti delle amministrazioni statali;
b) alle banche dati delle amministrazioni statali, anche concordando con queste idonee forme di collegamento telematico.
Art. 38.
(Osservatorio).
1. Al fine di rimuovere ogni ostacolo all'esercizio dei diritti individuali anche all'interno delle formazioni sociali in cui il singolo realizza e sviluppa la propria personalità, è istituito presso la Consulta nazionale, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro, un Osservatorio con il compito di effettuare un monitoraggio volto a individuare gli ambiti di possibile intervento.
Art. 39.
(Copertura finanziaria).
1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2018-2020, nell'ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze l'anno 2018, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.