PROGETTO DI LEGGE
Articolo 1
Articolo 2
Articolo 3
Articolo 4
Articolo 5
Articolo 6
Articolo 7
Articolo 8
Articolo 9
Articolo 10
Articolo 11
XVIII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 2814
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
VIANELLO, DAVIDE CRIPPA, ILARIA FONTANA, SUT, DEIANA, DAGA, D'IPPOLITO, DI LAURO, FEDERICO, LICATINI, ALBERTO MANCA, MARAIA, TERZONI, VARRICA, VIGNAROLI, ZOLEZZI, ALEMANNO, BERARDINI, CARABETTA, CHIAZZESE, GIARRIZZO, MASI, PAPIRO, PAXIA, PERCONTI, SCANU, FLATI, TESTAMENTO, PALMISANO, CORDA, DEL SESTO, DE LORENZIS, SARLI, MELICCHIO, GRIPPA, NAPPI, ZANICHELLI, CILLIS, VILLANI, RUGGIERO
Modifiche all'articolo 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e altre disposizioni in materia di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, di deposito sotterraneo di gas naturale, di valutazione dell'impatto sanitario dei progetti e di divieto di utilizzazione delle tecniche esplosive
Presentata il 3 dicembre 2020
Onorevoli Colleghi! – La presente proposta di legge si colloca nell'ambito di politiche energetiche ecologiche, omeostatiche verso l'ambiente e sostenitrici di una tutela dinamica dell'ambiente, tesa a promuovere metodi sempre più sostenibili di produzione e di risparmio energetico.
In Italia, invero, così come nei principali Stati dell'Unione europea, i consumi energetici sono in calo, tanto da collocarla nella quarta posizione per consumi lordi di energia (preceduta dalla Germania, dalla Francia e dal Regno Unito). Tuttavia, sono ormai diversi anni che nel settore non si raggiungono più picchi di valori. Infatti il petrolio, dal 2016, non rappresenta più la prima fonte di energia primaria per l'Italia: con 58 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep), la sua quota è rimasta al 34,4 per cento del totale, mentre il gas è arrivato al 34,6% per cento. L'uso di quest'ultima fonte, dopo avere raggiunto il livello massimo di 71 Mtep nel 2005, si è drasticamente ridotto fino al 2014, quando ha toccato i 51 Mtep, riprendendo poi a crescere nel corso degli ultimi due anni, fino ai 58 Mtep del 2016.
È ragionevole ritenere che entro il 2050 l'Italia non avrà più bisogno di idrocarburi per coprire il proprio fabbisogno di energia. Lo sfruttamento di giacimenti carboniferi e petroliferi nel territorio italiano (compresi i giacimenti marittimi) non appare necessario, vista anche la scarsa incidenza che le risorse sfruttabili hanno sulla domanda complessiva presente e futura.
In questa prospettiva, si ritiene tanto più necessario tutelare le aree territoriali più fragili del nostro Paese, come quelle caratterizzate da produzioni agricole di pregio, quelle di interesse naturalistico, quelle fortemente antropizzate e quelle soggette ad alto rischio sismico, tenendo conto non solo dei diversi interessi economici esistenti, ma del benessere ambientale e naturalistico.
Assai numerose, invero, sono le aree interessate dall'insediamento di nuovi impianti di trivellazione o di nuove grandi opere inutili, dispendiose e di elevato impatto e – cosa ancor più grave – il rilascio dei relativi permessi e concessioni è avvenuto senza una previa pianificazione.
Dati pubblicati dall'associazione Legambiente indicano che in Italia sono 136 le piattaforme marine per l'estrazione di petrolio e gas, installate in base a 53 concessioni di coltivazione o permessi di ricerca: 96 di queste strutture sono situate entro 12 miglia dalla costa, mentre 43 si trovano oltre il limite delle acque territoriali. Delle 136 piattaforme in questione, 9 sono definite non produttive, 8 sono di supporto alla produzione di altre piattaforme e ben 119 risultano invece produttive. In tutto sono 710 i pozzi definiti produttivi su un totale di 730 installati. Il tratto di costa più interessato è quello che va dall'alto Adriatico fino alle coste dell'Emilia-Romagna, con 75 piattaforme, seguito dal medio Adriatico con 46; 9 piattaforme sono nel canale di Sicilia e 6 nel mare Ionio. Il 90 per cento delle piattaforme è adibito all'estrazione di gas mentre soltanto 13 estraggono petrolio. Il loro contributo, per quantità di gas e petrolio estratti, secondo i dati del 2016, è pari al 6 per cento del fabbisogno nazionale di gas e all'1,2 per cento di quello di petrolio. Dal punto di vista delle aliquote di prodotto dovute a titolo di canone, il regime della produzione di gas in Italia è sicuramente favorevole alle compagnie petrolifere: basti pensare che il 75 per cento delle concessioni per l'estrazione di gas in mare (37 su 49) nel 2016 ha prodotto una quantità inferiore alla soglia di 80 milioni di metri cubi standard (smc); di queste 36 concessioni, 29 sono assegnate all'ENI (di cui una con la società Edison), 7 all'ENI Mediterranea Idrocarburi e 2 alla società Edison. In totale, quindi, circa il 21 per cento della produzione di gas estratto dal fondo marino non concorre al calcolo del gettito delle aliquote di prodotto, che vengono corrisposte soltanto da 12 concessioni di coltivazione.
A fronte di tali dati, si impone l'improcrastinabile urgenza di estendere il divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi che troppo spesso – a causa di scelte politiche irresponsabili – è stato modificato in peius e derogato mediante riforme normative inaccettabili. Si pensi alle deroghe introdotte nel 2006 dal III Governo Berlusconi e anche alle disposizioni introdotte in materia dal decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 (cosiddetto decreto sblocca Italia), adottato dal Governo Renzi, capaci di mettere in pericolo il mare Mediterraneo, bacino tutelato dalla Convenzione sulla salvaguardia del mar Mediterraneo dall'inquinamento, adottata a Barcellona il 16 febbraio 1976, e dai suoi successivi aggiornamenti, nel quale si concentra più del 25 per cento del traffico petrolifero marittimo mondiale, provocando un inquinamento da idrocarburi inestimabile.
Sono tristemente noti i numerosi sinistri marittimi che hanno causato il disastroso riversamento di ingenti quantità di idrocarburi nel mare, compromettendo gravemente anche l'ambiente terrestre costiero. Secondo alcune stime, le perdite di idrocarburi in mare si stimano in media in 4 milioni di tonnellate all'anno in tutto il pianeta e in 600.000 tonnellate nel solo Mediterraneo.
A seguito del disastro ambientale avvenuto nel 2010 – il più grave della storia americana – che interessò la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon producendo un consistente sversamento di petrolio nelle acque del golfo del Messico, che terminò 106 giorni più tardi, il Governo italiano, con l'emanazione del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128, introdusse il divieto di ricerca, prospezione o coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi all'interno di aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale e nelle zone marine poste entro 12 miglia dalle suddette aree protette; il medesimo divieto, per i soli idrocarburi liquidi, fu previsto entro 5 miglia dalle linee di base delle acque territoriali lungo l'intero perimetro costiero nazionale.
Tuttavia, nel 2011, il IV Governo Berlusconi introdusse la previsione in base alla quale per il solo golfo di Taranto il divieto relativo agli idrocarburi liquidi era stabilito entro 5 miglia dalla linea di costa. Nel 2012, il Governo Monti impose il divieto nelle zone di mare poste entro 12 miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette.
La legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), è intervenuta sul divieto di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in alcune zone di mare sopprimendo una serie di deroghe al divieto (contenute nel comma 17 dell'articolo 6 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), ma ha confermato la parte della disposizione che fa salvi i titoli abilitativi già rilasciati, specificando però che essi operano per la durata della vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale.
Tuttavia, i consumi di petrolio in Italia nel 2014 sono stati di circa 57,3 Mtep. In particolare, l'incidenza della produzione delle piattaforme marine (specialmente di quelle situate entro 12 miglia dalla costa) è stata inferiore all'1 per cento rispetto al fabbisogno nazionale (0,95 per cento).
Per il gas, i consumi nel 2014 sono stati di 50,7 Mtep, corrispondenti a 62 miliardi di smc; l'incidenza della produzione di gas dalle piattaforme situate entro 12 miglia dalla costa è stata del 3 per cento del fabbisogno nazionale.
L'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse del Ministero dello sviluppo economico, insieme con l'Associazione mineraria italiana per l'industria mineraria e petrolifera (Assomineraria), ha stimato riserve certe sotto i fondali marini italiani che sarebbero sufficienti (nel caso dovessimo contare solo su di esse) a soddisfare il fabbisogno di petrolio per sole 7 settimane e quello di gas per appena 6 mesi.
Pertanto, alla luce dell'evidenza di questi dati, in un'opportuna quanto necessaria analisi di costi e benefìci, la presente proposta di legge, all'articolo 1, prevede che il termine a decorrere dal quale non saranno più presentabili nuove istanze corrisponda alla data di adozione del Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI), introdotto dall'articolo 11-ter del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12 (cosiddetto «decreto semplificazioni»), ovvero, se non adottato, alla scadenza del periodo di sospensione previsto dal medesimo articolo 11-ter.
L'articolo 2 modifica l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (cosiddetto codice dell'ambiente), disponendo che il divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in mare si applichi nelle zone di mare poste entro 12 miglia dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette nonché, lungo l'intero perimetro costiero nazionale, nello spazio che va dalla costa al limite di 12 miglia dalle linee di base, ossia nell'intera estensione del mare territoriale.
Ne deriva l'estensione del divieto di prospezione, ricerca e coltivazione, non più limitato (come prevede, invece, la normativa vigente) alle sole aree protette per scopi di tutela ambientale ed entro dodici miglia marine dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette e dalle linee di costa.
Ove non opera il predetto divieto, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sono sottoposte alle procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e valutazione ambientale strategica (VAS), d'intesa con la regione interessata, che acquisisce il parere degli enti locali. Si prevede inoltre che i titoli abilitativi già rilasciati siano fatti salvi non oltre il termine di efficacia della VIA, decorso il quale il procedimento di VIA deve essere reiterato.
Questi divieti, con le misure di garanzia e tutela contenute nei successivi articoli, mirano a proteggere gli ecosistemi marini dall'impatto potenzialmente devastante che, a fronte di un incidente rilevante nelle attività di coltivazione dei giacimenti di idrocarburi, potrebbe riversarsi su di essi, con effetti permanenti di tossicità, nonché sull'economia turistica e della pesca e sulla qualità della vita della popolazione insediata nelle aree costiere.
Ma i rischi delle attività legate agli idrocarburi potrebbero manifestarsi ben prima dell'estrazione degli stessi, vale a dire già nella fase di prospezione e di ricerca in ragione delle indagini geofisiche condotte con una tecnica di ispezione, finalizzata all'analisi della composizione del sottosuolo marino, consistente in spari di aria compressa ad alta intensità sonora, esplosi a una determinata distanza l'uno dall'altro. Tale tecnica genera onde riflesse da cui è possibile estrarre dati sulla composizione dei fondali marini.
L'articolo 3 introduce pertanto il divieto di utilizzo della tecnica dell'aria compressa (air gun) e delle altre tecniche esplosive per le attività di ricerca e di ispezione dei fondali marini finalizzate alla prospezione, ricerca e alla coltivazione di idrocarburi, prevedendo idonee sanzioni in caso di violazione.
La Conferenza delle Parti della Convenzione sulla biodiversità, fatta a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992, ha posto particolare attenzione al tema del rumore sottomarino nella decisione COP X.29, relativa alla biodiversità marina e costiera, in particolare al paragrafo 12 relativo al rumore subacqueo antropico, e nella decisione COP XIII.10, concernente gli impatti del rumore sottomarino di origine antropica sulla biodiversità marina e costiera (paragrafi 1 e 2 relativi al rumore subacqueo antropico).
L'Organizzazione marittima internazionale, nel 2008, ha istituito nel suo Comitato per la protezione dell'ambiente marino uno specifico obiettivo indirizzato alla riduzione del rumore associato alla navigazione commerciale nell'ambiente marino e, nel 2014, ha adottato la circolare MEPC.1/Circ.833 recante «Linee guida per la riduzione del rumore subacqueo prodotto dal trasporto commerciale, per contrastare gli effetti avversi sulla vita marina».
Lo studio sui possibili effetti nocivi del rumore di origine antropica sulla fisiologia e sul comportamento della fauna marina è oggetto, da diversi decenni, di studi e ricerche. Anche il Rapporto tecnico dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, del dicembre 2017, riconosce la potenziale nocività della tecnica dell'air gun. Tale tecnica produce dunque effetti sulla fauna marina che non sono stati del tutto accertati e verificati dalla comunità scientifica. Da più parti sono stati, però, rilevati alcuni dei potenziali effetti dannosi che le emissioni acustiche dell'air gun producono sulla fauna marina, con particolare riferimento a pesci e invertebrati marini: cambiamenti nel comportamento, indebolimento del sistema immunitario, allontanamento dall'habitat, perdita dell'udito, morte o danneggiamento delle larve e degli avannotti, con potenziali danni alla biodiversità. Inoltre, in conseguenza dell'affaticamento causato dal rumore, possono manifestarsi alterazioni e disturbi in alcuni aspetti della loro vita, quali i processi riproduttivi, la crescita e il tasso di sopravvivenza alla predazione.
Si considerino anche gli effetti sulla pesca commerciale che, in conseguenza di prospezioni sismiche, si manifestano in una diminuzione dei tassi di cattura da parte degli operatori della pesca per risposte comportamentali di allarme, allontanamento, migrazione e perdita di equilibrio.
Uno studio del World Wide Fund for Nature (WWF) ha anche dimostrato una diminuzione della disponibilità di uova di pesce probabilmente causata dalla prolungata esposizione delle specie ittiche a suoni a bassa frequenza. Alcuni studi condotti dal Canadian Department of Fisheries hanno dimostrato inoltre che l'esposizione ad attività condotte con la tecnica dell'air gun può provocare danni a lungo termine anche in invertebrati marini. È noto infine come l'esposizione al rumore possa produrre un'ampia gamma di effetti sui mammiferi marini, in particolare sui cetacei.
È sempre più diffusa, quindi, la preoccupazione per l'impatto che un esteso impiego di tale metodologia di ricerca mineraria potrebbe avere sul mare Adriatico, sullo Ionio e in prossimità delle coste della Sicilia, anche in relazione alle specifiche caratteristiche del nostro ambiente marino.
Si valutino in particolare gli effetti che potrebbero recare danno alle colonie di delfini e di capodogli che vivono nel Golfo di Taranto.
Occorre infatti ricordare che le ricerche dell'organizzazione Jonian Dolphin Conservation hanno rivelato che le caratteristiche batimetriche (presenza di ripide scarpate continentali) e oceanografiche (correnti superficiali e profonde capaci di favorirne la produttività primaria locale) del bacino settentrionale del Golfo di Taranto consentono la presenza, in ambienti prossimi alla costa, di molte specie di cetacei normalmente rinvenute in mare aperto a grande distanza dalla costa; si tratta, pertanto, di un habitat fondamentale per la vita di numerose specie di cetacei.
Da ciò che è stato esposto appare evidente che i rischi derivanti dagli effetti negativi delle prospezioni effettuate per mezzo di tecniche esplosive sarebbero inestimabili in un ambiente marino quale è quello ionico, di elevatissima importanza naturalistica per l'intero Mediterraneo.
Nel rispetto del principio di precauzione, vi è l'esigenza di intervenire per la salvaguardia dell'ecosistema in funzione preventiva, come, tra l'altro, già affermato dalla giurisprudenza amministrativa che, in alcuni casi, ha rilevato l'incompatibilità tra il programma di ricerca degli idrocarburi in mare mediante l'utilizzo della tecnica dell'air gun e il principio di precauzione.
Da tale principio deriva, infatti, l'esigenza di un'azione ambientale tesa alla salvaguardia dell'ecosistema in funzione preventiva anche quando non sussistono evidenze scientifiche conclamate che dimostrino la riconducibilità di un effetto devastante per l'ambiente ad una specifica attività dell'uomo.
Nella medesima direzione limitatrice e di garanzia, l'articolo 4 della proposta di legge inserisce anche il Golfo di Taranto tra le aree marine delimitate in cui vige il divieto di prospezione, ricerca e coltivazione, insieme con i golfi di Napoli, di Salerno e di Venezia.
Si considerino, invero, le caratteristiche di detto golfo, che costituisce l'unica baia storica in Italia nella quale è ancora consentita l'attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi, i cui rischi potrebbero essere ancora più alti se si considera che il golfo è un'area marina già per definizione «chiusa» e che gli eventuali e sempre possibili incidenti legati alle attività estrattive di idrocarburi potrebbero danneggiare le attività economiche di pesca e turismo di ben tre regioni meridionali (la Puglia, la Basilicata e la Calabria).
Si rammenti in particolare che la Convenzione sulla biodiversità adottata nel 1992 ha individuato precisi criteri scientifici per l'identificazione di aree marine che necessitano di protezione (cosiddette Ecologically or Biologically Significant Marine Areas – EBSA): criteri di unicità o rarità, particolare importanza per le fasi della storia della vita delle specie, importanza per specie o habitat minacciati, in via di estinzione o in declino, vulnerabilità, fragilità, sensibilità o recupero lento, produttività biologica, diversità biologica, integrità dell'ambiente naturale.
Una regione riconosciuta appunto come EBSA è quella del Mediterraneo, all'interno della quale rilevano le seguenti zone cui è interessata direttamente l'Italia: mare Ionio; ecosistemi bentonici del Mediterraneo nord-occidentale (Italia, Monaco, Francia e Spagna); ecosistemi pelagici del Mediterraneo nord-occidentale (Mar Ligure); Canale di Sicilia; Pozzo Jabuka (o Pomo). In particolare, la zona denominata Ionio si trova al centro della parte meridionale del bacino del mare Adriatico meridionale e nella parte settentrionale del mare Ionio. Comprende la parte più profonda dell'Adriatico sul lato occidentale e un'area costiera in Albania (isola di Sazani e penisola di Karaburuni). Copre anche le piste nei pressi di Santa Maria di Leuca. L'area si trova nel centro della parte meridionale del bacino del mare Adriatico meridionale e nel mare Ionio settentrionale.
Si tratta di una zona contraddistinta da unicità e rarità, pur considerando gli alti livelli di utilizzo umano dell'area (pesca, navigazione, attività ricreative, pressione demografica lungo la costa, inquinamento). Riveste un'importanza speciale per le fasi della storia della vita delle specie, poiché nella zona sono avvenuti avvistamenti di balene dal becco di Cuvier e l'Adriatico meridionale è stato indicato come area di vivaio per le femmine con animali giovani. Riveste un'alta importanza per le specie o gli habitat minacciati, in via di estinzione o in declino ed è area di alta vulnerabilità, fragilità, sensibilità (le comunità di coralli di acqua fredda in acque profonde e le aggregazioni di spugne di acque profonde sono sensibili alla pesca a strascico a causa del loro lento tasso di crescita, fragilità e recupero lento o improbabile dopo la distruzione diretta). L'area si connota inoltre per un'elevata diversità biologica.
Al fine di estendere ulteriormente le misure di tutela del territorio, la proposta, all'articolo 5, sottopone l'attività estrattiva a ulteriori divieti e limiti volti a tutelare una serie di aree sensibili relative alle superfici di terra, tra cui le aree caratterizzate da produzioni agroalimentari di pregio. Fermo restando il divieto delle attività di prospezione, ricerca o coltivazione di idrocarburi nelle zone di mare poste entro 12 miglia dalle linee di base e dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette, viene inoltre vietata qualunque tecnica di iniezione o reiniezione nelle zone classificate ad alta e media sismicità e in zone di particolare ripopolamento ittico.
L'articolo 6 disciplina la cessazione dell'attività mineraria per i giacimenti attualmente non produttivi o non più utilizzati da almeno cinque anni e prevede la possibilità di riutilizzo alternativo limitatamente all'installazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Il comma 2 intende chiarire che il concessionario è tenuto alla chiusura del pozzo, in quanto esaurito, sterile o non più erogante da più di tre anni, e al ripristino dello stato dei luoghi senza attendere la fine della concessione.
L'articolo 7 riguarda la disciplina della VIA per le attività finalizzate a migliorare le prestazioni degli impianti di coltivazione di idrocarburi.
Con l'articolo 8 si intende colmare una lacuna ritenuta grave rispetto al complesso delle disposizioni previste nel cosiddetto codice dell'ambiente, che non pare tener conto in maniera precisa ed esaustiva degli aspetti sanitari implicati da progetti i quali finiscono per incidere, oltre che sull'ambiente, anche sulla salute, al fine di raggiungere l'obiettivo irrinunciabile della sostenibilità ambientale. Pertanto, si dispone che per i progetti di opere e di interventi relativi alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, gli aspetti sanitari siano oggetto di una specifica e autonoma fase valutativa, che viene estesa anche alle nuove istanze di rinnovo, aggiornamento o adeguamento del titolo abilitativo.
A tal fine si prevede il richiamo espresso alle linee guida approvate con decreto del Ministro della salute del 27 marzo 2019. L'assoggettamento alla valutazione di impatto sanitario viene inoltre esteso anche ai progetti riguardanti le centrali termiche e altri impianti di combustione indipendentemente dall'indicatore di potenza.
L'articolo 9 introduce il divieto di stoccaggio del biossido di carbonio nei giacimenti di idrocarburi.
L'articolo 10 modifica il vigente regime delle aliquote degli idrocarburi liquidi e gassosi estratti dovute allo Stato, in particolare sopprimendo le franchigie e le esenzioni dal pagamento delle aliquote di prodotto previste in favore dei giacimenti minori.
Infine, l'articolo 11 dispone che, in caso di riperimetrazione della concessione, la riduzione del canone annuo di concessione decorra dalla data di presentazione della richiesta di riperimetrazione da parte del titolare del permesso di prospezione o di ricerca.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Permessi di prospezione e concessioni a seguito dell'adozione del Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee)
1. All'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «A decorrere dalla data di adozione del Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI) di cui all'articolo 11-ter del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, ovvero, in caso di mancata adozione del PiTESAI, decorso il termine di cui al comma 8, sesto periodo, del medesimo articolo 11-ter, non è comunque consentita la presentazione di nuove istanze di rilascio di permessi di prospezione e di ricerca o di nuove istanze di conferimento di concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi».
Art. 2.
(Estensione del divieto di prospezione, ricerca e coltivazione)
1. All'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dall'articolo 1 della presente legge, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) il secondo periodo è sostituito dal seguente: «Le attività indicate al primo periodo sono altresì vietate nelle zone di mare poste entro 12 miglia dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette nonché nelle zone di mare comprese tra la costa e il limite di 12 miglia dalle linee di base di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1977, n. 816, lungo l'intero perimetro costiero nazionale»;
b) dopo il secondo periodo è inserito il seguente: «Fuori dei casi di divieto, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sono sottoposte alle procedure di VIA e di VAS, secondo le modalità e le competenze previste dalla parte seconda del presente decreto, d'intesa con la regione interessata, che acquisisce il parere degli enti locali»;
c) il terzo periodo è sostituito dal seguente: «I titoli abilitativi già rilasciati per lo svolgimento delle attività nelle zone di mare fino a 12 miglia dalla linea di costa sono fatti salvi non oltre il termine di efficacia della VIA, decorso il quale il procedimento di VIA è reiterato, fermo restando il rispetto delle disposizioni normative in materia di sicurezza e di salvaguardia ambientale».
Art. 3.
(Divieto dell'utilizzazione delle tecniche esplosive per le attività di ispezione dei fondali marini finalizzate alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi)
1. All'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dopo il terzo periodo, introdotto dall'articolo 2, comma 1, lettera b), della presente legge, sono inseriti i seguenti: «È vietato l'utilizzo della tecnica dell'aria compressa (air gun) o di altre tecniche esplosive per le attività di ispezione dei fondali marini finalizzate alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi. La violazione del divieto di cui al precedente periodo è punita, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con l'ammenda da 200.000 euro a 1.200.000 euro; alla condanna o all'applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale, consegue la decadenza del titolare dal relativo titolo concessorio o permesso».
Art. 4.
(Divieto di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi nel Golfo di Taranto)
1. All'articolo 4, comma 1, della legge 9 gennaio 1991, n. 9, dopo le parole: «del Golfo di Salerno», sono inserite le seguenti: «, del Golfo di Taranto»
Art. 5.
(Divieti e limiti relativi alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in aree sensibili)
1. È vietato lo svolgimento di attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in terraferma entro una fascia di 10 chilometri calcolati in linea d'aria dal limite esterno delle aree naturali protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, delle aree di reperimento di cui agli articoli 31 della legge 31 dicembre 1982, n. 979, e 36 della citata legge n. 394 del 1991, delle aree destinate alle coltivazioni biologiche e certificate nonché di prodotti a denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta e delle aree di produzione di vini a denominazione di origine controllata e a denominazione di origine controllata e garantita. Il divieto previsto dal primo periodo si applica anche alle attività di perforazione in linea orizzontale od obliqua svolte nel sottosuolo.
2. Fatto salvo quanto disposto dall'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dagli articoli 1, 2 e 3 della presente legge, per lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca o coltivazione di idrocarburi è vietato l'impiego di qualunque tecnica di iniezione o reiniezione nelle zone classificate ad alta e media sismicità e in zone di particolare ripopolamento ittico individuate a seguito di indagini scientifiche preventive eseguite, secondo le rispettive competenze, dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale e dal Consiglio nazionale delle ricerche.
Art. 6.
(Chiusura mineraria)
1. Dalla data di entrata in vigore della presente legge cessano di avere efficacia i titoli abilitativi rilasciati per le concessioni di coltivazione di idrocarburi in mare nel cui ambito sono compresi giacimenti che, alla medesima data, non sono produttivi o non sono più utilizzati da almeno cinque anni. Le relative infrastrutture sono inserite nell'elenco delle piattaforme e infrastrutture connesse in dismissione mineraria, ai fini della loro rimozione e del ripristino dell'area ai sensi del decreto del Ministro dello sviluppo economico 15 febbraio 2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 57 dell'8 marzo 2019. Il riutilizzo alternativo delle piattaforme e delle infrastrutture connesse può essere autorizzato limitatamente a progetti che ne prevedano l'utilizzo per l'installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili previa cessazione dell'attività mineraria.
2. Il titolare della concessione mineraria relativa a un pozzo sterile o esaurito ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera q, del citato decreto del Ministro dello sviluppo economico 15 febbraio 2019, ovvero non più erogante da più di tre anni, è tenuto alla chiusura mineraria del pozzo secondo la procedura prevista dall'articolo 4 del medesimo decreto e al ripristino dello stato dei luoghi, consistente nell'attività di ripristino delle condizioni idrauliche antecedenti l'esecuzione del foro mediante l'isolamento dei livelli geologici dai quali sono stati estratti gli idrocarburi.
Art. 7.
(VIA per le attività finalizzate a migliorare le prestazioni degli impianti di coltivazione di idrocarburi)
1. All'articolo 1, comma 82-sexies, della legge 23 agosto 2004, n. 239, le parole da: «dall'Ufficio» fino alla fine del comma sono sostituite dalle seguenti: «dal Ministro dello sviluppo economico, d'intesa con la regione interessata, previa valutazione di impatto ambientale».
Art. 8.
(Valutazione di impatto sanitario)
1. I progetti di opere e di interventi relativi alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, prima del rilascio del titolo concessorio, sono sottoposti a valutazione di impatto sanitario (VIS) di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b-bis), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
2. La VIS predisposta dal proponente in conformità alle linee guida adottate con decreto del Ministro della salute 27 marzo 2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 126 del 31 maggio 2019, è trasmessa all'autorità competente contestualmente all'istanza di VIA ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
3. Si applicano alla procedura di VIS, in quanto compatibili, le disposizioni relative alla procedura di VIA, di cui al titolo III della parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
4. All'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, le parole: «con potenza termica superiore a 300 MW» sono soppresse.
5. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle istanze di rinnovo, aggiornamento o adeguamento del titolo abilitativo presentate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.
Art. 9.
(Divieto di stoccaggio geologico del biossido di carbonio)
1. A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge è vietato lo stoccaggio del biossido di carbonio (CO2) nei giacimenti di idrocarburi.
Art. 10.
(Soppressione dell'esenzione dal pagamento dell'aliquota di prodotto della coltivazione)
1. All'articolo 19 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 7-bis:
1) le parole: «a decorrere dal 1° gennaio 2020» sono sostituite dalle seguenti: «dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2021»;
2) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le esenzioni di cui al primo periodo cessano di applicarsi dal 1° gennaio 2022»;
b) al comma 7-ter:
1) le parole: «dal 2020 al 2022» sono sostituite dalle seguenti: «2020 e 2021»;
2) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Per l'anno 2022, il versamento di cui al primo periodo, nelle misure ivi indicate, è dovuto per tutte le concessioni di coltivazione sia in terraferma sia in mare».
Art. 11.
(Riduzione del canone di concessione a seguito di riperimetrazione)
1. In caso di riperimetrazione dell'area della concessione, la riduzione del canone annuo di cui all'articolo 18 del decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, come rideterminato dall'articolo 11-ter, commi 9 e 10, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12, decorre dalla data di presentazione della richiesta di riperimetrazione da parte del titolare del permesso di prospezione o di ricerca, fermo restando l'obbligo di corrispondere il conguaglio dovuto in relazione all'eventuale differenza risultante dal decreto che ridetermina l'estensione dell'area.