FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2186

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato COSTA

Modifica all'articolo 74 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, concernente il diritto alla ripetizione delle spese sostenute per il giudizio da parte dell'imputato assolto, nonché delega al Governo per la sua disciplina

Presentata il 16 ottobre 2019

torna su

  Onorevoli Colleghi! – Nel processo penale, al contrario di quanto avviene nel processo civile e in quello amministrativo, il pagamento delle spese di giustizia e delle spese legali non segue la regola della soccombenza.
  Dunque, anche in caso di proscioglimento o di assoluzione con le formule ampiamente liberatorie (perché il fatto non sussiste, perché l'imputato non ha commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato) le spese legali restano a carico dell'imputato. A nulla vale che questi sia riuscito a dimostrare la propria assoluta estraneità al reato o, addirittura, l'insussistenza di qualunque fatto di rilevanza penale. Allo stesso modo – e ciò è anche più grave – a nulla vale che lo Stato abbia esercitato erroneamente la propria pretesa punitiva, sottoponendo senza ragione la persona al lungo, defatigante e spesso umiliante calvario delle indagini e del processo: come insegnava Salvatore Satta, il processo è esso stesso la pena.
  Questa peculiarità negativa del processo penale contraddice non solo il comune buon senso e i più ovvi criteri di giustizia sostanziale, i quali peraltro dovrebbero rappresentare la «stella polare» della legislazione, ma anche i princìpi cardine dello Stato di diritto e della Costituzione.
  Come è noto, il principio victus victori ha una matrice chiara e incontestabile: la necessità di ricorrere al giudice non deve tornare a danno di chi abbia ragione: quindi, colui che è stato dichiarato soccombente dal giudice è tenuto al pagamento delle spese di lite e degli onorari di difesa della parte vittoriosa. La ratio di questa norma è, in sintesi, quella di ristabilire un corretto equilibrio nel rapporto fra le parti, che non devono (o almeno non dovrebbero) subire un pregiudizio per il fatto di essere state costrette a convenire o di essere state convenute in giudizio, quando il giudice abbia poi concluso riconoscendo il loro buon diritto.
  Appare cristallino, in questa prospettiva, il significato delle parole della Corte costituzionale: «L'alea del processo grava sulla parte soccombente perché è quella che ha dato causa alla lite non riconoscendo, o contrastando, il diritto della parte vittoriosa ovvero azionando una pretesa rivelatasi insussistente. È giusto, secondo un principio di responsabilità, che chi è risultato essere nel torto si faccia carico, di norma, anche delle spese di lite, delle quali invece debba essere ristorata la parte vittoriosa. Questa Corte ha in proposito affermato che “il costo del processo deve essere sopportato da chi ha reso necessaria l'attività del giudice ed ha occasionato le spese del suo svolgimento” (sentenza n. 135 del 1987). La regolamentazione delle spese di lite è processualmente accessoria alla pronuncia del giudice che la definisce in quanto tale ed è anche funzionalmente servente rispetto alla realizzazione della tutela giurisdizionale come diritto costituzionalmente garantito (articolo 24 della Costituzione). Il “normale complemento” dell'accoglimento della domanda – ha affermato questa Corte (sentenza n. 303 del 1986) – è costituito proprio dalla liquidazione delle spese e delle competenze in favore della parte vittoriosa» (così, da ultimo, sentenza n. 77 del 2018).
  Come riconosce la stessa Corte, la regola della soccombenza non ha una portata assoluta e ben possono esistere situazioni eccezionali che giustificano la compensazione delle spese, cui in ogni settore dell'ordinamento si conferisce rilievo. Tuttavia, nel vigente sistema penale, la soluzione opposta di aver assunto a regola assoluta la compensazione, senza mai ammettere (se non nel caso del querelante) la rifusione delle spese processuali, almeno per l'imputato assolto con formula piena, configura un'endemica violazione dei princìpi fondamentali sanciti da alcune norme della Costituzione: il principio personalistico dell'articolo 2, in base al quale la Repubblica riconosce e garantisce a ciascuno i propri diritti, senza ostacolarli o «farli pagare» indebitamente; il principio solidaristico dello stesso articolo 2, in virtù del quale in simili vicende ben potrebbero trasferirsi sulla collettività i costi sostenuti dal singolo che si è difeso, di fronte a un infondato tentativo della parte pubblica di far valere l'interesse della comunità all'esercizio dello ius puniendi; l'articolo 24, che definisce il diritto di agire e difendersi in giudizio un diritto fondamentale, un tratto caratterizzante della nostra forma di Stato, il quale non può tollerare di essere «tassato» o condizionato in maniera irragionevole; l'articolo 27, che collega la pena a un accertamento di colpevolezza, il quale mostra con ogni evidenza i suoi limiti laddove l'imputato, pur scagionato con formula piena, si trovi di fatto sanzionato, perché costretto a pagare un'ingente somma pecuniaria che, per entità, di poco differirebbe da multe o ammende; l'articolo 111, relativo ai diritti e alle situazioni giuridiche che nel complesso delineano il giusto processo e precludono la persistente vigenza di questo «privilegio della parte pubblica».
  Inoltre, riprendendo le considerazioni svolte in principio, va ricordato che il processo penale rappresenta un unicum rispetto al sistema processuale civile e amministrativo, dove vige la regola della soccombenza, con i necessari temperamenti. Questa «eccezionalità» appare del tutto priva di ragionevolezza e quindi in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione. Non si comprende, infatti, perché la parte pubblica, ove soccombente, non possa essere chiamata a rifondere le spese processuali, almeno nel caso di assoluzione con una formula ampiamente liberatoria. Neppure può invocarsi una presunta esigenza di salvaguardare le finanze pubbliche: da un lato, perché tale esigenza non potrebbe avere un rilievo così assoluto da soverchiare del tutto il diritto fondamentale alla difesa; dall'altro lato, perché anche nel giudizio amministrativo, ove la pubblica amministrazione è tipicamente la parte convenuta, la parte pubblica soccombente paga le spese, senza che ciò abbia mai sollevato particolari problemi concettuali o crisi finanziarie. Allo stesso modo appare irragionevole la previsione attuale secondo cui solo per i reati perseguibili a querela può essere richiesta al querelante la rifusione delle spese processuali: una scelta singolare, non solo perché è comunque il pubblico ministero che esercita l'azione penale, ma anche perché rende ristorabili le spese per i soli reati di minor allarme sociale, mentre sarebbe stato più opportuno tutelare maggiormente i soggetti assolti per ingiuste imputazioni legate ai reati più gravi perseguibili d'ufficio.
  A conforto di quanto finora sostenuto, può citarsi un'ampia casistica di esperienze comparatistiche: in ben ventotto Stati sono previste, pur con accezioni diverse, forme di ristoro delle spese legali a beneficio del soggetto assolto con una formula ampiamente liberatoria (Albania, Austria, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Macedonia, Malta, Moldavia, Monaco, Montenegro, Norvegia, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Turchia e Ungheria).
  Dunque, con la presente proposta di legge si intende rimuovere questa intollerabile e poco garantista aporia che caratterizza il nostro sistema penale.
  A tal fine, la proposta di legge modifica l'articolo 74 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, inserendo il fondamentale principio (di civiltà, prima ancora che giuridico) secondo cui in ogni caso, se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, l'imputato ha diritto di ripetere dallo Stato tutte le spese sostenute per il giudizio. La scelta della sedes materiae è significativa, perché si è inteso configurare l'assoluzione come criterio che legittima il riconoscimento di una forma di gratuito patrocinio, sia pur con la peculiarità che si tratta di un riconoscimento successivo, attuato sotto forma di rimborso. Per dare puntuale attuazione alla disposizione, il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi, entro tre mesi dall'entrata in vigore della stessa, nel rispetto di due princìpi e criteri direttivi: da un lato, garantire modalità celeri e trasparenti per ottenere la ripetizione; dall'altro lato, prevedere idonee modalità per assicurare anche il pagamento dell'onorario e delle spese del difensore, in ragione del ruolo essenziale della difesa tecnica e delle competenze professionali prestate.

torna su

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

  1. Dopo il comma 2 dell'articolo 74 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, è aggiunto il seguente:

   «2-bis. In ogni caso, se il fatto non sussiste, se l'imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, l'imputato ha diritto di ripetere dallo Stato tutte le spese sostenute per il giudizio».

  2. Il Governo è delegato ad adottare, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per disciplinare le condizioni e le forme di riconoscimento e di esercizio del diritto previsto dal comma 2-bis dell'articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dal comma 1 del presente articolo, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

   a) garantire modalità celeri e trasparenti per ottenere la ripetizione delle spese sostenute per il giudizio;

   b) prevedere idonee modalità per assicurare anche il pagamento dell'onorario e delle spese del difensore.

torna su