FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6
                        Articolo 7
                        Articolo 8

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 2182

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
MASCHIO, VARCHI

Ordinamento della professione di avvocato pubblico

Presentata il 16 ottobre 2019

torna su

  Onorevoli Colleghi! — In deroga al principio di incompatibilità tra professione di avvocato e rapporto d'impiego, prima il regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, ed ora la legge 31 dicembre 2012, n. 247, accordano agli enti pubblici – secondo quanto disposto, rispettivamente, dall'articolo 3, quarto comma, lettera b), e dall'articolo 23 – la facoltà di istituire uffici legali, avvalendosi, per la cura delle cause e degli affari propri, di avvocati iscritti in un elenco speciale annesso all'albo forense.
  Con questa iniziativa l'ordinamento italiano, che già annoverava, all'infuori della storica avvocatura erariale, antiche avvocature pubbliche come quelle municipali, segnava la nascita di un vero e proprio servizio pubblico di avvocatura, intermedio fra l'avvocatura dello Stato e l'ordine forense.
  Pur non costituendo un corpus separato dalla pubblica amministrazione, l'avvocatura pubblica andava infatti ad integrarsi nella struttura degli enti cui spettava di organizzare gli uffici legali, ed i professionisti ad essi adibiti conservavano tuttavia l'appartenenza all'ordine forense, con tutti i doveri e le prerogative ad essa collegati.
  La scelta di superare uno dei capisaldi della tradizione forense risentiva sicuramente del clima politico nel quale veniva approvata tale norma, che appariva conforme all'esigenza di rafforzare la pubblica amministrazione anche attraverso strumenti tecnici, come quello legale, utili per una più penetrante ed efficace azione amministrativa. Quanto evidenziato traeva origine anche dal rapporto del Comitato di studio sulla prevenzione della corruzione (istituito con decreto del Presidente della Camera dei deputati n. 211 del 30 settembre 1996 e la cui attività è stata successivamente esercitata dalla Commissione per lo studio e l'elaborazione di proposte in tema di trasparenza e prevenzione della corruzione nella pubblica amministrazione istituita dall'allora Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione Patroni Griffi nel 2011).
  Il rapporto, infatti, a più riprese sottolineava che «una delle ragioni principali della corruzione è la debolezza della amministrazione, data dall'assenza o dall'insufficienza dei corpi professionali. Essa costringe le amministrazioni ad affidarsi a soggetti esterni per tutte le attività che riguardano l'opera di specialisti». I rimedi ipotizzabili sono l'aggiornamento continuo del proprio personale professionale e l'organizzazione dei professionisti dipendenti iscritti agli albi in corpi separati. Si trattò, con tutta evidenza, di un compromesso fra le istanze organizzative dell'apparato pubblico, che aveva risolto mediante l'Avvocatura dello Stato il solo problema dell'assistenza legale alle amministrazioni statali, ma non quello dei numerosi enti pubblici, e l'interesse dell'avvocatura, disposta ad accettare questa attività professionale «speciale» purché sottoposta al controllo disciplinare degli ordini e limitata alla cura degli affari degli enti. Sotto un profilo cronologico si sottolinea che l'esecutivo, con l'articolo 11, comma 4, lettera d), della legge 15 marzo 1997, n. 59, facendo seguito alle norme recate in tale materia dall'articolo 73, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, fu delegato ad adottare decreti legislativi volti, nell'ambito dell'area della dirigenza, a dettare una disciplina autonoma e differenziata da quella dei dirigenti amministrativi per le figure professionali nelle varie tipologie, ricoperte da pubblici dipendenti laureati e iscritti ad albi professionali (attualmente inquadrati in ruoli e in qualifiche diversi da comparto a comparto, da dirigente a dirigente, della pubblica amministrazione), nonché a stabilire una distinta disciplina per gli altri dipendenti pubblici – quali i geometri, i periti industriali, i periti agrari nonché gli assistenti sociali – che svolgono qualificate attività professionali implicanti l'iscrizione agli albi professionali di categoria; tale disciplina dovrebbe essere unitaria e comune per tutti i liberi professionisti, salvo che per gli avvocati, unica categoria con un «elenco speciale» al fine della preclusione di ogni altra attività non autorizzata dall'ente.
  In attuazione di tale delega è stata prevista l'adozione di discipline distinte per specifiche professionalità nell'ambito dei contratti collettivi di comparto (articolo 1 del decreto legislativo 4 novembre 1997, n. 396, che ha sostituito l'articolo 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165; la norma in oggetto è poi stata rafforzata dall'articolo 54 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150). Ad oggi tuttavia tali previsioni sono rimaste inattuate, eccetto per quanto concerne il comparto funzioni centrali (avvocature dell'INPS e dell'INAIL) e la sanità, per la sola dirigenza.
  Anche se fondato su un equilibrio precario, il sistema introdotto dal citato regio decreto-legge n. 1578 del 1933 ha retto per oltre settanta anni e, modificato con il menzionato articolo 23 della legge n. 247 del 2012, tuttora resiste per una serie di ragioni che non solo giustificano la decisione originaria di creare un'avvocatura pubblica, presente oggi nella maggior parte degli enti con circa 4.200 iscritti negli elenchi speciali, ma che dimostrano l'urgenza di intervenire legislativamente nel settore, per fissare regole e princìpi di un'attività che si è rivelata, quanto ad importanza e risultati, non seconda a quella svolta dall'Avvocatura dello Stato.
  In effetti, la crescita degli enti, la complessità dei compiti istituzionali ad essi affidati, la necessità di assistenza legale specialistica negli affari pubblici, la qualità normativa sempre più carente e l'attività legislativa sempre più abbondante, la rilevanza degli interessi gestiti dagli enti, che non si ferma al rapporto fiduciario con il professionista ma gli richiede «fedeltà», e l'insostenibilità dei costi di prestazioni professionali fissati da minimi tariffari inderogabili costituiscono alcune delle principali ragioni per le quali è quanto mai attuale ed insostituibile il servizio legale fornito agli enti da un'avvocatura pubblica.
  Nello stesso tempo, la mancanza di uno statuto dell'avvocatura pubblica, avvertita da oltre trenta anni dagli stessi Governi e dai numerosi parlamentari che in ogni legislatura hanno presentato progetti di legge in materia (negli anni 2000, 2002, 2003 e 2006), la frammentazione del regime giuridico ed economico degli avvocati pubblici, rimesso ad una miriade di fonti normative, regolamentari e pattizie diverse a seconda del settore di appartenenza, ed a volte anche all'interno del medesimo settore, nonché l'esigenza di armonizzare la funzione dell'avvocato pubblico con la riforma dell'ordinamento forense devono richiamare l'attenzione del Parlamento sulla questione e rendono ormai indifferibile l'approvazione di una legge regolatrice del settore, che fissi le regole ed i princìpi ai quali devono uniformarsi tutte le amministrazioni che utilizzano questo servizio.
  L'assenza di una normativa unica di settore ha infatti determinato forti disparità all'interno della stessa categoria, lasciando la disciplina del trattamento giuridico ed economico degli avvocati pubblici alla contrattazione collettiva dei diversi comparti, la quale, oltre ad essere disomogenea, spesso non tiene conto neppure delle specificità della funzione professionale e della rilevanza dei compiti affidati all'avvocatura interna degli enti. Ne derivano ostacoli alla funzionalità degli uffici legali e all'autonomia dei professionisti, con pregiudizio per l'efficacia del servizio e, in ultima analisi, per gli interessi della collettività. Ma le conseguenze della lacuna legislativa sono ancora più gravi, se si considera che le amministrazioni degli enti sono lasciate libere di istituire uffici legali al di fuori di ogni controllo che non sia quello esercitato dai locali ordini degli avvocati sugli elenchi speciali e di incidere sullo svolgimento autonomo del mandato professionale con provvedimenti pregiudizievoli, che talora hanno richiesto l'intervento del giudice amministrativo.
  L'evoluzione dei tempi, le norme vigenti sulla possibilità di istituzione di uffici di avvocatura sovracomunali (articolo 2, comma 12, della legge 24 dicembre 2007, n. 244), le pronunce più recenti della Corte dei conti sul divieto di incarichi esterni salvo eccezioni e i problemi che sono emersi a seguito di esigenze nuove determinate dalla sempre maggiore evoluzione delle tecnologie e dalla conseguente trasformazione della posizione del professionista dipendente richiedono di superare la confusione e le lacune della normativa vigente con riferimento alle attività di specifico interesse professionale esercitate nell'ambito dei compiti istituzionali presso le amministrazioni, enti e società citati, in parte carenti del tutto di una regolamentazione organica dell'esercizio professionale dipendente che, viceversa, con la legge 20 marzo 1975, n. 70, ha trovato una sua concreta applicazione negli enti pubblici non economici (avvocature dell'INAIL e dell'INPS), mentre non ha trovato una sua corretta applicazione negli altri comparti della pubblica amministrazione.
  Il disagio dovuto alla mancanza di uno statuto dell'avvocatura pubblica è aggravato dall'inadeguatezza dell'unica fonte normativa che regola il settore – il citato articolo 23 della legge n. 247 del 2012 – che, in questo contesto politico, istituzionale e socio-economico, prevede, in tre succinti commi, la deroga all'incompatibilità tra professione forense e impiego pubblico e quindi la facoltà di avvalersi di avvocature pubbliche mediante l'istituzione di uffici legali presso gli enti elencati al comma 1 del medesimo articolo.
  La sinteticità delle regole che dovrebbero regolamentare la professione forense svolta all'interno della pubblica amministrazione, che caratterizza l'articolo 23 della legge n. 247 del 2012, comporta troppo spesso l'intervento additivo, interpretativo e risolutivo della giurisprudenza, che accentua in tal modo le differenze di trattamento a parità di funzioni svolte, atteso anche il divieto di estendere il giudicato vigente nel settore del pubblico impiego ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001.
  La soluzione dei casi, in mancanza di riferimenti normativi chiari, è rimessa anche a ciascun consiglio dell'ordine degli avvocati competente a decidere sulle domande di iscrizione all'elenco speciale, con il duplice rischio che vengano a determinarsi ingiuste disparità di trattamento e che le deliberazioni, normalmente ispirate a criteri restrittivi, finiscano con il trascurare gli interessi effettivi della collettività, non sempre coincidenti con quelli dell'avvocatura cosiddetta «libera» (si pensi alle avvocature uniche degli enti locali, consentite dall'articolo 2, comma 12, della legge n. 244 del 2007). D'altra parte, l'alto costo del servizio professionale reperito all'esterno non consente un suo impiego irrazionale o indiscriminato; la prestazione professionale, com'è noto, è troppo delicata per consentire un'improvvisazione o la partecipazione saltuaria di professionisti.
  L'attività professionale va intesa infatti come un'organica confluenza delle esperienze di professionisti diversi, nell'ambito di gruppi di lavoro specializzati e coordinati, in cui si integrino i singoli aspetti (tecnici, gestionali, legali, attuariali eccetera) contemporaneamente presenti in molti degli interventi delle categorie professionali esistenti nelle amministrazioni, e dotati di tutti i sussidi tecnici offerti dalle tecnologie più avanzate e dai metodi organizzativi e manageriali più moderni, al fine di disporre di tutte le specializzazioni necessarie in ogni circostanza e tese ad una rapida soluzione dei problemi.
  Fondata su queste premesse, la presente proposta di legge, tenuto conto che dovrà adattarsi ad esigenze diverse, a seconda della tipologia dei settori e degli enti che dovranno applicarla, si limita a delineare i connotati necessari del servizio legale pubblico e le regole minime da osservare, lasciando alla contrattazione collettiva e agli statuti degli enti la regolamentazione di aspetti specifici del rapporto di lavoro e all'ordine forense quelli più propriamente professionali.
  Occorre poi evidenziare i seguenti elementi:

   1) come accennato, già la legge n. 59 del 1997, all'articolo 11, comma 4, lettera d), prevedeva che il Governo adottasse decreti legislativi al fine di istituire una distinta disciplina per i professionisti degli enti pubblici iscritti ad albi speciali e per i soggetti svolgenti attività tecnico-scientifiche e di ricerca;

   2) nel tentativo di dare attuazione alla norma citata, uno dei decreti legislativi adottati ai sensi della legge n. 59 del 1997, modificando l'articolo 40 del decreto legislativo n. 165 del 2001, ha previsto che per i professionisti iscritti ad albi speciali o svolgenti attività tecnico-scientifiche e di ricerca «sono» stabilite discipline apposite. Lo stesso decreto legislativo n. 165 del 2001, però, nelle norme transitorie, all'articolo 69, comma 11 (dove afferma che «In attesa di una organica normativa nella materia, restano ferme le norme che disciplinano, (...)»), rappresenta l'esigenza di realizzare «successivamente» una disciplina per i professionisti, attesa la peculiarità dell'attività dagli stessi svolta sia in ordine alla formazione della volontà amministrativa dell'ente, sia per l'assunzione diretta e personale della responsabilità di natura professionale;

   3) successivamente, la legge 15 luglio 2002, n. 145 (la cosiddetta «legge Frattini» sullo spoils system), ha dato attuazione all'articolo 40 del decreto legislativo n. 165 del 2001 per i soli soggetti che esercitano attività tecnico-scientifica e di ricerca (si precisa che l'articolo 40 esplicitamente si riferiva ai soggetti iscritti ad albi professionali e ai soggetti del ruolo tecnico-scientifico), inserendoli nel ruolo dirigenziale, ma «dimenticando» i professionisti iscritti ad albi speciali. Si è così realizzata una disciplina puntuale per i ricercatori e i tecnologi, mentre per i professionisti degli enti pubblici si è dettata una disciplina limitata al personale «già appartenente alla X qualifica funzionale», realizzando una chiara disparità di trattamento e vanificando lo scopo previsto dalla normativa stessa, che avrebbe dovuto essere volta a dare una disciplina per i professionisti iscritti agli albi professionali; e ciò per i seguenti motivi: i) i soggetti inseriti nella X qualifica funzionale sono dirigenti sin dal 1962 per cui non si comprende il senso di questa precisazione a distanza di quasi quaranta anni; ii) la X qualifica funzionale non esiste più nella nomenclatura dei ruoli della pubblica amministrazione; iii) rimangono estranei all'attuale disciplina proprio i professionisti degli enti pubblici che esercitano attività per le quali occorre essere iscritti agli albi speciali, che dovevano costituire i principali destinatari della norma;

   4) nella XIV legislatura la Camera dei deputati, su iniziativa dell'onorevole Cola, ha approvato un atto di indirizzo al Governo al fine di dare corretta e completa attuazione alla normativa contenuta nel decreto legislativo n. 165 del 2001 e nella legge n. 59 del 1997 (in particolare nel citato articolo 11, comma 4, lettera d)) prevedendo una distinta disciplina per i professionisti degli enti pubblici iscritti ad albi speciali (oltre che per i soggetti svolgenti attività tecnico-scientifiche, per i quali si era intervenuti con la legge Frattini), che, a causa dell'inciso «già appartenenti alla X qualifica funzionale», rimangono, di fatto, esclusi dalla normativa e quindi dalla relativa disciplina;

   5) l'onorevole Tucci, nella XIV legislatura, ha presentato, il 22 gennaio 2002, la proposta di legge atto Camera n. 2206, recante «Ordinamento della professione di avvocato pubblico»;

   6) un'analoga iniziativa è stata presa dal senatore Crino con la presentazione del disegno di legge atto Senato n. 2567 del 6 novembre 2003;

   7) è stato emanato il decreto legislativo n. 150 del 2009 (cosiddetta «riforma Brunetta»), che all'articolo 54, modificando il citato articolo 40 del decreto legislativo n. 165 del 2001, al nuovo comma 2, terzo periodo, dispone che «Nell'ambito dei comparti di contrattazione possono essere costituite apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità».

  Ad oggi nessuna disposizione legislativa ha trovato attuazione con riguardo agli avvocati degli enti pubblici diversi dal parastato (INPS e INAIL), determinando un'inaccettabile discriminazione fra professionisti legali svolgenti la medesima professione.
  Giova ora passare al commento dell'articolato della proposta di legge.
  L'articolo 1, comma 1, fornisce, anzitutto, la definizione di avvocato pubblico, inesistente nel nostro ordinamento e tuttavia necessaria a individuare e qualificare una funzione largamente utilizzata nella prassi e riferita, come si è accennato, ai 4.200 professionisti iscritti agli elenchi speciali di tutti gli ordini forensi d'Italia. La definizione descrive, quindi, il contenuto della «specialità» della professione forense svolta in esclusiva presso un ente pubblico o privatizzato, che è dato dalla posizione di un avvocato dotato di tutte le prerogative professionali indispensabili (autonomia, indipendenza, gestione dei tempi di lavoro), il quale ha come unico cliente l'amministrazione di appartenenza per contratto di lavoro. Il comma 2, nel ribadire che l'esercizio professionale è limitato agli affari dell'ente di appartenenza, chiarisce che l'avvocato pubblico assume doveri sia con il mandato professionale, sia con il contratto di lavoro che lo vincola all'ente. La doppia responsabilità non può che affermarsi in presenza di un'effettiva autonomia professionale, garantita dal rapporto diretto con il legale rappresentante dell'ente quanto al mandato professionale e ai suoi contenuti e da condizioni di lavoro che favoriscano lo svolgimento delle prestazioni. Doveri aggiuntivi sussistono nei confronti dell'ordine per gli aspetti deontologici della professione di avvocato e per la disciplina che, in considerazione della natura delle prestazioni, non può che essere affidata ai consigli dell'ordine locali, competenti ad accertare eventuali mancanze, a valutarne l'entità e a individuare le proporzionate sanzioni.
  L'articolo 2 disciplina lo stato giuridico e l'inquadramento degli avvocati pubblici.
  L'articolo 3 disciplina il trattamento economico degli avvocati pubblici, che per le peculiari attività svolte non può essere inferiore al trattamento economico goduto dalle fasce apicali del contratto collettivo di lavoro applicabile. Chiarisce che il compenso professionale è voce retributiva e come tale va computata ai fini stipendiali e ai fini previdenziali.
  L'articolo 4 tratta il ruolo professionale degli avvocati ed i rapporti sindacali.
  L'articolo 5 disciplina l'accesso ai ruoli degli avvocati pubblici, che prevede un regime unico, a prescindere dal comparto o ente di appartenenza. È interesse della pubblica amministrazione che entrino nei propri collegi difensivi i professionisti più preparati, scelti tramite concorso pubblico specifico, previo esperimento della mobilità compartimentale o intercompartimentale, prevista nell'articolo 6.
  L'articolo 7 disciplina l'aspetto organizzativo e delle risorse, umane, strumentali ed economiche, necessarie per assicurare l'efficienza delle strutture professionali.
  L'articolo 8 tratta della formazione permanente, al tempo stesso obbligo dell'avvocato e garanzia, per l'ente pubblico, di beneficiare di competenze adeguate e professionalmente preparate.
  La considerazione che, ovunque sia svolto, l'esercizio della professione forense richiede il medesimo impegno ed espone agli stessi rischi e responsabilità impedisce qualsiasi disparità di trattamento economico tra professionisti, che non sia fondato su criteri di anzianità, di funzioni innanzi alle giurisdizioni e di merito.

torna su

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Definizione di avvocato pubblico)

  1. Sono avvocati pubblici i professionisti appartenenti all'ordine forense che, in deroga al principio di incompatibilità, previsto dall'articolo 18 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, e dall'articolo 3 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, svolgono per contratto di lavoro attività di patrocinio e consulenza legale esclusivamente a favore delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, di seguito denominate «amministrazioni pubbliche», innanzi a tutte le giurisdizioni.
  2. Gli avvocati pubblici esercitano la professione forense limitatamente agli affari dell'amministrazione pubblica di appartenenza. Essi rispondono del mandato ricevuto dal legale rappresentante dell'amministrazione pubblica e, nel rispetto del principio di autonomia professionale, sono soggetti al regime contrattuale che regola il rapporto di lavoro con l'amministrazione pubblica e al codice deontologico dell'avvocatura. Per gli aspetti disciplinari essi rispondono al consiglio dell'ordine degli avvocati presso il quale sono iscritti.

Art. 2.
(Stato giuridico degli avvocati pubblici)

  1. Il presente articolo disciplina lo stato giuridico degli avvocati pubblici, nonché l'esercizio delle attività professionali per le quali sono richieste l'abilitazione all'esercizio della professione e l'iscrizione negli elenchi speciali annessi all'albo professionale. Le regioni applicano le disposizioni della presente legge tenendo conto delle peculiarità dei rispettivi ordinamenti.
  2. Nelle more della disciplina definita in sede di contrattazione collettiva ai sensi dell'articolo 4, gli avvocati dipendenti pubblici iscritti negli elenchi speciali di cui all'articolo 23 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge, sono inquadrati in un ruolo unico professionale articolato in due qualifiche professionali.
  3. Il livello di inquadramento nelle qualifiche di cui al comma 2 è quello posseduto alla data di entrata in vigore della presente legge. Il coordinamento dell'unità professionale è affidato a professionisti della qualifica professionale più elevata.
  4. Il rapporto degli avvocati pubblici con i dirigenti dell'amministrazione pubblica di appartenenza è improntato al rigoroso rispetto degli ambiti di autonomia, anche sul piano della gestione finanziaria e tecnica.

Art. 3.
(Trattamento economico degli avvocati
pubblici)

  1. Il trattamento economico spettante agli avvocati pubblici non può essere inferiore al trattamento economico, complessivamente considerato, anche con riferimento alle indennità, goduto dal personale appartenente alle categorie apicali del comparto di contrattazione cui appartiene l'amministrazione pubblica dell'avvocato, complessivamente considerato anche sotto il profilo delle indennità.
  2. Il compenso professionale spettante all'avvocato pubblico in relazione alla conclusione favorevole dei contenziosi di cui si è occupato per l'amministrazione pubblica costituisce voce retributiva ed è computato ai fini stipendiali e previdenziali.
  3. Gli avvocati pubblici partecipano al raggiungimento degli obiettivi della rispettiva amministrazione pubblica e hanno diritto a un'indennità di risultato.

Art. 4.
(Ruolo professionale degli avvocati
e rapporti sindacali)

  1. Gli avvocati pubblici costituiscono un'area contrattuale autonoma in deroga alle disposizioni del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
  2. La legittimazione sindacale, anche ai fini negoziali, è conferita all'associazione di categoria maggiormente rappresentativa a livello nazionale.
  3. In sede di prima attuazione della presente legge, sono inquadrati nell'area contrattuale autonoma gli avvocati in servizio nelle amministrazioni pubbliche legittimati a proporre domanda in giudizio e iscritti negli elenchi speciali di cui all'articolo 2.

Art. 5.
(Accesso ai ruoli professionali)

  1. Al fine di tutelare l'interesse della pubblica amministrazione a disporre delle migliori risorse professionali, l'accesso al ruolo unico di cui all'articolo 2, comma 2, avviene per concorso pubblico, previo espletamento delle procedure di mobilità.
  2. Il concorso pubblico è indetto a livello centrale per tipologia di professionisti, al fine di attuare, anche nel ruolo legale, la mobilità compartimentale e intercompartimentale ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114.
  3. Le prove concorsuali sono volte all'accertamento della competenza professionale. Sono ammessi a partecipare gli avvocati iscritti all'albo, in possesso dei titoli di studio richiesti e degli eventuali titoli di specializzazione.
  4. Alla data di entrata in vigore della presente legge, è inquadrato nel ruolo unico di cui all'articolo 2, comma 2, il personale che svolge presso le amministrazioni pubbliche, in forza di regolare atto di inquadramento, le funzioni legali e per la cui attività è necessaria l'iscrizione negli elenchi speciali annessi all'albo professionale.

Art. 6.
(Mobilità compartimentale e
intercompartimentale)

  1. Per gli avvocati pubblici è previsto il ricorso alla mobilità tra le amministrazioni pubbliche e tra gli enti locali.
  2. All'articolo 19, comma 6, terzo periodo, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, nonché agli avvocati dipendenti delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, per i quali, ai fini dell'esercizio della loro attività, sono richieste l'abilitazione all'esercizio della professione e l'iscrizione negli elenchi speciali annessi all'albo professionale».

Art. 7.
(Risorse)

  1. Allo scopo di assicurare l'efficienza delle proprie strutture professionali, le amministrazioni pubbliche devono garantire agli avvocati pubblici la dotazione di idonei mezzi strumentali e di adeguati sussidi conseguenti allo sviluppo e all'evoluzione delle tecnologie e delle metodologie di ricerca e di applicazione, nonché del necessario personale amministrativo e tecnico di supporto funzionalmente dipendente dalle strutture professionali medesime.
  2. Ai fini della migliore qualificazione degli avvocati pubblici, le amministrazioni pubbliche favoriscono l'aggiornamento permanente degli appartenenti al ruolo unico professionale di cui all'articolo 2, comma 2, nonché la loro partecipazione a convegni di studio e a corsi e attività scientifiche, nel rispetto della norme che regolano la professione di avvocato.
  3. Relativamente alle attività professionali svolte dagli avvocati pubblici, il premio delle polizze assicurative per la responsabilità civile professionale da stipulare ai sensi dell'articolo 12 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, è posto a carico dell'amministrazione pubblica di appartenenza dell'avvocato.
  4. Il contributo annuale di iscrizione agli elenchi speciali di cui all'articolo 2, comma 2, è posto a carico dell'amministrazione pubblica di appartenenza dell'avvocato.

Art. 8.
(Formazione)

  1. Le amministrazioni pubbliche garantiscono agli avvocati pubblici da loro dipendenti il rispetto dell'obbligo di formazione permanente previsto dalle norme che regolano la professione di avvocato.
  2. L'avvocato pubblico è tenuto a curare la propria formazione nell'arco di tutta la vita professionale, mediante la partecipazione a convegni e corsi accreditati dal Consiglio nazionale forense e ad altre iniziative formative.

torna su