XVIII LEGISLATURA
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 2129
PROPOSTA DI LEGGE
d'iniziativa dei deputati
SCHIRÒ, GRIBAUDO, SIRAGUSA, BOLDRINI, SERRACCHIANI, ENRICO BORGHI, SIANI, CIAMPI, BRUNO BOSSIO, RIZZO NERVO, CARLA CANTONE, ANNIBALI, UNGARO, LA MARCA, DI GIORGI, PEZZOPANE, CARNEVALI
Modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di cognome dei coniugi
Presentata il 30 settembre 2019
Onorevoli Colleghi! – La presente proposta di legge, recante modifiche al codice civile e altre disposizioni in materia di cognome dei coniugi, risponde all'esigenza di dare pari dignità alle donne nell'ambito del rapporto coniugale e di rimuovere i retaggi di una concezione patriarcale della famiglia, nonché di una tramontata potestà maritale, in quanto non conformi ai princìpi fondamentali del nostro ordinamento, in particolare all'articolo 3 della Costituzione, il quale garantisce il diritto di eguaglianza a tutti i cittadini davanti alla legge.
Pertanto, la presente proposta di legge modifica l'articolo 143-bis del codice civile, introducendo il diritto della donna di conservare il proprio cognome all'atto del matrimonio.
Il diritto alla conservazione del proprio cognome non si ferma solamente al dato anagrafico, ma rappresenta un sostanziale elemento di identità e di tutela dei diritti fondamentali della persona.
Il diritto al nome trova un riconoscimento a livello costituzionale nell'articolo 22, secondo cui: «Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome». Tale disposizione costituzionale deve essere letta unitamente all'articolo 2 della Costituzione, il quale riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, tra cui il diritto all'identità personale, così come definito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 13 del 1994, la quale statuisce che: «è certamente vero che tra i diritti che formano il patrimonio irretrattabile della persona umana l'articolo 2 della Costituzione riconosce e garantisce anche il diritto all'identità personale. Si tratta (...) del diritto ad essere sé stesso, inteso come rispetto dell'immagine di partecipe alla vita associata, con le acquisizioni di idee ed esperienze, con le convinzioni ideologiche, religiose, morali e sociali che differenziano, ed al tempo stesso qualificano, l'individuo. L'identità personale costituisce quindi un bene per sé medesima, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto, di guisa che a ciascuno è riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia preservata. Tra i tanti profili, il primo e più immediato elemento che caratterizza l'identità personale è evidentemente il nome – singolarmente enunciato come bene oggetto di autonomo diritto nel successivo articolo 22 della Costituzione – che assume la caratteristica del segno distintivo ed identificativo della persona nella sua vita di relazione. (...) accanto alla tradizionale funzione del cognome quale segno identificativo della discendenza familiare, con le tutele conseguenti a tale funzione, occorre riconoscere che il cognome stesso in alcune ipotesi già gode di una distinta tutela anche nella sua funzione di strumento identificativo della persona, e che, in quanto tale, costituisce parte essenziale ed irrinunciabile della personalità».
Ulteriormente, l'articolo 6 del codice civile disciplina il diritto al nome: «Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito. Nel nome si comprendono il prenome e il cognome. Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità indicati dalla legge».
Per quanto attiene al cognome della moglie, l'articolo 143-bis del codice civile, oggetto di riforma, introdotto dall'articolo 25 della legge 19 maggio 1975, n. 151, recante la riforma del diritto di famiglia, statuisce che: «La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze».
Fino alla riforma del diritto di famiglia la materia era disciplinata dall'articolo 144 del codice civile (potestà maritale), che così recitava: «Il marito è il capo della famiglia; la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza». La perdita del cognome da parte della moglie rappresentava, dunque, una conferma della soggezione di quest'ultima alla potestà del marito.
A questo proposito, si ricorda che, nell'ordinanza n. 13298 del 17 luglio 2004, la suprema Corte di cassazione ha osservato che «La normativa codicistica vigente prima della riforma del diritto di famiglia, nel regolare soltanto, nell'ambito della famiglia legittima, il cognome della moglie, disponeva all'articolo 144 del codice civile, in piena coerenza con il riconoscimento al marito – nella stessa norma sancito – della qualità di capo della famiglia, che la moglie ne assumesse il cognome, così chiaramente ponendo il cognome dell'uomo quale elemento identificativo del nucleo familiare. La legge di riforma n. 151 del 1975 ha sostituito tale disposizione con l'articolo 143-bis del codice civile, ai sensi del quale la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito. Nonostante l'apparente incisività della nuova formulazione, essa deve considerarsi di modesto spessore (...) tenuto conto da un lato che anche nel vigore della precedente normativa la giurisprudenza di questa Suprema corte aveva ravvisato il diritto della moglie a conservare il proprio cognome, aggiungendo ad esso quello del marito (...), considerato d'altro lato che anche la disposizione novellata evidenzia, sia pure in termini attenuati rispetto al passato, l'opzione del legislatore verso il cognome del marito come identificativo della nuova famiglia costituita, in quanto unico cognome comune, così rimarcando una posizione di evidente disparità tra i coniugi».
Tuttavia, non sono mancate nel tempo, anche prima della riforma del 1975, da parte della Corte di legittimità e della Corte costituzionale, pronunce volte a modificare in positivo le disposizioni normative in materia di cognome della moglie, come pure non sono mancati numerosi interventi da parte delle Convenzioni europee/internazionali destinati a eliminare ogni forma di discriminazione tra l'uomo e la donna. In particolare, si ricordano:
la sentenza n. 1692 del 13 luglio 1961, con la quale la Corte di cassazione aveva precisato che l'articolo 144 del codice civile andava interpretato nel senso che la moglie ha il diritto, non l'obbligo, di aggiungere il cognome del marito al proprio;
il parere del Consiglio di Stato del 1997, il quale indicava, ai fini dell'identificazione della persona, esclusivamente il cognome da nubile;
la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, resa esecutiva ai sensi della legge 14 marzo 1985, n. 132, che all'articolo 16 ha impegnato gli Stati aderenti a prendere tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari e, in particolare, alla lettera g) del paragrafo 1, ad assicurare, in condizioni di parità con gli uomini, gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome;
la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la quale rafforza, a livello di «sovranazionalizzazione» dei diritti, il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, tutelati a livello interno dal predetto articolo 2 della Costituzione; vengono in considerazione, in particolare: l'articolo 8, il quale sancisce «il diritto al rispetto della vita privata e familiare» nonché del domicilio e della corrispondenza; l'articolo 14, il quale sancisce «il divieto di discriminazione», in applicazione del quale i diritti e le libertà di ogni individuo devono essere assicurati senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione;
la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Carta di Nizza), vincolante a seguito dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la quale vieta ogni forma di discriminazione basata sul sesso (articolo 21) e impone l'obbligo di assicurare la parità tra uomini e donne in tutti i campi (articolo 23).
In aderenza al principio delle pari opportunità tra marito e moglie è consentito alla donna derogare alla disposizione vigente dell'articolo 143-bis del codice civile, mantenendo il proprio cognome da nubile, limitatamente ai rapporti professionali. Tuttavia, tale deroga non dovrebbe circoscriversi esclusivamente ai rapporti professionali, in quanto la donna, così come ogni individuo, possiede sin dalla nascita un proprio cognome, che viene utilizzato anche prima del matrimonio per tutte le registrazioni anagrafiche e di carattere amministrativo.
La proposta di legge, dunque, da un lato, recepisce la trasformazione avvenuta nel costume e nella coscienza comune e, dall'altro, prende atto della circostanza che per tutte le finalità di legge – amministrative, fiscali, previdenziali, sanitarie e giudiziarie – il cognome originario della moglie è l'unico che rileva ai fini dell'identificazione della persona; ciò soprattutto in conseguenza dell'introduzione nel nostro ordinamento del codice fiscale, che, come è noto, non cambia con il matrimonio, e della sua progressiva affermazione in tutti i campi sopra indicati come strumento principe per l'identificazione dei soggetti in atti o per fatti giuridicamente rilevanti.
La proposta di legge, composta di cinque articoli, interviene esclusivamente sulle disposizioni di legge in materia di cognome della moglie, con l'intento di rimuovere dall'ordinamento italiano ogni traccia dell'istituto della potestà maritale.
L'articolo 1, comma 1, della presente proposta di legge sostituisce l'articolo 143-bis del codice civile, stabilendo che ciascun coniuge conserva il proprio cognome nel matrimonio. Con il comma 2 si abroga l'articolo 156-bis del codice civile, che prevede il divieto imposto dal giudice alla moglie di usare il cognome del marito quando tale uso sia fortemente pregiudizievole; tale abrogazione è resa necessaria dalla riformulazione dell'articolo 143-bis. Lo stesso dicasi dell'abrogazione dell'articolo 5, commi secondo, terzo e quarto, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (legge sul divorzio), operata dall'articolo 1, comma 3, della presente proposta di legge, ai sensi dei quali la donna, a seguito dell'emissione della sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio (secondo comma); il tribunale, con la suddetta sentenza, può autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela (terzo comma); tale decisione può essere modificata con successiva sentenza per motivi di particolare gravità, su istanza di una delle parti (quarto comma).
Con l'articolo 2 si stabilisce che, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, siano apportate le necessarie modificazioni al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, in materia di ordinamento dello stato civile.
L'articolo 3, dettando disposizioni transitorie, sancisce che, in caso di matrimonio antecedente alla data di entrata in vigore della legge, la moglie può conservare, aggiunto al proprio, il cognome del marito oppure, mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile, perderlo.
L'articolo 4 prevede che dall'attuazione delle disposizioni della legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Cognome dei coniugi)
1. L'articolo 143-bis del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 143-bis. – (Cognome dei coniugi) – Ciascun coniuge conserva il proprio cognome».
2. L'articolo 156-bis del codice civile è abrogato.
3. I commi secondo, terzo e quarto dell'articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, sono abrogati.
Art. 2.
(Adeguamento del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396)
1. Con regolamento da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono apportate al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, in materia di ordinamento dello stato civile, le modificazioni necessarie al suo adeguamento alle disposizioni di cui alla presente legge.
Art. 3.
(Disposizioni transitorie)
1. In caso di matrimonio antecedente alla data di entrata in vigore della presente legge, la moglie può conservare, aggiunto al proprio, il cognome del marito ovvero rinunciarvi mediante dichiarazione all'ufficiale dello stato civile.
Art. 4.
(Clausola di invarianza finanziaria)
1. Dall'attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.