FRONTESPIZIO

RELAZIONE

PROGETTO DI LEGGE
                        Articolo 1
                        Articolo 2
                        Articolo 3
                        Articolo 4
                        Articolo 5
                        Articolo 6

XVIII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

N. 1690

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
PORCHIETTO, BARELLI, BENDINELLI, CARRARA, DELLA FRERA, FIORINI, POLIDORI, SQUERI

Misure per il contrasto della dispersione del patrimonio industriale e produttivo nazionale e delega al Governo per l'integrazione della disciplina in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori di rilevanza strategica

Presentata il 20 marzo 2019

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  Onorevoli Colleghi! – La presente proposta di legge intende porre un freno all'acquisizione delle imprese italiane da parte di soggetti esteri, che stanno sottraendo al patrimonio produttivo nazionale risorse, competenze, know how, brevetti, marchi, licenze e persino linee di produzione, per lasciare morire quel che resta, in danno dell'occupazione e del sistema produttivo nazionale.
  L'articolo 1 interviene su una questione non affrontata dal decreto-legge n. 87 del 2018 (cosiddetto «decreto dignità»), convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2018, n. 96, e che riguarda la tutela delle aziende italiane di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese, nonché di know how produttivo e di proprietà di marchi, brevetti, modelli o disegni protetti da diritti di proprietà intellettuale. Si prevede la possibilità di assumere partecipazioni nelle suddette società da parte di Cassa depositi e prestiti Spa.
  Per evitare che questo tipo di intervento si trasformi in un salvataggio di imprese in crisi, si prevede che le stesse risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività o di crescita.
  Questa disposizione è mutuata dall'articolo 7 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2011, n. 75, approvato dal Governo Berlusconi per tentare di salvare la Parmalat, ma che non diventò operativo a causa della mancata adozione del relativo decreto attuativo.
  All'articolo 2 si prevede la possibilità per le regioni, anche per il tramite di società da esse partecipate, di assumere partecipazioni in società di rilevante interesse regionale, con particolare riferimento alle piccole e medie imprese innovative o che rivestono un ruolo determinante nelle filiere produttive regionali, ovvero di assumere la gestione temporanea di parte del patrimonio produttivo materiale o immateriale dell'impresa, per il tempo strettamente necessario ad assicurarne la conservazione o la migliore collocazione sul mercato, fatta salva la sostenibilità economica. Questa norma è mutuata dalla esperienza della regione Piemonte che ha temporaneamente acquisito i marchi e i brevetti della Sandretto Industrie, specializzata nella produzione di presse, per evitarne l'espropriazione o la dispersione.
  Altro elemento di novità è costituito dal fatto che l'intervento può essere richiesto dalle rappresentanze, anche aziendali, dei lavoratori ovvero dalle organizzazioni imprenditoriali e dagli enti locali interessati, presentando specifica documentazione ai competenti organi della regione.
  Con riferimento alle norme anti-delocalizzazione, contenute negli articoli da 5 a 7 del «decreto dignità», si rileva la mancanza di una disposizione di contrasto alla delocalizzazione verso Stati membri dell'Unione europea o aderenti allo Spazio economico europeo ovvero nei casi in cui manchino contributi dello Stato in conto capitale da recuperare.
  L'articolo 3, quindi, introduce una nuova fattispecie prevedendo una specifica procedura nei casi di delocalizzazione, intra ed extra UE, al di fuori dai casi previsti dagli articoli da 5 a 7 del citato decreto disponendo che, prima che la delocalizzazione avvenga, il Ministro dello sviluppo economico avvia un tavolo di concertazione con l'impresa oggetto di delocalizzazione, le amministrazioni e gli enti territoriali interessati, nonché con i rappresentanti dei lavoratori, al fine di individuare soluzioni alternative, con il prioritario obiettivo di mantenere i livelli occupazionali.
  In caso di dumping sociale (definito come «delocalizzazione per motivi afferenti al minor costo del lavoro o alle minori tutele dei lavoratori in essere nello Stato di nuovo insediamento»), il Ministero dello sviluppo economico può sospendere la delocalizzazione per sei mesi, al fine di verificare se tali comportamenti si configurino come una violazione dei princìpi di libera concorrenza stabiliti dai Trattati europei.
  La questione del dumping sociale andrebbe affrontata in sede di Unione europea al fine di definire compiutamente il pilastro europeo dei diritti sociali, accelerando la convergenza verso l'alto degli Stati membri e includendo i diritti sociali del lavoro nei Trattati europei, in modo da renderli vincolanti per gli Stati membri.
  Secondo uno studio dell'Università Cattolica di Milano, la Romania è il Paese dell'Unione europea che ha attratto il maggior numero di operazioni di delocalizzazione di imprese italiane, con concentrazioni soprattutto nei settori manifatturiero, meccanico, dell'arredamento, dei servizi alle imprese e, addirittura, alimentare. Nel settore manifatturiero, in molti casi, le imprese mantengono in Italia la sola attività di ricerca e sviluppo.
  L'ingresso della Romania nell'Unione europea, nel 2007, ha favorito la delocalizzazione di oltre 30 mila imprese italiane, soprattutto perché il costo del lavoro è cinque volte inferiore a quello rilevato in Italia.
  L'articolo 4 opera una riforma, da più parti auspicata e mai realizzata, del golden power, riformato, a seguito delle osservazioni dell'Unione europea, con il decreto-legge n. 21 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, del Governo Monti, in pieno regime di sudditanza del nostro Paese alla cosiddetta «dittatura» dello spread. Quella riforma del golden power non ha potuto evitare la svendita di numerosi asset, seppure non strategici sotto il profilo della difesa e della sicurezza nazionale o nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, ma in ogni caso rilevantissimi sotto il profilo della operatività, dei livelli occupazionali, dell'entità di fatturato, ovvero in termini di ricadute per il sistema economico e produttivo del Paese. Ci si riferisce alle imprese operanti nel settore del credito, ma soprattutto del made in Italy.
  Secondo la relazione trasmessa al Parlamento «in materia di esercizio dei poteri speciali» dal Ministro per i rapporti col Parlamento e redatta dal Comitato di coordinamento per l'esercizio dei poteri speciali (Doc. CCXLIX, n. 1, della XVII legislatura) il golden power si è rivelato un'arma spuntata. Il bilancio pubblicato dal Governo mette in luce tutte le fragilità di una normativa che appare inadeguata in una fase storica dominata da un'ondata di investimenti esteri. Nel periodo indicato sono stati emanati solo due decreti con prescrizioni su trenta operazioni notificate e mai si è arrivati a porre il veto. Circa il 47 per cento delle notifiche ha riguardato operazioni nel settore della difesa e della sicurezza nazionale, il 23 per cento le comunicazioni, il 17 per cento l'energia, il 13 per cento i trasporti.
  Secondo il Comitato, l'attuale meccanismo «entra in gioco in maniera tardiva e cioè solo a seguito di decisioni già programmate e/o assunte dalle aziende». Il rapporto «ritiene auspicabile perseguire obiettivi atti ad indirizzare ed accompagnare le scelte più importanti della vita di una società». L'obiettivo deve essere quello di «(...) assicurare continuità alla protezione degli assetti strategici nazionali attraverso la tutela nei confronti di manovre acquisitive che sottendono all'obiettivo di sottrarre tecnologie e know how industriale e commerciale essenziale per la competitività del sistema Italia». Il mondo sta cambiando velocemente e anche gli strumenti di difesa devono aggiornarsi, come del resto stanno facendo competitor come Germania e Regno Unito. Lo squilibrio in termini di fusioni e acquisizioni (merger and acquisitions) è nei numeri e merita di essere approfondito.
  Il citato decreto-legge n. 21 del 2012 prevedeva che i provvedimenti attuativi fossero aggiornati ogni tre anni e, pertanto, la normativa doveva essere aggiornata nel 2017, ma ciò non è avvenuto. Stando alle dichiarazioni di membri del Governo relative al periodo in cui l'operazione Mediaset-Vivendi era all'attenzione della pubblica opinione, si sarebbero potuti estendere il campo di applicazione e le modalità di esercizio del golden power, ad esempio prevedendo una fase negoziale tra il Governo e l'investitore estero per confrontarsi sui piani produttivi. Si puntava, in particolare, a ottenere garanzie sulla permanenza in Italia degli asset produttivi strategici, delle competenze e dei posti di lavoro o a fissare nuovi obblighi, in modo particolare per le operazioni di fonte extra UE o effettuate da imprese di Paesi che non rientrano tra le economie di mercato.
  Il Governo affermava che «(...) si valuta l'opportunità di introdurre una regolamentazione che incrementi gli obblighi di trasparenza a carico degli acquirenti, esaminando anche le normative vigenti in altri Paesi e nell'Ocse».
  Si ritiene possibile l'introduzione di una norma ispirata alla SEC, l'autorità di Borsa americana, nella quale si impone all'investitore che supera l'acquisto del 5 per cento di fornire alla Consob un'informativa dettagliata sui piani di investimento, quanto meno in situazioni strategiche o di potenziale conflitto di interessi.
  Assistere, oggi, alla cessione, alla svendita o al trasferimento di imprese rilevanti non solo dal punto di vista occupazionale e di sviluppo dell'indotto, ma persino di quelle operanti in settori definiti strategici, come Telecom Italia, dimostra come l'azione dell'Esecutivo sia insufficiente rispetto alla deindustrializzazione che si sta verificando nel nostro Paese e che occorre adottare nuove e straordinarie misure a tutela del tessuto produttivo, del risparmio degli italiani, del know how, nonché della base occupazionale.
  Si ricorda, a tale proposito, che la Francia dispone di norme che consentono alle imprese che producono di dichiarare strategici anche profumi e formaggi.
  Conclusivamente, è impressionante la serie di acquisizioni di imprese italiane da parte di imprenditori esteri elencate nella relazione presentata dal Comitato di coordinamento per l'esercizio dei poteri speciali, che a questo riguardo non è riferita all'anno 2016, ma si limita agli anni 2014-2015. Si riporta testualmente: «Nel 2014-2015 sono state acquistate da soggetti esteri tra l'altro imprese siderurgiche italiane (Acciaierie di Terni dalla Germania e di Piombino dall'Algeria), di telefonia (Telecom Italia dalla Francia e Wind dalla Russia), industriali (Pirelli dalla Cina, Italcementi dalla Germania, Indesit dagli USA), farmaceutiche (Rottapharm dalla Svezia, Sorin dagli USA, Sigma-Tau Pharma Ltd. dagli USA e Gentium S.p.a. dall'Irlanda), finanziarie (Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane S.p.a. dagli USA, BSI – Banca della Svizzera Italiana dal Brasile), della moda e del lusso (Krizia dalla Cina, oltre a numerose operazioni negli anni precedenti da Francia e paesi arabi in particolare), alimentari (numerose operazioni di dimensioni minori), oltre all'acquisto di quote percentuali limitate ma significative in volume di investimenti di società industriali, finanziarie e bancarie da parte della State Administration of Foreign Exchange cinese e della People's Bank of China (ENI, ENEL, FCA, Telecom Italia, Prysmian, Mediobanca, Generali, Saipem, Terna, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banca Monte dei Paschi di Siena)». Basta ricercare la parola «delocalizzazione» nella banca dati degli atti del sindacato ispettivo del Parlamento Italiano, per rendersi conto della gravità della situazione.
  All'articolo 5 si affronta il cosiddetto «patent box», introdotto dal legislatore al fine di favorire gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo in Italia, incentivando la collocazione e il mantenimento nel nostro Paese dei beni immateriali, evitandone la ricollocazione all'estero verso regimi fiscali più favorevoli.
  L'articolo 56 del decreto-legge n. 50 del 2017, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 96 del 2017, ha previsto l'esclusione dei marchi d'impresa dall'agevolazione del patent box.
  Tale esclusione era volta ad allineare la disciplina di tale agevolazione alle linee guida dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e, in particolare, alle raccomandazioni contenute nel documento «Countering Harmful Tax Practices More Effectively, Taking into Account Transparency and Substance», che costituisce l'azione 5 del Base Erosion and profit shifting, Final report 2015.
  In tale documento veniva esplicitamente indicato che i marchi d'impresa devono essere esclusi dai regimi fiscali agevolati aventi a oggetto beni immateriali, dato che tali beni intangibili si potrebbero prestare maggiormente a pratiche elusive e di delocalizzazione dei redditi, ad essi riferiti, dai Paesi dove sono stati generati verso altri Paesi con fiscalità agevolata.
  Tra i limiti fissati dall'OCSE per evitare abusi spicca, in particolare, il cosiddetto «nexus approach»: significa che i vantaggi fiscali sono ammissibili solo quando c'è una connessione diretta (in latino, nexus) tra redditi d'impresa e le innovazioni. Ne sono esempi tipici l'industria farmaceutica che brevetta un nuovo medicinale dopo anni di costose ricerche, la fabbrica di auto che inventa un motore meno inquinante, la casa di moda che crea un nuovo tipo di tessuto.
  Dopo le modifiche del 2017, nel report dell'OCSE «Harmful Tax practices – 2017 Progress Report on Preferential Regimes», pubblicato il 16 ottobre 2017, il patent box italiano non è più classificato come dannoso.
  Tuttavia, il marchio rientra a pieno titolo tra i beni intangibili delle aziende, che sempre più investono nella sua valorizzazione, e il livello di riconoscimento da parte dei consumatori ha un effettivo valore in termini economici.
  Tutto questo è definibile con il concetto di «brand»: più che un marchio è un modo di essere, di distinguersi, di pensare, di costruire fiducia, attività che sono poste in essere per «fidelizzare» il cliente finale.
  A tale proposito, con la pronuncia C-323/09, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha sottolineato che la funzione di indicazione d'origine del marchio non è l'unica meritevole di tutela contro le violazioni da parte di terzi. Spesso – afferma la Corte – il marchio rappresenta uno strumento di strategia commerciale, utilizzato, soprattutto, a fini pubblicitari o per acquisire una reputazione, allo scopo di rendere fedele il consumatore. La Corte in questa pronuncia esamina la tutela della funzione di investimento del marchio.
  Riteniamo, quindi, che ci possano essere margini per un reinserimento dei marchi, a certe condizioni, tra i beni intangibili che possono beneficiare del regime fiscale agevolato previsto dalla normativa del patent box, cercando un allineamento virtuoso dell'ordinamento italiano alle richiamate raccomandazioni dell'OCSE.
  Il legislatore italiano si era già posto, nel formulare i commi da 37 a 45 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità per il 2015), il problema relativo all'inserimento dei marchi tra i beni agevolabili, in virtù del loro rilevante valore per la presenza nel nostro Paese del made in Italy, cercando di attenuare il più possibile i profili di contrasto con le raccomandazioni dell'OCSE, che prevedono di escluderli dal campo di applicazione di specifici regimi fiscali agevolativi.
  Non a caso, la legge n. 190 del 2014, che ha introdotto il patent box in Italia, prevedeva, in un primo momento, l'applicabilità del regime fiscale di favore solo ai redditi derivanti dai marchi «funzionalmente equivalenti ai brevetti». La relazione illustrativa chiariva che tale requisito ricorre «quando il loro mantenimento, accrescimento o sviluppo richiede il sostenimento di spese per attività di ricerca e sviluppo». In questo modo, erano esclusi dal regime del patent box i marchi puramente commerciali. Tuttavia, a soli 24 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità per il 2015, il Governo Renzi è intervenuto modificando tale impostazione con il decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2015, n. 33, meglio conosciuto come «decreto investment compact». Tale decreto, tra le altre modifiche introdotte alla normativa del patent box, ha anche esteso il regime fiscale di favore a tutte le tipologie di marchi, inclusi quelli commerciali, superando in questo modo la limitazione ai marchi d'impresa funzionalmente equivalenti ai brevetti.
  Tale disposizione violava le regole OCSE e, di conseguenza, l'articolo 56 del decreto-legge n. 50 del 2017 del Governo Gentiloni escluse del tutto, ma non avrebbe dovuto, i marchi dal regime agevolativo.
  Secondo quanto riferito da notizie di stampa (http://espresso.repubblica.it/attualità/2017/09/15/news/cosa-c-e-dentro-il-patent-box-1.310154) con il patent box il Governo Renzi avrebbe scontato le tasse alle multinazionali: «I vantaggi fiscali sono stati enormi. Ma la lista di chi ne ha approfittato è ancora segreta. Dalle carte riservate dell'Unione europea emerge che nel 2015 l'Italia ha dimezzato le imposte ai grandi gruppi multinazionali». Nella riunione del gruppo tecnico tenutasi l'otto giugno 2017, la Germania, in particolare, ha chiesto a Roma di fornire a Bruxelles i nomi delle aziende beneficiate e di quantificare esattamente i vantaggi fiscali collegati al patent box: i funzionari di Berlino hanno sottolineato che le multinazionali che hanno già siglato accordi con il fisco italiano «potranno continuare ad avvantaggiarsi anche delle norme poi abolite fino al giugno 2021».
  La presente proposta di legge intende riproporre l'originaria disposizione della legge di stabilità per il 2015, prevedendo che il regime del patent box si applichi ai marchi d'impresa funzionalmente equivalenti ai brevetti, demandando poi a un decreto attuativo l'individuazione delle tipologie di marchi escluse dall'ambito di applicazione, estendendolo quindi alle opere di ingegno, come prevedeva la norma originaria.
  Inoltre, si reintroduce il comma 42-ter, introdotto dalla legge di stabilità per il 2016 e poi abrogato dal decreto-legge n. 50 del 2017, che estende il patent box al regime di complementarità, definito come «più beni utilizzati ai fini della realizzazione di un prodotto o di una famiglia di prodotti o di un processo o di un gruppo di processi». In sede di introduzione della norma la relazione del Governo affermava che tale disposizione costituiva «una semplificazione procedurale che non comporta effetti finanziari». Tuttavia, nell'eliminare i marchi dal regime agevolativo, ingenerava problemi applicativi; poiché in questa sede si reintroducono i marchi «virtuosi», è opportuno ripristinarla. Le nuove disposizioni si applicano a decorrere dal periodo d'imposta 2019.
  Nel complesso, l'articolo 5 favorisce la permanenza dei marchi produttivi e di quelli che fanno riferimento al made in Italy nel territorio nazionale.
  Questa è l'unica norma, tra quelle proposte, che necessita di una copertura per gli effetti finanziari, il cui ammontare è stimato sulla base di quanto indicato nella relazione del Servizio per il bilancio dello Stato della Camera dei deputati sul decreto-legge n. 3 del 2015, il quale, basandosi sulla relazione tecnica, ascriveva al patent box comprensivo di tutte le tipologie di marchio minori entrate pari a circa 230-250 milioni di euro l'anno. Tenuto conto che la disposizione di cui alla presente proposta di legge reca la sola estensione del patent box ai marchi «virtuosi», alle opere di ingegno e al regime di complementarità, si ritiene che le minori entrate possono stimarsi in circa 60 milioni di euro annui.

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Misure di contrasto alla dispersione del patrimonio industriale e produttivo nazionale)

  1. Nell'ambito delle attività previste dai commi 7 e 8 dell'articolo 5 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, la Cassa depositi e prestiti Spa (CDP) può assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese, nonché di know how produttivo e di proprietà di marchi, brevetti, modelli o disegni protetti da diritti di proprietà intellettuale. Le medesime partecipazioni possono essere acquisite anche attraverso veicoli societari o fondi di investimento partecipati da CDP ed eventualmente da società controllate dallo Stato o da enti pubblici.
  2. Le partecipazioni nelle società individuate ai sensi del comma 1 sono consentite per il tempo strettamente necessario ad assicurarne la conservazione o la migliore collocazione sul mercato e a condizione che esse risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività o di crescita.
  3. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti i limiti e le modalità di attuazione del comma 1. Lo schema di decreto è inviato alle competenti Commissioni parlamentari, che si esprimono entro il termine di trenta giorni.
  4. L'articolo 7 del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2011, n. 75, è abrogato.

Art. 2.
(Misure di contrasto alla dispersione del patrimonio industriale e produttivo regionale)

  1. Al fine di salvaguardare il proprio patrimonio produttivo, le regioni possono assumere, anche per il tramite di società da esse partecipate, partecipazioni in società ritenute di rilevante interesse regionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricaduta per il sistema economico-produttivo regionale, anche con riferimento alle piccole e medie imprese innovative o che rivestano un ruolo determinante nelle filiere produttive regionali.
  2. Le partecipazioni nelle società di cui al comma 1 sono ammesse, previa adozione da parte della regione di specifiche disposizioni di attuazione che indicano gli obiettivi, le procedure e i limiti, per il tempo strettamente necessario ad assicurarne la conservazione o la migliore collocazione sul mercato e a condizione che le società risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività o di crescita.
  3. L'intervento della regione può riguardare, altresì, la gestione temporanea, in tutto o in parte, del patrimonio produttivo materiale o immateriale delle società di cui al comma 1.
  4. L'intervento della regione può essere richiesto, previa presentazione di specifica documentazione che ne giustifica la necessità all'organo competente individuato dalle disposizioni di attuazione di cui al comma 2, dalle rappresentanze, anche aziendali, dei lavoratori ovvero dalle organizzazioni imprenditoriali o dagli enti locali interessati.

Art. 3.
(Modifiche al decreto-legge n. 87 del 2018, concernenti l'adozione di ulteriori misure di contrasto alla delocalizzazione produttiva)

  1. Al decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2018, n. 96, dopo l'articolo 7 è inserito il seguente:

   «Art. 7-bis. – (Ulteriori misure di contrasto alla delocalizzazione produttiva)1. Fuori dai casi previsti dagli articoli 5, 6 e 7 e fermi restando i vincoli derivanti dalla normativa dell'Unione europea, prima che l'impresa proceda alla delocalizzazione in Stati membri dell'Unione europea o aderenti allo Spazio economico europeo, il Ministro dello sviluppo economico avvia un tavolo di concertazione con l'impresa medesima, le amministrazioni e gli enti territoriali interessati, nonché con i rappresentanti dei lavoratori, anche su loro istanza motivata, al fine di individuare soluzioni alternative alla delocalizzazione, dando priorità al mantenimento dei livelli occupazionali e delle strutture produttive.
   2. Qualora, in sede di tavolo di concertazione, sia accertato che la delocalizzazione non avviene a fini di miglioramento dei processi produttivi, ma in ragione dei benefìci derivanti dal minore costo del lavoro o dalle minori tutele riconosciute ai lavoratori dello Stato di nuovo insediamento, il Ministro dello sviluppo economico, ove ne ricorrano i presupposti, può sospendere la delocalizzazione per un massimo di sei mesi, al fine di verificare se tali comportamenti configurino una violazione del principio di libera concorrenza stabilito dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea».

Art. 4.
(Delega al Governo per la modifica dei poteri speciali sugli assetti societari)

  1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi al fine di modificare il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, in materia di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

   a) prevedere che i poteri speciali siano anche di tipo preventivo;

   b) introdurre l'obbligo di notificazione preventiva a carico dei soggetti che intendono acquisire partecipazioni nelle società ritenute strategiche ai sensi dell'articolo 1 della presente legge, nonché nelle società operanti nei settori di cui all'articolo 2 del citato decreto-legge n. 21 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 56 del 2012;

   c) prevedere che per le società ritenute strategiche ai sensi dell'articolo 1 del citato decreto-legge n. 21 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 56 del 2012, sia indispensabile il mantenimento sul territorio nazionale delle strutture societarie e produttive;

   d) prevedere che i poteri speciali sulle società strategiche partecipate dal Ministero dell'economia e delle finanze siano estesi anche alle società partecipate dalla Cassa depositi e prestiti Spa operanti nel medesimo settore;

   e) estendere i poteri speciali di cui all'articolo 2 del citato decreto-legge n. 21 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 56 del 2012, alle società operanti nel settore della finanza e del credito che detengano attivi rilevanti come definiti dall'articolo 6, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 1024/2013 del Consiglio, del 15 ottobre 2013, nonché alle società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese, con particolare riferimento alle società ritenute rilevanti nel settore del made in Italy manifatturiero, agroalimentare e della moda, nonché alle imprese operanti nell'ambito della realizzazione o della gestione delle opere infrastrutturali, in possesso di know how ritenuto strategico;

   f) definire una procedura negoziale tra il Governo e l'investitore straniero al fine di valutare i piani produttivi e di ottenere garanzie sulla permanenza in Italia degli asset produttivi strategici e delle competenze, nonché sul mantenimento dei posti di lavoro;

   g) prevedere la nullità delle operazioni di acquisto, delle delibere e degli atti adottati in violazione dell'obbligo di notificazione preventiva di cui alla lettera b) o carenti degli elementi da comunicare, nonché introdurre specifiche sanzioni, in particolare nella forma del ripristino della situazione anteriore a spese del soggetto inadempiente;

   h) introdurre l'obbligo della notificazione preventiva di cui alla lettera b) del presente comma anche per le acquisizioni societarie da parte di soggetti esterni all'Unione europea, tramite le quali si superi la quota del 5 per cento delle azioni con diritto di voto, nelle società individuate ai sensi dell'articolo 2 del citato decreto-legge n. 21 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 56 del 2012;

   i) prevedere che le notificazioni preventive di cui alle lettere b) e h) siano trasmesse alle Camere.

  2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della difesa, con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell'interno.
  3. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi alle Camere per l'espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, da rendere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Decorso tale termine i decreti possono essere comunque adottati.

Art. 5.
(Estensione dell'applicazione del patent box ai marchi funzionalmente equivalenti ai brevetti e alle opere di ingegno)

  1. All'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, sono apportate le seguenti modificazioni:

   a) il primo periodo del comma 39 è sostituito dal seguente: «I redditi dei soggetti indicati al comma 37 derivanti dall'utilizzo di opere dell'ingegno, di software protetto da copyright, da brevetti industriali, da marchi d'impresa funzionalmente equivalenti ai brevetti, da disegni e modelli, nonché da processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili, non concorrono a formare il reddito complessivo in quanto esclusi per il 50 per cento del relativo ammontare»;

   b) il comma 44 è sostituito dal seguente:

   «44. Con decreto di natura non regolamentare del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sono adottate le disposizioni attuative dei commi da 37 a 43, anche al fine di individuare le tipologie di marchi escluse dall'ambito di applicazione del comma 39 e di definire gli elementi del rapporto di cui al comma 42».

  2. La lettera c) del comma 1 dell'articolo 56 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, è abrogata. Il comma 42-ter dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, riacquista efficacia nel testo vigente prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 50 del 2017.
  3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 entrano in vigore a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019. I soggetti che usufruiscono del regime agevolato vigente prima della data di entrata in vigore della presente legge possono chiederne la revisione, mantenendo, sino a quando questa venga concessa, il regime precedente. In caso di revisione del regime agevolato, l'estensione dell'agevolazione si applica sino alla scadenza del regime precedente.
  4. Al fine di favorire l'applicazione del regime agevolativo previsto dai commi da 37 a 45 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, al settore delle ricerca, nonché alle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo, relative all'ampliamento del regime all'utilizzo di opere dell'ingegno e di marchi d'impresa funzionalmente equivalenti ai brevetti, con individuazione delle tipologie di marchi escluse dall'ambito di applicazione del comma 39, il Ministero dell'economia e delle finanze provvede alla modifica del decreto di natura non regolamentare previsto al comma 44 dell'articolo 1 della citata legge n. 190 n. 2014, entro il termine di trenta giorni dalla data di entrata di entrata in vigore della presente legge.

Art. 6.
(Copertura finanziaria)

  1. Agli oneri derivanti dall'attuazione della presente legge, pari a 80 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2019, si provvede ai sensi del comma 2.
  2. Al fine di dare piena attuazione alle disposizioni concernenti la razionalizzazione e la revisione della spesa pubblica per consumi intermedi per l'acquisto di beni, servizi e forniture, di cui al decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, a decorrere dal 1° gennaio 2020 le amministrazioni pubbliche hanno l'obbligo di procedere all'acquisto di beni, servizi e forniture esclusivamente tramite convenzioni e accordi quadro messi a disposizione da Consip Spa e dalle centrali di committenza regionali, al fine di garantire una riduzione delle relative spese per un importo pari a 80 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2019. Al di fuori delle modalità di approvvigionamento previste dal presente comma, le amministrazioni pubbliche possono stipulare contratti di acquisto a condizione che i corrispettivi applicati siano inferiori a quelli indicati nelle convenzioni e negli accordi quadro messi a disposizione da Consip Spa e dalle centrali di committenza regionali.

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