Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Giustizia |
Titolo: | Accesso ai benefici penitenziari per i condannati per reati c.d. ostativi |
Riferimenti: | AC N.1951/XVIII AC N.3106/XVIII AC N.3184/XVIII |
Serie: | Progetti di legge Numero: 470 |
Data: | 04/08/2021 |
Organi della Camera: | II Giustizia |
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Camera dei deputati |
XVIII LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Accesso ai benefici penitenziari per i condannati per reati c.d. ostativi
AA.C. 1951, 3106 e 3184 |
Schede di lettura
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n. 470 |
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4 agosto 2021 |
Servizio responsabile: |
Servizio Studi – Dipartimento Giustizia
( 066760-9148 – * st_giustizia@camera.it -
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File:
gi0175.docx
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INDICE
§
L’articolo 4-bis della legge sull’Ordinamento penitenziario
Contenuto delle proposte di legge
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La proposta C. 1951 (Bruno Bossio)
§
La proposta C. 3106 (Ferraresi)
§
La proposta C. 3184 (Delmastro Delle Vedove)
Le proposte di legge C. 1951, C. 3106 e C. 3184, all’esame della Commissione, intervengono in materia di accesso ai benefici penitenziari per i detenuti condannati per i reati c.d. ostativi di cui all’articolo 4-bis della legge sull’ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975), che non collaborino con la giustizia.
L’articolo 4-bis, come è noto, è stato introdotto nell’ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) dal decreto-legge n. 152 del 1991, e immediatamente modificato - dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio - dal decreto-legge n. 306 del 1992. La disposizione ha subito nel tempo ricorrenti modifiche, ed è stata oggetto di numerose sentenze di illegittimità costituzionale (v. infra).
La peculiare ratio di tale disciplina è quella di differenziare il trattamento penitenziario dei condannati per reati di criminalità organizzata o altri gravi delitti, dal trattamento dei condannati “comuni”, subordinando l’accesso alle misure premiali e alternative previste dall’ordinamento penitenziario a determinate condizioni.
In particolare, il comma 1 dell'art. 4 bis OP elenca una serie di delitti indicati come ostativi: l'espiazione di una condanna relativa a tali delitti, infatti, non consente la concessione delle misure dell'assegnazione al lavoro all'esterno, dei permessi premio (v. infra paragrafo sulla giurisprudenza della Corte costituzionale) e delle misure alternative alla detenzione previste dal capo VI OP, esclusa la liberazione anticipata. Per effetto dell'art. 2 del citato decreto-legge n. 152 del 1991 il regime restrittivo per l’accesso ai benefici penitenziari, previsto all’art. 4-bis., si estende anche al regime della liberazione condizionale.
L’art. 2 del D.L. n. 152 del 1991 (convertito dalla L. n. 203 del 1991), infatti, per l'ammissione alla liberazione condizionale dei condannati per uno dei delitti di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater, impone gli stessi requisiti previsti dal menzionato art. 4-bis per l'accesso ai benefici penitenziari.
Questa condizione giuridica è superabile soltanto in presenza di un’avvenuta collaborazione con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter OP.
L’art. 58-ter OP, infatti, nel definire il comportamento dei collaboranti, accosta sotto la stessa nozione di “collaborazione con la giustizia” due diversi tipi di condotta: essersi adoperati per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori; aver aiutato concretamente l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione o la cattura degli autori di reato, inquadrabile nel tipo della collaborazione processuale.
Si tratta, come ha specificato la Corte costituzionale di una «disposizione speciale, di carattere restrittivo, in tema di concessione dei benefici penitenziari a determinate categorie di detenuti o internati, che si presumono socialmente pericolosi unicamente in ragione del titolo di reato per il quale la detenzione o l'internamento sono stati disposti» (sentenza n. 239 del 2014).
I c.d. delitti ostativi, elencati dall’articolo 4-bis, comma 1, sono i seguenti:
Ø delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;
Ø associazione di tipo mafioso ex art. 416-bis e 416-ter c.p. e delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività di tali associazioni;
Ø riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600, c.p.);
Ø induzione o sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-bis, comma 1, c.p.);
Ø produzione e commercio di materiale pornografico minorile (art. 600-ter, commi 1 e 2, c.p.);
Ø tratta di persone (art. 601, c.p.);
Ø acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.);
Ø violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies, c.p.);
Ø sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.);
Ø delitti relativi all’immigrazione clandestina (art. 12 t.u. immigrazione);
Ø associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater, T.U. dogane);
Ø associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74, T.U. stupefacenti);
Da ultimo, per effetto della legge n. 3 del 2019 (c.d. legge Spazzacorrotti), al catalogo di reati ostativi sono stati aggiunti taluni delitti contro la pubblica amministrazione: peculato (art. 314 c.p.); concussione (art. 317 c.p.); corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.); corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.); corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.); induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.); corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (art. 320 c.p.); istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.); delitti di cui all’art. 322-bis c.p. per le ipotesi di reato di cui sopra ivi richiamate (il richiamo all’art. 322-bis c.p. va riferito ai delitti di concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri delle Corti internazionali o degli organi delle Comunità europee o di assemblee parlamentari internazionali o di organizzazioni internazionali e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri).
Per i sopra elencati delitti, in caso di assenza di collaborazione con la giustizia vige la presunzione assoluta di immanenza dei collegamenti: l'assenza di un’utile collaborazione fa presumere l'attualità dei collegamenti e, conseguentemente, l'immanenza della pericolosità sociale, senza che la magistratura di sorveglianza possa valutare il percorso rieducativo intrapreso dal condannato durante l'esecuzione della pena.
Come mette in luce la sentenza n. 239 del 2014 della Corte Costituzionale, la disciplina poggia sulla presunzione legislativa che la commissione di determinati delitti dimostri l'appartenenza dell'autore alla criminalità organizzata, o il suo collegamento con la stessa, e costituisca, quindi, un indice di pericolosità sociale incompatibile con l'ammissione del condannato ai benefici penitenziari extramurari. La scelta di collaborare con la giustizia viene correlativamente assunta come la sola idonea a rimuovere l'ostacolo alla concessione dei benefici indicati, in ragione della sua valenza "rescissoria" del legame con il sodalizio criminale. Per contro, la mancata collaborazione con la giustizia fonda la presunzione assoluta che i collegamenti con l'organizzazione criminale siano mantenuti ed attuali, ricavandosene la permanente pericolosità del condannato, con conseguente inaccessibilità ai benefici penitenziari normalmente disponibili agli altri detenuti.
Il comma 1-bis, dell’art. 4-bis, per gli stessi reati sopra elencati, prevede il superamento del divieto di ammissione ai benefici - purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva - altresì nelle due ipotesi di c.d. collaborazione impossibile o irrilevante e cioè nei casi:
· di impossibilità di un’utile collaborazione con la giustizia determinata dalla limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero dall'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile;
· in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti sia stata applicata la circostanza attenuante dell’avvenuto risarcimento del danno (art. 62, numero 6, c.p.), oppure quella della minima partecipazione al fatto (art.114 c.p.) ovvero se il reato è più grave di quello voluto (art. 116, secondo comma, c.p.)
Con riguardo al procedimento per la concessione dei benefici, si prevede (commi 2 e 3 dell’art. 4-bis) che il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza:
Ø debba acquisire dettagliate informazioni tramite il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato;
Ai sensi dell’art. 21 della legge n. 121 del 1981 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza) il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, è istituito presso la prefettura quale organo ausiliario di consulenza del prefetto per l'esercizio delle sue attribuzioni di autorità provinciale di pubblica sicurezza. Il comitato è presieduto dal prefetto ed è composto dal questore, dal sindaco del comune capoluogo e dal presidente della provincia, dai comandanti provinciali dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, e del Corpo forestale dello Stato, nonché dai sindaci degli altri comuni interessati, quando devono trattarsi questioni riferibili ai rispettivi ambiti territoriali. Il comma 2 dell’art. 4-bis ord. penit. Specifica che, al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a partecipare il direttore dell'istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto.
Ø decida trascorsi 30 giorni dalla richiesta delle informazioni; tale termine è prorogato di ulteriori 30 giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali, quando il suddetto comitato comunica al giudice di ritenere che sussistano particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali.
Inoltre, si prevede (comma 3-bis) che i benefici penitenziari non possono essere concessi) ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo o il Procuratore distrettuale comunichi, d'iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso non si applicano le procedure ordinarie (di cui ai sopra descritti commi 2 e 3).
Il comma 1-ter dell’art. 4-bis OP contiene un elenco dei delitti in relazione ai quali i benefici e le misure alternative possono essere concessi, salvo siano stati acquisiti elementi che indichino la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. In questi casi la preclusione dell’accesso ai benefici non si fonda su di un automatismo, ma sul vaglio della magistratura.
Si tratta dei seguenti delitti:
• omicidio (art. 575 c.p.);
• atti sessuali con minore ultraquattordicenne in cambio di denaro (art. 600-bis, secondo comma, c.p.);
• turismo sessuale minorile (art. 600-quinquies c.p.)
• rapina aggravata (art. 628, terzo comma);
• estorsione aggravata (art. 629, secondo comma c.p.);
• contrabbando aggravato di tabacchi (art. 291-ter, T.U. dogane);
• produzione, traffico e detenzione illecita di stupefacenti (art. 73 del T.U. stupefacenti), limitatamente alle ipotesi aggravate (art. 80 del T.U. stupefacenti);
• capi a promotori di associazioni a delinquere (art. 416 c.p.) finalizzate alla commissione dei delitti di contraffazione (art. 473 e 474 c.p.);
• associazione a delinquere (art. 416 c.p.) finalizzata alla commissione di delitti contro la personalità individuale (artt. da 600 a 604 c.p), di violenza sessuale (art. 609-bis, di atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.);
• associazione a delinquere finalizzata alla commissione di fattispecie aggravate del delitto di favoreggiamento dell’ingresso di immigrati clandestini (concorso di aggravanti, art. 12, comma 3-bis e traffico finalizzato alla prostituzione, art. 12, comma 3-ter)
• pornografia minorile (art. 600-ter)
• associazione a delinquere (art. 416 c.p.) finalizzata alla violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.)
• acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.)
• delitti di favoreggiamento e favoreggiamento aggravato dell’ingresso di immigrati clandestini (art. 12, commi 1 e 3, T.U. immigrazione)
Ai fini della concessione dei benefici per tali delitti il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore. In ogni caso il giudice decide trascorsi 30 giorni dalla richiesta delle informazioni (comma 2-bis dell’art. 4-bis).
Il comma 1-quater riguarda i casi in cui i benefici penitenziari possono essere concessi solo sulla base dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica.
Si tratta, nello specifico dei condannati detenuti o internati per reati in materia sessuale e precisamente per i delitti di prostituzione minorile (art. 600-bis c.p.), pornografia minorile (art. 600-ter c.p.), detenzione di materiale pornografico (art. 600 quater c.p.), turismo sessuale volto allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600 quinquies c.p.), violenza sessuale (art. 609-bis c.p.), violenza sessuale aggravata (art. 609-ter c.p.), atti sessuali con minorenni (609 quater c.p.), corruzione di minorenni (art. 609 quinquies c.p.),violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies c.p.) e adescamento di minorenni (art. 609-undecies c.p.).
Salva la presunzione di pericolosità per i delitti di cui al comma 1 dell’art. 4-bis, il comma 1-quinquies dell’art. 4-bis, ai fini della concessione dei benefici ai detenuti per i suddetti reati, prescrive al magistrato o al tribunale di sorveglianza di valutare eventuale positiva partecipazione del detenuto al programma di riabilitazione specifico per i condannati per reati sessuali in danno di minori (di cui all’art. 13-bis OP).
Nelle più recenti pronunce, la Corte costituzionale, nel ribadire il contrasto con il principio di uguaglianza delle presunzioni legislative assolute, laddove esse siano arbitrarie e irrazionali e non rispondenti ai dati di esperienza generalizzati riassunti nelle formula «id plerumque accidit» (sentenza n. 57 del 2013), ha conseguentemente affermato la necessità di attribuire al giudice il potere di valutare gli elementi del caso concreto per potere compiere una prognosi ragionevole circa l’idoneità di un determinato beneficio penitenziario a far proseguire il detenuto nel suo percorso di reinserimento (sentenze n. 466 del 1999, 355 del 2006 e 189 del 2010).
In particolare, nella sentenza n. 149 del 2018, la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 58-quater O.P. che prevedeva che i condannati all’ergastolo per il delitto di sequestro di persona che abbiano cagionato la morte del sequestrato non possono essere ammessi ad alcun beneficio se non abbiano effettivamente scontato almeno ventisei anni di pena. In tale sentenza la Corte ha ritenuto contrarie ai principi costituzionali di proporzionalità e individualizzazione della pena quelle previsioni che, in ragione della particolare gravità di alcuni reati, con automatismo assoluto, impediscono alla magistratura di sorveglianza di procedere a qualsiasi valutazione dei risultati ottenuti nel corso del suo percorso intra-muros dal detenuto rispetto ai quali non sussistono gli indizi di perdurante pericolosità sociale, privilegiando l’aspetto retributivo o di prevenzione generale della pena a detrimento della sua finalità di risocializzazione.
Con particolare riguardo all’articolo 4-bis, comma 1, dell’O.P. e alla preclusione assoluta di accesso al permesso premio (non degli altri benefici penitenziari indicati dalla stessa norma) da parte dei condannati – a pena perpetua oppure a pena temporanea – per i reati cosiddetti ostativi, con la sentenza n. 253 del 2019 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale articolo «nella parte in cui non prevede che – ai detenuti per i delitti di cui all’articolo 416-bis c.p. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste – possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia…, allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti». La Corte ha, altresì, esteso in via consequenziale, la dichiarazione di incostituzionalità dell’articolo 4-bis, comma 1, dell’O.P. anche ai detenuti per tutti gli altri delitti elencati nella norma.
Con la medesima sentenza la Corte ha sottolineato anche come la presunzione dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata (e della mancata rescissione dei collegamenti stessi), così come prevista dall’art. 4-bis, sia assoluta: non può essere superata se non dalla collaborazione stessa ed è proprio questo carattere assoluto a risultare in contrasto con gli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione. La Corte afferma che non è la presunzione in sé ad essere illegittima, non essendo irragionevole presumere che il condannato che non collabora abbia legami con l’associazione di appartenenza, purché la presunzione sia relativa e possa essere vinta da prova contraria, così rimanendo nei limiti di una scelta costituzionalmente compatibile con gli obiettivi di prevenzione sociale e di risocializzazione della pena.
Infine, nella recente ordinanza n. 97 del 2021 la Corte ha affrontato la questione del c.d. ergastolo ostativo, ossia della preclusione all’accesso al beneficio della liberazione condizionale per il condannato all'ergastolo per delitti di contesto mafioso, che non collabori utilmente con la giustizia.
La Corte era chiamata a giudicare della legittimità della disciplina contenuta negli artt. 4-bis, comma 1, e 58-ter dell’ordinamento penitenziario, nonché dell'art. 2 del D.L. n. 152 del 1991, per effetto del quale il regime restrittivo per l’accesso ai benefici penitenziari si estende anche alla liberazione condizionale.
In particolare, le norme portate all’esame della Consulta stabiliscono che i condannati all’ergastolo per reati di contesto mafioso, se non collaborano utilmente con la giustizia non possono essere ammessi al beneficio della cd. liberazione condizionale, che consiste in un periodo di libertà vigilata, a conclusione del quale, solo in caso di comportamento corretto, consegue l’estinzione della pena e la definitiva restituzione alla libertà. Possono invece accedere a tale beneficio, dopo aver scontato almeno 26 anni di carcere, tutti gli altri condannati alla pena perpetua, compresi quelli per delitti connessi all’attività di associazioni mafiose, i quali abbiano collaborato utilmente con la giustizia.
L’ordinanza di rimessione censurava le norme sopra indicate in quanto introducono, a carico del condannato per tali reati “ostativi”, che non collabora utilmente con la giustizia, una presunzione di mancata rescissione dei legami con la criminalità organizzata. In virtù di tale presunzione, assoluta - in quanto non superabile se non per effetto della stessa collaborazione - il complesso normativo oggetto di esame comporta che le richieste del detenuto di accedere alla liberazione condizionale siano dichiarate inammissibili, senza poter essere oggetto di un vaglio in concreto da parte del giudice di sorveglianza.
La Corte, dopo aver ricordato la propria giurisprudenza (sentenze n. 253 del 2019 e n. 306 del 1993) e l’importanza della collaborazione, che mantiene il proprio valore positivo, riconosciuto dalla legislazione premiale vigente, ha sottolineato l’incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione stessa «l’unica possibile strada, a disposizione del condannato all’ergastolo, per accedere alla liberazione condizionale», in contrasto con la funzione rieducativa della pena, ai sensi dell’art. 27, terzo comma, della Costituzione.
Allo stesso tempo la Corte ha posto l’accento sul carattere “apicale” della normativa sottoposta al suo giudizio nel quadro del contrasto alle organizzazioni criminali. L’equilibrio complessivo di tale normativa, secondo la Corte, verrebbe messo a rischio da un intervento meramente demolitorio, con grave pregiudizio per le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva a fronte del «pervasivo e radicato fenomeno della criminalità mafiosa». Si tratta di scelte di politica criminale che appartengono, ad avviso della Corte, alla discrezionalità legislativa, in quanto destinate a fronteggiare la perdurante presunzione di pericolosità ma non costituzionalmente vincolate nei contenuti, e che eccedono perciò i poteri della Corte stessa.
Nel ribadire che l’intervento di modifica di questi aspetti deve essere, in prima battuta, oggetto di una più complessiva, ponderata e coordinata valutazione legislativa, la Corte ha concluso che «esigenze di collaborazione istituzionale» impongono di disporre il rinvio del giudizio e di fissare una nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale in esame, alla data del 10 maggio 2022, dando così al Parlamento «un congruo tempo per affrontare la materia».
La giurisprudenza della Corte costituzionale richiama ampiamente i principi già elaborati dalla Corte EDU in materia di “ergastolo ostativo”
A partire dalla sentenza della Grande camera 12 febbraio 2008, Kafkaris contro Cipro fino alla recente, sentenza Viola contro Italia del 2019, la Corte di Strasburgo ha affermato che la compatibilità delle previsioni di una pena perpetua con la CEDU, ed in particolare con l’art. 3 della stessa, che fa divieto di sottoporre chiunque «a tortura» od a «pene o trattamenti inumani o degradanti», è subordinata al ricorrere di determinate e specifiche condizioni.
La Corte EDU ha infatti chiarito che l’astratta comminatoria della pena perpetua non è un fatto in sé lesivo della dignità della persona, e quindi non costituisce un trattamento degradante (oltre che eventualmente inumano), a condizione però che siano previsti in astratto, e che risultino realisticamente applicabili in concreto, strumenti giuridici utili a interrompere la detenzione e a reimmettere i condannati meritevoli nella società.
E’ dunque necessaria, a giudizio della Corte, la “riducibilità”, de iure e de facto, della pena dell’ergastolo, che può articolarsi in ulteriori corollari, a partire da quello che considera possibile imporre soglie minime di esecuzione effettiva della pena, prima di poter accedere alla scarcerazione (si vedano tra le altre, la sentenza 9 luglio 2013, Vinter contro Regno Unito, e le decisioni 4 settembre 2014, Trabelsi contro Belgio; 26 aprile 2016, Murray contro Paesi Bassi; 4 ottobre 2016, T.P. e A.T. contro Ungheria).
In riferimento alla figura dell'ergastolo ostativo, proprio dell'ordinamento italiano, la Corte EDU ha di recente escluso la compatibilità con la Convenzione EDU della disciplina nazionale che subordina l’accesso alla liberazione condizionale da parte del condannato all’ergastolo per gli specifici delitti dell’art. 4-bis alla sola condizione della collaborazione con la giustizia. Con la sentenza Viola c. Italia, con riguardo alla preclusione alla liberazione condizionale di un condannato – non collaborante - per uno dei delitti di cui all’art. 4-bis OP, la Corte Europea ha individuato il tema centrale nel valutare se le finalità di politica criminale perseguite per mezzo della previsione della necessità della collaborazione (fuori dei, casi, ovviamente, della impossibilità o inesigibilità della stessa) costituisca un sacrificio eccessivo delle prospettive di liberazione del condannato all'ergastolo e della possibilità che questi chieda il riesame della pena.
A tal proposito ha osservato che la mancanza di collaborazione non può sempre essere ricondotta ad una scelta libera e volontaria o, comunque, al fatto che siano mantenuti i legami con il gruppo criminale di appartenenza. Ed ha rilevato che non può escludersi che, nonostante la collaborazione con la giustizia, non vi sia dissociazione effettiva dall'ambiente criminale, perché la scelta di collaborare ben può essere soltanto opportunistica, compiuta in vista del conseguimento dei vantaggi che ne derivano.
Se la collaborazione viene intesa come l'unica forma possibile di manifestazione della rottura dei legami criminali - ha proseguito la Corte Edu - si trascura la considerazione di quegli elementi che fanno apprezzare l'acquisizione di progressi trattamentali del condannato all'ergastolo nel suo percorso di reinserimento sociale e si omette di valutare che la dissociazione dall'ambiente criminale ben può essere altrimenti desunta.
La presunzione assoluta di pericolosità insita nella mancanza di collaborazione è dunque d'ostacolo alla possibilità di riscatto del condannato che, qualunque cosa faccia durante la detenzione carceraria, si trova assoggettato a una pena immutabile e non passibile di controlli, privato di un giudice che possa valutare il suo percorso di risocializzazione.
La conclusione della Corte di Strasburgo è stata duplice: l'ergastolo ostativo non può essere definito pena perpetua effettivamente riducibile ai sensi dell'art. 3 della Convenzione; la situazione esaminata rivela "un problema strutturale", legato alla presunzione assoluta di pericolosità fondata sull'assenza di collaborazione, meritevole di una iniziativa riformatrice in modo che sia garantita la possibilità di un riesame della pena.
Sulle problematiche sollevate dalla giurisprudenza costituzionale e della Corte europea dei diritti ha preso posizione anche la Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, che il 20 maggio 2020 ha approvato una Relazione sull’istituto di cui all’articolo 4-bis OP e sulle conseguenze derivanti dalla sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale. La Commissione ha sottolineato in particolare la necessità di individuare nuove soluzioni normative e di sollecitare un intervento del legislatore sulla disciplina dell’art. 4-bis OP.
Le tre proposte di legge all’esame della Commissione affrontano tutte il tema dell’accesso ai benefici penitenziari per i detenuti condannati per i reati c.d. ostativi di cui all’articolo 4-bis, che non collaborino con la giustizia, e intervengono sul procedimento per la concessione dei benefici e sull’istituto della liberazione condizionale. La proposta C. 3106, inoltre, contiene una delega al Governo per la revisione della competenza della magistratura di sorveglianza con riguardo al regime carcerario dell’art. 41-bis OP).
La proposta C. 1951, composta di un solo articolo, è volta ad estendere la possibilità di concedere i benefici penitenziari ai condannati per un reato c.d. ostativo, anche in assenza della collaborazione prescritta dal comma 1 dell’art. 4-bis OP (v. sopra, quadro normativo).
A tal fine si interviene sul comma 1-bis dell’art. 4-bis - che già attualmente consente l’ammissione ai benefici in assenza di collaborazione, quando la stessa sia impossibile o irrilevante e siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva – per aggiungere la possibilità di accesso ai benefici anche in assenza di collaborazione quando, nel caso specifico – e dunque previa valutazione della magistratura di sorveglianza – sia accertato che la mancata collaborazione non esclude la sussistenza dei presupposti per la concessione dei benefici stessi (lettera a).
Come si è detto nel paragrafo relativo al quadro normativo vigente (al quale si rinvia) con riguardo ai gravi delitti di cui al comma 1 dell’art. 4-bis, vige il divieto di concessione dei benefici penitenziari, superabile solo con la collaborazione con la giustizia. Il successivo comma 1-bis, dell’art. 4-bis, per gli stessi reati elencati al comma 1, prevede il superamento del divieto di ammissione ai benefici - purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva - altresì nelle due ipotesi di c.d. collaborazione impossibile o irrilevante e cioè nei casi:
- di impossibilità di un’utile collaborazione con la giustizia determinata dalla limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero dall'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile;
- in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti sia stata applicata la circostanza attenuante dell’avvenuto risarcimento del danno (art. 62, numero 6, c.p.), oppure quella della minima partecipazione al fatto (art.114 c.p.) ovvero se il reato è più grave di quello voluto (art. 116, secondo comma, c.p.)
La proposta, quindi, nel confermare il presupposto generale, ovvero che devono essere «acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva», è volta a trasformare la presunzione della mancata rescissione dei collegamenti con la criminalità organizzata, che incombe sul detenuto non collaborante, da assoluta a relativa, in quanto superabile dalla valutazione del magistrato.
Si ricorda, al riguardo, che la Corte costituzionale, con riguardo alla presunzione della mancata rescissione dei collegamenti con la criminalità organizzata, che incombe sul detenuto non collaborante, ha sottolineato che “non è la presunzione in sé stessa a risultare costituzionalmente illegittima. Non è infatti irragionevole presumere che il condannato che non collabora mantenga vivi i legami con l’organizzazione criminale di originaria appartenenza, purché si preveda che tale presunzione sia relativa e non già assoluta e quindi possa essere vinta da prova contraria”. La Corte ha quindi ribadito che “una disciplina improntata al carattere relativo della presunzione si mantiene entro i limiti di una scelta legislativa costituzionalmente compatibile con gli obbiettivi di prevenzione speciale e con gli imperativi di risocializzazione insiti nella pena, non regge, invece, il confronto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – agli specifici e limitati fini della fattispecie in questione – una disciplina che assegni carattere assoluto alla presunzione di attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata”. Ciò sotto tre profili, distinti ma complementari “In un primo senso, perché all’assolutezza della presunzione sono sottese esigenze investigative, di politica criminale e di sicurezza collettiva che incidono sull’ordinario svolgersi dell’esecuzione della pena, con conseguenze afflittive ulteriori a carico del detenuto non collaborante. In un secondo senso, perché tale assolutezza impedisce di valutare il percorso carcerario del condannato, in contrasto con la funzione rieducativa della pena, intesa come recupero del reo alla vita sociale, ai sensi dell’art. 27, terzo comma, Cost. In un terzo senso, perché l’assolutezza della presunzione si basa su una generalizzazione, che può essere invece contraddetta, a determinate e rigorose condizioni, dalla formulazione di allegazioni contrarie che ne smentiscono il presupposto, e che devono poter essere oggetto di specifica e individualizzante valutazione da parte della magistratura di sorveglianza” (sentenza n. 253 del 2019 e ordinanza n. 97 del 2021).
La proposta inoltre, inserisce nell’art. 4-bis OP. il nuovo comma 3-ter, volto a specificare la natura delle informazioni che la magistratura di sorveglianza deve acquisire al fine di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, presupposto per la concessione dei benefici (lettera b).
In particolare, l’art. 4-bis, comma 2, OP, prevede che, ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1 la magistratura di sorveglianza decide non solo sulla base delle relazioni della pertinente autorità penitenziaria ma, altresì, delle dettagliate informazioni acquisite per il tramite del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente. Il comma 2-bis prevede invece che, ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1-ter, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore. Inoltre il comma 3 specifica che, quando il comitato ritiene che sussistano particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne dà comunicazione al giudice e il termine di 30 giorni per la decisione del giudice è prorogato di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali.
Ai sensi dell’art. 21 della legge n. 121 del 1981 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza) il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, è istituito presso la prefettura quale organo ausiliario di consulenza del prefetto per l'esercizio delle sue attribuzioni di autorità provinciale di pubblica sicurezza. Il comitato è presieduto dal prefetto ed è composto dal questore, dal sindaco del comune capoluogo e dal presidente della provincia, dai comandanti provinciali dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, e del Corpo forestale dello Stato, nonché dai sindaci degli altri comuni interessati, quando devono trattarsi questioni riferibili ai rispettivi ambiti territoriali. Il comma 2 dell’art. 4-bis OP specifica che, al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a partecipare il direttore dell'istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto.
Con riguardo alle suddette informazioni, la proposta specifica che:
·
le informazioni non devono contenere pareri sulla concessione dei benefìci, ma fornire elementi conoscitivi concreti e specifici fondati su circostanze di fatto espressamente indicate che dimostrino in maniera certa l’attualità di collegamenti dei condannati o internati con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.
·
eventuali pareri espressi dagli organi preposti non possono essere utilizzati nella motivazione della decisione del magistrato di sorveglianza
Il comma 2 incide sull’art. 2 decreto-legge n. 152 del 1991, che subordina l’accesso alla liberazione condizionale per i condannati per reati di cui all’art. 4-bis, commi 1, 1-ter e 1-quater alla sussistenza dei medesimi presupposti previsti dallo stesso art. 4-bis per la concessione dei benefici penitenziari ivi indicati.
Si ricorda che l’art. 2 del D.L. n. 152/1991 è oggetto del giudizio di legittimità costituzionale deciso dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 97 del 2021.
Tale disposizione, infatti, afferma che i condannati per delitti indicati nel citato art. 4-bis O.P. (al quale la disposizione opera un rinvio formale) possono essere ammessi alla liberazione condizionale solo se ricorrono i presupposti che lo stesso articolo prevede, a seconda delle fattispecie delittuose, per la concessione degli altri benefici penitenziari.
Conseguentemente, l’art. 2, comma 1 esclude che possa essere ammesso alla liberazione condizionale il condannato (all'ergastolo, nel caso oggetto del giudizio costituzionale) per uno dei delitti compresi nel comma 1 dell'art. 4-bis, che non abbia collaborato con la giustizia. Il condannato per un reato ostativo, che non collabora utilmente con la giustizia si presume non abbia rescisso i legami con la criminalità organizzata e in virtù di questa presunzione, assoluta in quanto non superabile se non per effetto della stessa collaborazione, l’art. 2 in combinato con l’art. 4-bis OP comporta che le richieste del detenuto di accedere alla liberazione condizionale siano dichiarate inammissibili, senza poter essere oggetto di un vaglio in concreto da parte del giudice di sorveglianza.
Al riguardo, la proposta di legge estende il richiamo - da parte della disposizione sulla liberazione condizionale - al comma 1-bis dell’art. 4-bis così come modificato dalla proposta di legge in esame. Anche per l’accesso alla liberazione condizionale la presunzione della mancata rescissione dei collegamenti con la criminalità organizzata, che incombe sul detenuto non collaborante, si trasformerebbe da assoluta a relativa.
Si ricorda al riguardo che la Corte costituzionale, già con sentenza, n. 68 del 1995 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, dell’art. 2 del D.L. 152 del 1991 nella parte in cui non prevede che i condannati per i delitti indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354, possano essere ammessi alla liberazione condizionale anche nel caso in cui l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità operato con sentenza irrevocabile renda impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, sempre che siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.
La proposta C. 3106 modifica l’art. 4-bis O.P. con riguardo tra l’altro:
· alle previsioni di collaborazione c.d. “impossibile o irrilevante” specificando le condizioni per l’accertamento dell’esclusione dell’attualità di collegamenti con la criminalità;
· all’introduzione della possibilità di accesso ai benefici penitenziari – in presenza di specifiche condizioni – esclusivamente per i detenuti, non collaboranti, condannati alla pena dell’ergastolo;
·
all’introduzione della possibilità di accesso ai permessi premio – sempre in presenza delle medesime specifiche condizioni – per i detenuti non collaboranti condannati anche a pene diverse da quella dell’ergastolo;
· alla disciplina del procedimento per la concessione dei benefici penitenziari, introducendo la necessaria acquisizione dei pareri del PM o del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.
La proposta contiene inoltre disposizioni relative alla competenza della magistratura di sorveglianza in ordine ai procedimenti i detenuti o gli internati sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis, comma 2, O.P., per delitti commessi per finalità di terrorismo, nonché per i delitti di associazione mafiosa.
Infine, per i condannati all’ergastolo per un reato ostativo si prevede che:
· avranno accesso alla liberazione condizionale solo dopo aver espiato 30 anni di pena (in luogo dei 26 anni previsti per gli ergastolani in generale);
·
avranno accesso ai benefici penitenziari solo dopo aver scontato almeno 26 anni di pena.
In particolare, l’articolo 1, prevede una serie di modifiche all’articolo 4-bis OP.
La lettera a) incide sul comma 1 di tale articolo, il quale, come già detto (v. quadro normativo) elenca una serie di delitti indicati come ostativi: l'espiazione di una condanna relativa a tali delitti, infatti, non consente la concessione delle misure dell'assegnazione al lavoro all'esterno, e delle misure alternative alla detenzione, esclusa la liberazione anticipata, nonché alla liberazione condizionale (ex art. 2, DL n. 152/1991), specificando che tale condizione giuridica è superabile soltanto in presenza di un’avvenuta collaborazione con la giustizia ai sensi dell’art. 58-ter OP
La novella specifica che il regime differenziato per l’accesso ai benefici penitenziari per i condannati per i c.d. delitti ostativi, si applica anche quando - in caso di esecuzione di pene concorrenti - sia stata accertata dal giudice della cognizione o dell’esecuzione la connessione tra i reati la cui pena è in esecuzione, e i condannati abbiano già espiato la parte di pena relativa ai delitti indicati dalla norma.
Si ricorda che l’art. 12 c.p.p., in relazione alla connessione di procedimenti dispone, che essa sussiste tra l’altro,
· se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso
· se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri.
La disposizione in commento sembra codificare solo in parte l’orientamento consolidato della giurisprudenza in merito allo scioglimento del cumulo ai fini dell’accesso ai benefici.
Si ricorda, infatti, che la connessione dei procedimenti si distingue dal c.d. cumulo delle pene (materiale o giuridico). Come è noto, il 1º comma dell'art. 73 c.p. disciplina l'ipotesi del concorso di più reati che importano pene detentive temporanee della stessa specie (reclusione con reclusione e arresto con arresto), prevedendo l'applicazione di un'unica pena che sia il risultato della somma delle singole pene (cumulo materiale delle pene). L'art. 78 c.p. invece codifica il sistema del cumulo materiale temperato (o cumulo giuridico). La disposizione stabilisce che nel caso di concorso di reati di cui all'art. 73 c.p. non debbano essere superate determinate soglie per gli aumenti delle pene principali. In particolare, l'art. 78, 1° co. fa riferimento a due tipologie di limiti da applicarsi ai casi di concorso di reati di cui all'art. 73: il primo segue il criterio proporzionale del quintuplo e pertanto il giudice non potrà applicare una pena superiore a cinque volte la pena più grave fra quelle concorrenti; il secondo segue un criterio rigido, stabilendo alcuni limiti temporali massimi insuperabili dalla somma algebrica dei singoli fattori di pena.
Orientamento consolidato della Cassazione sostiene che, in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti, è legittimo lo scioglimento del cumulo nel corso dell'esecuzione quando occorre procedere al giudizio sull'ammissibilità della domanda di concessione di un beneficio penitenziario che trovi ostacolo nella presenza nel cumulo di uno o più titoli di reato inclusi nel novero di quelli elencati nell'art. 4-bis OP, sempre che il condannato abbia espiato la parte di pena relativa ai delitti ostativi (Cass. pen. Sez. I Sent., 11/12/2020, n. 13041).
Già la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 361 del 1994, aveva affermato che la disciplina contenuta nell'art. 4-bis OP, non delinea uno status di detenuto pericoloso e ha precisato che detta norma "va interpretata - in conformità del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., nel senso che possono essere concesse misure alternative alla detenzione ai condannati per i reati gravi, indicati dalla giurisprudenza, quando essi abbiano espiato per intero la pena per i reati stessi e stiano espiando pene per reati meno gravi non ostativi alla concessione delle misure alternative alla detenzione". Ha, pertanto, concluso per la non conformità alla Costituzione di una diversa interpretazione che porti all'esclusione della concessione di misure alternative ai condannati per un reato grave, ostativo all'applicazione delle dette misure, anche quando essi, avendo espiato per intero la pena per il reato grave, stiano eseguendo la pena per reati meno gravi, non ostativi al predetto riconoscimento.
Normativa vigente
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A.C. 3106
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Legge n. 354 del 1975
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Articolo 4-bis
Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti
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1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell'articolo 58-ter della presente legge o a norma dell'articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 416-bis e 416-ter del codice penale, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, delitti di cui agli articoli 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-octies e 630 del codice penale, all'articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, all'articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Sono fatte salve le disposizioni degli articoli 16-nonies e 17-bis del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni.
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1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati per i seguenti delitti, anche nel caso in cui i condannati abbiano già espiato la parte di pena relativa ai predetti delitti quando, in caso di esecuzione di pene concorrenti, sia stata accertata dal giudice della cognizione o dell’esecuzione la connessione ai sensi dell’articolo 12, comma 1, lettere b) e c), del codice di procedura penale tra i reati la cui pena è in esecuzione, solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell'articolo 58-ter della presente legge o a norma dell'articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale: delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 416-bis e 416-ter del codice penale, delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, delitti di cui agli articoli 600, 600-bis, primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-octies e 630 del codice penale, all'articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, all'articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Sono fatte salve le disposizioni degli articoli 16-nonies e 17-bis del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successive modificazioni.
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La lettera b) modifica il comma 1-bis dell’articolo 4-bis che, per gli specifici reati elencati al comma 1, prevede il superamento del divieto di ammissione ai benefici - purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva - altresì nelle due ipotesi di c.d. collaborazione impossibile o irrilevante e cioè nei casi:
· di impossibilità di un’utile collaborazione con la giustizia determinata dalla limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero dall'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile;
· in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti sia stata applicata la circostanza attenuante dell’avvenuto risarcimento del danno (art. 62, numero 6, c.p.), oppure quella della minima partecipazione al fatto (art.114 c.p.) ovvero se il reato è più grave di quello voluto (art. 116, secondo comma, c.p.)
La novella interviene per specificare che il superamento del divieto di ammissione ai benefici nelle ipotesi di c.d. collaborazione impossibile o irrilevante possa avvenire solo se gli elementi acquisiti siano tali da escludere “con certezza” non solo l’attualità di collegamenti ma anche il pericolo del ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.
Si ricorda, al riguardo, che il riferimento al “pericolo di ripristino di tali collegamenti” è contenuto nella sentenza n. 135 del 2019 della Corte costituzionale (v. sopra) che dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - l'art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all'art. 416-bis cod. pen. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti”.
Normativa vigente
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A.C. 3106
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Legge n. 354 del 1975
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Articolo 4-bis
Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti
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1-bis. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per uno dei delitti ivi previsti, purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, altresì nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall'art. 62, numero 6), anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall'articolo 114 ovvero dall'articolo 116, secondo comma, del codice penale
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1-bis. I benefici di cui al comma 1 possono essere concessi ai detenuti o internati per uno dei delitti ivi previsti, purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere con certezza l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e il pericolo del ripristino di tali collegamenti, altresì nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendono comunque impossibile un'utile collaborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dall'art. 62, numero 6), anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dall'articolo 114 ovvero dall'articolo 116, secondo comma, del codice penale
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La lettera c) inserisce nell’art. 4-bis OP, un nuovo comma 1-bis. 1, con il quale si introduce la possibilità di accedere ai benefici penitenziari ai detenuti condannati alla pena dell’ergastolo (per i delitti c.d ostativi) anche in assenza di collaborazione, in presenza di specifiche condizioni consistenti nella dimostrazione:
· dell’integrale adempimento delle obbligazioni civili e delle riparazioni pecuniarie derivanti da reato o dell’assoluta impossibilità di tale adempimento; con il nuovo comma 1-bis.2 si specifica peraltro che in caso di condanna in solido, l’adempimento per le sole obbligazioni civili derivanti da reato si considera integrale con il pagamento di una quota dell’obbligazione proporzionata al numero degli obbligati;
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di elementi concreti, diversi e ulteriori rispetto alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza che consentano di escludere con certezza:
o l’attualità di elementi di collegamento con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto in cui il reato è stato commesso
o il pericolo di ripristino dei suddetti collegamenti, tenendo conto delle circostanze personali ed ambientali.
La disposizione specifica inoltre che, in ogni caso, il condannato deve giustificare e indicare le specifiche ragioni della mancata collaborazione.
Al riguardo si rileva che, nella citata ordinanza n. 97 del 2021, la Corte costituzionale ha sottolineato che “la presunzione di pericolosità sociale del condannato all’ergastolo che non collabora, per quanto non più assoluta, può risultare superabile non certo in virtù della sola regolare condotta carceraria o della mera partecipazione al percorso rieducativo, e nemmeno in ragione di una soltanto dichiarata dissociazione. A fortiori, per l’accesso alla liberazione condizionale di un ergastolano (non collaborante) per delitti collegati alla criminalità organizzata, e per la connessa valutazione del suo sicuro ravvedimento, sarà quindi necessaria l’acquisizione di altri, congrui e specifici elementi, tali da escludere, sia l’attualità di suoi collegamenti con la criminalità organizzata, sia il rischio del loro futuro ripristino”.
Per i contenuti dell’ordinanza n. 97 del 2021 in cui la corte ha disposto il rinvio del giudizio e fissato una nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale in esame, dando al Parlamento un congruo tempo per affrontare la materia, si rinvia al paragrafo sulla Giurisprudenza costituzionale (v. sopra).
Dalla formulazione della norma si evince che la possibilità di accedere ai benefici penitenziari, in assenza di collaborazione (nel presupposto dell’esistenza di determinate circostanze) sia riservata esclusivamente ai detenuti o internati condannati alla pena dell’ergastolo per uno dei c.d. reati ostativi, ma non ai detenuti non collaboranti che siano condannati, per i medesimi reati ostativi, a pene diverse dall’ergastolo.
Si segnala, al riguardo, che la Corte costituzionale ha in più occasioni sottolineato la necessità di salvaguardare “il complessivo equilibrio della disciplina” di cui all’art. 4-bis, norma “il cui assetto iniziale è stato progressivamente modificato nel tempo da una serie di riforme che hanno mutato l’architettura complessiva e ne hanno ampliato progressivamente l’ambito di operatività, finendo per contenere una disciplina speciale relativa a un complesso, eterogeneo e stratificato elenco di reati” (sentenza n. 253 del 2019). La salvaguardia della coerenza del sistema dell’accesso ai benefici penitenziari di cui all’art. 4-bis è a fondamento della decisione della Corte, con la sentenza da ultimo citata, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo - in via consequenziale - l'art. 4-bis, comma 1, OP, nella parte in cui non prevede che anche ai detenuti per i delitti ivi contemplati, diversi da quelli di cui all'art. 416-bis cod. pen. e da quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti. La Corte sottolinea infatti come l'intervento parzialmente ablatorio già realizzato sui reati di associazione mafiosa e di "contesto mafioso" debba estendersi alla identica disciplina dettata dallo stesso art. 4-bis, comma 1, per tutti gli altri delitti in esso indicati. In caso contrario, si determinerebbe una paradossale disparità, a danno dei condannati per reati rispetto ai quali possono essere privi di giustificazione sia il requisito della collaborazione con la giustizia che la dimostrazione dell'assenza di legami con il sodalizio criminale di appartenenza, risultandone compromessa la stessa coerenza intrinseca della disciplina di risulta.
Si valuti l’opportunità di considerare, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, la coerenza del sistema dell’accesso ai benefici penitenziari risultante dall’introduzione delle disposizioni che - in presenza dei medesimi reati ostativi, e delle medesime condizioni - consentono l’accesso ai benefici solo ai detenuti non collaboranti che siano condannati alla pena più grave (ergastolo), escludendo i detenuti non collaboranti condannati alle pene più miti.
Con il nuovo comma 1-bis.3 si prevede invece che l’accesso ai permessi premio per i detenuti o internati condannati per uno dei reati ostativi di cui al comma 1 dell’art. 4-bis in assenza di collaborazione, possa essere concesso – sempre che ricorrano le predette condizioni relative all’adempimento delle obbligazioni e all’esclusione dei collegamenti con la criminalità - anche a coloro che non sono condannati alla pena dell’ergastolo.
Si ricorda che la disciplina dei permessi premio è contenuta nell’art. 30-ter O.P. Art. 30-ter che prevede che essi possano essere concessi dal magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell'istituto, ai condannati che hanno tenuto regolare condotta e che non risultano socialmente pericolose. La durata dei permessi premio non può essere superiore ogni volta a quindici giorni non può superare complessivamente quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione. La concessione dei permessi nei confronti dei condannati alla reclusione per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'art. 4-bis, è ammessa dopo l'espiazione di almeno metà della pena e, comunque, di non oltre dieci anni; nei confronti dei condannati all'ergastolo, dopo l'espiazione di almeno dieci anni.
Come più volte ricordato con la sentenza n. 253 del 2019 la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - l'art. 4-bis, comma 1, OP, nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti elencati nel comma 1 di tale articolo, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.
La lettera d) incide invece sul comma 2 dell’articolo 4-bis che disciplina il procedimento per la concessione dei benefici penitenziari di cui all’articolo 4-bis OP. il quale prevede che, ai fini della concessione dei benefici suddetti, la magistratura di sorveglianza decide non solo sulla base delle relazioni della pertinente autorità penitenziaria ma, altresì, delle dettagliate informazioni acquisite per il tramite del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente. Mentre nella formulazione attuale della norma tale competenza è individuata tramite il luogo di detenzione del condannato, con la novella la competenza del comitato sarà individuata in relazione al luogo dove è intervenuta la condanna di primo grado e, se diverso, anche di quello competente in relazione al luogo di dimora abituale del condannato all’epoca dell’esecuzione della condanna.
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 21 della legge n. 121 del 1981 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza) il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, è istituito presso la prefettura quale organo ausiliario di consulenza del prefetto per l'esercizio delle sue attribuzioni di autorità provinciale di pubblica sicurezza. Il comitato è presieduto dal prefetto ed è composto dal questore, dal sindaco del comune capoluogo e dal presidente della provincia, dai comandanti provinciali dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, e del Corpo forestale dello Stato, nonché dai sindaci degli altri comuni interessati, quando devono trattarsi questioni riferibili ai rispettivi ambiti territoriali. Il comma 2 dell’art. 4-bis ord. penit. specifica che, al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a partecipare il direttore dell'istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto.
Ulteriore novella concerne la possibilità per il direttore dell’istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto o internato di partecipare al comitato anche con modalità telematiche.
Normativa vigente
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A.C. 3106
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Legge n. 354 del 1975
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Articolo 4-bis
Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti
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2. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. Al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a partecipare il direttore dell'istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto.
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2. Ai fini della concessione dei benefìci di cui al comma 1, il giudice decide, acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo dove è intervenuta la condanna di primo grado e, se diverso, anche di quello competente in relazione al luogo di dimora abituale del condannato all’epoca dell’esecuzione della condanna. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. Ai lavori del comitato provinciale può essere chiamato a partecipare a questo fine, anche mediante collegamento telematico, il direttore dell’istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto o internato
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La lettera e) detta una disciplina innovativa con riguardo alla disciplina del procedimento per la concessione dei benefici penitenziari e dei permessi premio per i detenuti non collaboranti condannati per reati c.d. ostativi (di cui ai nuovi commi 1-bis.1 e 1-bis.3 dell’art. 4-bis), stabilendo - tramite l’inserimento dei due nuovi commi 2-ter e 2-quater nell’art. 4-bis:
· l’obbligo per il giudice di sorveglianza, prima di decidere sull'istanza, di chiedere il parere del PM presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i gravi delitti indicati dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p. del PM presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo nonché l’obbligo di acquisire informazioni dalle direzioni degli istituti ove l'istante è detenuto; i pareri e le informazioni sono resi entro 30 giorni dalla richiesta, prorogabili di ulteriori 30 in ragione della complessità degli accertamenti; decorso l termine, il giudice decide anche in assenza dei pareri e delle informazioni richiesti;
Come è noto l’articolo 51 comma 3-bis, attribuisce alla procura distrettuale le indagini relative ai seguenti delitti, consumati o tentati:
- associazione a delinquere finalizzata a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601, 601-bis e 602 c.p. (art. 416, sesto comma, c.p.);
- associazione a delinquere finalizzata a commettere taluno dei delitti di pedopornografia e di violenza sessuale in danno di minori (art. 416, settimo comma c.p.);
- associazione a delinquere finalizzata a commettere taluno dei delitti di cui all'articolo 12, commi 3 e 3-ter, TU immigrazione;
- associazione a delinquere finalizzata a commettere un delitto di contraffazione (artt. 473 e 474 c.p.)
- tratta di persone e riduzione in schiavitù (artt. 600, 601, 602 c.p.);
- associazione a delinquere di tipo mafioso, anche straniera (art. 416-bis), voto di scambio politico-mafioso (art. 416-ter c.p.) e delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni mafiose;
- attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.);
- sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione (art. 630 c.p.);
- associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 TU stupefacenti);
- associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater, TU stupefacenti).
Ai sensi del comma 3 quater quando si tratta di procedimenti per i delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo le funzioni indicate nel comma 1, lettera a), sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.
· l’obbligo per il medesimo giudice, in caso di accoglimento dell'istanza di concessione dei benefìci nonostante il parere contrario dei predetti organi di illustrare gli specifici motivi di non adeguamento al parere, ovvero gli elementi che consentono di superare i motivi ostativi indicati nei pareri, tenendo conto anche del contenuto delle informazioni fornite dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica;
· l’inefficacia del provvedimento di accoglimento, anche parziale, dell'istanza del condannato nel caso di mancato rispetto dei suddetti obblighi da parte del giudice.
Si ricorda che anche il d.l. n. 28 del 2020 ha modificato gli artt. 30-bis e 47-ter OP, stabilendo che, prima della concessione di un permesso (art. 30) e della cosiddetta detenzione domiciliare “in surroga” (art. 47-ter, comma 1-ter), oppure della proroga di quest’ultima, l’autorità procedente dovesse acquisire alcuni pareri: in caso di richiesta proveniente da detenuti per delitti ex art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., il parere del procuratore distrettuale, da cumulare – in relazione a soggetti sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis OP – a quello del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.
La lettera f) modifica il comma 3 dell’articolo 4-bis OP per specificare che i termini per la decisione del giudice sull’istanza di concessione dei benefici (comma 2 dell’art. 4 bis) e i termini per l’espressione dei pareri e delle informazioni (comma 2-ter dell art. 4-bis) sono prorogati di ulteriori 30 giorni quando sussistono particolari esigenze di sicurezza ovvero emergono collegamenti, anche solo potenziali, con organizzazioni operanti in ambiti non locali o a livello transnazionale. La differenza rispetto alla normativa vigente consiste nella soppressione della competenza del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica in ordine all’individuazione delle particolari esigenze di sicurezza e la possibilità di collegamenti con organizzazioni extra locali. Non è specificato dalla disposizione in esame a chi spetti rilevare le particolari condizioni che giustificano l’ulteriore proroga.
Normativa vigente
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A.C. 3106
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Legge n. 354 del 1975
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Articolo 4-bis
Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti
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3. Quando il comitato ritiene che sussistano particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne dà comunicazione al giudice e il termine di cui al comma 2 è prorogato di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali.
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3. Quando sussistono particolari esigenze di sicurezza ovvero emergono collegamenti, anche solo potenziali, con organizzazioni operanti in ambiti non locali o a livello transnazionale, i termini previsti dai commi 2 e 2-ter sono prorogati di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali.
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Infine, la lettera g) modifica il comma 3-bis dell’art. 4-bis OP, coordinandone il contenuto alle novelle alla disciplina relativa alla competenza del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica (v. lettera d).
Normativa vigente
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A.C. 3106
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Legge n. 354 del 1975
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Articolo 4-bis
Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti
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3-bis. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo o il Procuratore distrettuale comunica, d'iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso si prescinde dalle procedure previste dai commi 2 e 3.
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3-bis. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo o il Procuratore distrettuale comunica, d'iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento ovvero al luogo ove è intervenuta la condanna di primo grado, l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata o, nelle ipotesi di cui ai commi 1-bis.1 e 1-bis.3, il pericolo che tali collegamenti possano essere ripristinati. In tal caso si prescinde dalle procedure previste dai commi 2, 2-ter e 3
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L’articolo 2 della proposta C. 3106 prevede una delega al Governo, da esercitarsi entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge, per la riforma della disciplina dei giudizi del magistrato e del tribunale di sorveglianza riguardanti i detenuti o gli internati sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis, comma 2, O.P., per delitti:
· commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;
· nonché per i delitti di associazione mafiosa cui all'articolo 416-bis c.p. o commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste.
Con riguardo al regime detentivo speciale di cui all’art. 41-bis, comma 2, OP, come è noto, tale disposizione prevede che quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 4-bis o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva, l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza.
Il provvedimento di sospensione è adottato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell'interno, sentito l'ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell'ambito delle rispettive competenze. Il provvedimento medesimo ha durata pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l'associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto di specifiche condizioni. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l'associazione o dimostrare il venir meno dell'operatività della stessa (comma 2-bis).
Nell’esercizio della delega, il Governo dovrà prevedere (comma 2):
· l’accentramento presso il tribunale di sorveglianza di Roma, con il contestuale adeguamento della sua pianta organica, delle decisioni del magistrato e del tribunale di sorveglianza riguardanti i detenuti o internati sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis, comma 2, O.P., per i predetti delitti (lettera a);
Per ciò che riguarda la competenza a decidere sulla concessione dei benefici previsti dall’articolo 4-bis dell’O.P., va premesso che attualmente la ripartizione della competenza per materia tra tribunale di sorveglianza e magistrato di sorveglianza è disciplinata dagli articoli 69 e 70 dell’O.P. In estrema sintesi il magistrato di sorveglianza è, in linea di massima, competente sulla concessione dei permessi premio e sull’approvazione del provvedimento del direttore dell’istituto di assegnazione al lavoro esterno. Tutti gli altri benefici previsti dall’O.P. sono invece attribuiti al tribunale di sorveglianza.
Il tribunale di sorveglianza di Roma è competente a decidere sui reclami presentati dal detenuto o l'internato avverso il procedimento applicativo ( o di proroga) del regime del 41-bis, comma 2. (comma 2-quinquies dell’art. 41-bis OP).
Sull’ipotesi di accentrare la competenza in capo al Tribunale di sorveglianza di Roma, in analogia a quanto previsto dall’art. 41-bis co.2-quinquies, al fine di evitare una giurisprudenza “a macchia di leopardo” si sofferma la citata Relazione sull’istituto di cui all’articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975 in materia di ordinamento penitenziario e sulle conseguenze derivanti dalla sentenza n. 253 del 2019 della corte costituzionale, presentata alle Camere dalla Commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie il 20 maggio 2020.
In particolare la Relazione prende in considerazione due ipotesi di riforma della competenza a decidere sulla concessione dei benefici previsti dall’articolo 4-bis dell’O.P.
La prima ipotesi è prevedere una giurisdizione esclusiva in capo al tribunale di sorveglianza di Roma di cui al comma 1 dell’articolo 4-bis, ivi compresi i permessi premio (in analogia a quanto previsto dall’articolo 41-bis, comma 2-quinquies del l’O.P., per i reclami avverso i provvedimenti con cui sia stata disposta o prorogata l’applicazione dello speciale regime di cui al comma 2 dello stesso articolo 41-bis dell’O.P.). la Relazione sottolinea che “In tal caso, la competenza a decidere sui reclami avverso i provvedimenti emessi dal tribunale di Roma in materia di permessi premio potrebbe essere affidata ad un organo di seconda istanza, quale una sezione della corte d’appello di Roma integrata dalla presenza di esperti, ovvero allo stesso tribunale di sorveglianza di Roma in composizione diversa rispetto al collegio che ha emesso il provvedimento impugnato. Potrebbe in alternativa escludersi il reclamo e prevedersi esclusivamente il ricorso in Cassazione per saltum. La concentrazione della competenza in un unico tribunale a competenza nazionale ovvierebbe al rischio di una giurisprudenza «a macchia di leopardo», e cioè di orientamenti giurisprudenziali eterogenei e difformi pur in situazioni identiche o analoghe. Questa soluzione, tuttavia, presupporrebbe necessariamente una modifica della pianta organica nonché un corrispondente e congruo ampliamento del numero dei giudici, degli esperti e del personale amministrativo addetto al disbrigo degli affari”.
L’altra ipotesi è quella che prevede un «doppio binario» con una disciplina differenziata in ragione della tipologia di reati per cui il soggetto è stato condannato. In tale ipotesi andrebbe attribuita al tribunale di sorveglianza territo riale la competenza per le istanze di permesso premio presentate dai condannati e dagli internati per reati associativi, per delitti mafiosi e di criminalità organizzata, eversiva o terroristica e per traffico di stupefacenti. Tale soluzione, secondo la Relazione “risponderebbe all’esigenza che si impone quando si verte in materia di reati gravi e associativi, di una più articolata ponderazione in quanto assicurata da un giudizio collegiale e rafforzata anche dalla presenza dei componenti esperti non togati e delle relative professionalità, nonché dalla partecipazione all’udienza della pubblica accusa”.
· la competenza del tribunale di sorveglianza per le decisioni relative alle modalità esecutive del regime previsto dall'articolo 41-bis, comma 2, nonché per il provvedimento di differimento dell'esecuzione delle pene detentive nei casi di cui all'articolo 684, comma 2, del codice di procedura penale (lettera b);
Si ricorda, al riguardo, che ai sensi dell’art. 684 c.p.p. la competenza in ordine al differimento dell'esecuzione delle pene, nei casi previsti dagli articoli 146 e 147 del codice penale e all’ammissione alla detenzione domiciliare è attribuita al tribunale di sorveglianza. Lo stesso art. 684, comma 2, prevede che quando sussistono i presupposti perché il tribunale disponga il rinvio dell’esecuzione della pena, il magistrato di sorveglianza può ordinare il differimento dell'esecuzione o, se la protrazione della detenzione può cagionare grave pregiudizio al condannato, la liberazione del detenuto. Il provvedimento conserva effetto fino alla decisione del tribunale, Analogamente l’articolo 47-ter, comma 1 quater, dispone che l'istanza di applicazione della detenzione domiciliare è rivolta, dopo che ha avuto inizio l'esecuzione della pena, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo di esecuzione. Nei casi in cui vi sia un grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione, l'istanza di detenzione domiciliare è rivolta al magistrato di sorveglianza che può disporre l'applicazione provvisoria della misura.
L’art. 684, comma 2, prevede inoltre che il magistrato di sorveglianza il magistrato di sorveglianza che abbia in via provvisoria ordinato il differimento dell'esecuzione o la liberazione del detenuto trasmette immediatamente gli atti al tribunale di sorveglianza. Analogamente il magistrato di sorveglianza trasmette gli atti al tribunale di sorveglianza nel caso di applicazione provvisoria della detenzione domiciliare “in deroga”.
Con specifico riguardo ai procedimenti riguardanti i detenuti o internati sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis, comma 2, O.P., per i delitti sopraindicati di terrorismo e associazione mafiosa, il Governo dovrà inoltre prevedere:
· la possibilità per il pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o per il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo di partecipare all'udienza (lettera c);
· l’attribuzione in merito alle impugnazioni altresì al pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e al Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo (lettera d).
Il comma 3 definisce la procedura per l’adozione dei decreti legislativi.
Gli articoli 3 e 4 introducono modificazioni alla disciplina della liberazione condizionale.
In particolare, l’articolo 3 interviene sul decreto-legge n. 152 del 1991 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa) [1] per modificarne l’articolo 2, relativo alla liberazione condizionale, al fine di prevedere che alla misura si accompagni sempre la libertà vigilata e che, nell’ambito della stessa, sia imposto il divieto di frequentazione, anche occasionale, con soggetti condannati per gravi delitti di associazione a delinquere e terrorismo.
Come detto l’art. 2 del D.L. n. 152/1991 esclude che possa essere ammesso alla liberazione condizionale il condannato per uno dei delitti compresi nel comma 1 dell'art. 4-bis, che non abbia collaborato con la giustizia. Il condannato per un reato ostativo, che non collabora utilmente con la giustizia si presume non abbia rescisso i legami con la criminalità organizzata e in virtù di questa presunzione, assoluta in quanto non superabile se non per effetto della stessa collaborazione, l’art. 2 in combinato con l’art. 4-bis OP comporta che le richieste del detenuto di accedere alla liberazione condizionale siano dichiarate inammissibili, senza poter essere oggetto di un vaglio in concreto da parte del giudice di sorveglianza.
Il comma 2 dell’art. 2 del D.L. n. 152 del 1991 aggiunge che, fermi restando gli ulteriori requisiti e limiti di pena previsti dall'art. 176 c.p. (v. infra, art. 4) e dalla c.d. legge sui pentiti (art. 8 della legge n. 304 del 1982), i condannati per uno dei delitti di cui all’art. 4-bis OP non possono comunque essere ammessi alla liberazione condizionale se non hanno scontato almeno due terzi della pena temporanea. In base al comma 3, questa previsione non si applica a coloro che collaborano con la giustizia (ex art. 58-ter O.P.).
Rispetto a questo quadro normativo, la proposta di legge:
· interviene sul comma 1, per specificare che l’accesso alla liberazione condizionale è subordinato al ricorrere dei presupposti previsti dall’art. 4-bis OP (lettera a). La modifica ha carattere formale, correggendo l’attuale riferimento al comma 1 dell’art. 4-bis, che non era stato aggiornato con le aggiunte dei richiami ai commi 1-ter e 1-quater dell’articolo. I presupposti per l’applicazione dell’istituto della liberazione condizionale sono dunque quelli dettati dall’art. 4-bis, come modificato dall’art. 1 della proposta di legge;
· inserisce il comma 1-bis per prevedere che, comunque, la misura della liberazione condizionale eventualmente concessa debba sempre essere affiancata dalla libertà vigilata (ex art. 230, primo comma, n. 2, c.p.), per tutto il tempo della pena inflitta, ovvero per 5 anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, se trattasi di condannato all'ergastolo (ex art. 177, secondo comma, c.p.) e dal divieto di frequentazione, anche occasionale, di soggetti condannati per i gravi delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. (tale ultima prescrizione, connessa alla libertà vigilata, dovrà essere imposta dal giudice in base all’art. 227 c.p.).
Normativa vigente
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A.C. 3106
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D.L. 13 maggio 1991, n. 152
Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa.
Art. 2
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1. I condannati per i delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, possono essere ammessi alla liberazione condizionale solo se ricorrono i relativi presupposti previsti dallo stesso comma per la concessione dei benefici ivi indicati. Si osservano le disposizioni dei commi 2 e 3 dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354.
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1. I condannati per i delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, possono essere ammessi alla liberazione condizionale solo se ricorrono i relativi presupposti previsti dallo stesso articolo 4-bis per la concessione dei benefici ivi indicati. Si osservano le disposizioni dei commi 2 e 3 dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. |
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1-bis. Nel caso di concessione della liberazione condizionale ai sensi del comma 1 del presente articolo, la libertà vigilata di cui all’articolo 230, primo comma, numero 2, del codice penale è sempre disposta per la durata dell’intero periodo previsto dal secondo comma dell’articolo 177 del medesimo codice penale. Negli stessi casi, tra le prescrizioni di cui al secondo comma dell’articolo 228 del codice penale è sempre previsto il divieto di frequentazione, anche occasionale, di soggetti condannati per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale.
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2. Fermi restando gli ulteriori requisiti e gli altri limiti di pena previsti dall'articolo 176 del codice penale e fatto salvo quanto stabilito dall'articolo 8 della legge 29 maggio 1982, n. 304, i soggetti di cui al comma 1 non possono comunque essere ammessi alla liberazione condizionale se non hanno scontato almeno due terzi della pena temporanea.
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2. Identico. |
3. La disposizione del comma 2 non si applica alle persone indicate nell'articolo 58-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354.
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3. Identico. |
L’articolo 4, comma 1, interviene sulla disciplina della liberazione condizionale contenuta nel codice penale, agli articoli 176 e 177 per prevedere che, in caso di condanna all’ergastolo per uno dei reati ostativi di cui al comma 1 dell’art. 4-bis O.P.:
- il condannato può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno 30 anni di pena, in luogo degli ordinari 26 (modifica dell’art. 176, terzo comma, c.p.);
- l’estinzione della pena, e la revoca delle misure di sicurezza personali, intervengono decorso tutto il tempo della pena inflitta oppure decorsi 10 anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, in luogo degli ordinari 5 anni (inserimento di un comma all’art. 177, c.p.). In ordine alla formulazione del testo si valuti l’opportunità di inserire, in luogo di un nuovo comma, un ultimo periodo al secondo comma dell’art. 177 c.p.
Dal combinato disposto degli articoli 3 e 4 si ricava che per i condannati all’ergastolo per reati ostativi la liberazione condizionale è accompagnata dalla libertà vigilata per 5 anni e che la misura della liberazione condizionale estingue la pena dopo 10 anni.
Normativa vigente
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A.C. 3106
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Codice penale
Art. 176
Liberazione condizionale
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Il condannato a pena detentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, può essere ammesso alla liberazione condizionale, se ha scontato almeno trenta mesi e comunque almeno metà della pena inflittagli, qualora il rimanente della pena non superi i cinque anni.
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Identico.
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Se si tratta di recidivo, nei casi preveduti dai capoversi dell'articolo 99, il condannato, per essere ammesso alla liberazione condizionale, deve avere scontato almeno quattro anni di pena e non meno di tre quarti della pena inflittagli.
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Identico. |
Il condannato all'ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni di pena.
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Il condannato all'ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni di pena, o almeno trenta anni se trattasi di persona condannata per uno dei delitti indicati nel comma 1 dell’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. |
La concessione della liberazione condizionale è subordinata all'adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell'impossibilità di adempierle.
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Identico.
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Articolo 177
Revoca della liberazione condizionale o estinzione della pena
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Nei confronti del condannato ammesso alla liberazione condizionale resta sospesa l'esecuzione della misura di sicurezza detentiva cui il condannato stesso sia stato sottoposto con la sentenza di condanna o con un provvedimento successivo. La liberazione condizionale è revocata, se la persona liberata commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole, ovvero trasgredisce agli obblighi inerenti alla libertà vigilata, disposta a termini dell'articolo 230, n. 2. In tal caso, il tempo trascorso in libertà condizionale non è computato nella durata della pena e il condannato non può essere riammesso alla liberazione condizionale.
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Identico.
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Decorso tutto il tempo della pena inflitta, ovvero cinque anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, se trattasi di condannato all'ergastolo, senza che sia intervenuta alcuna causa di revoca, la pena rimane estinta e sono revocate le misure di sicurezza personali, ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo.
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Identico.
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Il termine è di dieci anni se trattasi di condannato all’ergastolo per alcuno dei delitti indicati nel comma 1 dell’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354.
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L’articolo 4, comma 2, modifica l’art. 58-quater O.P., in tema di divieto di concessione dei benefici penitenziari.
In particolare, la novella interviene sul comma 4 della disposizione per prevedere che ai condannati all’ergastolo per uno dei reati ostativi di cui al comma 1 dell’art. 4-bis O.P. possano essere concessi i benefici indicati dalla stessa norma [2] solo dopo aver scontato almeno 26 anni di pena. A prescindere dunque dalla collaborazione, dalla rescissione dei legami con la criminalità e da ogni altro ulteriore presupposto individuato dall’art. 4-bis, il mero titolo di reato fa sì che l’eventuale acceso ai benefici possa essere concesso solo dopo aver espiato almeno 26 anni di carcere.
La novella è inserita nel comma che preclude l’accesso ai benefici penitenziari per i condannati per sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (art. 289-bis c.p.) e sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione (art. 630 c.p.), quando il reato abbia cagionato la morte del sequestrato, se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni.
Vale la pena rilevare che la proposta di legge prevede l’estensione dell’applicazione di una norma dichiarata incostituzionale dalla Corte, per il carattere automatico della preclusione temporale all’accesso ai benefici penitenziari, che prescinde anche dall’eventuale collaborazione del condannato.
In particolare, infatti, con la sentenza n. 149 del 2018 la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 4, nella parte in cui si applica ai condannati all'ergastolo per il delitto di cui all'art. 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato e, in via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nella parte in cui si applica ai condannati all'ergastolo per il delitto di cui all'art. 289-bis del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato. La Corte ha affermato che «Il carattere automatico della preclusione temporale all'accesso ai benefici penitenziari da essa stabilito per i condannati all'ergastolo impedisce al giudice qualsiasi valutazione individuale sul concreto percorso di rieducazione compiuto dal condannato all'ergastolo durante l'esecuzione della pena stessa, in ragione soltanto del titolo di reato che supporta la condanna. Tale automatismo - e la connessa impossibilità per il giudice di procedere a valutazioni individualizzate - contrasta però con il ruolo che deve essere riconosciuto, nella fase di esecuzione della pena, alla sua finalità di rieducazione del condannato; finalità ineliminabile (sentenza n. 189 del 2010), che deve essere sempre garantita anche nei confronti di autori di delitti gravissimi, condannati alla massima pena prevista nel nostro ordinamento, l'ergastolo (sentenza n. 274 del 1983). In questo senso è orientata la costante giurisprudenza di questa Corte, che ha tra l'altro indicato come criterio "costituzionalmente vincolante" quello che esclude "rigidi automatismi e richiede sia resa possibile invece una valutazione individualizzata e caso per caso" nella materia dei benefici penitenziari (sentenza n. 436 del 1999), in particolare laddove l'automatismo sia connesso a presunzioni iuris et de iure di maggiore pericolosità legate al titolo del reato commesso (sentenza n. 90 del 2017), giacché ove non fosse consentito il ricorso a criteri individualizzanti "l'opzione repressiva finirebbe per relegare nell'ombra il profilo rieducativo" (sentenza n. 257 del 2006), instaurando di conseguenza un automatismo "sicuramente in contrasto con i principi di proporzionalità ed individualizzazione della pena" (sentenza n. 255 del 2006; in senso conforme, sentenze n. 189 del 2010, n. 78 del 2007, n. 445 del 1997, n. 504 del 1995).
Una volta che il condannato all'ergastolo abbia raggiunto, nell'espiazione della propria pena, soglie temporali ragionevolmente fissate dal legislatore, e abbia dato prova di positiva partecipazione al percorso rieducativo, eventuali preclusioni all'accesso ai benefici penitenziari possono dunque legittimarsi sul piano costituzionale soltanto laddove presuppongano pur sempre valutazioni individuali, da parte dei competenti organi giurisdizionali, relative alla sussistenza di ragioni ostative di ordine specialpreventivo - sub specie di perdurante pericolosità sociale del condannato -; valutazioni, queste ultime, che non potrebbero del resto non riverberarsi negativamente sulla stessa analisi del cammino di risocializzazione compiuto dal condannato stesso, e che per questo motivo possono ritenersi coerenti con il principio della non sacrificabilità della funzione rieducativa sull'altare di ogni altra, pur legittima, funzione della pena (sentenze n. 78 del 2007, n. 257 del 2006, n. 68 del 1995, n. 306 del 1993 e n. 313 del 1990)».
Normativa vigente
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A.C. 3106
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Legge 26 luglio 1975, n. 354
Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà
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Art. 58-quater
Divieto di concessione di benefici
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1. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio, l'affidamento in prova al servizio sociale, nei casi previsti dall'articolo 47, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi al condannato che sia stato riconosciuto colpevole di una condotta punibile a norma dell'articolo 385 del codice penale.
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1. Identico. |
2. La disposizione del comma 1 si applica anche al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa ai sensi dell'art. 47, comma 11, dell'art. 47-ter, comma 6, o dell'art. 51, primo comma.
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2. Identico. |
3. Il divieto di concessione dei benefici opera per un periodo di tre anni dal momento in cui è ripresa l'esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca indicato nel comma 2.
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3. Identico. |
4. I condannati per i delitti di cui agli articoli 289-bis e 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni.
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4. I condannati per i delitti di cui agli articoli 289-bis e 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni. La disposizione del primo periodo del presente comma si applica anche ai condannati all’ergastolo per i delitti indicati nel comma 1 dell’articolo 4-bis. |
5. Oltre a quanto previsto dai commi 1 e 3, l'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI non possono essere concessi, o se già concessi sono revocati, ai condannati per taluni dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'art. 4-bis, nei cui confronti si procede o è pronunciata condanna per un delitto doloso punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, commesso da chi ha posto in essere una condotta punibile a norma dell'art. 385 del codice penale ovvero durante il lavoro all'esterno o la fruizione di un permesso premio o di una misura alternativa alla detenzione.
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5. Identico. |
6. Ai fini dell'applicazione della disposizione di cui al comma 5, l'autorità che procede per il nuovo delitto ne dà comunicazione al magistrato di sorveglianza del luogo di ultima detenzione dell'imputato.
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6. Identico.
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7. Il divieto di concessione dei benefici di cui al comma 5 opera per un periodo di cinque anni dal momento in cui è ripresa l'esecuzione della custodia o della pena o è stato emesso il provvedimento di revoca della misura.
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7. Identico.
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7-bis. L'affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dall'articolo 47, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi più di una volta al condannato al quale sia stata applicata la recidiva prevista dall'articolo 99, quarto comma, del codice penale.
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7-bis. Identico.
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L’articolo 5, infine, prevede l’entrata in vigore della legge il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale, senza vacatio legis.
La proposta C. 3184, composta da 2 articoli, novella l’art. 4-bis OP con riferimento alla possibile concessione dei benefici penitenziari ai condannati per un reato ostativo che non collaborino con la giustizia e, per coordinamento, il D.L. n. 152 del 1991 con riguardo alla liberazione condizionale.
In particolare, l’articolo 1, comma 1, lettera a) inserisce nell’art. 4-bis OP il nuovo comma 1-sexies finalizzato a consentire l’accesso ai benefici penitenziari, nonostante la mancata collaborazione e l’insussistenza dei presupposti individuati dal comma 1-bis (collaborazione impossibile o irrilevante), ai condannati per reati ostativi che:
· forniscano la prova dell'assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva;
· forniscano la prova dell'assenza del pericolo di ripristino dei medesimi collegamenti.
A fronte delle prove allegate dal condannato, la magistratura di sorveglianza è tenuta a svolgere una complessa attività istruttoria volta ad acquisire informazioni in merito:
- al perdurare della operatività del sodalizio criminale;
- al profilo criminale del condannato e alla sua posizione all'interno dell'associazione;
- all’eventuale mantenimento di collegamenti con associazioni criminali;
- alle ragioni della mancata collaborazione;
- alla sopravvenienza di nuove incriminazioni o di significative infrazioni disciplinari;
- all'ammissione dell'attività criminale svolta e delle relazioni e rapporti intrattenuti;
- alla valutazione critica del vissuto in relazione al ravvedimento;
- alle disponibilità economiche, nonché al tenore di vita, del condannato e dei suoi familiari;
- alla verifica che l'istante abbia già avviato percorsi di giustizia riparativa, anche di natura non economica;
- all'applicazione delle circostanze attenuante dell’avvenuto risarcimento del danno (art. 62, n. 6, c.p.), della minima partecipazione al fatto (art. 114 c.p.), o di quella del reato più grave di quello voluto (art. 116, primo comma, c.p.)
La proposta di legge richiama la circostanza dell’art. 116, primo comma. Si ricorda che tale disposizione prevede che «qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione». Il secondo comma specifica che «se il reato commesso è più grave di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave».
Si valuti l’opportunità di richiamare l’art. 116, secondo comma c.p., come già attualmente fa l’art. 4-bis, comma 1-bis.
- all'intervenuta adozione di provvedimenti patrimoniali e al loro stato di concreta esecuzione. Si valuti l’esigenza di chiarire la natura dei suddetti provvedimenti.
La lettera b) modifica il comma 2 dell’art. 4-bis con riferimento al procedimento per la concessione dei benefici. A prescindere dal tema della collaborazione, infatti, la magistratura di sorveglianza dovrà acquisire informazioni anche dal PM presso il tribunale distrettuale (del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la condanna) e dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i detenuti al 41-bis.
Inoltre, ferma restando la necessaria acquisizione di informazioni dal Comitato per l’ordine e la sicurezza, la proposta di legge specifica che si tratta del comitato non del luogo di detenzione, bensì del luogo ove il detenuto intende stabilire la propria residenza.
Infine, il direttore del carcere che, in base a normativa vigente più partecipare al Comitato è ora individuato tra i soggetti presso i quali la magistratura di sorveglianza deve assumere informazioni.
Normativa vigente
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A.C. 3106
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Legge n. 354 del 1975
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Articolo 4-bis
Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti
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2. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. Al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a partecipare il direttore dell'istituto penitenziario in cui il condannato è detenuto.
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2. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza e, nel caso di detenuti sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis, anche dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo dove il detenuto intende stabilire la sua residenza e dal direttore dell'istituto penitenziario.
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La lettera c) modifica il comma 2-bis dell’art. 4-bis, relativo al procedimento per la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per i reati di cui al comma 1-ter del medesimo articolo.
Si ricorda che il comma 1-ter dell’art. 4-bis OP contiene un elenco dei delitti in relazione ai quali i benefici e le misure alternative possono essere concessi, salvo siano stati acquisiti elementi che indichino la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. In questi casi la preclusione dell’accesso ai benefici non si fonda su di un automatismo, ma sul vaglio della magistratura.
Ai fini della concessione dei benefici per tali delitti il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore. In ogni caso il giudice decide trascorsi 30 giorni dalla richiesta delle informazioni (comma 2-bis dell’art. 4-bis).
La proposta prevede la soppressione del termine di 30 giorni entro il quale il giudice di sorveglianza deve decidere. Tale modifica non interviene dunque sul procedimento di concessione dei benefici per i reati c.d. ostativi in quanto per tali reati il termine di 30 giorni è contenuto nel comma 2. Si valuti l’opportunità di coordinare tale soppressione con la disposizione del comma 2 che, esclusivamente per i reati ostativi fissa un termine di 30 giorni per la decisione della magistratura di sorveglianza.
Normativa vigente
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A.C. 3106
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Legge n. 354 del 1975
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Articolo 4-bis
Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti
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2-bis. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1-ter, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore. In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni.
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2-bis. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1-ter, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore.
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La lettera d) introduce all’articolo 4 il comma 2-ter, che consente di accompagnare il provvedimento di concessione dei benefici penitenziari per i condannati a un reato ostativo con prescrizioni volte a:
- impedire il ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva;
- impedire lo svolgimento di attività o la frequentazione di persone legate alla criminalità organizzata, al fine di prevenire il ripristino del sodalizio.
A tali fini la magistratura di sorveglianza può applicare una misura di prevenzione (obbligo o divieto di soggiorno) o prevedere che il condannato si “adoperi in iniziative pubbliche di contrasto della criminalità organizzata”.
In relazione al divieto di soggiorno in uno o più comuni o all’obbligo di soggiorno in un comune determinato, si valuti l’esigenza di richiamare la disciplina delle misure di prevenzione personali.
La lettera e) abroga il comma 3 dell’articolo 4-bis OP, relativo alla proroga dei termini per decidere sull’istanza di concessione dei benefici nell’ipotesi in cui il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica ritenga sussistere particolari esigenze di sicurezza. Con questo intervento, per la decisione sui reati ostativi la magistratura avrà a disposizione 30 giorni (comma 2) non prorogabili.
La lettera f) interviene sul comma 3-bis dell’art. 4-bis OP per specificare che il procuratore distrettuale che può intervenire per impedire la concessione dei benefici penitenziari a fronte dell’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata è quello del distretto nel quale ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza di condanna. La disposizione inoltre, per coordinamento, sopprime il riferimento al comma 3 dell’art. 4-bis, soppresso dalla precedente lettera e).
Normativa vigente
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A.C. 3106
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Legge n. 354 del 1975
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Articolo 4-bis
Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti
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3-bis. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo o il Procuratore distrettuale comunica, d'iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso si prescinde dalle procedure previste dai commi 2 e 3.
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3-bis. L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo o il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza di condanna comunica, d'iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso si prescinde dalla procedura prevista dal comma 2.
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L’articolo 2 interviene sull’art. 2 del decreto-legge n. 152 del 1991, in tema di liberazione condizionale, per coordinarne il contenuto con le modifiche apportate all’articolo 4-bis OP.
Normativa vigente
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A.C. 3106
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D.L. 13 maggio 1991, n. 152
Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa.
Art. 2
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1. I condannati per i delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, possono essere ammessi alla liberazione condizionale solo se ricorrono i relativi presupposti previsti dallo stesso comma per la concessione dei benefici ivi indicati. Si osservano le disposizioni dei commi 2 e 3 dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354.
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1. I condannati per i delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, possono essere ammessi alla liberazione condizionale solo se ricorrono i relativi presupposti previsti per la concessione dei benefici indicati. Si osservano le disposizioni dei commi 1-sexies e 2 dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. |
2. Fermi restando gli ulteriori requisiti e gli altri limiti di pena previsti dall'articolo 176 del codice penale e fatto salvo quanto stabilito dall'articolo 8 della legge 29 maggio 1982, n. 304, i soggetti di cui al comma 1 non possono comunque essere ammessi alla liberazione condizionale se non hanno scontato almeno due terzi della pena temporanea.
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2. Identico. |
3. La disposizione del comma 2 non si applica alle persone indicate nell'articolo 58-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354.
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3. Identico. |