Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Disposizioni in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori
Riferimenti: AC N.2298/XVIII AC N.1780/XVIII AC N.3129/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 417/1
Data: 09/05/2022
Organi della Camera: Assemblea


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Disposizioni in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori

9 maggio 2022
Elementi per l'esame in Assemblea


Indice

Contenuto|Discussione e attività istruttoria in Commissione in sede referente|I pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva|


La proposta di legge all'esame dell'Assemblea intende ridurre ulteriormente la possibilità che bambini piccoli si trovino a vivere la realtà carceraria al seguito di madri recluse. A tal fine il provvedimento:

Gli ICAM - Istituti a custodia attenuata per detenute madri (o detenuti padri, quando la madre sia deceduta o comunque impossibilitata a dare assistenza ai figli) hanno caratteristiche strutturali diverse rispetto alle carceri tradizionali, sebbene restino strutture detentive; richiamano un modello organizzativo di tipo comunitario, da realizzarsi, all'esterno dei tradizionali istituti penitenziari, in strutture dotate di sistemi di sicurezza non riconoscibili da parte dei bambini al seguito delle madri e prive dei tipici riferimenti all'edilizia carceraria (si pensi, ad esempio, alle sbarre). All'interno dell'istituto, operano gli agenti di polizia penitenziaria senza divise, nonché operatori specializzati in grado di sostenere le detenute nella cura dei figli e di assicurare regolari uscite dei bambini all'esterno. 
Gli ICAM sono attualmente solo 5, con una distribuzione territoriale disomogenea (Milano San Vittore, Venezia alla Giudecca, Senorbì in provincia di Cagliari, Lauro in provincia di Avellino e Torino "Lorusso-Cotugno"). In base alle più recenti statistiche del Ministero della giustizia, al 30 aprile 2022 erano presenti negli ICAM 14 madri e 14 bambini e, più in generale, nel complesso delle strutture detentive italiane 18 detenute madri con 20 bambini al seguito, come risulta dalla tabella.
Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio del Capo del Dipartimento - Sezione Statistica. In caso non siano presenti detenute madri con figli al seguito, l'istituto non compare nella tabella.

Contenuto

Il provvedimento si compone di 4 articoli.

L'articolo 1 interviene sul codice di procedura penale.

Custodia cautelare solo in ICAMIn particolare, il comma 1, modificando il quarto comma dell'art. 275 c.p.p., incide sul divieto di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per donna incinta o madre di prole di età non superiore a 6 anni con lei convivente (ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole). Nella formulazione vigente della disposizione tale divieto non ha natura assoluta, in quanto può venire meno a fronte della sussistenza di "esigenze cautelari di eccezionale rilevanza".  

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la ratio del divieto legislativo di applicazione della misura cautelare carceraria, in presenza di minori di età inferiore ai sei anni, risiede nella necessità di salvaguardare la loro integrità psicofisica, dando prevalenza alle esigenze genitoriali ed educative su quelle cautelari (entro i limiti precisati), garantendo così ai figli l'assistenza della madre, in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro crescita e formazione (Cassazione, sez. VI penale, 23 giugno-1 settembre 2015, n. 35806; Cass., sez. VI penale, 30 aprile-4 luglio 2014, n. 29355; Cass., sez. I penale, 12 dicembre 2013-31 gennaio 2014, n. 4748; Cass., sez. V penale, 15-27 febbraio 2008, n. 8636). Anche la Corte costituzionale, con sentenza n. 17 del 2017 ha sottolineato come il divieto di applicazione della misura cautelare carceraria, in presenza di minori di età inferiore ai sei anni, sia "frutto del giudizio di valore operato dal legislatore, il quale stabilisce che, nei termini e nei limiti ricordati, sulla esigenza processuale e sociale della coercizione intramuraria deve prevalere la tutela di un altro interesse di rango costituzionale, quello correlato alla protezione costituzionale dell'infanzia, garantita dall'art. 31 Cost. (cfr. sentt. n. 239 del 2014 e n. 177 del 2009; ord. n. 145 del 2009)".
In ordine alla nozione delle esigenze cautelari "di eccezionale rilevanza" idonee, dunque, a superare la cogenza del divieto di disporre o di mantenere la custodia cautelare in carcere, secondo l'interpretazione giurisprudenziale esse si distinguono dalle normali esigenze cautelari per l'intensità delle stesse, che deve essere tale da far ritenere insostituibile la misura carceraria, attesa l'esistenza di puntuali e specifici elementi dai quali emerga un "non comune, spiccato, allarmante rilievo" dei pericoli di cui all'art. 274 c.p.p. (in questo senso Cass., Sez. IV, 16 giugno 2005, n. 34218). Ancora la Corte di Cassazione, I sez. pen., con sentenza n. 47861 del 2012 che ha stabilito il principio secondo cui: "La eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari richiesta dall'art. 275 comma 4 c.p.p. per disporre o mantenere, nei confronti di madre di bambino in tenera età con lei convivente, la misura della custodia cautelare in carcere, nell'ipotesi in cui la misura custodiale sia stata applicata ai sensi dell'art. 274, comma 1, lett. c) c.p.p. sussiste se il concreto pericolo di commissione di gravi delitti della stessa specie di quelli per cui si procede sia elevatissimo, così da permettere una prognosi di sostanziale certezza in ordine al fatto che l'indagata, se sottoposta a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, continuerebbe a commettere i predetti delitti" . Inoltre la Cass.pen., sez. II con sentenza n. 48999 del 2019, ha ritenuto che le eccezionali esigenze sono ravvisabili nella " serialità di comportamenti nel compiere reati contro il patrimonio, documentati da precedenti penali e di polizia, nonché "nella professionalità manifestata da alcune modalità della condotta, nella assenza di qualsiasi reddito da cui desumere che la commissione di reati contro il patrimonio fosse la sua fonte di sostentamento, ed infine nella circostanza che l'indagata fosse inserita in ambienti delinquenziali strutturati". Cass. sez. VI 10.10.2018 n. 43341 ha annullato con rinvio per nuovo esame al Tribunale del Riesame di Roma l'ordinanza con la quale era stata disposta  la misura più severa nei confronti di una donna con prole di 1 anno, accusata insieme al compagno di far parte di una associazione dedita al narcotraffico. In tale caso il giudice aveva tratto gli elementi per ritenere sussistenti la eccezionale rilevanza" delle esigenze da "la scaltrezza della donna" ed in particolare per "la spregiudicatezza nel continuare nell'illecito commercio di stupefacenti anche quando il compagno si trovava agli arresti domiciliari" e dal fatto che stava pianificando un trasferimento fraudolento di denaro mediante l'acquisto e l'intestazione della titolarità di un autosalone". Il Giudice di legittimità è intervenuto, invece, annullando la ordinanza e rilevando che vi era stata una applicazione distorta del concetto di eccezionalità tale da farlo coincidere con quello diverso di gravità. La Corte ha poi ribadito che non si può ridurre l'ambito di operatività della norma di cui all'art. 275 comma già destinata a  situazioni residuali e non si può obliterare l'intento del legislatore che è quello di tutelare la salute della donna incinta e lo sviluppo psico fisico dei minori anche in situazioni di accertata devianza penale dei soggetti interessati. Altra sentenza ha ritenuto che la sussistenza delle esigenze cautelari di "eccezionale rilevanza" debbono risultare da " concreti, specifici ed attuali elementi indiziari e debbono essere indicative dell'esistenza di  un oggettivo pericolo che deriverebbe alla comunità dallo stato di libertà del soggetto" (Cass. sez. VI 23.2.2017).
Anche la  giurisprudenza costituzionale ha evidenziato in numerose occasioni la speciale rilevanza dell'interesse del figlio minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, ed ha riconosciuto che tale interesse è complesso e articolato in diverse situazioni giuridiche, che trovano riconoscimento e tutela sia nell'ordinamento costituzionale interno - il quale demanda alla Repubblica di proteggere l'infanzia, favorendo gli istituti necessari a tale scopo (art. 31, secondo comma, Cost.) - sia nell'ordinamento internazionale, nel quale gli artt. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, e 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'UE qualificano come "superiore" l'interesse del minore, stabilendo che in tutte le decisioni relative ad esso, adottate da autorità pubbliche o istituzioni private, tale interesse deve essere considerato "preminente": precetto, questo, che assume una pregnanza particolare quando si discuta dell'interesse del bambino in tenera età a godere dell'affetto e delle cure materne ( sentenze n. 17 del 2017, n. 239 del 2014, n. 7 del 2013 e n. 31 del 2012).
L'elevato rango dell'interesse del minore a fruire in modo continuativo dell'affetto e delle cure materne, tuttavia, non lo sottrae in assoluto ad un possibile bilanciamento con interessi contrapposti, pure di rilievo costituzionale, quali sono quelli di difesa sociale, sottesi alla necessaria esecuzione della pena inflitta al genitore in seguito alla commissione di un reato. Tale bilanciamento, in via di principio, è rimesso alle scelte discrezionali del legislatore e può realizzarsi attraverso regole legali che determinano, in astratto, i limiti rispettivi entro i quali i diversi principi possono trovare contemperata tutela. ( sentenza n. 17 del 2017).

La modifica apportata dalla proposta in esame è volta a escludere sempre la custodia cautelare in carcere della donna incinta o della madre di prole di età inferiore a 6 anni con lei convivente (ovvero del padre, qualora sia deceduta o impossibilitata ad assistere la prole). In questi casi, infatti, se sussistono esigenze cautelari di eccezionali rilevanza la custodia cautelare deve essere obbligatoriamente disposta presso un ICAM (lett. a).

Inoltre, quando l'imputato sia l'unico genitore di una persona affetta da disabilità grave (ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1991) con lui convivente, ovvero quando l'altro genitore sia impossibilitato a dare assistenza al figlio e non vi siano parenti idonei a farlo entro il quarto grado, la custodia cautelare in carcere è consentita solo se sussistono esigenze cautelari di eccezionale rilevanza (situazione equiparata a quella dell'imputato ultrasettantenne) (lett. b).

Per coordinamento con la modifica introdotta all'art. 275 c.p.p., il Abrogazione dell'art. 285-bis c.p.p.comma 2 abroga l'articolo 285-bis c.p.p, che oggi consente al giudice di disporre l'applicazione della misura cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri (ICAM). La novella all'art. 275 c.p.p. ha infatti imposto al giudice - in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza - di disporre la custodia in ICAM, non potendo ricorrere alla custodia in carcere.

L'art. 285-bis c.p.p., inserito nel codice dalla legge n. 62 del 2011, che ha istituito una nuova forma di custodia cautelare detentiva per madri (ovvero padri, nel caso in cui la madre sia "assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole") dispone che il giudice possa (non sussiste obbligo al riguardo) disporre la custodia cautelare presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri.

Dal combinato disposto delle modifiche apportate dai commi 1 e 2 dunque:

  • sarà sempre vietata la custodia cautelare in carcere per detenute madri con prole di età inferiore ai 6 anni;
  • ove sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza il giudice dovrà disporre la custodia cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri (ICAM).

Il comma 3  interviene sull'art. 293 del codice di procedura penale, che disciplina le modalità esecutive delle misure cautelari, inserendovi i due nuovi commi 1-quater e 1-quinquies.  In particolare, il provvedimento:

  • introduce l'obbligo per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria incaricati di eseguire la misura cautelare, i quali rilevino la sussistenza di una delle ipotesi di divieto di applicazione della custodia in carcere di cui all'articolo 275, comma 4, di darne atto nel verbale di arresto unitamente ad ogni indicazione fornita dal destinatario della misura in ordine alla sussistenza dei suddetti presupposti. Il verbale dovrà essere trasmesso al giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo prima del trasferimento della persona indagata nell'istituto di pena (comma 1-quater);
  • prevede, nei predetti casi, la possibilità per il giudice di disporre la sostituzione della misura cautelare con altra meno grave o la sua esecuzione con modalità meno gravose anche prima dell'ingresso dell'indagato nell'istituto di pena (comma 1-quinquies).

Il comma 4 interviene sull'articolo 656 c.p.p., il quale disciplina l'esecuzione delle condanne definitive, aggiungendovi il nuovo comma 4-quinquies. Al riguardo si prescrive che:

  • l'autorità che cura l'esecuzione della sentenza debba immediatamente avvisare il magistrato di sorveglianza della sussistenza di ipotesi di possibile rinvio obbligatorio della pena ex art. 146 c.p. (sul quale interviene l'art. 2 della pdl, cui si rinvia);
  • il magistrato di sorveglianza, verificata la sussistenza dei presupposti del rinvio della pena, possa ordinare il differimento dell'esecuzione o, se la protrazione della detenzione può cagionare grave pregiudizio al condannato, la liberazione del detenuto, fino alla decisione del tribunale, al quale trasmette immediatamente gli atti (secondo quanto previsto dall'articolo 684, comma 2, c.p.p).
L'art. 684 c.p.p. disciplina le modalità del rinvio dell'esecuzione, prevedendo, al comma 1 che il tribunale di sorveglianza provveda in ordine al differimento dell'esecuzione delle pene detentive e delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata nei casi previsti dagli artt. 146 e 147 c.p. (rinvio obbligatorio e rinvio facoltativo) e che il medesimo tribunale ordini, quando occorre, la liberazione del detenuto e adotti gli altri provvedimenti conseguenti. Il comma 2, richiamato dalla disposizione in esame, consente al magistrato di sorveglianza, quando vi è fondato motivo per ritenere che sussistono i presupposti perché il tribunale disponga il rinvio, la possibilità di ordinare il differimento dell'esecuzione o, se la protrazione della detenzione può cagionare grave pregiudizio al condannato, la liberazione del detenuto. Il provvedimento conserva effetto fino alla decisione del tribunale, al quale il magistrato di sorveglianza trasmette immediatamente gli atti.

Differimento obbligatorio e facoltativo della penaL'articolo 2 modifica il codice penale con riguardo alla disciplina dei casi di differimento obbligatorio e facoltativo della pena (articoli 146 e 147 c.p.) nei confronti di condannate madri.

Si ricorda che l'art. 146 c.p., comma primo, numero 2), obbliga il giudice al differimento dell'esecuzione della pena se deve aver luogo nei confronti di madre di prole di età inferiore ad 1 anno, sempre che non sia venuta meno la responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c. Il differimento è invece previsto come facoltativo dall'art. 147 c.p., comma 1, n. 3, nell'ipotesi in cui una pena restrittiva della libertà personale debba essere eseguita nei confronti di madre di prole di età tra 1 e 3 anni. Si ricorda, inoltre, che l'articolo 47-ter comma 1-ter dell'ordinamento penitenziario disciplina l'istituto della c.d. detenzione domiciliare in deroga, prevedendo che quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite per l'applicazione della detenzione domiciliare, possa disporre l'applicazione della stessa, stabilendone un termine di durata, che può essere prorogato. L'esecuzione della pena prosegue durante la detenzione domiciliare. In rapporto ad un beneficio obbligatorio, quale il rinvio dell'esecuzione della pena nei casi di cui all'art. 146 c.p. (al più sostituibile con la detenzione domiciliare ex art. 47-ter co. 1-ter OP), la Corte costituzionale ha affermato che il pericolo di una strumentalizzazione della maternità «è adeguatamente bilanciato dalla circostanza che il secondo comma dello stesso art. 146 c.p. prevede espressamente, tra le condizioni ostative alla concessione del differimento dell'esecuzione della pena e tra quelle di revoca del beneficio, la dichiarazione di decadenza della madre dalla potestà sul figlio (che, ai sensi dell'art. 330 c.c., può essere pronunciata quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti con grave pregiudizio del figlio) nonché l'abbandono o l'affidamento del figlio ad altri» (così Corte cost., ord. 8 maggio 2009, n. 145).

In particolare il comma 1 interviene sull'art. 146 c.p.:

  • consentendo il rinvio obbligatorio della pena in caso di prole di età inferiore a un anno anche al condannato padre, qualora la madre del bambino sia deceduta o comunque impossibilitata a prendersene cura e non vi siano parenti idonei entro il quarto grado;
  • aggiungendo il rinvio obbligatorio della pena quando il figlio abbia meno di 3 anni di età e sia affetto da disabilità grave. In tale ipotesi il rinvio opera nei confronti della condannata madre nonché del condannato padre, qualora la madre del bambino sia deceduta o comunque impossibilitata a prendersene cura e non vi siano parenti idonei entro il quarto grado;
  • coordinando la disposizione che esclude il differimento quando il genitore (non più solo la madre ma, eventualmente, anche il padre) sia dichiarato decaduto dalla responsabilità genitoriale.

Il comma 2 interviene sull'articolo 147 c.p  in merito al rinvio facoltativo della pena, estendendo l'istituto attualmente previsto per la madre di prole di età inferiore a 3 anni anche al padre qualora la madre del bambino sia deceduta o comunque impossibilitata a prendersene cura e non vi siano parenti idonei entro il quarto grado.

L'Esecuzione della pena presso il domicilio o l'ICAMarticolo 3 interviene sull'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) con riguardo all'istituto della detenzione domiciliare di cui all'art. 47-ter e della detenzione domiciliare speciale di cui all'art. 47-quinquies.

In particolare, la proposta (lett. a) interviene sulla disposizione dell'art. 47-ter OP, che consente che la pena della reclusione non superiore a 4 anni (anche se costituente parte residua di maggior pena) possa essere espiata:

- presso il domicilio ovvero in case famiglia protette dalla condannata incinta o madre di prole di età inferiore a 10 anni con lei convivente (lett. a);

- presso il domicilio dal condannato padre di prole di età inferiore a 10 anni, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza ai figli (lett. b).

La proposta, in tali ipotesi, inserendo un comma dopo il comma 1-bis, restringe la discrezionalità del giudice imponendo la detenzione domiciliare a meno che non sussista il concreto pericolo della commissione di ulteriori delitti; anche in tal caso, l'alternativa alla detenzione domiciliare non sarà il carcere, ma l'istituto a custodia attenuata.

Inoltre, la proposta (lett. b) interviene sull'istituto della detenzione domiciliare speciale (art. 47-quinquies OP) che attualmente consente, anche al di fuori dei limiti di pena di cui all'art. 47-ter, la detenzione domiciliare alla madre di prole di età inferiore a 10 anni (alla quale è equiparato il padre, in assenza della madre), quando non sussiste il concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e il condannato abbia già scontato un terzo della pena ovvero 15 anni in caso di ergastolo. Anche in questo caso, la riforma esclude il carcere prevedendo per il condannato la detenzione domiciliare oppure - in caso di concreto pericolo di commissione si ulteriori delitti - l'istituto a custodia attenuata.

Si ricorda che l'art. 47-quinquies, comma 1-bis, della legge n. 354 del 1975è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione dell'art. 31, secondo comma, Cost. - , limitatamente alle parole "Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell'articolo 4-bis,"(sentenza n. 76 del 2017). Secondo la Corte costituzionale la disposizione censurata impediva in assoluto alle predette condannate, anche laddove si fosse verificata la condizione della collaborazione con la giustizia, di espiare la frazione iniziale di pena detentiva secondo le modalità agevolate ivi previste (presso un istituto a custodia attenuata, o, ricorrendone le condizioni, nel domicilio o presso luoghi di cura, assistenza o accoglienza) - introducendo un automatismo preclusivo dell'accesso a un istituto, come la detenzione domiciliare speciale, primariamente volto alla salvaguardia del rapporto della madre condannata con il minore in tenera età. Secondo la Consulta, lungi dal costituire bilanciamento di contrapposti interessi di rilievo costituzionale, tale preclusione assoluta - non consentendo al giudice di verificare la sussistenza in concreto, nelle singole situazioni, delle esigenze di difesa sociale sottese alla necessaria espiazione della pena detentiva da parte delle madri di minori infradecenni condannate per uno dei reati inclusi nell'elenco dell'art. 4-bis dell'ordinamento penitenziario - pretermette e sacrifica totalmente l'interesse del minore ad instaurare un rapporto quanto più possibile "normale" con la madre, nonché la stessa finalità di reinserimento sociale della condannata (non estranea alla detenzione domiciliare speciale, quale misura alternativa alla detenzione). Secondo la Corte affinché il preminente interesse del minore possa restare recessivo di fronte alle esigenze di protezione della società dal crimine, la legge deve consentire che la sussistenza e la consistenza di queste ultime siano verificate in concreto, e non già sulla base di automatismi che impediscono al giudice ogni margine di apprezzamento delle singole situazioni. Non si è quindi in presenza di un bilanciamento tra principi - e di una ragionevole regola legale - se il legislatore, impedendo al giudice di verificare in concreto, nelle singole situazioni, la sussistenza e consistenza delle esigenze di difesa sociale sottese alla necessaria esecuzione della pena inflitta al genitore, introduce un automatismo basato su presunzioni insuperabili, il quale comporta il totale sacrificio dell'interesse del minore. (Precedente citato: sentenza n. 239 del 2014).

Infine, nella citata sentenza n. 76 del 2017, la Corte sottolinea come la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 47-quinquies, comma 1-bis, OP, limitatamente alle parole "Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell'articolo 4-bis," non metta in pericolo le esigenze di contrasto alla criminalità organizzata, dal momento che, da un lato, lo stesso comma 1-bis affida al prudente apprezzamento del giudice l'accesso della condannata alla detenzione nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, ovvero di cura, assistenza o accoglienza, condizionandolo all'insussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga, e, dall'altro, rientrando l'istituto in oggetto tra le misure alternative alla detenzione, ai condannati per uno dei delitti di cui all'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975 resta pur sempre applicabile il complesso ed articolato regime previsto da tale disposizione per la concessione dei benefici penitenziari, in base, però, alla ratio della sentenza n. 239 del 2014, secondo la quale la mancata collaborazione con la giustizia non può ostare alla concessione di un beneficio primariamente finalizzato a tutelare il rapporto tra la madre e il figlio minore.

Case famiglia protetteL'articolo 4 interviene sulla legge n. 62 del 2011 (Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori). In particolare il comma 1 incide sulla disciplina dell'individuazione delle case famiglia protette, sostituendo il comma 2 dell'articolo 4 della citata legge con due nuovi commi volti a prevedere:

  • l'obbligo (e non più la facoltà) per il Ministro della giustizia di stipulare con gli enti locali convenzioni volte a individuare le strutture idonee a essere utilizzate come case famiglia protette; a tal fine i comuni devono riconvertire e utilizzare prioritariamente immobili di proprietà comunale purché idonei, utilizzando i fondi disponibili;
  • l'obbligo per i comuni ove siano presenti case famiglie protette di adottare i necessari interventi per consentire il reinserimento sociale delle donne una volta espiata la pena detentiva, avvalendosi a tal fine dei propri servizi sociali.
L' art. 4 della citata legge n. 62 del 21 aprile 2011 ha demandato ad un Regolamento, adottato con decreto del Ministro della giustizia l'individuazione dei requisiti per l'istituzione delle case famiglia protette. I requisiti delle case famiglia protette sono stati definiti dal Decreto 8 marzo 2013. In base a tale decreto le case famiglia protette:
  • sono collocate in località dove sia possibile l'accesso ai servizi territoriali, socio-sanitari ed ospedalieri, e che possano fruire di una rete integrata a sostegno sia del minore sia dei genitori; le strutture hanno caratteristiche tali da consentire agli ospiti una vita quotidiana ispirata a modelli familiari, tenuto conto del prevalente interesse del minore;
  • possono ospitare non oltre sei nuclei di genitori con relativa prole;
  • i profili degli operatori professionali impiegati e gli spazi interni sono tali da facilitare il conseguimento delle finalità di legge;
  • le stanze per il pernottamento e i servizi igienici dei genitori e dei bambini devono tenere conto delle esigenze di riservatezza e differenziazione in considerazione della possibile presenza di soggetti di sesso maschile;
  • sono in comune i servizi indispensabili per il funzionamento della struttura (cucina etc. ...);
  • sono previsti spazi da destinare al gioco per i bambini, possibilmente anche all'aperto;
  • sono previsti spazi, di dimensioni sufficientemente ampie, per consentire gli incontri personali, quali: i colloqui con gli operatori, i rappresentanti del territorio e del privato sociale, nonché gli incontri e i contatti con i figli e i familiari al fine di favorire il ripristino dei legami affettivi;
  • il servizio sociale dell'amministrazione penitenziaria interviene nei confronti dei sottoposti alla misura della detenzione domiciliare;
  • il Ministro della Giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, può stipulare con gli enti locali convenzioni volte ad individuare le strutture da utilizzare come case famiglia protette.

Il comma 2, aggiungendo il nuovo comma 1-bis all'art. 5 della legge n. 62 del 2011,  prevede che alla copertura degli oneri derivanti dalla realizzazione delle case famiglia protette, si provveda a valere sulle disponibilità della cassa delle ammende (art. 4 della legge n. 547 del 1932).

L' art. 4 della legge 9 maggio 1932, n. 547 prevede l'istituzione, presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, della cassa delle ammende, ente dotato di personalità giuridica.La cassa delle ammende ha, tra i suoi scopi istituzionali, il finanziamento di programmi di reinserimento in favore di detenuti ed internati, programmi di assistenza ai medesimi ed alle loro famiglie e progetti di edilizia penitenziaria finalizzati al miglioramento delle condizioni carcerarie.

Si ricorda altresì che l'art. 1, comma 322, della legge n. 178 del 2020 (legge di bilancio 2021) ha istituito nello stato di previsione del Ministero della giustizia, un apposito fondo, dotato di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio (2021-2023), al fine di garantire il finanziamento dell'accoglienza di genitori detenuti con bambini al seguito in case-famiglia protette ai sensi dell'art. 4 della legge n. 62/2011, ed in case-alloggio per l'accoglienza residenziale dei nuclei mamma-bambino.


Discussione e attività istruttoria in Commissione in sede referente

La Commissione Giustizia della Camera ha avviato l'esame della proposta di legge C. 2298 (Siani e altri) il 23 febbraio 2021 e l'ha adottata come testo base quando sono state successivamente abbinate le proposte C. 1780 (Cirielli e Ciaburro) e C. 3129 (Bellucci e altri).

Sui temi oggetto delle proposte sono state svolte audizioni informali, nell'ambito delle quali sono stati sentiti il responsabile della direzione generale dei detenuti e del trattamento del Ministero della giustizia, rappresentanti dell'avvocatura, il Garante dei detenuti della Regione Piemonte e rappresentanti di varie associazioni che si occupano dell'assistenza di detenute madri.

Dopo aver approvato alcuni emendamenti al testo, nella seduta del 5 maggio la Commissione ha votato il mandato al relatore.


I pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva

Sulla proposta di legge hanno espresso un parere favorevole la Commissione Affari costituzionali e la Commissione Affari sociali (sedute del 4 maggio 2022). Si è espressa altresì, formulando un parere favorevole, la Commissione parlamentare per le questioni regionali (seduta del 5 maggio 2022).