Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge n. 62 del 2011, in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori
Riferimenti: AC N.2298/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 417
Data: 26/01/2021
Organi della Camera: II Giustizia


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Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge n. 62 del 2011, in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori

26 gennaio 2021
Schede di lettura


Indice

Detenute madri negli istituti penitenziari, negli ICAM e nelle case famiglia|Contenuto|


La proposta di legge C. 2298 (Siani ed altri), reca: "Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge 21 aprile 2011, n. 62, in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori" ed in particolare:

Detenute madri negli istituti penitenziari, negli ICAM e nelle case famiglia

In base alle più recenti statistiche del Ministero della giustizia, al 31 dicembre 2020 erano presenti negli istituti penitenziari italiani 18 detenute madri con 20 bambini al seguito.

Negli ICAM, Istituti a custodia attenuata per detenute madri, che attualmente sono 5 (Torino "Lorusso e Cutugno", Milano "San Vittore", Venezia "Giudecca", Cagliari e Lauro), erano presenti 12 detenute con 13 figli al seguito.

Non sono disponibili statistiche ufficiali sul numero di donne detenute, con figli al seguito, presenti nelle case famiglia protette che, peraltro, risultano al momento essere solo 2 in tutta Italia (Roma e Milano).

Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Ufficio del Capo del Dipartimento - Sezione Statistica. Se nell'ICAM non sono presenti detenute madri con figli al seguito, l'istituto non compare nella tabella.

Contenuto

Il provvedimento si compone di 3 articoli.

L'articolo 1 apporta alcune modifiche al codice di procedura penale.

Custodia cautelare in carcereIn particolare, il comma 1 modificando il quarto comma dell'art. 275 c.p.p., incide sul divieto di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per donna incinta o madre di prole di età non superiore a 6 anni con lei convivente (ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole). Nella formulazione vigente della disposizione tale divieto non ha natura assoluta, in quanto può venire meno a fronte della sussistenza di "esigenze cautelari di eccezionale rilevanza".  

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la ratio del divieto legislativo di applicazione della misura cautelare carceraria, in presenza di minori di età inferiore ai sei anni, risiede nella necessità di salvaguardare la loro integrità psicofisica, dando prevalenza alle esigenze genitoriali ed educative su quelle cautelari (entro i limiti precisati), garantendo così ai figli l'assistenza della madre, in un momento particolarmente significativo e qualificante della loro crescita e formazione (Corte di cassazione, sezione VI penale, 23 giugno-1 settembre 2015, n. 35806; Corte di cassazione, sezione VI penale, 30 aprile-4 luglio 2014, n. 29355; Corte di cassazione, sezione I penale, 12 dicembre 2013-31 gennaio 2014, n. 4748; Corte di cassazione, sezione V penale, 15-27 febbraio 2008, n. 8636). Anche la Corte Costituzionale, con sentenza n. 17 del 2017 ha sottolineato come il divieto di applicazione della misura cautelare carceraria, in presenza di minori di età inferiore ai sei anni, sia "frutto del giudizio di valore operato dal legislatore, il quale stabilisce che, nei termini e nei limiti ricordati, sulla esigenza processuale e sociale della coercizione intramuraria deve prevalere la tutela di un altro interesse di rango costituzionale, quello correlato alla protezione costituzionale dell'infanzia, garantita dall'art. 31 Cost. (sentenze n. 239 del 2014 e n. 177 del 2009; ordinanza n. 145 del 2009)".
In ordine alla nozione delle esigenze cautelari "di eccezionale rilevanza" idonee, dunque, a superare la cogenza del divieto di disporre o di mantenere la custodia cautelare in carcere, secondo l'interpretazione giurisprudenziale esse si distinguono dalle normali esigenze cautelari per l'intensità delle stesse, che deve essere tale da far ritenere insostituibile la misura carceraria, attesa l'esistenza di puntuali e specifici elementi dai quali emerga un "non comune, spiccato, allarmante rilievo" dei pericoli di cui all'art. 274 c.p.p. ( in questo senso Cass., Sez. IV, 16 giugno 2005, n. 34218). Ancora la Corte di Cassazione, I sez. pen.con sentenza n. 47861 del 2012 che ha stabilito il principio secondo cui: "La eccezionale rilevanza delle esigenze cautelari richiesta dallart. 275 comma 4 c.p.p. per disporre o mantenere, nei confronti di madre di bambino in tenera età con lei convivente, la misura della custodia cautelare in carcere, nell'ipotesi in cui la misura custodiale sia stata applicata ai sensi dell'art. 274, comma 1, lett. c) c.p.p. sussiste se il concreto pericolo di commissione di gravi delitti della stessa specie di quelli per cui si procede sia elevatissimo, così da permettere una prognosi di sostanziale certezza in ordine al fatto che l'indagata, se sottoposta a misure cautelari diverse dalla custodia in carcere, continuerebbe a commettere i predetti delitti" . Inoltre la Cass.pen., sez. II con sentenza n. 48999 del 2019, ha ritenuto che le eccezionali esigenze sono ravvisabili nella " serialità di comportamenti nel compiere reati contro il patrimonio, documentati da precedenti penali e di polizia, nonché "nella professionalità manifestata da alcune modalità della condotta, nella assenza di qualsiasi reddito da cui desumere che la commissione di reati contro il patrimonio fosse la sua fonte di sostentamento, ed infine nella circostanza che l'indagata fosse inserita in ambienti delinquenziali strutturati". Cass. sez. VI 10.10.2018 n. 43341 ha annullato con rinvio per nuovo esame al Tribunale del Riesame di Roma l'ordinanza con la quale era stata disposta  la misura più severa nei confronti di una donna con prole di 1 anno, accusata insieme al compagno di far parte di una associazione dedita al narcotraffico.In tale caso il giudice aveva tratto gli elementi per ritenere sussistenti la eccezionale rilevanza" delle esigenze da "la scaltrezza della donna" ed in particolare per "la spregiudicatezza nel continuare nell'illecito commercio di stupefacenti anche quando il compagno si trovava agli arresti domiciliari" e dal fatto che stava pianificando un trasferimento fraudolento di denaro mediante l'acquisto e l'intestazione della titolarità di un autosalone"Il Giudice di legittimità è intervenuto, invece, annullando la ordinanza e rilevando che vi era stata una applicazione distorta del concetto di eccezionalità tale da farlo coincidere con quello diverso di gravità.La Corte ha poi ribadito che non si può ridurre l'ambito di operatività della norma di cui all'art. 275 comma già destinata a  situazioni residuali e non si può obliterare l'intento del legislatore che è quello di tutelare la salute della donna incinta e lo sviluppo psico fisico dei minori anche in situazioni di accertata devianza penale dei soggetti interessati. Altra sentenza ha ritenuto che la sussistenza delle esigenze cautelari di "eccezionale rilevanza" debbono risultare da " concreti, specifici ed attuali elementi indiziari e debbono essere indicative dell'esistenza di  un oggettivo pericolo che deriverebbe alla comunità dallo stato di libertà del soggetto" (Cass. sez. VI 23.2.2017).

La modifica apportata dalla proposta in esame è volta a sopprimere la clausola che consente la carcerazione in ragione di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Il divieto di applicazione della misura cautelare nella struttura carceraria si trasforma quindi da relativo ad assoluto.

Nei casi in cui sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, il comma 2, modificando l'articolo 285-bis c.p.p,, prevede che il giudice possa disporre l'applicazione della misura cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri (ICAM).

L'art. 285 bis è stato inserito nel codice di procedura penale dalla legge  n. 62 del 2011, che ha istituito una nuova forma di custodia cautelare detentiva per madri (ovvero padri, nel caso in cui la madre sia "assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole") nel caso in cui, pur in presenza di una prole di età non superiore ai sei anni, la sussistenza di esigenze cautelari eccezionali non consenta l'adozione di misure cautelari meno afflittive (detenzione domiciliare). In tali casi il giudice può (non sussiste obbligo al riguardo) disporre la custodia cautelare presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri (c.d. Icam).
Gli ICAM hanno caratteristiche strutturali diverse rispetto alle carceri tradizionali, sebbene restino strutture detentive.Sul territorio italiano gli ICAM presenti sono attualmente solo 5, con una distribuzione disomogenea: Icam di Milano San Vittore, Venezia alla Giudecca, Senorbì (in provincia di Cagliari), Lauro (Avellino) e Torino.

Dal combinato disposto delle modifiche apportate dai commi 1 e 2 dunque:

  • sarà sempre vietata la custodia cautelare in carcere per detenute madri con prole di età inferiore ai 6 anni;
  • ove sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza il giudice potrà disporre la custodia cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri (ICAM); viene meno, anche in tali casi, la possibilità di ricorrere alla custodia in carcere.

Il comma 3  interviene sull'articolo 293 del codice di rito, che disciplina le modalità esecutive delle misure cautelari, inserendovi i due nuovi commi 1-quater e 1 quinquies.  Al riguardo;

  •  introduce l'obbligo per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria incaricati di eseguire la misura cautelare, i quali rilevino la sussistenza di una delle ipotesi di divieto di applicazione della custodia in carcere di cui all'articolo 275, comma quarto, di darne atto nel verbale di arresto e di trasmettere il verbale stesso all'autorità che ha emesso il provvedimentoe, prima del trasferimento dell'arrestata nell'istituto di pena (nuovo comma 1-quater);
L'articolo 293 c.p.p. comma 1-ter. prevede che l'ufficiale o l'agente incaricato di eseguire l'ordinanza che ha disposto la custodia cautelare, informa immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato ovvero quello di ufficio designato a norma dell'articolo 97 e redige verbale di tutte le operazioni compiute, facendo menzione della consegna della comunicazione o dell'informazione orale fornita . Il verbale è immediatamente trasmesso al giudice che ha emesso l'ordinanza e al pubblico ministero
  • prevede nei predetti casi la possibilità per il giudice di disporre la sostituzione della misura cautelare con altra meno grave o la sua esecuzione con modalità meno gravose anche prima dell'ingresso dell'arrestato nell'istituto di pena (nuovo comma 1-quinquies).

Il comma 4 interviene invece sull'articolo 656 del codice di procedura penale, il quale disciplina l'esecuzione delle condanne definitive (per il commento della norma si veda infra, articolo 2).

Differimento obbligatorio e facoltativo della penaL'articolo 2 modifica il codice penale con riguardo alla disciplina dei casi di differimento obbligatorio e facoltativo della pena (articoli 146 e 147 c.p.) nei confronti di condannate madri.

Si ricorda che l'art. 146 c.p., comma primo, numero 2), obbliga il giudice al differimento dell'esecuzione se deve aver luogo nei confronti di madre di prole di età inferiore ad 1 anno, sempre che non sia venuta meno la responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c. . Il differimento è invece previsto come facoltativo dall'art. 147 c.p., comma 1, n. 3, nell'ipotesi in cui una pena restrittiva della libertà personale deve essere eseguita nei confronti di madre di prole di età tra 1 e 3 anni. Si ricorda inoltre, che l'articolo 47-ter comma 1-ter o.p. disciplina l'istituto della c.d. detenzione domiciliare in deroga, prevedendo che quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite per l'applicazione della detenzione domiciliare, può disporre la applicazione della stessa, stabilendone un termine di durata, che può essere prorogato. L'esecuzione della pena prosegue durante la esecuzione della detenzione domiciliare. In rapporto ad un beneficio obbligatorio, quale il rinvio dell'esecuzione della pena nei casi di cui all'art. 146 c.p. (al più sostituibile con la detenzione domiciliare ex art. 47-ter co. 1-ter o.p.), la Corte costituzionale ha affermato che il pericolo di una strumentalizzazione della maternità «è adeguatamente bilanciato dalla circostanza che il secondo comma dello stesso art. 146 cod. pen. prevede espressamente, tra le condizioni ostative alla concessione del differimento dell'esecuzione della pena e tra quelle di revoca del beneficio, la dichiarazione di decadenza della madre dalla potestà sul figlio (che, ai sensi dell'art. 330 cod. civ., può essere pronunciata quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti con grave pregiudizio del figlio) nonché l'abbandono o l'affidamento del figlio ad altri» (così Corte cost., ord. 8 maggio 2009, n. 145).

In particolare il comma 1 interviene sul rinvio obbligatorio della pena, apportando le seguenti modifiche:

  • si innalza da 1 a 3 anni la soglia di età del minore al di sotto della quale è stabilita l'obbligatorietà del rinvio dell'esecuzione della pena nei confronti della madre (o il padre nei casi residuali).
  • si prevede che nei casi di donna incinta o madre di figlio di età non superiore ai tre anni, se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti, il tribunale di sorveglianza possa stabilire che la pena sia eseguita in una casa famiglia protetta, ovvero in un istituto di custodia attenuata per detenute madri (ICAM) qualora sussista un pericolo rilevante

Il comma 2 modifica l'articolo 147 c.p  in merito al rinvio facoltativo della pena.

  • si innalza da 3 a 6 anni la soglia di età del minore al di sotto della quale è stabilita la possibilità del rinvio dell'esecuzione della pena nei confronti della madre (o il padre nei casi residuali);
  • si prevede che nei casi di donna incinta o madre di figlio di età tra i 3 e i 6 anni, se sussiste il concreto pericolo della commissione di delitti il tribunale di sorveglianza possa stabilire che la pena sia eseguita in una casa famiglia protetta, oppure, qualora sussista un pericolo rilevante,  in un istituto di custodia attenuata per detenute madri (ICAM)
L' art. 4 della legge n. 62 del 2011 ha previsto l'istituzione di case famiglia protette, quali strutture residenziali destinate all'accoglienza di:
  • imputate/i genitori, incinte o con prole infraseienne, nei cui confronti l'autorità giudiziaria abbia disposto gli arresti domiciliari presso tali strutture in alternativa alla propria abitazione, luogo di privata dimora o luogo pubblico di cura e assistenza (art. 284 c.p.p.);
  • madri e padri con prole di età inferiore ai dieci anni, convivente, ammessi alla detenzione domiciliare ex art. 47-ter o alla detenzione speciale ex art. 47-quinquies.

Si ricorda al riguardo che l'art. 284 c.p.p.: con il provvedimento che dispone gli arresti domiciliari, il giudice prescrive all'imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza ovvero, ove istituita, da una "casa famiglia protetta"

L'art. 47-ter O.P. consente l'accesso alla detenzione domiciliare anche presso "case famiglia protette" e che favorisce tale accesso sia alla madre di prole di età inferiore ad anni dieci con lei convivente sia al padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole (comma 1º, lettere a e b);

L'art. 47-quinquies O.P., consente l'accesso alla detenzione domiciliare speciale alle condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, al fine di provvedere alla loro cura e assistenza; in alcuni casi l'accesso può avvenire presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri ovvero nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli, ovvero nelle case famiglia protette; la stessa detenzione domiciliare speciale può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre.

Delle strutture residenziali case famiglia protette possono attualmente fruire solo soggetti per i quali non vengano ravvisate esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, o soggetti nei confronti dei quali, nel caso di concessione di misure alternative previste, non sussista grave e specifico pericolo di fuga o di commissione di ulteriori gravi reati, e risulti constatata l'impossibilità di esecuzione della misura presso l'abitazione privata o altro luogo di dimora .

Come sopra accennato, il comma 4 dell'articolo 1, interviene  sull'articolo 656 del codice di procedura penale, il quale disciplina l'esecuzione delle condanne definitive, aggiungendovi il nuovo comma 4-quinquies. Al riguardo si prescrive che:

  •  l'autorità che cura l'esecuzione della sentenza debba immediatamente avvisare il magistrato di sorveglianza della sussistenza di ipotesi di possibile rinvio obbligatorio della pena ex art. 146 c.p.
  •  il magistrato di sorveglianza, verificata la sussistenza dei presupposti del rinvio dell'esecuzione, possa ordinare il differimento dell'esecuzione o, se la protrazione della detenzione può cagionare grave pregiudizio al condannato, la liberazione del detenuto,fino alla decisione del tribunale, al quale trasmette immediatamente gli atti (secondo quanto previsto dall'articolo 684, comma 2, c.p.p).
L'art. 684 c.p.p. disciplina le modalità del rinvio dell'esecuzione, prevedendo, al comma 1 che il tribunale di sorveglianza provveda in ordine al differimento dell'esecuzione delle pene detentive e delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata nei casi previsti dagli artt. 146 e 147 c.p. (rinvio obbligatorio e rinvio facoltativo) e che il medesimo tribunale ordini, quando occorre, la liberazione del detenuto e adotti gli altri provvedimenti conseguenti.
Il comma 2, richiamato dalla disposizione in esame, consente al magistrato di sorveglianza, quando vi è fondato motivo per ritenere che sussistono i presupposti perché il tribunale disponga il rinvio, la possibilità di ordinare il differimento dell'esecuzione o, se la protrazione della detenzione può cagionare grave pregiudizio al condannato, la liberazione del detenuto. Il provvedimento conserva effetto fino alla decisione del tribunale, al quale il magistrato di sorveglianza trasmette immediatamente gli atti

Case famiglia protetteL'articolo 3 interviene sulla legge n. 62 del 2011 (Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori).

In particolare il comma 1 incide sulla disciplina dell'individuazione delle case famiglia protette, sostituendo il comma 2 dell'articolo 4 della citata legge con due nuovi commi volti a prevedere:

  • l'obbligo (e non più la facoltà) per il Ministro della giustizia di stipulare con gli enti locali convenzioni volte a individuare le strutture idonee a essere utilizzate come case famiglia protette; rispetto al testo vigente viene meno altresì la clausola di invarianza finanziaria;
  • l'obbligo per i comuni ove siano presenti case famiglie protette di adottare i necessari interventi per consentire il reinserimento sociale delle donne una volta espiata la pena detentiva, avvalendosi a tal fine dei propri servizi sociali.
L' art. 4 della citata legge n. 62 del 21 aprile 2011ha demandato ad un Regolamento, adottato con decreto del ministro della giustizia l'individuazione dei requisiti per l'istituzione delle case famiglia protette.
I requisiti delle case famiglia protette sono stati definiti dal Decreto 8 marzo 2013. In base a tale decreto le case famiglia protette:
  • sono collocate in località dove sia possibile l'accesso ai servizi territoriali, socio-sanitari ed ospedalieri, e che possano fruire di una rete integrata a sostegno sia del minore sia dei genitori; le strutture hanno caratteristiche tali da consentire agli ospiti una vita quotidiana ispirata a modelli familiari, tenuto conto del prevalente interesse del minore;
  • possono ospitare non oltre sei nuclei di genitori con relativa prole;
  • i profili degli operatori professionali impiegati e gli spazi interni sono tali da facilitare il conseguimento delle finalità di legge;
  • le stanze per il pernottamento e i servizi igienici dei genitori e dei bambini devono tenere conto delle esigenze di riservatezza e differenziazione in considerazione della possibile presenza di soggetti di sesso maschile;
  • sono in comune i servizi indispensabili per il funzionamento della struttura (cucina etc. ...);
  • sono previsti spazi da destinare al gioco per i bambini, possibilmente anche all'aperto;
  • sono previsti spazi, di dimensioni sufficientemente ampie, per consentire gli incontri personali, quali: i colloqui con gli operatori, i rappresentanti del territorio e del privato sociale, nonché gli incontri e i contatti con i figli e i familiari al fine di favorire il ripristino dei legami affettivi;
  • il servizio sociale dell'amministrazione penitenziaria interviene nei confronti dei sottoposti alla misura della detenzione domiciliare;
  • il Ministro della Giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, può stipulare con gli enti locali convenzioni volte ad individuare le strutture da utilizzare come case famiglia protette.

Il comma 2, aggiungendo il nuovo comma 1-bis all'articolo 5 della legge n. 62 del 2011,  prevede che alla copertura degli oneri derivanti dalla realizzazione delle case famiglia protette, si provveda a valere sulle disponibilità della cassa delle ammende di cui all'articolo 4 della legge 9 maggio 1932, n. 547.

L' art. 4 della legge 9 maggio 1932, n. 547 prevede l'istituzione, presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, della cassa delle ammende, ente dotato di personalità giuridica.La cassa delle ammende ha, tra i suoi scopi istituzionali, il finanziamento di programmi di reinserimento in favore di detenuti ed internati, programmi di assistenza ai medesimi ed alle loro famiglie e progetti di edilizia penitenziaria finalizzati al miglioramento delle condizioni carcerarie.

Si ricorda altresì che la legge di bilancio 2021 (commi 322) istituisce, nello stato di previsione del Ministero della giustizia, un apposito fondo, dotato di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio (2021-2023), al fine di garantire il finanziamento dell'accoglienza di genitori detenuti con bambini al seguito in case-famiglia protette ai sensi dell'articolo 4 della legge 21 aprile 2011, n. 62, ed in case-alloggio per l'accoglienza residenziale dei nuclei mamma-bambino. Entro due mesi dall'entrata in vigore della legge di bilancio, il Ministro della giustizia, con decreto, da adottarsi di concerto con il Ministro dell'economia e sentita la Conferenza Unificata, provvede al riparto delle risorse tra le regioni. La definizione dei criteri e delle modalità di ripartizione è demandata allo stesso decreto ministeriale.