Modifiche agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di sesso, di genere, di orientamento sessuale o di identità di genere 31 luglio 2020 |
Indice |
Contenuto|Discussione e attività istruttoria in Commissione in sede referente|I pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva| |
ContenutoIl testo unificato degli AAC. 107, 569, 868, 2171 e 2255 si compone di 10 articoli attraverso i quali, anzitutto, L'oggetto della propostamodifica i delitti contro l'uguaglianza previsti dagli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, per aggiungere alle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi gli atti discriminatori fondati "sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere". Il provvedimento non definisce i quattro diversi concetti.
Atti discriminatori fondati sul sesso...Come è noto, con l'espressione "sesso" si individua il complesso dei caratteri anatomici, morfologici, fisiologici che determinano e distinguono, tra gli individui di una stessa specie animale o vegetale, i maschi dalle femmine. Nel nostro ordinamento è anzitutto la Costituzione ad utilizzare questo termine all'articolo 3, laddove si afferma il principio di uguaglianza "senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali", e all'articolo 51, in base al quale "tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge". Anche il legislatore ordinario ha ampiamente utilizzato il concetto, da ultimo e per i profili che rilevano in questa sede, per disciplinare la "rettificazione di attribuzione di sesso" (legge n. 164 del 1982) o le "unioni civili tra persone dello stesso sesso" (legge n. 76 del 2016). Anche l...sull'orientamento sessuale'espressione "orientamento sessuale" è già utilizzata nella legislazione italiana, che non ne fornisce una definizione. Ad esempio:
Il testo unificato adottato come testo reprime altresì gli atti discriminatori fondati sul genere e sull'identità di genere....sul genere Il "genere" (dal latino genus e, a partire dall'antico francese gendre diffusosi in inglese nella forma gender) viene comunemente utilizzato per riferirsi ai ruoli di genere come modelli di relazione, aspettative, vincoli ed opportunità diverse tra uomini e donne, e in questo si distingue da sesso, che invece rimanda alla natura biologica del maschile e del femminile e quindi alla dimensione fisiologica. L'espressione "genere" è comunemente usata nel nostro ordinamento per riferirsi ai due diversi sessi (ad esempio, la legge elettorale per la Camera prevede che nel complesso delle candidature circoscrizionali di ciascuna lista nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore al 50% e che nella successione interna delle liste i candidati siano collocati secondo un ordine alternato di genere; nella legislazione giuslavoristica si mira a garantire l'effettiva applicazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne, assicurando che le differenze di genere non siano causa di discriminazione diretta o indiretta). Talvolta, quando "genere" è attributo di un sostantivo, come nelle espressioni "diseguaglianze di genere", "politiche di genere" o "violenza di genere", fa implicito riferimento al genere femminile. Così, il d.l. n. 93 del 2013, Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province, motivava l'itervento d'urgenza con "il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne" che rendono necessaria l'introduzione di "misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne". Diverso è il significato ...sull'identità di generedell'espressione "identità di genere" che ha per la prima volta trovato ingresso in un testo normativo con la Direttiva 2011/95/UE che l'ha ritenuta identificativa degli aspetti connessi al sesso che possono costituire motivi di persecuzione, soprattutto ove sia evidente un contrasto tra i dati anagrafici e la rappresentazione esterna di un genere diverso. Nell'ordinamento interno tale disposizione è stata recepita con ilD.Lgs. n. 18 del 2014, sull'attribuzione della qualifica di rifugiato, che individua tra i motivi di persecuzione (art. 8) l'appartenenza a un particolare gruppo sociale che può identificarsi anche con riferimento all'identità di genere. Utilizza inoltre l'espressione "identità di genere" dal 2018 anche l'ordinamento penitenziario (v. sopra), unitamente all'espressione "orientamento sessuale". In merito, la Corte costituzionale con la sentenza n. 221 del 2015, in materia di rettificazione giudiziale dell'attribuzione di sesso, ha affermato che il «diritto all'identità di genere» è «elemento costitutivo del diritto all'identità personale, rientrante a pieno titolo nell'ambito dei diritti fondamentali della persona». Nello stesso senso la Corte si esprime con la sentenza n. 180 del 2017 nella quale ribadisce "che va ancora una volta rilevato come l'aspirazione del singolo alla corrispondenza del sesso attribuitogli nei registri anagrafici, al momento della nascita, con quello soggettivamente percepito e vissuto costituisca senz'altro espressione del diritto al riconoscimento dell'identità di genere".
Solo a titolo di esempio, si ricorda che da ultimo, nell'attribuire le deleghe al Ministro per le pari opportunità e la famiglia, il D.P.C.M. 26/09/2019 ha delegato il Ministro "a promuovere e coordinare le azioni di Governo in tema di diritti umani delle donne e diritti delle persone, nonché le azioni di Governo volte a prevenire e rimuovere tutte le forme di discriminazione per cause direttamente o indirettamente fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, l'età, l'orientamento sessuale e l'identità di genere, anche promuovendo rilevazioni statistiche in materia di discriminazioni" (art. 2). Sesso, orientamento sessuale e identità di genere sono ad oggi i tre motivi di discriminazione più spesso richiamati.
Se dunque le discriminazioni per ragioni di sesso, di orientamento sessuale e di identità di genere, ancorché in assenza di un quadro definitorio, paiono riconducibili a fenomeni già riconosciuti espressamente dal legislatore, più complesso pare delineare i confini delle discriminazioni di genere, potendo il concetto risultare assorbito da una parte dalle discriminazioni per motivi di sesso e dall'altra dalle discriminazioni per motivi di identità di genere.
La Commissioni affari costituzionali, nella seduta del 29 luglio 2020, ha formulato, nell'espressione del parere sul provvedimento, una condizione volta sottolineare l'opportunità di "chiarire maggiormente i confini tra le condotte discriminatorie fondate sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere, al fine di evitare incertezze in sede applicativa".
Si segnala inoltre che il Comitato per la legislazione, nel parere reso nella seduta del 23 luglio 2020, ha formulato una
condizione volta a sottolineare la
necessità, ai fini del rispetto dei parametri stabiliti dall'articolo 16-bis del Regolamento sotto il profilo della semplicità, chiarezza e proprietà della formulazione, di "introdurre specifiche definizioni, ai fini dell'attuazione del provvedimento, dei concetti di «sesso», «genere», «orientamento sessuale» e «identità di genere»";
In particolare, Modifica dell'art. 604-bis c.p.l'articolo 1 novella l'art. 604-bis c.p. (intervenendo sulla rubrica e sui primi due commi), per aggiungere ad alcune delle condotte ivi richiamate i motivi di discriminazione fondati sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere.
Attualmente, l'art. 604-bis del codice penale (già art. 3 della legge 654/1975, di ratifica ed esecuzione della Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni Unite a New York nel 1966) punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato:
Il terzo comma dell'art. 604-bis, infine, prevede un'aggravante speciale (reclusione da 2 a 6 anni) quando la propaganda, l'istigazione e l'incitamento alla discriminazione o all'odio razziale, etnico o religioso siano commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione e si fondino "in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra" come definiti dallo Statuto della Corte penale internazionale (art. 6, crimine di genocidio; art. 7, crimini contro l'umanità; art. 8, crimini di guerra), ratificato dall'Italia con la legge n. 232 del 1989.
Nel modificare la lett. a) dell'art. 604-bis il testo non amplia l'ambito di applicazione del reato di propaganda, ma solo del reato di istigazione a commettere atti di discriminazione e del reato consistente nel compimento di tali atti.
La Cassazione (Sez. V, 24 gennaio 2001, n. 31655) ha affermato che il reato di istigazione a compiere atti di discriminazione non si pone in contrasto con il diritto di libera manifestazione del pensiero, sancito nell'art. 21 Cost., in quanto «l'incitamento ha un contenuto fattivo di istigazione ad una condotta, quanto meno intesa come comportamento generale, e realizza un quid pluris rispetto ad una manifestazione di opinioni, ragionamenti o convincimenti personali».
Si ricorda, peraltro, che l'
A.S. 1052, approvato dalla Camera nella scorsa legislatura, conteneva una disposizione volta a specificare che «Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all'odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all'interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all'attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni».
In conseguenza delle novelle proposte all'art. 604-bis c.p., per le discriminazioni per motivi di sesso, di genere, di orientamento sessuale e di identità di genere sono previste le seguenti pene:
L'Modifica dell'art. 604-ter c.p.articolo 2 del testo modifica l'art. 604-ter c.p. integrando l'aggravante di discriminazione con i motivi fondati sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere.
L'articolo 604-ter c.p. (già articolo 3 del decreto-legge n. 122 del 1993) prevede la
circostanza aggravante della finalità di discriminazione: per qualsiasi reato - ad eccezione di quelli per i quali è previsto l'ergastolo - commesso per le finalità di discriminazione o di odio o per agevolare le associazioni che hanno tra i propri scopi le medesime finalità, la
pena viene
aumentata fino alla metà (primo comma).
In caso di concorso di circostanze, il giudice non può ritenere le attenuanti equivalenti o prevalenti rispetto all'aggravante della finalità di discriminazione e le eventuali diminuzioni di pena devono essere calcolate sulla pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante. Tale principio non opera rispetto all'attenuante della minore età (secondo comma).
La giurisprudenza della Cassazione ha stabilito che al fine della configurazione dell'aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, non è necessario che la condotta incriminata sia destinata o, quanto meno, potenzialmente idonea a rendere percepibile all'esterno ed a suscitare il riprovevole sentimento o, comunque, il pericolo di comportamenti discriminatori o di atti emulatori, giacché ciò varrebbe ad escludere l'aggravante in questione in tutti i casi in cui l'azione lesiva si svolga in assenza di terze persone (Sez. V, sent. n. 37609 del 11-07-2006 ). In altra sentenza sempre del 2006 (Sez. V, sentenza n. 42258 del 2006) la Cassazione ha affermato che «La finalità di odio o di discriminazione prevista come circostanza aggravante (art. 3 del D.L. 26 aprile 1993 n. 122) non può essere confusa con i "motivi" dell'azione criminosa, dovendo questa risultare non semplicemente il frutto di riconoscibili pulsioni interne di un certo tipo (eventualmente valutabili sotto diversi profili quali, ad es., quelli di cui all'art. 61 n. 1 c.p.), ma lo strumento per il conseguimento, da parte dell'agente, di obiettivi costituiti: -quanto all'odio, proprio dalla sua voluta e ricercata manifestazione, onde renderlo percepibile all'esterno dal destinatario dell'azione criminosa e, eventualmente, anche da terzi estranei; -quanto alla discriminazione, dall'adozione di comportamenti che non si limitino ad esprimere sentimenti di generico rifiuto o di antipatia, pur se possano ritenersi censurabili, ma (secondo la nozione di "discriminazione" contenuta nell'art. 1 della Convenzione di New York del 7 marzo 1966, resa esecutiva in Italia con la legge 11 ottobre 1975 n. 654), abbiano "lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica» .
Conseguentemente, quando un reato (per il quale l'ordinamento non preveda già la pena dell'ergastolo) sia commesso per tali finalità, la pena prevista è aumentata fino alla metà. In ordine alla formulazione del testo si valuti l'opportunità di chiarire che il sesso, il genere, l'orientamento sessuale o l'identità di genere vanno riferiti alle finalità di discriminazione o di odio e non ai reati, considerando altresì che l'inserimento di questo ulteriore inciso rende irriferibile il seguito della frase «ovvero al fine di agevolare….», che non sarebbe più retto dalle finalità di discriminazione o di odio, bensì dai reati.
Libera espressione di convincimenti ed opinioniL'articolo 3, specifica che ai sensi della proposta di legge in esame, "sono consentite la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte" richiamando sostanzialmente quanto espresso dal principio costituzionale di cui all'articolo 21, primo comma, Cost. secondo il quale "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione".
Al riguardo, la Commissione affari costituzionali, nel parere sul provvedimento, reso il 29 luglio 2020, ha formulato una condizione volta a sottolineare
l'opportunità di rivedere la formulazione della disposizione, nel senso di chiarire più puntualmente che non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e la manifestazione di convincimenti o di opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, nonché le condotte legittime riconducibili alla libertà delle scelte, purché non istighino all'odio o alla violenza, ossia non presentino un nesso con atti gravi, concreti e attuali;
Si ricorda peraltro che l'A.S. 1052 (Disposizioni in materia di contrasto dell'omofobia e della transfobia) approvato dalla Camera nella scorsa legislatura, conteneva una disposizione volta a specificare che «Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all'odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all'interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all'attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni».
L'Modifiche alla c.d. Legge Mancinoarticolo 4 interviene sulla c.d. Legge Mancino (decreto-legge n. 122 del 1993), che completa la legislazione di contrasto delle discriminazioni prevedendo le sanzioni accessorie in caso di condanna per discriminazione (articolo 1) e ulteriori sanzioni penali (articolo 2). Anzitutto, il testo modifica il titolo del provvedimento, attualmente relativo alle misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa, aggiungendovi il riferimento alle discriminazioni fondate sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere. Interviene poi sull'art. 1 del decreto-legge, relativo alle pene accessorie applicabili in caso di condanna per un reato di odio o di discriminazione.
L'elenco delle pene accessorie che il giudice può decidere di applicare non è modificato dal provvedimento in commento e comprende l'obbligo di prestare un'attività non retribuita a favore della collettività, l'obbligo di permanenza in casa entro orari determinati, la sospensione della patente di guida o del passaporto, il divieto di detenzione di armi e anche il divieto di partecipare, in qualsiasi forma, ad attività di propaganda elettorale.
Il testo integra, anche in questo caso, il contenuto della rubrica dell'articolo, aggiungendo la discriminazione fondata sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere. In ordine alla formulazione, si valuti l'opportunità di rendere omogenea l'integrazione al titolo del provvedimento e alla rubrica dell'art. 1, anche in questo caso invididuando i quattro motivi di discriminazione come alternativi (congiunzione "o" e non "e"). Modifica, poi, Applicabilità delle pene accessorie(lett. a), n. 1), il campo d'applicazione delle pene accessorie, intervenendo sul comma 1-bis:
Si ricorda che la
legge 9 ottobre 1967, n. 962 (
Prevenzione e repressione del delitto di genocidio) punisce, oltre agli atti "concreti" volti a distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale, provocando la morte o lesioni personali gravi o gravissime (art. 1), anche la deportazione a fini di genocidio (art. 2), con aggravanti in caso di morte (art. 3); punisce altresì (artt. 4 e 5) il genocidio, rispettivamente, mediante limitazione delle nascite o sottrazione di minori. Inoltre, all'art. 8, la legge n. 962 punisce la pubblica istigazione e apologia dei delitti di genocidio (indicati dagli articoli da 1 a 5 della legge).
Il provvedimento all'esame della Commissione, dunque, consente l'applicazione delle pene accessorie solo a fronte di una condanna per il delitto di accordo tra più persone allo scopo di costringere persone appartenenti ad un gruppo nazionale etnico, razziale o religioso, a portare marchi o segni distintivi indicanti la appartenenza al gruppo stesso, e il fatto non si realizza (art. 7, comma 2, della legge). In conseguenza di tale modifica si impedisce, ad esempio, l'applicazione delle pene accessorie in caso di condanna per pubblica istigazione e apologia dei delitti di genocidio (art. 8, legge n. 962/1967). Si ricorda, inoltre, che il restringimento del campo d'applicazione delle pene accessorie potrebbe comportare il venir meno di pene accessorie già irrogate. Si segnala, con riguardo alla limitazione dell'applicazione delle pene accessorie per il delitto di genocidio, che si tratta di una modifica estranea all'oggetto delle proposte di legge all'esame della Commissione.
Si tratta dei reati che puniscono:
- chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri delle organizzazioni di cui all'art. 604-bis c.p. (art. 2, comma 1: reclusione fino a 3 anni e multa da 103 a 258 euro);
- chiunque acceda ai luoghi ove si svolgono competizioni agonistiche con gli emblemi o i simboli sopra citati (art. 2, comma 2: arresto da 3 mesi ad un anno).
La lett. a), n. 2, sostituisce il Lavoro di pubblica utilitàcomma 1-ter per prevedere - in relazione ai delitti individuati dal comma 1-bis - che la prestazione di lavoro pubblica utilità disciplinato dalla Legge Mancino (v. infra) possa essere:
Si ricorda che in base all'art. 163, comma 1, c.p., nel pronunciare sentenza di condanna alla reclusione o all'arresto per un tempo non superiore a due anni, ovvero a pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva e ragguagliata a norma dell'art. 135, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni, il giudice può ordinare che l'esecuzione della pena rimanga sospesa per il termine di cinque anni se la condanna è per delitto o di due anni se la condanna è per contravvenzione. L'art. 167 c.p. prevede che il reato sia estinto qualora il condannato, nei suddetti termini, non commetta altro delitto o contravvenzione.
L'applicazione del beneficio è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice il quale deve tenere conto del ravvedimento del reo e della gravità del reato commesso.
In base all'art. 165 c.p. la sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull'ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato,
ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna.
La sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito, deve essere sempre subordinata all'adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente.
In base agli artt. da 168-bis a 168-quater c.p., significativamente inseriti tra le disposizioni relative alle cause estintive del reato, nei procedimenti per reati puniti con pena pecuniaria, ovvero con reclusione fino a 4 anni (sola, congiunta o alternativa a pena pecuniaria), ovvero per uno dei reati in relazione ai quali l'articolo 550, comma 2, c.p.p. prevede la citazione diretta a giudizio, l'imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. La misura consiste in condotte riparatorie volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ove possibile in misure risarcitorie del danno, nell'affidamento dell'imputato al servizio sociale e nella prestazione di lavoro di pubblica utilità. Quest'ultimo consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell'imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell'imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore.
Al termine della misura, se il comportamento dell'imputato è valutato positivamente, il giudice dichiara l'estinzione del reato, restando comunque applicabili le eventuali sanzioni amministrative accessorie.
A fronte della commissione di un reato di odio o discriminazione, dunque, il lavoro di pubblica utilità può essere sia applicato prima della condanna - all'imputato che chieda la messa alla prova - che dopo la condanna, per evitare l'applicazione della pena, con l'istituto della sospensione condizionale (comma 1-ter) che, infine, applicato a titolo di sanzione accessoria (comma 1-bis). Con la modifica del comma 1-quater (lett. a), nn. 3 e 4), relativo al lavoro di pubblica utilità:
- per la sospensione condizionale della pena è il codice penale a stabilire che la prestazione lavorativa non può avere una durata superiore alla pena sospesa; - nella messa alla prova non è contemplata la durata massima, ma si ritiene che essa non possa superare un anno, quando si tratti di reati puniti con pena pecuniaria, o due anni quando si tratti di reati puniti con pena detentiva; - per quanto riguarda invece il lavoro di pubblica utilità come pena accesoria, l'eliminazione del termine di 12 settimane dovrebbe comportare l'applicazione dell'art. 37 c.p. a mente del quale se la durata della pena accessoria temporanea non è espressamente determinata essa "ha una durata eguale a quella della pena principale inflitta".
La modifica del comma 1-quinquies, relativa all'oggetto del lavoro di pubblica utilità, è volta a prevedere che esso possa essere prestato anche presso associazioni di tutela delle vittime dei reati di odio e discriminazione. Il provvedimento, inoltre, con riguardo al lavoro prestato a favore delle organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, sostituisce il riferimento agli extracomunitari con quello agli stranieri; si tratta di un ampliamento della platea dei destinatari in quanto il termine "stranieri" ricomprende anche i cittadini di stati membri dell'Unione europea.
Il comma 2 dell'articolo 3, riprendendo l'attuale contenuto dell'art. 1, comma 1-ter, del decreto-legge n. 122 del 1993, demanda a un regolamento del Ministro della giustizia, da emanare entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge, la determinazione delle modalità di svolgimento della suddetta attività non retribuita in favore della collettività. L'Modifiche al c.p.p.articolo 5 interviene sul codice di procedura penale per inserire le persone offese da reati commessi con odio fondato sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere, tra i soggetti in condizione di particolare vulnerabilità, che giustifica nell'ambito del procedimento penale l'adozione di specifiche cautele soprattutto nell'assunzione delle prove (cfr. artt. 134, 190-bis, 351, 362, 392, 398, 498 c.p.p.).
L'Giornata nazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobiaarticolo 6 istituisce la giornata nazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia. Il testo, senza definire questi concetti, individua nel 17 maggio il giorno dedicato alla promozione della cultura del rispetto e dell'inclusione nonché al contrasto dei pregiudizi, delle discriminazioni e delle violenze motivati dall'orientamento sessuale e dall'identità di genere, in attuazione dei princìpi di uguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione. Spetterà alle pubbliche amministrazioni e alle scuole, nel corso della giornata, organizzare iniziative per realizzare tali finalità. In base alla richiamata legge n. 54 del 1977 (artt. 2 e 3) le solennità civili previste per legge non determinano riduzioni dell'orario di lavoro negli uffici pubblici né, quando cadono nei giorni feriali, costituiscono giorni di vacanza o possono comportare riduzione di orario per le scuole. L'istituzione della giornata nazionale dovrà avvenire senza ulteriori oneri per il bilancio dello Stato. L'UNAR: elaborazione di una strategia nazionalearticolo 7 integra il catalogo delle competenze dell'Ufficio per il contrasto delle discriminazioni della Presidenza del Consiglio, UNAR.
I decreti legislativi 215 e 216 del 2003, entrambi di attuazione della normativa comunitaria, hanno introdotto un complesso organico di disposizioni in materia di non discriminazione. Essi sono volti a tutelare la parità di trattamento tra le persone, il primo in via generale, il secondo per quanto riguarda specificatamente le condizioni di lavoro. Il D.Lgs. 215/2003, in particolare, recepisce la direttiva 2000/43/CE e reca disposizioni relative alla parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, prevedendo le misure necessarie ad evitare che le differenze di razza o etnia siano causa di discriminazione, diretta e indiretta, anche in considerazione del differente impatto che le medesime forme di discriminazione possano avere su donne e uomini e sull'esistenza di forme di razzismo a carattere culturale e religioso.
In attuazione di una specifica disposizione del D.Lgs. n. 215/2003 (art. 7), nell'ambito del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio è stato istituito l'Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull'origine etnica, con funzioni di controllo e garanzia dell'effettività del principio di parità di trattamento e di vigilanza sull'operatività degli strumenti di tutela approntati contro le discriminazioni. L'UNAR è diretto da un responsabile nominato dal Presidente del Consiglio o da un Ministro delegato. Intervenendo sull'art. 7 del d.lgs. n. 215 del 2003, il testo demanda all'ufficio - in consultazione con le amministrazioni locali, le organizzazioni di categoria e le associazioni - l'elaborazione triennale di una strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all'orientamento sessuale e all'identità di genere. Il documento dovrà definire gli obiettivi e individuare misure relative all'educazione e istruzione, al lavoro, alla sicurezza, anche con riferimento alla situazione carceraria, alla comunicazione e ai media e dovrà individuare specifici interventi volti a prevenire e contrastare l'insorgere di fenomeni di violenza e discriminazione fondati sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere. L'4 milioni l'anno al Fondo pari opportunità per finanziare la rete dei centri antidiscriminazionearticolo 8 incrementa di 4 milioni di euro, a decorrere dal 2020, il Fondo pari opportunità della Presidenza del Consiglio, per finanziare politiche per la prevenzione e il contrasto della violenza per motivi legati all'orientamento sessuale e all'identità di genere e per il sostegno delle vittime. In particolare, il provvedimento prevede l'emanazione di un regolamento governativo contenente un programma per la realizzazione in tutto il territorio nazionale di centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere, volti a prestare assistenza legale, sanitaria, psicologica, alloggio e vitto non solo alle vittime dei reati di odio e discriminazione commessi per tali motivi, ma anche per tutti coloro che si trovino in condizione di vulnerabilità legata all'orientamento sessuale o all'identità di genere in ragione del contesto sociale e familiare di riferimento. I centri potranno essere gestiti dagli enti locali o dalle associazioni operanti nel settore e dovranno operare in sinergia con la rete dei servizi socio-sanitari e assistenziali territoriali. Spetterà al regolamento individuare i requisiti organizzativi dei centri, le loro tipologie e le categorie professionali che vi potranno operare, le modalità di erogazione dei servizi. In merito, si ricorda che nel corso della conversione in legge del decreto-legge n. 34 del 2020 (c.d. decreto Rilancio), la Camera ha inserito nel provvedimento l'art. 105-quater che incrementa di 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021 la dotazione del Fondo pari opportunità, destinando tali risorse al finanziamento di politiche per la prevenzione e il contrasto della violenza per motivi legati all'orientamento sessuale e all'identità di genere e per il sostegno delle vittime. Si valuti dunque la soppressione dell'art. 7 del testo ovvero la sua riformulazione in una novella dell'art. 105-quater. Si segnala in particolare che, mentre l'art. 7 del provvedimento in commento rede stabile il finanziamento di 4 milioni (a decorrere dal 2020), coperto dall'articolo 9 del testo , la disposizione introdotta nel decreto-rilancio finanzia il programma per soli due anni (2020 e 2021). L'Statistichearticolo 9 demanda a ISTAT lo svolgimento di indagini - con cadenza almeno triennale - sulle discriminazioni, sulla violenza e sulle caratteristiche dei soggetti più esposti al rischio, al fine di verificare l'applicazione della riforma e implementare le politiche di contrasto delle discriminazioni motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, oppure fondati sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere. L'Istat dovrà applicare i "quesiti contenuti nell'Indagine sulle discriminazioni condotta dall'Istituto nazionale di Statistica a partire dal 2011".
Il
sito di ISTAT riferisce che l'Indagine sulle discriminazioni in base al genere, all'orientamento sessuale e all'appartenenza etnica è stata realizzata per la prima volta nel 2011, a seguito di una Convenzione stipulata con il Dipartimento delle Pari Opportunità, con l'obiettivo di colmare il gap informativo sulla diffusione e le forme che i fenomeni discriminatori assumono nel nostro Paese e con particolare riferimento a tre specifiche dimensioni: il genere, l'orientamento sessuale e l'appartenenza etnica.
L'indagine è nata con un duplice obiettivo: da un lato, quello di rilevare le opinioni e gli atteggiamenti dei cittadini nei confronti delle categorie oggetto di interesse; dall'altro, stimare il numero di persone che hanno subito esperienze discriminatorie, con particolare riferimento alle discriminazioni subite nel contesto scolastico e in quello lavorativo (distinto in ricerca di lavoro e attività lavorativa). L'indagine è stata condotta con tecnica mista CAPI (computer assisted personal interview) – SAQ (Self Administered Questionnaire). Nel questionario cartaceo autocompilato, per la prima volta è stato rilevato, con un'apposita batteria di quesiti, l'orientamento sessuale degli intervistati. L'articolo 10 reca la copertura finanziaria. |
Discussione e attività istruttoria in Commissione in sede referenteLa Commissione giustizia ha avviato l'esame della proposta di legge C. 569 il 24 ottobre 2019; in successive sedute sono state abbinate altre proposte di legge parlamentare (segnatamente le C. 107 e C. 868 nella seduta del 14 novembre 2019 e le C. 2255 e C. 2171 nella seduta del 21 gennaio 2020), che hanno ampliato il contenuto della pdl originaria. Al fine di acquisire elementi utili all'istruttoria, la Commissione ha quindi svolto un ciclo di audizioni informali (dal 18 febbraio al 27 maggio), nell'ambito delle quali sono stati sentiti numerosi docenti universitari, magistrati, rappresentanti dell'avvocatura e di associazioni per i diritti delle persone omosessuali e transessuali, alcuni dei quali hanno depositato documentazione in materia. Le proposte di legge abbinate sono confluite in un testo unificato, approvato il 14 luglio 2020, in merito al quale sono stati presentati oltre un migliaio di emendamenti; la Presidenza ha richiesto ai gruppi la segnalazione degli emendamenti da porre in votazione (nel limite di 90 per gruppo). Nella seduta del 22 luglio ha avuto inizio l'esame degli emendamenti, proseguito nella sedute del 23 luglio e in quella del 28 luglio, in cui sono stati approvati alcuni emendamenti. Nella seduta del 30 luglio la Commissione ha conferito il mandato al relatore a riferire in Assemblea. |
I pareri espressi dalle Commissioni in sede consultivaSul provvedimento si è espressa con parere favorevole la Commissione affari sociali . La Commissione Affari costituzionali ha espresso un parere favorevole con diverse osservazioni e due condizioni volte: a sottolineare la necessità, con riferimento all'articolo 3 del testo unificato, di rivedere la formulazione della disposizione, nel senso di chiarire più puntualmente che non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e la manifestazione di convincimenti o di opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, nonché le condotte legittime riconducibili alla libertà delle scelte, purché non istighino all'odio o alla violenza, ossia non presentino un nesso con atti gravi, concreti e attuali; a chiarire maggiormente i confini tra le condotte discriminatorie fondate sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale o sull'identità di genere, al fine di evitare incertezze in sede applicativa. La Commissione Cultura e la Commissione Lavoro hanno espresso parere favorevole con una osservazione. Il Comitato per la legislazione ha espresso parere favorevole con diverse osservazioni e una condizione volta a sottolineare la necessità sotto il profilo della semplicità, chiarezza e proprietà della formulazione, di introdurre specifiche definizioni, ai fini dell'attuazione del provvedimento, dei concetti di «sesso», «genere», «orientamento sessuale» e «identità di genere». La Commissione parlamentare per le questioni regionali ha espresso parere favorevole con una condizione volta a sottolineare la necessità di prvedere la previa intesa in sede di Conferenza unificata ai fini dell'emenazione del regolamento governativo, di cui all'articolo 7, comma 4, concernente la realizzazione di centri contro le discriminazioni. |