Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del bullismo
Riferimenti: AC N.1524/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 150
Data: 29/05/2019
Organi della Camera: II Giustizia

 

Camera dei deputati

XVIII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni per la prevenzione e il contrasto del bullismo

A.C. 1524

Schede di lettura

 

 

 

 

 

 

n. 150

 

 

 

29 maggio 2019

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Giustizia

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File: gi0079

 


INDICE

Schede di lettura

Introduzione                                                                                                        3

Contenuto della proposta di legge                                                                  5

§  Articolo 1 (Modifiche all’articolo 612-bis del codice penale)                           5

§  Articolo 2 (Innalzamento delle pene per inosservanza dell’obbligo scolastico)        11

§  Articolo 3 (Modifiche alla legge 29 maggio 2017, n. 71)                              13

§  Articolo 4 (Modifiche all’ordinamento penitenziario minorile)                       17

§  Articolo 5 (Adeguamento dello statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria)                                                                                                    21

§  Articolo 6 (Numero telefonico gratuito nazionale e applicazione informatica per dispositivi mobili) 23

 

 


Schede di lettura

 


Introduzione

La proposta di legge AC 1524 è volta a favorire la prevenzione e il contrasto degli episodi riconducibili al bullismo in tutte le sue forme.

Le tematiche collegate al fenomeno del bullismo sono state oggetto, già nella XVII legislatura di un prolungato dibattito tra Senato e Camera dei deputati, all’esito del quale è stata approvata la legge n. 71 del 2017 che individua strumenti di prevenzione e di contrasto del cyberbullismo, definito come qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d'identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.

Tale legge ha privilegiato gli interventi di carattere socio-educativo, che coinvolgono le responsabilità dei genitori e, soprattutto, della scuola, rispetto ad interventi di natura penale, incentrandosi, infatti, su azioni a carattere preventivo e favorendo attenzione, tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti, a prescindere dal fatto che siano le vittime o i responsabili degli illeciti.

La proposta in esame, pur ponendosi in continuità con la sopra citata legge n. 71 del 2017 - alla quale vengono apportate limitate modifiche - e contenendo anch’essa alcune misure di carattere socio-educativo, accosta alle stesse l'impiego di strumenti di repressione penale per combattere le varie forme di bullismo.

 

La proposta si compone di 6 articoli mediante i quali:

·         modifica il codice penale intervenendo sul delitto di atti persecutori, previsto dall’art. 612-bis, per ampliare l’ambito oggettivo dell’illecito penale al fine di ricomprendervi le condotte di bullismo;

·         modifica la contravvenzione prevista in caso di inosservanza dell’obbligo scolastico, portando l’attuale ammenda fino a 30 euro ad una ammenda da 500 a 5.000 euro e prevedendo l’applicazione della norma penale in caso di violazione dell’istruzione obbligatoria (e non più solo elementare);

·         estende l’attuale obbligo del dirigente scolastico di informare i genitori in caso di episodi di cyberbullismo in ambito scolastico che non costituiscano reato anche agli episodi di bullismo e prevede, in ogni caso l’obbligo del dirigente di trasmettere tempestivamente la segnalazione di atti di bullismo (e cyberbullismo) alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni;

·         modifica la legge sull’istituzione e sul funzionamento del tribunale per i minorenni con riguardo alla disciplina delle misure coercitive di intervento non penale nei confronti di minorenni dalla condotta socialmente inaccettabile, mediante predisposizione di un progetto di intervento educativo con finalità ripartiva, preliminare rispetto a qualsiasi altra misura;

·         prevede un adeguamento dello statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, specificando gli impegni da un lato della scuola e dall’altro delle famiglie per la prevenzione dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo, nonché di altre situazioni di disagio;

·         prevede l’istituzione - presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche della famiglia – di un servizio di assistenza alle vittime di bullismo e cyberbullismo.

 


Contenuto della proposta di legge

Articolo 1
(Modifiche all’articolo 612-bis del codice penale)

L’articolo 1 della proposta di legge interviene sul delitto di atti persecutori, previsto dall’art. 612-bis del codice penale, per ampliare l’ambito oggettivo dell’illecito penale al fine di ricomprendervi le condotte di bullismo.

 

Già attualmente la giurisprudenza, in assenza di una specifica norma penale che punisca il bullismo, tenta, laddove possibile, di inquadrare negli atti persecutori le condotte di prevaricazione del bullo. Si ricorda, ad esempio, la sentenza n. 28623 del 2017 con la quale la Corte di cassazione ha affermato che gli atti di bullismo posti in essere nei confronti della vittima integravano pienamente il reato di atti persecutori previsto e punito dall'art. 612-bis c.p., essendo sufficiente ai fini della compiuta integrazione dell'evento del reato, la prova della causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, ove ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato.

 

In particolare, la riforma (lett. a) interviene sul primo comma dell’art. 612-bis per aggiungere alle condotte reiterate di minaccia o molestia – che attualmente concretizzano l’illecito – quelle di percosse, ingiuria, diffamazione, umiliazione ed emarginazione. Se tali condotte cagionano «un perdurante e grave stato di ansia o di paura» oppure ingenerano «un fondato timore per l'incolumità» della vittima, di un suo prossimo congiunto o del partner, oppure costringono la vittima ad «alterare le proprie abitudini di vita», si applica la pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni.

 

Per quanto riguarda la pena applicabile al reato di atti persecutori, si ricorda che l’A.S. 1200 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere), approvato dalla Camera lo scorso 3 aprile 2019, modifica l’art. 612-bis c.p. per sostituire l’attuale pena della reclusione da sei mesi a cinque anni con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi.?

 

Delle cinque condotte aggiunte al primo comma dell’art. 612-bis, solo tre hanno già, o hanno avuto, una tipizzazione all’interno del codice penale.

 

Si ricorda, infatti, che:

-         l’art. 581 c.p. (Percosse) punisce con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a 309 euro chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente, purché tale violenza non sia elemento costitutivo o circostanza aggravante di un altro reato. La giurisprudenza ha chiarito che con il termine percuotere non si intende solo battere, colpire, picchiare, ma anche, in senso più ampio, ogni violenta manomissione dell'altrui persona fisica, tale da abbracciare qualsiasi energia fisica esercitata con violenza e direttamente dall’agente sulla vittima (cfr. Cass. pen., Sez. V, sentenza n. 48322 del 2018);

-         l’art. 594 c.p. (Ingiuria), ora abrogato, prevedeva fino al 2017 la reclusione fino a sei mesi o la multa fino a 516 per chiunque offendesse l'onore o il decoro di una persona presente;

-         l’art. 595 c.p. (Diffamazione) punisce con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro chiunque, fuori dei casi di ingiuria, comunicando con più persone offende l'altrui reputazione.

 

Non risultano invece definite dal codice le condotte di umiliazione e di emarginazione.

 

Il concetto di umiliazione è stato finora utilizzato dalla Corte di cassazione per qualificare condotte riconducibili alle fattispecie di abuso dei mezzi di correzione (art. 571 c.p.)[1] e di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.)[2]. La condotta di emarginazione è richiamata dalla più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato sul mobbing, definito anche come “danno da emarginazione”[3].

 

Si valuti l’opportunità di meglio definire il concetto di emarginazione a fini della determinazione della fattispecie penale.

 

La riforma non interviene sul secondo comma dell’art. 612-bis c.p., che prevede una aggravante (pena aumentata fino a un terzo) oltre che quando gli atti persecutori sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, anche quando il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. Come evidenzia la relazione illustrativa, dunque, attraverso l’integrazione della fattispecie penale al primo comma «anche le condotte riconducibili al cyberbullismo ottengono conseguente copertura penalistica mediante il vigente secondo comma» dell’art. 612-bis.

 

Intervenendo sul terzo comma dell’art. 612-bis, inoltre, la proposta di legge (lett. b) aggiunge all’attuale aggravante per fatto commesso in danno di minore (di donna in gravidanza e di disabile), le seguenti due nuove aggravanti, che comportano un aumento della pena fino alla metà:

-       fatto commesso da tre o più persone;

-       fatto commesso con finalità discriminatorie.

 

Per quanto riguarda l’aggravante per fatto commesso con finalità discriminatorie, si ricorda che l’art. 604-ter del codice penale prevede «per i reati punibili con pena diversa da quella dell'ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità» l’aumento della pena fino alla metà. Inoltre, la medesima disposizione specifica che le eventuali circostanze attenuanti, diverse da quella relativa alla minore età dell’autore del reato, concorrenti con l'aggravante della discriminazione, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a questa e dunque le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla predetta aggravante.

 

Si valuti l’opportunità di coordinare l’aggravante per fatto commesso con finalità discriminatore con l’art. 604-ter c.p.

 

La proposta di legge, infine (lett. c), inserisce un comma nell’art. 612-bis c.p. per prevedere una specifica attenuante (pena diminuita fino alla metà) se gli atti persecutori sono commessi da un minorenne che si sia «adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato».

In base alla formulazione del nuovo quarto comma dell’art. 612-bis l’attenuante si può applicare ai fatti «di cui ai commi primo e secondo»; in realtà quella del secondo comma non è una autonoma fattispecie penale bensì una aggravante. Si valuti dunque l’opportunità di fare riferimento ai soli fatti di cui al primo comma. Spetterà poi al giudice determinare la pena per il fatto concreto valutando il concorso tra circostanze aggravanti ed attenuanti in base all’art. 69 c.p.

 

La riforma non modifica l’ultimo comma dell’art. 612-bis c.p., conseguentemente anche per i fatti di bullismo il delitto è punito a querela della persona offesa (il termine per la proposizione della querela è di 6 mesi; la remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate). Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.

 

Normativa vigente

A.C. 1524

Codice penale

Libro II - Dei delitti in particolare

Titolo XII - Dei delitti contro la persona

Capo III - Dei delitti contro la libertà individuale

Sezione III - Dei delitti contro la libertà morale

Art. 612-bis

Atti persecutori

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, percuote, ingiuria, diffama, umilia, emargina, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

Identico.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, se è commesso da tre o più persone ovvero con armi o da persona travisata ovvero con finalità discriminatorie.

 

La pena è diminuita fino alla metà se i fatti di cui ai commi primo e secondo sono commessi da un minorenne, ove questi si sia adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio

Identico.


Articolo 2
(Innalzamento delle pene per inosservanza dell’obbligo scolastico)

 

L’articolo 2 della proposta di legge modifica la contravvenzione prevista dall’art. 731 del codice penale in caso di inosservanza dell’obbligo scolastico.

 

Si ricorda che attualmente l’art. 731 c.p. punisce con l’ammenda fino a 30 euro chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza di un minore, omette, senza giusto motivo, d'impartirgli o di fargli impartire l'istruzione elementare.

 

Si tratta di un reato a soggettività ristretta, che può essere commesso da genitori, tutori, adottanti, affidatari, responsabili degli istituti di assistenza, pervenendo, in sostanza, ad una coincidenza tra i soggetti destinatari dell'obbligo penalmente sanzionato e i soggetti responsabili dell'adempimento dell'obbligo scolastico che, ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 76 del 2005[4] sono «i genitori dei minori o coloro che a qualsiasi titolo ne facciano le veci».

La condotta può essere posta in essere soltanto attraverso un'omissione e – data la natura contravvenzionale – non rileva l'elemento soggettivo che può essere, indifferentemente, il dolo o la colpa. Il reato è attribuito alla competenza del giudice di pace (art. 4, co. 1, lett. b) del d.lgs. n. 274 del 2000).

 

Per quanto riguarda l'ambito di applicazione della norma penale, la disposizione utilizza tanto nella rubrica, quanto nel testo, l'aggettivo "elementare".

Ciononostante, fino al 2010, la contravvenzione si applicava anche per l’inosservanza dell’obbligo di frequenza della scuola media in virtù dell’art. 8 della legge n. 1859 del 1962 (Istituzione e ordinamento della scuola media statale), che prevedeva in caso di violazione dell’obbligo scolastico l’applicazione delle «sanzioni previste dalle vigenti disposizioni per gli inadempimenti all'obbligo dell'istruzione elementare».

Con l’abrogazione di questa norma da parte del d.lgs. n. 212 del 2010, nessuna norma penale punisce attualmente l'inosservanza dell'obbligo scolastico della scuola media anche inferiore, sicché l'eventuale estensione dell'art. 731 a detta ipotesi si risolverebbe in un'inammissibile interpretazione analogica in malam partem.
In questo senso si è espressa la Corte di cassazione (Sez. III, sentenza n. 4520 del 2017), affermando che l'art. 731 non ha contenuto meramente sanzionatorio dell'obbligo scolastico previsto da varie leggi di ordine pubblico che si sono succedute nel tempo e prevede una specifica condotta costituita dall'inosservanza non del generico obbligo scolastico ma di quello specifico dell'istruzione elementare (nello stesso senso anche Sez. III, sentenza n. 4523 del 2017).

 

Rispetto alla formulazione vigente, come si evince dal testo a fronte che segue, la proposta di legge:

-         qualifica espressamente il reato come “proprio” del genitore o dell’esercente la responsabilità genitoriale;

-         innalza la pena portando l’attuale ammenda fino a 30 euro all’ammenda da 500 a 5.000 euro;

-         elimina il riferimento all’istruzione elementare, prevedendo l’applicazione della norma penale in caso di violazione dell’istruzione obbligatoria.

 

Normativa vigente

A.C. 1524

Codice penale

Libro III - Delle contravvenzioni in particolare

Titolo II - Delle contravvenzioni concernenti l'attività sociale della pubblica amministrazione

Art. 731

Inosservanza dell'obbligo dell'istruzione elementare dei minori

Inosservanza dell’obbligo di istruzione dei minori

Chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, omette, senza giusto motivo, d'impartirgli o di fargli impartire l'istruzione elementare è punito con l'ammenda fino a euro 30.

Il genitore o l’esercente la responsabilità genitoriale, che ometta di impartire o di far impartire l'istruzione obbligatoria, è punito con l'ammenda da euro 500 a euro 5.000.

 

In merito alla durata dell'obbligo scolastico si ricorda che in base all’art. 34, secondo comma, della Costituzione «L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita».

Il limite minimo previsto dalla Costituzione è poi stato innalzato dal legislatore ordinario: in particolare, da ultimo, l’art. 1, co. 622, della L. 26 dicembre 2006, n. 296 (L. finanziaria 2007) ha stabilito che, a decorrere dall'a.s. 2007/2008, è obbligatoria l’istruzione impartita per almeno dieci anni e che la stessa è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. L'obbligo di istruzione si assolve anche – in base al medesimo art. 1, co. 622 – nei percorsi di istruzione e formazione professionale (che rappresentano una delle componenti del secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione e la cui competenza legislativa esclusiva è delle regioni, spettando allo Stato la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni).

Qui la pagina dedicata del sito del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

 

 

 


Articolo 3
(Modifiche alla legge 29 maggio 2017, n. 71)

 

L’articolo 3 della proposta di legge interviene sulla recente legge n. 71 del 2017, che ha dettato disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo.

 

In sintesi, la legge n. 71 del 2017:

- individua la finalità dell'intervento nel contrasto del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni attraverso una strategia che comprende misure di carattere preventivo ed educativo nei confronti dei minori (vittime e autori del bullismo sul web) da attuare in ambito scolastico;

- prevede che il minorenne che abbia compiuto 14 anni e sia vittima di bullismo informatico (nonché ciascun genitore o chi esercita la responsabilità sul minore) possa rivolgere istanza al gestore del sito Internet o del social media o, comunque, al titolare del trattamento per ottenere provvedimenti inibitori e prescrittivi a sua tutela (oscuramento, rimozione, blocco di qualsiasi altro dato personale del minore diffuso su Internet, con conservazione dei dati originali). Il titolare del trattamento o il gestore del sito Internet o del social media deve comunicare, entro 24 ore dall'istanza, di avere assunto l'incarico e deve provvedere sulla richiesta nelle successive 48 ore. In caso contrario l'interessato può rivolgere analoga richiesta, mediante segnalazione o reclamo, al Garante per la protezione dei dati personali che deve provvedere, in base alla normativa vigente, entro le successive 48 ore;

- istituisce un tavolo tecnico per la prevenzione ed il contrasto del cyberbullismo e prevede l'adozione, da parte del MIUR, sentito il Ministero della giustizia, di apposite linee di orientamento - da aggiornare ogni due anni - per la prevenzione ed il contrasto del cyberbullismo nelle scuole. In particolare, le linee di orientamento dovranno prevedere una specifica formazione del personale scolastico, la promozione di un ruolo attivo degli studenti e la previsione di misure di sostegno e rieducazione dei minori coinvolti;

- prevede la designazione, in ogni istituto scolastico, di un docente con funzioni di referente per le iniziative contro il cyberbullismo che dovrà collaborare con le Forze di polizia, e con le associazioni e con i centri di aggregazione giovanile presenti sul territorio;

- prevede interventi di caratteri educativo in materia di cyberbullismo (finanziamento di progetti e promozione dell'uso consapevole di internet);

- in caso di episodi di cyberbullismo in ambito scolastico, prevede inoltre l'obbligo da parte del dirigente responsabile dell'istituto di informare tempestivamente i genitori (o i tutori) dei minori coinvolti e di attivare adeguate azioni educative;

- applica la disciplina sull'ammonimento del questore, mutuata da quella dello stalking, anche al cyberbullismo: fino a quando non sia stata proposta querela o presentata denuncia per i reati di ingiuria, diffamazione, minaccia o trattamento illecito di dati personali commessi, mediante Internet, da minorenni ultraquattordicenni nei confronti di altro minorenne, il questore - assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti - potrà convocare il minore responsabile (insieme ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale), ammonendolo oralmente ed invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge.

 

In particolare, la riforma interviene sull’articolo 5, comma 1, della legge che attualmente impone al dirigente scolastico, in caso di episodi di cyberbullismo in ambito scolastico che non costituiscano reato, di informare tempestivamente i genitori (o i tutori) dei minori coinvolti e di attivare adeguate azioni educative.

Modificando questa previsione, la proposta di legge dispone che l’obbligo del dirigente scolastico di informare i genitori riguarda non solo le ipotesi di cyberbullismo (definite dall’art. 1 della legge n. 71/2017) ma anche quelle di bullismo.

 

 

Normativa vigente

A.C. 1524

Legge 29 maggio 2017, n. 71

Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo

Articolo 5

Informativa alle famiglie, sanzioni in ambito scolastico e progetti di sostegno e di recupero

Informativa alle famiglie, segnalazione all’autorità giudiziaria minorile, iniziative di carattere educativo e sanzioni disciplinari in ambito scolastico

1. Salvo che il fatto costituisca reato, in applicazione della normativa vigente e delle disposizioni di cui al comma 2, il dirigente scolastico che venga a conoscenza di atti di cyberbullismo ne informa tempestivamente i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale ovvero i tutori dei minori coinvolti e attiva adeguate azioni di carattere educativo.

1. Il dirigente scolastico che venga a conoscenza, in qualsiasi modo, di atti di cui all'articolo 1, realizzati anche in forma non telematica, che coinvolgono a qualsiasi titolo studenti iscritti all'istituto scolastico che dirige, in applicazione della normativa vigente e delle disposizioni del comma 2 del presente articolo e salvo che il fatto costituisca reato, ne informa tempestivamente i genitori dei minori coinvolti o i soggetti esercenti la responsabilità genitoriale su di essi e promuove adeguate iniziative di carattere educativo nei riguardi dei minori medesimi. In ogni caso, il dirigente scolastico trasmette tempestivamente la segnalazione di tali atti alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, anche ai fini dell'adozione delle misure previste dall'articolo 25 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835.

2. I regolamenti delle istituzioni scolastiche di cui all'articolo 4, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni, e il patto educativo di corresponsabilità di cui all'articolo 5-bis del citato decreto n. 249 del 1998 sono integrati con specifici riferimenti a condotte di cyberbullismo e relative sanzioni disciplinari commisurate alla gravità degli atti compiuti.

2. Identico.

 

 

La proposta di legge, con finalità di coordinamento, abroga l’articolo 7 della legge n. 71 del 2017, che attualmente disciplina l’ammonimento del questore, mutuando l’istituto dalla normativa sullo stalking.

L’abrogazione consegue all’inserimento delle condotte di bullismo nell’art. 612-bis c.p., che comporta l’applicazione dell’art. 8 del decreto-legge n. 11 del 2009, in base al quale, fino a quando non è proposta querela per il reato di atti persecutori, la persona offesa può esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta.

 

La disciplina dello stalking prevede dunque che il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l'ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore adotta i provvedimenti in materia di armi e munizioni.

Se nonostante l’ammonimento, viene commesso il reato di atti persecutori, si procede d’ufficio e, in caso di condanna, la pena è aumentata.

 

 

Normativa vigente

A.C. 1524

Legge 29 maggio 2017, n. 71

Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo

Articolo 7

Ammonimento

Abrogato

1. Fino a quando non è proposta querela o non è presentata denuncia per taluno dei reati di cui agli articoli 594, 595 e 612 del codice penale e all'articolo 167 del codice per la protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, commessi, mediante la rete internet, da minorenni di età superiore agli anni quattordici nei confronti di altro minorenne, è applicabile la procedura di ammonimento di cui all'articolo 8, commi 1 e 2, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, e successive modificazioni.

Abrogato

2. Ai fini dell'ammonimento, il questore convoca il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale.

Abrogato

3. Gli effetti dell'ammonimento di cui al comma 1 cessano al compimento della maggiore età.

Abrogato


Articolo 4
(Modifiche all’ordinamento penitenziario minorile)

 

L’articolo 4 modifica la legge sull’istituzione e sul funzionamento del tribunale per i minorenni (regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, c.d. legge minorile).

In particolare, tramite la riformulazione dell’art. 25 del citato regio decreto, sono apportate alcune modifiche alla disciplina delle misure coercitive di intervento non penale nei confronti di minorenni dalla condotta socialmente inaccettabile (lett. a).

 

A differenza degli interventi penali, possibili solo a partire dal quattordicesimo anno e nel caso in cui il fatto costituisca reato, per l’applicazione delle misure di cui all’art. 25 non è prevista un’età minima, e non sono tipizzate le condotte devianti che possono darvi luogo. Si tratta di un istituto introdotto con la legge 25 luglio 1956 n. 888, che ha modificato il r.d.l. 20/7/1934 n.1404 istitutivo del Tribunale per i minorenni. La legge n. 888, dopo aver sostituito la definizione di minore traviato con quella di “minore irregolare per condotta o carattere”, ha introdotto e ha messo al primo posto la misura dell’affidamento del minore al servizio sociale, quale attività di sostegno e controllo della condotta del minore, ordinata dal tribunale per i minorenni e attuata dal servizio sociale, che lascia il minore nel suo contesto familiare facendolo però seguire ed aiutare dal servizio stesso. Accanto ad essa, la medesima legge ha conservato la misura del collocamento del minore presso un istituto di rieducazione o istituto medico psico-pedagogico.

 

In primo luogo la riforma, sopprimendo il riferimento all’ “irregolarità per condotta e per carattere” del minore, procede alla tipizzazione delle ipotesi che possono comportare l’adozione delle misure nei confronti dello stesso, individuandole nelle condotte aggressive nei confronti di persone, animali o cose o lesive della dignità altrui.

Diverse modifiche attengono altresì al procedimento per l’adozione delle misure. Attualmente esso inizia a seguito di segnalazione non obbligatoria del minore al tribunale per i minorenni da parte del pubblico ministero minorile, oppure da parte dei genitori, o dell’ufficio di servizio sociale, o degli organismi di educazione (es., la scuola), o di protezione e di assistenza all’infanzia (servizi sociosanitari). Con la riforma, il pubblico ministero è l’unico soggetto che può riferire al tribunale sulla base delle segnalazioni ricevute da chiunque, dopo aver assunto le necessarie informazioni. L’organo competente all’adozione delle misure resta il Tribunale dei minorenni (nuovo comma 1 dell’art. 25 legge minorile).

Nell’ordinamento vigente il Tribunale, effettuate indagini sulla personalità del minore, può disporre con decreto motivato l’applicazione della misura che ritiene più consona al caso, scegliendo fra affidamento al servizio sociale e collocamento in una struttura.

La novità più rilevante della riforma consiste nella previsione di un intervento preliminare rispetto alle suddette misure. Tale intervento consiste nello svolgimento di un progetto di intervento educativo con finalità rieducativa e riparativa, che favorisca percorsi di mediazione, sotto la direzione e il controllo dei servizi sociali minorili che può essere disposto dal Tribunale dei minori con decreto motivato (nuovo comma 2).

La riforma rimette al decreto del Tribunale la fissazione degli obiettivi e della durata del progetto, che in ogni caso non può superare i dodici mesi, rinnovabili una sola volta per altri dodici.

La determinazione del contenuto del progetto educativo è rimessa invece ai servizi sociali territoriali e nello stesso può essere previsto il coinvolgimento del nucleo familiare del minore, tramite un percorso di sostegno all’esercizio della responsabilità genitoriale (nuovo comma 3 dell’art. 25).

 

La Relazione illustrativa della proposta di legge, specifica che con l’espressione «percorso di sostegno all’esercizio della responsabilità genitoriale » si vuole fare riferimento a interventi non riconducibili a trattamenti sanitari, quali sono anche i percorsi di natura psicologica, né a interventi limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale, bensì a misure, da calibrare a seconda del caso di specie e della gravità dello stesso, volte alla promozione di un’attenta genitorialità e alla gestione delle relazioni familiari.

 

A conclusione del progetto, il Tribunale dei minorenni, sulla base della relazione predisposta dai servizi sociali, e sentito il minorenne, i genitori o gli esercenti la potestà genitoriale adotta un ulteriore decreto motivato optando tra quattro diverse soluzioni (nuovo comma 4):

·         conclusione del procedimento;

·         proroga del progetto o adozione di un progetto diverso in relazione alle mutate esigenze educative del minore;

·         affidamento del minore ai servizi sociali

 

L'applicazione della misura dell’affidamento ai servizi sociali, già presente nell’attuale formulazione dell’art. 25, non costituisce una misura di carattere penale e neppure una misura di prevenzione in quanto non presuppone necessariamente la commissione di un fatto costituente reato né la pericolosità sociale del minore. L'affidamento ai servizi sociali, che ha carattere rieducativo nei confronti del minore e non carattere sanzionatorio nei confronti dei genitori, non comporta necessariamente l'allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare: i servizi sociali nella maggior parte dei casi, si affiancano ai genitori al fine di provvedere alla rieducazione del figlio minore. Il testo della legge, in ogni caso, non esclude che il figlio minore possa essere temporaneamente allontanato dal proprio ambiente familiare ed in questo caso, le spese di mantenimento sono interamente poste a carico dei genitori o di coloro che ne facciano le veci.

Nell’ipotesi in cui sia disposto l’affidamento al servizio sociale, il giudice in una apposita udienza convoca il minore e il rappresentante del servizio sociale, e indica in un verbale le prescrizioni che il minore dovrà seguire in ordine alla sua istruzione o formazione professionale e all’utilizzazione del tempo libero, nonché le linee direttive dell’assistenza alle quali egli deve essere sottoposto (art. 27 legge minorile). Nella stessa circostanza il giudice può disporre, dandone atto a verbale, l’allontanamento del minore dalla famiglia, con indicazione del luogo in cui dovrà vivere e della persona o dell’ente che si prenderà cura della sua educazione. Il servizio sociale “controlla la condotta del minore e lo aiuta a superare le difficoltà in ordine a una normale vita sociale”. Riferisce periodicamente al giudice del tribunale per i minorenni sul suo comportamento, proponendo a seconda dei casi la modifica delle prescrizioni in senso più restrittivo o chiedendone la cessazione per avvenuto riadattamento (artt. 27 e 29 legge minorile).

 

·         collocamento del minore in una comunità.

Il collocamento in comunità sostituisce l’attuale riferimento al collocamento in una "casa di rieducazione" o di un "istituto medico psico pedagogico”.

 

Già attualmente la misura del collocamento in una casa di rieducazione o in un istituto medico psico-pedagogico, è caduta in desuetudine. L’entrata in vigore del d.p.r. n. 616 del 1977, con l’attribuzione della competenza per l’esecuzione di tali provvedimenti ai servizi degli enti locali, ha determinato la chiusura sia degli istituti di rieducazione che di quelli medici psico-pedagogici. L’attuazione della misura rieducativa, attribuita in origine agli uffici di servizio sociale del Ministero della giustizia, è stata trasferita alla competenza degli enti locali territoriali (Comuni o consorzi di Comuni) ed è stata attuata dagli enti locali con il collocamento in comunità o in piccole strutture.

 

Specifiche previsioni  sono dedicate all’ipotesi in cui il Tribunale disponga il collocamento del minore in comunità (nuovo comma 5). Rispetto all’ordinamento vigente la riforma non muta la previsione della deliberazione del tribunale in camera di consiglio. Le modifiche attengono all’obbligatorietà dell’assistenza di un difensore (attualmente solo facoltativa) e alla specificazione che il minore vada ascoltato purché abbia compiuto i dodici anni, mentre per i minori che non abbiano compiuto i dodici anni l’audizione da parte del tribunale è prevista solo se il minore sia capace di discernimento. Resta l’obbligo di sentire i genitori, gli esercenti la potestà genitoriale e il pubblico ministero.

 

Le ulteriori disposizioni dell’articolo 4 (lettere da b) a e)) contengono norme di coordinamento di ulteriori disposizioni della legge minorile (R.D. 1404 del 1934) con la riforma.

 

In particolare viene modificato:

·         l’articolo 26, il quale prevede la possibilità dell’applicazione della misura dell’affidamento del minore ai servizi sociali (“misura di cui all'art. 25, n. 1”), anche quando il minore si trovi nella condizione prevista dall'art. 333 del Codice civile (Condotta del genitore pregiudizievole ai figli). Il riferimento alla misura dell’affidamento ai servizi sociali è sostituito dalla possibilità alternativa del Tribunale di disporre l’affidamento stesso oppure il progetto educativo di cui ai commi 1-3 del nuovo articolo 25.

·         l’articolo 27 il quale contiene le prescrizioni in caso di adozione della misura dell’affidamento ai servizi sociali. La modifica consiste nel mero aggiornamento del riferimento normativo della misura della misura (ora contenuta all’art. 25, comma 4, n. 3). 

·         l’articolo 28 che contiene gli obblighi di comunicazione al tribunale dei minori da parte del direttore dell’istituto ove il minore è collocato in applicazione della misura, attualmente prevista, del collocamento in una casa di rieducazione od in un istituto medico psico pedagogico; la modifica sostituisce il riferimento alla misura del collocamento in comunità e modifica di conseguenza la rubrica dell’articolo;

·         l’articolo 29 che attiene alle modificazioni, trasformazioni e cessazione delle misure amministrative del tribunale dei minori, aggiornandone i riferimenti normativi con quelli introdotti dalla riforma in esame.

 

 

 


Articolo 5
(Adeguamento dello statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria)

 

L’articolo 5 prevede un adeguamento dello statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, adottato con DPR 249/1998 e modificato con DPR 235/2007.

 

Preliminarmente si ricorda che il DPR 249/1998 è stato adottato, ai sensi dell’art. 17, co. 1, della L. 400/1988, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato.

Esso dispone, per quanto qui più interessa, che la vita della comunità scolastica si basa, fra l’altro, sul rispetto reciproco di tutte le persone che la compongono, quale che sia la loro età e condizione, nel ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e culturale (art. 1).

La scuola si impegna a porre progressivamente in essere le condizioni per assicurare un ambiente favorevole alla crescita integrale della persona, nonché servizi di sostegno e promozione della salute e di assistenza psicologica (art. 2).

Gli studenti sono tenuti ad avere nei confronti di tutto il personale della scuola e dei loro compagni lo stesso rispetto che chiedono per se stessi e a mantenere un comportamento corretto, anche in modo da non arrecare danni al patrimonio della scuola (art. 3).

I regolamenti delle singole istituzioni scolastiche individuano i comportamenti che configurano mancanze disciplinari e le relative sanzioni, nel rispetto dei criteri indicati dal regolamento. In particolare, i provvedimenti disciplinari hanno finalità educativa e tendono al recupero dello studente. Le sanzioni sono sempre temporanee, proporzionate alla infrazione disciplinare e ispirate al principio di gradualità e, per quanto possibile, al principio della riparazione del danno. Possono consistere anche nell’allontanamento dalla comunità scolastica: in particolare, nei periodi di allontanamento superiori a 15 giorni, in coordinamento con la famiglia e, ove necessario, anche con i servizi sociali e l’autorità giudiziaria, la scuola promuove un percorso di recupero educativo che miri all’inclusione, alla responsabilizzazione e al reintegro, ove possibile, nella comunità scolastica (art. 4).

Inoltre, contestualmente all’iscrizione ad ogni istituzione scolastica, è richiesta la sottoscrizione da parte dei genitori e degli studenti di un Patto educativo di corresponsabilità educativa, finalizzato a definire in maniera dettagliata e condivisa diritti e doveri nel rapporto fra istituzione scolastica, studenti e famiglie (art. 5-bis).

 

Per l’adeguamento del DPR, si individuano i seguenti principi:

·         prevedere, nell'ambito dei diritti dello studente di cui all'art. 2 del DPR, che la scuola si impegna a porre progressivamente in essere anche le condizioni per assicurare l'emersione di episodi riconducibili ai fenomeni del bullismo e del cyberbullismo, di situazioni di uso o abuso di alcool o di sostanze stupefacenti e di forme di dipendenza;

·         prevedere che il Patto educativo di corresponsabilità educativa contenga l'impegno da parte delle famiglie a partecipare ad attività di formazione organizzate dalla scuola, con particolare riferimento all'uso della rete internet e delle comunità virtuali, e a collaborare con la scuola per consentire l'emersione degli episodi sopra indicati.

 

Inoltre, si indica la previsione, nell'ambito dei doveri dello studente di cui all’art. 3 del DPR, del principio in base al quale gli studenti sono tenuti a rispettare il dirigente scolastico, i docenti, il personale della scuola e i loro compagni.

Come si è visto, però, tale dovere è già indicato nell’art. 3 del DPR 249/1998.

 

 


Articolo 6
(Numero telefonico gratuito nazionale e applicazione informatica per dispositivi mobili)

 

L’articolo 6 della proposta di legge prevede l’istituzione - presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche della famiglia – di un servizio di assistenza delle vittime di bullismo e cyberbullismo.

 

Il servizio dovrà essere accessibile tramite un numero di telefono gratuito nazionale, attivo 24 ore su 24 (comma 1), e tramite una applicazione informatica da installare sui cellulari (comma 2), con la finalità di:

-         fornire alle vittime assistenza psicologica e giuridica;

-         informare prontamente le autorità di polizia.

 

Alla predisposizione dell’applicazione informatica dovrà provvedere l’Agenzia per l’Italia digitale.

 

L’Agenzia per l’Italia digitale (AGID) è l’organismo tecnico del Governo che ha il compito di garantire, sulla base degli indirizzi del Presidente del Consiglio, la realizzazione gli obiettivi dell’Agenda Digitale Italiana. Più in generale l’AGID promuove sia l’innovazione digitale del sistema Paese, sia la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni anche nel rapporto con cittadini e imprese.

L’Agenzia per l’Italia digitale AGID è stata istituita dal D.L. 83/2012 (artt. 19-22). Successivamente, sono intervenuti prima il D.Lgs. 179/2016 e poi il D.Lgs. 217/2017 (entrambi di attuazione della legge 124/2015 di riforma della pubblica amministrazione) che hanno apportato diverse modifiche alla disciplina dell’AGID. Tra queste l’inserimento nel Codice dell’amministrazione digitale CAD (D.Lgs. 82/2005) di diverse disposizioni relative dell’Agenzia (in particolare viene abrogato l’art. 20 del D.L. 83 che confluisce nell’art. 14-bis del CAD ed è modificato l’art. 21 del medesimo D.L. 83).

Alla nuova Agenzia sono state attribuite le funzioni precedentemente espletate dall’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione, parte di quelle della DigitPA (enti che vengono contestualmente soppressi), nonché quelle facenti capo al Dipartimento per la digitalizzazione della pubblica amministrazione e l’innovazione tecnologica della Presidenza del Consiglio dei Ministri. All'Agenzia sono trasferite anche le funzioni in materia di sicurezza delle reti svolte dall'Istituto superiore delle comunicazioni e delle tecnologie dell'informazione.

L'Agenzia ha tra gli altri i seguenti compiti:

•      emanazione di linee guida contenenti regole, standard e guide tecniche, nonché di indirizzo, vigilanza e controllo sull’attuazione e sul rispetto delle norme del CAD;

•      programmazione e coordinamento delle attività delle amministrazioni per l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, mediante il Piano triennale per l'informatica nella pubblica amministrazione;

•      monitoraggio delle attività svolte dalle amministrazioni in relazione alla loro coerenza con il Piano triennale;

•      predisposizione, realizzazione e gestione di interventi e progetti di innovazione;

•      promozione della cultura digitale;

•      rilascio di pareri tecnici, obbligatori e non vincolanti, sugli schemi di contratti e accordi quadro di particolare valore da parte delle pubbliche amministrazioni centrali concernenti l'acquisizione di beni e servizi relativi a sistemi informativi automatizzati per quanto riguarda la congruità tecnico-economica;

•      rilascio di pareri tecnici, obbligatori e vincolanti sugli elementi essenziali delle procedure di gara bandite da Consip concernenti l'acquisizione di beni e servizi relativi a sistemi informativi automatizzati e definiti di carattere strategico nel piano triennale;

•      vigilanza sui servizi fiduciari (quali quelli relativi alle transazioni elettroniche, sui gestori di posta elettronica certificata, sui soggetti che partecipano a SPID.

 

 

L’applicazione dovrà essere dotata di una funzione di geolocalizzazione attivabile previo consenso dell’utilizzatore.

 

Si ricorda che in base all’art. 2-quinquies del Codice in materia di protezione dei dati personali (D.lgs. n. 196 del 2003), il minore che ha compiuto i quattordici anni può esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali in relazione all'offerta diretta di servizi della società dell'informazione; per il minore di età inferiore a quattordici anni il consenso deve essere espresso da chi esercita la responsabilità genitoriale.



[1]     La Sezione VI della Cassazione penale ha più volte affermato che «Costituisce abuso punibile a norma dell'art. 571 c.p. il comportamento doloso che umilia, svaluta, denigra o violenta psicologicamente un bambino, causandogli pericoli per la salute, anche se è compiuto con soggettiva intenzione educativa o di disciplina (fattispecie relativa a un'insegnate che, per punizione, aveva costretto un alunno a scrivere sul quaderno cento volte la frase "sono un deficiente")» (cfr. sentenza n. 34492 del 2012 e le conformi Cass. pen. Sez. VI, 24/04/2007, n. 34674 e Cass. pen. Sez. VI, 07/02/2005, n. 16491).

[2]     Il reato di maltrattamenti in famiglia viene sovente associato alla instaurazione di un clima di sopraffazione e umiliazione (cfr., tra le numerose altre pronunce, Cass. pen. Sez. III Sent., 17/02/2015, n. 39865; Cass. pen. Sez. VI, 04/12/2003, n. 7192)

[3]     Si richiama la sentenza n. 5905 del 2018 della Sez. IV del Consiglio di Stato, che ai fini della configurabilità della condotta lesiva di mobbing, ritiene rilevante, innanzitutto, la strategia unitaria persecutoria, «che non si sostanzia in singoli atti da ricondurre nell'ordinaria dinamica del rapporto di lavoro (come i normali conflitti interpersonali nell'ambiente lavorativo, causati da antipatia, sfiducia, scarsa stima professionale, ma che non sono caratterizzati dalla volontà di emarginare il lavoratore), che ha come disegno unitario la finalità di emarginare il dipendente o di porlo in una posizione di debolezza» (in senso conforme anche Cons. Stato Sez. IV Sent., 10/01/2012, n. 14 e Cons. Stato Sez. III, 04/02/2015, n. 549).

[4]     D.Lgs. 15 aprile 2005, n. 76, Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all'istruzione e alla formazione, a norma dell'articolo 2, comma 1, lettera c), della L. 28 marzo 2003, n. 53.