Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea |
Titolo: | Seconda Conferenza interparlamentare di alto livello su migrazione e asilo - Videoconferenza, 14 giugno 2021 |
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari Numero: 59 |
Data: | 11/06/2021 |
Organi della Camera: | I Affari costituzionali, III Affari esteri |
XVIII LEGISLATURA
Documentazione per le Commissioni
RIUNIONI INTERPARLAMENTARI
Seconda Conferenza interparlamentare di alto livello su migrazione e asilo
Videoconferenza, 14 giugno 2021
Senato della Repubblica Servizio Studi Dossier europei n. 123 |
Camera dei deputati Ufficio Rapporti con l’Unione europea n. 59 |
Servizio Studi
Tel. 06 6706-2451 - studi1@senato.it - @SR_Studi
Dossier europei n. 123
Ufficio rapporti con l’Unione europea
Tel. 06-6760-2145 - cdrue@camera.it
Dossier n. 59
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Ordine del Giorno della Conferenza
Iniziative dell’UE per il contrasto della pandemia nei Paesi terzi
L’impatto del COVID-19 sull’aumento della povertà
Le strategie regionali della cooperazione europea in materia migratoria
La nuova strategia dell’UE con l’Africa
La nuova agenda per il vicinato meridionale
Stanziamenti per l’Africa nell’ambito del QFP 2021-2027
Il Piano d’azione di La Valletta e il Fondo fiduciario per l’Africa
Il Piano di investimenti esterni
La Dichiarazione UE-Turchia e lo Strumento per i rifugiati
L’ evoluzione della dimensione esterna della politica di migrazione e asilo
La dimensione esterna nel Nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo
Lotta contro il traffico di migranti
appendice statistica: dati sui flussi migratori in Europa
La seconda Conferenza interparlamentare di alto livello sulla migrazione e l’asilo si svolgerà il 14 giugno 2021.
Secondo la bozza di programma e la nota tematica ad essa allegata la conferenza dovrebbe concentrarsi sulle sfide relative all’impatto della pandemia da COVID-19 sulle politiche in materia di asilo e migrazione e sulla dimensione esterna della politica di migrazione e asilo dell’UE.
Secondo la nota, i flussi migratori irregolari, principalmente dal continente africano, sono generalmente ricollegati a cause profonde che attengono all’instabilità politica ed economica, oltreché agli effetti dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale. In tale contesto, la pandemia da Covid - 19 ha aggiunto un ulteriore elemento di complessità a uno scenario già altamente problematico.
Si ritiene in particolare che l’impatto della pandemia riguardi anche i modelli migratori a livello locale e globale con effetto moltiplicatore sugli spostamenti futuri, oltre al blocco dei percorsi di mobilità e alla drastica riduzione delle opportunità di lavoro che rendono impossibile le rimesse destinate ai paesi di provenienza e hanno spinto nella povertà milioni di migranti e popolazioni vulnerabili.
In tale contesto, secondo la nota l'UE dovrebbe guidare gli sforzi della comunità internazionale a sostegno dei redditi bassi e medi nei paesi terzi, con particolare riguardo a quelli del vicinato europeo. A tal proposito la conferenza si propone di affrontare i seguenti temi:
· l'impatto della pandemia sulla stabilità economica e politica dei paesi di origini e transito;
· una strategia dell'UE per l'Africa: sviluppo della strategia globale, considerato anche il ruolo di altri attori internazionali come Russia e Cina;
· l’impegno con gli Stati terzi posti sulle principali rotte migratorie: il ruolo dei processi di Rabat, di Khartum e delle organizzazioni regionali africane;
· il sostegno ai paesi di origine e transito nello sviluppo delle capacità in materia di quadri di law enforcement e di capacità operative; l’impatto di una governance debole sull'efficacia nella realizzazione di partenariati sulla migrazione;
· il rafforzamento delle capacità dei paesi partner in materia di governance della migrazione, con particolare riguardo all’impatto sui rimpatri.
Con riferimento alla seconda sessione della Conferenza, la nota introduce il tema della complessità del quadro politico internazionale, con particolare riferimento alla crescente rivalità tra USA e Cina, e al ritorno di una logica di impero da parte di Stati terzi quali Russia e Turchia, come rimarcato dall’Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell. In questo contesto il tema della migrazione ha assunto un ruolo chiave nelle relazioni esterne dell’UE e nell’agenda di politica estera, come sottolineato anche nel Nuovo Patto sulla migrazione e asilo[1] proposto dalla Commissione europea.
Presentato nel settembre del 2020, il Patto rappresenta un insieme di proposte, anche normative, con le quali la Commissione europea ha inteso aggiornare i vari profili della politica di migrazione e asilo dell’UE. In particolare, l’iniziativa include per i profili di politica interna misure che concernono, tra l’altro: i controlli alle frontiere esterne dei cittadini stranieri che non rispettano i requisiti per l'ingresso nell'UE, comprese le persone salvate in una operazione SAR (ricerca e soccorso, search and rescue) nelle acque europee; le procedure di asilo; una revisione parziale delle norme previste dal cosiddetto regolamento di Dublino; meccanismi di solidarietà da parte degli Stati dell’UE nei confronti dei Paesi membri più esposti ai flussi, compresa una disciplina per la gestione di situazioni di crisi e di forza maggiore causate da pressioni migratorie ingenti. L’obiettivo ricercato dalla Commissione europea con la presentazione di tali proposte normative, tuttora all’esame dei colegislatori europei, è l’approvazione di un pacchetto complessivo che individui il giusto equilibrio tra i principi di responsabilità e di solidarietà sanciti dai Trattato nel settore della migrazione. Al riguardo merita, tuttavia, segnalare che l’iter legislativo di alcune delle proposte presso il Consiglio dell’UE appare particolarmente complesso, trattandosi della sede in cui emergono le divergenze relative ai differenti interessi in campo rappresentati dagli Stati membri in funzione della rispettiva e specifica collocazione geografica.
Il Patto include azioni anche con riferimento alla cosiddetta dimensione esterna della politica di migrazione (principalmente, le azioni dell’UE rispetto ai Paesi terzi di origine e di transito interessati dai flussi), settore in cui prevede un approccio globale basato sul principio del reciproco vantaggio e dei partenariati su misura con i paesi terzi chiave di origine e di transito. La nota, in conclusione, sottolinea la necessità di considerare la dimensione esterna della politica di migrazione e di asilo come una componente della politica estera europea, e non esclusivamente come strumento per attuare i rimpatri, nonché di integrare tale settore con i profili di politica interna in un approccio olistico e globale alla gestione dell'asilo e della migrazione nell'UE.
La nota tematica, per la seconda sessione della Conferenza, propone, tra l’altro, i seguenti temi di discussione:
· costruire partnership reciprocamente vantaggiose e su misura con paesi terzi di origine e di transito chiave, al fine di realizzare un approccio globale alla gestione della migrazione e dell'asilo, compresi la promozione di percorsi migratori verso l'UE legali, l'integrazione dei migranti e il contrasto alla tratta di esseri umani;
· sostenere la creazione di un approccio olistico e globale alla gestione dell’asilo e della migrazione nell'UE;
· la dimensione esterna delle politiche migratorie e di asilo come parte della politica estera dell'UE;
· promuovere la cooperazione strategica nei settori politici di reciproco interesse e garantire una cooperazione coerente, sostenibile ed efficace in diversi campi;
· sostenere la gestione della migrazione e dei sistemi di asilo nei paesi partner;
· rafforzare le capacità dei paesi partner in materia di governance della migrazione, ovvero con riferimento all’impatto sui rimpatri;
· diritti umani e standard di protezione dei rifugiati al centro delle partnership con paesi terzi.
La Commissione europea ha aderito al programma COVAX il 31 agosto 2020 e attraverso Team Europa l’ha sostenuto con un contributo di 853 milioni di euro.
Il programma COVAX è uno dei tre pilastri della collaborazione ACT (Access to COVID-19 Tools) - Accelerator, avviata nell’aprile 2020 dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) assieme ad altri partner, fra cui la Commissione europea, per fronteggiare la pandemia. La collaborazione ha l’obiettivo di fornire un accesso equo alla diagnostica, ai trattamenti e ai vaccini contro la COVID-19. In questo ambito il programma COVAX è dedicato all’accesso ai vaccini in tutti i Paesi del mondo, indipendentemente dal livello di reddito. È guidato, oltre che dall’OMS, da Gavi (Alleanza per i vaccini) e dalla Coalizione per l'innovazione in materia di preparazione alle epidemie (CEPI). Il programma COVAX prevede l'acquisto, entro la fine del 2021, di 2 miliardi di dosi di vaccino, di cui oltre 1,3 miliardi per i Paesi a basso e medio reddito.
Nella comunicazione del 19 gennaio 2021 "Fare fronte comune per sconfiggere la COVID-19" COM(2021)35, la Commissione europea ha annunciato l’intenzione di istituire un meccanismo europeo per condividere con i paesi terzi una parte dei 2,3 miliardi di dosi pre-acquistate dall'UE attraverso Team Europa. Particolare attenzione sarebbe rivolta, oltre che ai Balcani occidentali, al vicinato orientale e meridionale e all'Africa, con interventi rivolti principalmente agli operatori sanitari e alle esigenze umanitarie, in una prospettiva di solidarietà e sicurezza sanitaria all’interno e all’esterno dell’Unione. Tale meccanismo dovrebbe costituire un canale per ricevere richieste e fornire dosi di vaccino, eventualmente tramite COVAX, senza interferire con i piani di vaccinazione degli Stati membri. Il volume di dosi condivise sarebbe legato all'aumento delle forniture di vaccini.
Nel corso del Global Health Summit, tenutosi a Roma il 21 maggio, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen ha affrontato il tema della disponibilità globale di vaccini e del contributo dell’Unione europea sottolineando che persiste un divario troppo ampio tra paesi ad alto e basso reddito nell’accesso ai vaccini anti-Covid. Ha sottolineato l’importanza di mantenere aperte le filiere commerciali dei vaccini e l’importanza di non porre ostacoli alle esportazioni.
Nella stessa occasione von der Leyen ha annunciato un'iniziativa Team Europa sulla produzione e l'accesso ai vaccini, ai farmaci e alle tecnologie sanitarie in Africa. L'iniziativa contribuirà a creare un contesto favorevole alla produzione locale di vaccini in Africa, con un 1 miliardo di euro a carico del bilancio dell'UE e delle istituzioni europee per il finanziamento dello sviluppo a cominciare dalla Banca europea per gli investimenti (BEI). Tale importo potrà essere ulteriormente incrementato con i contributi degli Stati membri dell'UE. L’iniziativa intende promuovere la produzione farmaceutica in Africa affiancando le attività già previste dall’acceleratore per l'accesso agli strumenti COVID-19 (ACT) e la task force "Produzione" di COVAX. In particolare il progetto intende, insieme alla BEI e alle banche di sviluppo, incentivare gli investimenti nelle aziende farmaceutiche e biotecnologiche locali, sostenere il trasferimento di tecnologia e sviluppare una serie di poli di produzione regionali di concerto con l'Unione africana e i Centri africani per il controllo e la prevenzione delle malattie, che hanno recentemente avviato i partenariati per la produzione africana di vaccini. Insieme a diversi interlocutori africani e internazionali, la Commissione è già impegnata attivamente in progetti in Sud Africa, Senegal, Egitto, Marocco e Ruanda.
Contestualmente Ursula von der Leyen e il presidente della Banca europea per gli investimenti, Werner Hoyer, hanno illustrato l’istituzione di una piattaforma di coordinamento per le banche europee di sviluppo allo scopo di agevolare gli investimenti nel settore sanitario in Africa, "Industria sanitaria sostenibile per la resilienza in Africa" (SHIRA).
SHIRA sosterrà l'impegno di Team Europa per mobilitare gli investimenti del settore privato, fornendo finanziamenti a lungo termine per incrementare gli investimenti nella ricerca medica, nelle strutture per la diagnostica e il trattamento e nelle catene locali di approvvigionamento dei servizi sanitari.
La nuova iniziativa mira a sostenere investimenti per migliorare la preparazione e la risposta del settore sanitario, potenziando la produzione dei vaccini, delle capacità diagnostiche e di trattamento e di apparecchiature essenziali, quali i dispositivi di protezione individuale (DPI) e l'ossigeno, migliorando lo sviluppo dei vaccini e delle competenze specialistiche e condividendo le migliori pratiche nel campo della sanità elettronica e della telemedicina.
Il 4 giugno 2021 la Commissione europea ha presentato all’Organizzazione mondiale del commercio una proposta per incrementare la produzione globale di farmaci vaccinali e garantire un accesso universale ed equo. La proposta è articolata in due comunicazioni rivolte rispettivamente al Consiglio generale e al Consiglio TRIPs dell’OMC in cui l’Unione europea esorta i paesi aderenti a:
a) promuovere le esportazioni dei vaccini, dei farmaci contro il COVID-19, e dei relativi componenti;
b) incoraggiare i produttori ad aumentare la produzione e a garantire prezzi accessibili ai paesi in maggiore difficoltà;
c) favorire il ricorso alle licenze obbligatorie nel rispetto nel rispetto dell'accordo dell'OMC sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (c.d. accordo TRIPS).
In merito, il Parlamento europeo ha approvato il 10 giugno una risoluzione in cui, tra l’altro chiede “un sostegno a negoziati proattivi, costruttivi” per una “deroga temporanea all'accordo TRIPS dell'OMC, al fine di migliorare l'accesso globale a medicinali connessi alla COVID-19 a costi abbordabili e di affrontare i vincoli della produzione mondiale e le carenze nell'approvvigionamento”.
Nel gennaio 2021 la Banca mondiale (stime aggiornate dell'impatto di COVID-19 sulla povertà globale: uno sguardo al 2020 e le prospettive per il 2021- gennaio 2021) ha previsto che i nuovi poveri indotti dal COVID-19 nel 2020 saliranno globalmente dai 119 ai 124 milioni.
L’organismo internazionale considera l'aumento stimato della povertà globale nel 2020 quale evento senza precedenti, atteso che prima del COVID-19 l'unico altro fattore che aveva indotto un fenomeno analogo negli ultimi tre decenni era stata la crisi finanziaria asiatica, con una crescita della povertà estrema di 18 milioni nel 1997 e di altri 47 milioni nel 1998; la Banca mondiale sottolinea altresì che a partire dal 1999 il trend annuale aveva registrato una diminuzione delle persone che vivono in condizioni di estrema povertà nel mondo di oltre 1 miliardo.
Il criterio impiegato dalla Banca mondiale per misurare l’estrema povertà fa riferimento al numero di persone che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno.
Di seguito un grafico tratto dal sito della Banca mondiale relativo all’andamento annuale globale dell’estrema povertà (misurato in milioni di persone). Le barre verticali grigie per il 2019-2020 mostrano il numero di persone stimate in uscita dalla povertà estrema, che si sarebbe registrato se la pandemia di COVID-19 non si fosse verificata (scenario controfattuale pre-COVID-19), mentre le barre azzurra e arancione rappresentano rispettivamente lo scenario di base e quello al ribasso relativi al numero di persone che sono spinte verso la povertà. Come accennato, nello scenario di base del COVID-19 nel 2020, i “nuovi poveri” sarebbero pari a 88 + 31 = 119 milioni. Allo stesso modo, nello scenario al ribasso del COVID-19 nel 2020, il volume salirebbe a 124 milioni.
La Banca mondiale ritiene che la pandemia tra il 2020 e il 2021 abbia influito sull’aumento dell’estrema povertà nell’Africa subsahariana (rispetto alle previsioni normali) determinando un numero globale tra le 483,9 e le 490,7 milioni di persone in condizione di estrema povertà. In particolare, la pandemia avrebbe determinato, rispetto al trend previsto, un aumento che si attesterebbe in una forbice tra le 43 e le 49 milioni di persone Di seguito un grafico recante il trend della povertà estrema, misurato in milioni di persone, nella regione subsahariana dell’Africa. La linea nera rappresenta il trend storico, la linea tratteggiata grigia reca il trend che si sarebbe registrato in assenza della pandemia, le linee tratteggiate celeste e arancione rappresentano rispettivamente lo scenario di base e quello al ribasso relativo all’impatto del Covid - 19 sull’aumento della povertà (Fonte Banca mondiale).
Lo scenario analizzato dalla Banca mondiale per quanto riguarda il Medio Oriente e il Nord Africa prevede che a causa del Covid 19 l’estrema povertà all’inizio del 2021 abbia raggiunto i 35 milioni di persone rispetto ai 27 previsti in assenza della pandemia.
Di seguito un grafico della Banca mondiale analogo al precedente recante i dati per il Medio Oriente e il Nord Africa.
Le politiche migratorie sono un elemento centrale delle relazioni globali dell'Ue con i principali Paesi partner di origine e di transito.
Nell'ambito del nuovo patto sulla migrazione e l’asilo (v. infra) viene fra l'altro evidenziato che l'impegno con tali Paesi deve essere intensificato in tutti i settori di cooperazione; in particolare, la Commissione europea e l'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, insieme agli Stati membri, devono sviluppare e approfondire dialoghi e partenariati mirati, integrati da un impegno, a livello regionale e globale, che sia reciprocamente vantaggioso.
Secondo la Commissione l'Ue dovrebbe sviluppare la propria azione a partire dai progressi compiuti attraverso dialoghi e quadri a livello regionale (come il processo di La Valletta fra l'Ue e i Paesi africani, e altri processi regionali come quelli di Budapest, Praga, Rabat e Khartoum) e grazie ai partenariati con organizzazioni come l'Unione africana (UA).
Nel patto si fa particolare riferimento ai lavori per contrastare il traffico di migranti, esempio dell'importanza cruciale delle relazioni con i Paesi del Nord Africa; ai Balcani occidentali, che richiedono un approccio su misura, sia per la loro posizione geografica sia perché in futuro saranno parte integrante dell'Ue; all'impegno e al dialogo con la Turchia, in merito ai quali viene riaffermata, fra l'altro, l'importanza della dichiarazione Ue-Turchia del 2016 e lo strumento per i rifugiati.
La Commissione europea e l'Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza hanno presentato il 9 marzo 2020 una comunicazione congiunta sulla nuova strategia con l'Africa, nella quale si propone una piattaforma sulla quale strutturare le future relazioni tra l’UE e l’Africa, in vista delle discussioni con i paesi partner africani e dell’approvazione di una nuova strategia comune, volta a sostituire quella del 2007, in occasione del vertice Unione europea – Unione africana che si sarebbe dovuto svolgere ad ottobre 2020 e che è stato rimandato a causa della pandemia di Covid-19.
Fino ad ora la cornice della cooperazione tre UE e Africa è stata governata dalla strategia comune Africa-UE, adottata nel 2007, che è stata attuata attraverso piani d'azione periodici. Nel 2014 l'UE e i paesi africani hanno convenuto la tabella di marcia per il periodo 2014-2017, che fissava le seguenti cinque priorità: Pace e sicurezza; Democrazia, buon governo e diritti umani; Sviluppo umano; Sviluppo e crescita sostenibili e inclusivi e integrazione continentale; Problemi globali ed emergenti.
La Commissione europea propone di sviluppare il partenariato dell’UE con l’Africa in cinque settori chiave:
· transizione verde ed accesso all’energia;
· trasformazione digitale;
· crescita e occupazione sostenibili;
· migrazione e mobilità.
· pace e governance;
Sulla base delle sopracitate priorità la Commissione europea propone varie azioni e in particolare, per quanto riguarda la migrazione e la mobilità, la necessita di garantire partenariati equilibrati, coerenti e globali in materia di migrazione e mobilità, indicando che:
· occorre migliorare la cooperazione in materia di rimpatri e riammissioni e i tassi di rimpatrio effettivi dovrebbero essere migliorati;
· parallelamente andrebbe rafforzata la cooperazione in materia di migrazione legale che potrebbe produrre vantaggi reciproci.
La Commissione europea e l’Alto rappresentante hanno presentato il 9 febbraio 2021 una comunicazione congiunta nella quale si propone di avviare una nuova Agenda per il Mediterraneo, accompagnata da un piano di investimenti economici per stimolare la ripresa socioeconomica a lungo termine nel vicinato meridionale.
Si ricorda che sono coinvolti nella politica dell’UE per il vicinato meridionale i seguenti paesi africani: Algeria, Egitto, Libia, Marocco e Tunisia.
La nuova Agenda per il Mediterraneo si incentra su 5 settori d'intervento: Stato di diritto e sviluppo umano; resilienza, prosperità e transizione digitale, pace e sicurezza; migrazione e mobilità.
Per quanto riguarda, in particolare, la migrazione e la mobilità si propone di
· intensificare la cooperazione sulla migrazione tramite partenariati globali, equilibrati, ritagliati sulle esigenze di ciascun paese;
· affrontare le cause profonde della migrazione irregolare e dello sfollamento forzato mediante la risoluzione dei conflitti, nonché il superamento delle sfide socioeconomiche acuite dalla pandemia attraverso una risposta mirata che offra opportunità, specie ai giovani;
· sostenere la migrazione legale e la mobilità con i partner, nel rispetto delle competenze proprie e degli Stati membri;
Il piano di investimenti economici prevede 12 iniziative faro da realizzare a livello regionale, nazionale e locale.
Per l'attuazione dell'Agenda per il Mediterraneo si prevede uno stanziamento fino a 7 miliardi di euro, nell'ambito del nuovo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale dell'UE (NDICI), per il periodo 2021-2027 (v. infra). A giudizio della Commissione tale importo potrebbe mobilitare fino a 30 miliardi di euro di investimenti privati e pubblici nella regione nei prossimi dieci anni.
Nell’ambito del Quadro finanziario pluriennale dell’UE per il periodo 2021-2027 (QFP), il nuovo strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale (NDICI), con una dotazione complessiva di 70,8 miliardi di euro, prevede - nell’ambito dello stanziamento di 53,8 miliardi di euro per il pilastro geografico: 17,2 miliardi di euro per i paesi coinvolti nella politica di vicinato dell’UE (i paesi africani coinvolti nella politica di vicinato dell’UE sono: Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Libia, Marocco, Palestina, Siria, Tunisia) e 26 miliardi di euro per l’Africa subsahariana.
Infine, nell’ambito dei fondi stanziati dall’UE per l’assistenza a paesi terzi per alleviare l’impatto della pandemia di COVID 19, a favore dei paesi del continente africano sono previsti complessivamente fondi per un totale di circa 11 miliardi di euro tra finanziamenti, prestiti e strumenti di garanzia (v. infra).
Istituito in occasione della Conferenza di Rabat del luglio 2016, il Dialogo euro-africano su migrazione e sviluppo (processo di Rabat) riunisce Paesi di origine, di transito, e di destinazione per quanto riguarda le rotte migratorie che collegano l'Africa centrale, occidentale e settentrionale con l'Europa. Il Dialogo coinvolge 57 partner statali e altri organismi interessati chiave, quali l'Unione europea (UE) e la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS). Con l’iniziativa si è stabilito un quadro per la discussione tra autorità nazionali e internazionali su questioni tecniche e politiche relative alla migrazione e allo sviluppo.
Le Conferenze Ministeriali rappresentano il livello più alto del Dialogo all'interno del Processo di Rabat e si svolgono ogni tre/quattro anni. I ministri competenti in materia di migrazione dei paesi partner si incontrano per adottare nuove dichiarazioni o programmi di cooperazione pluriennale.
L'attuale quadro strategico è costituito dalla Dichiarazione politica e il piano d'azione di Marrakech 2018-2020, adottato nel maggio del 2018 dalla V Conferenza ministeriale euro-africana su migrazione e sviluppo. Tale quadro di cooperazione non vincolante sostiene il coordinamento degli sforzi nella gestione della migrazione, prevedendo, tra l’altro, un meccanismo di impegno per tradurre gli obiettivi che individua in azioni concrete.
Il quadro strategico si concentra su cinque settori, articolati in dieci obiettivi da realizzare mediante 23 azioni, tra le quali si ricordano:
· massimizzare l'impatto positivo della migrazione regolare per lo sviluppo; comprendere le cause profonde della migrazione irregolare e degli sfollamenti forzati;
· promuovere la migrazione e la mobilità regolari (soprattutto giovani, donne); incoraggiare l'agevolazione delle procedure di rilascio dei visti;
· rafforzare la protezione dei rifugiati e degli sfollati forzati
· promuovere l'integrazione dei rifugiati e degli sfollati forzati nelle comunità di accoglienza;
· sviluppare capacità per la gestione delle frontiere e combattere il traffico di migranti e la tratta di esseri umani;
· migliorare la protezione dei migranti e delle vittime di tratta di esseri umani;
· costruire capacità per i processi di identificazione e per l'emissione di documenti di viaggi;
· incoraggiare il rimpatrio sicuro e il reinserimento sostenibile dei migranti.
In base al meccanismo di impegno unico, su base volontaria, ogni paese partner può impegnarsi ad attuare una delle azioni definite nel programma di cooperazione. Le azioni per mettere in pratica gli impegni possono essere realizzate da un solo paese o in collaborazione tra uno o più paesi.
L’Iniziativa per la rotta migratoria UE-Corno d'Africa (processo di Khartoum), lanciato formalmente a Roma nel novembre 2014, è il foro privilegiato di dialogo e cooperazione in materia migratoria tra la UE ed i Paesi dell’Africa mediterranea, orientale e del Corno d’Africa.
Con la Dichiarazione adottata in occasione di tale conferenza i partner africani ed europei si sono accordati per intraprendere una serie di azioni volte a prevenire e affrontare la tratta degli esseri umani e il traffico di migranti tra il Corno d'Africa e l'Europa
La Dichiarazione definisce una serie di aree prioritarie di cooperazione su base volontaria, tra le quali:
· cooperazione bilaterale e regionale tra i paesi di origine, transito e destinazione per contrastare la migrazione irregolare e le reti criminali attraverso condivisione di informazioni, attività di formazione e assistenza tecnica;
· assistenza alle autorità nazionali nelle misure di prevenzione della tratta e del traffico;
· protezione dei rifugiati e dei richiedenti asilo, e assistenza per i migranti vulnerabili;
· identificazione e perseguimento delle reti criminali;
· sviluppo sostenibile nei Paesi di origine e di transito;
· quadro regionale per il rimpatrio, anche volontario, e reinserimento, nel pieno rispetto dei diritti umani;
· assistenza nella realizzazione e gestione di centri di accoglienza; accesso alle procedure di asilo in linea con il diritto internazionale, servizi e sicurezza dei campi.
Una serie di organismi dell'UE (le DG Affari interni, Cooperazione allo sviluppo, Vicinato e Allargamento, il SEAE Servizio per l’azione l’esterna dell’UE) partecipano attivamente al processo di Karthoum, così come organizzazioni internazionali quali l’Unione africana, l’UNHCR e l’Organizzazione Internazionale per la Migrazione (IOM).
Nel novembre del 2015 si è svolto a La Valletta (Malta), un vertice tra Capi di Stato e di Governo africani ed europei con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione tra i due continenti in materia di migrazione.
In esito al vertice son stati adottati:
· una dichiarazione politica con la quale si sottolineava la preoccupazione degli Stati e delle organizzazioni partecipanti circa le conseguenze umanitarie delle migrazioni irregolari e il loro impegno per miglioramento della gestione dei flussi.
· un piano d’azione (Joint Valletta Action Plan - JVAP), recante una serie di priorità nella governance della migrazione tra Europa e Africa.
Il Piano si articola in cinque aree:
· benefici per lo sviluppo della migrazione e politiche per affrontare le cause profonde della migrazione irregolare e gli spostamenti forzati;
· migrazione legale e mobilità;
· protezione e asilo;
· prevenzione e contrasto della migrazione irregolare, del traffico dei migranti e della tratta degli esseri umani;
· rimpatrio, riammissione e reintegrazione.
Il processo di Khartoum e il processo di Rabat sono stati individuati come i meccanismi idonei per monitorare l'attuazione del piano d’azione di La Valletta JVAP. I punti focali dei dialoghi regionali sulla migrazione (riconducibili a Europa, Africa settentrionale, occidentale, centrale e orientale) sono i partner incaricati del follow up del piano.
Per affrontare le diverse cause di instabilità in Africa che concorrono alla migrazione irregolare e allo sfollamento forzato, in esito alla riunione di La Valletta è stato altresì istituito l’UE Emergency Trust Fund for Africa, strumento finanziario istituito dalla Commissione europea insieme a 25 Stati membri, Norvegia e Svizzera.
Le risorse attualmente assegnate al Fondo fiduciario dell'UE per l'Africa ammontano a 5 miliardi di euro, di cui 4,4 miliardi provenienti dal Fondo europeo di sviluppo (FES) e da altri strumenti finanziari dell'UE (riconducibili, tra l’altro, agli strumenti in materia di Cooperazione allo sviluppo, politica di Vicinato e Affari interni).
Di seguito il contributo articolato per strumenti finanziari UE delle risorse messe a disposizione del Trust fund da parte dell’Unione europea
Gli Stati membri dell'UE e altri donatori (Svizzera e Norvegia) hanno contribuito e versato interamente circa 620 milioni di euro. La Germania e l’Italia, rispettivamente con 228,500 e 123 milioni sono gli Stati membri maggiori contributori
L'assegnazione delle risorse del Fondo si articola in tre macroregioni: Sahel e Lago Ciad (Burkina Faso, Camerun, Ciad, Costa d'Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria and Senegal), Corno d'Africa (Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Tanzania e Uganda), e Nord Africa; Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto.
Al 10 maggio 2021 sono stati approvati 257 programmi, di cui 4 trasversali alle macroregioni, per un importo complessivo di 4.917,6 milioni di euro, suddivisi secondo la seguente tabella:
I programmi realizzati mediante il Trust fund riguardano
· il rafforzamento della governance e la prevenzione di conflitti (21 per cento);
· miglioramento della gestione delle politiche in materia di migrazione (31 per cento);
· sostegno all’economia e alle opportunità di lavoro (19 per cento);
· rafforzamento della resilienza delle comunità (27 per cento);
· programmi trasversali (2 per cento).
A titolo esemplificativo, i settori di intervento citati includono azioni che intervengono in materia di sicurezza alimentare e nutrizionale, sanità, istruzione, stabilizzazione economica sociale e politica, prevenzione dei conflitti, contrasto alle violazioni dei diritti umani, la tutela del principio dello Stato di diritto, prevenzione dei flussi migratori irregolari e contrasto alle reti del traffico dei migranti
Il Trust fund ha contribuito tra l’altro, a:
· realizzare oltre 132.000 posti di lavoro;
· sostenere circa 464.000 nello sviluppo di attività che generano reddito;
· migliorare l’accesso a servizi sociali di base per circa 9,3 milioni di persone.
Inoltre attraverso l'iniziativa UE-OIM - EUTF tra il maggio 2017 e l’ottobre 2020 oltre 90.000 migranti vulnerabili hanno effettuato rimpatri volontari assistiti per lo più dalla Libia e dal Niger; sono invece 100 mila i migranti vulnerabili che grazie all’iniziativa hanno ricevuto assistenza a seguito del rimpatrio.
Infine le risorse del Trust fund hanno contribuito al perseguimento giudiziario di 344 trafficanti in Niger e alla scoperta di 98 network della tratta degli esseri umani.
L’UE ha rafforzato la sua politica per rimuovere gli ostacoli alla crescita nei paesi partner e per eliminare le cause profonde della migrazione irregolare altresì mediante l’avvio, nel settembre del 2016, del Piano di investimenti esterni, un nuovo strumento finanziario volto a stimolare gli investimenti in Africa e nel vicinato dell'UE. In sostanza, attraverso il Piano l'UE condivide i rischi connessi a investimenti di natura pubblica o privata in quegli Stati terzi nei quali si registra un gap tra i finanziamenti già disponibili e le risorse ritenute necessarie per creare crescita e posti di lavoro.
Il Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (EFSD), che ammonta a 5,1 miliardi di euro, è lo strumento finanziario a supporto del Piano di investimenti esterni. Il finanziamento dei progetti può avvenire nelle seguenti diverse modalità.
· garanzia (1,55 miliardi): le risorse servono a condividere il rischio a carico di banche e privati che hanno investito prestando denaro a imprenditori e finanziatori locali di progetti. Tale forma di garanzia riguarda, tra l’altro finanziamenti ai settori delle piccole imprese, dell’energia sostenibile, della connettività e della digitalizzazione, e delle città sostenibili;
· combinazione (3,4 miliardi di euro): tali risorse servono a combinare sovvenzioni dall'UE con prestiti e/o altri finanziamenti da investitori pubblici o privati. Le sovvenzioni coprono parte dei costi dei progetti agevolando la ricerca delle ulteriori risorse ritenute necessarie.
La Commissione europea si aspetta che la garanzia possa generare investimenti pari a 10 volte il valore delle risorse messe in campo (rapporto di leva finanziaria).
Di seguito, la mappa degli Stati terzi interessati al piano degli investimenti esterni dell’UE appartenenti al Vicinato meridionale e orientale, e all’Africa sub-sahariana (fonte Commissione europea)
La dichiarazione UE-Turchia del marzo 2016 rappresenta il quadro di riferimento generale della cooperazione UE-Turchia in materia di migrazione. La dichiarazione, basata sul piano d'azione comune UE-Turchia del 29 novembre 2015, è il risultato delle azioni intraprese dall'UE per attuare un sistema efficace di gestione della migrazione ed evitare una crisi umanitaria.
La Dichiarazione UE – Turchia, firmata il 18 marzo 2016, prevede: il rinvio in Turchia di tutti i nuovi migranti irregolari e i richiedenti asilo le cui domande sono state dichiarate inammissibili e che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche nel pieno rispetto del diritto dell'UE e internazionale; l’impegno UE a reinsediare un cittadino siriano dalla Turchia per ogni siriano rinviato in Turchia dalle isole greche, accordando priorità ai migranti che non sono entrati o non abbiano tentato di entrare nell’UE in modo irregolare (cosiddetto programma 1:1); l’impegno della Turchia nel contrasto alle rotte illegali della migrazione; l’accelerazione della tabella di marcia sulla liberalizzazione dei visti e il rilancio del processo di adesione della Turchia all’UE. Nell’ambito della Dichiarazione UE-Turchia del marzo 2016, l’UE ha istituito lo Strumento per i rifugiati in Turchia, con una dotazione complessiva di 6 miliardi di euro (in due tranche) di cui 3 miliardi di euro provenienti dal bilancio dell'UE e 3 miliardi di euro dagli Stati membri.
La Commissione europea, con la Comunicazione congiunta sullo stato delle relazioni politiche, economiche e commerciali tra l’UE e la Turchia del 20 marzo 2021, ha evidenziato come dall'inizio dell'applicazione della dichiarazione UE-Turchia si sia registrato un calo sostanziale del numero di attraversamenti irregolari dalla Turchia verso la Grecia. Nei cinque mesi precedenti l'attuazione della dichiarazione, ogni giorno in media 3262 migranti e richiedenti asilo hanno attraversato il Mar Egeo alla volta delle isole greche. Per contro, nel 2019 il numero medio giornaliero di arrivi via mare si è attestato a 165 e nel 2020, anche a causa delle restrizioni connesse alla COVID?19, è sceso a 25. Tuttavia, nella comunicazione si indica che è stato osservato uno spostamento verso alcune rotte migratorie alternative. Ad esempio, gli arrivi irregolari in Italia in provenienza dalla Turchia sono aumentati di oltre il 120 % rispetto al 2019. Anche la pressione migratoria sulla Repubblica di Cipro è aumentata considerevolmente. |
Alla fine di febbraio 2020 i migranti sono stati incoraggiati da alcune personalità turche a percorrere la rotta terrestre verso l'Europa, attraverso la Grecia. Ciò ha portato alla creazione di un campo informale alla frontiera greco-turca, in cui un gran numero di migranti e rifugiati sono stati ospitati in condizioni di grande disagio. Nelle riunioni straordinarie del Consiglio cui hanno partecipato i ministri dell'Interno dell'UE, il 4 marzo 2020, e i ministri degli Affari esteri dell'UE, il 6 marzo 2020, l'UE ha ribadito l'obbligo della Turchia di rispettare integralmente la dichiarazione UE-Turchia. Da allora la situazione alle frontiere marittime e terrestri con la Grecia si è stabilizzata, rimanendo nel complesso calma.
La lentezza dei rimpatri ha rappresentato un problema durante tutto il periodo di attuazione della dichiarazione. Con la dichiarazione del marzo 2020 le autorità turche hanno sospeso i rimpatri, invocando le restrizioni relative alla COVID?19. Nonostante le ripetute richieste delle autorità greche e della Commissione, la questione non è ancora risolta. La Commissione ha insistito sul fatto che la Turchia debba rispettare integralmente gli impegni assunti nel quadro della dichiarazione UE-Turchia. Il 14 gennaio 2021 la Grecia ha presentato la richiesta ufficiale di riammissione di 1 450 rimpatriandi, che la Turchia non ha accolto.
Il numero dei reinsediamenti nell'UE continua a superare quello dei rimpatri verso la Turchia. Solo 2.140 migranti irregolari e richiedenti asilo provenienti dalla Turchia, le cui domande sono state dichiarate inammissibili in una delle isole greche, sono stati rimpatriati in Turchia, a fronte di 28.300 rifugiati siriani provenienti dalla Turchia che sono stati reinsediati nell'UE.
La dichiarazione UE-Turchia prevede l'attivazione di un programma volontario di ammissione umanitaria una volta che gli attraversamenti irregolari saranno terminati o si saranno ridotti in modo sostanziale e durevole. Nel dicembre 2017 gli Stati membri hanno approvato le procedure operative standard, concordate con la Turchia, ma non hanno ancora deciso di attivare il sistema.
In linea con la dichiarazione del 2016, l'UE ha mobilitato 6 miliardi di euro per l'assistenza ai rifugiati e alle comunità di accoglienza in Turchia.
Alla fine del 2020 il bilancio operativo dello strumento per i rifugiati in Turchia risultava interamente impegnato e assegnato, mentre la percentuale dei fondi erogati era del 65 % (circa 4 sui 6 miliardi stanziati), dipendendo dai progressi registrati nei diversi progetti.
La comunicazione ricorda che sulla base del sostegno erogato sulla base della dichiarazione del 2016 più di 1,8 milioni di rifugiati beneficiano della rete di sicurezza sociale di emergenza e, grazie al sostegno del progetto che prevede il trasferimento condizionale di denaro contante per l'istruzione e quasi 670.000 bambini rifugiati frequentano la scuola.
Successivamente, l'UE ha stanziato altri 585 milioni di euro in finanziamenti ponte umanitari, per assicurare il proseguimento di alcuni progetti essenziali in materia di protezione e salute, fino ai primi mesi del 2022.
La comunicazione rileva, tuttavia, che la situazione dei rifugiati in Turchia continua a deteriorarsi, aggravata dalla pandemia di COVID?19 e dalla recessione economica, che nei prossimi anni sarà comunque necessario il sostegno costante dell'UE e che la Commissione europea intende presentare a breve proposte concrete in materia. Nella comunicazione si evidenzia, altresì, come la Turchia ha ripetutamente chiesto l'attuazione di alcuni impegni previsti dalla dichiarazione del 2016 per gli aspetti che non riguardano la migrazione quali il rilancio dei negoziati di adesione, la modernizzazione dell'Unione doganale e la liberalizzazione dei visti. Tuttavia nella comunicazione si osserva che la Turchia ancora non soddisfa le condizioni per compiere progressi in tali ambiti. |
Il 23 settembre 2020 la Commissione europea ha presentato un nuovo Patto sulla migrazione e l'asilo, basato su tre pilastri:
· nuove procedure per stabilire rapidamente lo status all’arrivo;
· un quadro comune per la solidarietà e la condivisione della responsabilità;
· un cambiamento di paradigma nella cooperazione con i Paesi terzi[2].
Il patto è corredato da una comunicazione della Commissione che include una tabella cronologica di impegni e si concentra su cinque proposte legislative che, da un lato, modificano i regolamenti già esistenti facenti parte del Sistema comune europeo di asilo (CEAS - Common European Asylum System), dall'altro, ne prevedono di nuovi. I settori di intervento riguardano: i controlli alle frontiere esterne dei cittadini stranieri che non rispettano i requisiti per l'ingresso nell'Ue, comprese le persone salvate in una operazione SAR (ricerca e soccorso, search and rescue) nelle acque europee; le procedure di asilo; i sistemi di solidarietà nei confronti degli Stati membri più esposti ai flussi; la gestione di situazioni di crisi e di forza maggiore causate da pressioni migratorie ingenti; la banca dati Eurodac.
L'articolato complesso di proposte interviene in un settore in cui, a seguito degli anni della crisi migratoria che ha investito l'Ue nel suo complesso nel biennio 2015-2016, la riforma del CEAS del 2016 aveva registrato un sostanziale stallo, con particolare riguardo alla modifica del regolamento sui criteri e sui meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale (il cosiddetto regolamento di Dublino).
Il nuovo patto tiene conto degli insegnamenti emersi dai dibattiti interistituzionali che hanno preso il via nel 2016. Il quadro giuridico proposto non intende infatti sostituire tutte le proposte di riforma presentate nel 2016, e la Commissione ha sollecitato la rapida adozione delle proposte giunte a uno stadio negoziale più avanzato.
Alcune delle misure presentate nel 2016 erano giunte (nel rispettivo procedimento legislativo europeo) a stadi negoziali avanzati: in particolare, le proposte in materia di qualifiche (lo status dei rifugiati e dei richiedenti asilo), di condizioni di accoglienza, nonché la riforma del quadro giuridico dell'EASO - l'Ufficio europeo per l'asilo. Diversamente, la Commissione ha ritenuto opportuno intervenire sulle proposte del 2016 volte a riformare il regime di Dublino e in materia di procedura di asilo, nella consapevolezza che le precedenti iniziative normative avevano provocato incolmabili distanze tra le posizioni assunte dai Governi degli Stati membri in sede di Consiglio dell'Ue e anche nell'ambito del dibattito interistituzionale.
Nella comunicazione di inquadramento generale la Commissione sottolinea, fra l'altro, che la politica migratoria dell'Unione europea deve tenere conto delle relazioni dell'Ue con i Paesi terzi, dal momento che le dimensioni interna ed esterna della migrazione sono legate inestricabilmente e che la stretta collaborazione con i partner incide direttamente sull'efficacia delle politiche all'interno dell'Ue.
Attraverso "partenariati di vasta portata, equilibrati e mirati", l'Ue dovrà quindi perseguire i seguenti obiettivi: affrontare le cause profonde della migrazione irregolare; combattere il traffico di migranti; aiutare i rifugiati residenti in Paesi terzi; sostenere una migrazione legale ben gestita. A tal fine, la Commissione indica come prioritaria l'attuazione di:
1. una politica di rimpatrio efficace e un approccio coordinato a livello dell'Ue in materia di rimpatri;
2. partenariati reciprocamente vantaggiosi con i principali Paesi terzi di origine e di transito;
3. uno sviluppo di percorsi legali sostenibili per coloro che necessitano di protezione internazionale e per attirare talenti verso l'Ue.
La Commissione ritiene che rivesta una priorità fondamentale la proposta per la modifica della direttiva rimpatri, formulata nel 2018[3].
La proposta fa parte di un insieme di misure presentate dalla Commissione in seguito al Consiglio europeo del 28 giugno 2018, che aveva sottolineato l'esigenza di intensificare notevolmente l'effettivo rimpatrio dei migranti irregolari e aveva accolto con favore l'intenzione della Commissione di presentare proposte legislative per una politica europea di rimpatrio efficace e coerente[4].
A livello dell'Ue, la politica di rimpatrio è disciplinata dalla direttiva 2008/115/CE recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (la "direttiva rimpatri"), nel rispetto del principio di non respingimento (non-refoulement). Nel presentare la proposta di modifica, la Commissione sottolineava che, dall'entrata in vigore della direttiva rimpatri, nel 2010, la pressione migratoria complessiva sugli Stati membri e sull'Unione era cresciuta ritenendo di conseguenza "più che mai necessario affrontare le sfide relative al rimpatrio efficace dei migranti irregolari"[5].
Le sfide principali individuate sono le seguenti:
1. gli Stati membri incontrano difficoltà e ostacoli nelle procedure destinate a eseguire le decisioni di rimpatrio. In particolare: le pratiche nazionali che attuano il quadro dell'Ue variano da uno Stato membro all'altro e non sono efficaci quanto dovrebbero, l'incoerenza per quanto riguarda le definizioni e le interpretazioni relative al rischio di fuga e all'uso del trattenimento causa la fuga dei migranti irregolari e i movimenti secondari, le procedure di rimpatrio sono ostacolate dalla mancanza di cooperazione da parte dei cittadini di Paesi terzi, gli Stati non sono adeguatamente attrezzati per permettere alle autorità competenti di scambiarsi prontamente le informazioni necessarie;
2. l'efficacia della politica di rimpatrio dell'Ue dipende anche dalla cooperazione dei Paesi di origine.
La Commissione rilevava una diminuzione del tasso di rimpatrio in tutta l'Ue, che dal 45,8% del 2016 era passato ad appena il 36,6% nel 2017. Riteneva dunque necessaria una revisione mirata della direttiva rimpatri, soprattutto allo scopo di ridurre la durata delle procedure di rimpatrio, migliorare il collegamento fra le procedure di asilo e quelle di rimpatrio e permettere un uso più efficace delle misure volte a prevenire la fuga.
Principali obiettivi della proposta di rifusione della direttiva rimpatri sono:
· stabilire una nuova procedura di frontiera per il rapido rimpatrio dei richiedenti protezione internazionale la cui domanda è stata respinta in esito a una procedura di asilo alla frontiera;
· fissare norme più chiare e più efficaci sull'adozione delle decisioni di rimpatrio e sui ricorsi avverso tali decisioni;
· elaborare un chiaro quadro di cooperazione fra i migranti irregolari e le autorità nazionali competenti, razionalizzare le norme sulla concessione di un periodo per la partenza volontaria e stabilire un quadro per la concessione di assistenza finanziaria, materiale e in natura ai migranti irregolari disposti a rimpatriare volontariamente;
· predisporre strumenti più efficaci per gestire e agevolare il trattamento amministrativo dei rimpatri, lo scambio di informazioni tra le autorità competenti e l'esecuzione dei rimpatri, allo scopo di scoraggiare la migrazione illegale;
· garantire coerenza e sinergie con le procedure di asilo;
· permettere un uso più efficace del trattenimento per sostenere l'esecuzione dei rimpatri.
Anche nel nuovo patto viene evidenziato che una delle principali lacune nella gestione europea delle migrazioni è la difficoltà di effettuare i rimpatri per coloro che non siano disposti ad accettare le opzioni di rimpatrio volontario previste.
Fonte: Commissione europea
In base agli ultimi dati forniti dalla Commissione europea:
· coloro che hanno ricevuto l'ordine di lasciare l'Ue avevano principalmente la nazionalità dei seguenti Paesi: Ucraina, Marocco, Albania, Afghanistan e Algeria;
· nel 2019 sono stati rimpatriati in un Paese extra-Ue 142.000 cittadini non appartenenti all'Ue, con un tasso di rimpatrio effettivo del 29%, in calo rispetto al 32% del 2018;
· i principali Paesi di origine di coloro che sono stati rimpatriati in un Paese extra-UE sono i seguenti: Ucraina (19% di tutti i rimpatri), Albania (11%), Marocco (7,2%). Fra le nazionalità con almeno 5 mila ordini di rimpatrio, il tasso di rimpatrio è stato particolarmente basso per quelle provenienti da: Repubblica democratica del Congo (2,5%), Siria (2,5%), Mali (2,8%), Guinea (2,8%), Costa d'Avorio (3,4%), Somalia (4%);
· fra i 15 Stati membri che hanno comunicato tale ripartizione nel 2019, il 19% dei rimpatri è stato assistito (le persone rimpatriate hanno ricevuto assistenza logistica, finanziaria e/o altro tipo di assistenza materiale), mentre l'81% è stato costituito da rimpatri non assistiti. La percentuale di rimpatri assistiti è stata particolarmente elevata in: Austria (83%), Ungheria (82%), Lussemburgo (81%);
· nel 2019 quasi 16 mila cittadini di Paesi extra-UE sono stati rimpatriati in operazioni di rimpatrio sostenute da Frontex (l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera), il 15% in più rispetto al 2018.
Il 19 maggio 2021, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, in audizione presso il Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen - nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio - ha dichiarato che capitolo centrale del contrasto all’immigrazione illegale è l’organizzazione dei rimpatri, e che l’attuazione di questo principio è resa tuttavia difficile dalla complessità tecnica delle procedure.
La ministra ha reso noto che l’Italia ha condotto specifici negoziati per la conclusione o il rinnovo di intese tecniche con diversi Paesi di origine dei flussi migratori, che prevedono anche l’invio in missione in Italia di funzionari di tali Paesi incaricati di collaborare con le autorità italiane nelle procedure di identificazione dei migranti irregolari. I Paesi coinvolti sono Costa d’Avorio, Gambia, Guinea-Conakry, Nigeria e Senegal. Ha dichiarato inoltre che la situazione sanitaria, determinata dalla pandemia da Covid-19, ha avuto un significativo impatto sui rimpatri anche se, a partire dal 1° luglio 2020, con la temporanea regressione dell’emergenza sanitaria e il conseguente allentamento delle misure precauzionali adottate dai diversi Stati, di pari passo con la riapertura delle frontiere e il ripristino dei principali collegamenti da parte dei vettori, è stato possibile riprendere in modo piuttosto regolare l’attività di rimpatrio verso alcuni Paesi, fra cui la Tunisia e l’Albania.
I dati forniti sono i seguenti: nel corso di tutto il 2020 il totale dei rimpatri è stato di 3.607 unità, mentre nel corrente anno, alla data del 19 maggio, sono state rimpatriate circa 1.300 persone. Riguardo ai rimpatri che hanno interessato i cittadini tunisini, nel 2020 ne sono stati eseguiti 2.016, di cui 1.831 con voli charter; nel 2021, alla data del 18 maggio, i rimpatri verso la Tunisia sono stati 678, di cui 641 a mezzo di voli charter.
Ai fini di una politica dei rimpatri efficace, la Commissione sottolinea l'importanza di:
· assicurare la piena attuazione degli accordi e delle intese esistenti in materia di riammissione con i Paesi terzi e di esaminarne eventualmente di nuove;
· incentivare e migliorare la cooperazione con i Paesi terzi avvalendosi del codice dei visti (istituito con il regolamento (CE) n. 810/2009) - modificato per includervi un collegamento fra la cooperazione in materia di riammissione e il rilascio dei visti (vedi la versione codificata);
· assegnare all'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex) un ruolo guida nel sistema comune dell'Ue per i rimpatri.
Segnala inoltre che l'efficacia dei rimpatri varia da uno Stato membro all'altro e dipende in larga misura dalle norme e dalle capacità nazionali nonché dalle relazioni di questi con determinati Paesi terzi.
Secondo la Commissione la proposta del 2018 di rifusione della direttiva rimpatri consentirebbe un effettivo miglioramento nella gestione della politica di rimpatrio. Il conseguimento di tale obiettivo sarebbe inoltre agevolato dal fatto di riunire le norme sulle procedure di asilo e di rimpatrio alle frontiere nel nuovo regolamento sulle procedure di asilo, riducendo ulteriormente le possibilità di eludere il sistema di asilo.
L'elemento chiave della proposta modificata di regolamento (COM(2020)611), che istituisce una procedura comune di protezione internazionale nell'Unione, consiste nell'estensione dei casi cui si applicherebbe la procedura di esame delle domande di asilo, ed eventualmente di rimpatrio, alla frontiera.
In particolare, la proposta introduce una procedura di rimpatrio alla frontiera. Per coloro la cui domanda sia stata respinta nell'ambito della procedura di asilo alla frontiera, si applicherebbe immediatamente una procedura unionale di rimpatrio. Le persone interessate da questa procedura non saranno autorizzate a entrare nel territorio dello Stato membro e dovrebbero essere mantenute alla frontiera esterna o in prossimità della stessa ovvero in una zona di transito; se questo risulterà impossibile, lo Stato membro potrà sistemare la persona altrove sul territorio. In casi specifici, il cittadino di Paese terzo in soggiorno irregolare potrà essere posto in stato di trattenimento per la durata della procedura[6].
Nel patto viene evidenziato inoltre che gli sforzi nazionali in materia di rimpatrio necessitano di un sostegno operativo. A tal fine, la Commissione ha dichiarato di voler nominare un coordinatore dei rimpatri, che dovrebbe essere coadiuvato da una nuova rete ad alto livello per i rimpatri. Il coordinatore fornirebbe assistenza tecnica per riunire i vari aspetti della politica di rimpatrio dell'Ue, basandosi sulle esperienze positive degli Stati membri nella gestione dei rimpatri e agevolando un'attuazione "fluida e interconnessa" del processo di rimpatrio.
La Commissione europea ha recentemente affrontato il tema della politica di rimpatrio dell'Ue con le comunicazioni:
1. "Rafforzare la cooperazione in materia di rimpatrio e riammissione nell'ambito di una politica migratoria dell'Ue equa, efficace e globale" (COM(2021)56), del 10 febbraio 2021;
2. "La strategia dell'Ue sui rimpatri volontari e la reintegrazione" (COM(2021)120), del 27 aprile 2021.
Con il primo documento la Commissione europea prefigura un sistema comune dell'Ue per i rimpatri, fondato su una serie di misure, tra le quali:
· la nomina di un coordinatore per i rimpatri, coadiuvato da una rete ad alto livello, al fine di agevolare la cooperazione tra gli Stati membri, tra l'altro massimizzando l'impatto della futura sponsorizzazione dei rimpatri;
· le attività di Frontex in materia di identificazione dei rimpatriandi e di acquisizione dei documenti di viaggio, di organizzazione delle operazioni di rimpatrio e di promozione delle partenze volontarie e di reintegrazione, tra l'altro tramite il dispiegamento del corpo permanente di Frontex, avviato nel gennaio 2021;
· il rafforzamento della cooperazione con i Paesi partner in materia di rimpatrio, riammissione e reintegrazione sostenibile.
La comunicazione evidenzia che finora l'Ue ha concluso 18 accordi e sei intese in materia di riammissione. Sono in corso negoziati per la conclusione di accordi di riammissione con Nigeria, Tunisia, Marocco e Cina. Anche gli accordi di più vasta portata che l'Ue ha concluso con taluni regioni o Paesi terzi, quale l'accordo che succederà all'accordo di Cotonou tra l'Ue e 79 paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), i cui negoziati si sono conclusi di recente, contengono disposizioni in materia di riammissione. Gli Stati membri dispongono anche di strumenti di riammissione bilaterali con i Paesi terzi.
· la valutazione del livello di cooperazione dei Paesi terzi in materia di riammissione prevista dall'articolo 25 bis del codice europeo dei visti, e l'attivazione della clausola che prevede condizionalità positive o negative in base al livello di collaborazione di un Paese terzo in materia di riammissione.
Qualora, in base a detta valutazione e dopo aver discusso con il Consiglio, ritenga che un partner non cooperi a sufficienza, tenuto conto delle misure adottate per migliorare il livello di cooperazione del Paese terzo in questione in materia di riammissione e delle relazioni generali dell'Unione con tale Paese terzo, la Commissione presenta al Consiglio una proposta ai fini dell'adozione di una decisione di esecuzione che applichi specifiche restrizioni al trattamento delle domande di visto per soggiorni di breve durata (in relazione al livello dei diritti per i visti o alle procedure rilascio dei di visti). Qualora un Paese terzo cooperi a sufficienza in materia di riammissione, la Commissione può proporre al Consiglio di adottare una serie di misure positive relativamente ai visti (facilitazioni temporanee per il rilascio dei visti quali la riduzione dei diritti per i visti, la riduzione dei tempi necessari per il trattamento della domanda o l'allungamento del periodo di validità dei visti per ingressi multipli).
In linea di massima, in sede di Consiglio dell'Ue, quasi tutti gli Stati membri sarebbero concordi nell'applicazione di tale meccanismo per rafforzare la politica europea di rimpatrio. Le delegazioni di Italia e Spagna avrebbero espresso maggiore cautela, a motivo degli effetti che potrebbero determinarsi nella collaborazione con i Paesi terzi di provenienza dei flussi.
La strategia dell'Ue per promuovere i rimpatri volontari e la reintegrazione si basa su iniziative già avviate e sull'esperienza acquisita nell'attuazione di programmi nazionali e congiunti di rimpatrio volontario e reintegrazione, nonché su iniziative finanziate dall'UE nei Paesi partner.
A tale proposito, la comunicazione richiama, tra l'altro:
Per quanto riguarda nello specifico la lotta contro il traffico di migranti, nel nuovo patto la Commissione ha dichiarato che:
· presenterà un nuovo Piano d'azione dell'UE contro il traffico di migranti per il periodo 2021-2025;
Il piano d'azione si concentrerà sui seguenti aspetti: cooperazione e scambio di informazioni all'interno dell'Ue; fenomeni emergenti di contrasto al traffico; cooperazione più mirata con i Paesi di origine e di transito. La Commissione ha lanciato una consultazione pubblica.
· esaminerà le modalità per rafforzare l'efficacia della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare;
· integrerà le misure di contrasto del traffico di migranti nei partenariati con i Paesi terzi.
Il 1° ottobre 2020 la Commissione ha inoltre pubblicato gli "Orientamenti per l'attuazione delle norme dell'Ue relative alla definizione e prevenzione del favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali" (C(2020)6470).
Il Patto sulla migrazione e l'asilo presentato dalla Commissione intende delineare un approccio globale che contempli i diversi settori delle politiche in materia di migrazione e asilo. Le proposte della Commissione riguardano pertanto anche la migrazione legale e l'integrazione.
Nella "Raccomandazione relativa ai percorsi legali di protezione nell'Ue: promuovere il reinsediamento, l'ammissione umanitaria e altri percorsi complementari", del 23 settembre 2020, la Commissione ha invitato gli Stati membri a raggiungere l'obiettivo di reinsediare circa 29.500 persone che necessitano di protezione internazionale, provenienti da Paesi terzi, per un periodo di due anni (dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2021).
Nella raccomandazione la Commissione rende noto che, dal 2015, i due programmi di reinsediamento sponsorizzati dall’Ue hanno permesso a oltre 70 mila persone vulnerabili bisognose di protezione internazionale di trovare rifugio nell’Unione:
· 19.452 persone sono state reinsediate nel quadro del primo programma di reinsediamento del 2015[7];
· quasi 44.000 persone sono state reinsediate nell'ambito del secondo programma di reinsediamento del 2017[8].
I due programmi hanno coperto l'86% del totale degli impegni di reinsediamento. Inoltre, a metà settembre 2020, più di 27.000 persone erano state reinsediate in virtù della dichiarazione Ue-Turchia del 2016.
Per dati aggiornati sul reinsediamento si rimanda al sito dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR).
A causa della pandemia da Covid-19 nel 2020 non è stato possibile rispettare tutti gli impegni di reinsediamento assunti e, per garantire che gli sforzi di reinsediamento dopo il 2021 proseguano senza soluzione di continuità, a partire dal 2022 dovrebbero essere considerati nuovi programmi di reinsediamento - tenendo conto anche delle risorse finanziarie stanziate dal Fondo Asilo e migrazione nel periodo 2021-2027 - per sostenere gli impegni degli Stati membri. A tal fine saranno anche previsti percorsi complementari per la protezione, fra cui programmi di ammissione umanitaria, e programmi di studio o di lavoro.
L'Ue intende inoltre sostenere gli Stati membri che desiderino istituire programmi di sponsorizzazione da parte di comunità o privati attraverso finanziamenti, lo sviluppo di capacità e la condivisione delle conoscenze, in cooperazione con la società civile.
La Commissione ha invitato infine Parlamento europeo e Consiglio a concludere rapidamente i negoziati relativi al regolamento quadro sul reinsediamento e l'ammissione umanitaria[9].
Nel 2016 la Commissione ha proposto, nell’ambito della revisione del sistema di asilo dell’Ue, un regolamento relativo a un quadro dell’Unione per il reinsediamento, al fine di offrire a chi ne ha bisogno percorsi sicuri e legali per ottenere la protezione internazionale.
La proposta legislativa mira a stabilire un quadro dell'Unione per il reinsediamento, per facilitare la strategia dell'Unione in materia e istituire un approccio collettivo e armonizzato con una procedura unificata, al fine di ridurre le divergenze fra le prassi nazionali di reinsediamento e far sì che l'Unione occupi una posizione più forte per conseguire i suoi obiettivi strategici anche a livello globale.
Nello specifico la proposta persegue le seguenti finalità: elaborare un approccio comune per l'arrivo sicuro e legale nell'Unione dei cittadini di Paesi terzi bisognosi di protezione internazionale, proteggendoli dallo sfruttamento delle reti di trafficanti di migranti; aiutare a ridurre la pressione degli arrivi spontanei sui sistemi di asilo degli Stati membri; permettere di condividere le responsabilità in materia di protezione con Paesi verso i quali o all'interno dei quali è stato sfollato un gran numero di persone bisognose di protezione internazionale e contribuire ad alleviare la pressione a carico di tali Paesi; fornire un contributo comune dell'Unione agli sforzi globali di reinsediamento.
Nel giugno 2018 è stato raggiunto un accordo politico provvisorio parziale.
La proposta di direttiva sulla "Carta blu"
Il 17 maggio 2021 la presidenza del Consiglio e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo provvisorio sulla cd. direttiva "Carta blu". Le nuove norme, che sostituiranno quelle esistenti, intendono armonizzare ulteriormente le condizioni di ingresso e soggiorno per i lavoratori altamente qualificati provenienti da Paesi terzi[10].
La direttiva mira ad attrarre e trattenere lavoratori altamente qualificati, in particolare nei settori che risentono maggiormente della carenza di competenze. Le misure previste sono volte in particolare a:
Gli Stati membri potranno mantenere i regimi nazionali per i lavoratori altamente qualificati parallelamente al sistema della Carta blu Ue. Le nuove norme introdurranno comunque una serie di disposizioni volte a garantire che i titolari della Carta blu Ue e le loro famiglie non siano svantaggiati rispetto ai titolari di permessi nazionali.
Condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di Paesi terzi per motivi di ricerca e studio
La direttiva (UE) 2016/801 stabilisce le condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di Paesi terzi per motivi di ricerca, studio, tirocinio, volontariato, programmi di scambio di alunni o progetti educativi, e collocamento alla pari.
La direttiva si applica ai cittadini di Paesi terzi che chiedono di essere ammessi o che sono stati ammessi nel territorio di uno Stato membro per motivi di ricerca, studio, tirocinio o volontariato nell'ambito del Servizio volontario europeo (SVE). Gli Stati membri possono altresì decidere di applicare le disposizioni della direttiva ai cittadini di Paesi terzi che chiedono di essere ammessi ai fini di un programma di scambio di alunni o di un progetto educativo, di volontariato diverso dal servizio volontario europeo o di collocamento alla pari.
La direttiva non si applica ai cittadini di Paesi terzi:
· che chiedano protezione internazionale o che siano beneficiari di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE, o che siano beneficiari di protezione temporanea in uno Stato membro ai sensi della direttiva 2001/55/CE del Consiglio;
· la cui espulsione sia stata sospesa per motivi di diritto o di fatto;
· che siano familiari di cittadini dell'Unione i quali abbiano esercitato il diritto alla libera circolazione all'interno dell'Unione;
· che siano titolari dello status di soggiornante di lungo periodo in uno Stato membro, a norma della direttiva 2003/109/CE del Consiglio;
· che, insieme ai loro familiari e a prescindere dalla cittadinanza, godano di diritti di libera circolazione equivalenti a quelli dei cittadini dell'Unione in virtù di accordi conclusi tra l'Unione e i suoi Stati membri e Paesi terzi o tra l'Unione e Paesi terzi;
· che entrino nell'Unione in qualità di dipendenti in tirocinio nell'ambito di un trasferimento intrasocietario in virtù della direttiva 2014/66/UE;
· che siano ammessi quali lavoratori altamente qualificati ai sensi della direttiva 2009/50/CE del Consiglio.
I richiedenti devono soddisfare sia le condizioni generali che quelle specifiche della categoria. Le condizioni generali comprendono:
· possedere un titolo di viaggio valido per la durata del soggiorno previsto;
· disporre delle risorse sufficienti per provvedere al proprio sostentamento e ai costi del viaggio di ritorno;
· essere in possesso o, se previsto dal diritto nazionale, aver richiesto una copertura di un'assicurazione sanitaria per tutti i rischi di norma coperti per i cittadini dello Stato membro in questione.
Alcuni esempi di condizioni specifiche sono una "convenzione di accoglienza" o un contratto di ricerca, o l’accettazione da parte di un istituto di istruzione superiore nel caso degli studenti.
Al fine di promuovere la mobilità di studenti, ricercatori e imprenditori fra Europa e Africa, in occasione del vertice sulla migrazione tenutosi a La Valletta nel novembre 2015 è stato convenuto di raddoppiare il numero delle borse di studio per studenti e personale accademico tramite il programma Erasmus+.
Lavoratori stagionali
La direttiva 2014/36/UE definisce le condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di Paesi terzi per motivi di impiego in qualità di lavoratori stagionali.
La direttiva dispone che, per soggiorni non superiori a 90 giorni, le condizioni di ammissione dei lavoratori stagionali nel territorio degli Stati membri che applichino integralmente l'acquis di Schengen dovranno essere disciplinate dal regolamento (CE) n. 810/2009 (codice dei visti), dal regolamento (CE) n. 562/2006 (codice frontiere Schengen) e dal regolamento (CE) n. 539/2001 (relativo all'elenco dei Paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso del visto all'atto dell'attraversamento delle frontiere esterne e l'elenco dei paesi terzi i cui cittadini sono esenti da tale obbligo).
La direttiva disciplina unicamente - riguardo all'ammissione per soggiorni non superiori a 90 giorni - i criteri e i requisiti per l'accesso all'occupazione, prescrivendo che la domanda di ammissione sia accompagnata da: un contratto di lavoro valido o un'offerta vincolante di lavoro che specifichi, fra l'altro, il luogo e il tipo di lavoro, la durata dell'impiego, la retribuzione e le ore di lavoro settimanali o mensili; la prova di aver fatto richiesta di un'assistenza sanitaria; la prova che il lavoratore stagionale disporrà di un alloggio adeguato. Gli Stati membri devono esigere che il lavoratore stagionale non faccia ricorso ai loro sistemi di assistenza sociale.
Per quanto riguarda i lavoratori stagionali ammessi per soggiorni superiori a 90 giorni, la direttiva definisce sia le condizioni di ammissione e di soggiorno nel territorio, sia i criteri e i requisiti per l'accesso all'occupazione negli Stati membri. Con riguardo alla documentazione fornita, le disposizioni relative alle domande di ammissione coincidono con quelle richieste per soggiorni inferiori a 90 giorni, con la previsione ulteriore che lo Stato ospitante deve verificare che il cittadino non presenti un rischio di immigrazione illegale (ossia che rimanga oltre la scadenza dell'autorizzazione). Tale obbligo, per i periodi non superiore a 90 giorni, è applicato solo ai Paesi membri che non hanno recepito integralmente l'acquis di Schengen. Inoltre, lo Stato membro non può ammettere cittadini considerati pericolosi per l'ordine pubblico, la sicurezza o la salute pubblica e deve esigere che questi siano in possesso di un documento di viaggio valido almeno per il periodo di validità dell'autorizzazione per l'esercizio di lavoro stagionale.
La direttiva non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel proprio territorio di cittadini di Paesi terzi per motivi di lavoro stagionale (il sistema delle quote), e consente pertanto, su tale base, di considerare inammissibile o rigettare la domanda.
Specifica, inoltre, che gli Stati membri hanno la facoltà di rigettare le domande di ammissione per i seguenti motivi: qualora i criteri e i requisiti di ammissione non siano rispettati o i documenti presentati siano stati ottenuti con la frode, falsificati o manomessi; se il datore di lavoro è stato oggetto di sanzioni in conformità del diritto nazionale, a causa di lavoro non dichiarato o occupazione illegale o se l'impresa del datore di lavoro è stata liquidata conformemente alla normativa nazionale in materia di insolvenza; nel caso in cui i posti vacanti in questione possano essere coperti da cittadini dello Stato membro interessato o da altri cittadini dell'Unione o da cittadini di Paesi terzi che soggiornano legalmente in tale Stato membro; se il datore di lavoro non ha rispettato i propri obblighi giuridici in materia di previdenza sociale, tassazione, diritti dei lavoratori, condizioni di lavoro o di impiego, o se nei dodici mesi immediatamente precedenti la data della domanda il datore di lavoro ha soppresso un posto di lavoro a tempo pieno al fine di creare un posto vacante che sta cercando di coprire mediante il ricorso alla direttiva, oppure se il cittadino del Paese terzo non ha rispettato gli obblighi previsti da una precedente decisione di ammissione.
Nel rispetto di tali disposizioni agli Stati membri è quindi consentito di rilasciare un'autorizzazione per motivi di lavoro stagionale - nella forma del permesso di soggiorno o visto - per breve periodo o per lunga durata[11].
Trasferimenti intra-societari
La direttiva 2014/66/UE sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi nell'ambito di trasferimenti intra-societari consente ai cittadini di Paesi terzi di chiedere di essere ammessi nell'Ue come dirigenti, personale specializzato o dipendenti in tirocinio nell'ambito di trasferimenti intra-societari.
Ricongiungimento familiare
La direttiva 2003/86/CE del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare consente a coloro che risiedano legalmente nell'Ue di essere raggiunti dai familiari, con l’obiettivo di tutelare l’unità familiare e facilitare l’integrazione dei cittadini dei Paesi terzi.
Possono richiedere il ricongiungimento familiare i cittadini di un Paese terzo titolari di un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno in uno degli Stati membri e che hanno una possibilità legale di ottenere un diritto di soggiorno permanente. La direttiva non si applica ai familiari di un cittadino dell’Ue, né ai cittadini che chiedano il riconoscimento dello status di rifugiati e le cui domande non hanno ricevuto una risposta definitiva, o a coloro che si avvalgono di forme temporanee di protezione.
Possono beneficiare del ricongiungimento familiare:
Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento familiare, a talune condizioni, anche: agli ascendenti in linea retta e di primo grado (padre e madre del cittadino straniero); ai figli maggiorenni non coniugati; al convivente non coniugato.
In occasione del Consiglio Giustizia e affari interni (GAI) del 7 e 8 giugno 2021, la presidenza ha riferito in merito allo stato dei lavori relativi al nuovo patto sulla migrazione e l'asilo, sottolineando che la dimensione esterna resta uno degli aspetti fondamentali del patto. Si è registrato un forte sostegno a favore dello sviluppo e dell'ulteriore rafforzamento della cooperazione con i Paesi di origine e di transito, nonché della messa in operatività di partenariati globali, su misura e reciprocamente vantaggiosi con i principali paesi partner. A questo riguardo la presidenza portoghese ha ricordato l'importante esito della conferenza ministeriale Ue-Africa sulla gestione dei flussi migratori, che si è tenuta a Lisbona l'11 maggio scorso.
Alla conferenza hanno preso parte i ministri degli Affari interni degli Stati membri dell'Unione europea, ministri e rappresentanti dei Paesi partner (Algeria, Egitto, Libia, Mauritania, Marocco, Niger, Senegal e Tunisia), e rappresentanti di organizzazioni internazionali come l’UNHCR e l’OIM (Organizzazione internazionale della migrazione). Al centro della discussione: la cooperazione globale per promuovere i meccanismi di migrazione legale, il contrasto alle reti criminali della tratta di esseri umani e il traffico di migranti, e il rafforzamento della cooperazione allo sviluppo.
Secondo l’UNHCR, dall’inizio del 2021 (dati aggiornati al 7 giugno) i rifugiati e migranti giunti via mare in Italia, Grecia, Spagna, Cipro e Malta ammonta a 28 mila di cui: oltre 15 mila in Italia; circa 10,550 in Spagna; 1.200 in Grecia (cui devono aggiungersi circa 2 mila arrivi via terra). Sono circa 1.070 gli sbarchi a Cipro e 150 a Malta.
L’UNCHR stima, al 7 giugno 2021, 784 persone tra morti e dispersi in mare.
Di seguito una tabella riassuntiva del trend annuale (dal 2014) dei flussi migratori verso l’UE lungo le rotte del Mediterraneo; le rilevazioni comprendono gli arrivi via mare in Italia, Cipro e Malta e quelli via mare e via terra in Grecia e Spagna (comprese le Isole Canarie) (Fonte UNHCR)
Anno Arrivi Morti/Dispersi
Di seguito un grafico recante il trend degli sbarchi in Europa dal 2015 ad oggi (Fonte UNHCR)
Di seguito le nazionalità più comuni dei migranti che approdano agli Stati membri del Mediterraneo dal gennaio 2021 (il dato comprende anche una componente residuale di arrivi via terra) (Fonte UNHCR).
Per quanto riguarda la situazione del COVID-19 nei Paesi terzi citati, si riportano i seguenti dati forniti dall’OMS:
· Bangladesh (163 milioni di abitanti): circa 818 mila casi e circa 13 mila decessi;
· Tunisia (ab. circa 11,5 milioni) oltre 360 mila casi e oltre 13 mila decessi;
· Siria (ab. circa 18,5 milioni) circa 25 mila casi e oltre 1.800 decessi;
· Costa d’Avorio (ab circa 5 milioni) circa 47,5 mila casi e oltre 300 decessi;
· Eritrea (ab. circa 23,7 milioni) 4.700 casi e 14 decessi;
· Guinea (ab. circa 12,4 milioni) oltre 23.300 casi e 165 decessi;
· Sudan (ab. circa 39,6 milioni di persone) oltre 36 mila casi e oltre 2.700 decessi;
· Egitto (ab. 95,7 milioni) oltre 270 mila casi e circa 15,5 mila decessi;
· Afghanistan (ab. circa 34,7 milioni) circa 86 mila casi e circa oltre 3.400 decessi.
Di seguito il trend degli sbarchi in Italia dal 2016 (fonte UNHCR)
Di seguito il trend settimanale degli sbarchi in Italia nel periodo tra maggio 2020 e maggio 2021 (fonte UNHCR)
Di seguito le nazionalità più comuni dei migranti che approdano in Italia dall’inizio del 2021 al 31 maggio (Fonte UNHCR)
Ulteriori dati registrati dall’OMS in merito alla diffusione del virus in ulteriori Stati terzi di origine dei flussi verso l’Italia: Marocco (ab. circa 35,3 milioni), oltre 522 mila casi, oltre 9 mila decessi; Mali (ab. 18 milioni), oltre 14 mila casi, 521 decessi; Algeria (ab. 40,6 milioni), 132 mila casi, oltre 3.500 decessi.
Secondo i dati più aggiornati dell’EASO (Ufficio europeo dell’asilo), al marzo 2021, in tutta l’UE sono pendenti 387 mila domande di protezione internazionale di prima istanza; circa 40 mila domande di asilo sono state presentate nel mese di marzo 2021, secondo un trend che è sostanzialmente in linea con i mesi precedenti.
Di seguito un grafico recante l’andamento delle domande di asilo (la colonna blu rappresenta le domande di prima istanza, quella celeste riguarda le domande reiterate) (fonte EASO)
Di seguito il confronto tra le domande registrate in Italia nel 2020 e quelle relative al 2021 (aggiornate al mese di aprile) (Fonte UNHCR)
[1] Le iniziative normative presentate nell’ambito del Patto sono tuttora all’esame della I Commissione (Affari costituzionali) della Camera dei deputati nell’ambito del dialogo politico. Si ricorda altresì che sul Patto la Commissione 14° del Senato con risoluzione del 19 gennaio 2021 ha adottato un parere motivato. Per approfondimenti si rimanda al Dossier N. 98/DE "Conferenza interparlamentare di alto livello sulla migrazione e l'asilo in Europa - Videoconferenza, 19 novembre 2020", a cura del Servizio Studi del Senato della Repubblica e dell'Ufficio rapporti con l'UE della Camera dei deputati, nonché ai Dossier n. 47 "Nuovo patto sulla migrazione e l'asilo" e n. 34 "Audizione, in videoconferenza, della Commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson", a cura dell'Ufficio rapporti con l'UE della Camera dei deputati.
[2] Per approfondimenti si rimanda al Dossier N. 98/DE "Conferenza interparlamentare di alto livello sulla migrazione e l'asilo in Europa - Videoconferenza, 19 novembre 2020", a cura del Servizio Studi del Senato della Repubblica e dell'Ufficio rapporti con l'UE della Camera dei deputati, nonché ai Dossier n. 47 "Nuovo patto sulla migrazione e l'asilo" e n. 34 "Audizione, in videoconferenza, della Commissaria europea per gli Affari interni, Ylva Johansson", a cura dell'Ufficio rapporti con l'UE della Camera dei deputati.
[3] Proposta di direttiva recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (rifusione) (COM(2018)634).
[4] I principi fondamentali concordati nelle conclusioni del Consiglio europeo, che sono stati inoltre sostenuti dagli Stati membri in diversi contesti, mettono in evidenza la necessità di rafforzare gli strumenti della solidarietà europea, in particolare potenziando la Guardia di frontiera e costiera europea, di assicurare una gestione efficace delle frontiere esterne e della migrazione e di istituire una politica europea di rimpatrio efficace e coerente.
[5] La Commissione ha inoltre adottato, nel 2017, una raccomandazione in cui ha indicato una serie di misure che gli Stati membri dovrebbero adottare per rendere i rimpatri più efficaci, fra cui il pieno ricorso alla flessibilità prevista dalla direttiva rimpatri.
[6] Il cittadino di Paese terzo che era già in stato di trattenimento nel corso dell'esame della domanda di protezione internazionale con procedura di asilo alla frontiera potrà essere mantenuto in tale stato per impedirgli l'ingresso non autorizzato ed effettuare il rimpatrio. In altri casi, in particolare qualora il cittadino di Paese terzo non si trovi in stato di trattenimento nel corso della procedura di asilo alla frontiera, potrà essere fatto ricorso al trattenimento, se la persona presenta un pericolo di fuga, evita od ostacola la preparazione del rimpatrio o la procedura di allontanamento ovvero rappresenta un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.
[7] Raccomandazione (UE) 2015/914 della Commissione, dell’8 giugno 2015, relativa a un programma di reinsediamento europeo.
[8] Raccomandazione (UE) 2017/1803 della Commissione, del 3 ottobre 2017, sul rafforzamento dei percorsi legali per le persone bisognose di protezione internazionale.
[9] Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro dell'Unione per il reinsediamento e modifica il regolamento (UE) n. 516/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio (COM(2016) 468).
[10] Nel 2016 la Commissione europea aveva presentato una riforma della direttiva 2009/50/CE del Consiglio, del 25 maggio 2009, sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati (direttiva "Carta blu Ue"). Vd. la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente specializzati (COM(2016) 378).
[11] Il periodo massimo di soggiorno per i lavoratori stagionali non deve essere inferiore a cinque mesi e non superiore a nove mesi in un dato periodo di dodici mesi. Al termine di tale periodo, il cittadino del Paese terzo dovrà lasciare il territorio dello Stato membro, a meno che lo Stato membro interessato non abbia rilasciato un permesso di soggiorno a norma del diritto nazionale o dell'Unione per motivi diversi dal lavoro stagionale. La direttiva prevede inoltre che, a condizione che siano rispettati i criteri di ammissione e non sussistano motivi di rifiuto, gli Stati membri possano accordare ai lavoratori stagionali una proroga, sostituendo il visto per soggiorno di breve durata con un visto per soggiorno di lunga durata o con un permesso di lavoro stagionale, nel caso in cui il lavoratore stagionale proroghi il suo contratto con lo stesso datore di lavoro o intenda farsi assumere da un altro datore di lavoro.