Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea |
Titolo: | LX Conferenza degli organi parlamentari specializzati negli affari dell'Unione europea dei Parlamenti dell'Unione stessa (COSAC) - Vienna, 18 e 20 novembre 2018 |
Serie: | Documentazione per le Commissioni - Riunioni interparlamentari Numero: 9 |
Data: | 15/11/2018 |
Organi della Camera: | XIV Unione Europea |
XVIII LEGISLATURA
Documentazione per le Commissioni
Riunioni Interparlamentari
LX Conferenza degli organi parlamentari specializzati negli affari dell'Unione dei Parlamenti dell'Unione europea (COSAC)
Vienna, 18-20 novembre 2018
Senato della Repubblica Servizio Studi Dossier europei n. 22 |
Camera dei deputati Ufficio Rapporti con l’Unione europea n. 9 |
Servizio Studi
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Dossier europei n. 22
Ufficio rapporti con l’Unione europea
Tel. 06-6760-2145 - cdrue@camera.it
Dossier n. 9
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ordine del giorno
Sessione I - stato dell'arte della Presidenza austriaca del consiglio dell'Ue
Lotta all'immigrazione clandestina e sicurezza
Assicurare prosperità e competitività attraverso la digitalizzazione
Stabilità e vicinato - integrare i paesi dell'Europa sudorientale nell'Ue
Sviluppi relativi ad ulteriori priorità della Presidenza austriaca
Sessione II – La Brexit: ultimi sviluppi
I temi di interesse italiano implicati dalla Brexit
Lo scenario di un nuovo referendum
Le future relazioni fra Regno Unito e UE
Sessione III - Le politiche per il clima e per un’Unione dell’energia
Il clima e l’Accordo di Parigi
Emissioni di gas ad effetto serra
I fondi dell’Unione europea per il clima
Proposte della Commissione europea
L’iniziativa europea dei cittadini
Le iniziative della Commissione sulla sussidiarietà e proporzionalità
Iniziative volte a garantire il corretto funzionamento delle prossime elezioni europee.
Il processo degli Spitzenkandidaten per la carica di Presidente della Commissione europea
Il sito della Commissione europea “La vostra voce in Europa”
Programma l’Europa per i cittadini 2014-2020
Regolamento sui partiti politici europei
I negoziati per un registro sulla trasparenza obbligatorio dell’UE
Trasparenza e accesso ai documenti delle Istituzioni dell’UE
L’Agenda europea sulla migrazione
Recenti sviluppi della politica UE in materia di migrazione, asilo e gestione delle frontiere
Schede di lettura
Durante la Sessione I si farà il punto sulla Presidenza austriaca del Consiglio dell'Unione europea, inauguratasi il 1° luglio 2018 e che proseguirà fino alla fine dell'anno. L'Austria ha adottato, come motto del proprio semestre di Presidenza, "Un'Europa che protegge", proponendosi l'obiettivo di rafforzare l'Ue, avvicinarla ai suoi cittadini e ristabilire la fiducia nella efficacia delle istituzioni europee.
La Presidenza austriaca si è svolta in corrispondenza di due importanti scadenze, ovvero:
1) la Brexit, sulla quale si rinvia al relativo paragrafo di approfondimento;
2) l'approvazione del quadro finanziario pluriennale (QFP 2021-2027). In linea con gli orientamenti del Consiglio europeo di giugno 2018, che aveva rivolto al Parlamento europeo e al Consiglio l'invito a esaminare con celerità le proposte presentate dalla Commissione europea nel maggio 2018[1], il Consiglio ha lavorato intensamente al pacchetto sul QFP e alla fine di luglio la Presidenza ha concluso la fase dei chiarimenti in relazione a tutte le relative proposte.
Il 18 settembre scorso il Consiglio "Affari generali" ha definito le priorità per i negoziati ed ha avuto uno scambio di vedute in merito a:
· la maniera in cui le priorità politiche dell'Ue e il valore aggiunto europeo sono riflessi nella proposta relativa al QFP;
· le assegnazioni di fondi proposte per i diversi settori d'intervento.
A seguito di tale riunione la presidenza ha avviato i lavori a livello tecnico per individuare i possibili elementi del futuro progetto di schema di negoziato in sede di Gruppo ad hoc sul QFP[2].
La presidenza organizza inoltre scambi di opinioni con i rappresentanti del Parlamento europeo prima e dopo ogni sessione del Consiglio "Affari generali" ove si discuta di QFP.
Il 12 novembre il Consiglio "Affari generali" ha tenuto un dibattito orientativo sulle proposte del QFP 2021-2027 anche in vista della discussione che avrà luogo in seno al Consiglio europeo del dicembre prossimo, occasione in cui emergeranno indicazioni sulla possibilità di raggiungere un accordo politico unanime sul prossimo QFP prima delle elezioni europee del maggio 2019. In tal senso, si segnala che nella riunione del 12 novembre sono emerse diverse visioni sulla tempistica per l'adozione del QFP[3], con alcune delegazioni (tra cui Francia e Paesi bassi) che hanno sostenuto la necessità di dare priorità ai contenuti dell'accordo piuttosto che al calendario, mentre altre (tra cui Germania, Slovenia, Lussemburgo, Spagna e Portogallo) hanno chiesto un rapido accordo.
La decisione sul futuro bilancio a lungo termine dell'Ue spetterà al Consiglio dell'Ue, che dovrà deliberare all'unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo. Il Parlamento europeo si è espresso indicando che la proposta di QFP presentata dalla Commissione europea è un punto di partenza, ma che il livello proposto "non consentirà all'UE di mantenere i suoi impegni politici e rispondere alle importanti sfide future". Il Parlamento ha quindi confermato, in particolare, le seguenti priorità:
· fissare la dotazione finanziaria del programma di ricerca Horizon Europe a 120 miliardi di euro in costi 2018 (Commissione: €83,5 miliardi);
· rafforzare il piano strategico europeo di investimenti ("Piano Juncker");
· incrementare i finanziamenti per le infrastrutture di trasporto e le PMI;
· mantenere il finanziamento delle politiche agricole e di coesione a lungo termine;
· raddoppiare le risorse per affrontare la disoccupazione giovanile, triplicare le risorse per Erasmus+;
· fissare il contributo dell'UE per gli obiettivi climatici a un minimo del 25% della spesa del QFP, per portarla al 30% il prima possibile, al più tardi entro il 2027.
In una Nota predisposta[4] in vista della riunione, la Presidenza austriaca fa il punto sullo stato dei lavori e fornisce un elenco degli elementi su cui sono necessari ulteriori indirizzi politici. Dal mese di settembre, si legge nella nota, l'attenzione si è concentrata sull'individuazione dei possibili elementi del futuro progetto di schema di negoziato ("Negotiation box"). La nota riporta che vi è un ampio consenso sulla struttura del QFP. Tuttavia, alcune questioni necessitano di un ulteriore discussione a livello politico. Tra queste, si segnalano questioni relative alle singole rubriche di spesa e questioni orizzontali. Tra queste, la necessità di dare maggiore risalto al ruolo del bilancio dell'Ue nel sostenere l'attuazione efficace degli obiettivi strategici a livello europeo.
Per altri elementi sarebbe ancora necessario un approfondimento a livello tecnico in seno al Gruppo di lavoro "ad hoc" del Consiglio. La Presidenza sarebbe intenzionata a presentare al Consiglio europeo di dicembre un Progress report sul negoziato.
Gli specifici settori su cui focalizzare il proprio operato sono stati individuati come segue dalla Presidenza austriaca:
1) la sicurezza e la lotta all'immigrazione clandestina;
2) la digitalizzazione;
3) la stabilità nel vicinato europeo.
E' stata predisposta una Nota (background paper) che illustra i temi principali che saranno oggetto di dibattito.
Proprio per discutere di sicurezza interna e migrazione ha avuto luogo il 20 settembre 2018 a Salisburgo un Vertice informale dei Capi di Stato e di Governo.
La riunione si è conclusa senza l'adozione di una posizione comune. Nella dichiarazione conclusiva del presidente Donald Tusk si fa, però, riferimento all'esistenza di un consenso sulla circostanza che l'obiettivo principale da perseguire sia il contenimento della migrazione illegale verso l'Europa.
Il Background paper definisce quella che sta vivendo il continente europeo come la "più ampia crisi migratoria dopo la seconda guerra mondiale". Mette quindi in luce l'importanza di "intraprendere un'azione comune per contrastare l'immigrazione illegale ed assicurare la capacita dell'Unione di agire".
Negli ultimi anni comunque - come messo in luce anche dai Capi di Stato e di Governo ad esito del Vertice di Salisburgo - si è registrata una progressiva diminuzione degli ingressi di irregolari. Si veda, in questo senso, il Grafico I, il quale fornisce anche dettagli sulle vie migratorie maggiormente utilizzate.
Grafico I - Arrivi di immigrati irregolari 2015 - 2018. Fonte: Consiglio dell'Unione europea.
In tema di migrazione la Presidenza austriaca aveva preannunciato, a luglio 2018, la propria intenzione di:
1) rilanciare i lavori verso la riforma del Sistema comune europeo di asilo, cercando una sintesi tra le persistenti ragioni di contrasto.
Il 4 maggio e il 13 luglio 2016 la Commissione ha presentato un totale di sette proposte legislative volte a riformare il sistema europeo comune di asilo (CEAS), tutt'ora all'esame delle istituzioni legislative europee. Ad inizio ottobre 2018 il documento del Consiglio dell'Unione 12826/18 ha illustrato, per ognuna delle proposte, lo stato dei lavori. In particolare si dà conto delle riunioni bilaterali condotte dalla Presidenza con i singoli Stati membri, dei triloghi, delle negoziazioni, delle riunioni tecniche.
Per alcune delle proposte in questione l'iter di approvazione non si presenta particolarmente problematico. E' questo il caso di:
· direttiva sulle condizioni di accoglienza (COM(2016)465);
· regolamento sulle qualifiche (COM(2016)466);
· regolamento Eurodac, che disciplina una banca dati delle impronte digitali dei richiedenti asilo e migranti (COM(2016)272);
· regolamento sull'Agenzia UE per l'asilo (COM(2016)271);
· regolamento sul quadro per il reinsediamento (COM(2016)468).
Ambiti di contrasto sono, invece, registrati per i seguenti Dossier:
· la proposta di regolamento recante una procedura comune per la trattazione delle domande di asilo (COM(2016)467). Tra i punti più controversi vi sarebbero la natura della procedura da seguire ai confini (se obbligatoria o discrezionale) e la definizione di decisione definitiva;
· la revisione del regolamento di Dublino (COM(2016)270), rispetto alla quale non si è, sinora, riusciti a conciliare le esigenze di solidarietà nei confronti degli Stati membri posti sulla frontiera esterna e la necessità di impedire abusi e movimenti secondari di richiedenti asilo e migranti irregolari (cosiddetto "principio di responsabilità"). Il Parlamento europeo ha approvato un mandato negoziale che rafforzerebbe il principio di solidarietà, ma in Consiglio si registrano posizioni divergenti. L'Italia, insieme agli altri Stati membri affacciati sul Mediterraneo, ha espresso riserve rispetto a misure che rafforzano il principio di responsabilità, mentre altri Stati (in linea di massima, i membri del cosiddetto gruppo di Visegrad e l'Austria) sono contrari a redistribuzioni per quote dei richiedenti asilo;
2) lavorare ad una nuova focalizzazione e a un rafforzamento dell'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (FRONTEX).
Nella Dichiarazione successiva al vertice informale di Salisburgo, il presidente Tusk ha riportato l'esistenza di una volontà condivisa di "far progredire in modo prioritario la proposta della Commissione relativa al rafforzamento della guardia di frontiera e costiera europea", ferma restando la necessità di "discutere ulteriormente le questioni concernenti la sovranità e le dimensioni di Frontex".
Nel settembre 2018 la Commissione europea, quale contributo al vertice di Salisburgo, ha presentato una proposta di regolamento per ampliare il mandato di Frontex costituendo, all'interno dell'Agenzia, un corpo permanente di 10.000 unità operative entro il 2020. E' previsto anche un maggior coinvolgimento nel sostegno alle procedure di rimpatrio effettuate dagli Stati membri e nella cooperazione con i paesi terzi interessati (COM(2018)631). Su questa proposta il dibattito in sede di Consiglio è già stato avviato (documento 12768/18). Risulta che, nelle discussioni, sia stato posto l'accento in particolare sul potenziamento delle risorse, anche umane, dell'Agenzia;
3) lavorare a più stretto contatto con i Paesi terzi. Tale cooperazione sarà finalizzata a garantire efficaci politiche di rimpatrio, a fornire assistenza prima dell'ingresso nell'UE a chi necessiti di protezione internazionale e ad impedire che coloro che non rientrano nel regime di protezione internazionale affrontino il pericoloso viaggio verso l'Europa.
In occasione del Vertice informale di Salisburgo la Dichiarazione del presidente Tusk ha fatto riferimento alla volontà di introdurre un partenariato molto ampio con i paesi terzi, che prescinda da una mera cooperazione in materia di immigrazione o la lotta contro trafficanti e passatori.
In virtù anche del sostegno del Consiglio europeo, il presidente Tusk ha annunciato l'avvio di un dialogo con l'Egitto nonché l'intento di rivolgersi ad altri partner africani. Si è anche preannunciata l'organizzazione di un summit ad hoc con la Lega Araba, che dovrebbe avere luogo nel febbraio 2019.
Nel settembre 2018 la Commissione europea, quale contributo al vertice di Salisburgo, ha proposto una revisione mirata della direttiva rimpatri volta a accelerare le procedure di rimpatrio, ad impedire fughe e movimenti secondari irregolari e ad aumentare i rimpatri effettivi (COM(2018)634). Il dibattito in Consiglio è già stato avviato (documento 12562/2018).
Nel riassumere le questioni oggetto di dibattito, il background paper sottopone espressamente ai partecipanti il seguente quesito:
Quale approccio potrebbe assumere l'Unione europea al fine di raggiungere il consenso più ampio possibile tra gli Stati membri e per facilitare un'azione congiunta di lungo termine?
Per quanto concerne, invece, la sicurezza, la background note rileva come nel mondo globalizzato si stia assistendo ad una sempre maggiore ramificazione del crimine organizzato. In virtù di ciò la Presidenza austriaca aveva dichiarato il proprio intento di operare in direzione di una cooperazione più efficiente e di un costante scambio di informazioni tra le autorità di sicurezza degli Stati membri, nonché di una piena interoperabilità dei database più rilevanti in questo settore.
Tra i database esistenti più rilevanti si ricordano:
1) il SIS (Sistema di informazione Schengen);
2) il VIS (Sistema di informazione sui visti);
3) Eurodac (database di impronte digitali dei richiedenti asilo);
4) Etias (sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi).
Una particolare menzione era stata riservata, nel Programma austriaco, alla necessità di porre in essere sforzi congiunti per combattere le minacce terroristiche ed ogni forma di radicalizzazione.
In merito ai singoli provvedimenti, la Presidenza conta entro dicembre di concludere i negoziati al livello di trilogo delle seguenti proposte:
1) l'interoperabilità tra i sistemi di informazione dell'UE (frontiere esterne, visti, migrazione e cooperazione giudiziaria)[5].
Per "interoperabilità" si intende la capacità, per sistemi informativi differenti e sviluppati separatamente, di scambiare dati e permettere la condivisione di informazioni. La finalità perseguita è quella di permettere un più efficace e comprensivo controllo del territorio e dei fenomeni migratori.
Le seguenti due proposte di regolamento sono state presentate dalla Commissione il 12 dicembre 2017:
- COM(2017)793, relativa alle frontiere esterne ed ai visti. A giugno 2018 è stata presentata una proposta modificata (COM(2018)478), che incorpora nell'atto originario modifiche di ulteriori atti giuridici che derivano direttamente dalla proposta sull'interoperabilità. Sul sito del Parlamento europeo è disponibile il progetto di relazione della Commissione per le libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo (LIBE, 19 ottobre 2018);
- COM(2017)794, relativa alla polizia, cooperazione giudiziaria e migrazioni. Anche in questo caso è stata presentata, per i medesimi motivi, una proposta modificata a giugno 2018 (COM(2018)480) ed è stata pubblicato il progetto di relazione della Commissione PE.
Per entrambe le proposte a giugno 2018 il Consiglio dell'Unione ha approvato il proprio mandato negoziale mentre la decisione di aprire negoziati interistituzionali risale al 15 ottobre 2018;
2) legislazione sulla cyber-sicurezza[6]. Due proposte della Commissione europea sono state presentate il 13 settembre 2017:
· COM(2017)477 def/3, proposta di regolamento sulla cibersicurezza. La decisione di avviare negoziati interistituzionali risale al luglio 2018 e sul sito del Parlamento europeo è disponibile la relazione della Commissione per l'industria, la ricerca e l'energia del Parlamento europeo. La data, anche indicativa, di esame in Plenaria non è ancora stata stabilita. Dal sito del Consiglio risulta l'avvio dei negoziati con il PE con l'obiettivo di " giungere a un accordo (...) entro la fine dell'anno";
· COM(2017)489, proposta di direttiva relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni dei mezzi di pagamento diversi dai contanti. L'obiettivo perseguito è la conformazione dei sistemi giuridici nazionali degli Stati membri per prevenire e il rafforzamento della cooperazione tra le forze di polizia e le autorità giudiziarie per contrastare le frodi connesse alle modalità di pagamento con mezzi diversi dal contante. In questo caso l'avvio del trilogo risale al 3 settembre 2018 mentre il progetto di risoluzione della Commissione LIBE risale al 6 settembre;
3) sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS, COM(2017)344), con l'obiettivo di istituire un meccanismo che consenta l'accesso alle informazioni sui precedenti penali di cittadini di paesi terzi ed apolidi condannati nell'UE. Il Consiglio ha adottato la propria posizione (orientamento generale) nel dicembre 2017 mentre la decisione di avviare negoziati interistituzionali risale al 25 gennaio 2018. Sul sito del Parlamento europeo è disponibile una proposta di relazione della Commissione LIBE del 1° febbraio 2018;
4) meccanismo unionale di protezione civile (RescEU, proposta COM(2017)772 del 23 novembre 2017). Si mira a rafforzare le capacità dell'Unione e degli Stati membri di rispondere collettivamente alle catastrofi naturali e causate dall'uomo, in particolare mediante la creazione di risorse a livello UE il cui dispiego verrebbe stabilito dalla Commissione, che ne avrebbe il comando e il controllo. Dopo l'approvazione, da parte del Parlamento europeo, della propria posizione nel maggio 2018 (il documento T8-0236/2018 contiene specifiche richieste di emendamento), il Consiglio ha approvato un mandato negoziale il 25 luglio 2018. I negoziati proseguono;
5) verifica degli investimenti stranieri diretti (COM(2017)487). La proposta mira ad istituire una struttura per la verifica degli investimenti diretti provenienti dall'estero verso l'Unione europea al fine di tutelare la sicurezza. Il 28 maggio 2018 sono stati aperti i negoziati interistituzionali e il 5 giugno 2018 la Commissione del PE per il commercio internazionale ha approvato una proposta di risoluzione.
La background note segnala, infine, l'avvenuta approvazione della proposta relativa all'ETIAS (regolamento (UE) 2018/1241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 settembre 2018 recante modifica del regolamento (UE) 2016/794 ai fini dell’istituzione di un sistema europeo di informazione e autorizzazione ai viaggi, ETIAS, entrato in vigore il 9 ottobre 2018).
In tema di mercato interno e digitalizzazione, la background note della Presidenza austriaca rileva come la percentuale europea del PIL globale e la potenza economica dell’Unione siano in graduale declino. Per garantire la competitività e la prosperità dell’Unione, è essenziale lavorare a una semplificazione del quadro regolatorio e a un progresso costante nel campo dell’innovazione e della digitalizzazione dell’economia. A quest'ultima si deve una parte considerevole della crescita europea. Vi è tuttavia il timore da parte dei cittadini che l'impatto della digitalizzazione sull'economia e sulle loro vite possa comportare rilevanti risvolti negativi. Le istituzioni europee sono però convinte che una politica di trasformazione digitale intelligente possa aiutare a mantenere la competitività e la sostenibilità dell'economia europea e che determini benefici maggiori dei costi. Inoltre, occorre proteggere i bilanci pubblici da una concorrenza fiscale dannosa e dall'evasione, creando per tutte le imprese condizioni concorrenziali eque.
Il programma della Presidenza austriaca poneva tre le priorità in questo settore un'accelerazione dei lavori per il completamento del mercato unico digitale e il rilancio dei negoziati in materia di tassazione dell'economia digitale.
Per quanto riguarda il mercato unico digitale è proseguito il lavoro su alcune proposte pendenti presentate dalla Commissione europea nell'ambito della Strategia per il mercato unico digitale lanciata nel 2015. Sono stati adottati il regolamento n. 1488/2018 che istituisce l'impresa comune europea per il calcolo ad alte prestazioni, il regolamento relativo all'istituzione dello sportello digitale unico[7] e il regolamento sulla protezione dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi europei[8]. Inoltre, il 9 novembre scorso, il Consiglio ha adottato il regolamento in materia di libera circolazione nell'Ue dei dati non personali[9], confermando la posizione del Parlamento europeo sul testo dell'accordo raggiunto in sede di negoziati di trilogo.
Il pacchetto di proposte relative al Codice europeo delle Comunicazioni elettroniche è stato da ultimo approvato dal Parlamento europeo il 14 novembre 2018. Il pacchetto sarà quindi sottoposto al Consiglio per l'adozione formale.
Il 6 novembre scorso, inoltre, il Consiglio ha adottato la direttiva sui servizi media audiovisivi approvando la posizione del Parlamento europeo in prima lettura, votata il 2 ottobre scorso.
Sono invece ancora in corso negoziati di trilogo sulla proposta di "regolamento sulla cibersicurezza" e sulla proposta in materia di diritto d'autore, sulla quale tuttavia sono stati registrati limitati progressi.
Risultano ancora in sospeso altre proposte, tra cui: la proposta di regolamento relativo alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche (e-privacy); le proposte materia di norme contrattuali relative ai contratti di fornitura di contenuto digitale e ai contratti di vendita online; la proposta di regolamento in materia di piattaforme online, volta a garantire la trasparenza e la correttezza nella gestione delle stesse.
Per quanto riguarda i negoziati sulla proposta della Commissione europea in materia di tassazione dell'economia digitale (web tax), la Presidenza austriaca ha svolto un lavoro di mediazione al fine di sciogliere alcuni nodi politici. Approfondite discussioni in materia hanno avuto luogo durante la riunione informale dei ministri delle finanze tenutasi a Vienna nel mese di settembre. Il dibattito è proseguito nel corso del Consiglio "Ecofin" del 6 novembre 2016, durante il quale si è discusso di quali servizi digitali tassare, e della necessità che le misure adottate abbiano natura temporanea fino a che non sarà operativo il piano di intervento a livello mondiale sviluppato dall'Ocse (cd. "sunset clause"). Il Consiglio Ecofin dovrebbe tornare a riunirsi il prossimo 4 dicembre: in tale sede si potrà avere un riscontro sulla possibilità di una soluzione condivisa tra gli Stati.
La Presidenza austriaca ha inoltre organizzato e ospitato vari incontri ministeriali informali e numerose conferenze al fine di discutere di digitalizzazione, robotica e intelligenza artificiale. Il background paper predisposto dalla Presidenza austriaca sottopone espressamente ai partecipanti il seguente quesito:
Come è possibile creare incentivi per l'innovazione e investire nella digitalizzazione assicurando al tempo stesso la sicurezza e la protezione dei dati?
Nel corso del suo mandato la Presidenza austriaca si è impegnata al fine di promuovere lo sviluppo di buone relazioni tra l'Ue e i suoi vicini, concentrandosi nello specifico sui Paesi dei Balcani occidentali e dell’Europa sudorientale.
In continuità con il lavoro già intrapreso dalla Presidenza bulgara e con la Strategia per l’allargamento presentata dalla Commissione europea il 6 febbraio 2018, l'Austria si è impegnata al fine di assicurare una concreta prospettiva europea per tutti gli Stati dei Balcani occidentali, basata su criteri chiari connessi alle performance individuali e ai progressi conseguiti.
Durante il semestre di Presidenza sono state svolte numerose visite ufficiali da parte del Governo federale austriaco. Inoltre, in Austria hanno avuto luogo incontri politici e varie conferenze con la partecipazione degli Stati dei Balcani occidentali. Tra gli eventi la Presidenza austriaca annovera la riunione informale dei Ministri degli esteri dell'Ue il 30 e 31 agosto scorsi e la conferenza su sicurezza e migrazione che ha avuto il 13 e 14 settembre, durante la quale i ministri dell'interno dell'UE, dei paesi del Balcani occidentali e della Moldova hanno firmato l'Accordo di Prum sullo scambio automatico di dati. Viene inoltre menzionato l'incontro, svoltosi a Graz il 26 settembre scorso tra i ministri il ministro austrico della difesa e gli omologhi dei Paesi dei Balcani occidentali dove, tra l'altro, è stato raggiunto un accordo sul sostegno da parte dell'Austria allo sviluppo di capacità di protezione dei confini.
Come parte della dimensione parlamentare della Presidenza austriaca all'inizio di ottobre è stato organizzato, presso il Parlamento austriaco, un panel di discussione con i rappresentati dei parlamenti nazionali, del Parlamento europeo e della Commissione europea. In tale occasione i partecipanti hanno convenuto sulla necessità che i parlamenti degli Stati membri sostengano i paesi candidati nei loro sforzi per l'adesione.
La prospettiva europea dei Balcani occidentali è stata inoltre un punto all'ordine del giorno della Conferenza interparlamentare per la Politica estera e di sicurezza comune (PESC) e la Politica di sicurezza e difesa comune (PSDC), che si è svolta a Vienna l'11 e il 12 ottobre scorsi con la partecipazione dei Paesi dei Balcani occidentali. In tale sede tutti i partecipanti hanno sottolineato l'importanza di integrare i paesi candidati dell'Europea sudorientale nell'Ue per assicurare la stabilità nella regione e in Europa.
Il background paper predisposto dalla Presidenza austriaca sottopone espressamente ai partecipanti il seguente quesito:
Quali ulteriori misure possono assumere i Parlamenti nazionali per appoggiare l'attuazione delle riforme nei paesi dei Balcani occidentali e rafforzare un orientamento filo-europeo sostenibile?
Sebbene la nota predisposta dalla Presidenza austriaca non vi faccia espresso richiamo, si illustrano di seguito gli sviluppi riguardanti alcuni temi prioritari che la Presidenza austrica aveva illustrato nel proprio programma di lavoro.
· Sussidiarietà e proporzionalità. La Presidenza austriaca ha organizzato una Conferenza ad alto livello sulla sussidiarietà che si terrà a Bregenz il 15 e 16 novembre prossimi. La Conferenza sarà l'occasione per discutere, assieme a rappresentanti del mondo politico, esperti e cittadini, su come trovare una comprensione comune del termine "sussidiarietà" e su come applicare tale principio in modo coerente, sulla base delle raccomandazioni formulate dalla Task force sulla sussidiarietà il 10 luglio scorso.
Si ricorda che la Task force ("Fare meno in modo efficace") è stata istituita dal Presidente della Commissione europea Junker nel novembre 2017 allo scopo di approfondire tre tematiche: come migliorare l'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità all'interno delle istituzioni dell'UE; come migliorare la partecipazione delle autorità regionali e locali e dei parlamenti nazionali alla definizione e attuazione delle politiche dell'UE; se esistano settori nei quali le competenze potrebbero essere progressivamente riattribuite agli Stati membri. La Task force è stata presieduta dal primo vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans. Ne hanno fatto parte tre membri del comitato delle regioni (Belgio, Germania, Francia) e rappresentanti dei parlamenti nazionali del trio di Presidenza (Estonia, Austria, Bulgaria).
· Cooperazione strutturata permanente in materia di politica estera, di sicurezza e difesa (PESCO)
Il 25 giugno 2018 sono state approvate le regole comuni di governance per i progetti PESCO.
Si ricorda che la PESCO rappresenta un quadro e un processo basati sul trattato e finalizzati ad approfondire la cooperazione in materia di difesa fra gli Stati membri dell'UE che hanno la capacità e la volontà necessarie. A tal fine una decisione del Consiglio del dicembre 2017 ha istituito la cooperazione strutturata tra venticinque Stati membri (Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria). Contestualmente all'adozione della decisione, gli Stati partecipanti hanno individuato un elenco iniziale di diciassette progetti da realizzare, inerenti settori quali la formazione, lo sviluppo di capacità e la prontezza operativa.
In quest'ottica il 15 ottobre 2018 il Consiglio dell'Unione ha adottato una raccomandazione relativa alla fissazione delle tappe per la realizzazione degli impegni più vincolanti assunti nel quadro della cooperazione strutturata permanente (PESCO) e alla definizione di obiettivi più precisi.
La raccomandazione intende garantire un approccio comune e fornire orientamenti in merito alla fissazione delle tappe per la realizzazione degli impegni assunti dagli Stati membri. Lo scopo perseguito è il conseguimento dei primi obiettivi specifici per la realizzazione degli impegni più vincolanti entro la fine del 2020 e sviluppare un solido processo di pianificazione volto a garantire progressi continui.
Altra priorità dichiarata dalla Presidenza è poi lo strumento europeo per la pace, volto a consentire il finanziamento di azioni operative che rientrano nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC) e hanno implicazioni militari o di difesa. Si tratta di uno strumento fuori bilancio, proposto al di fuori del quadro finanziario pluriennale, le negoziazioni relative al quale procedono all'interno del QFP.
· Completamento dell'Unione bancaria, con particolare riferimento a:
- la proposta di modifica del regolamento (UE) n. 848/2015 sulle procedure di insolvenza, volta a realizzare una maggiore armonizzazione tra i quadri giuridici degli Stati membri relativi alla gestione delle crisi aziendali e alle procedure fallimentari (COM(2016)723). La decisione di aprire negoziati interistituzionali risale al 2 luglio 2018; la Commissione giuridica del Parlamento europeo ha adottato il proprio rapporto il 21 agosto 2018 (documento A8-0269/2018). In sede di Consiglio, il 1° ottobre 2018 è stato distribuito un testo di orientamento generale (documento 12536/18);
- la proposta sul sistema europeo di assicurazione dei depositi (EDIS, COM(2015)586), le cui negoziazioni sono state lente e complesse, essendo caratterizzate da posizioni non omogenee degli Stati membri. Nel giugno 2018 la Presidenza bulgara aveva presentato un proprio progress report sulla proposta (documento 9819/18), che è stata nuovamente discussa, da ultimo, in occasione della riunione dell'Eurogruppo del 5 novembre 2018 con l'esame dei lavori relativi alla tabella di marcia per l'avvio dei negoziati politici sull'EDIS.
Il voto referendario del 23 giugno 2016 sulla permanenza britannica nell’Unione europea ha segnato la fine del secondo mandato di David Cameron. I risultati del referendum hanno visto la vittoria del Leave (con il 51,9% dei voti) contro il Remain (con il 48,1% dei voti), con un'affluenza alle urne del 71,8% dell’elettorato (oltre 30 milioni di persone).
Il Paese è risultato molto diviso. A favore del Remain sono stati la Scozia (62%), Londra (59,9%), l’Irlanda del Nord (55,8%) ed il territorio d’Oltremare di Gibilterra (95,9%). Il voto è apparso anche molto diviso demograficamente, con i giovani tra i 18-24 e i 25-34 anni che hanno votato rispettivamente per il 73% ed il 62% per rimanere in Europa.
Il Governo ha notificato l’intenzione di uscire dalla UE ai sensi dell’art. 50 del TUE il 29 marzo 2017, sottolineando al contempo l’intenzione di raggiungere una “cooperazione profonda, ampia e dinamica” sia su questioni economiche, sia di sicurezza nel contesto del negoziato di uscita dall’UE.
Con l’avvicinarsi della data di recesso del Regno Unito dall’UE (il 29 marzo 2019) sono emersi forti elementi di contrasto tanto all'interno del Partito di governo (con una contrapposizione progressivamente sempre più netta tra soft e hard-brexiters) quanto tra governo Tory e opposizione laburista. Contrasti che, dopo il tentativo di "sintesi" rappresentato dal Libro bianco del Governo, pubblicato a luglio e oggetto di diversi rilievi fortemente critici della controparte europea, hanno condotto, nell'imminenza del Consiglio europeo del 18 e 19 ottobre, a un sostanziale stallo del processo negoziale.
L’Unione europea ha sinora invece dimostrato unità e compattezza, garantite da un articolato lavoro a 27 scandito da una serie puntuale di pronunciamenti unanimi da parte del Consiglio europeo.
Nel corso della difficile trattativa, molte parti del testo dell'accordo di recesso erano state concordate (circa il 90% delle questioni) dai negoziatori del Regno Unito e dell'UE, ma sulla base del principio secondo cui "non ci sarebbe stato accordo su nulla finché non si fosse registrato l’accordo su tutto".
I temi sui quali fino all'ultimo si è stentato a trovare una sintesi sono stati la governance dell'accordo di recesso (articolo 4), ma soprattutto il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord all'indomani dell'uscita del Regno Unito dall'UE (Protocollo sull'Irlanda e l'Irlanda del Nord).
L'accordo fra i negoziatori sulla Brexit è stato raggiunto in extremis in sede tecnica il 13 novembre, giusto in tempo per la scadenza del primo dicembre ventilata dall'UE, e appare nel complesso più vicino alle aspettative di Bruxelles che a quelle di Londra. L'alternativa sarebbe stata un mancato accordo (un 'no deal'), cioè un divorzio traumatico con l'UE che non avrebbe garantito un’uscita ordinata del Regno Unito dall’UE, con svantaggi per ambo le parti.
La premier britannica Theresa May, dopo una trattativa serrata con l’UE e nella necessità di fronteggiare un dissenso interno crescente, ha accettato quello che definisce "il miglior accordo possibile, nell'interesse del paese". Il 14 novembre, dopo avere incontrato separatamente i membri del suo esecutivo ostili alla prospettiva dell’accordo, ha riunito nel pomeriggio il Gabinetto e dopo una lunga riunione ne ha ottenuto il via libera. L’accordo, che è stato preferito in extremis a un no deal, di fatto rimanda ancora la Brexit effettiva.
L’UE, nelle parole del capo negoziatore Michel Barnier, ha espresso apprezzamento per l’accordo, definito un "progresso decisivo per un ritiro ordinato", e anche "la condizione per avere la fiducia di cui abbiamo bisogno per negoziare con Londra una nuova partnership". Un Consiglio europeo in sessione straordinaria sarà convocato probabilmente il 25 novembre prossimo, per l’approvazione dell’accordo anche sul versante UE.
Sul fronte interno al Regno Unito, si aprono due scenari:
1) il rischio politico, non ancora fugato, che la premier venga “sfiduciata” dal Partito Conservatore: è infatti delle ultime ore la notizia ufficiosa che gli oppositori all'ipotesi dell’accordo che militano nel Partito Conservatore avrebbero avviato una raccolta di firme al Comitato 1922, l'organismo Tory chiamato a indire nuove elezioni per la leadership del Partito.
2) la premier May dovrà presentare l’accordo al Parlamento - forse già il 15 novembre - per ottenerne un voto favorevole. Anche questo passaggio si presenta tutt’altro che agevole. Oltre agli oppositori interni al Partito Conservatore, non sarà scontato reperire consensi nel campo opposto, soprattutto fra i laburisti, dove vi sono frange ostili all’accordo per motivi politici (far cadere il governo May e andare ad elezioni anticipate) o per riproporre con forza l’idea di un nuovo referendum che ribalti la scelta del 2016 (i sondaggi danno in maggioranza e in crescita il Remain).
Sul punto più delicato (il confine irlandese), l’accordo prevede che per un periodo di transizione di 21 mesi (cioè fino al 31 dicembre 2020) tutta la Gran Bretagna continui a far parte dell'unione doganale europea, mentre l'Irlanda del Nord resterà anche nel mercato unico, con la conseguenza che vi saranno controlli a livello di confine marittimo fra Irlanda del Nord e il resto del territorio britannico.
La clausola di salvaguardia (cd. "backstop"), legalmente vincolante, proposta dall'UE prevede infatti il mantenimento dell'Irlanda del Nord nell'Unione doganale dell'UE, ma anche il suo pieno allineamento alla normativa del mercato interno relativa alle merci, finché non sia stata trovata una soluzione in grado di evitare controlli alla frontiera tra le due Irlande e l'innalzamento di un confine fisico.
La transizione dovrebbe dunque servire per dirimere in modo soddisfacente la questione del confine terrestre tra Irlanda del Nord e Irlanda, confine che nessuno vuole, né Bruxelles, né Londra, né gli Unionisti di Belfast (il partito DUP, il cui voto è indispensabile per assicurare la maggioranza parlamentare al Governo May). Gli Unionisti, in particolare, vedono a rischio gli accordi del Venerdì Santo siglati nel 1998, e hanno già manifestato il timore che l’eventualità di un confine rigido tra Belfast e Dublino possa riaccendere le tensioni del passato tra unionisti e cattolici.
A tali timori si è accompagnata - da parte tanto degli quanto degli hard-brexiters - una forte critica alla Premier May, accusata di aver compromesso, cedendo alle pressioni UE - l'unità del Regno Unito; va ricordato infatti come la soluzione che, sia pure in via transitoria, l'accordo recepisce fosse stata in una prima fase giudicata irricevibile dalla stessa May, in quanto lesiva dell'integrità costituzionale del Paese.
Su un versante opposto la Scozia, che aveva massicciamente votato contro la Brexit, potrebbe eccepire contro il vantaggio comparativo dell’Irlanda del Nord, che godrà di un regime speciale e resterà più ancorata all’Unione europea, aprendo la strada ad altrettante rivendicazioni nei confronti di Londra.
Al riguardo si segnala che una Corte scozzese ha sollevato in via pregiudiziale un quesito interpretativo dell'art. 50 del Trattato dinanzi alla Corte di Giustizia di Lussemburgo, alla quale ha chiesto se la notifica del recesso dall'UE sia un atto revocabile unilateralmente da parte dello stato membro che l'abbia effettuata e, in caso affermativo, a quali condizioni e con quali effetti per gli stati membri rimanenti. Accordata la procedura accelerata, l'udienza davanti alla Corte è stata fissata per il 27 novembre prossimo.
L'Italia ha partecipato al negoziato all'interno del fronte europeo, che ha manifestato coerenza e compattezza. Le questioni di maggiore rilevanza nazionale sono:
1) le garanzie per i diritti degli italiani residenti nel Regno Unito (circa 700.000 persone) e la semplicità nelle procedure burocratiche che a tal fine dovranno essere affrontate dai cittadini italiani (a tutela delle categorie più vulnerabili o meno colte, vi è interesse a che queste procedure siano accessibili e non siano esclusivamente digitalizzate);
2) la tutela delle indicazioni geografiche nell'agro-alimentare, visto che l'Italia è il paese con il più alto numero di indicazioni geografiche protette in ambito UE. Tutela che, nel testo dell'accordo, appare garantita per l'intero periodo di transizione, e potenzialmente anche nella prospettiva delle future relazioni commerciali;
3) il mantenimento di un forte rapporto con il Regno Unito sia in materia di sicurezza e difesa, sia in materia di sicurezza interna, contrasto al terrorismo, etc.;
4) un'uscita ordinata che non pregiudichi il livello dei rapporti commerciali e di business esistenti fra i due paesi.
Con specifico riferimento ai cittadini italiani (e comunitari), Londra si è impegnata a garantire tutti i diritti attuali agli europei che già risiedono nel Regno Unito.
Gli italiani che, a partire dal 30 marzo del 2019 (a Brexit avvenuta) vorranno garantirsi lo status di residenti e l'accesso a sanità pubblica e sicurezza sociale, dovranno chiedere un permesso di permanenza e dovranno avere vissuto nel Regno Unito per almeno cinque anni. La libera circolazione delle persone terminerà solo il 31 dicembre 2020, perché fra marzo 2019 e dicembre 2020 sarà in vigore l'accordo di transizione, in virtù del quale sarà ancora possibile stabilirsi e lavorare nel Regno Unito senza permessi particolari. Ci sarà tempo fino al giugno 2021 per presentare la domanda e chi non ha ancora raggiunto i 5 anni di residenza godrà comunque di un "presettled status", che diventerà settled status, cioé residenza definitiva, una volta maturati i cinque anni.
Va ricordato come il Regno Unito, a differenza dell'Italia, non abbia un sistema di registrazione dei cittadini europei residenti nel suo territorio (certificato di residenza) e abbia per questo motivo dovuto avviare una procedura specifica, già disciplinata in parte nell'Accordo di recesso.
Il quadro verrà e modificarsi a partire dal 2021, poiché uno dei pilastri della Brexit è proprio la fine della libertà di circolazione delle persone, che comporterà l'impossibilità di trasferirsi, vivere e lavorare nel Regno Unito senza un regolare permesso. La materia sarà quindi successivamente disciplinata.
Sul versante dell'UE, l'accordo di recesso dovrà essere adottato tanto dal Consiglio a 27 (senza Regno Unito), a maggioranza qualificata e senza necessità di ratifica da parte degli stati membri, quanto dal Parlamento europeo (dove invece la votazione coinvolgerà l'Assemblea nella sua interezza, europarlamentari britannici inclusi).
Nel Regno Unito, invece, sull'Accordo di recesso sarà chiamato a esprimersi con un voto il Parlamento di Westminster (la Camera dei Comuni).
Ove mai si dovesse arrivare al recesso senza l'approvazione del relativo Accordo, come evidenziato dalla Commissione nella sua comunicazione di luglio sul recesso, il Regno Unito sarà a tutti gli effetti un Paese terzo e il diritto dell'Unione cesserà di applicarsi nei suoi confronti e al suo interno; non vigerà alcun regime specifico per i cittadini dell'UE nel Regno Unito, e viceversa; alle frontiere del Regno Unito si applicheranno la normativa e le tariffe dell'UE, compresi i controlli e le verifiche del rispetto delle norme doganali, sanitarie e fitosanitarie, e la verifica di conformità alle norme dell'UE (con pesanti conseguenze, tra l'altro, sui trasporti tra Regno Unito e UE). In quanto Paese terzo a tutti gli effetti, le relazioni tra Regno Unito e UE saranno disciplinate dal diritto pubblico internazionale generale, comprese le norme dell'Organizzazione mondiale del commercio, con una conseguente, considerevole regressione rispetto all'attuale livello di integrazione dei mercati.
Sul piano politico, il dibattito interno al Regno Unito ha fatto da ultimo emergere l'ipotesi di una nuova consultazione referendaria per il caso che Westminster si pronunci contro l'accordo di recesso (o per il caso di mancato accordo). Tale ipotesi ha acquisito ulteriore rilievo a seguito di alcuni sondaggi che segnalano il rafforzamento del Remain, e della grande manifestazione a favore di un People's Vote tenutasi a Londra il 9 ottobre scorso.
Particolare peso in tale ambito ha esercitato la posizione assunta dal Partito laburista, che in una mozione approvata durante il suo Congresso, il 25 settembre, ha dichiarato che, nel caso il Governo non raggiunga un accordo con l'UE o l'accordo stesso venga respinto dal Parlamento, e non vi sia la possibilità di nuove elezioni politiche, si impegnerà a valutare un ampio spettro di opzioni, inclusa quella di un secondo referendum sul recesso dall'Unione.
Il dibattito politico verte anche su quello che dovrebbe essere l'oggetto del quesito referendario. Secondo alcuni si potrebbe sottoporre al voto popolare la "Brexit con accordo di recesso", così potenzialmente ribaltando il voto del Parlamento inglese. Secondo altri, si dovrebbe sottoporre al voto popolare la "Brexit secca", senza accordo di recesso. Una terza ipotesi a contendersi il campo è un voto referendario avente per oggetto il "Remain".
Per quanto riguarda invece le Relazioni future tra l'UE e il Regno Unito sarà possibile negoziare un accordo in tal senso solo quando quest'ultimo sarà diventato un Paese terzo. Tuttavia, un'intesa globale sul quadro delle future relazioni è già stata tracciata nella bozza di Dichiarazione politica che dovrebbe accompagnare l'accordo di recesso, e che ipotizza - per quanto concerne la partnership economica, la creazione di un'area di libero scambio accompagnata da una cooperazione approfondita nei settori regolamentare e doganale, sostenuta da un ampio ventaglio di disposizioni che garantiscano una open and fair competition.
Le politiche per il clima costituiscono una delle principali priorità dell'Unione europea, per questa ragione l'UE sta compiendo passi considerevoli per ridurre significativamente le sue emissioni di gas serra ed è impegnata negli sforzi internazionali di protezione del clima. Grande importanza viene attribuita all'uso efficiente delle risorse, a programmi per una crescita ecologicamente compatibile e sostenibile e all’implementazione di misure per garantire un ambiente privo di inquinamento.
Per quanto riguarda la politica energetica, la Commissione ha presentato nel novembre 2016 il pacchetto legislativo "Energia pulita per tutti gli europei", comprendente diverse misure, alcune delle quali hanno già terminato il loro iter presso le istituzioni europee. Nel giugno 2018, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno raggiunto un accordo sulla prima parte del pacchetto legislativo: una direttiva sulle energie rinnovabili (COM(2016)767), una direttiva sull'efficienza energetica (COM(2016)761), e un regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia (COM(2016)759), che il Parlamento europeo ha approvato in seduta plenaria il 13 novembre 2018. Un’ulteriore direttiva sulla prestazione energetica nell'edilizia, volta a contribuire agli obiettivi di efficienza energetica negli edifici è stata approvata, in via definitiva, dal Consiglio il 14 maggio 2018 (direttiva (UE) 2018/844).
Il progetto si prefigge di offrire un quadro giuridico efficace per conseguire una migliore efficienza energetica, potenziare l’utilizzo di risorse rinnovabili, gestire il mercato dell'elettricità, assicurare la fornitura di elettricità e dare forma ad un’Unione dell'energia.
L'UE ha fissato obiettivi a breve termine per il 2020, obiettivi a medio termine per il 2030 e obiettivi a lungo termine per il 2050. Gli obiettivi chiave per il 2020 sono: ridurre (rispetto ai livelli del 1990) le emissioni di gas serra del 20%; attingere almeno per il 20% del consumo totale di energia a fonti energetiche rinnovabili; aumentare l'efficienza energetica del 20%.
Sono stati invece rivisti, prevedendo tassi di riduzione più elevati, i principali obiettivi da raggiungere entro il 2030: ridurre le emissioni di gas serra almeno del 45% rispetto ai livelli del 1990; attingere almeno per il 32% del consumo totale di energia da fonti rinnovabili; aumentare l'efficienza energetica di almeno il 32,5%.
A lungo termine, l'UE si è prefissata l'obiettivo di ridurre (rispetto ai livelli del 1990) le proprie emissioni dell'80-95% entro il 2050. Nel progetto delle istituzioni europee, il passaggio ad un'economia ad alta efficienza energetica e a basse emissioni di carbonio potrà stimolare l'economia, creare posti di lavoro e rafforzare la competitività dell'Europa.
Alle politiche degli Stati membri viene chiesto di promuovere fonti di energia da fonti rinnovabili come l'energia eolica, solare e biomassa, ridurre il consumo energetico degli edifici pubblici e migliorare l’efficienza energetica del settore industriale così come di macchinari ed elettrodomestici. I produttori di veicoli devono ridurre le emissioni di CO2 delle auto nuove e dei veicoli commerciali leggeri.
L’Accordo di Parigi sul clima (COP21), entrato in vigore il 4 novembre 2016 e ratificato da 175 parti della conferenza su 197, prevede di stabilizzare l'aumento della temperatura al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali, con l'intento di contenerlo ulteriormente entro 1,5°C. Si è convenuto, inoltre, di rendere disponibili ogni anno, a partire dal 2020, 100 miliardi di dollari in prestiti e donazioni per sostenere i Paesi in via di sviluppo nelle azioni per il clima. Obiettivo ulteriore è il rafforzamento delle capacità di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, promuovendo la resilienza del clima e riducendo le emissioni di gas serra, con particolare attenzione ad evitare una minaccia per le produzioni alimentari.
L’Unione europea ha ratificato l’accordo di Parigi sul clima (COP21) il 5 ottobre 2016. Parallelamente, l’accordo è stato ratificato anche da tutti gli Stati membri dell’UE. In particolare, l’Italia l’ha ratificato con la legge 4 novembre 2016, n. 204.
Gli impegni sono stati ribaditi dalla COP 22 di Marrakech nel 2016 e dalla COP23 di Bonn nel 2017, in cui gli Stati hanno concordato l'elaborazione del dialogo di facilitazione del 2018 (il cosiddetto dialogo di Talanoa), che prevede una valutazione dei progressi collettivi compiuti in occasione della COP 24, che si terrà dal 3 al 14 dicembre 2018 a Katowice (Polonia). La COP 24 avrà un'importanza fondamentale ai fini dell’attuazione dell’Accordo, in quanto gli Stati saranno chiamati a rivedere le proprie nationally determined contributions (NDCs) per il raggiungimento degli obiettivi al 2020. Secondo le Nazioni Unite, gli impegni attuali degli Stati coprono appena un terzo della riduzione necessaria di gas serra e nel 2017 le emissioni di CO2 hanno ripreso ad aumentare dopo tre anni di relativa stabilità.
Il 13 ottobre 2017 il Consiglio Ambiente dell’UE, in reazione al ritiro degli Stati Uniti dall'accordo di Parigi, ne ha sottolineato l’irreversibilità e ha ribadito l'impegno dell'Unione europea ad attuarlo pienamente, a potenziare i suoi attuali partenariati e a cercare nuove alleanze con i partner internazionali, candidandosi a svolgere un ruolo di leader a livello mondiale nella transizione verso l'energia pulita e nella lotta ai cambiamenti climatici, come era già avvenuto in sede di Protocollo di Kyoto. L'UE concorre alle emissioni globali di gas serra solo per il 9%, a fronte del 30% della Cina e del 15% degli Stati Uniti (Fonte United States Environmental Protection Agency).
Secondo alcuni dati diffusi dalla Commissione europea, nel periodo 1990-2015, a fronte di un aumento cumulativo del 53% del PIL dell’Unione europea, le emissioni totali di gas ad effetto serra sono diminuite del 23%[10]. La quota di emissioni di CO2 è passata dal 19,7% nel 1990 al 9,6% nel 2015 (Germania 2,1%, Regno Unito 1.1%, Italia 1%, Francia 0,9%, Polonia 0,8%, Spagna 0,7%).
Nell’UE-28 il 45% del totale delle emissioni di gas serra provengono da grandi impianti industriali e centrali elettriche coperte dal sistema di scambio di quote di emissioni ETS, le cui emissioni tra il 2005 e il 2015 sono diminuite di circa il 24%, al di sopra dell’obiettivo 2020 di riduzione del 21%. La maggioranza dei Paesi membri (ad eccezione di Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Irlanda e Lussemburgo) è sulla buona strada per conseguire i propri obiettivi di riduzione entro il 2020.
Per quanto riguarda le emissioni nei settori non coperti dal sistema ETS (ovvero edilizia, trasporti, agricoltura e rifiuti) nel periodo 2005-2015 si è registrata una riduzione dell'11%, superando quindi l'obiettivo 2020 di una riduzione del 10%. Tuttavia, alcuni Stati membri sono ancora lontani dal raggiungimento dei loro obiettivi (Irlanda, Belgio, Germania, Austria, Malta e Lussemburgo).
In linea con la strategia Europa 2020, il 20% del bilancio pluriennale dell’UE per il 2014-2020 dovrebbe essere destinato all’obiettivo di trasformare l’Europa in un’economia a basse emissioni e resiliente al cambiamento climatico. Per raggiungere questo fine, gli obiettivi relativi al clima sono stati inclusi nelle politiche e nei programmi UE pertinenti, quali i fondi strutturali, la ricerca, l’agricoltura, le politiche marittime, la pesca e il programma LIFE sulla salvaguardia dell’ambiente.
Ai suddetti finanziamenti vanno aggiunte le spese pubbliche a livello nazionale, regionale e locale negli Stati membri dell’UE, gli investimenti del settore privato e i canali di finanziamento globali, come il Fondo verde per il clima, istituito nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi al cambiamento climatico e ad adottare misure di attenuazione.
Nel progetto di bilancio pluriennale dell’UE 2021-2027, la Commissione europea ha proposto - per rispettare l’accordo di Parigi e l’impegno a realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite - che il clima diventi una voce di spesa ancora più consistente in tutti i programmi dell’Unione, fissando al 25% il contributo della spesa UE agli obiettivi climatici.
La Banca europea degli investimenti (BEI) è oggi il più grande fondo internazionale sul clima con quasi 100 miliardi di euro impegnati, ed è il primo finanziatore mondiale nel settore delle energie da fonti rinnovabili, svolgendo un ruolo di primo piano sia nella mobilizzazione di risorse finanziarie sia nella promozione degli investimenti ecologici. L’azione a favore del clima costituisce una priorità per la BEI, che destina almeno il 25% dei propri prestiti annui a investimenti attinenti al clima (in ambiti quali l’energia solare ed eolica, i trasporti urbani sostenibili, la ricerca di tecnologie a bassa intensità di CO2, il rimboschimento e la protezione dalle alluvioni). I finanziamenti della BEI riguardano sia azioni di mitigazione (attraverso una riduzione delle emissioni di gas serra) degli effetti del cambiamento climatico sia di adattamento agli stessi. La BEI, inoltre, si colloca tra i maggiori emittenti di green bond (Climate Awareness Bond). Il volume dei prestiti concessi dalla Bei nel 2017 per contribuire a mitigare il cambiamento climatico, 19,4 miliardi di euro, ha costituito il 28% del totale dei prestiti concessi dalla banca nel 2017. A sostegno dell’accordo di Parigi, infine, la BEI si è impegnata ad aumentare la quota dei prestiti per l'azione nei Paesi in via di sviluppo dal 25 al 35% del totale entro il 2020.
Di seguito, un breve elenco di alcuni dei principali fondi e programmi dell’UE per le politiche in materia di clima.
Programma LIFE relativo all'azione per il clima: avviato nel 1992, il programma LIFE ha finanziato oltre 4.500 progetti, elargendo 5,9 miliardi di euro per la tutela dell'ambiente e l'azione per il clima. L'attuale programma LIFE 2014-2020 ha un bilancio di 3,5 miliardi di euro. Per il periodo 2021-2027 la Commissione europea ha proposto di incrementare la dotazione finanziaria del programma a 5,45 miliardi di euro (+60%). Secondo la Commissione europea, il nuovo programma LIFE 2021-2027 dovrebbe in particolare: stimolare gli investimenti e sostenere le attività finalizzate all'efficienza energetica, in particolare nelle regioni europee che sono in ritardo nella transizione verso l'energia pulita; sostenere sia i progetti volti a promuovere le migliori prassi di tutela della natura e della biodiversità sia la nuova tipologia specifica dei “progetti strategici di tutela della natura” che, in tutti gli Stati membri, concorreranno a integrare gli obiettivi in materia di natura e biodiversità in altre politiche e programmi di finanziamento, quali l'agricoltura e lo sviluppo rurale, per migliorare la coerenza d'impostazione trasversalmente ai settori; continuare a sostenere importanti obiettivi politici dell'UE, quali la transizione a un'economia circolare, la preservazione e il miglioramento della qualità dell'aria e dell'acqua nell'UE, l'attuazione del quadro 2030 per il clima e l'energia e l'assolvimento degli impegni assunti con l'accordo di Parigi sui cambiamenti climatici.
Fondi strutturali e d’investimento europei: nel periodo 2014-2020 oltre 114 miliardi di euro, pari al 25% circa dei fondi totali, dovrebbero contribuire al conseguimento degli obiettivi delle azioni in materia di clima. Inoltre, le proposte recentemente presentate dalla Commissione europea per la politica di coesione 2021-2027 hanno anche l’obiettivo di favorire lo sviluppo sostenibile attraverso investimenti nell’adattamento ai cambiamenti climatici, nella prevenzione dei rischi, in misure di tutela ambientale e nelle infrastrutture. Lo sviluppo sostenibile, inoltre, dovrebbe diventare un principio sancito nei regolamenti istitutivi dei fondi e, in quanto tale, essere promosso in tutte le fasi preparatorie e attuative.
Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS): il FEIS mobilita finanziamenti nei settori prioritari dell'energia e dell'ambiente e dell'uso efficiente delle risorse (circa il 24% degli attuali investimenti). La recente proroga del FEIS al 2020 ha previsto di assicurare che almeno il 40% dei finanziamenti del FEIS contribuiscano alle azioni contro il cambiamento climatico. Inoltre, InvestEU, il nuovo strumento d’investimento dell’Unione che secondo la Commissione europea dovrebbe sostituire il FEIS nel periodo 2021-2027, dovrebbe includere una verifica della sostenibilità degli investimenti e aiutare a orientare i flussi di capitali verso investimenti sostenibili.
Horizon 2020, il programma dell’UE per la ricerca e l’innovazione: far fronte ai cambiamenti climatici è una priorità trasversale di Horizon 2020 e rappresenta il 35% del bilancio totale del programma. Nei primi tre anni di Horizon 2020, circa 4 miliardi di euro sono stati impegnati in sfide sociali quali i cambiamenti climatici, i processi industriali e l'energia a bassa emissione di CO2, i trasporti puliti e una bioeconomia sostenibile. Una nuova area di interesse dell'UE, "Costruire un futuro a bassa emissione di carbonio e resiliente ai cambiamenti climatici", sosterrà in maniera specifica l'attuazione dell'accordo di Parigi con un bilancio di circa 3 miliardi di euro per il periodo 2018-2020. Inoltre, il programma Orizzonte Europa, che nelle intenzioni della Commissione europea dovrebbe sostituire Horizon 2020 per il periodo 2021-2027, dovrebbe avere, tra l’altro, la funzione di sostenere politiche europee quali la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, la tutela dell’ambiente e le azioni sul fronte del clima. In particolare, nel secondo pilastro del programma, “Sfide globali e competitività industriale”, è prevista la costituzione di un polo tematico “Clima, energia e mobilità” con una dotazione di 15 miliardi di euro.
Politica agricola comune (PAC), che copre il Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR): la PAC prevede che gli agricoltori ricevano pagamenti diretti al fine di rispettare determinate pratiche agricole che risultano vantaggiose per il clima e per l'ambiente. Gli agricoltori devono, inoltre, osservare una serie di obblighi di legge concernenti i cambiamenti climatici e l'ambiente. Inoltre, la politica di sviluppo rurale della PAC si propone, ad esempio, di ridurre le emissioni sostenendo l'ammodernamento delle aziende agricole al fine di ridurre il consumo di energia, produrre energie rinnovabili, migliorare la gestione degli allevamenti e del suolo e accrescere l'efficienza produttiva. Un contributo alla riduzione delle emissioni viene, altresì, dal sostegno all'imboschimento, dalla protezione delle foreste e dalla gestione sostenibile delle foreste. Inoltre, l'adozione di strategie innovative è stimolata dai programmi di sviluppo rurale, che contribuiscono a ridurre le emissioni e ad aumentare la capacità di catturare carbonio e materia organica nei suoli agricoli. La Commissione europea ha, altresì, presentato recentemente la sua proposta per la PAC 2021-2027. Nelle intenzioni della Commissione europea, la nuova PAC richiederà agli agricoltori di conseguire obiettivi più ambiziosi in materia di ambiente e clima grazie a misure obbligatorie e basate su incentivi: i pagamenti diretti saranno subordinati a requisiti ambientali e climatici più rigorosi; ciascuno Stato membro dovrà offrire regimi ecologici che aiuteranno gli agricoltori ad andare oltre i requisiti obbligatori e che saranno finanziati con una quota delle dotazioni nazionali per i pagamenti diretti; almeno il 30% di ciascuna dotazione nazionale per lo sviluppo rurale sarà dedicata alle misure ambientali e climatiche; il 40% del bilancio complessivo della PAC dovrebbe contribuire all'azione per il clima; oltre alla possibilità di trasferire il 15% delle dotazioni tra i pilastri, gli Stati membri avranno anche la possibilità di trasferire un ulteriore 15% dal pilastro 1 al pilastro 2 per le spese relative alle misure climatiche e ambientali (senza cofinanziamento nazionale).
In relazione al conseguimento degli obiettivi in materia di decarbonizzazione, si segnalano i seguenti atti di recente approvazione:
· la direttiva (UE) 2018/410 approvata in via definitiva dal Consiglio il 27 febbraio 2018, concernente la modifica della disciplina per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra (ETS), che prevede un tetto massimo alle emissioni per i settori europei più inquinanti (primi tra tutti l’industria pesante) durante periodi di tempo predefiniti. Nell’ambito del tetto massimo, viene distribuita ai principali emettitori una certa quantità di permessi di emissione, ognuno corrispondente ad una tonnellata di CO2 equivalente, a titolo gratuito o tramite aste, che possono poi essere scambiati tra gli emettitori. La direttiva traduce l'obiettivo di riduzione dei gas a effetto serra per settore del 43% entro il 2030, prevedendo che il quantitativo totale delle quote consentite (tetto massimo) diminuisca nella misura annuale del 2,2% a partire dal 2021 (a fronte dell'attuale calo annuo dell'1,74%);
· il regolamento (UE) 2018/842, approvato in via definitiva dal Consiglio il 14 maggio 2018, relativo alle riduzioni annuali delle emissioni di gas a effetto serra per i settori non coperti dall'ETS (agricoltura, trasporti, edilizia e gestione dei rifiuti), i cosiddetti settori ESD (Effort sharing decision). Gli obiettivi nazionali sono fissati in coerenza con l'obiettivo di riduzione del 30% rispetto al 2005 delle emissioni in tali settori entro il 2030. Tutti gli Stati membri dovranno contribuire alla riduzione globale delle emissioni a livello UE con obiettivi compresi tra lo 0% e il 40% rispetto ai livelli del 2005 (per l'Italia l'obiettivo è di -33%);
· il regolamento (UE) 2018/841, approvato, in via definitiva dal Consiglio il 14 maggio 2018, relativo all'inclusione delle emissioni e degli assorbimenti di gas a effetto serra risultanti dall'uso del suolo, dal cambiamento di uso del suolo e dalla silvicoltura (LULUCF), nel conseguimento dell'obiettivo nazionale di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra per il 2030.
La strategia dell'Unione dell'energia si articola nelle seguenti dimensioni, strettamente interconnesse:
· decarbonizzazione;
· efficienza energetica;
· sicurezza energetica e solidarietà.
Il 25 febbraio 2015 la Commissione europea ha presentato la Strategia dell'Unione dell'energia (COM(2015)80), che persegue lo scopo di integrare la politica energetica e la politica climatica dell'Unione per il raggiungimento di obiettivi successivi al 2020.
L'Unione europea nel suo insieme ha continuato a compiere buoni progressi in termini di riduzioni del consumo di energia ed è sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi al 2020 in materia di efficienza energetica. Una maggiore efficienza energetica non solo riduce le emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera, ma diminuisce anche i costi dell'importazione di energie nell'UE.
Il consumo di energia finale nell'Unione europea è sceso dell'11% dal 2005 al 2015. In termini assoluti, dal 2005 il consumo di energia finale è diminuito in tutti gli Stati membri, fatta eccezione per Lituania, Malta e Polonia. L'Italia, già nel 2014, ha raggiunto il suo obiettivo indicativo per il 2020 (124 Mtoe) con un consumo di energia finale di 113,35 Mtoe. Tuttavia, dagli ultimi dati della Commissione europea, riferiti al 2015, risulta per l'Italia un tendenziale aumento nel consumo di energia finale (+3%), il che comporta l'esigenza di ulteriori sforzi per mantenere i livelli sotto controllo fino al 2020.
Inoltre, per quanto riguarda l'Italia, si evidenzia che l'intensità energetica, ossia il rapporto tra la quantità di energia consumata e il PIL, è notevolmente inferiore alla media dell'UE. In particolare, nel 2016, a fronte di un incremento del PIL pari allo 0,9%, il fabbisogno energetico nazionale si è contratto dello 0,5%, determinando una flessione dell'intensità energetica dell'1,3% (Fonte: ISTAT, Ministero dello sviluppo economico).
In tale ambito, si segnalano in particolare i seguenti atti:
· una proposta di direttiva sull'efficienza energetica (COM(2016)761), che modifica la vigente direttiva sull'efficienza energetica (2012/27/UE) per aggiornarla all'orizzonte temporale 2030, fissando un obiettivo del 30% di efficienza energetica per l'Unione europea nel suo complesso (il Parlamento europeo vorrebbe che l'obiettivo fosse portato al 35%).
Nel corso dei triloghi, a giugno 2018, è stato raggiunto un accordo che fissa l'obiettivo globale di efficienza energetica per l'UE al 32,5% entro il 2030, con una clausola di revisione al rialzo entro il 2023. Il testo è stato approvato il 13 novembre 2018 dal Parlamento europeo in seduta plenaria;
· la direttiva (UE) 2018/844, approvata in via definitiva dal Consiglio il 14 maggio 2018, sulla prestazione energetica nell'edilizia, che intende contribuire al perseguimento dell'obiettivo di efficienza energetica attraverso l'accelerazione della ristrutturazione economicamente efficiente degli edifici.
La quota di consumo delle energie rinnovabili nell'UE è passata dall'8,5% nel 2004 al 17% nel 2016. L'incremento ha riguardato tutti gli Stati membri, ma con vistose differenze. Tra i 28 Stati membri dell'Unione europea, 11 hanno già raggiunto il loro obiettivo nazionale per il 2020, tra cui l'Italia (17,4% rispetto all'obiettivo del 17%), mentre altri Stati, tra cui Germania (14,8% rispetto al 18%), Francia (16% rispetto al 23%), Regno Unito (9,3% su 15%) e Polonia (11,3% rispetto a 15%) sono ancora lontani dai loro obiettivi.
In tale ambito, la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili (COM(2016)767), volta a garantire il conseguimento dell'obiettivo UE del 27% del consumo di energia da fonti rinnovabili (RES) entro il 2030 (il Parlamento europeo vorrebbe che l'obiettivo fosse portato al 35%). A differenza dell'attuale quadro al 2020, la proposta di direttiva non prevede l'introduzione di target nazionali vincolanti, ma fissa un obiettivo collettivo a livello di Unione, stabilendo misure vincolanti per settore (energia elettrica, riscaldamento-raffrescamento e trasporti).
Il 27 giugno 2018 il Consiglio ha approvato l'accordo provvisorio raggiunto durante i triloghi che fissa un obiettivo del 32% di energia da fonti rinnovabili a livello dell'UE per il 2030. La proposta è stata approvata dal Parlamento europeo il 13 novembre 2018 in seduta plenaria.
Componente essenziale dell'approvvigionamento energetico dell'Unione è il gas naturale, che rappresenta un quarto della fornitura di energia primaria ed è utilizzato per la produzione di energia elettrica, per il riscaldamento, come materia prima per l'industria e come carburante nei trasporti. Negli ultimi dieci anni, a fronte di un calo nella produzione interna di gas si è registrato un aumento delle importazioni, per soddisfare una domanda di circa 400 miliardi di metri cubi. Secondo i dati Eurostat, nel 2015 l'UE ha importato il 69,1% del gas, di cui quasi due terzi provenienti da Russia (29,9%), Norvegia (25,4%) e Algeria (8,8%). L'Italia è il terzo mercato europeo per consumo di gas naturale (circa 71 miliardi di metri cubi nel 2016), con una dipendenza dall'import superiore alla media europea (92% circa, rispetto ad una media comunitaria del 70%). La Russia fornisce circa il 41,3% delle importazioni.
In materia, è stato approvato nell’ottobre 2017 definitivamente il regolamento (UE) 2017/1938, concernente misure volte a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di gas per far fronte ad un'eventuale carenza (shortage) di gas causata da interruzioni nelle forniture o da una domanda straordinariamente elevata. Per assicurare che il mercato interno del gas funzioni adeguatamente anche in caso di carenza delle forniture, secondo la Commissione europea, è necessario garantire solidarietà e coordinamento nella risposta alle crisi degli approvvigionamenti, sia in termini di prevenzione che di reazione alle interruzioni concrete delle forniture. In tale ottica, il regolamento rafforza la cooperazione regionale tra Stati membri, proponendo una stretta cooperazione nell'elaborazione delle valutazioni regionali dei rischi, che saranno poi affrontati in piani d'azione preventivi e in piani d'emergenza, soggetti a valutazione tra pari e approvati dalla Commissione.
Il mix elettrico europeo è composto per quasi la metà (34%) da carbone e gas naturale, mentre l'energia nucleare, con una quota del 26%, è quasi il doppio rispetto al livello globale. Le energie rinnovabili - eolico, solare e biomassa - negli ultimi anni hanno registrato un progresso notevole e attualmente coprono circa il 17% dei consumi a livello europeo. Anche l'idroelettrico contribuisce in misura importante alla produzione di energia elettrica, anche se la sua quota sul totale delle energie rinnovabili è passata dal 94% al 37% dal 1990 al 2015, soprattutto per effetto della rapida espansione dell'eolico.
La Commissione europea ha presentato il 30 novembre 2016 una proposta di regolamento (COM(2016)862) che ha l'obiettivo di garantire che tutti gli Stati membri adottino adeguati strumenti di prevenzione, preparazione e gestione di situazioni di crisi dell'energia elettrica, dovute, ad esempio, a condizioni climatiche estreme, penuria di combustibile, attacchi dolosi, anche informatici. A tal fine, la proposta prevede norme sulla cooperazione tra gli Stati membri improntate ai principi di solidarietà, trasparenza e libera concorrenza nel mercato interno dell'energia elettrica.
La Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento (COM(2016)759) sulla governance dell'Unione dell'energia volta a garantire il raggiungimento degli obiettivi energetici e climatici dell'UE per il 2030.
Il 29 giugno 2018 il Consiglio ha confermato l'accordo provvisorio, raggiunto durante i triloghi il 19-20 giugno, relativo alla proposta di regolamento in questione, che è stata approvata dal Parlamento europeo in seduta plenaria il 13 novembre 2018.
La proposta definisce come gli Stati membri collaboreranno sia fra di loro che con la Commissione europea per raggiungere gli obiettivi dell'UE in materia di energia pulita, inclusi quelli relativi alle energie rinnovabili e all'efficienza energetica, nonché gli obiettivi di lungo termine dell'UE in materia di emissioni di gas a effetto serra. Istituisce, inoltre, meccanismi di controllo che contribuiranno a garantire che gli obiettivi siano raggiunti e che l'insieme delle azioni proposte costituisca un approccio coerente e coordinato. Inoltre, la proposta prevede la presentazione di relazioni nel quadro dell'UNFCCC e dell'accordo di Parigi.
I piani nazionali per l'energia e il clima includeranno obiettivi, contributi, politiche e misure a livello nazionale per ognuna delle cinque dimensioni dell'Unione dell'energia: decarbonizzazione, efficienza energetica, sicurezza energetica, mercato interno dell'energia, nonché ricerca, innovazione e competitività.
Gli altri elementi fondamentali del regolamento sulla governance sono i seguenti:
· tempistiche per i piani nazionali per l'energia e il clima: i colegislatori hanno convenuto che gli Stati membri dovranno presentare alla Commissione europea i rispettivi progetti di piani entro il 31 dicembre 2018 e che la Commissione europea pubblicherà le sue raccomandazioni al più tardi il 30 giugno 2019. La scadenza per la presentazione dei piani definitivi per l'energia e il clima è il 31 dicembre 2019;
· relazioni intermedie: la prima relazione intermedia biennale sull'attuazione dei piani nazionali per l'energia e il clima è prevista per il 15 marzo 2023;
· traiettorie per l'energia rinnovabile e l'efficienza energetica: al fine di raggiungere il suo obiettivo complessivo del 32% di energia rinnovabile entro il 2030, l'UE deve raggiungere il 18% dell'obiettivo entro il 2022, il 43% entro il 2025 e il 65% entro il 2027. È stato anche convenuto di fissare tre anni di riferimento per l'efficienza energetica (2022, 2025 e 2027);
· "meccanismo destinato a colmare i divari": i colegislatori hanno approvato il principio alla base dell'attivazione del meccanismo destinato a colmare i divari per le energie rinnovabili: se vi è un divario al livello dell'UE, gli Stati membri che sono al di sotto dei loro punti di riferimento dovranno colmarlo attuando misure a livello nazionale. È previsto anche l'obbligo di colmare eventuali divari rispetto alla quota di riferimento per il 2020 per le energie rinnovabili, se dovesse presentarsi entro un anno. Per quanto concerne l'efficienza energetica, l'attenzione sarà posta sulle misure al livello dell'UE;
· strategie di lungo termine: i colegislatori hanno approvato un articolo dedicato alle strategie di lungo termine dell'UE e degli Stati membri, che definisce un calendario, con un allegato indicativo che sottolineerà la comparabilità delle rispettive strategie di lungo termine e migliorerà il legame tra le strategie di lungo termine a livello nazionale e a livello dell'UE.
Il Trattato sull’Unione europea (TUE) riconosce all’art. 1 l’obiettivo di creare “un’Unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini”.
Tale obiettivo è declinato dagli articoli 10 ed 11 del TUE i quali stabiliscono che:
· il funzionamento dell'Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa, i cittadini sono direttamente rappresentati, a livello dell'Unione, nel Parlamento europeo;
· ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell'Unione. Le decisioni sono prese nella maniera il più possibile aperta e vicina ai cittadini;
· i partiti politici a livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell'Unione;
· le istituzioni danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell’Unione;
· le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile (cfr. paragrafo sul registro sulla trasparenza);
· al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell’Unione, la Commissione europea procede ad ampie consultazioni delle parti interessate;
· i cittadini dell’Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l’iniziativa d’invitare la Commissione europea, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione dei Trattati (cfr. infra paragrafo sul diritto di iniziativa dei cittadini).
Ai sensi dell’articolo 227 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) qualsiasi cittadino dell’Unione, nonché ogni persona fisica o giuridica che risieda in uno Stato membro ha il diritto di presentare, individualmente o in associazione con altri cittadini o persone, una petizione al Parlamento europeo.
L’articolo 15 del TFUE prevede il diritto per i cittadini dell’UE o i residenti dell’UE di avere accesso ai documenti delle istituzioni dell’UE.
In particolare, il regolamento prevede che 1 milione di cittadini di almeno un quarto degli Stati membri dell'UE (attualmente almeno 7 Stati membri) - secondo una soglia minima fissa stabilita per ciascun Stato membro, pari al numero dei parlamentari europei per quella nazione moltiplicato per 750 (per l’Italia occorrono 54.750 sottoscrizioni) – possa invitare la Commissione europea a proporre atti giuridici.
Gli organizzatori di un'iniziativa, dopo aver costituito un comitato composto da almeno 7 cittadini dell'UE residenti in almeno 7 diversi Stati membri, hanno 1 anno per raccogliere le dichiarazioni di sostegno necessarie. Il numero delle dichiarazioni di sostegno deve essere certificato dalle autorità competenti degli Stati membri.
Possono sostenere l’iniziativa tutti i cittadini dell'UE (cittadini di uno Stato membro) che hanno raggiunto l'età alla quale si acquisisce il diritto di voto per le elezioni al Parlamento europeo (18 anni in ogni paese, salvo l'Austria, dove ne bastano 16).
Il regolamento (UE) n. 211/2011 è attualmente in corso di revisione, sulla base di una proposta della Commissione europea, al fine di facilitare il ricorso all’ICE da parte dei cittadini europei.
Attualmente sono in corso negoziati con il Parlamento europeo nell’ambito della procedura di trilogo, con l’obiettivo di raggiungere un accordo in prima lettura entro dicembre e dell’entrata in vigore del regolamento riformato il 1° gennaio del 2019.
La proposta della Commissione europea è volta, in particolare, a:
· migliorare la procedura di registrazione, compresa la possibilità di registrazione parziale delle iniziative;
· istituire di un servizio di helpdesk presso la Commissione e di una piattaforma collaborativa online per l’ICE quale spazio di discussione e di consulenza e sostegno agli organizzatori;
· attivare un sistema centrale di raccolta elettronica gestito dalla Commissione entro il 1° gennaio 2020;
· semplificare i requisiti in materia di dati per i firmatari;
· introdurre l’età minima di 16 anni per i firmatari (tale proposta ha incontrato l’opposizione di un ampio numero di delegazioni in sede di Consiglio dell’UE; si sarebbero espresse a favore solo le delegazioni austriaca e maltese).
La Commissione europea ha presentato il 28 marzo 2018 la relazione sull’applicazione del regolamento (UE) n. 211/2011 (COM (2018) 157) riguardante l’iniziativa dei cittadini, istituto introdotto dal Trattato di Lisbona, per il periodo 2015-2018, in corso di esame presso la XIV Commissione Politiche dell’UE della Camera, che sta svolgendo in proposito un ciclo di audizioni.
Il 10 luglio 2018 la Task force sulla sussidiarietà e proporzionalità, istituita il 18 gennaio 2018, sulla base di una proposta del Presidente della Commissione europea, ha presentato al Presidente Juncker il proprio rapporto finale recante nove raccomandazioni, accompagnate da misure concrete di attuazione.
In relazione al mandato ricevuto, il rapporto finale della Task Force in sintesi:
· individua la necessità di migliorare l'applicazione dei principi di sussidiarietà: a) sviluppando, a Trattati vigenti, una metodologia di controllo comune e condivisa tra tutti gli attori coinvolti nel controllo di sussidiarietà (attraverso una griglia di valutazione allegata al rapporto); b) garantendo che il controllo di sussidiarietà sia esteso a tutte le fasi del procedimento legislativo europeo e non solo – come attualmente - alla sua sola fase iniziale. L'estensione da 8 a 12 settimane del termine a disposizione dei Parlamenti nazionali per trasmettere pareri motivati per la non corretta applicazione del principio di sussidiarietà è, invece, rinviato ad una futura eventuale revisione dei Trattati;
· non ha rilevato settori, aree, o politiche la cui competenza necessita di essere delegata nuovamente o ritornare in via definitiva agli Stati membri;
· ha indicato la necessità di un maggior coinvolgimento delle autorità regionali e locali nella definizione e nell'attuazione delle politiche dell'UE.
Al fine di dare attuazione alle raccomandazioni della Task force, la Commissione europea ha presentato il 23 ottobre 2018 la comunicazione intitolata “I principi di sussidiarietà e proporzionalità: rafforzare il ruolo nel processo di definizione delle politiche dell’UE” (COM(2018)703) nella quale ha annunciato le seguenti iniziative divise per aree di intervento:
· promuovere un’interpretazione comune della sussidiarietà e proporzionalità;
· integrare la griglia di valutazione della sussidiarietà e della proporzionalità proposta dalla Task force negli orientamenti per legiferare meglio e utilizzare la stessa per presentare le sue conclusioni nelle valutazioni d'impatto, nelle valutazioni e nelle valutazioni e relazioni;
· utilizzare la griglia come orientamento nelle comunicazioni con i parlamenti nazionali;
· sensibilizzare maggiormente il Parlamento europeo e il Consiglio, in ogni procedura legislativa, sulle reazioni degli enti locali e regionali alle sue proposte.
· consentire ai Parlamenti nazionali di esercitare un controllo più efficace;
· continuare a escludere il mese di agosto dal computo del periodo di 8 settimane di cui dispongono i Parlamenti nazionali per inviare i pareri motivati;
· valutare con il Parlamento europeo e il Consiglio la possibilità di escludere da tale computo anche il periodo di Natale/Capodanno, come ripetutamente chiesto dai parlamenti nazionali;
· dare maggiore visibilità alle osservazioni contenute nei pareri motivati dei parlamenti nazionali, fornendo, se del caso, risposte aggregate che vengano incontro alle riserve da loro sollevate, oltre a indicare nelle relazioni annuali in materia di sussidiarietà e proporzionalità le proposte che hanno sollevato il maggior numero di osservazioni.
· promuovere una maggiore partecipazione degli enti locali e regionali;
· modificare gli orientamenti per legiferare meglio allo scopo di sottolineare l'importanza di cogliere i punti di vista e l'esperienza degli enti locali e regionali;
· rivedere i questionari per le consultazioni pubbliche per includervi aspetti di interesse per gli enti locali e regionali e per le assemblee regionali.
· migliorare la valutazione di impatto delle proposte legislative e la sua presentazione;
· modificare gli orientamenti per legiferare meglio allo scopo di sottolineare l'importanza di individuare e valutare gli impatti territoriali;
· presentare in modo più chiaro le valutazioni sulla sussidiarietà, la proporzionalità e le informazioni sui soggetti interessati (chi e in che modo) nelle valutazioni d'impatto, valutazioni e relazioni.
· valutare la legislazione vigente dal punto di vista della sussidiarietà.
· assicurare che, nella valutazione della legislazione in vigore, sia tributata un'attenzione maggiore alla sussidiarietà, alla proporzionalità, alla densità legislativa e al ruolo degli enti locali e regionali;
· avviare le modifiche del campo di applicazione e della composizione della piattaforma REFIT[11] per ridefinirla e affrontare tali questioni in sede di valutazione del programma "Legiferare meglio";
· assicurare che i pertinenti atti delegati e di esecuzione siano presi sistematicamente in esame nell'ambito delle valutazioni.
Una ulteriore opportunità di discussione sul rafforzamento del ruolo dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità nella definizione delle politiche dell'UE è stata offerta dalla conferenza dal titolo "Sussidiarietà come principio basilare dell'Unione europea” che è stata organizzata dalla Presidenza austriaca il 15 e il 16 novembre 2018 a Bregenz.
Il Presidente della Commissione europea ha annunciato una serie di iniziative volte a garantire che le elezioni del Parlamento europeo previste nel maggio del 2019 (23-26 maggio 2019) si svolgano in modo libero, regolare e sicuro.
In particolare, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di proposte volte a garantire lo svolgimento corretto ed efficace delle prossime elezioni del Parlamento europeo ed in particolare:
· una raccomandazione della Commissione europea (C(2018)5949) relativa alle reti di cooperazione in materia elettorale, alla trasparenza online, alla protezione dagli incidenti di cibersicurezza e alla lotta contro le campagne di disinformazione;
Nella raccomandazione gli Stati membri sono invitati a:
· istituire reti nazionali di cooperazione in materia elettorale composte dalle pertinenti autorità - come le autorità competenti in materia elettorale e in materia di cibersicurezza, le autorità incaricate della protezione dei dati e le autorità di contrasto - e a designare punti di contatto che partecipino a un'analoga rete di cooperazione in materia elettorale di livello europeo.
Si ricorda che, nell’aprile del 2018, la Commissione ha pubblicato una comunicazione dal titolo “Contrastare la disinformazione online” nella quale ha stabilito i ruoli e le responsabilità delle parti interessate ed ha formulato una serie di azioni, compreso il rafforzamento delle comunicazioni strategiche della Commissione in risposta alla disinformazione (COM(2018)236) e nel giugno 2018 la Commissione e l’Alta rappresentante hanno presentato una comunicazione congiunta sul rafforzamento della resilienza e sul potenziamento delle capacità di affrontare minacce ibride nella quale si individuano i settori in cui devono essere adottate misure supplementari a livello europeo (JOIN(2018)16);
· promuovere una maggiore trasparenza nella propaganda politica online. In particolare, i partiti politici, le fondazioni politiche e gli organizzatori delle campagne europee e nazionali dovrebbero rendere disponibili le informazioni sulla spesa sostenuta per le campagne di propaganda online, rivelando quale partito o quale gruppo di supporto politico si trovi a monte della propaganda politica online e pubblicando informazioni sui criteri usati per la selezione dei cittadini destinatari di tali comunicazioni. Qualora tali principi non siano seguiti, gli Stati membri dovrebbero applicare sanzioni nazionali;
· adottare misure per proteggere le proprie reti e i propri sistemi informativi dalle minacce alla cibersicurezza;
· orientamenti sull'applicazione del diritto dell'Unione in materia di protezione dei dati volti a aiutare le autorità nazionali e i partiti politici europei e nazionali ad applicare gli obblighi in materia di protezione dei dati derivanti dal diritto dell'UE nel contesto elettorale (COM(2018)638);
In particolare, gli orientamenti sono volti a fornire chiarezza a tutti i soggetti coinvolti nei processi elettorali in merito all’applicazione delle norme previste dal regolamento (UE) n. 2016/679 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo alla protezione dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, entrato in vigore il 25 maggio 2018, in modo specifico relativamente al contesto elettorale.
· la proposta di modifica del regolamento del 2014 relativo al finanziamento dei partiti politici europei, volta a consentire di infliggere sanzioni pecuniarie (pari al 5 % del bilancio annuale del partito politico o fondazione politica europei interessati) per le violazioni delle norme in materia di protezione dei dati commesse allo scopo di influenzare deliberatamente l'esito delle elezioni europee (COM(2018)636);
· un piano d’azione, che dovrà essere presentato dalla Commissione e dall’Alta Rappresentante, entro dicembre 2018 con proposte specifiche per una risposta coordinata dell’UE alla sfida della disinformazione e ad ogni coinvolgimento straniero nelle elezioni nell’Unione europea.
Per processo degli Spitzenkandidaten si intende la prassi in base alla quale, in vista delle elezioni per il Parlamento europeo, ogni Partito politico europeo procede alla designazione del rispettivo candidato alla carica di Presidente della Commissione europea e il Parlamento europeo procede all’elezione alla carica di Presidente della Commissione del capolista del partito politico europeo che ha ottenuto la maggioranza dei seggi all’Europarlamento.
Tale prassi è stata usata la prima volta in occasione dell’elezione del Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, nel 2014.
In vista delle elezioni europee del maggio 2014 cinque partiti politici europei provvidero a designare il rispettivo candidato alla carica di Presidente della Commissione europea e il Parlamento europeo procedette, su proposta del Consiglio europeo, ad eleggere Jean-Claude Juncker - candidato del Partito popolare europeo, che aveva ottenuta più seggi al PE - alla carica di Presidente della Commissione europea.
La prassi dei Spitzenkandidaten non è prevista dal Trattato sull’Unione europea (TUE) che all’articolo 17, paragrafo 7, prevede che il Consiglio europeo, tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo consultazioni appropriate, proponga a maggioranza qualificata un candidato alla carica di Presidente della Commissione europea al Parlamento che lo elegge a maggioranza dei membri che lo compongono.
Durante la riunione informale del Consiglio europeo del 23 febbraio 2018, i leader dell'UE hanno dichiarato che, per le elezioni europee del 2019, non sarebbero stati vincolati dalla procedura Spitzenkididen nel momento di designare il loro candidato alla Presidenza della Commissione.
Il Parlamento europeo in una risoluzione approvata il 28 febbraio 2018 ha tuttavia sottolineato la sua determinazione a dare seguito al processo degli "Spitzenkandidaten" per l'elezione del prossimo Presidente della Commissione e ha ribadito che respingerà qualunque candidato nella procedura d'investitura del presidente della Commissione che non sia stato nominato come "Spitzenkandidat" nel periodo precedente alle elezioni del Parlamento europeo.
Si ricorda che le prossime elezioni del Parlamento europeo si svolgeranno il 23-26 maggio 2019 e che il mandato dell’attuale Commissione europea scade il 31 ottobre 2019.
La Commissione europea ha inaugurato a partire dal 2003 il sito La vostra voce in Europa con l’obiettivo di dare accesso a un’ampia gamma di consultazioni, dibattiti e altri strumenti che consentano ai cittadini ed alle parti sociali di partecipare attivamente al processo politico europeo.
Attraverso il sito i cittadini europei hanno la possibilità di:
· partecipare alle consultazioni avviate dalla Commissione europea;
· intervenire nelle discussioni dei blog dei Commissari europei;
· seguire le attività dell’UE attraverso i principali social media.
Alla data del 2 ottobre 2018 risultano essere state svolte 492 consultazioni (di cui ancora aperte 12) su diverse politiche e progetti di atti della Commissione europea.
Il regolamento (UE) n. 390/2014 del Consiglio, del 14 aprile 2014, ha istituito il programma “L’Europa per i cittadini” per il periodo 2014-2020, con una dotazione finanziaria di circa 185 milioni di euro per l’intero periodo.
Il programma ha i seguenti obiettivi:
· contribuire alla comprensione dell'Unione, della sua storia e diversità da parte dei cittadini;
· promuovere la cittadinanza europea e migliorare le condizioni per la partecipazione civica e democratica a livello di Unione.
Il regolamento (UE, Euratom) 1141/2014, del 22 ottobre 2014, relativo allo statuto ed al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee prevede, tra le altre, le seguenti disposizioni che si applicano a partire dal 1° gennaio 2017:
· prevede norme minime sull’organizzazione interna dei partiti politici europei tra le quali, in particolare, la definizione di criteri di selezione dei candidati agli organi direttivi e le modalità della loro nomina e della loro revoca dall'incarico;
· introduce forme di trasparenza e controllo più incisive sulle loro attività e su quelle delle fondazioni, prevedendo in particolare sanzioni per le violazioni dei valori dell’UE e delle disposizioni del regolamento;
· eleva il tetto delle donazioni individuali ai partiti politici a livello europeo a 18.000 euro su base annuale.
Il regolamento 1141/2014 è stato recentemente modificato dal regolamento 2018/673 del 3 maggio 2018 che in particolare ha previsto:
· requisiti più rigorosi per la formazione di un partito politico europeo: in futuro soltanto i partiti, e non più i singoli individui, potranno sponsorizzare la creazione di un partito politico. L'adesione a più di un partito politico europeo sarà proibita;
· una distribuzione più proporzionale dei finanziamenti: l'importo fisso che ogni partito percepisce dal bilancio dell'UE sarà ridotto dal 15% al 10%; rimane quindi una quota maggiore del bilancio (90%) che sarà assegnata in proporzione al numero di deputati del Parlamento europeo di ogni partito;
· un accesso più semplice ai fondi: il requisito di cofinanziamento scenderà dal 15% al 10% per i partiti politici europei e al 5% per le fondazioni politiche europee, facilitando il raggiungimento del livello di risorse proprie richiesto;
· un'applicazione più rigorosa: le nuove norme consentono in certi casi di recuperare i finanziamenti dalle persone fisiche responsabili di abusi dei fondi UE e la Procura europea potrà essere chiamata a indagare su presunti abusi. Anche la cancellazione dal registro dei partiti che hanno fornito informazioni false è semplificata;
· maggiore trasparenza: in futuro i partiti politici europei saranno in grado di ricevere finanziamenti soltanto se i loro partiti membri nell'UE pubblicheranno il logo e il programma del partito politico europeo sui loro siti web almeno 12 mesi prima della presentazione della domanda di finanziamento.
Si ricorda che ai sensi dell’articolo 20 del regolamento 1141/2014 i partiti politici europei e le fondazioni possono accettare donazioni fino a 18.000 euro l’anno per donatore e che sono tenuti a redigere un elenco di tutti i donatori e delle corrispondenti donazioni.
Da ultimo, la Commissione europea ha presentato il 12 settembre 2018 una proposta volta a modificare il regolamento 1141/2014 relativo allo statuto ed al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee per quanto riguarda una procedura di verifica relativa a violazioni delle regole di protezione dei dati personali nel contesto delle elezioni del Parlamento europeo (COM(2018)636).
La proposta prevede, in particolare, l’introduzione una procedura di verifica e sanzioni pecuniarie per le violazioni delle norme in materia di protezione dei dati personali commesse allo scopo di influenzare deliberatamente l'esito delle elezioni europee.
La Commissione europea ha presentato il 28 settembre 2016 una proposta di accordo interistituzionale tra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo in merito ad un registro per la trasparenza obbligatorio che contenga in un codice di condotta, le regole e i principi applicabili ai rappresentanti di interesse che agiscono nell’ambito delle istituzioni dell’UE.
La proposta, in corso di negoziazione, intende sostituire, aggiornandolo, il vigente accordo tra Commissione europea e Parlamento europeo in merito al registro sulla trasparenza del 2011 che è stato da ultimo aggiornato il 16 aprile 2014. L’accordo del 2014, a differenza della proposta in discussione, ha natura volontaria e non si applica al Consiglio dell’UE, che al momento, non prevede alcuna regolazione specifica che renda trasparenti i suoi contatti con i rappresentanti di interessi.
La proposta ha l’obiettivo di subordinare certi tipi di interazione da parte di rappresentanti di interesse con la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo alla previa iscrizione nel registro, che quindi diventerebbe de facto una condizione preliminare per la rappresentanza di interessi presso le istituzioni dell’UE allo scopo di influenzare l’elaborazione, l’attuazione e il processo decisionale relativo alla normativa dell’UE.
Si ricorda in proposito che la Giunta per il Regolamento della Camera dei deputati ha approvato il 26 aprile 2016 la regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi nelle sedi della Camera.
L’articolo 15 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) stabilisce il diritto per i cittadini dell’UE o i residenti dell’UE di avere accesso ai documenti delle istituzioni dell’UE.
Il regolamento (UE) 1049/2001 definisce i principi, le condizioni e le limitazioni per l'accesso ai documenti delle istituzioni dell’UE da parte di qualsiasi cittadino dell'Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro.
Per quanto riguarda in particolare i documenti legislativi, l’articolo 12 del il regolamento (UE) 1049/2001 prevede che essi debbano essere direttamente accessibili sotto forma elettronica o tramite registri fatti salvi gli articoli 4 e 9 del suddetto regolamento che prevedono un regime di eccezioni in base alla quale, le istituzioni dell’Ue possano rifiutare l'accesso a un documento la cui divulgazione arrechi pregiudizio alla tutela di: a) l'interesse pubblico, in ordine alla sicurezza pubblica, alla difesa e alle questioni militari, alle relazioni internazionali, alla politica finanziaria, monetaria o economica della Comunità o di uno Stato membro; b) la vita privata e l'integrità dell'individuo, in particolare in conformità con la legislazione comunitaria sulla protezione dei dati personali; d) gli interessi commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresa la proprietà intellettuale; le procedure giurisdizionali e la consulenza legale, gli obiettivi delle attività ispettive, di indagine e di revisione contabile, a meno che vi sia un interesse pubblico prevalente alla divulgazione. E per tutti i documenti sensibili, classificati come "CONFIDENTIEL" e che proteggono interessi essenziali dell'Unione europea o di uno o più Stati membri in particolare negli ambiti della sicurezza pubblica, della difesa e delle questioni militari.
Nel contributo approvato dalla LVII COSAC, a Tallinn il 28 novembre 2017, per quanto riguarda in particolare la trasparenza nell’UE, si impegnava tutte le Istituzioni dell’UE ad applicare il regolamento sulla trasparenza a tutti i loro atti.
In occasione della COSAC di Tallinn, la delegazione dei Paesi Bassi ha presentato un paper con alcune proposte volte a promuovere una maggiore trasparenza nel processo decisionale europeo e in particolare delle attività del Consiglio dell’UE.
Successivamente, sempre su iniziativa della delegazione dei Paesi Bassi, 26 Parlamenti/Camere nazionali (tra le quali i rappresentanti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica) in una lettera del 20 dicembre 2017, indirizzata ai Presidenti del Consiglio europeo, del Consiglio dell’UE, della Commissione europea e dell’Eurogruppo hanno proposto di avviare una discussione sulle seguenti proposte:
· applicazione da parte del Consiglio dell’UE del regolamento dell’UE sull’accesso ai documenti (Regolamento (UE) 1049/2001) in modo da consentire la sistematica e puntuale diffusione pubblica di tutti i documenti legislativi. In particolare definendo nelle procedure e metodi di lavoro del Consiglio dell’UE e caso per caso i documenti che devono essere immediatamente resi pubblici e quelli che invece ricadono nelle eccezioni previste dal regolamento. Il Consiglio è invitato inoltre ad includere nella definizione di documento legislativo anche le conclusioni della Presidenza, i documenti che ricapitolano la situazione (state-of-play documents) e i documenti di raffronto (multi-column texts);
· il Consiglio dell’UE dovrebbe adottare nel proprio regolamento interno regole precise e dettagliate sulle modalità dei resoconti relativi a riunioni nelle quali hanno avuto luogo delibere legislative, con l’indicazione dei dossier discussi, delle proposte formulate dagli Stati membri e dei risultati di voto;
· si invita anche il Consiglio europeo, il Consiglio dell’UE quando si riunisce informalmente (ad esempio in Consiglio dell’UE a 27 sulla Brexit) e l’Eurogruppo a dare piena applicazione al loro interno al regolamento dell’UE sull’accesso ai documenti (Regolamento (UE) 1049/2001);
· si invita il Consiglio dell’UE e la Commissione europea a riaprire i negoziati per una revisione del regolamento dell’UE sull’accesso ai documenti (Regolamento (UE) 1049/2001), prevedendo almeno un suo allineamento a quanto previsto dall’articolo 15, paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE), estendendo la sua applicazione a tutti gli organi, uffici e agenzie dell’UE.
Il Consiglio dell’UE ha poi risposto alla lettera dei Parlamenti nazionali con una lettera del 20 maggio 2018 nella quale in particolare rileva che:
· già tutta una serie di documenti sull’attività del Consiglio dell’UE accessibili al pubblico appena disponibili (ordini del giorno provvisori delle riunioni del Consiglio);
· quando il Consiglio dell’UE discute o vota progetti di atti legislativi la relativa seduta è pubblica e si può seguire dal vivo via webcast e dopo l’adozione di atti legislativi i documenti sono resi pubblici non appena possibile;
· il Consiglio dell’UE sta lavorando insieme al Parlamento europeo e alla Commissione europea per la costruzione di una banca dati comune nella quale sarà possibile seguire tutto l’iter di ciascun atto legislativo dell’UE;
· il Consiglio dell’UE non è comunque obbligato, sulla base di quando previsto dal regolamento (UE) 1049/2001, a rendere accessibili e pubblicare tutti i documenti legislativi.
Nel contributo approvato il 19 giugno 2018 a Sofia, in occasione della LIX COSAC si ribadisce l’invito al Consiglio dell’UE a rispondere alle proposte, formulate nella lettera firmata da 26 Parlamenti nazionali/Camere, volte a rafforzare la trasparenza del processo legislativo dell’UE.
Secondo l'UNHCR, dall'inizio del 2018 (al 5 novembre) sono giunti via mare sulle coste meridionali dell'Unione europea circa 99 mila migranti (sono circa 105 mila gli arrivi complessivi nell'UE se si sommano anche i migranti giunti via terra nei territori sotto la sovranità della Spagna situati nel continente africano).
In tale lasso di tempo, la rotta del Mediterraneo centrale (in linea di massima, dalla Libia e da altri Paesi del Nord Africa verso l’Italia) ha registrato oltre 22 mila sbarchi (il dato in possesso del Ministero dell'interno, aggiornato al 5 novembre, si attesta a 22.167 di cui 12.465 dalla Libia); la rotta del Mediterraneo orientale (dalla Turchia alla Grecia) si è attestata a circa 28 mila sbarchi, mentre quella del Mediterraneo occidentale (che riguarda i flussi verso la Spagna) ha registrato oltre 47 mila sbarchi (ai quali vanno aggiunti circa 6 mila arrivi via terra). Infine, l’UNCHR ha registrato circa mille sbarchi a Malta e cinquecento a Cipro.
Il trend annuale degli sbarchi nell’UE registra un significativo rallentamento, come indicato dalla seguente tabella: fonte UNHCR.
Anno |
Totale sbarchi UE |
Morti/dispersi in mare (stimati) |
2018 (fino al 5 novembre) |
98.864 |
1.987 |
2017 |
172.301 |
3.139 |
2016 |
362.753 |
5.096 |
2015 |
1.015.078 |
3.771 |
2014 |
216.054 |
3.538 |
Secondo il Ministero dell’interno, comparando gli sbarchi in Italia dal 1° gennaio al 5 novembre 2018 con quelli relativamente allo stesso periodo nel 2016 e nel 2017 si registra una diminuzione rispettivamente dell’86,19 e del 80,55 per cento.
Secondo l’EASO, l’Ufficio europeo per l’asilo, nei primi otto mesi del 2018 gli Stati membri hanno registrato 406 mila domande di protezione internazionale, di cui circa 374 mila domande di prima istanza (presentate per la prima volta), registrando una flessione rispetto allo stesso periodo nel 2017 del 15 per cento. Alla fine di agosto 2018 sarebbero circa 380 mila le domande di asilo nell’UE ancora pendenti.
Secondo il Ministero dell’interno, nei primi otto mesi del 2018 sono state presentate in Italia oltre 40 mila domande di asilo.
In occasione del Discorso sullo Stato dell’Unione del 12 settembre 2018, il Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, ha presentato una serie di proposte allo scopo di rafforzare la solidarietà dell'UE sulla questione migratoria e di proteggere meglio le frontiere esterne dell'UE
Si tratta in primo luogo di misure volte a rafforzare il ruolo della guarda di frontiera e costiera europea sotto il profilo delle risorse e dell'ampliamento del mandato.
La Commissione europea propone, in particolare, la costituzione, in seno all'Agenzia della guarda di frontiera e costiera europea, di un corpo permanente di 10 mila unità operative entro il 2020, abilitate a svolgere compiti che implicano competenze esecutive, seppure sempre sotto l'autorità e il controllo dello Stato membro in cui saranno dispiegati (l'iniziativa è contenuta nella proposta di regolamento COM(2018)631). Ulteriori misure per potenziare l'Agenzia riguardano il maggior coinvolgimento dell'organismo europeo nel sostegno alle procedure di rimpatrio effettuate dagli Stati membri, e nella cooperazione con i paesi terzi interessati.
La Commissione europea propone, altresì, una revisione mirata della direttiva rimpatri volta a accelerare le procedure di rimpatrio, ad impedire fughe e movimenti secondari irregolari e ad aumentare i rimpatri effettivi (si tratta della proposta di direttiva COM(2018)634).
Nel discorso sullo Stato dell'Unione è stata altresì prefigurata la proposta di rafforzare la futura Agenzia dell'UE per l'asilo (si tratta della proposta modificata di regolamento COM(2018)633), mediante:
· la previsione di squadre di sostegno per l'asilo messe a disposizione dall'Agenzia per assistere le autorità nazionali nelle procedure amministrative di asilo;
· la previsione di squadre miste dell'UE per la gestione della migrazione, con il compito di sostenere gli Stati membri, in particolare nei punti di crisi e nei centri controllati, composte di esperti della guardia di frontiera e costiera europea, dell'Agenzia dell'UE per l'asilo e di Europol, coordinate dalla Commissione. Sotto l'autorità dello Stato membro ospitante, tali squadre saranno abilitate a svolgere i compiti necessari per accogliere le persone in arrivo, distinguere tra le persone bisognose di protezione e le altre ed espletare le procedure di asilo e di rimpatrio;
· l'aumento dei mezzi finanziari per mettere l'Agenzia in condizione di assolvere ai compiti potenziati.
La Commissione europea ha altresì presentato le prossime iniziative in materia di migrazione legale (tali iniziative sono prefigurate nella comunicazione COM(2018)635).
In particolare, l'obiettivo dell'ampliamento dei percorsi legali verso l'Europa dovrebbe essere realizzato mediante:
La Presidenza austriaca del Semestre di Presidenza del Consiglio dell’UE ha effettuato un giro di consultazioni bilaterali con gli Stati membri sulla riforma del regolamento Dublino in materia di ripartizione di competenze tra Stati membri per la gestione delle domande di asilo (parte del complessivo progetto di revisione dell’intero Sistema comune europeo di asilo), tuttora in fase di stallo (vedi infra).
Si segnala inoltre che, nell’ambito del Semestre di Presidenza austriaca del Consiglio dell’UE, il 13-14 settembre 2018 si è svolta a Vienna la Conferenza Migrazione e sicurezza – Promuovere la cooperazione e la resilienza, alla quale hanno partecipato i Ministri dell’interno degli Stati membri e di Stati terzi (in particolare, Algeria, Chad, Egitto, Libia, Mali, Marocco, Niger e Tunisia), nonché rappresentanti delle Agenzie europee competenti e di organizzazioni internazionali. La Conferenza si è concentrata, tra l’altro, sulla cooperazione con i Balcani occidentali e il Nord Africa in materia di migrazione e sicurezza.
Da ultimo, il Consiglio dell’UE Giustizia e affari interni dell’11-12 ottobre 2018, oltre ad esaminare le citate nuove proposte normative della Commissione europea, ha svolto un dibattito sulle proposte settoriali riguardanti gli affari interni nel contesto del quadro finanziario pluriennale 2021-2027.
Nel disegno della Commissione europea, il bilancio dell’UE per la gestione della migrazione e l’asilo dovrebbe passare, dai 7,3 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, a 11,3 miliardi di euro per il nuovo periodo.
La Commissione europea ha, inoltre, proposto un aumento delle risorse nel bilancio UE relative alla gestione delle frontiere esterne, passando dai 5,6 miliardi di euro del periodo 2014-2020 a oltre 21,3 miliardi di euro nel nuovo periodo di programmazione 2021-2027. In particolare la Commissione intende creare un nuovo Fondo per la gestione integrata delle frontiere, dotato di 9,3 miliardi di euro, e di assegnare oltre 12 miliardi di euro alle agenzie decentrate che coadiuvano gli Stati membri nella protezione delle frontiere, vale a dire l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera ed eu-LISA.
Nei prossimi anni l'Unione europea dovrebbe proseguire i lavori volti a dare attuazione all'Agenda europea sulla migrazione, il documento programmatico pubblicato dalla Commissione nel maggio del 2015 recante, da un lato, una serie di misure urgenti per affrontare l'emergenza dei flussi migratori, determinata dalla crisi siriana e dalla ripresa degli sbarchi lungo la rotta del Mediterraneo centrale, dall'altro, una serie di iniziative di medio e lungo termine nel settore della politica migratoria e del controllo delle frontiere.
L'approccio seguito dall'UE nella politica migratoria, come da ultimo confermato anche nelle conclusioni del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018, consiste in una combinazione di strumenti che riguardano: misure nell'ambito della dimensione interna della politica di migrazione; il potenziamento dei controlli alle frontiere dell'UE, il rafforzamento dell'azione esterna UE in materia di flussi irregolari (riduzione delle cause profonde dei movimenti migratori e cooperazione con Paesi terzi di origine e di transito, anche ai fini della riammissione dei migranti).
Da ultimo, il Consiglio europeo del 17-18 ottobre 2018 ha esaminato lo stato di attuazione delle sue conclusioni di giugno e ha invitato a proseguire i lavori su tutti gli elementi nel quadro del suo approccio globale alla migrazione
In occasione del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018, i leader dell'UE hanno chiesto nuove misure per ridurre la migrazione illegale e prevenire un ritorno ai flussi incontrollati del 2015, convenendo che si tratta di una sfida, non solo per i singoli Stati membri, ma per l'intera Unione europea. Tra le misure più significative, il Consiglio europeo di fine giugno aveva convenuto sullo sviluppo del concetto di piattaforme di sbarco regionali per le persone salvate in mare, in collaborazione con Paesi terzi e con l'UNHCR e l'OIM, nonché sull'istituzione di centri controllati, da aprire negli Stati membri unicamente su base volontaria, volti a consentire un trattamento rapido e sicuro per distinguere i migranti irregolari, che sarebbero rimpatriati, dalle persone bisognose di protezione internazionale, cui si applicherebbe il principio di solidarietà.
Il Consiglio europeo di ottobre ha, altresì, sottolineato l'importanza di continuare a prevenire la migrazione illegale e di rafforzare la cooperazione con i Paesi di origine e di transito, in particolare dell'Africa settentrionale, nel quadro di un più ampio partenariato. Il Consiglio europeo ha inoltre convenuto sul rafforzamento del contrasto alle reti di trafficanti di persone. I leader dell'UE hanno sottolineato, in particolare, la necessità di intensificare la collaborazione con i Paesi terzi in materia di indagine, arresto e perseguimento di soggetti dediti al traffico e alla tratta, al fine di evitare che le persone intraprendano viaggi pericolosi.
Il Consiglio europeo ha, infine, rilevato l'opportunità di istituire una task force congiunta presso il Centro europeo contro il traffico di migranti di Europol. Da ultimo, il Consiglio europeo ha sottolineato la necessità di monitorare e ostacolare in maniera più efficace le comunicazioni on line delle reti di trafficanti. A tal fine, il Consiglio europeo ha invitato il Consiglio dell'UE, con il sostegno della Commissione, a mettere a punto un insieme completo e operativo di misure entro dicembre.
Il Consiglio europeo ha altresì invitato il Parlamento europeo e il Consiglio ad esaminare, in via prioritaria, le recenti proposte della Commissione riguardanti la direttiva sui rimpatri, l'Agenzia per l'asilo nonché la guardia di frontiera e costiera europea, garantendo l'impiego delle risorse nel modo più efficiente possibile ed elaborando norme comuni minime per la sorveglianza delle frontiere esterne, nel dovuto rispetto della responsabilità degli Stati membri
Da ultimo, il Consiglio europeo ha convenuto sull'opportunità di adoperarsi maggiormente per facilitare rimpatri effettivi. In particolare, il Consiglio europeo ha sottolineato la necessità di migliorare l'attuazione degli accordi di riammissione vigenti, in modo non discriminatorio nei confronti di tutti gli Stati membri, e di concludere nuovi accordi e intese, creando e applicando nel contempo le necessarie leve mediante il ricorso all'insieme delle politiche, degli strumenti e dei mezzi pertinenti dell'UE, compresi lo sviluppo, il commercio e i visti; da ultimo ha rilevato l'esigenza di compiere ulteriori sforzi per dare piena attuazione alla Dichiarazione UE-Turchia.
Ad oggi, l'Unione europea ha stipulato accordi di riammissione con i seguenti Stati terzi: Hong Kong, Macao, Sri Lanka, Albania, Russia, Ucraina, ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Bosnia e Erzegovina, Montenegro, Serbia, Moldavia, Pakistan, Georgia, Armenia, Azerbaijan, Turchia e Capo Verde. Attualmente sono in corso di negoziato accordi di riammissione relativi tra l'altro, alla Nigeria, alla Tunisia e alla Giordania. Si ricorda che, durante i dialoghi sulla migrazione del novembre 2017, il Marocco ha accettato di rilanciare i negoziati sull'accordo di riammissione, in sospeso da tre anni. La Commissione dispone infine del mandato per negoziare un accordo di riammissione con l'Algeria dal 2002, ma le trattative risultano, allo stato, ferme. Ulteriori rapporti di cooperazione dell'UE nel settore della riammissione riguardano infine Stati terzi asiatici quali il Bangladesh e l'Afghanistan nonché Stati dell'Africa subsahariana.
Si segnala che, nel quadro di una proposta di modifica del codice dell'UE dei visti, la Commissione ha proposto di rafforzare l'uso della politica dei visti come strumento per progredire nella cooperazione in materia di rimpatrio e di riammissione con i Paesi terzi. L'iniziativa prevede, tra l'altro, l'introduzione di condizioni più rigide per il trattamento delle domande di visto presentate dai cittadini di paesi terzi che non cooperano in modo soddisfacente in tali settori. La Commissione europea ha altresì proposto una revisione della normativa sui funzionari di collegamento sull'immigrazione al fine di intensificare il coordinamento necessario in materia di rimpatri e riammissioni.
Profili di politica interna di migrazione: la riforma del sistema europeo comune di asilo
Il 4 maggio e il 13 luglio 2016, la Commissione ha presentato sette proposte legislative volte a riformare il sistema europeo comune di asilo (CEAS). Il pacchetto comprendeva la rifusione del regolamento Dublino (in materia di individuazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di asilo) e del regolamento Eurodac (il database europeo per il controllo delle impronte digitali per l'efficace applicazione del regolamento Dublino), una proposta di regolamento relativo alla creazione dell'Agenzia dell'Unione europea per l'asilo (che supererebbe l'attuale EASO-Ufficio europeo per l'asilo), una proposta di regolamento che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell'UE, una proposta di regolamento sulle qualifiche, la rifusione della direttiva sulle condizioni di accoglienza e una proposta di regolamento che istituisce un quadro dell'Unione per il reinsediamento.
L'approccio alla riforma, in estrema sintesi, si basa sull'equilibrio tra i principi di solidarietà e responsabilità: in base a tale bilanciamento, da un lato, si intendono introdurre misure per l'alleggerimento del peso delle domande di asilo sui sistemi nazionali di asilo degli Stati membri di primo approdo, dall'altro, si mira ad una maggiore uniformità tra gli stessi sistemi nazionali (in modo da evitare il fenomeno del cd. asylum shopping) e soprattutto a scoraggiare gli abusi impedendo i movimenti secondari dei migranti.
Sebbene alcune proposte del pacchetto siano giunte ad uno stato avanzato dei rispettivi negoziati (si tratta, in particolare delle nuove norme in materia di: condizioni di accoglienza; qualifiche/status; sistema Eurodac; Agenzia dell'Unione europea per l'asilo; quadro giuridico per il reinsediamento), la conclusione della riforma sconta significativi rallentamenti principalmente per l'assenza di accordo tra Stati membri con riferimento alla revisione del regolamento Dublino; anche la proposta di riforma recante una procedura unica di protezione internazionale dell'UE non ha ancora registrato una posizione comune degli Stati membri presso il Consiglio.
Nel corso dell'estate, la Presidenza austriaca ha svolto riunioni bilaterali con tutti gli Stati membri, nelle quali sono state considerate soluzioni alternative nel quadro del nuovo contesto generale, comprese eventuali modalità per tenere conto del fattore dello sbarco. Nelle discussioni bilaterali è stata pertanto esplorata la possibilità che l'approccio globale (menzionato dal Consiglio europeo nelle conclusioni di giugno) comprenda diverse forme di solidarietà da mettere a disposizione dello Stato membro sotto pressione, alle quali ciascuno Stato membro sarebbe tenuto a contribuire.
Le questioni relative alla riforma del regolamento di Dublino, e alla correlata situazione delle operazioni di ricerca e salvataggio e di sbarco di migranti in porti sicuri nel Mediterraneo sono state approfondite anche in occasione del Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018.
Al riguardo nelle conclusioni adottate dal Consiglio si prevede, tra l’altro, che, nel territorio dell'UE, coloro che vengono salvati, a norma del diritto internazionale, dovrebbero essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso e trasferiti in centri sorvegliati istituiti negli Stati membri, unicamente su base volontaria; qui un trattamento rapido e sicuro consentirebbe, con il pieno sostegno dell'UE, di distinguere i migranti irregolari, che saranno rimpatriati, dalle persone bisognose di protezione internazionale, cui si applicherebbe il principio di solidarietà. Il citato Consiglio europeo ha altresì stabilito che tutte le misure nel contesto di questi centri sorvegliati, ricollocazione e reinsediamento compresi, saranno attuate su base volontaria, lasciando impregiudicata la riforma di Dublino.
Da ultimo, si segnala che, il 24 luglio 2018, la Commissione europea ha presentato (mediante documenti informali) un pacchetto di proposte recante, tra l’altro, un approfondimento del concetto dei centri controllati nell’UE previsti dalle conclusioni del Consiglio europeo citato.
Secondo la Commissione europea, tali centri (istituiti con l'obiettivo di migliorare il processo di distinzione tra le persone bisognose di protezione internazionale e i migranti irregolari che non hanno diritto di restare nell'UE, accelerando al contempo i rimpatri) dovrebbero essere gestiti dallo Stato membro ospitante con il pieno sostegno dell'UE e delle Agenzie dell'UE; potrebbero essere temporanei o ad hoc, a seconda dell'ubicazione.
I principali elementi dei centri dovrebbero essere i seguenti:
× pieno sostegno operativo, con squadre di sbarco formate da guardie di frontiera europee, esperti di asilo, addetti allo screening di sicurezza e agenti addetti ai rimpatri, i cui costi sarebbero coperti integralmente dal bilancio dell'UE;
× gestione rapida, sicura ed efficace che riduca il rischio di movimenti secondari e sveltisca la determinazione dello status della persona;
× pieno sostegno finanziario agli Stati membri volontari per la copertura dei costi delle infrastrutture e i costi operativi e sostegno finanziario agli Stati membri che accettano i trasferimenti delle persone sbarcate (6.000 euro per persona).
La Commissione ha preannunciato che fungerà da cellula centrale di coordinamento per gli Stati membri che partecipano agli sforzi di solidarietà: si tratterà di una misura temporanea in attesa che possa essere creato un vero e proprio sistema nel contesto delle riforme in corso del sistema europeo comune di asilo.
Per sostenere gli Stati membri più esposti ai flussi migratori, l'UE, specialmente dopo la ripresa degli sbarchi a partire dal 2015, ha rinforzato gli strumenti volti alla sorveglianza delle frontiere esterne (in particolare marittime).
Le azioni chiave in tale settore sono:
· un regolamento, adottato nel maggio del 2014, recante norme per quanto riguarda le attività di sorveglianza delle frontiere marittime coordinate da Frontex;
· l'avvio delle missioni Frontex Poseidon per il Mediterraneo orientale e Triton, in seguito sostituita con Themis, per il Mediterraneo centrale, per quanto riguarda i flussi provenienti da Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Turchia e Albania;
La novità più importante riguarda il fatto che i migranti soccorsi dovranno essere fatti sbarcare nel porto più vicino al punto in cui è stato effettuato il salvataggio in mare.
· l'operazione navale EUNAVFOR MED Sophia (il cui comando è stato affidato all'Italia), volta ad individuare, fermare ed eliminare imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai trafficanti di migranti nel Mediterraneo;
L’operazione è oggetto di discussione a livello europeo, giacché il Governo italiano ha recentemente proposto un adeguamento del relativo piano operativo nel senso di prevedere la possibilità di individuare porti di sbarco dei migranti (soccorsi nell’ambito della missione) in altri Stati.
· la riforma del quadro giuridico di Frontex, con la quale, oltre al cambio di denominazione (Agenzia della guardia di frontiera e costiera europea), è stato attribuito all'ente il rango di Agenzia europea e rafforzato il suo mandato nel senso di acquisire maggiori spazi di autonomia e di intervento in caso di crisi migratorie;
· il metodo dei punti di crisi (hotspot), nei quali, al momento dell'ingresso, svolgere operazioni di identificazione, registrazione, fotosegnalamento e rilevamento delle impronte digitali; in tali aree, i migranti sono altresì informati e indirizzati per quanto riguarda le procedure di protezione internazionale, i programmi di ricollocazione e il rimpatrio volontario assistito.
Il tema della gestione delle frontiere marittime e del contrasto alle attività dei trafficanti di migranti è stato al centro del dibattito svolto dal Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018, a sua volta preceduto da una riunione informale dei leader di 16 Stati membri e della Commissione europea, e a seguito delle iniziative politiche del Governo nei confronti delle navi delle ONG nel Mediterraneo.
In tale contesto, il Consiglio europeo, tra l'altro, ha sottolineato la necessità di maggiori sforzi per porre fine alle attività dei trafficanti dalla Libia o da altri Paesi e confermato il sostegno UE all'Italia e agli altri Stati membri in prima linea a tale riguardo. Infine, il Consiglio europeo ha rivolto a tutte le navi operanti nel Mediterraneo il monito a rispettare le leggi applicabili e a non interferire con le operazioni della guardia costiera libica.
Inoltre, ai fini dello smantellamento definitivo del modello di attività dei trafficanti, e allo scopo di impedire la tragica perdita di vite umane, il Consiglio europeo ha stabilito la necessità di eliminare ogni incentivo a intraprendere viaggi pericolosi, prefigurando a tal proposito un nuovo approccio allo sbarco di chi viene salvato in operazioni di ricerca e soccorso, basato su azioni condivise o complementari tra gli Stati membri. Al riguardo, il Consiglio europeo ha quindi invitato il Consiglio dell'UE e la Commissione a esaminare rapidamente il concetto di piattaforme di sbarco regionali, in stretta cooperazione con i paesi terzi interessati e con l'UNHCR e l'OIM, che dovrebbero agire operando distinzioni tra i singoli casi, nel pieno rispetto del diritto internazionale e senza che si venga a creare un fattore di attrazione.
Da ultimo, il Consiglio europeo ha concordato che nel territorio dell'UE coloro che vengono salvati, a norma del diritto internazionale, dovrebbero essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso e trasferiti in centri sorvegliati istituiti negli Stati membri, unicamente su base volontaria; qui un trattamento rapido e sicuro consentirebbe, con il pieno sostegno dell'UE, di distinguere i migranti irregolari, che saranno rimpatriati, dalle persone bisognose di protezione internazionale, cui si applicherebbe il principio di solidarietà; ha infine stabilito che tutte le misure nel contesto di questi centri sorvegliati, ricollocazione e reinsediamento compresi, saranno attuate su base volontaria, lasciando impregiudicata la riforma di Dublino.
Infine, durante la riunione sono state discusse anche le future opzioni che vanno al di là del mandato del Consiglio europeo, come l'utilizzo di centri di rimpatrio nei paesi terzi.
Il citato pacchetto di proposte presentato dalla Commissione europea il 24 luglio 2018 prevede, altresì, un primo schema del possibile modus operandi per la conclusione di intese regionali sugli sbarchi coi paesi terzi, in attuazione del concetto di piattaforma di sbarco regionale previsto dalle conclusioni del Consiglio europeo citato.
In particolare, secondo la Commissione europea, obiettivo delle intese regionali sugli sbarchi è fare in modo che le persone soccorse possano essere sbarcate rapidamente e in condizioni di sicurezza, su entrambe le sponde del Mediterraneo, nel rispetto del diritto internazionale, compreso il principio di non respingimento (non-refoulement), e che la fase successiva allo sbarco sia gestita responsabilmente.
La Commissione europea ha proposto una serie di elementi chiave qualificanti le intese regionali sugli sbarchi. Si segnalano, tra l’altro: l’incoraggiamento a tutti gli Stati costieri del Mediterraneo ad istituire zone di ricerca e soccorso (SAR) e centri di coordinamento del soccorso in mare (MRCC); le funzioni di UNHCR e OIM nella gestione degli aventi diritto all’asilo e delle persone destinate al rimpatrio; partenariati, su un piano di parità con i paesi terzi interessati, personalizzati in base alle specifiche situazioni politiche, socioeconomiche e di sicurezza; predisposizione di un complesso di regole e procedure finalizzate a uno sbarco ordinato in condizioni di sicurezza, nel totale rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani; sostegno finanziario e logistico dell'UE per le attività legate agli sbarchi e alla fase successiva, così come per la gestione delle frontiere.
Da ultimo, si segnala che il Codice frontiere Schengen è attualmente oggetto di una proposta di riforma volta ad ampliare i periodi di ripristino temporaneo dei controlli di frontiera alle frontiere interne tra Stati membri.
La proposta, originata da un lato, dall’obiettivo di impedire i movimenti secondari dei migranti, dall’altro dall’intenzione di stringere le maglie dei controlli nei confronti degli spostamenti intra UE di possibili terroristi e foreign fighters, è tuttora all’esame delle Istituzioni legislative europee. L’Italia, confermando riserve già manifestate nei confronti della proposta originaria, in sede di Consiglio dell’UE ha espresso un giudizio critico sul testo di compromesso che dovrebbe costituire la base per i prossimi negoziati tra Parlamento europeo e Consiglio e ha dichiarato la propria indisponibilità a sostenere il mandato alla Presidenza del Consiglio per i negoziati con il Parlamento europeo.
Il flusso senza precedenti di migranti dalla Turchia alle isole elleniche, per la maggior parte costituito da cittadini siriani in fuga dalle zone del conflitto in Siria, ha indotto l'UE a negoziare con la Turchia una serie di misure che sono principalmente contenute nella cosiddetta Dichiarazione UE-Turchia del marzo 2016.
Nel 2015 sono transitati dalla Turchia alle isole greche circa 860 mila migranti, costituiti per circa la metà da cittadini siriani, e per la restante parte da cittadini iracheni e afgani. I flussi si sono tradotti in un radicale aumento delle domande di asilo in alcuni Stati membri (la Germania ha registrato 480 mila domande nel 2015 e 750 mila nel 2016; l'Ungheria ha registrato circa 180 mila domande nel 2015; la Svezia circa 160 mila nel 2015).
L'accordo prevede, da un lato, maggiore collaborazione delle autorità turche nel contrasto al traffico dei migranti e un programma di rimpatrio dei migranti irregolari in Turchia, dall'altro, il reinsediamento di una parte dei richiedenti asilo siriani nell'Unione europea e un sostegno economico iniziale di 3 miliardi per il 2016-2017 per i rifugiati in Turchia e delle comunità locali turche che li hanno accolti (cosiddetto Strumento per i rifugiati in Turchia).
La Dichiarazione prevede che una volta che queste risorse saranno state quasi completamente utilizzate, e a condizione che gli impegni siano soddisfatti, l'UE mobiliterà ulteriori finanziamenti dello strumento per altri 3 miliardi di euro entro la fine del 2018.
Lo Strumento per i rifugiati in Turchia sostiene un ampio spettro di progetti di carattere umanitario e di altro genere (tra i quali, protezione, istruzione, assistenza sanitaria, generi alimentari e alloggi, costruzione di infrastrutture idriche e igienico sanitarie).
La Commissione europea - secondo quanto previsto dalla Dichiarazione UE Turchia - ha deciso di sbloccare la seconda tranche di finanziamenti relativamente agli ulteriori tre miliardi di euro (di cui un miliardo a carico del bilancio UE, due miliardi finanziati dagli Stati membri). Il Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018 ha dato il via libera all'erogazione della seconda quota dello strumento per i rifugiati in Turchia. Il Consiglio dell'UE e il Parlamento europeo hanno avviato l'attuazione di tale decisione approvando il bilancio rettificativo (n. 2/2018) del budget UE di 500 milioni di euro.
La Dichiarazione impegna altresì l'UE e gli Stati membri a collaborare con la Turchia per migliorare la situazione umanitaria in Sira, in particolare in talune zone limitrofe della frontiera turca, nel quadro di sforzi congiunti che possa consentire alla popolazione locale e ai rifugiati di vivere in zone più sicure.
È infine previsto il rilancio del processo di liberalizzazione dei visti tra Ue e Turchia e dei negoziati relativi al processo di adesione della Turchia all'Unione europea.
Dal 2015, l'approccio dell'UE circa la dimensione di azione esterna della politica di migrazione è stato orientato alla ricerca di un maggior livello di cooperazione con gli Stati terzi di origine e di transito rispetto all'obiettivo di ridurre i flussi irregolari. Tale politica si è tradotta, da un lato, nel sostegno agli Stati africani interessati alle rotte migratorie per quanto riguarda l'eliminazione dei principali fattori di instabilità economica, sociale, e politica; dall'altro, nella richiesta agli stessi Stati terzi di collaborare in maniera significativa con riferimento al contrasto alle reti dei trafficanti di migranti e al rispetto degli obblighi di riammissione e di rimpatrio dei migranti irregolari in Europa.
In tale contesto, viene in considerazione il Fondo fiduciario europeo di emergenza per l'Africa (EU Emergency Trust Fund for Africa), che - al 31 ottobre 2018 - consiste in un volume di risorse per oltre 4 miliardi di euro.
Il Fondo, strumento flessibile al di fuori del bilancio UE sostenuto da risorse dell'Unione europea per l'88 per cento e da contributi degli Stati membri per il 12 per cento (i donatori principali restano – al 16 maggio 2018 - la Germania con 157,5 milioni di euro e l'Italia con 104 milioni di euro), è stato istituito in occasione del Vertice UE - Africa di La Valletta nel novembre 2015.
L'assegnazione delle risorse del Fondo si articola in tre macroregioni: Sahel e Lago Ciad (Burkina Faso, Camerun, Ciad, Costa d'Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria and Senegal), Corno d'Africa (Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenia, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Tanzania e Uganda), e Nord Africa; Marocco, Algeria, Tunisia, Libia ed Egitto.
Grazie al Fondo fiduciario di emergenza UE per l'Africa trovano finanziamenti programmi dedicati: creazione di sviluppo economico e lavoro; supporto dei servizi di base per le popolazioni locali (sicurezza alimentare e nutrizionale, sanità, istruzione); rafforzamento della stabilità e della governance, in particolare promuovendo la prevenzione dei conflitti e il contrasto alle violazioni dei diritti umani e i l principio dello Stato di diritto; prevenzione dei flussi migratori irregolari e il contrasto alle reti del traffico dei migranti.
L'approccio seguito con l'accordo di La Valletta è altresì alla base del Nuovo quadro di partenariato dell'UE, che si è tradotto in patti (migration compact) con Paesi terzi prioritari (Niger, Mali, Nigeria, Senegal ed Etiopia) con particolare riguardo alla rotta migratoria che dalle regioni subsahriane raggiunge la Libia in vista dell'attraversamento del Mediterraneo.
L'azione esterna UE è stata, da ultimo, rinforzata con la previsione, nel settembre del 2016, del Piano di investimenti esterni, un nuovo strumento finanziario volto a stimolare gli investimenti in Africa e nel vicinato dell'UE con l'obiettivo di rimuovere gli ostacoli alla crescita nei paesi partner e le cause profonde della migrazione irregolare.
Il Piano prevede un sostegno economico articolato in sovvenzioni, garanzie, strumenti di condivisione dei rischi, nonché la combinazione di sovvenzioni e prestiti, sulla base di un contributo del bilancio dell'UE di 4,1 miliardi di euro, che nel disegno della Commissione europea dovrebbe fungere da leva finanziaria in grado di mobilitare fino a 44 miliardi di euro di investimenti privati per lo sviluppo sostenibile.
La Commissione europea ha chiesto agli Stati membri un contributo di uguale entità al fine di raggiungere un volume di investimenti di quasi novanta miliardi di euro.
Il Consiglio europeo del 28-29 giugno 2018 ha stabilito che, per affrontare alla radice il problema della migrazione, è necessario un partenariato con l'Africa volto a una trasformazione socioeconomica sostanziale del continente africano sulla base dei principi e degli obiettivi definiti dai paesi africani nella loro Agenda 2063. Il Consiglio europeo ha, altresì, sottolineato la necessità di elevare a un nuovo livello la cooperazione con l'Africa in termini di portata e qualità, mettendo in evidenza che a tal fine non occorreranno solo maggiori finanziamenti allo sviluppo ma anche misure intese a creare un nuovo quadro che consenta di accrescere sostanzialmente gli investimenti privati degli africani e degli europei, prestando particolare attenzione all'istruzione, alla salute, alle infrastrutture, all'innovazione, al buon governo e all'emancipazione femminile.
Il Consiglio europeo ha, infine, posto l'accento sulla necessità di l'intensificare gli scambi e i contatti tra i popoli di entrambi i continenti a tutti i livelli della società civile, prefigurando inoltre lo sviluppo e la promozione della cooperazione tra l’Unione europea e l'Unione africana.
Ulteriori misure individuate dal Consiglio europeo di fine giugno hanno riguardato, tra l'altro, un nuovo specifico strumento di gestione della migrazione esterna nel prossimo bilancio a lungo termine dell'UE (QFP), l'erogazione della seconda quota dello strumento per i rifugiati in Turchia e il trasferimento al Fondo fiduciario dell'UE per l'Africa di 500 milioni di euro a titolo della riserva dell'11º Fondo europeo di sviluppo.
A partire dal secondo trimestre del 2016, l'Unione europea ha concentrato gli sforzi relativamente al flusso di migranti dalle coste libiche a quelle italiane, il cui trend si è mantenuto costantemente elevato almeno fino alla fine dell'estate del 2017.
In particolare, con la comunicazione della Commissione europea "La migrazione lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Gestire i flussi e salvare vite umane" del gennaio 2017, e la dichiarazione del Consiglio europeo informale di Malta del febbraio 2017, sono state individuate una serie di misure dirette, tra l'altro: all'intensificazione della lotta contro i trafficanti, in particolar modo tramite il sostegno alle autorità libiche competenti nelle attività di guardia costiera e di controllo delle frontiere terrestri meridionali; al sostegno delle comunità locali libiche che accolgono i migranti; al miglioramento delle condizioni delle strutture di accoglienza dei migranti e dei richiedenti asilo bloccati in Libia.
Ulteriori iniziative, consolidate a seguito dei risultati del citato Vertice UE Africa del novembre 2017, sono state intraprese con l'obiettivo di migliorare la situazione umanitaria dei migranti in Libia con il coinvolgimento dei principali organismi internazionali (l'UNHCR e l'OIM), e di potenziare i reinsediamenti e i rimpatri volontari assistiti e la reintegrazione nei Paesi di origine.
Si tratta in particolare della Task force Unione africana - UE - Nazioni unite, istituita ai margini del Vertice citato con l'obiettivo di intensificare i rimpatri volontari assistiti dalla Libia, e le evacuazioni dai centri di accoglienza libici attraverso meccanismi di transito di emergenza.
La politica comune in materia di visti è un insieme di norme armonizzate che disciplinano diversi aspetti: i) gli "elenchi comuni in materia di visti" dei paesi i cui cittadini devono richiedere un visto per recarsi nell'UE e di quelli i cui cittadini sono esenti da tale obbligo; ii) il codice dei visti, che definisce le procedure e le condizioni per il rilascio dei visti per soggiorni di breve durata; iii) il formato uniforme per il visto adesivo; iv) il sistema di informazione visti (VIS), in cui sono registrate tutte le domande di visto e le decisioni degli Stati membri, inclusi i dati personali, le fotografie e le impronte digitali dei richiedenti.
Nel marzo del 2018, la Commissione europea ha presentato un pacchetto di iniziative, il cui fulcro è rappresentato da una proposta di regolamento recante modifiche al codice dei visti, volta, tra l'altro, ad introdurre un nuovo meccanismo per attivare condizioni più restrittive di trattamento dei visti quando un paese partner non collabora a sufficienza per la riammissione dei migranti in posizione irregolare.
Attualmente i Paesi dei Balcani occidentali che hanno status di paese candidato e per i quali sono stati avviati negoziati sono Montenegro (i negoziati di adesione sono stati avviati a giugno 2012; al momento sono stati aperti 28 capitoli negoziali e ne sono stati chiusi 3), Serbia (i negoziati di adesione sono stati avviati a gennaio 2014; al momento sono stati aperti 10 capitoli negoziali e ne sono stati chiusi 2) e Turchia (i negoziati di adesione sono stati avviati a ottobre 2005; al momento sono stati aperti 16 capitoli negoziali e ne è stato chiuso 1, Scienza e ricerca nel 2006).
I paesi che hanno status di paese candidato, ma per i quali i negoziati di adesione non sono ancora stati avviati sono l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia e l’Albania (Il Consiglio UE ha deciso che i negoziati di adesione dovrebbero essere avviati a giugno 2019).
Bosnia Erzegovina e Kosovo sono ancora qualificati come “potenziali candidati”.
Il Presidente della Commissione europea Juncker, ad inizio del suo mandato, aveva escluso la possibilità di nuove adesioni all’UE nel breve e nel medio periodo. Il 6 febbraio 2018 nella comunicazione su una nuova prospettiva per l’allargamento dell’UE ai Balcani occidentali, la Commissione europea ha prospettato, con un cambio di visione, la possibilità di un ingresso di Serbia e Montenegro nell’UE per il 2025.
Nella comunicazione annuale per il 2018 sulla politica di allargamento del 17 aprile 2018 la Commissione europea ribadendo l’impegno dell’UE per un orizzonte europeo per i paesi coinvolti nel processo di allargamento, indica però che, prima di un allargamento, l’UE dovrà essere resa più forte e più solida sulla base di una serie di iniziative da realizzare sulla base dei Trattati vigenti entro il 2025.
Il Consiglio dell’UE, nella riunione del 26 giugno 2018, ha adottato delle conclusioni sull'allargamento e sul processo di stabilizzazione e di associazione nelle quali concorda sulla prospettiva di una apertura dei negoziati di adesione con Albania ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia, ma rinvia tale apertura a giugno 2019. Le conclusioni sono poi state poi approvate dal Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2018.
Nel corso della riunione del Consiglio dell’UE del 26 giugno 2018, un’amplissima maggioranza di Stati membri, pur con sfumature diverse, si è espressa a favore dell’apertura immediata di negoziati di adesione con Albania e ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Tale prospettiva ha però incontrato le riserve di Francia e dei Paesi Bassi, appoggiati anche dalla Danimarca che hanno utilizzato il potere di veto dovuto al meccanismo decisionale all’unanimità in sede di Consiglio per bloccare la decisione relativa alla all’avvio dei negoziati motivando tale posizione con la necessità di consolidare ulteriormente i processi di riforma in atto nei due paesi dei Balcani e costringendo il Consiglio al compromesso per il quale l’UE si impegna ad aprire negoziati nel giugno 2019.
Attualmente, le relazioni tra l’Unione europea e i paesi dei Balcani occidentali si svolgono prevalentemente nel quadro del Processo di stabilizzazione ed associazione (PSA), istituito nel 1999.
Le componenti principali del PSA sono quattro: accordi di stabilizzazione ed associazione, elevato livello di assistenza finanziaria, misure commerciali e dimensione regionale.
Lo strumento operativo del PSA è costituito dalla stipula, con ciascun paese della regione, di un accordo di stabilizzazione ed associazione (ASA).
Dall'entrata in vigore dell'ASA con il Kosovo il 1° aprile 2016, sono attualmente in vigore ASA con tutti i sei paesi dei Balcani occidentali[12]
Gli ASA prevedono la cooperazione politica ed economica e la creazione di aree di libero scambio (vedi infra) con i paesi interessati. Sulla base dei principi democratici comuni, dei diritti umani e dello Stato di diritto, ciascun ASA istituisce strutture di cooperazione permanenti.
Nell'ambito del quadro finanziario pluriennale dell’UE per il periodo 2014-2020, il regolamento (UE) n. 231/2014 approvato l’11 marzo 2014 che istituisce uno strumento di assistenza preadesione (IPA II) definisce il quadro normativo attraverso il quale l’UE fornirà assistenza tecnica e finanziaria ai paesi candidati e potenziali candidati all’adesione e prevede uno stanziamento complessivo (compresa anche la Turchia) per l’intero periodo 2014-2020 di circa 11 miliardi di euro (che corrispondono a circa l’1 per cento degli stanziamenti complessivi per tutte le rubriche del Quadro finanziario pluriennale 2014-2020) cosi suddivisivi per i paesi dei Balcani occidentali:
· Albania: 649,5 milioni di euro;
· Bosnia Erzegovina: 165,8 milioni di euro (stanziamento per il periodo 2014-2017);
· ex Repubblica iugoslava di Macedonia: 664,2 milioni di euro;
· Kosovo: 645,5 milioni di euro;
· Montenegro: 270,5 milioni di euro;
· Serbia: 1.508 milioni di euro;
· Programmi multi beneficiari: 2.958,7 milioni di euro (compresi programmi anche per la Turchia)
Nel contesto dei negoziati relativi al prossimo Quadro finanziario pluriennale 2021-2027, la Commissione europea ha presentato, il 14 giugno 2018, la proposta relativa allo strumento di assistenza di preadesione (IPA III) che prevede uno stanziamento complessivo per tutti i paesi interessati dal processo di adesione all’UE (compresa anche la Turchia) di 14,5 miliardi di euro (non è ancora stata definita una ripartizione per paese).
La disciplina UE prevede misure commerciali eccezionali, stabilendo che i prodotti originari dei paesi della regione possono essere importati nella Comunità senza restrizioni quantitative e in esenzione dai dazi doganali o da altre imposte di effetto equivalente.
Tale regime preferenziale è stato prolungato fino al 31 dicembre 2020, con il regolamento (UE) n. 2423/2015 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015.
L’UE è di gran lunga il primo partner commerciale per i paesi dei Balcani occidentali. Lo scambio commerciale con l’UE costituisce il 76% dello scambio commerciale globale dei paesi dei Balcani occidentali (la Russia è il secondo partner commerciale con una quota del 5,2% dello scambio commerciale globale dei paesi dei Balcani occidentali).
In materia di cooperazione regionale, i principali obiettivi della politica dell’UE sono:
· incoraggiare i paesi della regione a sviluppare relazioni reciproche comparabili a quelle esistenti tra gli Stati membri;
· creare una rete di accordi bilaterali di libero scambio, eliminando qualsiasi barriera alla circolazione dei beni nella regione;
· integrare gradualmente i Balcani occidentali nelle reti infrastrutturali europee in materia di trasporti, energia, gestione delle frontiere;
· promuovere la collaborazione tra i paesi della regione in materia di crimine organizzato, immigrazione e altre forme di traffico illegale.
La Commissione rileva che in tale ambito i progressi sono rimasti disomogenei nei vari paesi ed indica le seguenti priorità:
· la riforma efficace del sistema giudiziario;
· la lotta contro la corruzione, che è ancora estremamente diffusa, e per la quale è essenziale un quadro di istituzioni funzionanti e indipendenti per prevenire e contrastare la corruzione e per svolgere indagini e azioni penali efficaci finalizzate a sentenze definitive. Occorre, inoltre, una maggiore trasparenza nella gestione dei fondi pubblici, specialmente in tutte le fasi degli appalti pubblici;
· la presenza della criminalità organizzata, che resta ancora forte nei paesi interessati al processo di allargamento, sia nei Balcani occidentali sia in Turchia. La Commissione rileva la permanenza di un divario tra l’analisi delle minacce rappresentate dalla criminalità organizzata e le priorità operative fissate. Le autorità devono inoltre iniziare a utilizzare le indagini finanziarie e migliorare i risultati in termini di confisca dei proventi di reato;
· la lotta contro il terrorismo deve essere ulteriormente potenziata attraverso la collaborazione tra l’UE e tutti i paesi con ciascun partner dei Balcani occidentali e con la Turchia: Occorre rendere più efficaci le strutture a livello nazionale e regionale, specie per quanto riguarda la prevenzione dell’estremismo violento, la lotta contro il traffico di armi, il finanziamento del terrorismo, il riciclaggio di denaro, la condivisione delle informazioni e le politiche antiradicalizzazione. Le norme sulla protezione dei dati personali dovrebbero essere allineate con gli standard dell’UE per consentire la conclusione di accordi di cooperazione con Eurojust.
Nella comunicazione si rileva che, malgrado i diritti fondamentali siano ampiamente sanciti dall’ordinamento giuridico nei Balcani occidentali, occorrono ancora notevoli sforzi per garantirne la loro piena attuazione.
La Commissione considera prioritario, in particolare:
· salvaguardare la libertà di espressione e l’indipendenza dei media che compromettono non soltanto il diritto di base alla libertà di espressione, ma anche la democrazia nella regione. I governi dei paesi interessati devono adottare con urgenza misure concrete per attuare i quadri giuridici vigenti sulla libertà di espressione e migliorare il contesto generale per la libertà dei media;
· una maggiore tutela dei diritti dei minori e della parità di genere, prevedendo e combattendo la violenza contro le donne; la lotta contro le discriminazioni nei confronti delle persone disabili, minoranze e altri gruppi vulnerabili; lotta alla discriminazione contro lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali. Si deve inoltre ovviare in via prioritaria alla situazione precaria dei Rom e migliorare le condizioni di detenzione, allineando con l’acquis dell’UE i diritti procedurali degli indagati, degli imputati e delle vittime.
Nei Balcani occidentali, la capacità dei Parlamenti nazionali di esercitare il loro ruolo fondamentale a livello legislativo e di controllo risente della mancanza di un dialogo politico, dell’eccessivo ricorso alle procedure parlamentari urgenti e dal permanere di una cultura politica conflittuale. La fiducia dei cittadini nel processo elettorale risente di gravi carenze come la politicizzazione degli organi elettorali, l’utilizzazione abusiva delle risorse statali e la mancanza di trasparenza nel finanziamento dei partiti politici e delle campagne elettorali.
La riforma della pubblica amministrazione ha compiuto nei Balcani occidentali progressi moderati in alcuni settori.
L’ampio ricorso alle procedure legislative urgenti costituisce uno dei problemi principali nella maggior parte dei paesi.
La Commissione ritiene necessario un maggiore impegno per dotare i paesi delle risorse necessarie per affrontare le sfide connesse alla migrazione e in particolare in riferimento a: riduzione della migrazione irregolare, attività relative al rimpatrio e alla protezione delle frontiere, prevenzione della migrazione irregolare, sviluppo delle capacità in materia di asilo, inclusione sociale e integrazione.
La Commissione europea rileva che le misure di risposta coordinate dall’UE a sostegno degli sforzi nazionali hanno permesso nel 2017 di ridurre del 91% i flussi migratori irregolari attraverso la regione dei Balcani occidentali e di stabilizzare globalmente la situazione lungo i confini. La Commissione europea raccomanda di potenziare ulteriormente la capacità amministrativa e le infrastrutture in tutta la regione dei Balcani occidentali.
La Commissione rileva che nonostante l’aumento dei tassi di crescita negli ultimi anni tutti i Paesi dei Balcani occidentali devono affrontare notevoli sfide strutturali di natura economica e sociale, tra cui alti tassi di disoccupazione, specialmente fra i giovani, forti squilibri tra domanda e offerta di competenze, livelli persistentemente elevati di economia informale, contesti imprenditoriali inadeguati, con un accesso limitato ai finanziamenti, e bassi livelli di innovazione e di connettività regionale.
Il clima degli investimenti risente in particolare della mancata indipendenza ed efficienza dei sistemi giudiziari e dell’applicazione non uniforme delle norme in materia di concorrenza. L’influenza dello Stato sull’economia è forte in tutta la regione, il che accentua il rischio di corruzione a causa di una cattiva gestione delle finanze pubbliche. La Commissione ritiene che occorra potenziare i quadri normativi in materia di governo societario e portare a termine il processo di privatizzazione. Gli investimenti infrastrutturali nella regione dovrebbero essere coerenti con le priorità concordate con l’UE, in particolare nell’ambito dell’estensione delle reti transeuropee di trasporto ai Balcani occidentali.
La Commissione considera la cooperazione regionale un elemento fondamentale per garantire la stabilizzazione politica e le opportunità economiche.
L’agenda UE per la connettività ha impresso, in particolare, un ulteriore impulso alla cooperazione regionale nei Balcani occidentali. Nel 2017 i leader della regione hanno approvato a Trieste un piano d’azione per lo spazio economico regionale e sottoscritto il Trattato relativo alla Comunità dei trasporti (v. infra Processo di Berlino).
Il programma Erasmus+ ha continuato a promuovere il dialogo interculturale nel campo dell’istruzione superiore e fra i giovani, sostenendo inoltre azioni a favore dell’internazionalizzazione e della modernizzazione degli istituti e dei sistemi di istruzione superiore.
Il piano d’azione regionale della strategia dell’UE per la regione adriatica e ionica ha contribuito allo sviluppo di progetti comuni (v. infra La strategia adriatico-ionica).
Nell’ambito delle relazioni di buon vicinato occorrono ulteriori sforzi negli ambiti più sensibili, quali i crimini di guerra, le persone scomparse, la criminalità organizzata e la cooperazione giudiziaria e di polizia.
Le controversie bilaterali devono essere risolte urgentemente dalle parti responsabili. I risultati ottenuti in questo senso sono ancora limitati, in particolare occorrono progressi verso la piena normalizzazione delle relazioni tra Serbia e Kosovo. Per quanto riguarda l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, occorre mettere a profitto i progressi registrati verso una soluzione concordata e reciprocamente accettabile della questione del nome.
Si ricorda che il 12 giugno 2018 i primi ministri della Grecia e dell’Ex Repubblica di Macedonia hanno raggiunto una intesa sul nome dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia, che era alla base di una disputa tra il paese e la Grecia e che è stato uno degli elementi che ha bloccato fino ad ora la decisione sull’avvio dei negoziati di adesione. Secondo l’intesa raggiunta il nuovo nome del paese sarà Repubblica della Macedonia del Nord. Successivamente, il 30 settembre 2018 si è svolto nell’EX Repubblica di Macedonia un referendum consultivo sul cambiamento del nome che, pur approvato da circa il 94% degli partecipanti, non ha raggiunto il quorum minimo del 50% degli aventi diritto al voto (ha partecipato circa il 37%). Il Parlamento dell’Ex Repubblica della Macedonia ha comunque approvato il 19 ottobre 2018, a maggioranza dei due terzi, la modifica costituzionale relativa al cambiamento del nome.
Nella comunicazione del 6 febbraio 2018 su una nuova prospettiva per l’allargamento dell’UE ai Balcani occidentali - nella quale, in particolare, si prospetta la possibilità di un ingresso di Serbia e Montenegro nell’UE per il 2025 - la Commissione europea ha proposto 6 iniziative faro volte rispettivamente a:
1) rafforzare lo Stato di diritto, anche mediante una più stretta valutazione dell'attuazione delle riforme e nuove missioni consultive in tutti i paesi;
2) promuovere la cooperazione nella sicurezza e la migrazione, in particolare nella lotta contro la criminalità organizzata, il terrorismo e l'estremismo violento nonché nella sicurezza delle frontiere e nella gestione della migrazione. In particolare saranno distaccati nella regione funzionari di collegamento di Europol. Saranno ulteriormente promosse squadre investigative comuni e saranno conclusi accordi con l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera;
3) sostenere lo sviluppo socioeconomico, promuovendo la concessione di garanzie per attrarre investimenti privati, sostenere start up e PMI, agevolare gli scambi commerciali ed una maggiore assistenza finanziaria a sostegno del settore sociale, in particolare per l'istruzione e la sanità;
4) promuovere la connettività nel settore dei trasporti e dell'energia tra la regione dei Balcani e l'UE, attraverso un ricorso più efficace al meccanismo per collegare l'Europa nei paesi dei Balcani occidentali e estendendo tutte le iniziative previste nell’ambito dell’Unione dell’energia dell’UE ai Balcani occidentali;
5) varare un’Agenda digitale per i Balcani occidentali volta ad abbassare i costi di roaming, sostenere la diffusione della banda larga nella regione e promuovere i profili digitali nell’amministrazione, gli appalti e la sanità;
6) promuovere la riconciliazione e le relazioni di buon vicinato, attraverso il sostegno alla giustizia di transizione ed una maggiore cooperazione nei settori dell'istruzione, della cultura, della gioventù e dello sport.
Il 17 maggio 2018 si è svolto a Sofia il vertice tra l’UE e i Balcani occidentali.
Il vertice ha cadenza biennale e il prossimo si dovrebbe svolgere nel corso della Presidenza croata del Consiglio dell’UE nel primo semestre del 2020.
A conclusione vertice è stato adottata una dichiarazione nella quale si:
· ribadisce l'impegno dell'UE nei confronti dei suoi partner dei Balcani occidentali a favore della prospettiva europea per l'intera regione (la dichiarazione non fa però espresso riferimento ad una futura adesione dei Balcani occidentali all’UE, come invece nella dichiarazione adottata in occasione del Consiglio europeo di Salonicco del 2003) ed a mantenere l'impegno a favore dello Stato di diritto nella regione;
· prevedono iniziative volte a rafforzare la connettività tra l'UE e i paesi dei Balcani occidentali in termini di infrastrutture di trasporto, connettività digitale, sicurezza energetica, contesto imprenditoriale, opportunità per giovani;
· afferma l’impegno a collaborare più strettamente per affrontare sfide comuni, come la sicurezza, la migrazione, gli sviluppi geopolitici e le relazioni di buon vicinato. In particolare la dichiarazione invita a sviluppare ulteriormente la cooperazione per: arginare i flussi migratori irregolari; nella lotta al terrorismo e all'estremismo e nella prevenzione della radicalizzazione; nel contrasto alla disinformazione e alle minacce ibride.
Per sostenere l'attuazione della dichiarazione di Sofia, la Commissione europea ha contestualmente annunciato un nuovo pacchetto di misure intese a potenziare la connettività nella regione e con l'UE e in particolare:
· un finanziamento per 190 milioni di euro per 11 progetti di trasporto a elevata priorità (strade, ferrovie, porti), che dovrebbero consentire di attivare fino a 1 miliardo di euro di prestiti provenienti dalle istituzioni finanziarie internazionali. Fra questi progetti si annoverano le prime due sezioni dell'“Autostrada della pace” (Niš-Priština-Durrës) e l'“Autostrada blu” lungo la costa adriatica;
· finanziamento di 30 milioni di euro per promuovere lo sviluppo di una Agenda digitale per i Balcani occidentali e in particolare per diffondere la banda larga nella regione. L'UE elaborerà, inoltre, un calendario per abbassare i costi di roaming fra i Balcani occidentali e l'UE;
· l’impegno dell’UE a sostenere la transizione energetica, promuovendo le fonti di energia rinnovabile, compreso l'uso sostenibile dell'energia idroelettrica;
· il raddoppio del finanziamento del programma Erasmus+ per la regione dei Balcani e il varo di un progetto pilota per la mobilità nell'istruzione e formazione professionale.
Il Processo di Berlino è una iniziativa di cooperazione di natura intergovernativa, voluta dalla Germania e inaugurata con il Vertice tenutosi a Berlino il 28 agosto 2014.
Partecipano a tale iniziativa 7 Stati membri dell’UE (Austria, Croazia, Francia, Germania, Italia, Slovenia e da ultimo anche il Regno Unito) e i 6 paesi dei Balcani occidentali (Albania, Bosnia Erzegovina, Ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Kosovo, Montenegro e Serbia).
In occasione del Vertice di Berlino nel 2014 è stata concordata l’agenda della connettività, volta a migliorare i collegamenti tra i Balcani occidentali e l’UE, puntando su progetti prioritari volti a stimolare gli investimenti e a promuovere crescita e occupazione, ma anche sull’adozione di standard tecnici e misure regolamentari, in tema di allineamento e semplificazione delle procedure di attraversamento delle frontiere, riforme ferroviarie, sicurezza stradale e manutenzione, accesso di terzi al mercato dei trasporti.
Uno dei primi risultati del Processo di Berlino è stato rappresentato dall’estensione della TEN-T (rete transeuropea dei trasporti) anche alla regione dei Balcani occidentali, concordata ad aprile 2015.
Obiettivo generale della TEN-T è quello di stabilire un'unica rete transeuropea multimodale per integrare trasporto terrestre, marittimo e aereo, consentendo a merci e persone di circolare rapidamente e facilmente tra gli Stati membri. Al suo finanziamento andranno per il periodo 2014-2020 oltre 26 miliardi di euro nell’ambito del meccanismo per collegare l'Europa (CEF). Il CEF è stato recentemente mobilizzato anche a favore di progetti nei Balcani occidentali, con un contributo iniziale di 11,4 milioni di euro.
Nel corso del secondo vertice del Processo di Berlino - svoltosi a Vienna nell’agosto 2015 - sono stati approvati 10 progetti infrastrutturali per energia (4) e trasporti (6) per 615 milioni di euro, di cui un terzo da fondi europei di pre-adesione (IPA II), e il resto tramite il Western Balkans Investment Framework WBIF (iniziativa congiunta di Commissione, Banca per lo sviluppo del Consiglio d’Europa, Banca europea per la ricostruzione e sviluppo e Banca per gli investimenti e governi dei paesi dei Balcani occidentali volta a coordinare sovvenzioni e prestiti).
Tra i vari progetti volti a creare un mercato unico per l’energia nei Balcani, anche il tratto tra Albania e Macedonia del gasdotto TAP, diretto in Puglia.
In occasione del Vertice di Parigi nel luglio 2016, è stato annunciato lo stanziamento di ulteriori 146 milioni di Euro a favore di progetti per la connettività nella regione dei Balcani occidentali, di cui 96 milioni di euro per progetti tesi a migliorare l’infrastruttura ferroviaria in Serbia, Albania e Kosovo e 50 milioni di euro per progetti di efficienza energetica degli edifici e progetti per la creazione di energia idroelettrica nella regione.
In occasione del vertice di Trieste, svoltosi il 12 luglio 2017 sotto Presidenza Italiana, sono stati esaminati i progressi compiuti e lo stato di attuazione dai progetti avviati nell’ambito dell’agenda della connettività nel corso dei Summit dei vertici del 2015 e del 2016 ed è stato raggiunto un accordo per lanciare altri 7 progetti di connettività, per i quali è previsto un investimento totale di oltre 500 milioni di euro, di cui 194 milioni sotto forma di fondi UE per il co-finanziamento.
Si ricorda che dal 2015 ad oggi il finanziamento per la connettività ha superato il tetto di 1,4 miliardi di euro per un totale di 20 progetti di investimento.
In occasione del vertice di Trieste è stato firmato il Trattato per l'istituzione della Comunità dei Trasporti da parte dell'Unione Europea e dei paesi dei Balcani Occidentali che ha l'obiettivo di contribuire alla creazione di una rete di trasporti integrata tra gli stessi partner dei Balcani Occidentali e tra la regione e la UE, e di arrivare ad una convergenza con gli standard e le politiche dei trasporti della UE.
In tema di energia è stato deciso di promuovere il collegamento tra il Mercato Regionale dell'Energia Elettrica dei Balcani Occidentali ed il Mercato Interno dell'Energia Elettrica della UE.
Nel corso del vertice di Trieste è stato, inoltre, approvato un piano d’azione per lo sviluppo di uno spazio economico regionale articolato in quattro dimensioni: commercio; investimenti; mobilità; dimensione digitale. Particolare rilievo, nel corso del Vertice, è stato attribuito alla lotta contro il terrorismo, l'estremismo, la radicalizzazione e il crimine organizzato, nonché alle misure per prevenire la migrazione irregolare.
L’ultimo vertice del processo di Berlino si è svolto a Londra il 9 e 10 luglio 2018 e si è incentrato in particolare su tre temi: la stabilità economica della regione balcanica, con i problemi relativi alla disoccupazione giovanile e al basso livello di imprenditorialità locale; la cooperazione in materia di sicurezza regionale, con il contrasto al mercato nero delle armi, al terrorismo e alla corruzione; la cooperazione politica tra i soggetti coinvolti, con il superamento delle controversie relative a dispute bilaterali sui confini e questioni legate alle conseguenze delle guerre degli anni ’90. I principali risultati del vertice di Londra sono stati la firma di un accordo sulla sede della Comunità dei trasporti dell’Europa sudorientale a Belgrado e l’impegno ad istituire, a partire dal 2019, nuovi strumenti economici e finanziari per sostenere la crescita e la stabilità economica dell’area.
Il prossimo vertice, previsto nel 2019, si svolgerà a Varsavia in Polonia.
La Strategia adriatico-ionica, approvata dal Consiglio europeo di ottobre 2014 (durante il semestre di Presidenza italiana dell’UE), è stata inaugurata a novembre 2014.
La Strategia adriatico-ionica è rivolta ad otto Paesi – di cui quattro Stati membri (Croazia, Grecia, Italia e Slovenia) e quattro Paesi dei Balcani occidentali, che non fanno ancora parte dell’UE (Albania, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Serbia)
La Strategia ha l'obiettivo di promuovere una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva; a tal fine, la Strategia intende migliorare l'attrattiva della regione, la sua competitività e connettività, preservando al tempo stesso l'ambiente ed assicurandosi che gli ecosistemi costieri e marini restino sani ed equilibrati.
La Commissione europea ha individuato quattro obiettivi primari:
· crescita blu: l'obiettivo di questo pilastro, coordinato da Grecia e Montenegro, è favorire una crescita innovativa, in particolare nei settori della pesca e dell'acquacoltura. A questo fine vanno si sottolinea l’importanza di creare cluster che coinvolgano centri di ricerca, agenzie pubbliche e imprese private;
· collegare la regione: l'obiettivo di questo pilastro, coordinato da Italia e Serbia, è migliorare la connettività dei trasporti e dell'energia nella regione e con il resto dell'Europa;
· qualità ambientale: l'obiettivo di questo pilastro, coordinato da Slovenia e Bosnia-Erzegovina, è ridurre l'inquinamento del mare e dell’aria, mitigando l'impermeabilizzazione del suolo e arrestando la perdita di biodiversità e la degradazione degli ecosistemi;
· turismo sostenibile: l'obiettivo di questo pilastro, coordinato da Croazia e Albania, è sviluppare appieno il potenziale della regione in termini di turismo, favorendo la diversificazione dei prodotti e dei servizi turistici e il superamento della stagionalità.
[1] Si veda al riguardo il Dossier n. 21 a cura del Servizi Studi del Senato.
[3] Fonte: Agence Europe n. 12135 del 13 novembre 2018.
[5] Per maggiori dettagli sull'interoperabilità dei sistemi di informazione dell'UE, si rinvia alla pubblicazione della Commissione europea "Security union. Interoperability of EU Information systems".
[6] Per maggiori dettagli sull'interoperabilità dei sistemi di informazione dell'UE, si rinvia alla pubblicazione della Commissione europea "Cybersecurity" nonché al sito del Consiglio europeo.
[7] Il regolamento non è ancora stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell'Ue.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem.
[10] Escludendo i settori LULUCF (uso del suolo, cambiamento d’uso del suolo e silvicoltura) e includendo l’aviazione internazionale.
[11] Il programma REFIT è volto a semplificare la legislazione dell'UE e ridurre i costi della regolamentazione in particolare per le PMI, attraverso una piattaforma composta da esperti provenienti da tutti i 28 Stati membri, dal Comitato economico e sociale europeo e dal Comitato delle regioni, nonché da imprese, parti sociali e società civile e da un apposito sito attraverso il quale le parti interessate possono formulare suggerimenti alla piattaforma.
[12] L’ASA con l’ex Repubblica iugoslava di Macedonia è entrato in vigore ad aprile 2004, quello con l’Albania ad aprile 2009, quello con il Montenegro a maggio 2010, quello con la Serbia a settembre 2013, quello con la Bosnia- Erzegovina a giugno 2015 e quello con il Kosovo il 1° aprile 2016