Disposizioni concernenti la conservazione del posto di lavoro e i permessi retribuiti per esami e cure mediche in favore dei lavoratori affetti da malattie oncologiche, invalidanti e croniche. 7 luglio 2022 |
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Il quadro normativo vigente|Contenuto|Analisi di impatto di genere| |
Il testo unificato (C.2098 ed abbinate), approvato dalla XI Commissione (Lavoro), reca disposizioni concernenti il diritto a congedi e alla conservazione del posto di lavoro per i lavoratori affetti da patologie oncologiche o altre gravi malattie temporaneamente invalidanti o croniche (c.d. periodo di comporto, su cui cfr. par. seguente). Il testo reca altresì norme concernenti i permessi di lavoro per visite, esami strumentali e cure mediche.
L'intervento legislativo si giustifica in ragione dell'esigenza di consentire ai lavoratori affetti da gravi patologie di conservare il posto di lavoro per un periodo ulteriore rispetto a quello attualmente previsto, nonché di far fronte alle necessità terapeutiche e a percorsi di cura spesso lunghi e complessi, anche tenendo conto dei progressi della scienza medica.
Il quadro normativo vigenteSi richiama preliminarmente la normativa vigente in materia di diritto alla conservazione del posto di lavoro. Il nostro ordinamento contempla fra le cause di sospensione del rapporto di lavoro, all'articolo 2110 c.c. – applicabile sia ai dipendenti pubblici sia ai lavoratori del settore privato - l'infortunio, la malattia, la gravidanza e il puerperio. Il lavoratore che non è nelle condizioni di garantire la prestazione lavorativa ha diritto alla corresponsione di una retribuzione o un'indennità nella misura e per il tempo determinati dalla legge o dalle altre fonti di diritto e alla conservazione del posto di lavoro per un periodo (c.d. Il periodo di comportoperiodo di comporto). Ciò è il frutto di un bilanciamento tra l'interesse del datore di lavoro a esigere l'esecuzione della prestazione lavorativa e quello del prestatore di lavoro alla conservazione del posto di lavoro nel lasso di tempo in cui è concretamente impossibilitato a svolgere la prestazione, in assenza del quale il datore sarebbe legittimato ad estinguere il rapporto di lavoro per grave inadempimento contrattuale (art. 2110, comma 2, c.c.). Il datore di lavoro, dunque, in caso di infortunio e malattia del lavoratore, può procedere con il licenziamento ai sensi dell'art. 2118 c.c. solo decorso il periodo di comporto. Quanto alla durata del periodo di comporto, essa è stabilita dalla legge, dai contratti collettivi, ovvero, in mancanza, è determinata dagli usi o secondo equità ed è normalmente differenziato in relazione all'anzianità di servizio. I contratti collettivi prevedono due tipologie di comporto: "secco", se il periodo di conservazione del posto è riferito ad un'unica ed ininterrotta malattia di lunga durata; "per sommatoria", se si sommano le malattie verificatesi in un determinato arco di tempo.
Se il contratto collettivo lo prevede, il dipendente può inoltrare richiesta di
aspettativa non retribuita per un periodo massimo indicato dal contratto e scongiurare il superamento del comporto. Il datore di lavoro non può rifiutare l'aspettativa, a meno che dimostri la sussistenza di seri motivi impeditivi alla concessione della stessa.
Tuttavia, la giurisprudenza ha affermato il principio secondo cui il lavoratore ha la facoltà di sostituire la malattia con la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di interrompere il decorso del comporto (cfr. Cass. 14 settembre 2020, n. 19062). Come più volte sottolineato, infatti, deve ritenersi prevalente l'interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto (cfr., tra le altre, Cass. 11 maggio 2000, n. 6043, Cass. 17 febbraio 2000, n. 1774; Cass. 26 ottobre 1999, n. 12031, Cass. 15 dicembre 2008 n. 29317, Cass. 3 marzo 2009 n. 5078).
Sul datore di lavoro grava il Divieto di licenziamentodivieto di procedere a licenziamento per cause riferibili allo stato di salute del prestatore di lavoro derivanti dalla malattia o dall'infortunio, pena la nullità del licenziamento stesso (art. 2110, comma 2, c.c.).
Tuttavia, affinché il prestatore di lavoro possa beneficiare del diritto alla conservazione del posto è tenuto ad osservare comportamenti tali da non ledere il rapporto di lavoro subordinato con il datore di lavoro. Nello specifico, il diritto alla protezione dell'integrità fisica e morale deve essere accompagnato dal rispetto da parte del lavoratore dei principi di buona condotta, correttezza e buona fede, che sono alla base di ogni rapporto di lavoro subordinato di cui all'art. 2094 c.c.
Per costante giurisprudenza, durante il periodo di comporto il datore di lavoro ha facoltà di procedere al licenziamento solo nel caso in cui sussista una giusta causa ai sensi dell'art. 2119 c.c. (Cass. Sez. lav. sent. 1 giugno 2005, n.11674), quindi per condotte aventi rilevanza disciplinare, ad esempio comportamenti inconciliabili con lo stato di malattia o infortunio o che possano ostacolare una perfetta guarigione. Lo svolgimento di un'altra attività lavorativa da parte del lavoratore infortunato o in malattia può costituire causa di licenziamento per giusta causa nel caso in cui l'attività espletata possa ritardare la guarigione o attesti che la causa di malattia è in realtà inesistente (Cass. Sez. IV Lav., 23 maggio 2017, n. 12902, Cass. Civ. sez. lav., 13/03/2018, n.6047).
La Corte di Cassazione (nella sentenza delle Sezioni Unite n. 12568/2018) si è pronunciata con riguardo alla natura del licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato prima del decorso completo del medesimo. La Corte ha sostenuto che tale licenziamento, al momento dell'intimazione, è privo di giusta causa o giustificato motivo. In particolare, si tratterebbe d'un licenziamento sostanzialmente "acausale" disposto al di fuori delle ipotesi residue previste dall'ordinamento, nonché di "un modo per aggirare l'interpretazione dell'art. 2110, comma 2, c.c. e ignorarne la
ratio, che è quella di garantire al lavoratore un ragionevole arco temporale di assenza per malattia o infortunio senza perdere l'occupazione. Ne consegue pertanto la
nullità del licenziamento per violazione di norme imperative.
In linea generale, per quanto concerne il Settore pubblicosettore pubblico, la tutela dei soggetti affetti da patologie oncologiche si inserisce in un quadro più ampio; la contrattazione, infatti, riconosce determinate agevolazioni ai dipendenti affetti da patologie gravi, non solo oncologiche, che richiedono terapie salvavita. In generale, numerosi CCNL dispongono che i lavoratori pubblici abbiano diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi nel triennio, con retribuzione intera per i primi nove mesi, decurtata del 10 per cento nei successivi tre mesi e del 50 per cento negli ultimi sei mesi, e di un ulteriore periodo di diciotto mesi senza retribuzione, con la garanzia del mantenimento del posto di lavoro. In presenza di gravi patologie che richiedano terapie salvavita, la contrattazione collettiva può estendere tale periodo di comporto, anche prevedendo l'esclusione dal computo delle assenze per malattia i relativi giorni di ricovero ospedaliero, di day-hospital o di accesso ambulatoriale e convalescenza postintervento nonché i giorni di assenza dovuti all'effettuazione delle citate terapie
Si ricorda che, in generale, dal computo del periodo di conservazione del posto di lavoro sono esclusi, tra gli altri, i seguenti periodi: le assenze per malattie determinate come causa diretta da gravidanza o puerperio; l'interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria; l'aborto spontaneo o terapeutico, purché intervenuto prima del 180° giorni dall'inizio della gestazione; le assenze per malattie imputabili al datore di lavoro per violazione degli obblighi di sicurezza; le assenze per infortunio e malattie professionali.
Si ricorda, inoltre, un ulteriore istituto disciplinato dal nostro ordinamento, ossia l'aspettativa per infermità (di cui all'art. 68, co. 3, del D.P.R. n. 3/1957 recante il Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) utilizzabile dal dipendente pubblico in caso di grave patologia. Tale aspettativa per infermità ha termine con il cessare della causa per la quale fu disposta e non può protrarsi per più di diciotto mesi. Ai sensi dei successivi commi 4 e 6, durante l'aspettativa l'impiegato ha diritto all'intero stipendio per i primi dodici mesi ed alla metà di esso per il restante periodo, conservando integralmente gli assegni per carichi di famiglia. Il tempo trascorso in aspettativa per infermità, inoltre, è computato per intero ai fini della progressione in carriera, dell'attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e previdenza.
Sul punto, si segnala che la Corte costituzionale, con sentenza n. 28/2021, ha dichiarato l'
illegittimità costituzionale del richiamato comma 3, nella parte in cui, per il caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti,
non esclude dal computo dei consentiti diciotto mesi di assenza per malattia i giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital e quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie. Il mancato riconoscimento del periodo di comporto, si legge nella sentenza, "manifesta una intrinseca irrazionalità che lo rende costituzionalmente illegittimo per violazione, sotto questo diverso profilo, dell'art. 3 Cost.: esso è la manifestazione di un ritardo storico del legislatore rispetto alla contrattazione collettiva. Quest'ultima con la sua naturale dinamicità, è stata in grado di tener conto del progressivo sviluppo dei protocolli di cura per le gravi patologie, e in particolare delle cosiddette terapie salvavita con i loro pesanti effetti invalidanti; ciò al contrario non è avvenuto per la disciplina normativa, che, risalente ad anni ormai lontani, non è più adeguata al contesto attuale, caratterizzato – come si è detto – dalla profonda evoluzione delle terapie".
Nel Settore privatosettore privato, fatte salve le disposizioni più favorevoli contenute nei contratti collettivi, solo per gli impiegati la durata del comporto è regolamentata e differenziata in relazione all'anzianità di servizio del lavoratore:
Per gli operai, invece, la durata del periodo di comporto è stabilita esclusivamente dalla contrattazione collettiva. Non essendo dunque prevista, anche nel settore privato, una durata differenziata del periodo di comporto nel caso di patologia oncologica, è demandata alla contrattazione collettiva la possibilità di estendere tale periodo nelle particolari ipotesi di gravi patologie.
Sul punto, si richiama la circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 40 del 22 dicembre 2005, che ha demandato alla contrattazione collettiva "la possibilità di estensione del suddetto periodo nelle particolari ipotesi di malattie lunghe, caratterizzate dalla necessità di cure post-operatorie, terapie salvavita e di una conseguente gestione flessibile dei tempi di lavoro. Tali ipotesi particolari di estensione del periodo di comporto si rivelano particolarmente significative con riferimento a lavoratori affetti da malattie oncologiche, che spesso necessitano di un periodo di comporto più ampio rispetto a quello previsto in via ordinaria".
Per i Lavoratori autonomilavoratori autonomi, l'articolo 14, comma 1, della L. n. 81/2017 ha introdotto disposizioni a tutela della malattia, degli infortuni e della gravidanza, prevedendo che in tali casi il rapporto di lavoro non si estingua se il lavoratore presta la sua attività in via continuativa per il committente; fatto salvo il venir meno dell'interesse del committente, il lavoratore può chiedere la sospensione, senza diritto al corrispettivo, dell'esecuzione del rapporto di lavoro per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare. I lavoratori Iscritti alla Gestione separataiscritti alla gestione separata, qualora siano impossibilitati a prestare attività lavorativa, in caso di malattia e di terapie oncologiche, dal 2012 hanno diritto a un'indennità massima di centottanta giorni, ai sensi dell'art. 24 co. 26, del D.L. 201/2011 (vedi infra). Inoltre, l'indennità di malattia è equiparata alla degenza ospedaliera per i periodi di malattia certificata come conseguente a trattamenti terapeutici di malattie oncologiche e per i periodi di gravi patologie cronico- degenerative ingravescenti o che comunque comportino un'inabilità lavorativa temporanea del 100 per cento (art. 8, co. 10, della L. 81/2017).
Si ricorda che interventi normativi successivi hanno progressivamente esteso l'indennità di malattia ai lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata, ai sensi dell'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non iscritti ad altra forma previdenziale obbligatoria e non titolari di pensione (lavoratori con contratto a progetto o di collaborazione coordinata e continuativa, liberi professionisti senza cassa previdenziale, associati in partecipazione, venditori a domicilio). A tale riguardo, si ricorda che l'articolo 1, comma 788, della legge n. 296/2006 ha introdotto norme specifiche per la malattia in favore dei lavoratori a progetto e categorie assimilate e che, come anticipato, l'articolo 24, comma 26, del D.L. n. 201/2011 ha esteso ai professionisti iscritti alla Gestione separata, a decorrere dal 1° gennaio 2012, le tutele in materia di malattia e maternità previste dal richiamato comma della legge n. 296/2006. Per quanto concerne i benefìci citati, si tratta, in primo luogo, della corresponsione di un'indennità giornaliera di malattia, a carico dell'INPS, entro il limite massimo di giorni pari a un sesto della durata complessiva del rapporto di lavoro e, comunque, non inferiore a venti giorni durante l'anno solare, con esclusione degli eventi morbosi di durata inferiore a quattro giorni.
Inoltre, a decorrere dal 5 settembre 2019, il D.L. 101/2019 ha introdotto alcune modifiche alla disciplina delle indennità di malattia e di degenza ospedaliera relative ai suddetti lavoratori. In primo luogo, è stato ridotto il requisito contributivo richiesto per la fruizione di tali indennità prevedendo che queste siano corrisposte, fermi restando gli altri requisiti vigenti, a condizione che risulti attribuita una mensilità (in luogo delle tre precedentemente previste) della contribuzione dovuta alla suddetta Gestione separata nei dodici mesi precedenti la data di inizio dell'evento o dell'inizio del periodo oggetto della prestazione. Inoltre, a decorrere dalla medesima data, sono state raddoppiate le aliquote per la determinazione della misura delle indennità in oggetto (art. 1, co. 1, lett. b), D.L. 101/2019).
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ContenutoIl testo unificato, all'articolo 1, comma 1, dispone, per i lavoratori (sia nel settore pubblico che privato) affetti da malattie oncologiche, invalidanti o croniche, individuate con decreto del Ministro della salute ai sensi del successivo articolo 3, il diritto a richiedere un periodo di Congedo e conservazione del posto di lavorocongedo, continuativo o frazionato, non superiore a ventiquattro mesi. Tale congedo è compatibile con la concorrente fruizione di altri eventuali benefici, economici o giuridici, e la sua fruizione decorre dall'esaurimento degli altri periodi di assenza giustificata, a qualunque titolo riconosciuti al dipendente (quali, dunque, i periodi di congedo già oggi riconosciuti dalla contrattazione collettiva o da norme di legge in via generale per i casi di malattia e infortunio, descritti nel paragrafo precedente). Durante il congedo il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, non ha diritto alla retribuzione e non può svolgere alcun tipo di attività lavorativa. Tale congedo non è computato nell'anzianità di servizio né ai fini previdenziali. Sono comunque fatte salve norme di maggiore favore eventualmente previste dai contratti collettivi nazionali di categoria. La certificazione di malattia, in questi casi, è rilasciata dal medico di medicina generale o dal medico specialista operante in struttura pubblica o privata convenzionata (articolo 1, comma 2). All'articolo 1, comma 4, si prevede che, decorso il termine di congedo di cui al comma 1, per lo svolgimento della propria attività lavorativa il lavoratore ha accesso prioritario alla modalità agile, ove possibile, ai sensi della L. 81/2017. Con riferimento al lavoro autonomo, all'articolo 1, comma 3, si prevede che, al ricorrere delle suddette malattie, la sospensione dell'esecuzione della prestazione dell'attività svolta in via continuativa per il committente da parte del lavoratore autonomo, già prevista dall'articolo 14 della legge n. 81/2017, in via generale, per un periodo fino a centocinquanta giorni, si applichi per un periodo non superiore a trecento giorni per anno solare. Sul punto, si ricorda che, in via generale, per i casi di malattia, gravidanza o infortunio la normativa vigente (art. 14 della L. 81/2017) riconosce tale sospensione in favore dei suddetti lavoratori per un massimo di centocinquanta giorni, senza diritto al corrispettivo e previa richiesta del lavoratore.
Il testo unificato, all'articolo 2, comma 1, dispone che i Permessi di lavoro per visite, esami strumentali e cure mediche dipendenti di lavoro pubblici o privati affetti dalle malattie oncologiche, invalidanti o croniche individuate con decreto del Ministro della salute ai sensi del successivo articolo 3, previa prescrizione del proprio medico di medicina generale o medico specialista operante in struttura pubblica o privata convenzionata, possano fruire di un numero annuale di ore di permesso retribuito per visite, esami strumentali e cure mediche frequenti, oltre a quanto previsto dalla normativa vigente e dai contratti collettivi nazionali di lavoro, fino ad un aumento massimo di 10 ore. Nel caso in cui il paziente sia minore d'età, i permessi sono attribuiti ai genitori che li accompagnano alle visite di controllo. L'articolo 2, comma 2, dispone che, per la fruizione delle ore di permesso aggiuntive, nel settore privato il datore di lavoro chieda il rimborso degli oneri a suo carico all'ente previdenziale, mentre nel settore pubblico le amministrazioni provvedano alla sostituzione del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario delle istituzioni scolastiche, nonché del personale per il quale sarà prevista la sostituzione obbligatoria dai provvedimenti di cui all'articolo 3 attuativi della norma in esame, nel rispetto della contrattazione collettiva nazionale. Ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 2, agli oneri conseguenti, stimati in 52 milioni di euro a decorrere dal 2022, si provvede tramite corrispondente riduzione del Fondo per le esigenze indifferibili. Secondo quanto previsto dal comma 4 dell'articolo 2 in esame, nell'ipotesi di fruizione irregolare, le somme revocate e riscosse sono verste all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate alla medesima finalità di spesa.
In base alla normativa generale, si ricorda che i malati oncologici cui venga riconosciuto un handicap in situazione di gravità possono godere dei permessi retribuiti previsti dalla L. 104/1992 pari a 2 ore giornaliere o 3 giorni mensili continuativi o frazionati.
Inoltre, l'articolo 7 del D.Lgs. 119/2011 dispone che i lavoratori mutilati e invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa superiore al cinquanta per cento possono fruire ogni anno, anche in maniera frazionata, di un congedo per cure per un periodo non superiore a 3 giorni.
Ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del testo unificato, le disposizioni ivi contenute si applicano ai casi di malattie oncologiche dalla data della sua entrata in vigore. L'elenco delle malattie invalidanti o croniche al cui sussistere sono riconosciuti i congedi e i permessi di cui agli articoli 1 e 2 è individuato da un decreto del Ministro della salute L'articolo 3, comma 2, del testo unificato, dispone che tramite Provvedimenti attuatividecreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale venga fissata la disciplina attuativa dell'articolo 2, prevedendo in particolare:
L' emanazione dei decreti di cui ai commi 1 e 2 è prevista entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per la pubblica amministrazione, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari. La medesima procedura è prevista per la modificazione o integrazione dei predetti decreti. |
Analisi di impatto di genereDelle differenze di genere in ambito medico si occupa la Medicina di genereMedicina di genere, sviluppatasi in tempi recenti e definita dall'Organizzazione mondiale della sanità come lo studio dell'influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. La medicina di genere non è dunque una branca a sé stante dell'area medica, ma è caratterizzata da una dimensione interdisciplinare Ciò che emerge dalla medicina di genere, come riportato dall'Istituto superiore di sanità, è che le donne si ammalano di più, consumano più farmaci e che nei Paesi occidentali, nonostante vivano più a lungo degli uomini, l'aspettativa di "vita sana" è equivalente tra i due sessi. Inoltre, è stato dimostrato che a livello cellulare numerosi determinanti sono alla base delle differenze tra cellule maschili e femminili e di conseguenza, a livello mondiale, sono state date indicazioni per affrontare in modo corretto tutte le fasi dalla ricerca sperimentale, nell'ambito della quale a lungo i soggetti arruolati sono stati prevalentemente di sesso maschile, Nel 2019 il Ministero della Salute ha approvato formalmente il "Piano per l'applicazione e la diffusione della medicina di genere sul territorio nazionale" a seguito del quale è stato costituito, nel 2020, l'Osservatorio dedicato alla Medicina di Genere, con l'obiettivo, tra gli altri, di individuare indicatori specifici di monitoraggio. Sul punto, un recente studio pubblicato dalla Rivista italiana della medicina di genere evidenzia come la valutazione dell'impatto di genere per l'inclusione del sesso e del genere nei risultati sanitari può contribuire favorevolmente a migliorare l'efficacia degli interventi sanitari e a promuovere obiettivi di uguaglianza di genere e di salute. Ai fini di una valutazione sull'impatto di genere del testo unificato in commento, di seguito si riportano i dati pubblicati sul volume "I numeri del cancro in Italia 2020" redatto dall'Associazione italiana oncologia medica sulla base dei dati di popolazione raccolti dai Registri Tumori Italiani. La tabella seguente rileva che in Italia, all'ultimo aggiornamento disponibile, i nuovi casi di neoplasie maligne sono circa 377.000 (esclusi i tumori della cute non melanomi): 195.000 per gli uomini e 182.000 per le donne. Questo numero totale rappresenta il frutto di una proiezione basata sui tassi di incidenza dei tumori diagnosticati fino al 2016 nelle aree italiane coperte dai registri tumore tenendo conto dell'età, del sesso e della area geografica di residenza. Fattori, questi, che non rimangono costanti nei vari periodi di registrazione dei tumori su base di popolazione, e che possono causare di per sé differenze temporali nelle stime. Inoltre, data la vasta eterogeneità delle malattie oncologiche, la lettura del quadro complessivo va accompagnata, per una visione esaustiva, da analisi specifiche patologia per patologia. Si segnala, inoltre, quanto emerge dal volume "Dossier donne" – Infortuni e malattie professionali, redatto nel 2021 dall'Inail: nelle denunce di malattie professionali suddivise per genere tra il 2015 e il 2019, i tumori, sia in termini assoluti che di incidenza, sono più denunciati dagli uomini che dalle donne (le 2.396 denunce di tumori protocollate nel 2019 per i lavoratori rappresentano il 5,4% delle denunce complessivamente presentate da uomini, contro le 240 denunce presentate da lavoratrici, pari all'1,4% di tutte le denunce presentate da donne). |