Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni |
Titolo: | Disposizioni in materia di enti locali - seconda edizione |
Riferimenti: | AC N.1356/XVIII |
Serie: | Progetti di legge Numero: 212 |
Data: | 17/03/2021 |
Organi della Camera: | I Affari costituzionali, V Bilancio |
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Camera dei deputati |
XVIII LEGISLATURA |
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Documentazione per l’esame di |
Disposizioni in materia di enti locali
A.C. 1356 |
Seconda edizione |
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n. 212
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Parte prima - Schede di lettura |
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17 marzo 2021 |
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INDICE
Articolo 2 (Semplificazione in materia di inconferibilità e incompatibilità)
Articolo 3 (Trattamento contributivo degli amministratori locali lavoratori autonomi)
Articolo 4 (Oneri connessi allo status degli amministratori delle unioni di comuni)
Articolo 5 (Responsabilità amministrativo-contabile dei dirigenti)
Articolo 6 (Soppressione di competenze dei sindaci e dei comuni)
Articolo 8, comma 2 (Dati relativi agli affidamenti di lavori, forniture e servizi)
Articolo 9 (Comunicazioni relativi al conto annuale)
Articolo 10 (Razionalizzazione delle comunicazioni contabili degli enti locali)
Articolo 11 (Abolizione di comunicazioni contabili)
Articolo 12 (Competenze del consiglio comunale)
Articolo 13 (Organo di revisione economico-finanziario)
Articolo 14 (Dirigenza apicale nei comuni)
Articolo 15 (Determinazione delle spese di personale e della capacità assunzionale nei comuni)
Articolo 16 (Semplificazione per le unioni di comuni)
Articolo 18 (Utilizzo temporaneo di segretari comunali collocati in disponibilità
Articolo 19 (Semplificazioni in materia di gestioni associate di servizi)
Articolo 21 (Rimborso delle spese legali degli amministratori locali)
Articolo 23 (Disposizioni in materia di società partecipate dai comuni)
Articolo 24 (Riscossione della TARI da parte dei gestori dei rifiuti)
Articolo 25 (Disciplina della TARI)
Articolo 26 (Imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni)
Articolo 27 (Addizionale comunale dei diritti d’imbarco aeroportuali)
Articolo 28 (Adeguamento delle tariffe del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche)
Articolo 28 (Adeguamento delle tariffe del canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche)
Articolo 29 (Semplificazioni in materia di imposta di registro)
Articolo 31 (Contributo unificato relativo ai processi tributari in cui è parte l’ente locale)
Articolo 32 (Competenza territoriale delle commissioni tributarie)
Articolo 35 ((Misure preventive per il contrasto dell'evasione dei tributi locali)
Articolo 36 (Potenziamento dell'attività di riscossione, accertamento e controllo degli enti locali)
Le Commissioni riunite I Affari costituzionali e V Bilancio della Camera hanno avviato il 17 ottobre 2019 l’esame in sede referente della proposta di legge A.C. 1356 (on. Pella ed altri) recante modifiche al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e altre disposizioni in materia di status e funzioni degli amministratori locali, di semplificazione dell'attività amministrativa e di finanza locale.
Tra il 30 ottobre e 5 novembre 2019 le Commissioni hanno proceduto ad una serie di audizioni informali di rappresentanti delle associazioni delle autonomie territoriali, quali ANCI, UPI, ALI-Autonomie locali italiane, Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, Unione nazionale comuni comunità enti montani (UNCEM).
La presente nuova edizione aggiorna il dossier del Servizio Studi (Prima parte – Schede di lettura) pubblicato il 16 ottobre 2019 dando conto delle modifiche normative intervenute nel frattempo e, principalmente, delle disposizioni della proposta di legge che sono state introdotte nell'ordinamento con l'approvazione di altri provvedimenti legislativi e che sono pertanto vigenti.
L’articolo 1 abolisce l’ineleggibilità dei sindaci alla carica di deputato e senatore (attualmente prevista per i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti) ed introduce una incompatibilità assoluta tra alcune cariche di amministratore locale (sindaco, presidente di provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale) e quella di membro del Parlamento (attualmente sono incompatibili le cariche di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali con popolazione superiore a 15.000 abitanti).
Il comma 1 abolisce l'ineleggibilità a membro del Parlamento per i sindaci, attraverso l’abrogazione dell’articolo 7, 1° comma, lett. c), della legge elettorale (D.P.R. 361/1957) che prevede, tra le altre, una causa di ineleggibilità per i sindaci dei comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti.
Le cause di ineleggibilità a deputato e senatore sono disciplinate dal D.P.R. 361/1957, recante il Testo unico delle leggi per la elezione della Camera, che si applica anche alla elezione del Senato in forza del rinvio contenuto nell’articolo 5 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica.
Sono ineleggibili alla carica di deputato e senatore: i presidenti delle giunte provinciali, i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, il capo, il vice capo della polizia e gli ispettori generali di pubblica sicurezza, i capi di gabinetto dei ministri, i Commissari del Governo presso le regioni[1], i prefetti, i viceprefetti ed i funzionari di pubblica sicurezza e gli ufficiali generali, gli ammiragli e gli ufficiali superiori delle Forze Armate dello Stato nelle circoscrizioni del loro comando territoriale[2] (D.P.R. 361/1957, art. 7, primo comma) [3].
Tra i soggetti ineleggibili erano inclusi anche i consiglieri regionali (art. 7, 1° comma, lett. a). La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale disposizione con la sentenza 344/1993 (vedi oltre).
Le cause di ineleggibilità non hanno effetto qualora l'esercizio delle relative funzioni sia cessato almeno 180 giorni prima della data di scadenza della legislatura[4] (D.P.R 361/1957, art. 7, terzo comma). In caso di scioglimento delle Camere che ne anticipi la scadenza di oltre 120 giorni, le ineleggibilità non hanno effetto se le funzioni siano cessate entro i 7 giorni successivi alla data di pubblicazione del decreto di scioglimento nella Gazzetta Ufficiale (D.P.R. 361/1957, art. 7, u.c.).
L'accettazione della candidatura a deputato o senatore comporta, in ogni caso, per i presidenti delle province e per i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, la decadenza dalle cariche elettive ricoperte (D.P.R. 361/1957, art. 7, quinto comma; D.Lgs. 267/2000, art. 62).
L’ineleggibilità del sindaco alla carica di parlamentare, a meno che non si dimetta al momento della candidatura, non opera nel caso contrario, ossia del parlamentare che si candida alla carica di sindaco. In questo caso, il candidato può proseguire il mandato parlamentare. In caso di elezione a sindaco, il parlamentare, a determinate condizioni, va incontro ad una situazione di incompatibilità e deve optare per una delle due cariche (vedi oltre)
Secondo la giurisprudenza costituzionale, l’ineleggibilità è volta ad impedire che i titolari di determinati uffici pubblici possano valersi dei poteri connessi alla loro carica per influire indebitamente sulla competizione elettorale, nel senso di alterare la par condicio fra i vari concorrenti attraverso la possibilità di esercitare una captatio benevolentiae o un metus publicae potestatis nei confronti degli elettori (Corte cost. sent. 5/1978).
Il diritto di elettorato passivo é, infatti, un diritto politico fondamentale che l'art. 51 Cost. riconosce e garantisce a ogni cittadino con i caratteri propri dell'inviolabilità. Tuttavia, può essere limitato, ma “soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la regione o il luogo di appartenenza” (Corte cost. sent. 235/1988).
Le cause di ineleggibilità, derogando al principio costituzionale della generalità del diritto elettorale passivo, sono di stretta interpretazione e devono comunque rigorosamente contenersi entro i limiti di quanto sia ragionevolmente indispensabile per garantire la soddisfazione delle esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate. Per l'art. 51 della Costituzione, l'eleggibilità è la regola, l'ineleggibilità l'eccezione (sent. 46/1969, 166/1972 510/1989 e 344/1993).
Tale assunto è stato ribadito nella sent. n. 25 del 2008, dove viene ricordato che l’art. 51 Cost. assicura, in via generale, il diritto di elettorato passivo senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadini (cfr. sen. 288/2007 e 235/1988). Pertanto, le restrizioni del contenuto di tale diritto sono ammissibili solo in presenza di situazioni peculiari ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un interesse generale. Di conseguenza, le cause di ineleggibilità sono di stretta interpretazione e devono essere contenute entro i limiti rigorosamente necessari al soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse, connesse alla funzione elettorale, cui sono di volta in volta preordinate (cfr. sen. 306/ 2003 e 132/2001).
Come accennato sopra, la Corte costituzionale con la sentenza 344/1993 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione della legge elettorale che includeva tra i soggetti ineleggibili anche i consiglieri regionali (DPR 361/1957, art. 7, 1° comma, lett. a).
La Corte, in particolare, ha ritenuto meritevole di riflessione se “l'ineleggibilità sia una conseguenza irragionevolmente sproporzionata rispetto alla natura dei poteri che ciascun consigliere regionale può esercitare al fine della captatio benevolentiae degli elettori. In effetti […] non risulta in alcun modo chiarito quali potrebbero essere i poteri attribuiti al consigliere regionale il cui esercizio, ove questi fosse candidato alle elezioni per la Camera o per il Senato, possa essere presuntivamente considerato come possibile fattore di turbativa della par condicio che in campagna elettorale dev'essere assicurata a tutti i candidati”. Pertanto, tale causa di ineleggibilità è da ritenersi “palesemente irragionevole e assolutamente incoerente con il sistema delle ineleggibilità legislativamente previsto”.
Pertanto, “la tenuità, se non l'inconsistenza, delle ragioni poste a base della previsione legislativa concernente l'ineleggibilità dei consiglieri regionali alla Camera dei deputati dimostra l'evidente mancanza di quella rigorosa prova dell'indispensabilità del limite esaminato rispetto all'esigenza primaria di assicurare una libera competizione elettorale, che questa Corte, a partire dalla sentenza n. 46 del 1969, costantemente richiede in riferimento al principio fondamentale contenuto nell'art. 51 della Costituzione. Per questo, infatti, l'eleggibilità è la norma, l'ineleggibilità è l'eccezione (v., da ultimo, sentt. nn. 388 e 310 del 1991; 539 del 1990; 510 del 1989; 1020 e 235 del 1988). Di modo che, ove la giustificazione dell'eccezione si rivelasse ragionevolmente priva di un legame necessario con l'esigenza di assicurare una corretta e libera concorrenza elettorale, non può non seguirne la dichiarazione d'illegittimità costituzionale della disposizione che la prevede”.
Viene, invece, mantenuta l’ineleggibilità a parlamentare dei presidenti di provincia (art. 7, 1° comma, lett. b), della legge elettorale).
In proposito si ricorda che in base alla legge 56/2014 il presidente della provincia è eletto tra i sindaci della provincia il cui mandato scada non prima di 18 mesi dalla data delle elezioni.
La riforma degli enti locali del 2017 ha profondamente innovato alla struttura delle province modificandone anche il sistema di elezione dei suoi organi. Attualmente, vige un sistema di elezione di secondo grado per cui il presidente della provincia è eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia e sono eleggibili a presidente i sindaci della provincia medesima, il cui mandato scada non prima di diciotto mesi dalla data di svolgimento delle elezioni. Il presidente della provincia dura in carica quattro anni, ma decade dalla carica in caso di cessazione dalla carica di sindaco. Pertanto, il presidente della provincia è contemporaneamente sindaco di un comune della provincia (L. 56/2014, art. 1, commi 51 e seguenti).
Il comma 2 dell’articolo in esame apporta alcune modifiche al testo unico degli enti locali (D.Lgs. 267/2000) connesse con l’abolizione dell’ineleggibilità dei sindaci a parlamentare di cui al comma 1.
In particolare, la lettera b) del comma 2, strettamente conseguenziale a tale abolizione, abroga la disposizione che prevede la decadenza automatica dei sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti e dei presidenti di provincia dalle cariche ricoperte in caso di accettazione della candidatura (art. 62 TUIL).
Si tratta di una norma di chiusura, risalente all’epoca antecedente l’introduzione dell’incompatibilità parziale tra la carica di sindaco e presidente di provincia e quella di parlamentare introdotta nel 2011 (vedi oltre). Essa è volta a sanzionare, appunto con la decadenza, l’accettazione della candidatura alle elezioni politiche senza avere presentato preventivamente, nei termini stabiliti dalla legge, le proprie dimissioni dalla carica ricoperta. Fermo restando che la valutazione dei titoli di ammissione degli eletti è effettuata dai competenti organi parlamentari in sede di verifica dei poteri. Di fatto, dunque, la violazione del divieto di accettazione della candidatura comportava dunque la trasformazione dell’ineleggibilità in d’incompatibilità. Incompatibilità che viene introdotta nel TUEL in modo esplicito dalla disposizione in esame (vedi oltre lett. c).
Mentre da un lato l’articolo in esame mantiene (come si è visto sopra) la causa di ineleggibilità in capo ai presidenti di provincia, dall’altro al comma 2 elimina la decadenza automatica non solo per i sindaci che accettano la candidatura a parlamentari (la cui ineleggibilità è soppressa), ma anche per i presidenti di provincia (per i quali è formalmente in vigore).
Tuttavia occorre considerare che, come ricordato, con il nuovo sistema elettorale di secondo grado introdotto con la legge n. 56/2014 la carica di presidente di provincia coincide necessariamente con quello di sindaco di un comune della provincia. Come già evidenziato sembrerebbe quindi che l’abolizione dell’ineleggibilità per i sindaci comporti, implicitamente, anche l’abolizione di quella dei presidenti di provincia.
La lettera c) del comma 2 dell’articolo in esame, introduce nel testo unico enti locali una causa d’incompatibilità tra la carica di sindaco, presidente di provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale e la carica di deputato o senatore della Repubblica. A tal fine interviene con una modifica dell’articolo 63 del TUEL, recante appunto le incompatibilità degli amministratori locali.
Un primo gruppo di cause di incompatibilità degli amministratori locali, finalizzato ad evitare l’insorgere di situazioni di conflitto di interessi è contenuto nel testo unico degli enti locali. In particolare l’articolo 63 del TUEL prevede le seguenti l’incompatibilità del sindaco, del presidente della provincia e dei consiglieri comunali, metropolitani, provinciali e circoscrizionali.
Le incompatibilità degli amministratori locali (ex art. 63 TUEL)
Art. 63, co. 1, n. 1) |
amministratore o dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza in cui vi sia almeno il 20 % di partecipazione rispettivamente da parte del comune o della provincia o che dagli stessi riceva, in via continuativa, una sovvenzione in tutto o in parte facoltativa, quando la parte facoltativa superi nell'anno il 10 % del totale delle entrate dell'ente |
Art. 63, co. 1, n. 2) |
colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti, nell’interesse del comune o della provincia, ovvero in società ed imprese volte al profitto di privati, sovvenzionate da detti enti in modo continuativo, quando le sovvenzioni non siano dovute in forza di una legge dello Stato o della regione, fatta eccezione per i comuni con popolazione non superiore a 3.000 abitanti qualora la partecipazione dell'ente locale di appartenenza sia inferiore al 3 % |
Art. 63, co. 1, n. 3) |
consulente legale, amministrativo e tecnico che presta opera in modo continuativo in favore delle imprese di cui ai due punti precedenti |
Art. 63, co. 1, n. 4) |
colui che ha lite pendente, in quanto parte di un procedimento civile od amministrativo, rispettivamente, con il comune o la provincia |
Art. 63, co. 1, n. 5) |
colui che, per fatti compiuti allorché era amministratore o impiegato, rispettivamente, del comune o della provincia ovvero di istituto o azienda da esso dipendente o vigilato, è stato, con sentenza passata in giudicato, dichiarato responsabile verso l’ente, istituto od azienda e non ha ancora estinto il debito |
Art. 63, co. 1, n. 6) |
colui che, avendo un debito liquido ed esigibile, rispettivamente, verso il comune o la provincia ovvero verso istituto od azienda da essi dipendenti è stato legalmente messo in mora ovvero, avendo un debito liquido ed esigibile per imposte, tasse e tributi nei riguardi di detti enti, abbia ricevuto invano notificazione |
Inoltre, in questo gruppo rientrano coloro che nel corso del mandato vengono a trovarsi in una delle situazioni di ineleggibilità che prima delle elezioni impediscono all’interessato la sua elezione (a meno di dimissioni entro un tempo determinato), ma che se si verificano successivamente si trasformano in semplici cause di incompatibilità (c.d. ineleggibilità sopravvenuta). Lo prevede l’art. 63, co. 1, n. 7) che attrae tra le cause di incompatibilità la fattispecie di ineleggibilità recate dai precedenti articoli 60 e 61, quali, ad esempio, alti dirigenti dello Stato, magistrati, ministri del culto ecc., la maggior parte delle quale esercitate nel territorio interessato alle elezioni.
Esistono poi una serie di incompatibilità previste dal TUEL volte ad evitare eventuali conflitti di interesse derivanti dal cumulo di cariche elettive o di governo locale (artt. 64 e 65).
Un altro gruppo di cause di incompatibilità per gli amministratori locali è stato introdotto ad opera del decreto legislativo 39 del 2013, emanato in attuazione di una delle deleghe recate dalla c.d. legge anticorruzione (L. 190 del 2012).
Queste cause di incompatibilità riguardano, prevalentemente, i sindaci, gli assessori e i consiglieri comunali nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, i presidenti di provincia, gli assessori e consiglieri provinciali e i componenti delle giunte e consigli delle forme associative tra comuni la cui popolazione complessiva è superiore a 15.000 abitanti. Costoro non possono ricoprire incarichi amministrativi di vertice, quali quelle nelle ASL, o incarichi dirigenziali in enti od organi pubblici di livello comunale, provinciale o regionale, nel territorio dove ricade il comune o la provincia in cui esercitano il mandato.
Infine, esiste un ulteriore gruppo di cause di incompatibilità recate da un insieme eterogeneo di disposizioni speciali, stratificatesi nel tempo, ciascuna delle quali individua una singola causa di incompatibilità. Si tratta prevalentemente di norme che prevedono, nel disciplinare l’assunzione di un determinato incarico e in relazione alla sua particolare delicatezza, l’incompatibilità assoluta con qualsiasi altra carica pubblica, e quindi, anche con quelle di amministratore locale. E’ il caso per esempio dei membri delle autorità amministrative indipendenti, le cui leggi istitutive prevedono tale incompatibilità.
Né il TUEL, né la legge elettorale della Camera prevedono l’incompatibilità tra amministratore locale e parlamentare che è stata introdotta nel diritto positivo con il decreto-legge 138/2011 (art. 13, comma 3) che ha disposto, a partire dalla legislatura successiva (la XVII), l’incompatibilità della carica di parlamentare e di membro del governo nonché di parlamentare europeo nei confronti delle cariche pubbliche elettive di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali (ossia sindaci, presidenti di provincia) aventi, alla data di indizione delle elezioni o della nomina, popolazione superiore a 5.000 abitanti. Tale soglia demografica è stata elevata a 15.000 abitanti ad opera della L. 56/2014.
Nel frattempo, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 63 del TUEL nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaci di comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti (sent. 120/2013).
In precedenza, nella prassi parlamentare, le cause di ineleggibilità sopravvenute alla elezione a deputato o senatore erano trattate, per quanto concerne la determinazione delle conseguenze da esse derivanti, alla stregua di cause di incompatibilità, riconoscendosi all'interessato la facoltà di optare tra la carica di parlamentare e quella ritenuta dalla legge con essa incompatibile. Tuttavia tale prassi è stata innovata nel 2002: infatti la Giunta delle elezioni della Camera, nella seduta del 2 ottobre 2002, ha dichiarato compatibile con il mandato parlamentare la carica di sindaco di comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti ricoperta da tre deputati.
Dopo la conversione del citato decreto-legge 138/2011, la Corte costituzionale ne ha anticipato, per così dire, gli effetti (le disposizioni del decreto-legge sarebbero entrate in vigore nella XVII legislatura) dichiarando l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio 1953, n. 60 (recante la disciplina delle incompatibilità parlamentari), nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco (ma non anche di presidente di provincia) di comune con popolazione superiore ai 20.000 abitanti (sent. 277/2011).
In tale sentenza la Corte venendo chiamata a ”verificare la coerenza di un sistema in cui, alla non sindacabile scelta operata dal legislatore (che evidentemente produce in sé una indubbia incidenza sul libero esercizio del diritto di elettorato passivo) di escludere l’eleggibilità alla Camera o al Senato di chi contemporaneamente rivesta la carica di sindaco di grande Comune, non si accompagni la previsione di una causa di incompatibilità per il caso in cui la stessa carica sopravvenga rispetto alla elezione a membro del Parlamento nazionale”, afferma la necessità “che il menzionato parallelismo sia assicurato, allorquando il cumulo tra gli uffici elettivi sia, comunque, ritenuto suscettibile di compromettere il libero ed efficiente espletamento della carica, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 51 Cost. (sentenza n. 201 del 2003). Poiché in ultima analisi le cause di ineleggibilità e di incompatibilità si pongono quali strumenti di protezione non soltanto del mandato elettivo, ma anche del pubblico ufficio che viene ritenuto causa di impedimento del corretto esercizio della funzione rappresentativa, il potere discrezionale del legislatore di introdurre (o mantenere) dei temperamenti alla esclusione di cumulo tra le due cariche «trova un limite nella necessità di assicurare il rispetto del principio di divieto del cumulo delle funzioni, con la conseguente incostituzionalità di previsioni che ne rappresentino una sostanziale elusione» (sentenza n. 143 del 2010)”.
La Camera dei deputati ha recepito la sentenza della Corte costituzionale. Con la decisione della Giunta delle elezioni del 14 dicembre 2011 è stata accertata l'incompatibilità con il mandato parlamentare delle cariche di sindaco di comune con popolazione superiore a 20 mila abitanti, ricoperte da alcuni deputati. Non sono state esaminate le posizioni dei deputati che ricoprono anche la carica di presidente della provincia in quanto non oggetto della sentenza costituzionale.
La Corte costituzionale è intervenuta nuovamente in materia con la già ricordata sent. 120/2013 che ha dichiarato la incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di un comune con prolazione superiore a 20.000 abitanti, dichiarando questa volta l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 63 TUIL nella parte in cui appunto non prevede, tra le altre ivi disposte, anche tale causa di incompatibilità. La Corte, in continuità con la precedente pronuncia del 2011, ha ribadito “che, in assenza di una causa normativa (enucleabile all’interno della legge impugnata ovvero dal più ampio sistema in cui la previsione opera) idonea ad attribuirne ragionevole giustificazione, la previsione della non compatibilità di un munus pubblico rispetto ad un altro preesistente, cui non si accompagni, nell’uno e nell’altro, una disciplina reciprocamente speculare, si pone in violazione della naturale corrispondenza biunivoca della cause di ineleggibilità e di incompatibilità, che vengono ad incidere necessariamente su entrambe le cariche coinvolte dalla relativa previsione, anche a prescindere dal dato temporale dello svolgimento dell’elezione”.
La fattispecie di incompatibilità di cui al D.L. 138/2011, anche se non del tutto sovrapponibile su quella introdotta dalla norma in esame, appare in parte superata da questa. Infatti, tra gli organi elettivi monocratici di cui al D.L. 138/2011 sono da considerarsi sicuramente i sindaci e i presidenti di provincia per i quali viene introdotta dalla norma in esame una incompatibilità assoluta, che prescinde dal numero degli abitanti.
Peraltro, la norma in esame estende tale incompatibilità anche alle altre categorie di amministratori locali, non di natura monocratica, quali i consiglieri comunali, provinciali e metropolitani, esclusi attualmente dall’incompatibilità con la carica di parlamentare.
Andrebbe dunque valutata l’opportunità di coordinare la norma in esame con quanto disposto dall’articolo 13, comma 3, del DL 138/2011, che ha previsto l’incompatibilità della carica di parlamentare nei confronti delle cariche pubbliche elettive di natura monocratica relativa ad organi di governo di enti pubblici territoriali con popolazione superiore a 15.000 abitanti.
La lettera a) del comma 2 dell’articolo in esame inserisce l’incompatibilità tra la carica di sindaco e presidente di provincia e quella di parlamentare (introdotta dalla lettera c) di cui sopra) tra le cause di scioglimento del consiglio (comunale o provinciale) tipizzate nell’articolo 53 del TUIL.
La norma richiamata prevede che in caso di impedimento permanente, rimozione, decadenza o decesso del sindaco o del presidente della provincia, la giunta decade e si procede allo scioglimento del consiglio. Il consiglio e la giunta rimangono in carica sino alla elezione del nuovo consiglio e del nuovo sindaco o presidente della provincia. Sino alle elezioni, le funzioni del sindaco e del presidente della provincia sono svolte, rispettivamente, dal vicesindaco e dal vicepresidente (comma 1).
In caso di dimissioni, invece, si procede sempre allo scioglimento del consiglio, ma viene nominato un commissario che svolge le funzioni del sindaco o del presidente della provincia fino a nuove elezioni (comma 3).
La disposizione in commento introducendo lo scioglimento automatico del consiglio in caso di incompatibilità insorta per l’elezione del sindaco e del presidente di provincia a parlamentare instaura un meccanismo differente da quello previsto per le altre cause di incompatibilità. Infatti, il TUEL prevede l’instaurazione di un procedimento contenzioso di contestazione delle cause di ineleggibilità e incompatibilità (art. 63). All’esito di tale processo vi è una deliberazione del consiglio comunale o provinciale che accerta la situazione di ineleggibilità o incompatibilità e invita l’interessato a rimuoverla o ad esprimere una opzione per una delle due cariche. In caso di inadempienza, dopo 10 giorni il consiglio lo dichiara decaduto.
Con l’approvazione della disposizione in commento verrebbe eliminata la possibilità di opzione, a differenza di altre fattispecie in cui è contemplata quale risoluzione delle cause di incompatibilità, quali ad esempio quelle dei parlamentari. Questi hanno l’obbligo di comunicare al Presidente della Camera di appartenenza gli incarichi ricoperti ai fini dell’accertamento di eventuali cause di incompatibilità. In caso di incompatibilità il parlamentare deve optare tra il mandato parlamentare e l’incarico incompatibile.
Articolo 2
(Semplificazione in materia di inconferibilità e incompatibilità)
L’articolo 2 interviene sulla disciplina relativa al conferimento di incarichi agli ex amministratori locali, specificando che il divieto di conferire loro incarichi dirigenziali nelle amministrazioni degli enti locali si riferisce agli incarichi dirigenziali “che comportano l’esercizio delle competenze di amministrazione e di gestione”.
Si osserva preliminarmente che l’articolo in esame è rubricato “Semplificazione in materia di inconferibilità e incompatibilità”, mentre la disposizione afferisce esclusivamente alla materia inconferibilità.
Il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 ha introdotto norme in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati di diritto pubblico.
In particolare, per inconferibilità, si intende la preclusione, permanente o temporanea, a conferire determinati incarichi ad alcuni soggetti (art. 1, comma 2, lett. g).
Vengono individuate due categorie di inconferibilità: la prima riguarda coloro che abbiano riportato condanne penali per i reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale (reati contro la pubblica amministrazione).
La seconda interessa coloro che abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni o svolto attività professionali a favore di questi ultimi e a coloro che siano stati componenti di organi di indirizzo politico.
Relativamente alla seconda categoria, la disposizione mira a limitare il fenomeno delle revolving doors, ossia del passaggio immediato dalla politica all’amministrazione. Per evitare possibili conflitti di interesse si introduce pertanto un “periodo di raffreddamento”, prima che il soggetto che ha assunto in precedenza cariche elettive o di governo possa assumere determinati incarichi.
Per quanto riguarda in particolare gli enti locali, ai sensi dell’articolo 7, comma 2, oggetto della disposizione in esame, non possono essere conferiti taluni incarichi a livello comunale e provinciale, a coloro che sono stati:
§ nei due anni precedenti, componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni che conferisce l'incarico;
§ nell'anno precedente, componenti della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, nella stessa regione dell'amministrazione locale che conferisce l'incarico;
§ presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte di province, comuni e loro forme associative della stessa regione.
L’ambito soggettivo di applicazione delle cause di inconferibilità di incarichi agli amministratori locali è stato chiarito dall’Autorità nazionale anticorruzione che ha espresso l’avviso che le ipotesi di inconferibilità di cui all’art. 7, devono ritenersi applicabili interamente ai comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti o a forme associative tra comuni della stessa regione aventi la medesima popolazione, mentre ai comuni inferiori si applicano soltanto alcune di quelle ipotesi. In particolare, solamente ai comuni con più di 15.000 abitanti si applicano le disposizioni di cui all’. 7, commi 1 e 2 lett. a) e d); art. 8, comma 5; art.11, comma 2 lett. b); comma 3 lett. b) e c); art. 12 comma 3 lett. b) comma 4 lett. b) e c); art. 13 commi 2 lett. b) e c) e 3; art. 14, comma 2 lett b) e c) del D.Lgs. n.39/2013 (delibera n. 57/2013).
Inoltre, per quanto riguarda le forme associative tra comuni, l’ANAC ha chiarito che tra queste non sono da includersi le convenzioni, stipulate ai sensi dell’art. 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per lo svolgimento in modo coordinato di funzioni e servizi determinati (orientamento n. 5/2014).
Gli incarichi inconferibili a tali soggetti sono i seguenti:
a) incarichi amministrativi di vertice di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione;
b) incarichi dirigenziali nelle amministrazioni di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione;
c) incarichi di amministratore di ente pubblico di livello provinciale o comunale;
d) incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione.
Oggetto della disposizione in esame sono gli incarichi sub b), ossia gli incarichi dirigenziali che secondo la modifica proposta diventerebbero inconferibili esclusivamente qualora comportino l’esercizio di competenze di amministrazione e di gestione.
In proposito, si rileva che, ai sensi del medesimo D.Lgs. 39/2013:
§ per incarichi amministrativi di vertice si intendono gli incarichi di livello apicale (ad es. Segretario generale, capo Dipartimento, Direttore generale o posizioni assimilate) nell’amministrazione locale, conferiti a soggetti interni o esterni all'amministrazione che conferisce l'incarico, che non comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione (art. 1, comma 2, lett. i);
§ per incarichi dirigenziali si intendono gli incarichi di funzione dirigenziale, comunque denominati, che comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione, nonché gli incarichi di funzione dirigenziale nell'ambito degli uffici di diretta collaborazione, conferiti a dipendenti pubblici (incarichi dirigenziali interni) o a soggetti non dipendenti di pubbliche amministrazioni (incarichi dirigenziali esterni) (art. 1, comma 2, lett. j) e k).
Tenuto conto del quadro normativo vigente la modifica introdotta dalla disposizione in commento appare dunque in gran parte già prevista dalle previsioni del D.Lgs. 39/2013.
Secondo l’orientamento dell’Autorità nazionale anticorruzione «sono da comprendere nell’ambito di applicazione della disciplina tutti gli incarichi dirigenziali presso le pubbliche amministrazioni. (…) Infatti, le definizioni di incarichi dirigenziali interni ed esterni devono essere lette unitamente a quella di cui alla lett. i), secondo cui per incarichi amministrativi di vertice, si intendono “gli incarichi di livello apicale, quali quelli di Segretario generale, capo Dipartimento, Direttore generale o posizioni assimilate nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto privato in controllo pubblico, conferiti a soggetti interni o esterni all'amministrazione o all'ente che conferisce l'incarico, che non comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione”.
È di tutta evidenza, che per descrivere in modo più dettagliato le caratteristiche degli incarichi amministrativi di vertice, oltre a fornire un elenco non esaustivo di posizioni che certamente rientrano in tale definizione, il Legislatore ha ritenuto utile sottolineare la distinzione rispetto agli incarichi dirigenziali interni ed esterni, proprio specificando che le posizioni apicali sono quelle che “…..non comportano l'esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione”.
D’altro canto, poiché i regimi di incompatibilità/inconferibilità previsti per gli incarichi amministrativi di vertice non sono del tutto sovrapponibili a quelli previsti per gli incarichi dirigenziali, occorreva distinguere tra le due categorie. La circostanza è stata chiarita anche nella relazione illustrativa del decreto legislativo n. 39/2013, secondo cui il riferimento all’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione costituisce, appunto, il criterio distintivo tra le due categorie di incarichi (di vertice e dirigenziali), entrambe sottoposte alla disciplina delle inconferibilità e incompatibilità, seppur con alcune differenze.
Si legge, infatti, nella relazione illustrativa: “Quanto agli incarichi, importante era definire gli «incarichi amministrativi di vertice» di cui al punto 1 della lettera d) del comma 50 della legge di delega, al fine di distinguerli chiaramente da quelli dirigenziali e al fine di graduare di conseguenza la disciplina dei divieti. La soluzione adottata scioglie la formulazione della legge delega nel senso che gli incarichi di vertice sono compresi tra quelli che non comportano l’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione, mentre gli incarichi dirigenziali sì. Poiché la distinzione non sempre è chiara, le amministrazioni, al di là della collocazione e della denominazione adottata per l’incarico nel loro modello organizzativo, dovranno considerare come amministrativi di vertice gli incarichi che espressamente non comprendono l’esercizio diretto di poteri amministrativi. In caso contrario, anche un dirigente posto in collocazione apicale nell’amministrazione, ma dotato di poteri di amministrazione e gestione, dovrà essere considerato come incarico dirigenziale.
Alle precedenti considerazioni occorre anche aggiungere che ai dirigenti, cui è conferita la responsabilità di un ufficio, in ogni caso, spettano poteri di gestione autonomi, sulla base di espressa previsione di legge; infatti, l’art. 107 del T.U.E.L. recante “Funzioni e responsabilità della dirigenza”, prevede che “Spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo”.
Pertanto, la presenza nell’ambito della organizzazione dell’ente di appartenenza di un dirigente sovraordinato che eserciti funzioni di direzione e coordinamento - secondo un modello organizzativo peraltro piuttosto diffuso nelle Regioni e nella maggior parte delle amministrazioni degli enti locali - non può certamente determinare (…) la perdita di autonomi poteri gestori in capo ai dirigenti. Infatti, detti poteri sono compresi nella attribuzione della responsabilità di un ufficio/servizio, anche quando quest’ultimo non svolga un’attività rivolta all’esterno, in quanto avente ad oggetto mere proposte o, comunque, provvedimenti di rilievo interno. (…)
In conclusione, per le ragioni appena esposte, deve ritenersi che tutti gli incarichi dirigenziali interni ed esterni mediante i quali sia conferita la responsabilità di un servizio/ufficio, sono soggetti alla disciplina del D.Lgs. n. 39/2013. Infatti, il riferimento all’”esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione” di cui all’art. 1 comma 2 lett. j) e k) ha la sola funzione di meglio descrivere la posizione del titolare dell’incarico, evidenziandone le differenze rispetto a quella di coloro ai quali sono stati attribuiti incarichi amministrativi di vertice» (ANAC, Delibera 21 settembre 2016, n. 1000).
Articolo 3
(Trattamento contributivo degli amministratori
locali lavoratori autonomi)
L’articolo 3 chiarisce che i contributi dovuti dai comuni e dalle province agli amministratori locali che sono lavoratori autonomi sono riferiti esclusivamente agli oneri previdenziali, assistenziali e assicurativi dovuti alla forma pensionistica alla quale il lavoratore autonomo era iscritto alla data di assunzione dell’incarico o continua ad essere iscritto durante il suo svolgimento.
Si tratta di una norma di interpretazione autentica dell’articolo 86, comma 2, del TUEL che disciplina appunto la posizione previdenziale dei lavoratori autonomi che ricoprono cariche di amministratore locale. Tale disciplina ricalca quella dei lavoratori dipendenti oggetto del comma 1 del medesimo articolo 86 TUEL.
La norma da ultimo richiamata stabilisce che per gli amministratori locali, lavoratori dipendenti, collocati in aspettativa non retribuita, l’ente locale provvede a proprio carico, dandone comunicazione tempestiva ai datori di lavoro, al versamento degli oneri assistenziali, previdenziali ed assicurativi ai rispettivi istituti.
La disposizione si riferisce a:
§ sindaci;
§ assessori dei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti;
§ presidenti dei consigli dei comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti;
§ presidenti dei consigli circoscrizionali delle città metropolitane.
Sono esclusi gli amministratori delle province e delle unioni di comuni, in quanto esercitano il mandato a titolo gratuito (art. 1 della legge 7 aprile 2014, n. 56, commi 24 e 34 e 105).
Parimenti, sono esclusi i consiglieri comunali e metropolitani in quanto l’articolo 81 TUEL, come modificato dall’art. 2, comma 24 della L. 244/2007, ha previsto che i consiglieri di cui all’art. 77, comma 2, TUEL a domanda collocati in aspettativa non retribuita per il periodo di espletamento del mandato, assumono a proprio carico l’intero pagamento degli oneri previdenziali, assistenziali e di ogni altra natura previsti dall’art. 86.
L’articolo 86, secondo comma, TUEL, oggetto della disposizione in esame, stabilisce che anche per gli amministratori locali che non sono lavoratori dipendenti e che rivestono le cariche di cui sopra, l’ente locale provvede al pagamento di una cifra forfetaria annuale, versata per quote mensili, allo stesso titolo di cui al comma 1. I contributi sono conferiti alla forma pensionistica presso la quale l’amministratore era iscritto o continua ad essere iscritto alla data dell’incarico elettivo.
Con il decreto del Ministero dell’interno 25 maggio 2001, n. 15478, sono stati stabiliti i criteri per la determinazione delle quote forfetarie da conferire. Le quote sono determinate in base al reddito minimo imponibile stabilito da ciascun istituto o cassa di previdenza al quale l’amministratore continua ad essere iscritto dopo l’assunzione della carica elettiva.
In generale, i lavoratori autonomi eletti o nominati amministratori locali hanno continuato nell’esercizio della propria attività lavorativa e hanno provveduto a versare una quota della contribuzione per la misura non coperta dalla “quota forfetaria”.
Successivamente, il giudice contabile in sede consultiva ha ritenuto che l’art. 86, secondo comma, TUEL trovasse applicazione, in analogia con il lavoratore dipendente, solo quando il lavoratore autonomo, che ricopre una delle cariche previste dal primo comma, si astenga del tutto dall’attività lavorativa; circostanza, questa, che lo stesso lavoratore autonomo ha l’onere di comprovare rilasciando all’ente locale un’attestazione in cui dichiara la sospensione temporanea dell’attività di lavoro autonomo in costanza dell’espletamento del mandato pubblico, nonché notificando la medesima dichiarazione all’ente previdenziale (si veda Corte conti, Sez. contr. Basilicata delib. 15 gennaio 2014, n. 3 e più recentemente Corte dei Conti Sez. contr Liguria. delib. 22 febbraio 2019, n. 21).
Il Ministero dell’interno ha condiviso l’interpretazione applicativa del giudice contabile con il parere reso il 9 aprile 2014 (parere n.15900/TU/086).
Di diverso orientamento il giudice di lavoro, secondo il quale l’ente locale è tenuto al versamento dei contributi nella misura forfettaria minima prevista dalla TUEL, indipendentemente dalla cessazione dell’attività professionale (Tribunale dell’Aquila, Sezione Lavoro, sentenze n. 495 e 496 del 2015).
Articolo 4
(Oneri connessi allo status degli amministratori
delle unioni di comuni)
L’articolo 4 interviene sulla disciplina della gratuità delle cariche ricoperte nelle Unioni di comuni (presidente, consigliere e assessore), prevedendo che restano a carico dell’unione gli oneri connessi con le attività in materia di status degli amministratori, relativi ai permessi retribuiti, al rimborso delle spese di viaggio, anche per la partecipazione alle associazioni rappresentative degli enti locali e ai contributi previdenziali, assistenziali ed assicurativi.
Tale previsione viene inserita al comma 108 dell’art. 1 della L. 56 del 2014 (cd. legge Delrio) che, in ordine allo status degli amministratori locali, ha confermato la gratuità dell'esercizio di tutte le cariche negli organi delle unioni di comuni (secondo quanto già prescritto dall'art. 32, co. 3, del TUEL), in relazione alla loro natura di enti di secondo livello.
Ai sensi dell’art. 32, co. 3 TUEL, gli organi dell'unione, presidente, giunta e consiglio, sono formati, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, da amministratori in carica dei comuni associati e a essi non possono essere attribuite retribuzioni, gettoni e indennità o emolumenti in qualsiasi forma percepiti. Il presidente è scelto tra i sindaci dei comuni associati e la giunta tra i componenti dell'esecutivo dei comuni associati. Il consiglio è composto da un numero di consiglieri definito nello statuto, eletti dai singoli consigli dei comuni associati tra i propri componenti, garantendo la rappresentanza delle minoranze e assicurando la rappresentanza di ogni comune.
Pertanto ai componenti degli organi delle unioni, riformate dalla legge n. 56/2014, competono attualmente le indennità ed i gettoni di presenza spettanti per le cariche ricoperte presso il comune di appartenenza, senza indennità, gettoni e remunerazioni per la nuova carica negli stessi assunta.
Si ricorda che la legge n. 56 del 2014, a seguito della trasformazione delle province in enti di secondo grado e dell’istituzione delle città metropolitane, ha disposto la gratuità degli incarichi di Sindaco metropolitano, consigliere provinciale e metropolitano, componente dell’assemblea dei sindaci e della Conferenza metropolitana (art. 1, co. 24 e 84; il testo originario prevedeva anche la gratuità dell’incarico di Presidente della Provincia poi soppressa dall'art. 57-quater, comma 4, lett. b), D.L. 124/2019). Successivamente il D.L. 66 del 2014 e il D.L. 90 del 2014, integrando le citate disposizioni, hanno specificato che gli oneri connessi con le attività in materia di status degli amministratori, relativi ai permessi retribuiti e agli oneri previdenziali, assistenziali ed assicurativi, restano a carico della provincia e della città metropolitana. La disposizione in esame detta analoga previsione per quanto riguarda gli amministratori delle unioni di comuni.
Con la modifica proposta si intende garantire ai componenti degli organi delle unioni di comuni, per le attività svolte in ragione di tale mandato, il diritto ai permessi retribuiti, al rimborso delle spese di viaggio, anche per la partecipazione alle associazioni rappresentative degli enti locali e ai contributi previdenziali, assistenziali ed assicurativi, previsti dal TUEL agli articoli 80, 84, 85 e 86. I relativi oneri sono infatti posti a carico dell’unione.
In particolare, l’art. 79 del TUEL (D.Lgs. n. 267/2000) riconosce, fra l’altro, ai lavoratori dipendenti componenti dei consigli delle unioni di comuni il diritto a permessi retribuiti per assentarsi dal servizio ai fini della partecipazione alle sedute dei rispettivi consigli. I lavoratori dipendenti facenti parte degli organi esecutivi delle unioni di comuni hanno diritto di assentarsi dal servizio per partecipare alle riunioni degli organi di cui fanno parte per la loro effettiva durata. I componenti degli organi esecutivi delle unioni di comuni, hanno diritto, oltre ai permessi, di assentarsi dai rispettivi posti di lavoro per un massimo di 24 ore lavorative al mese.
Ai sensi dell’art. 80 TUEL, le assenze dal servizio che danno luogo a permessi retribuiti sono retribuite al lavoratore dal datore di lavoro. I datori di lavoro privati hanno diritto al rimborso dei relativi oneri da parte dell'ente presso cui i lavoratori esercitano le funzioni pubbliche.
L’articolo 84 prevede il rimborso delle spese di viaggio effettivamente sostenute per gli amministratori che, in ragione del loro mandato, si rechino fuori del capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente, previa autorizzazione del capo dell'amministrazione, nel caso di componenti degli organi esecutivi, ovvero del presidente del consiglio, nel caso di consiglieri. Garantisce inoltre agli amministratori che risiedono fuori del capoluogo del comune ove ha sede il rispettivo ente il rimborso per le sole spese di viaggio effettivamente sostenute per la partecipazione ad ognuna delle sedute dei rispettivi organi assembleari ed esecutivi, nonché per la presenza necessaria presso la sede degli uffici per lo svolgimento delle funzioni proprie o delegate.
L’articolo 85 estende le disposizioni sul trattamento e sui permessi dei lavoratori pubblici e privati chiamati a funzioni elettive, anche per la partecipazione dei rappresentanti degli enti locali alle associazioni internazionali, nazionali e regionali tra enti locali.
L’art. 86 TUEL dispone, tra l’altro, che l'amministrazione locale prevede a proprio carico al versamento degli oneri assistenziali, previdenziali e assicurativi per i presidenti di unioni di comuni e di consorzi fra enti locali, che siano collocati in aspettativa non retribuita.
Se i predetti soggetti non sono lavoratori dipendenti, l'amministrazione locale provvede, allo stesso titolo, al pagamento di una cifra forfettaria annuale; essa provvede, altresì, a rimborsare al datore di lavoro la quota annuale di accantonamento per l'indennità di fine rapporto, entro determinati limiti. I comuni e le province possono infine assicurare i propri amministratori contro i rischi conseguenti all'espletamento del loro mandato.
Articolo 5
(Responsabilità amministrativo-contabile dei dirigenti)
L’articolo 5 interviene in materia di compiti e responsabilità dei dirigenti degli enti locali, prevedendo che i dirigenti sono titolari in via esclusiva della responsabilità amministrativa e contabile per l’attività di gestione, anche se derivante da atti di indirizzo dell’organo politico di vertice.
A tal fine, la disposizione novella il comma 6 dell’articolo 107 TUEL, ai sensi del quale i dirigenti sono direttamente responsabili, in via esclusiva, in relazione agli obiettivi dell'ente, della correttezza amministrativa, della efficienza e dei risultati della gestione.
Si ricorda che per far valere questo particolare tipo di responsabilità dirigenziale, è necessario che sia accertato il mancato raggiungimento degli obiettivi attraverso il sistema di valutazione della performance.
Più in generale, l’art. 107 TUEL, introduce in materia il c.d. principio di separazione tra compiti di indirizzo (riservati agli organi di governo politico) e compiti di gestione (riservati ai dirigenti). In particolare, ai dirigenti compete la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica dell’ente, ossia tutti i compiti che comportano l’adozione di atti e provvedimenti con rilevanza esterna, nonché l’attuazione delle direttive e degli obiettivi individuati dagli organi politici. L’elencazione dei compiti contenuta nel comma 3 dell’art. 107 non è esaustiva, ma non è derogabile da parte dello statuto o del regolamento dell’ente locale.
L’integrazione normativa proposta prevede l’esclusiva imputabilità ai dirigenti della responsabilità amministrativo-contabile per gli atti di gestione, specificando che tale responsabilità sussisterebbe anche nel caso in cui derivi da atti di indirizzo dell’organo politico.
In relazione alla specificazione che si intende introdurre, è utile ricordare preliminarmente che ai dirigenti degli enti locali sono attribuiti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi.
Tra questi in particolare, il comma 3 dell’art. 107 TUEL, cita, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente:
a. la presidenza delle commissioni di gara e di concorso;
b. la responsabilità delle procedure d’appalto e di concorso;
c. la stipulazione dei contratti;
d. gli atti di gestione finanziaria, ivi compresa l’assunzione di impegni di spesa;
e. gli atti di amministrazione e gestione del personale;
f. i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie (e le procedure corrispondenti previste dalle norme vigenti);
g. tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale;
h. le attestazioni, certificazioni, comunicazioni, diffide, verbali, autenticazioni, legalizzazioni ed ogni altro atto costituente manifestazione di giudizio e di conoscenza;
i. gli atti ad essi attribuiti dallo statuto, dai regolamenti o, in base a questi, delegati dal sindaco.
Al contempo, si ricorda che il TUEL (art. 93) estende sia agli amministratori che al personale degli enti locali le disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato.
La responsabilità amministrativo-contabile si configura qualora il dipendente pubblico (o soggetto legato alla p.a. da rapporto di servizio), per inosservanza dolosa o (gravemente) colposa dei propri obblighi di servizio, provochi un danno alla propria amministrazione o ad altro ente pubblico.
In particolare, l'istituto della responsabilità amministrativa ricorre in tutte le ipotesi nelle quali il funzionario o l'impiegato, agendo in violazione di obblighi di servizio o doveri di ufficio, produca all'amministrazione un danno, sia direttamente, sia indirettamente. Pertanto tale forma di responsabilità serve a tutelare la pubblica amministrazione, obbligando il funzionario a risarcire il danno arrecato all'ente a causa della sua condotta: si tratta, dunque, di una responsabilità a carattere risarcitorio (come la responsabilità civile) in quanto, di norma, è diretta alla riparazione di un danno patrimoniale. Si tratta, infine, di una responsabilità speciale, governata da un giudice speciale, in quanto le funzioni giurisdizionali spettano alla Corte dei Conti.
L'istituto è stato interessato, a partire dagli anni '90, da un rilevante processo di riforma che ha profondamente inciso la sua disciplina normativa (L. 20/1994, modificata dal D.L. 546/1996), che presenta i seguenti caratteri fondamentali:
§ il giudizio non è introdotto dall'amministrazione che subisce il danno, ma, d'ufficio, dalla Procura della Corte dei conti, eventualmente in base ad una denuncia;
§ affinché un soggetto possa essere chiamato a rispondere in sede di responsabilità amministrativa occorre che lo stesso, con una condotta dolosa o gravemente colposa collegata o inerente al rapporto esistente con l'amministrazione, abbia causato un danno pubblico risarcibile che si ponga come conseguenza diretta e immediata di detta condotta. La gravità della colpa va valutata in relazione alla diversa natura delle funzioni, o mansioni, svolte dal dipendente pubblico e alla specificità del contesto organizzativo. La colpa è grave quando si discosta notevolmente dallo standard normale richiesto dal tipo di prestazione svolta;
§ l'accertamento della responsabilità comporta la condanna al risarcimento del danno a favore dell'amministrazione danneggiata. Nel quantificare il danno il giudice deve valutare se dalla condotta illecita del funzionario sia derivata anche un'utilità per la pubblica amministrazione e tenere conto di questo elemento. Il responsabile deve risarcire solo la parte di danno che può essergli attribuita sulla base di un giudizio effettuato dal giudice in merito all'effettivo apporto causale del responsabile stesso (c.d. «potere riduttivo» del giudice); quindi, nel caso in cui vi siano più responsabili, ciascuno risponde solo della propria quota di danno.
Con l'espressione responsabilità contabile ci si riferisce alla responsabilità di quei soggetti (agenti contabili) che avendo avuto in consegna (a vario titolo) denaro, beni o altri valori pubblici, o comunque avendone avuto la disponibilità materiale, non adempiano all'obbligo di restituzione che a loro incombe. Pertanto, tale responsabilità si basa sul mancato adempimento di un obbligo di restituzione di un bene (compreso il denaro) dell'amministrazione.
In particolare, per gli enti locali, Il TUEL prevede che il tesoriere ed ogni altro agente contabile che abbia maneggio di pubblico denaro o sia incaricato della gestione dei beni degli enti, nonché coloro che si ingeriscano negli incarichi attribuiti a detti agenti devono rendere il conto della loro gestione e sono soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti secondo le norme e le procedure previste dalle leggi vigenti (art. 93, co. 2, D.Lgs. 267/2000).
I contabili hanno l’obbligo di rendere il conto alla fine di ogni gestione. Il conto è esaminato dalla Corte dei conti, nell’esercizio della sua particolare giurisdizione contabile, regolata dagli art. 44 s. del t.u. 1214/1934, e dalla l. 20/1994. La Corte, qualora ritenga il conto regolare, discarica il contabile, altrimenti gli contesta le irregolarità riscontrate. Il contabile, al fine di evitare la condanna, deve provare o che dalle irregolarità riscontrate non è derivato alcun danno all’erario, ovvero che le irregolarità stesse sono dovute a causa di forza maggiore a lui non imputabile.
Il quadro normativo che attualmente regolamenta l’illecito amministrativo-contabile ne ha definito in gran parte la disciplina ed i relativi contorni, pur restando atipiche le ipotesi di condotta vietate. La casistica giurisprudenziale delle condotte responsabili è di conseguenza particolarmente ampia e tiene conto del variare del quadro normativo che riguarda la pubblica amministrazione.
Si richiamano, ex multis, alcune pronunce della Corte dei conti sulla materia: Sezione Lombardia, 24 marzo 2009, n. 165 e 29 dicembre 209, n. 880; Sezione Campania 21 dicembre 2009, n. 1581, Sezione seconda Appello 9 dicembre 2009, n. 548; da ultimo, Sezione centrale 4 febbraio 2015, n. 107.
Alla luce del quadro normativo e della giurisprudenza in materia di responsabilità, andrebbe chiarita la disposizione in esame nella parte in cui appare ricondurre “in via esclusiva” la responsabilità amministrativa o contabile al dirigente anche se derivante da atti di indirizzo dell’organo politico di vertice.
Articolo 6
(Soppressione di competenze dei sindaci e dei comuni)
L’articolo 6 dispone la soppressione di competenze dei sindaci e dei comuni in specifici ambiti, a seguito di una ricognizione di norme effettuata dall’ANCI, che attribuiscono al governo locale funzioni non più coerenti con l’assetto ordinamentale vigente. Si tratta di competenze relative a:
§ accertamenti e trattamenti sanitari volontari ed obbligatori (TSO);
§ vigilanza sulla disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande;
§ ordinanze in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria;
§ anagrafe canina, risanamento dei canili comunali e costruzione dei rifugi per cani e prevenzione del randagismo.
Il comma 1, alle lettere a) e b) interviene su alcuni articoli (1, sesto comma, 3, 4 e 5) della legge n. 180/1978 (Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori), per sostituire la competenza del sindaco in tema di accertamenti e trattamenti sanitari volontari ed obbligatori, anche in condizioni di degenza ospedaliera per malattia mentale, nonché di revoca e modifica dei relativi provvedimenti e di tutela giurisdizionale, con la competenza del direttore generale dell’azienda sanitaria locale.
A tale proposito, va osservato che per la legge n. 180/1978 era prevista una vigenza a termine: l'art. 11, comma 2, disponeva infatti che gli artt. 1-9 della legge stessa restassero in vigore fino all'entrata in vigore della legge istitutiva del SSN. Dall'entrata in vigore della legge n. 833/1978, dunque, restano vigenti, della legge n. 180/1978, gli artt. 10 (Modifiche al codice penale, con la soppressione delle sanzioni ascrivibili ai custodi di malati di mente) e 11 (Norme finali).
Si valuti pertanto l’opportunità di riferire più correttamente le modifiche di cui al comma 1 dell’articolo in commento, lettere a) e b), agli articoli 33, 34 e 35 della legge n. 833/1978.
A tal fine di seguito si ricostruisce il quadro normativo attualmente vigente.
Il principale riferimento normativo in materia di sanità psichiatrica si ritrova nella legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, in particolare agli artt. 33, 34, 35 e 64. Negli articoli citati della legge n. 833/1978 furono trasfuse gran parte delle disposizioni della legge 13 maggio 1978, n. 180 (cosiddetta legge Basaglia). Ciò ha portato l’ordinamento italiano a non avere una legge specifica per la tutela della salute mentale, che rientra così nei compiti istituzionali del SSN.
In tema di trattamento sanitario obbligatorio, la legge n. 833/78, richiamandosi all'art. 32 della Costituzione[5], sancisce il principio generale secondo cui gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono di norma volontari, in quanto i trattamenti obbligatori hanno luogo solo nei casi espressamente previsti dalle leggi dello Stato e nel rispetto della dignità umana e dei diritti costituzionali.
II personale sanitario ha l'obbligo di cercare “il consenso e la partecipazione” del paziente sottoposto al trattamento sanitario obbligatorio (TSO); questi, inoltre, ha diritto a scegliere il medico e il luogo di cura e ha diritto a comunicare “con chi ritenga opportuno”. La USL deve operare per ridurre il ricorso ai trattamenti obbligatori.
Per la tutela del malato, infine, è previsto che gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori siano soltanto proposti dal medico (che li motiva), ma disposti con provvedimento del sindaco in quanto autorità sanitaria (art. 33).
Nel merito particolare del trattamento psichiatrico, la legge stabilisce che la persona affetta da malattia mentale, quando non acconsenta al trattamento sanitario in degenza ospedaliera, possa esservi obbligata solo se presenti alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici e se non siano possibili misure extra-ospedaliere (art. 34).
Inoltre, onde assicurare all'infermo di mente la tutela giuridica nella fase della decisione amministrativa, il provvedimento (motivato) che autorizza l'applicazione di un TSO psichiatrico è adottato (dal sindaco, anche in questo caso) previo un procedimento più gravoso del solito: la proposta del medico è convalidata da un altro medico (della U.S.L.). Inoltre, il provvedimento del sindaco è notificato entro 48 ore dal ricovero al giudice tutelare competente per territorio, che, entro le successive 48 ore, decide se convalidarlo.
Il trattamento deve essere temporaneo, infatti l'eventuale prolungamento del TSO oltre i sette giorni deve essere autorizzato con un nuovo provvedimento, soggetto ad analoghe garanzie (in particolare, deve essere specificata la ulteriore durata) (art. 35).
L'organizzazione dei servizi di salute mentale. La legge n. 833/1978 demanda alle regioni di organizzare, con propria legge, i servizi di assistenza psichiatrica, disponendo che siano istituite, nell'ambito delle unità sanitarie locali, strutture dipartimentali per l'erogazione di servizi di salute mentale (art. 34).
Le strutture dipartimentali si articolano in:
§ strutture ospedaliere, per il ricovero dei pazienti, dove sia necessario: a tal fine devono istituirsi all'interno degli ospedali generali appositi servizi psichiatrici di diagnosi e cura. Gli ospedali psichiatrici, infatti, devono essere gradualmente chiusi (ed è vietato utilizzarli quali divisioni psichiatriche di ospedali generali); la regione vi provvede nell'ambito del piano sanitario nazionale (art. 64);
§ servizi e presìdi extra-ospedalieri: la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle malattie mentali devono essere attuate di norma da queste strutture (art. 34).
Il comma 2 dispone che il Governo modifichi il DPR n. 327/1980 in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande, prevedendo, attraverso una novella all’articolo 3, primo comma, numero 3) del medesimo DPR, che la vigilanza sia esercitata a livello locale direttamente dalle aziende sanitarie locali. Al riguardo, lo stesso comma 2 demanda al Governo l’incarico di apportare le ulteriori necessarie modifiche di coordinamento del testo.
Attualmente, la norma vigente di cui al predetto numero 3) prevede infatti che la vigilanza sia esercitata dai comuni, o loro consorzi, attraverso le unità sanitarie locali.
Il citato articolo 3 nell’attuale quadro normativo peraltro dispone che l'autorità sanitaria, per l'espletamento dei servizi di vigilanza sull'igiene degli alimenti. Allo scopo l’autorità sanitaria si avvale dell'opera del personale allo scopo posto alle proprie dipendenze, nonché in particolari circostanze, e con l'osservanza delle norme vigenti, di personale di altre amministrazioni, previa intesa con le stesse amministrazioni.
Con Decreto del Presidente della Repubblica n. 327/1980 è stato adottato il regolamento di esecuzione della L. n. 283/1962, in materia di disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande[6].
L’articolo 2 dispone che sono soggetti a vigilanza da parte dell'autorità sanitaria la produzione, il commercio e l'impiego: 1) delle sostanze destinate all'alimentazione; 2) degli utensili da cucina e da tavola; 3) dei recipienti per conservare le sostanze alimentari, nonché degli imballaggi e contenitori esterni che, pur non venendo a contatto diretto con le sostanze alimentari, per la natura di queste e per le condizioni di impiego, possono cedere i loro componenti alle sostanze stesse; 4) dei recipienti, utensili ed apparecchi, che possono venire a contatto diretto con le sostanze alimentari nelle normali fasi della produzione e del commercio; 5) dei prodotti usati in agricoltura per la protezione delle piante e a difesa delle sostanze alimentari immagazzinate.
Sono inoltre soggetti a vigilanza da parte dell'autorità sanitaria: a) i locali, gli impianti, gli apparecchi e le attrezzature usati nelle varie fasi della produzione e del commercio delle sostanze alimentari; b) il personale addetto alla produzione, al confezionamento e al commercio delle sostanze alimentari; c) i mezzi adibiti al trasporto delle sostanze alimentari.
L’articolo 3 dispone che la vigilanza di cui all'art. 2 del presente regolamento è esercitata:
1. dal Ministero della salute, attraverso i propri organi centrali, ovvero attraverso gli uffici di sanità marittima e aerea e gli uffici veterinari di confine, porto, aeroporto e dogana interna;
2. dall'organo delle regioni, o delle province autonome di Trento e di Bolzano, competente secondo il rispettivo ordinamento;
3. dai comuni, o loro consorzi, attraverso le unità sanitarie locali.
L'autorità sanitaria, per l'espletamento dei servizi di vigilanza sull'igiene degli alimenti, si avvale dell'opera, del personale all'uopo posto alle proprie dipendenze, nonché in particolari circostanze, e con l'osservanza delle norme vigenti, di personale di altre amministrazioni, previa intesa con le stesse amministrazioni.
Il comma 3 dell’articolo in commento modifica l’articolo 32 della citata legge n. 833/1978, riguardante le funzioni di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria.
Più in particolare la disposizione in esame, sostituendo il comma 3 del citato articolo 32, prevede che nelle citate materie possono essere emesse ordinanze di carattere contingibile e urgente dal solo Presidente della Giunta regionale (e non anche dal sindaco, come attualmente previsto), con efficacia estesa a tutto il territorio regionale (e non anche, come attualmente previsto, con efficacia estesa a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale).
Il citato articolo 32 prevede che il Ministro della sanità può emettere ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanità pubblica e di polizia veterinaria, con efficacia estesa all'intero territorio nazionale o a parte di esso comprendente più regioni.
La legge regionale stabilisce norme per l'esercizio delle funzioni in materia di igiene e sanità pubblica, di vigilanza sulle farmacie e di polizia veterinaria, ivi comprese quelle già esercitate dagli uffici del medico provinciale e del veterinario provinciale e dagli ufficiali sanitari e veterinari comunali o consortili, e disciplina il trasferimento dei beni e del personale relativi.
Nelle medesime materie sono emesse dal presidente della giunta regionale e dal sindaco ordinanze di carattere contingibile ed urgente, con efficacia estesa rispettivamente alla regione o a parte del suo territorio comprendente più comuni e al territorio comunale.
Il comma 4, interviene con modifiche sulla legge n. 281/1991 (Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo). Più in particolare, con le modifiche apportate ai commi 1 e 2 dell’articolo 3 di detta legge quadro, e con l’abrogazione dell’articolo 4, rispettivamente:
§ si lasciano alle sole ASL (sopprimendo il riferimento anche ai comuni) le competenze in tema di anagrafe canina (lett. a), n. 1);
§ viene soppresso il riferimento ai comuni per la determinazione dei criteri di riparto dei contributi per la realizzazione degli interventi di competenza dei soggetti interessati dalla norma (le sole ASL) prevista con legge regionale in materia di risanamento dei canili comunali e costruzione dei rifugi per cani, che vengono così sottoposti al solo controllo sanitario dei servizi veterinari delle aziende sanitarie locali (lett. a), n. 2);
§ viene abrogata la disposizione che prevede competenze comunali a provvedere prioritariamente all’attuazione di piani di controllo delle nascite di animali di affezione attraverso la loro sterilizzazione.
In tema di competenze e responsabilità sulla tutela degli animali d'affezione e lotta al randagismo, si segnala che alle Regioni e alle Province autonome è stato demandato il compito di rendere applicative le norme nazionali - riferite principalmente alla citata Legge quadro n. 281/1991 -, in particolare mediante l’Accordo 24 gennaio 2013, previsto ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lettera c), del D. Lgs. n. 281/1997, tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane in materia di identificazione e registrazione degli animali da affezione (vedi ricognizione del Ministero della salute aggiornata al dicembre 2020).
Ai comuni, in particolare, sono stati attribuiti compiti di tutela e controllo della popolazione animale vagante sul territorio di propria competenza, tra i quali:
§ attuazione di piani di controllo delle nascite di cani randagi e gatti delle colonie, mediante i servizi veterinari pubblici;
§ risanamento dei canili comunali e costruzione di rifugi;
§ gestione dei canili e gattili direttamente o tramite convenzioni con associazioni animaliste e zoofile o con soggetti privati;
§ organizzazione, congiuntamente ai servizi veterinari delle aziende sanitarie locali, di percorsi formativi per i proprietari di cani con conseguente rilascio di un attestato di partecipazione denominato patentino.
§ Per la realizzazione dei suddetti corsi i Comuni possono avvalersi della collaborazione dei seguenti soggetti: ordini professionali dei medici veterinari, facoltà di medicina veterinaria, associazioni veterinarie e associazioni di protezione animale.
§ individuazione, in collaborazione con i servizi veterinari delle aziende sanitarie locali, dei proprietari di cani soggetti all’obbligo di svolgimento dei percorsi formativi;
§ promozione di iniziative volte alla creazione della corretta relazione uomo-animale, congiuntamente alle aziende sanitarie locali, anche in collaborazione con i medici veterinari, le associazioni di protezione degli animali e gli educatori cinofili;
§ identificazione e registrazione in anagrafe canina, tramite il Servizio Veterinario pubblico, dei cani rinvenuti o catturati sul territorio e di quelli ospitati nei rifugi e nelle strutture di ricovero convenzionate;
§ dotazione alla Polizia locale di almeno un dispositivo di lettura di microchip compatibile con le norme ISO.
In particolare, in caso di avvelenamento di un animale di specie domestica o selvatica il Sindaco deve:
§ impartire immediate disposizioni per l’apertura di un’indagine in collaborazione con le altre Autorità competenti;
§ provvedere, entro 48 ore dalla ricezione del referto dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale (IZS), a individuare le modalità di bonifica dell’area interessata;
§ far segnalare con apposita cartellonistica, l’area di pericolo;
§ intensificare i controlli da parte delle Autorità preposte.
L’articolo 7 modifica la legge 56/2014 e il TUEL con la finalità, rappresentata nella relazione illustrativa, di risolvere la disparità di trattamento dei consiglieri metropolitani rispetto agli altri amministratori relativamente a permessi di lavoro retribuiti.
A tal fine inserisce – con la novella disposta al comma 1 - il richiamo anche all’articolo 79 del TUEL al comma 24 dell’art. 1 della legge 56/2014 che prevede che restino a carico della città metropolitana gli oneri connessi con le attività in materia di status degli amministratori, relativi ai permessi retribuiti, agli oneri previdenziali, assistenziali ed assicurativi di cui agli articoli 80, 84, 85 e 86 del TUEL.
L’articolo 79 stabilisce che i lavoratori dipendenti, pubblici e privati, componenti dei consigli comunali, provinciali, metropolitani, delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché dei consigli circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti, che non hanno richiesto il collocamento in aspettativa, hanno diritto di assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli e per il raggiungimento del luogo di suo svolgimento. Nel caso in cui i consigli si svolgano in orario serale, i predetti lavoratori hanno diritto di non riprendere il lavoro prima delle ore 8 del giorno successivo; nel caso in cui i lavori dei consigli si protraggano oltre la mezzanotte, hanno diritto di assentarsi dal servizio per l'intera giornata successiva.
Al comma 4 prevede inoltre che i componenti degli organi esecutivi dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle unioni di comuni, delle comunità montane e dei consorzi fra enti locali, e i presidenti dei consigli comunali, provinciali e circoscrizionali, nonché i presidenti dei gruppi consiliari delle province e dei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, hanno diritto, oltre ai suddetti permessi, di assentarsi dai rispettivi posti di lavoro per un massimo di 24 ore lavorative al mese, elevate a 48 ore per i sindaci, presidenti delle province, sindaci metropolitani, presidenti delle comunità montane, presidenti dei consigli provinciali e dei comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti.
Con la novella disposta al comma 2 all’art. 79 si dispone quindi che anche i presidenti dei consigli metropolitani e i presidenti dei gruppi consiliari delle città metropolitane, oltre ai suddetti permessi, hanno diritto di assentarsi dai rispettivi posti di lavoro per un massimo di 24 ore lavorative al mese.
In base al citato art. 79 TUEL L'attività ed i tempi di espletamento del mandato per i quali i lavoratori chiedono ed ottengono permessi, retribuiti e non retribuiti, devono essere prontamente e puntualmente documentati mediante attestazione dell'ente (comma 6).
Ai sensi dell’art. 80 del TUEL le predette assenze dal servizio sono retribuite al lavoratore dal datore di lavoro. Gli oneri per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti da privati o da enti pubblici economici sono a carico dell'ente presso il quale gli stessi lavoratori esercitano le funzioni pubbliche.
L'ente, su richiesta documentata del datore di lavoro, è tenuto a rimborsare quanto dallo stesso corrisposto, per retribuzioni ed assicurazioni, per le ore o giornate di effettiva assenza del lavoratore. Il rimborso viene effettuato dall'ente entro trenta giorni dalla richiesta. Le somme rimborsate sono esenti da imposta sul valore aggiunto.
Si ricorda che il comma 24 dell’art. 1 della L. 56/2014 – su cui interviene il comma 1 della disposizione in commento – è stato da ultimo modificato dall'art. 23, comma 1, lett. a-bis) del D.L. 24 giugno 2014, n. 90 (convertito, con modificazioni, dalla L. 11 agosto 2014, n. 114) estendendo il richiamo – originariamente previsto agli articoli 80 e 86 del TUEL – anche agli articoli 84 (rimborso delle spese di viaggio) e 85 (che applica le medesime disposizioni nel caso di partecipazione dei rappresentanti degli enti locali alle associazioni internazionali, nazionali e regionali tra enti locali) del TUEL.
In base alla legge 56/2014 gli organi della città metropolitana (comma 7) sono:
§ il sindaco metropolitano;
§ il consiglio metropolitano;
§ la conferenza metropolitana.
Il sindaco metropolitano è di diritto il sindaco del comune capoluogo (comma 19). Il sindaco metropolitano ha la rappresentanza dell’ente, convoca e presiede il consiglio metropolitano e la conferenza metropolitana, sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti ed esercita le funzioni attribuite dallo statuto; ha potere di proposta per ciò che attiene al bilancio dell’ente (comma 8).
Il consiglio metropolitano è composto dal sindaco metropolitano e da un numero di consiglieri variabile in base alla popolazione residente. È un organo elettivo di secondo grado e dura in carica cinque anni; in caso di rinnovo del consiglio del comune capoluogo, si procede comunque a nuove elezioni del consiglio metropolitano entro sessanta giorni dalla proclamazione del sindaco. La cessazione dalla carica comunale comporta la decadenza da consigliere metropolitano. È l’organo di indirizzo e controllo, approva regolamenti, piani, programmi e approva o adotta ogni altro atto ad esso sottoposto dal sindaco metropolitano ed esercita le altre funzioni attribuite dallo statuto; ha altresì potere di proposta sullo statuto e sulle sue modifiche e poteri decisori finali per l'approvazione del bilancio (comma 8).
La conferenza metropolitana è composta dal sindaco metropolitano, che la convoca e presiede, e dai sindaci dei comuni della città metropolitana (comma 42).
È competente per l'adozione dello statuto e ha potere consultivo per l'approvazione dei bilanci; lo statuto può attribuirle altri poteri propositivi e consultivi (commi 8 e 9).
L’articolo 8, al comma 1 dispone che, a decorrere dalla data del 1° gennaio 2019, è fatto divieto alle amministrazioni pubbliche di chiedere ai comuni e alle città metropolitane comunicazioni e dati già in possesso di un'altra amministrazione pubblica.
Per amministrazioni pubbliche si intendono quelle di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Si prevede inoltre che dalla medesima data (del 1° gennaio 2019) cessano di applicarsi le disposizioni vigenti in contrasto con tale previsione.
Si ricorda che alcune disposizioni vigenti prevedono, con finalità analoghe a quelle della disposizione in commento, che le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi siano tenuti ad acquisire d'ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive nonché tutti i dati e i documenti in possesso delle pubbliche amministrazioni ovvero ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall'interessato. L'amministrazione procedente opera l'acquisizione d'ufficio, ai sensi del precedente comma, "esclusivamente per via telematica" (art. 43 del D.P.R. n. 445 del 2000).
L'art. 50 del CAD dispone, inoltre, in ordine alla fruibilità del dato detenuto da una pubblica amministrazione. Il dato trattato da una pubblica amministrazione è reso accessibile e fruibile (senza oneri, salvo la prestazione di elaborazioni aggiuntive) alle altre amministrazioni ai fini dello svolgimento dei compiti istituzionali. Il trasferimento di un dato da un sistema informativo a un altro non ne modifica, peraltro, la titolarità. Restano ferme le esclusioni dal diritto di accesso poste dalla normativa vigente e le norme relative alla protezione dei dati personali.
Quanto alla sicurezza, l'art. 51, comma 2, del CAD prescrive esplicitamente che i documenti informatici delle pubbliche amministrazioni "devono essere custoditi e controllati con modalità tali da ridurre al minimo i rischi di distruzione, perdita, accesso non autorizzato o non consentito o non conforme alle finalità della raccolta". Ai sensi dell'art. 12, comma 2, del CAD, le pubbliche amministrazioni garantiscono l'interoperabilità dei sistemi e l'integrazione dei processi di servizio fra le diverse amministrazioni. Secondo la definizione di cui all'articolo 1 del CAD, per interoperabilità si indica la caratteristica di un sistema informativo, le cui interfacce sono pubbliche e aperte, di interagire in maniera automatica con altri sistemi informativi per lo scambio di informazioni e l'erogazione di servizi. Per accessibilità si intende "la capacità dei sistemi informatici ivi inclusi i siti web e le applicazioni mobili, nelle forme e nei limiti consentiti dalle conoscenze tecnologiche, di erogare servizi e fornire informazioni fruibili, senza discriminazioni, anche da parte di coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistite o configurazioni particolari" (art. 2, comma 1, lett. a), della legge n. 4 del 2004 recante "Disposizioni per favorire e semplificare l'accesso degli utenti e, in particolare, delle persone con disabilità agli strumenti informatici").
Con le Linee guida, emanate ai sensi dell'art. 71 del CAD dall'Agenzia per l'Italia digitale, sono individuate le soluzioni tecniche idonee a garantire la protezione, la disponibilità, l'accessibilità, l'integrità e la riservatezza dei dati e la continuità operativa dei sistemi e delle infrastrutture.
Per quanto riguarda i lavori parlamentari in corso, si ricorda che il disegno di legge A.C. 1812, recante misure in materia di codificazione e semplificazione, all’esame della Camera, dispone in via generale – all’art. 3, comma 1, lettera p), n. 2) - che “ogni dato o informazione necessaria alla pubblica amministrazione deve essere fornito una sola volta da parte di cittadini e imprese”. Tale prescrizione costituisce principio direttivo della delega che in tale sede è conferita al Governo. In base a tale previsione l'amministrazione che necessiti di un dato già fornito, potrà richiederlo solamente ad altra amministrazione che lo ha già ottenuto. A tal fine si prevede una gestione uniforme delle banche dati pubbliche informata ai principi della sicurezza, dell’interoperabilità e dell’accessibilità.
Articolo 8, comma 2
(Dati relativi agli affidamenti di lavori, forniture e servizi)
Il comma 2 dell’articolo 8 dispone che la trasmissione, da parte delle stazioni appaltanti, dei dati relativi agli affidamenti di lavori, forniture e servizi (prevista dall’art. 1, comma 32, della legge n. 190/2012) assolve ogni ulteriore adempimento e comunicazione relativo agli stessi.
L’art. 1, comma 32, della L. 190/2012 prevede che – con riferimento ai procedimenti di scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi – le stazioni appaltanti sono in ogni caso tenute a pubblicare nei propri siti web istituzionali le seguenti informazioni: la struttura proponente; l'oggetto del bando; l'elenco degli operatori invitati a presentare offerte; l'aggiudicatario; l'importo di aggiudicazione; i tempi di completamento dell'opera, servizio o fornitura; l'importo delle somme liquidate. Lo stesso comma prevede che le stazioni appaltanti sono tenute altresì a trasmettere le predette informazioni ogni semestre alla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (dalla cui trasformazione è nata l’odierna ANAC).
Viene altresì previsto che entro il 31 gennaio di ogni anno tali informazioni, relativamente all'anno precedente, sono pubblicate in tabelle riassuntive liberamente scaricabili in un formato digitale standard aperto.
Lo stesso comma stabilisce che le amministrazioni devono provvedere alla trasmissione in formato digitale di tali informazioni all'ANAC (nel testo si fa riferimento all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, soppressa dal D.L. 90/2014 e confluita nell’ANAC), che le pubblica nel proprio sito web in una sezione liberamente consultabile.
Il comma in questione dispone inoltre, tra l’altro, che l’ANAC individua con propria deliberazione le informazioni rilevanti e le relative modalità di trasmissione.
Lo stesso comma stabilisce che “le informazioni rilevanti e le relative modalità di trasmissione” sono individuate con apposita delibera dell’ANAC. In attuazione di tale disposizione sono state emanate le delibere ANAC nn. 26/2013 e 39/2016.
Sul sito dell’ANAC, nella pagina intitolata “L.190/2012, art.1, comma 32: pubblicazione informazioni su contratti pubblici e trasmissione all’ANAC”, sono fornite indicazioni sulle connessioni tra la trasmissione oggetto del comma in esame e ulteriori adempimenti. In particolare nei punti A7, A8 e A10 si fa riferimento, rispettivamente: all’attuazione dell’art.5 del D.Lgs. 229/2011 (avvenuta con il D.M. 26 febbraio 2013, che ha definito i dati riguardanti le opere pubbliche, oggetto del contenuto informativo minimo dei sistemi gestionali informatizzati che le amministrazioni e i soggetti aggiudicatori sono tenute a detenere e a comunicare alla banca dati delle amministrazioni pubbliche - BDAP); agli adempimenti relativi all’art 23, comma 1, lettera b), e 9-bis del D.Lgs.n.33/2013 (che impongono alle pubbliche amministrazioni di pubblicare e aggiornare ogni sei mesi, in distinte partizioni della sezione «Amministrazione trasparente», gli elenchi dei provvedimenti adottati dagli organi di indirizzo politico e dai dirigenti, con particolare riferimento, tra l’altro, ai provvedimenti finali dei procedimenti di scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, nonché la pubblicazione dei dati contenuti nelle banche dati pubbliche); agli altri obblighi di pubblicità previsti dal Codice dei contratti pubblici.
Articolo 9
(Comunicazioni relativi al conto annuale)
L’articolo 9 dispone che la pubblicazione dei dati inerenti al conto annuale delle spese per il personale sul sito internet istituzionale dell’ente locale sostituisce ogni altro adempimento relativo alla comunicazione dei medesimi dati che i comuni sono tenuti ad inviare ad altre amministrazioni pubbliche.
In particolare, la suddetta pubblicazione viene effettuata nella sezione “Amministrazione trasparente” del sito internet istituzionale e riguarda i dati contenuti nel conto annuale del personale, di cui all’articolo 60 del D.Lgs. 165/2001, relativi al costo del lavoro.
Il richiamato articolo 60 del D.Lgs. 165/2001 definisce un modello di rilevazione della consistenza di personale in servizio e in quiescenza presso le amministrazioni pubbliche, e delle relative spese, ivi compresi gli oneri previdenziali e le entrate derivanti dalle contribuzioni, al fine di porre in essere un flusso sistematico di informazioni tra le singole amministrazioni ed il Ministero dell’Economia. A tal fine, le amministrazioni pubbliche hanno l’obbligo di presentare entro il mese di maggio di ogni anno, alla Corte dei conti e al Dipartimento della funzione pubblica, il conto annuale delle spese sostenute per il personale, rilevate secondo specifici modelli. Oltre a ciò, la norma prevede specifici poteri ispettivi sulle pubbliche amministrazioni ad opera del Ministero dell’Economia – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato – e del Dipartimento della funzione pubblica. La Corte dei conti riferisce annualmente al Parlamento sulla gestione delle risorse finanziarie destinate al personale pubblico, avvalendosi di tutti i dati e informazioni disponibili presso le pubbliche amministrazioni.
A decorrere dal 1º gennaio 2014 è previsto (dall’articolo 2, comma 10, del D.L. 101/2013) l’assoggettamento di tutte le amministrazioni pubbliche censite dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della L. 196/2009 (di cui al Comunicato ISTAT del 30 settembre 2020) ad eccezione degli organi costituzionali e di rilievo costituzionale) al controllo del costo del lavoro, previsto dal citato articolo 60.
Per la suddetta finalità, l’articolo in esame demanda ad apposito decreto del Ministro per la pubblica amministrazione (di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e previo parere della Conferenza Stato-città ed autonomie locali), da adottarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, l’approvazione di un modello uniforme per la rilevazione dei dati relativi alla spesa di personale.
Come riportato nella Relazione illustrativa al provvedimento in esame, l’intervento normativo è dovuto all’esistenza, in materia di personale, di una sovrapposizione di dati da pubblicare che impedisce di fatto il raggiungimento dell’obiettivo di cui al D.Lgs. 33/2013 (Codice della trasparenza), ossia rendere maggiormente fruibile il dato e conoscibile l’azione della pubblica amministrazione da parte del cittadino.
Sul punto, si ricorda che con il citato D.Lgs. 33/2013 sono state riordinate in un unico corpo normativo le disposizioni riguardanti gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 1, comma 35, della legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. legge anticorruzione), anche al fine di evitare rischi di sovrapposizione normativa, nonché a rafforzare gli obblighi di pubblicazione in ordine all'uso delle risorse pubbliche, ai risultati dell'azione amministrazione e alle informazioni riguardanti i titolari di incarichi politici.
Articolo 10
(Razionalizzazione delle comunicazioni contabili degli enti locali)
L’articolo 10 detta norme per la razionalizzazione delle comunicazioni contabili degli enti locali, evitando duplicazioni e appesantimenti burocratici.
Il comma 1 prevede che, a partire dal 1° gennaio 2019, le amministrazioni centrali, le autorità indipendenti, la Corte dei conti e gli altri soggetti istituzionali nazionali non possano richiedere agli enti locali di fornire informazioni già rilevate tramite la banca dati unitaria delle amministrazioni pubbliche (BDAP).
Ai fini della formulazione del testo, occorre aggiornare il termine di decorrenza del divieto (fissato al 1° gennaio 2019)
La Banca Dati della Pubblica Amministrazione (BDAP) è stata istituita presso il Ministero dell’economia e delle finanze dalla legge di contabilità pubblica (legge n. 196 del 2009, articolo 13), all'interno del generale contesto della riforma della contabilità pubblica e dell'introduzione dei principi di armonizzazione dei sistemi contabili degli Enti.
Questa base di dati unitaria gestita dalla Ragioneria generale dello Stato, accessibile all'ISTAT e alle stesse amministrazioni pubbliche, è stata concepita come strumento funzionale per l'analisi, il controllo e il monitoraggio dei conti pubblici, su dati strutturati, tempestivamente raccolti e centralizzati, in grado di redistribuire agli attori istituzionali flussi di informazioni certificate e arricchite grazie all'integrazione con tutti gli altri dati disponibili residenti sui sistemi dipartimentali.
Le principali finalità e funzioni che BDAP supporta sono:
§ analisi e valutazione della spesa delle Amministrazioni Centrali dello Stato;
§ controllo, monitoraggio e consolidamento dei Conti Pubblici;
§ attuazione del Federalismo Fiscale.
Le informazioni da inserire nella banca dati menzionate dall’art. 13 sono quelle concernenti i bilanci di previsione, le relative variazioni, i conti consuntivi e quelli relativi alle operazioni gestionali, oltre a tutte le informazioni necessarie all'attuazione della legge 196/2009.
Si segnala che la legge n. 145/2018 (legge di bilancio per il 2019, commi 902-904) ha introdotto una semplificazione degli adempimenti contabili degli enti locali, prevedendo, a decorrere dal bilancio di previsione per il 2019, unicamente l’invio dei bilanci di previsione e dei rendiconti alla banca dati delle amministrazioni pubbliche in luogo delle apposite certificazioni.
In particolare, l’invio dei bilanci di previsione e dei rendiconti alla Banca dati delle amministrazioni pubbliche (BDAP) sostituisce la trasmissione al Ministero dell’interno delle certificazioni sui principali dati del bilancio e del rendiconto della gestione, precedentemente richieste dall’articolo 161 del TUEL, che disciplina le certificazioni finanziarie, che è stato conseguentemente sostituito.
In particolare, il vigente testo dell’articolo 161 – che non reca più l’obbligo della redazione delle suddette certificazioni e della relativa trasmissione al Ministero dell’interno - prevede che specifiche certificazioni sui principali dati finanziari possono essere richieste dal Ministero dell’interno, in relazione a dati non presenti nella BDAP, secondo modalità stabilite con decreto del Ministero dell’interno da pubblicare in Gazzetta ufficiale, previo parere dell’ANCI e dell’UPI. In ogni caso le certificazioni sono firmate dal solo responsabile del servizio finanziario (il previgente articolo 161 prevedeva che le certificazioni fossero firmate dal segretario, dal responsabile del servizio finanziario e dall'organo di revisione economico-finanziario).
In caso di mancato invio alla BDAP dei dati dei bilanci di previsione, dei rendiconti e del bilancio consolidato, compresi i dati aggregati per voce del piano dei conti integrato, entro 30 giorni dal termine stabilito per la loro approvazione, è prevista la sanzione consistente nella sospensione dei pagamenti delle risorse finanziarie a qualsiasi titolo dovute agli enti locali dal Ministero dell’interno, Dipartimento per gli affari interni e territoriali, ivi comprese quelle a titolo di fondo di solidarietà comunale (sanzione già prevista dal previgente articolo 161, comma 3, del TUEL in caso di mancato invio delle certificazioni). La sanzione consistente nel divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo per gli enti locali (prevista dal comma 1-quinquies dell’articolo 9 del D.L. n. 113/2016 in caso di mancato rispetto dei termini previsti per l’approvazione di determinati documenti contabili, quali il bilancio di previsione, il rendiconto ed il bilancio consolidato) è estesa anche al caso di mancato invio alla BDAP entro 30 giorni dal termine stabilito per l'approvazione degli stessi documenti contabili.
Il decreto-legge n. 124 del 2019 (art. 48), conseguentemente all’eliminazione dell’obbligo di invio delle certificazioni sui principali dati del bilancio al Ministero dell'interno, sostituite dall'invio dei bilanci di previsione e dei rendiconti alla Banca dati delle amministrazioni pubbliche (BDAP), ha soppresso la disposizione – contenuta al comma 5 dell'articolo 228 del TUEL – che poneva a carico degli enti locali l'onere di allegare la tabella dei parametri di riscontro della situazione di deficitarietà strutturale ed il piano degli indicatori e dei risultati di bilancio (oltre che al rendiconto) anche al certificato di rendiconto.
Inoltre, è stato modificato il comma 5 dell'articolo 243 del TUEL, al fine di precisare che la sanzione da applicare agli enti in condizioni strutturalmente deficitarie che non rispettano i livelli minimi di copertura dei costi di gestione è commisurata all'1 per cento delle entrate correnti risultanti dal rendiconto della gestione, anziché di quelle risultanti dal certificato di bilancio. Laddove non risultasse inviato alla BDAP il rendiconto della gestione del penultimo anno precedente, si fa riferimento all'ultimo rendiconto presente nella stessa banca dati o, in caso di ulteriore indisponibilità, in quella dei certificati di bilancio del Ministero dell'interno. È riformulato anche il comma 6 dell'art. 243, nel senso di prevedere l'assoggettamento in via provvisoria ai controlli centrali in materia di copertura del costo dei servizi oltre che agli enti che non hanno provveduto alla deliberazione del rendiconto della gestione (fattispecie già prevista dal previgente comma 6) anche a quelli che non inviino il rendiconto della gestione alla BDAP entro 30 giorni dal termine previsto per la sua deliberazione (il testo previgente prevedeva l'attivazione dei controlli in caso di mancata presentazione del certificato al rendiconto).
Sempre nell’ottica di eliminare duplicazioni ed appesantimenti burocratici, il comma 2 elimina l’obbligo di pubblicazione dei bilanci delle aziende speciali e delle istituzioni previsto dal Testo unico sull’ordinamento degli enti locali.
In particolare, si prevede l’eliminazione dell’obbligo per le aziende speciali e le istituzioni di depositare i propri bilanci al registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economico-amministrative della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura del proprio territorio entro il 31 maggio di ciascun anno, disposto dal comma 5-bis dell’articolo 114 del TUEL.
Tale obbligo è attualmente previsto unitamente all’obbligo di iscrizione ai citati elenchi, che resta invece in vigore.
Si ricorda che l'azienda speciale è ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale (articolo 114, comma 1, del TUEL). L'istituzione è organismo strumentale dell'ente locale per l'esercizio di servizi sociali, dotato di autonomia gestionale (articolo 114, comma 1, del TUEL). L’ordinamento ed il funzionamento delle aziende speciali sono disciplinati dal proprio statuto e dai regolamenti; quelli delle istituzioni sono disciplinati dallo statuto e dai regolamenti dell'ente locale da cui dipendono.
Attualmente le aziende speciali degli enti locali sono tenute a iscriversi nel registro delle imprese, mentre le istituzioni, considerata la loro natura di "organismo strumentale dell’ente locale per l’esercizio di servizi sociali", sono tenute a iscriversi nel REA. Sono inoltre tenute a depositare il bilancio di esercizio entro il 31 maggio di ciascun anno. La Circolare n. 3669/C, del 15 aprile 2014, del Ministero dello Sviluppo Economico contiene le indicazioni operative in merito sia all'iscrizione nel registro delle imprese o nel REA che al deposito del bilancio d’esercizio da parte dei soggetti in questione. Unioncamere, inoltre, redige annualmente il Manuale operativo per il deposito bilanci al registro delle imprese (qui il manuale 2020, dove alle pagine 33 e 34 si forniscono istruzioni di dettaglio per le aziende speciali e le istituzioni degli enti locali).
Si segnala, inoltre, che le aziende speciali che si configurano come enti strumentali controllati di enti territoriali (ai sensi dell'articolo 11-ter del decreto n.118/2011) e le Istituzioni degli enti locali sono tenuti alla trasmissione dei propri bilanci e degli altri dati contabili alla Banca Dati delle Amministrazioni Pubbliche (BDAP). Infatti, l’art. 4, commi 6 e 7, del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, richiede che le regioni, gli enti locali e i loro organismi ed enti strumentali trasmettono le previsioni di bilancio e le risultanze del consuntivo aggregate secondo la struttura del piano dei conti alla banca dati delle amministrazioni pubbliche, sulla base di schemi, tempi e modalità definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.
Il Ministero dell’economia e delle finanze pubblica gli elenchi degli enti tenuti alla trasmissione dei propri bilanci e degli altri dati contabili alla Banca Dati delle Amministrazioni Pubbliche (BDAP), ai sensi del decreto MEF 12 maggio 2016.
Si segnala che l’articolo 3-bis del decreto-legge n. 183 del 2020 dispone che il tardivo deposito dei bilanci relativi all'esercizio 2019 delle aziende speciali e delle istituzioni previste dall'articolo 114 del TUEL, presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, non dà luogo a sanzioni a condizione che sia effettuato entro il 31 marzo 2021.
Articolo 11
(Abolizione di comunicazioni contabili)
L’articolo 11 dispone l’abolizione di alcuni adempimenti contabili in materia fiscale a carico degli enti locali.
In particolare, si prevede l’abolizione della trasmissione al Ministero dell’economia e delle finanze di una situazione riepilogativa riferita all’anno precedente della gestione dell’imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni (lettera a)) e della comunicazione IFEL dei dati relativi ai versamenti effettuati dai contribuenti, a titolo di imposta municipale propria (IMU), sanzioni e interessi (lettera b)).
Si segnala che andrebbe aggiornata la data di decorrenza (1°gennaio 2019) dell’abolizione degli obblighi comunicativi a carico degli enti locali, adeguandola all’entrata in vigore del provvedimento in esame.
In particolare, la lettera a) abroga il comma 2, dell’articolo 4, del decreto del Ministro delle finanze 26 aprile 1994, riguardante la gestione contabile dell'imposta sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni e della tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche, secondo cui il comune o il concessionario deve trasmettere alla Direzione centrale per la fiscalità locale, entro il 31 marzo di ciascun anno, una situazione riepilogativa della gestione dell’imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni relativa all'anno precedente corredata dei dati dei singoli trimestri con annotati, nel caso di gestione in concessione, gli estremi dei versamenti alla tesoreria comunale.
Secondo la relazione illustrativa, si ritiene che tale obbligo sia diventato superfluo alla luce della reperibilità del dato richiesto in altri strumenti contabili, come ad esempio il Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici (SIOPE) e il certificato del conto consuntivo.
A tale proposito si ricorda che il SIOPE è un sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri di tutte le amministrazioni pubbliche (articolo 1, comma 533 della legge di bilancio per il 2017), e quindi anche degli enti locali, che nasce dalla collaborazione tra la Ragioneria Generale dello Stato, la Banca d'Italia e l'ISTAT. La rilevazione SIOPE, a seguito dell'emanazione del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 23 dicembre 2009, concernente il superamento della rilevazione trimestrale dei flussi di cassa, costituisce la principale fonte informativa per la predisposizione delle relazioni trimestrali sul conto consolidato di cassa delle amministrazioni pubbliche da presentare alle Camere.
Il citato comma 533 della legge di bilancio 2017 (legge n. 232 del 2016) ha previsto l’evoluzione della rilevazione SIOPE in SIOPE+, al fine di migliorare il monitoraggio dei tempi di pagamento dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche attraverso l’integrazione delle informazioni rilevate da SIOPE con quelle delle fatture passive registrate dalla Piattaforma elettronica (PCC) e, in prospettiva, di seguire l’intero ciclo delle entrate e delle spese. SIOPE+ chiede a tutte le amministrazioni pubbliche di:
§ ordinare incassi e pagamenti al proprio tesoriere o cassiere utilizzando esclusivamente ordinativi informatici emessi secondo lo standard definito dall’AgID;
§ trasmettere gli ordinativi informatici al tesoriere/cassiere solo ed esclusivamente per il tramite dell’infrastruttura SIOPE, gestita dalla Banca d’Italia.
Come SIOPE, anche SIOPE+ consente di acquisire informazioni dagli enti “in automatico”, liberando gli enti dall’obbligo di provvedere alla trasmissione alla Piattaforma elettronica PCC di dati riguardanti il pagamento delle fatture, che costituisce la principale criticità dell’attuale sistema di monitoraggio dei debiti commerciali e dei relativi tempi di pagamento, che richiede la comunicazione, da parte di ciascuna amministrazione pubblica.
Oltre ad acquisire informazioni preziose per la finanza pubblica, SIOPE+ ha un impatto positivo sull’efficienza del sistema dei pagamenti pubblici, in quanto la completa dematerializzazione degli incassi e dei pagamenti migliora la qualità dei servizi di tesoreria, favorisce l’eliminazione di eccessive personalizzazioni nel rapporto ente – tesoriere e renderà meno onerosa per le banche l’erogazione di tali servizi, e più contendibile il relativo mercato.
La lettera b) abroga i commi 2 e 3 dell’articolo 3 del decreto del direttore generale del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze 31 luglio 2000, recante approvazione dei termini e delle modalità per la trasmissione dei dati di riscossione relativi all'imposta comunale sugli immobili dovuta per gli anni 1999 e seguenti.
Il citato comma 2 dell’articolo 3, del decreto del direttore generale del Dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze 31 luglio 2000, richiede, ai comuni che hanno adottato come modalità di riscossione dell'ICI, in aggiunta o in sostituzione del pagamento tramite il concessionario della riscossione, il versamento su conto corrente postale intestato alla tesoreria del comune, il versamento diretto presso la medesima tesoreria o il pagamento tramite il sistema bancario, l’invio al Consorzio ANCI/CNC (che provvede al loro successivo inoltro al MEF) dei dati riepilogativi relativi ai versamenti effettuati dai contribuenti, in ciascun semestre solare, a titolo di ICI, sanzioni ed interessi, dovuti per qualsiasi anno di imposizione a seguito di attività di liquidazione e di accertamento. Il comma 3 richiede l’invio entro il 30 settembre 2000 della prima fornitura, che deve contenere i dati dei versamenti effettuati fino al 30 giugno 2000.
Secondo la relazione illustrativa anche l’obbligo di comunicazione all’ANCI/CNC (oggi IFEL) risulta superato in quanto il reperimento del dato può avvenire attraverso altre fonti contabili, come ad esempio i prospetti SIOPE in cui sono disponibili i prospetti relativi al singolo ente.
Si ricorda che la legge di bilancio per il 2020 ha introdotto una complessiva riforma dell'assetto dell'imposizione immobiliare locale, con l'unificazione delle due vigenti forme di prelievo (l'Imposta comunale sugli immobili, IMU e il Tributo per i servizi indivisibili – TASI) in un unico testo. I commi da 738 a 783 della citata legge di bilancio 2020, legge n. 160 del 2019 hanno altresì fissato l’aliquota di base è allo 0,86 per cento, consentendo un margine di manovra ai comuni. Ulteriori aliquote sono definite nell'ambito di una griglia individuata con decreto del MEF e sono introdotte modalità di pagamento telematiche.
Inoltre con la legge di bilancio 2020:
§ viene eliminata la possibilità di avere due abitazioni principali, una nel comune di residenza di ciascun coniuge;
§ è precisato che il diritto di abitazione assegnata al genitore affidatario è considerato un diritto reale ai soli fini dell'IMU;
§ è chiarito che le variazioni di rendita catastale intervenute in corso d'anno, a seguito di interventi edilizi sul fabbricato, producono effetti dalla data di ultimazione dei lavori, o, se antecedente, dalla data di utilizzo;
§ analogamente, per le aree fabbricabili si stabilisce che il valore è costituito da quello venale al 1° gennaio ovvero dall'adozione degli strumenti urbanistici in caso di variazione in corso d'anno;
§ si consente ai comuni di affidare, fino alla scadenza del contratto, la gestione dell'IMU ai soggetti ai quali, al 31 dicembre 2019, è affidato il servizio di gestione della vecchia IMU o della TASI.
Si ricorda inoltre che i provvedimenti adottati in occasione dell'emergenza economico-sanitaria da COVID-19 hanno disposto l'esenzione dall'IMU 2020 per numerose categorie di immobili produttivi, con particolare riferimento ai settori maggiormente colpiti dalla crisi.
I commi 599-601 della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020) esentano dalla prima rata dell'IMU 2021 gli immobili ove si svolgono specifiche attività connesse ai settori del turismo, della ricettività alberghiera e degli spettacoli, contestualmente incrementando l'apposito Fondo di ristoro per i comuni.
Articolo 12
(Competenze del consiglio comunale)
L’articolo 12 interviene sul T.U.E.L. relativamente a materie di competenza del Consiglio comunale.
Il Consiglio comunale è l’organo di indirizzo e controllo politico-amministrativo, ha competenza sugli atti fondamentali, tra i quali lo statuto (art. 42 TUEL), può istituire commissioni d’indagine (art. 44 TUEL) e, a maggioranza assoluta, può approvare una mozione di sfiducia che fa cessare dalla carica il sindaco, determinando di conseguenza lo scioglimento del Consiglio stesso (art. 52 TUEL).
In primo luogo, viene modificato l’articolo 42 al fine di rivedere le attribuzioni del Consiglio comunale in merito all’adozione degli atti considerati “fondamentali” (comma 1, lettera a)).
Inoltre, intervenendo sull’articolo 191 si affida direttamente alla Giunta comunale il potere di provvedere al riconoscimento della spesa e alla relativa copertura finanziaria per i lavori di somma urgenza, derivanti da eventi eccezionali o imprevedibili, qualora i fondi iscritti nel bilancio si dimostrino insufficienti. Tale procedura viene inoltre limitata al caso in cui sull’apposito capitolo di bilancio vi sia insufficienza di fondi (comma 1, lettera b)).
Infine, si modifica l’articolo 194 del T.U.E.L. affidando il riconoscimento dei debiti fuori bilancio alla deliberazione della Giunta comunale, anziché del Consiglio, al fine di velocizzare i procedimenti (comma 1, lettera c)).
Più in dettaglio, la lettera a) del comma 1 introduce alcune modifiche all’articolo 42 TUEL che riconosce al Consiglio comunale una competenza espressamente circoscritta in riferimento ad alcuni atti fondamentali.
Il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali:
a) statuti dell'ente e delle aziende speciali, regolamenti salva l'ipotesi dei regolamenti sull’ordinamento, criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi;
b) programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, eventuali deroghe ad essi, pareri da rendere per dette materie;
c) convenzioni tra i comuni e quelle tra i comuni e provincia, costituzione e modificazione di forme associative;
d) istituzione, compiti e norme sul funzionamento degli organismi di decentramento e di partecipazione;
e) organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell'ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione;
f) istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote; disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi;
g) indirizzi da osservare da parte delle aziende pubbliche e degli enti dipendenti, sovvenzionati o sottoposti a vigilanza;
h) contrazione di mutui e aperture di credito non previste espressamente in atti fondamentali del consiglio ed emissioni di prestiti obbligazionari;
i) spese che impegnino i bilanci per gli esercizi successivi, escluse quelle relative alle locazioni di immobili ed alla somministrazione e fornitura di beni e servizi a carattere continuativo;
l) l) acquisti e alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari;
m) m) definizione degli indirizzi per la nomina e la designazione di rappresentanti del comune presso enti, aziende ed istituzioni, nonché nomina dei rappresentanti del consiglio presso enti, aziende ed istituzioni ad esso espressamente riservata dalla legge.
L’elenco delle attribuzioni del Consiglio è tassativo ed è precluso allo statuto di estendere le competenze consiliari.
In primo luogo, ferma restando la competenza ad adottare gli statuti dell'ente e delle aziende speciali, si precisa che la competenza del consiglio sui regolamenti è limitata a quelli “aventi efficacia nel territorio dell’ente, esclusi quelli di natura e finalità organizzativa”. Viene inoltre eliminata ogni competenza in riferimento ai criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi.
Attualmente la lettera a) del comma 2 dell’art. 42 TUEL riconosce invece una competenza generale del Consiglio in materia regolamentare, salva l’ipotesi dei regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, per la cui adozione è competente la giunta (art. 48 TUEL).
Nell’ambito dell’elenco degli atti fondamentali è specificato, altresì, che la competenza del Consiglio sulla costituzione e modificazione di forme associative (prevista dalla lettera c) del comma 2 dell’art. 42 TUEL) è circoscritta agli atti aventi ad oggetto l’esercizio di funzioni o l’erogazione di servizi alla collettività.
Infine, mediante abrogazione della lettera l) del comma 2 dell’art. 42 TUEL), viene eliminata in capo al consiglio la competenza sugli acquisti e sulle alienazioni immobiliari, relative permute, appalti e concessioni che non siano previsti espressamente in atti fondamentali del consiglio o che non ne costituiscano mera esecuzione e che, comunque, non rientrino nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari.
Le lettere b) e c) riguardano il riconoscimento dei debiti fuori bilancio ed attribuiscono direttamente alla Giunta la possibilità del loro riconoscimento con lo scopo, secondo la relazione illustrativa, di semplificare e accelerare i procedimenti di riconoscimento di tali debiti.
La relazione illustrativa afferma che si tratta molto spesso di fattispecie risalenti nel tempo, riferite a periodi antecedenti a quelli del mandato amministrativo dei consiglieri comunali che sono chiamati a riconoscere tali spese.
In particolare, la lettera b) del comma 1 interviene sul comma 3 dell’articolo 191 del TUEL, che riguarda le regole per l’effettuazione di spese nel caso di lavori pubblici di somma urgenza, cagionati dal verificarsi di un evento eccezionale o imprevedibile.
Si ricorda che la normativa vigente in materia di riconoscimento della legittimità dei debiti fuori bilancio in caso di lavori di somma urgenza cagionati da eventi eccezionali e imprevedibili (articolo 191 del T.U.E.L., comma 3) prevede che la Giunta, entro venti giorni dall'ordinazione fatta a terzi, su proposta del responsabile del procedimento, sottoponga al Consiglio il provvedimento di riconoscimento della spesa con le modalità previste dall'articolo 194, comma 1, lettera e), prevedendo la relativa copertura finanziaria nei limiti delle accertate necessità per la rimozione dello stato di pregiudizio alla pubblica incolumità.
Tali modalità riguardano il riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio tramite deliberazione consiliare nel caso di acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza, tramite deliberazione consiliare (si segnala peraltro che il comma 194 viene modificato dalla lettera c) del comma 1 dell’articolo 12 in esame).
Il provvedimento di riconoscimento è adottato dal Consiglio entro 30 giorni dalla data di deliberazione della proposta da parte della Giunta, e comunque entro il 31 dicembre dell'anno in corso se a tale data non sia scaduto il predetto termine. La comunicazione al terzo interessato è data contestualmente all'adozione della deliberazione consiliare.
Si ricorda che la legge di bilancio per il 2019 (articolo 1, comma 901) ha abrogato, all'interno del terzo comma dell'articolo 191 del TUEL, il riferimento all'insufficienza delle risorse finanziarie per giustificare l'avvio delle procedure di riconoscimento dei debiti fuori bilancio derivanti dai lavori pubblici di somma urgenza, causati dal verificarsi di un evento eccezionale o imprevedibile, precedentemente vigente.
Con delibera n. 121/2019, la Corte dei Conti - Sezione regionale di controllo per la Sicilia – ha affermato che, in base alla formulazione del predetto comma 3 derivante dalla modifica operata in legge di bilancio, è divenuto sempre obbligatorio riconoscere come debito fuori bilancio i lavori di somma urgenza, per i quali non risulta possibile rispettare l’iter ordinario del procedimento di spesa, e non già solo quando sull’apposito capitolo vi è insufficienza di fondi. In tal modo, è stata introdotta una disciplina derogatoria per tutti i lavori di somma urgenza e di protezione civile. Per approfondimenti, si rinvia al testo integrale della delibera.
La lettera b) in esame:
§ reintroduce la limitazione dell’applicazione della procedura di riconoscimento dei debiti fuori bilancio di cui al comma 3, espunta dalla legge di bilancio per il 2019, ai casi in cui i fondi specificamente iscritti nel bilancio si dimostrino insufficienti;
§ attribuisce direttamente alla Giunta il potere di riconoscere il debito fuori bilancio, invece di dover sottoporre al Consiglio il provvedimento di riconoscimento della spesa;
§ estende da venti a trenta giorni dall'ordinazione fatta a terzi il termine entro il quale la Giunta deve provvedere al riconoscimento del debito, in luogo di effettuare la proposta al Consiglio.
La lettera c) interviene sul comma 1 dell’articolo 194 del T.U.E.L., che reca la disciplina per il riconoscimento dei debiti fuori bilancio da parte degli enti locali, stabilendo che gli enti locali riconoscono la legittimità dei debiti fuori bilancio derivanti dalle fattispecie elencate dallo stesso comma tramite deliberazione della Giunta comunale anziché – come previsto dalla normativa attualmente vigente - con la deliberazione del Consiglio di cui all’articolo 193, comma 2, con cui il Consiglio provvede a dare atto del permanere degli equilibri generali di bilancio.
Il citato articolo 194 riguarda i debiti fuori bilancio derivanti da:
a) sentenze esecutive;
b) copertura di disavanzi di consorzi, di aziende speciali e di istituzioni, nei limiti degli obblighi derivanti da statuto, convenzione o atti costitutivi, purché sia stato rispettato l'obbligo di pareggio del bilancio ed il disavanzo derivi da fatti di gestione;
c) ricapitalizzazione, nei limiti e nelle forme previste dal codice civile o da norme speciali, di società di capitali costituite per l'esercizio di servizi pubblici locali;
d) procedure espropriative o di occupazione d'urgenza per opere di pubblica utilità;
e) acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 191 che dettano le regole per l'assunzione di impegni e per l'effettuazione di spese, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l'ente, nell'ambito dell'espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza.
Inoltre, l’articolo 194 viene integrato con il comma 1-bis, che richiede la trasmissione della deliberazione della Giunta, esecutiva nei termini di legge, agli uffici comunali, i quali provvedono al pagamento della spesa, fatta salva la verifica degli equilibri finanziari e complessivi della gestione e dei vincoli di finanza pubblica, effettuata dal responsabile del servizio finanziario.
Si ricorda che una analoga norma, ma limitata ai debiti fuori bilancio derivanti da sentenze esecutive, è stata introdotta per le regioni dal D.L. n. 34/2019, che all’articolo 38-ter modifica la procedura per il riconoscimento di tali debiti fuori bilancio disponendo che vi possa provvedere o il Consiglio regionale, come già previsto dalla normativa vigente, o, in alternativa, la Giunta regionale.
Si segnala che il D.L. n. 104/2020 è intervenuto in materia di riconoscimento dei debiti fuori bilancio, integrando la disposizione (articolo 194, comma 3, del TUEL) relativa alla modalità con cui l'ente locale è tenuto a procedere al finanziamento delle spese per tali debiti. In particolare, è stata estesa la possibilità di ricorrere a mutui in presenza di piani di rateizzazioni con durata diversa dai tre anni (durata prevista dal comma 2), garantendo la copertura finanziaria delle quote annuali previste negli accordi con i creditori in ciascuna annualità dei corrispondenti bilanci, in termini di competenza e di cassa
Articolo 13
(Organo di revisione economico-finanziario)
L’articolo 13 interviene sulla normativa in materia di nomina dei revisori dei conti degli enti locali.
In particolare, il comma 1 – mediante una novella al comma 25 e con l’inserimento del comma 25-bis all’articolo 16 del D.L. n. 138/2011- è volto:
a) a modificare la formazione dell’elenco dei soggetti – iscritti nel Registro dei revisori legali nonché all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili - da cui vengono estratti, a sorte, i revisori dei conti degli enti locali, stabilendo che esso sia costituito su base provinciale e non più regionale;
b) a prevedere una deroga all’estrazione a sorte, stabilendo che nei casi di composizione collegiale dell’organo di revisione economico-finanziario, i consigli degli enti eleggono, a maggioranza assoluta dei propri membri, il componente con funzioni di presidente, scelto tra i soggetti inseriti nella fascia 3), o comunque nella fascia di più elevata qualificazione professionale, di cui al regolamento di cui al D.M. 15 febbraio 2012, n. 23.
Si segnala che tali modifiche all’articolo 16 del D.L. n. 138/2011 sono state nel frattempo introdotte dall’articolo 57-ter, comma 1, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157.
In base alla normativa attualmente vigente, come modificata dall’articolo 57-ter del D.L. n. 124/2019, i revisori dei conti degli enti locali vengono scelti mediante estrazione da un elenco articolato a livello provinciale (e non più regionale), nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti nel Registro dei revisori legali, nonché gli iscritti all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, in relazione alla residenza anagrafica di ciascun richiedente (art. 16, comma 25, del D.L. n. 138/2011).
Per l’Elenco vigente dal 1° gennaio 2021 si veda il decreto 23 dicembre 2020 (e successive integrazioni disposte con decreti ministeriali del 15 gennaio 2021, 22 gennaio 2021, 29 gennaio 2021, 10 febbraio 2021 e, da ultimo, del 25 febbraio 2021).
Nel caso di composizione collegiale dell'organo di revisione, il comma 25-bis consente, in deroga alla procedura di estrazione a sorte, che il componente dell'organo di revisione con funzioni di presidente venga eletto dall’organo consiliare, a maggioranza assoluta dei membri, scelto tra i soggetti validamente inseriti nella fascia 3) del Regolamento di cui al D.M. 15 febbraio 2012, n. 23, o comunque nella fascia di più elevata qualificazione professionale, in caso di modifiche al citato Regolamento (art. 16, comma 25-bis, del D.L. n. 138/2011).
Si ricorda, al riguardo, che il D.M. Interno 15 febbraio 2012, n. 23 - che ha dato attuazione alla normativa basata sull’estrazione a sorte dei componenti dell’organo di revisione dall’elenco appositamente costituito, che ha sostituito dal 2012 la originaria disciplina del TUEL[7] - prevede, nel caso di composizione collegiale dell'organo di revisione, che tali funzioni siano svolte dal componente che risulti aver ricoperto il maggior numero di incarichi di revisore presso enti locali e, in caso di egual numero di incarichi ricoperti, ha rilevanza la maggior dimensione demografica degli enti presso i quali si è già svolto l'incarico.
Si ricorda inoltre che, in base all’art. 1, co. 3, del citato D.M. n. 23/2012, l'iscrizione dei soggetti nell'elenco dei revisori avviene in relazione alla tipologia e alla dimensione demografica degli enti locali, raggruppati, a tal fine, nelle seguenti fasce:
§ fascia 1: comuni fino a 4.999 abitanti;
§ fascia 2: comuni con popolazione da 5.000 a 14.999 abitanti, unioni di comuni e comunità montane;
§ fascia 3: comuni con popolazione pari o superiore a 15.000 abitanti, e province.
Per l'inserimento nell’elenco, i richiedenti devono essere in possesso di determinati requisiti per ciascun raggruppamento di fascia di enti locali. In particolare, nella fascia 3) richiamata dalla norma sono inseriti i richiedenti in possesso dei seguenti requisiti[8]:
a) iscrizione da almeno 10 anni nel registro dei revisori legali o all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili;
b) aver svolto almeno due incarichi di revisore dei conti presso enti locali, ciascuno per la durata di tre anni;
c) conseguimento, nel periodo 1° gennaio-30 novembre dell'anno precedente, di almeno 10 crediti formativi per aver partecipato a corsi e/o seminari formativi in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali i cui programmi di approfondimento ed i relativi test di verifica siano stati preventivamente condivisi con il Ministero dell'interno.
Il comma 2 dell’articolo in esame prevede la modifica da parte del Governo del decreto del Ministro dell’interno 15 febbraio 2012, n. 23, che disciplina la formazione dell’elenco dei revisori, secondo i seguenti princìpi:
a) prevedere che l’inserimento dei soggetti nell’elenco cui all’articolo 1, comma 2, del citato D.M. avvenga a livello provinciale anziché regionale.
Si tratterebbe di una modifica conseguente alla modifica legislativa sopra illustrata, cui la normativa regolamentare di attuazione dovrebbe comunque dare seguito a prescindere da una espressa indicazione normativa in tal senso.
Si osserva che identica norma è contenuta nel vigente comma 2 dell’art. 57-ter del D.L. n. 124/2019. Tuttavia, a distanza di oltre un anno dall’entrata in vigore del D.L. n. 124/2019, l’aggiornamento in tal senso del Regolamento non risulta ancora intervenuto;
b) prevedere la possibilità di rinnovo, per una sola volta - fermi restando i termini di scadenza dell’organo di revisione economico-finanziario - dell’incarico dell’organo medesimo per un ulteriore triennio, dandone comunicazione alla competente prefettura-ufficio territoriale del Governo che, in ogni altro caso, procede alla scelta dei revisori.
Al riguardo si ricorda che l’art. 235 del TUEL stabilisce che l'organo di revisione contabile dura in carica tre anni e che i suoi componenti non possono svolgere l'incarico per più di due volte nello stesso ente locale. Per il rinnovo dell’organo si procede secondo la procedura di cui all’articolo 16, comma 25, del D.L. n. 318/2011 e relativo D.M. n. 23/2012, sopra illustrata, il quale prevede che l’estrazione sia effettuata dalla Prefettura competente per territorio dell'ente locale che deve rinnovare l'organo di revisione.
In merito la Relazione illustrativa evidenzia come, soprattutto nei casi di maggiore complessità degli enti locali, la possibilità di rinnovo del collegio dei revisori potrebbe garantire continuità nell’azione amministrativa.
Si evidenzia che la possibilità di rinnovare l’incarico dell’organo di revisione per un ulteriore triennio, esclusa dalla normativa attualmente vigente, richiederebbe una specifica modifica legislativa (non essendo sufficiente la modifica della sola normativa attuativa di cui al decreto n. 23/2012).
Andrebbe chiarito, inoltre, in cosa si sostanzi il potere di “scelta dei revisori” da parte della Prefettura, trattandosi del mero rinnovo di un organo (la cui composizione, quindi, non verrebbe modificata).
La nomina dell’organo di revisione economico-finanziaria negli enti locali
Le disposizioni riguardanti la composizione e le funzioni dell'organo di revisione degli enti locali sono contenute nella Parte seconda, Titolo VII del D.Lgs. 267/2000 (TUEL) e fanno riferimento agli articoli dal 234 al 241.
L’articolo 234 del TUEL prevede, per i consigli comunali, provinciali e delle città metropolitane, nonché per le unioni di comuni che esercitano in forma associata tutte le funzioni fondamentali dei comuni che ne fanno parte, un collegio di revisori composto da tre membri. Soltanto nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti e nelle comunità montane, ovvero nelle unioni di comuni che non esercitano tutte le funzioni in forma associata, la revisione economico-finanziaria è affidata ad un solo revisore.
I commi 25 e 25-bis dell’articolo 16 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 hanno sostituito la disciplina prevista nell’art. 234, comma 2, del TUEL relativamente alla scelta dei soggetti che possono svolgere la funzione di revisori dei conti degli enti locali, pur rilasciandone il potere di nomina al Consiglio dell’ente locale. In luogo della scelta diretta da parte dei Consigli, l'articolo 16, comma 25, del D.L. n. 138/2011 ha introdotto un sistema di scelta dei revisori mediante estrazione a sorte da un apposito elenco nel quale possono essere inseriti, a richiesta, i soggetti iscritti nel Registro dei revisori legali (di cui al D.Lgs. n. 39/2010) nonché gli iscritti all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
Il Regolamento contenuto nel D.M. Interno 15 febbraio 2012 n. 23, che ha dato attuazione alla normativa, stabilisce i criteri per la formazione dell’elenco, i requisiti che debbono possedere i soggetti per farne parte e le modalità di aggiornamento del suddetto elenco. L’elenco dei revisori dei conti degli enti locali è stato istituito dal 10 dicembre 2012 presso il Ministero dell’interno, ed è articolato in tre fasce di enti locali, individuate in relazione alla tipologia e alla dimensione demografica degli stessi (1° fascia: comuni fino a 4.999 abitanti; 2° fascia: comuni da 5.000 a 14.999 abitanti, unioni di comuni e comunità montane e isolane; 3° fascia: comuni da 15.000 abitanti, province e città metropolitane). Per l'inserimento nell'elenco, i richiedenti devono essere in possesso di determinati requisiti indicati per ciascuna fascia di enti locali (per l’elenco in vigore dal 1° gennaio 2021, si veda il D.M. interno 25 febbraio 2021).
La procedura prevede che gli enti locali sono tenuti a dare comunicazione della scadenza dell'incarico del proprio organo di revisione dei conti alla Prefettura competente per territorio due mesi prima della scadenza. L’estrazione è effettuata dalla Prefettura. Nel giorno fissato e in seduta pubblica, alla presenza del Prefetto o di un suo delegato, si procede all'estrazione a sorte con procedura informatica, dall'articolazione regionale dell'elenco ed in relazione a ciascuna fascia di enti locali, dei nominativi dei componenti degli organi di revisione da rinnovare. L’algoritmo di estrazione a sorte dei revisori degli enti locali è stato di recente revisionato con il Decreto 4 febbraio 2020.
Per ciascun componente da rinnovare sono estratti tre nominativi, il primo dei quali è designato per la nomina di revisore mentre gli altri subentrano, nell'ordine di estrazione, nell'eventualità di rinuncia o impedimento ad assumere l'incarico da parte del primo. L’ente locale procede alla nomina dei soggetti estratti con delibera del consiglio, previa verifica di eventuali cause di ineleggibilità o incompatibilità (ex art. 236 del TUEL), e da comunicazione alla Prefettura dei soggetti incaricati. L'organo di revisione contabile dura in carica tre anni a decorrere dalla data di esecutività della delibera.
Articolo 14
(Dirigenza apicale nei comuni)
L’articolo 14 prevede l’istituzione di un’unica figura dirigenziale apicale nei comuni capoluogo, nei comuni con popolazione pari o superiore a 100.000 abitanti e nelle città metropolitane.
In base alla relazione illustrativa, lo scopo della modifica è superare l’attuale dualismo tra segretari e direttori generali per i comuni più popolosi, in chiave di semplificazione dell’organizzazione amministrativa e di correlata riduzione dei costi.
Sotto il profilo della formulazione del testo, andrebbe specificato se con l’espressione “comuni capoluogo” si intenda fare riferimento sia ai capoluoghi di provincia, sia ai capoluoghi di regione.
In via preliminare si ricorda che in base al TUEL, alla dirigenza degli enti locali è attribuita la direzione degli uffici e dei servizi, secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti, da uniformarsi al principio di separazione tra politica e gestione.
In base al D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL) tutti i compiti non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, compresa l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, spettano ai dirigenti (art. 107).
Accanto ai dirigenti, il legislatore, nel corso delle riforme degli anni Novanta, ha previsto che nei comuni con popolazione superiore ad una determinata soglia (stabilita attualmente in 100.000 abitanti) il sindaco, previa deliberazione della Giunta, può nominare, al di fuori della dotazione organica e con contratto a tempo determinato, un direttore generale negli enti locali, la cui durata non può eccedere quella del mandato del sindaco. Al direttore generale spetta l’attuazione degli indirizzi e degli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell'ente e la sovrintendenza alla gestione dell'ente, perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza (art. 108 TUEL). Compete, in particolare, al direttore generale la proposta di piano esecutivo di gestione e la predisposizione del piano dettagliato di obiettivi previsto dal piano esecutivo di gestione.
Il TUEL prevedeva una soglia minima di 15.000 abitanti di popolazione del Comune, affinché il direttore generale potesse essere nominato (per il singolo Comune o, in caso di popolazione inferiore, per più comuni raggiungenti assieme quella soglia e stipulanti all'uopo una convenzione). Successivamente, il legislatore, al fine di ridurre la spesa pubblica, ha circoscritto la possibilità di prevedere la figura del direttore generale, solo nei comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti (D.L. 2/2010).
Al titolare della posizione dirigenziale apicale, come configurato dalla disposizione in commento, sono attribuite le funzioni di attuazione dell’indirizzo politico, di coordinamento dell’attività amministrativa e di controllo dell’azione amministrativa.
È inoltre prevista espressamente l’attribuzione delle funzioni di cui all’art. 97, co. 4, TUEL - che attualmente sono attribuite al segretario comunale - al fine di:
§ sovrintendere allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e di coordinarne l'attività, salvo i casi in cui l’ente sia dotato di un direttore generale;
§ partecipare con funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta e ne cura la verbalizzazione;
§ esprimere il parere sulla regolarità tecnica delle deliberazioni di Giunta e Consiglio, in relazione alle sue competenze, nel caso in cui l'ente non abbia responsabili dei servizi;
§ rogare, su richiesta dell'ente, i contratti nei quali l'ente è parte e autenticare scritture private ed atti unilaterali nell'interesse dell'ente;
§ esercitare ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco;
§ esercitare le funzioni di direttore generale quando il sindaco decida di conferirle.
Si ricorda che al segretario comunale sono affidati compiti di collaborazione e assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente locale in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti. Ciascun comune ha un segretario titolare iscritto all'apposito albo cui si accede per concorso (TUEL art. 97 e 98).
Il segretario coordina, in particolare, i dirigenti e sovrintende allo svolgimento delle loro funzioni; ha funzioni consultive nei confronti del Consiglio e della Giunta (di cui verbalizza le sedute) secondo le previsioni del citato articolo 97.
Oltre a queste, al segretario possono essere attribuite ulteriori funzioni per statuto e regolamento oppure su impulso del sindaco. Il segretario, inoltre, svolge le funzioni in materia di prevenzione della corruzione e di controllo interno dell'ente nonché di trasparenza previste dalla legge.
Il sindaco nomina e revoca il segretario, il cui incarico ha la durata corrispondente dell'organo che lo ha nominato (TUEL art. 99). Può essere nominato solo tra gli iscritti all'albo dei segretari comunali e provinciali, al quale si accede per concorso. La gestione dell’albo spetta al Ministero dell’interno.
Da ultimo, l’articolo in esame prevede che alla posizione dirigenziale apicale possa accedere chi è in possesso dei requisiti per l’accesso alla dirigenza pubblica e con le modalità previste dall’art. 108 del TUEL per la figura del direttore generale.
Le modalità richiamate (art. 108 TUEL) prevedono la nomina da parte del sindaco, previa deliberazione della giunta, al di fuori della dotazione organica e con contratto a tempo determinato, e secondo criteri stabiliti dal regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi. La durata dell'incarico non può eccedere quella del mandato del sindaco. La disposizione richiamata prevede altresì che anche la revoca sia disposta dal sindaco, previa deliberazione della giunta.
La disposizione in commento incide dunque in prevalenza sulle vigenti attribuzioni del segretario comunale, pur tuttavia senza intervenire sul complesso delle disposizioni che attualmente disciplinano tale figura, né introducendo disposizioni di coordinamento con la figura del direttore generale.
Andrebbe pertanto valutata l’opportunità, modificando le relative disposizioni del TUEL, di specificare il complesso delle funzioni che si intendono attribuire all’istituenda figura dirigenziale apicale, assicurando il necessario coordinamento con le previsioni che pongono attualmente in capo al segretario comunale e alla dirigenza degli enti locali (al direttore generale ove previsto) lo svolgimento di tali funzioni.
Articolo 15
(Determinazione delle spese di personale
e della capacità assunzionale nei comuni)
L’articolo 15 interviene in materia di capacità assunzionale dei comuni, delle unioni di comuni e delle città metropolitane, disponendo che agli stessi non si applichino determinate disposizioni che prevedono limitazioni alla sostituzione del personale cessato, facendo contestualmente salvi i già vigenti limiti di carattere generale alla spesa complessiva di personale.
Preliminarmente si segnala che la decorrenza della disposizione in commento è riferita ad una annualità pregressa, il 2019, che andrebbe conseguentemente aggiornata con riferimento all’annualità in corso o alle successive.
In particolare, ai fini della determinazione della capacità assunzionale - fermo restando l’obbligo del conseguimento del pareggio di bilancio (inteso come saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali) e nel rispetto dei limiti complessivi di spesa per il personale (ai sensi dell’art. 1, c. 557-quater e 562 della L. 296/2006 – vedi infra) – ai suddetti enti non si applica:
§ la previsione secondo cui i comuni con meno di 1.000 abitanti possono assumere personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nell’anno precedente (ex art. 1, c. 562, secondo periodo, della L. 296/2006). Resta salvo quanto previsto dal primo periodo del richiamato comma 562 secondo cui le spese di personale non devono superare il corrispondente ammontare dell’anno 2008;
Al riguardo, si ricorda che, ai fini del potenziamento dei servizi sociali, la legge di bilancio 2021 (art. 1, co. 801, L. 178/2020) riconosce ai comuni, in deroga ai vincoli assunzionali vigenti tra cui il richiamato art. 1, co. 562, della L. 296/2006, la possibilità di assumere a tempo indeterminato assistenti sociali, fermo restando il rispetto degli obiettivi del pareggio di bilancio.
§ il limite alla possibilità per le amministrazioni dello Stato di stipulare contratti a tempo determinato (o convenzioni ovvero contratti di collaborazione coordinata e continuativa) pari al 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009 (ex art. 9, c. 28, del D.L. 78/2010[9]);
§ la disciplina relativa alle limitazioni delle facoltà assunzionali degli enti locali, che parametra le assunzioni a tempo indeterminato ai risparmi prodotti dalle uscite dell'anno precedente, dettata dall’articolo 3, comma 5, del D.L. 90/2014[10].
Sul punto, si segnala che l’articolo 33 del D.L. 34/2019 ha introdotto una nuova disciplina - in vigore per i comuni a decorrere dal 20 aprile 2020 (come disposto dal relativo decreto attuativo del 17 marzo 2020) - per determinare le facoltà assunzionali dei suddetti enti; il nuovo criterio adottato è quello del rapporto percentuale fra la spesa di personale e le entrate correnti, attraverso l’individuazione della fascia demografica di appartenenza dell’ente (individuata sulla base del numero di abitanti) (vedi infra).
§ la previsione che, dal 2018, riconosce alle province la facoltà di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato - da destinarsi prioritariamente allo svolgimento di attività in materie specifiche[11] - entro determinati limiti di spesa e percentuali assunzionali, e contestualmente consente l’utilizzo dei resti di tali percentuali assunzionali riferite alle cessazioni, verificatesi nel triennio precedente, del personale non interessato da processi di mobilità verso regioni, comuni e altre pubbliche amministrazioni (ex art. 1, c. 845, L. 205/2017).
La suddetta facoltà di assumere a tempo indeterminato è riconosciuta dal richiamato art. 1, c. 845, della L. 205/2017 nel limite della dotazione organica ridefinita dai piani di riassetto organizzativo e di un contingente di personale complessivamente corrispondente:
- ad una spesa pari al 100% di quella relativa al personale cessato nell’anno precedente, se l’importo delle spese complessive di personale (al lordo di oneri riflessi a carico delle amministrazioni) non supera il 20% delle entrate correnti;
- ad una spesa pari al 25% di quella relativa al personale cessato nell’anno precedente se l’importo delle spese complessive di personale (al lordo di oneri riflessi a carico delle amministrazioni) supera il 20% delle entrate correnti.
Capacità assunzionali di personale a tempo indeterminato dei comuni
In materia di turnover degli enti territoriali, si ricorda che con la nuova disciplina introdotta dall’articolo 33 del D.L. 34/2019, a decorrere dal 20 aprile 2020 (come disposto dal relativo decreto attuativo del 17 marzo 2020), per le regioni e i comuni è venuta meno la regola del turnover che, come detto, parametra le assunzioni ai risparmi prodotti dalle uscite dell'anno precedente (o in corso, ricorrendo determinate condizioni). Il nuovo criterio adottato dal citato D.L. 34/2019 per determinare le facoltà assunzionali dei suddetti enti è quello del rapporto percentuale fra la spesa di personale e le entrate correnti.
La predetta disciplina è dettata con riferimento ai Comuni (cosiddetti virtuosi):
§ che registrino una spesa di personale sostenibile da un punto di vista finanziario;
§ che, pur avendo intrapreso un percorso di graduale contenimento del rapporto fra spese per il personale ed entrate, dal 2025 non abbiano portato tale rapporto al di sotto di un determinato valore soglia.
In particolare, i Comuni possono procedere ad assunzioni a tempo indeterminato nel limite di una spesa complessiva per il personale (al lordo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione) non superiore ad un determinato valore soglia, in coerenza con piani triennali di fabbisogno di personale e nel rispetto dell'equilibrio di bilancio asseverato dall'organo di revisione.
Il valore soglia, che costituisce il limite di spesa per le assunzioni di personale in commento, è definito come percentuale "differenziata per fascia demografica" della media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati (nel testo originario, il riferimento era alle entrate correnti relative ai primi tre titoli delle entrate registrate nel rendiconto dell'anno che precede quello in cui viene prevista l’assunzione), al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità.
Il richiamato DM del 17 marzo 2020 dispone che il predetto valore soglia del rapporto della spesa del personale dei comuni rispetto alle entrate correnti non deve essere superiore alle seguenti percentuali (Tabella 1 del DM 17 marzo 2020)[12]
§ comuni con meno di 1.000 abitanti, 29,5 per cento;
§ comuni da 1.000 a 1.999 abitanti, 28,6 per cento;
§ comuni da 2.000 a 2.999 abitanti, 27,6 per cento;
§ comuni da 3.000 a 4.999 abitanti, 27,2 per cento;
§ comuni da 5.000 a 9.999 abitanti, 26,9 per cento;
§ comuni da 10.000 a 59.999 abitanti, 27 per cento;
§ comuni da 60.000 a 249.999 abitanti, 27,6 per cento;
§ comuni da 250.000 a 1.499.999 abitanti, 28,8 per cento;
§ comuni con 1.500.000 abitanti e otre, 25,3 per cento.
A decorrere dal 20 aprile 2020, quindi, i comuni che si collocano al di sotto dei predetti valori soglia possono incrementare la spesa di personale registrata nell'ultimo rendiconto approvato, per assunzioni di personale a tempo indeterminato - in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale e fermo restando il rispetto pluriennale dell'equilibrio di bilancio asseverato dall'organo di revisione - sino ad una spesa complessiva rapportata alle entrate correnti non superiore ai valori soglia su indicati per ciascuna fascia demografica. Il richiamato DM 17 marzo 2020 prevede inoltre, per i suddetti comuni, una disciplina transitoria in base alla quale, in sede di prima applicazione e fino al 31 dicembre 2024, essi possono incrementare annualmente, per assunzioni di personale a tempo indeterminato, la spesa del personale registrata nel 2018, in misura non superiore ad ulteriori valori percentuali indicati nella Tabella 2 del medesimo DM.
I comuni in cui il rapporto fra spesa del personale e le entrate correnti risulta superiore ai seguenti valori soglia per fascia demografica (Tabella 3 del DM del 17 marzo 2020), adottano un percorso di graduale riduzione annuale del suddetto rapporto fino al conseguimento nel 2025 del predetto valore soglia anche applicando un turn over inferiore al 100 per cento. Tali valori soglia sono i seguenti:
§ comuni con meno di 1.000 abitanti, 33,5 per cento;
§ comuni da 1.000 a 1.999 abitanti, 32,6 per cento;
§ comuni da 2.000 a 2.999 abitanti, 31,6 per cento;
§ comuni da 3.000 a 4.999 abitanti, 31,2 per cento;
§ comuni da 5.000 a 9.999 abitanti, 30,9 per cento;
§ comuni da 10.000 a 59.999 abitanti, 31 per cento;
§ comuni da 60.000 a 249.999 abitanti, 31,6 per cento;
§ comuni da 250.000 a 1.499.999 abitanti, 32,8 per cento;
§ comuni con 1.500.000 abitanti e otre, 29,3 per cento.
A decorrere dal 2025, i comuni per i quali il rapporto fra spesa del personale e le entrate correnti continua ad essere superiore al suddetto valore soglia per fascia demografica, applicano un turnover pari al 30 per cento fino al conseguimento del predetto valore soglia.
Infine, i comuni in cui il rapporto fra spesa del personale e le entrate correnti risulta compreso fra i valori soglia per fascia demografica individuati dalla Tabella 1 e dalla Tabella 3 non possono incrementare il valore del predetto rapporto rispetto a quello corrispondente registrato nell'ultimo rendiconto della gestione approvato.
Per completezza, si rinvia anche alla Circolare 13 maggio 2020 della Presidenza del consiglio dei ministri, esplicativa del predetto DM 17 marzo 2020.
Vincoli alla spesa per il personale degli enti locali
Le misure richiamate dalla disposizione in commento relative ai limiti di carattere generale alla spesa complessiva di personale vanno ora riferite al nuovo vincolo del pareggio di bilancio (inteso come saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali) introdotto a decorrere dal 2016 dalla legge n. 208/2015.
Per una disamina della disciplina relativa ai vincoli di spesa per il personale degli enti locali si deve muovere dall’articolo 1, commi 557 e ss., della L. 296/2006 che contiene disposizioni per il contenimento della spesa del personale degli enti sottoposti al patto di stabilità interno (senza però individuare alcuna regola sul turnover), evidenziando innanzitutto che la riduzione di tali spese include gli oneri riflessi e l'IRAP ed esclude gli oneri relativi ai rinnovi contrattuali. Allo stesso tempo, vengono indicati i principi sui quali modulare le azioni volte al contenimento dei costi, ossia razionalizzazione e snellimento delle strutture burocratico-amministrative e contenimento delle dinamiche di crescita della contrattazione integrativa (comma 557); in caso di mancato rispetto delle citate disposizioni, si applica l’articolo 76, comma 4, del D.L. 112/2008, che in tali casi prevede il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo (comma 557-ter).
Costituiscono spese di personale anche quelle sostenute per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, per la somministrazione di lavoro, per il personale titolare di incarichi a contratto, nonché per tutti i soggetti a vario titolo utilizzati, senza estinzione del rapporto di pubblico impiego, in strutture e organismi variamente denominati partecipati o comunque facenti capo all'ente (comma 557-bis). Infine, viene individuato un limite di spesa da prendere come riferimento (comma 557-quater): ai fini dell'applicazione di quanto previsto dal citato comma 557, a decorrere dal 2014, nell'ambito della programmazione triennale dei fabbisogni di personale, gli enti assicurano il contenimento delle spese di personale con riferimento al valore medio del triennio 2011-2013.
Per gli enti non sottoposti al Patto di stabilità, vale a dire i comuni con popolazione inferiore ai mille abitanti, la disciplina è contenuta nell’articolo 1, comma 562, della L. 296/2006, che ha previsto che tali enti possano assumere nel limite delle cessazioni dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nell’anno precedente, stabilendo in proposito il solo vincolo che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico di tali enti non debbano superare il corrispondente ammontare dell’anno 2008.
Per completezza si ricorda che la legge di bilancio 2019 (art. 1, c. 823, L. 145/2018) ha eliminato, a decorrere dal 2019, il divieto di assunzioni per le amministrazioni che nell'anno precedente non hanno rispettato il pareggio di bilancio. Sul punto occorre specificare che la circolare 3/2019 della Ragioneria generale dello Stato ha precisato che viene meno il sistema sanzionatorio diretto per il mancato rispetto dell'equilibrio di bilancio, ma permangono le sanzioni in caso di mancato rispetto dei limiti di spesa del personale. Nel documento si legge, infatti, che "le disposizioni normative in materia di spesa di personale che fanno riferimento alle regole del patto di stabilità interno o al rispetto degli obiettivi del pareggio di bilancio di cui all'articolo 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 o, più in generale, degli obiettivi di finanza pubblica, si intendono riferite all'equilibrio di bilancio di cui all'articolo 1, comma 821, della legge 30 dicembre 2018, n. 145".
Articolo 16
(Semplificazione per le unioni di comuni)
L’articolo 16 modifica l’articolo 74 del Testo unico delle imposte sui redditi, al fine di comprendere le unioni di comuni tra i soggetti esenti dalle imposte sui redditi.
Si osserva che tale modifica al TUIR è stata nel frattempo introdotta dall'art. 57, comma 2-quinquiesdecies, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157.
Ai sensi del richiamato articolo 74 TUIR, gli organi e le amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalità giuridica, i comuni, le unioni di comuni, i consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demanio collettivo, le comunità montane, le province e le regioni non sono soggetti a IRES – imposta sui redditi delle società.
Si ricorda inoltre che, ai sensi dell’articolo 32, comma 4, del TUEL all’unione di comuni si applicano, in quanto compatibili, i princìpi previsti per l'ordinamento dei comuni, con particolare riguardo allo status degli amministratori, all'ordinamento finanziario e contabile, al personale e all'organizzazione.
In generale sull’istituto dell’unione di comuni si veda la scheda all’articolo 19 del provvedimento in esame.
L’articolo 17 dispone una serie di semplificazioni contabili per i comuni con meno di 5.000 abitanti, per i quali viene eliminato l’obbligo di dotarsi del Documento unico di programmazione (comma 1, lettera a)), di effettuare il controllo di gestione (comma 1, lettera b)), di predisporre lo stato patrimoniale, il bilancio consolidato e di tenere la contabilità economico-patrimoniale (comma 2).
Inoltre, sempre per i piccoli comuni, si prevede l’adozione di modelli semplificati del bilancio finanziario di previsione, del rendiconto della gestione e del piano dei conti integrato (commi 3 e 4). Per il bilancio di previsione e il rendiconto, tali modelli saranno adottati con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze (comma 5).
Si segnala, preliminarmente, che l’articolo in esame, nonostante la rubrica, non reca disposizioni di semplificazione per le unioni di comuni.
In particolare, il comma 1, lettera a) riformula il comma 6 dell’articolo 170 del TUEL eliminando, per enti locali con popolazione fino a 5.000 abitanti, l’obbligo di dotarsi del Documento unico di programmazione (DUP).
Attualmente, gli enti locali con popolazione fino a 5.000 abitanti predispongono il Documento unico di programmazione semplificato previsto dall'allegato n. 4/1 del decreto legislativo n. 118/2011.
Secondo la relazione illustrativa, l’attuale modello del DUP, seppure nella sua versione semplificata già prevista per i piccoli comuni, richiede uno sforzo eccessivo per le amministrazioni più piccole. Sempre secondo la relazione illustrativa, l’obiettivo della programmazione pluriennale appare già sufficientemente garantito, per i comuni più piccoli, dalla dimensione pluriennale del bilancio di previsione e non necessita di ulteriori strumenti programmatori che rischiano di ingenerare un eccessivo e inutile appesantimento.
Il comma 1, lettera b) esclude i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti dall’applicazione del controllo di gestione previsto dal comma 1 dell’articolo 196 del TUEL.
Secondo tale disposizione, al fine di garantire la realizzazione degli obiettivi programmati, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l'imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione e la trasparenza dell'azione amministrativa, gli enti locali applicano il controllo di gestione secondo le modalità stabilite dal TUEL, dai propri statuti e regolamenti di contabilità.
Si ricorda che il controllo di gestione è la procedura diretta a verificare lo stato di attuazione degli obiettivi programmati e, attraverso l'analisi delle risorse acquisite e della comparazione tra i costi e la quantità e qualità dei servizi offerti, la funzionalità dell'organizzazione dell'ente, l'efficacia, l'efficienza ed il livello di economicità nell'attività di realizzazione dei predetti obiettivi.
Il comma 1, lettera c) abroga il comma 2 dell’articolo 232 del TUEL, relativo alla tenuta della contabilità economico-patrimoniale per i piccoli comuni, e il comma 2 dell’articolo 233-bis del TUEL, relativo alle modalità di redazione del bilancio consolidato.
Le abrogazioni vanno lette in combinato disposto con quanto previsto dal successivo comma 2, che esclude per i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti l’applicazione dei predetti articoli 232 e 233-bis, nonché dell’articolo 230, facendo dunque venir meno, per tali enti, l’obbligo della tenuta dello stato patrimoniale, della contabilità economico-patrimoniale e della redazione del bilancio consolidato.
Secondo la relazione illustrativa, il rendiconto della gestione, di cui all’articolo 227 del TUEL, andrebbe limitato al solo conto di bilancio. La tenuta della contabilità economico-patrimoniale nei piccoli comuni presenta un’utilità pressoché nulla, costituendo un inutile appesantimento delle incombenze degli uffici di ragioneria. La contabilità finanziaria, infatti, appare totalmente idonea e sufficiente a gestire l’attività di bilancio di un piccolo comune, considerato che negli indicatori e nei risultati attesi di bilancio rilevano in ogni caso i debiti di finanziamento degli enti locali. L’eliminazione della contabilità economico-patrimoniale comporterebbe pertanto anche la soppressione dell’obbligo di redazione del bilancio consolidato, previsto dall’articolo 233-bis del TUEL e dall’articolo 11-bis del decreto legislativo n. 118 del 2011.
In merito alle disposizioni introdotte dal comma 2, si valuti l’opportunità di inserirle come novelle ai singoli articoli del TUEL, al fine di ricondurre all’interno del testo unico le norme di semplificazione per i comuni con meno di 5.000 abitanti.
In particolare, il comma 2 esclude per i piccoli comuni:
§ l’applicazione dell’articolo 230 del TUEL, relativo alla tenuta dello stato patrimoniale e dei conti patrimoniali speciali.
L’articolo 230 del TUEL richiede la predisposizione dello stato patrimoniale, che rappresenta i risultati della gestione patrimoniale e la consistenza del patrimonio al termine dell'esercizio, predisposto nel rispetto del principio contabile generale n. 17 della competenza economica e dei principi applicati della contabilità economico-patrimoniale. Lo stato patrimoniale comprende anche i crediti inesigibili, stralciati dal conto del bilancio, sino al compimento dei termini di prescrizione.
§ l’applicazione dell’articolo 232 del TUEL, relativo alla tenuta della contabilità economico-patrimoniale per i piccoli comuni.
L’articolo 232 del TUEL concerne la Contabilità economico-patrimoniale e dispone, al comma 1, che gli enti locali garantiscono la rilevazione dei fatti gestionali sotto il profilo economico-patrimoniale nel rispetto del principio contabile generale n. 17 della competenza economica e dei principi applicati della contabilità economico-patrimoniale. Il comma 2 dispone che gli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti possono non tenere la contabilità economico-patrimoniale.
Si segnala che la lettera c) del comma 1 in esame prevede l’abrogazione del comma 2 dell’art. 232 del TUEL, che disciplina la facoltà per gli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti di non tenere la contabilità economico-patrimoniale. Gli enti che si avvalgono di tale facoltà sono tenuti unicamente ad allegare al rendiconto una situazione patrimoniale al 31 dicembre dell’anno precedente.
Si ricorda che l’obbligo della tenuta della contabilità economico-patrimoniale per i comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti è stato più volte rinviato; da ultimo, in particolare, è stato rinviato al 2019 dall’articolo 15-quater del D.L. n. 34/2019 (cd. Decreto Crescita). Il comma 2-ter dell’articolo 57 del D.L. n. 124/2019 ha definitivamente esonerato gli enti locali con popolazione fino a 5.000 abitanti dall’obbligo di tenere la contabilità economico-patrimoniale, richiedendo, agli enti che si avvalgono di tale facoltà, unicamente l’obbligo di allegare al rendiconto una situazione patrimoniale al 31 dicembre dell’anno precedente, redatta secondo modalità semplificate individuate con apposito decreto.
Le modalità semplificate di redazione della predetta situazione patrimoniale sono state, da ultimo, stabilite con il DM Economia del 10 novembre 2020.
L’abrogazione di tale disposizione agevolativa per gli enti di minore dimensione va, pertanto, letta in combinato disposto con il comma 2 dell’articolo in esame che prevede la disapplicazione dell’articolo 232 del TUEL per i comuni fino a 5.000 abitanti, eliminando dunque per essi l’obbligo di rilevazione dei fatti gestionali sotto il profilo economico-patrimoniale.
§ l’applicazione dall’articolo 233-bis del TUEL, relativo all’obbligo di redazione del bilancio consolidato.
L’articolo 233-bis del TUEL riguarda il bilancio consolidato, e prevede, al comma 1, che il bilancio consolidato di gruppo venga predisposto secondo le modalità previste dal decreto legislativo n. 118/2011. Il comma 2 rinvia all’allegato 11 del citato D.Lgs. n. 118/2011 per lo schema di redazione del bilancio consolidato. Il comma 3 da facoltà agli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti di non predisporre il bilancio consolidato.
Si segnala che l’articolo 233-bis già reca al comma 3 una disposizione che consente agli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti di non predisporre il bilancio consolidato.
Tale facoltà, già concessa agli enti locali con popolazione fino a 5.000 abitanti fino all’esercizio finanziario 2017, è stata definitivamente confermata dall’articolo 1, comma 831, della legge di bilancio per il 2019 (legge n. 145/2018).
Si fa presente che il comma 1, lettera c), dell’articolo in esame interviene sull’articolo 233-bis del TUEL, abrogando il comma 2.
Ai fini della formulazione del testo, non appare chiaro il motivo dell’abrogazione del comma 2 dell’articolo 233-bis del TUEL, che semplicemente rinvia all’allegato 11 del D.Lgs. n. 118/2011 per lo schema di redazione del bilancio consolidato.
Presumibilmente l’abrogazione dovrebbe riguardare il comma 3, visto che tale comma, che reca la facoltà per i comuni fino a 5.000 abitanti di non predisporre il conto consolidato, è da ritenersi superato dalla disapplicazione dell’intero articolo 233-bis, che elimina per tali enti l’obbligo di predisposizione del bilancio consolidato
In merito alle disposizioni introdotte dal comma 2, si segnala, inoltre, ai fini del coordinamento delle norme, che l’articolo 227 del TUEL, relativo al rendiconto della gestione, reca al comma 3 una disposizione che già consente agli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, che si avvalgono della facoltà di non adottare la contabilità economico-patrimoniale, prevista dall'art. 232 comma 2, di non predisporre il conto economico, lo stato patrimoniale e il bilancio consolidato.
Si valuti pertanto l’opportunità - in considerazione dell’abrogazione del suddetto comma 2 dell’articolo 232 del TUEL, operata dal comma 1 lettera c), nonché della disapplicazione degli articoli 230, 232 e 233-bis del TUEL recata dal comma 2 - di intervenire anche sul comma 3 dell’articolo 227 del TUEL, al fine di coordinare all’interno del TUEL le norme di semplificazione per i comuni con meno di 5.000 abitanti.
I commi 3, 4 e 5 puntano all’adozione di modelli semplificati, per i comuni fino a 5.000 abitanti, del bilancio finanziario di previsione, del rendiconto della gestione e del piano dei conti integrato. Per il bilancio di previsione e il rendiconto, tali modelli saranno adottati con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.
In particolare, il comma 3 dispone, per i comuni fino a 5.000 abitanti, l’adozione secondo modelli semplificati, garantendo comunque la rilevazione degli elementi minimi necessari per il consolidamento dei conti pubblici, dei documenti contabili relativi:
§ al bilancio annuale e al bilancio pluriennale, previsti dagli articoli 165 e 171 del TUEL.
Il citato articolo 165 del TUEL riguarda il bilancio di previsione finanziario. L’articolo 171 del TUEL, ora abrogato, riguardava il bilancio pluriennale, e prevedeva che gli enti locali dovessero allegare al bilancio annuale di previsione un bilancio pluriennale di competenza, di durata pari a quello della regione di appartenenza e comunque non inferiore a tre anni. Tale disposizione è stata abrogata dall’articolo 74, comma 1, n. 20), del D.Lgs. n. 118/2011. Con l’adozione degli schemi di bilancio previsti dal D.Lgs. n. 118/2011, contenuti nei suoi allegati, è stata infatti soppressa la distinzione tra il bilancio annuale e il bilancio pluriennale, a favore di un’impostazione che prevede un unico documento contabile con un periodo di riferimento di almeno un triennio, per quanto riguarda le previsioni di competenza, e di un anno, per quanto riguarda le previsioni di cassa. Secondo l’articolo 162 del TUEL, infatti, gli enti locali deliberano annualmente il bilancio di previsione finanziario riferito ad almeno un triennio, comprendente le previsioni di competenza e di cassa del primo esercizio del periodo considerato e le previsioni di competenza degli esercizi successivi.
Il comma 3 in esame andrebbe dunque adeguato al testo attualmente vigente del TUEL, eliminando il riferimento all’articolo 171 del TUEL ed eventualmente inserendo la semplificazione per i comuni con meno di 5.000 abitanti come novella dell’articolo 162 o 165 del TUEL.
§ al rendiconto della gestione, previsto dal Titolo VI della parte seconda del TUEL.
Si ricorda che il Titolo VI della parte seconda del TUEL riguarda la rilevazione e la dimostrazione dei risultati di gestione. In particolare l’articolo 227 concerne il rendiconto della gestione, che dimostra i risultati di gestione e comprende il conto del bilancio, il conto economico e lo stato patrimoniale (comma 1). Contestualmente al rendiconto, l'ente approva il rendiconto consolidato, comprensivo dei risultati degli eventuali organismi strumentali (comma 2-ter). Nelle more dell'adozione della contabilità economico-patrimoniale, gli enti locali con popolazione inferiore a 5.000 abitanti che si avvalgono della facoltà, prevista dall'art. 232, non predispongono il conto economico, lo stato patrimoniale e il bilancio consolidato (comma 3).
Si valuti l’opportunità di formulare la disposizione in esame come novella all’articolo 227 del TUEL, nonché di riformulare il comma 3 dell’articolo 227, anche in considerazione dell’abrogazione del comma 2 dell’articolo 232 del TUEL operata dal comma 1 lettera c), al fine di coordinare all’interno del TUEL le norme di semplificazione per i Comuni con meno di 5.000 abitanti.
Il comma 4 propone una semplificazione sul piano dei conti integrato per i comuni fino a 5.000 abitanti.
In particolare, viene integrato il comma 5 dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 118/2011, al fine di prevedere che per i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti il piano dei conti integrato ai fini della gestione è costituito dal quarto livello, anziché dal quinto (come attualmente richiesto).
Si ricorda che, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 118/2011, il piano dei conti integrato è costituito dall'elenco delle articolazioni delle unità elementari del bilancio finanziario gestionale e dei conti economico-patrimoniali. Secondo il comma 5 del citato articolo, il livello del piano dei conti integrato comune rappresenta la struttura di riferimento per la predisposizione dei documenti contabili e di finanza pubblica delle amministrazioni pubbliche. Ai fini del raccordo con i capitoli e gli articoli, ove previsti, il livello minimo di articolazione del piano dei conti è costituito almeno dal quarto livello. Ai fini della gestione, il livello minimo di articolazione del piano dei conti è costituito dal quinto livello. Si segnala che i livelli sono esplicitati negli allegati 6/1 (Piano dei conti finanziario), 6/2 (Piano dei conti economico) e 6/3 (Piano dei conti patrimoniale) al decreto legislativo n. 118/2011.
Secondo la relazione illustrativa, l’attuale modello del piano dei conti integrato richiede uno sforzo eccessivo per le amministrazioni più piccole, le quali hanno sicuramente un’articolazione di bilancio meno complessa rispetto alle altre realtà comunali di maggiori dimensioni demografiche.
Il comma 5 rinvia ad un regolamento adottato con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, a norma dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la definizione un modello semplificato di bilancio di previsione e un modello semplificato di rendiconto, applicabili a decorrere dall’esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del medesimo regolamento.
Articolo 18
(Utilizzo temporaneo di segretari comunali
collocati in disponibilità
L’articolo 18 introduce la possibilità di distaccare presso l’ANCI i segretari comunali in disponibilità per costituire un nucleo di assistenza per i piccoli comuni.
In particolare la norma inserisce un comma 2-bis all’articolo 271 del TUEL prevedendo che i segretari comunali privi di incarico collocati in disponibilità possano essere distaccati, a tempo pieno o parziale, presso l’ANCI. Inoltre, possono essere autorizzati a prestare la loro collaborazione - in favore di tale associazione - per costituire un nucleo di assistenza per i comuni fino a 5.000 abitanti.
I segretari comunali distaccati mantengono la propria posizione giuridica e il corrispondente trattamento economico, a cui provvede il Ministero dell’interno.
Per l’intera durata del distacco viene sospeso il termine massimo di due anni dello stato di disponibilità del segretario comunale decorso il quale viene disposto il collocamento d’ufficio in mobilità presso altre amministrazioni pubbliche (art. 101, comma 4, TUEL).
L'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) è un’associazione senza scopo di lucro con il compito di tutelare e rappresentare gli interessi generali dei comuni, delle unioni dei comuni e delle altre forme associative, delle città metropolitane e di tutti gli enti di derivazione comunale costituendone il sistema di rappresentanza.
Tra le altre associazioni di rappresentanza dei comuni si ricordano l’Associazione nazionale dei piccoli comuni d’Italia (ANPCI) e l’Unione nazionale comuni comunità enti montani (UNCEM).
L’ANCI e le altre associazioni sono riconosciute dal TUEL che ne disciplina la riscossione dei contributi degli associati (art. 270) e la possibilità di distaccare presso di esse personale dipendente degli enti locali (art. 271).
Al segretario comunale e provinciale sono affidati compiti di collaborazione e assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente locale in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti. Ciascun comune e ciascuna provincia hanno infatti un segretario titolare iscritto all'apposito albo cui si accede per concorso (TUEL art. 97 e 98).
In particolare, il segretario coordina i dirigenti e sovrintende allo svolgimento delle loro funzioni; ha funzioni consultive nei confronti del Consiglio e della Giunta (di cui verbalizza le sedute); può rogare i contratti nei quali l'ente è parte.
Oltre a queste, al segretario possono essere attribuite ulteriori funzioni per statuto e regolamento oppure su impulso del sindaco o del presidente della provincia. Il segretario, inoltre, svolge funzioni in materia di prevenzione della corruzione e di controllo interno dell'ente nonché di trasparenza.
Il sindaco e il presidente della provincia nominano e revocano il segretario, il cui incarico ha la durata corrispondente dell'organo che lo ha nominato (TUEL art. 99). Il provvedimento di revoca deve essere motivato e deliberato dalla giunta. La revoca può avvenire solo per violazione dei doveri di ufficio (TUEL art. 100). Il provvedimento di revoca è comunicato dal prefetto all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) che si esprime entro trenta giorni. Decorso tale termine, la revoca diventa efficace, salvo che l'ANAC rilevi che la stessa sia correlata alle attività svolte dal segretario in materia di prevenzione della corruzione (L. 190/2012, art. 1, co. 82).
Il segretario comunale e provinciale non confermato, revocato o comunque privo di incarico è collocato in posizione di disponibilità per la durata massima di 2 anni, decorsi i quali, in caso di mancata assegnazione ad altra sede, vien collocato d’ufficio in mobilità presso altre pubbliche amministrazioni (TUEL, art. 101)
La gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali spetta attualmente al Ministero dell’interno. Nel XVI legislatura, infatti, è stata operata una profonda riforma della disciplina dei segretari comunali e provinciali con l'abrogazione dell'Agenzia per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali ad opera del decreto-legge n. 78 del 2010 (art. 7, comma da 31-ter a 31-septies) e l'affidamento della gestione dell'albo al Ministero dell'interno.
Articolo 19
(Semplificazioni in materia di gestioni associate di servizi)
L’articolo 19 elimina l’obbligo per i piccoli comuni di esercitare in forma associata le funzioni fondamentali dei comuni.
Inoltre, interviene sulla ripartizione dei fondi incentivanti per l’unione di comuni introducendo il principio in base al quale essa è effettuata tenendo conto in modo proporzionale del numero e della tipologia delle funzioni e dei servizi, del numero dei comuni partecipanti all’unione e della loro consistenza demografica.
Infine, si elimina il limite demografico minimo delle unioni e delle convenzioni e si rimuove la durata triennale delle convenzioni.
A tal fine, l’articolo in esame modica alcune disposizioni dell’articolo 14 del D.L. 78/2010, tra cui il comma 28 che obbliga i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, o fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunità montane, ad esclusione dei comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole e il comune di Campione d'Italia, di esercitare obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni fondamentali dei comuni indicate dal comma 27 del medesimo D.L. 78/2010, ad esclusione della tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e dei compiti in materia di servizi anagrafici e in materia di servizi elettorali, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale.
Si ricorda che La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale disposizione “nella parte in cui non prevede la possibilità, in un contesto di Comuni obbligati e non, di dimostrare, al fine di ottenere l’esonero dall’obbligo, che a causa della particolare collocazione geografica e dei caratteri demografici e socio ambientali, del Comune obbligato, non sono realizzabili, con le forme associative imposte, economie di scala e/o miglioramenti, in termini di efficacia ed efficienza, nell’erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento” (sent. 33/2019).
Nel testo a fronte che segue sono poste a confronto le disposizioni vigenti del D.L. 78/2010, art. 14, commi 26-31-quinques, con le modifiche apportate dalla proposta di legge in esame.
Testo unico enti locali |
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Testo vigente |
Testo modificato |
Articolo 14 |
Articolo 14 |
26. L'esercizio delle funzioni fondamentali dei Comuni è obbligatorio per l'ente titolare. |
Identico |
27. Ferme restando le funzioni di programmazione e di coordinamento delle regioni, loro spettanti nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, e le funzioni esercitate ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, sono funzioni fondamentali dei comuni, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione: |
Identico |
a) organizzazione generale dell'amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo; |
|
b) organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di trasporto pubblico comunale; |
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c) catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato dalla normativa vigente; |
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d) la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale; |
|
e) attività, in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi; |
|
f) l'organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi; |
|
g) progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall'articolo 118, quarto comma, della Costituzione; |
|
h) edilizia scolastica per la parte non attribuita alla competenza delle province, organizzazione e gestione dei servizi scolastici; |
|
i) polizia municipale e polizia amministrativa locale; |
|
l) tenuta dei registri di stato civile e di popolazione e compiti in materia di servizi anagrafici nonché in materia di servizi elettorali, nell'esercizio delle funzioni di competenza statale; |
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l-bis) i servizi in materia statistica. |
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28. I comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunità montane, esclusi i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole e il comune di Campione d'Italia, esercitano obbligatoriamente in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, le funzioni fondamentali dei comuni di cui al comma 27, ad esclusione della lettera l). Se l'esercizio di tali funzioni è legato alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, i comuni le esercitano obbligatoriamente in forma associata secondo le modalità stabilite dal presente articolo, fermo restando che tali funzioni comprendono la realizzazione e la gestione di infrastrutture tecnologiche, rete dati, fonia, apparati, di banche dati, di applicativi software, l'approvvigionamento di licenze per il software, la formazione informatica e la consulenza nel settore dell'informatica. |
28. I comuni possono esercitare in forma associata le funzioni fondamentali di cui al comma 27 del presente articolo mediante convenzione o unioni di comuni ai sensi degli articoli 30 e 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Resta fermo quanto previsto dall’articolo 1, comma 456, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, per la gestione associata dei servizi sociali in forma consortile. |
28-bis. Per le unioni di cui al comma 28 si applica l'articolo 32 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni. |
Identico |
29. I comuni non possono svolgere singolarmente le funzioni fondamentali svolte in forma associata. La medesima funzione non può essere svolta da più di una forma associativa. |
Identico |
|
29-bis. Al fine di garantire il coordinamento della finanza pubblica, la ripartizione dei fondi statali e regionali di incentivazione e di premialità per le unioni di comuni è effettuato tenendo conto in modo proporzionale del numero e della tipologia delle funzioni e dei servizi, del numero dei comuni partecipanti all’unione e della consistenza demografica raggiunta dalla forma associativa, sulla base di criteri operativi stabiliti mediante regolamento adottato con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. |
30. La regione, nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, individua, previa concertazione con i comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali, la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento, in forma obbligatoriamente associata da parte dei comuni delle funzioni fondamentali di cui al comma 28, secondo i princìpi di efficacia, economicità, di efficienza e di riduzione delle spese, secondo le forme associative previste dal comma 28. Nell'ambito della normativa regionale, i comuni avviano l'esercizio delle funzioni fondamentali in forma associata entro il termine indicato dalla stessa normativa. |
30. La regione, nelle materie di cui all'articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, individua, previa concertazione con i comuni interessati nell'ambito del Consiglio delle autonomie locali, la dimensione territoriale ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento, in forma associata da parte dei comuni delle funzioni fondamentali di cui al comma 28, secondo i princìpi di efficacia, economicità, di efficienza e di riduzione delle spese, secondo le forme associative previste dal comma 28. Nell'ambito della normativa regionale, i comuni avviano l'esercizio delle funzioni fondamentali in forma associata entro il termine indicato dalla stessa normativa. |
31. Il limite demografico minimo delle unioni e delle convenzioni di cui al presente articolo è fissato in 10.000 abitanti, ovvero in 3.000 abitanti se i comuni appartengono o sono appartenuti a comunità montane, fermo restando che, in tal caso, le unioni devono essere formate da almeno tre comuni, e salvi il diverso limite demografico ed eventuali deroghe in ragione di particolari condizioni territoriali, individuati dalla regione. Il limite non si applica alle unioni di comuni già costituite. |
Abrogato |
31-bis. Le convenzioni di cui al comma 28 hanno durata almeno triennale e alle medesime si applica, in quanto compatibile, l'articolo 30 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Ove alla scadenza del predetto periodo, non sia comprovato, da parte dei comuni aderenti, il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione, secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno, da adottare entro sei mesi, sentita la Conferenza Stato-Città e autonomie locali, i comuni interessati sono obbligati ad esercitare le funzioni fondamentali esclusivamente mediante unione di comuni. |
Abrogato |
31-ter. I comuni interessati assicurano l'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo: |
Abrogato |
a) entro il 1° gennaio 2013 con riguardo ad almeno tre delle funzioni fondamentali di cui al comma 28; |
|
b) entro il 30 settembre 2014, con riguardo ad ulteriori tre delle funzioni fondamentali di cui al comma 27; |
|
b-bis) entro il 31 dicembre 2014, con riguardo alle restanti funzioni fondamentali di cui al comma 27. |
|
31-quater. In caso di decorso dei termini di cui al comma 31-ter, il prefetto assegna agli enti inadempienti un termine perentorio entro il quale provvedere. Decorso inutilmente detto termine, trova applicazione l'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. |
Abrogato |
31-quinquies. Nell'ambito dei processi associativi di cui ai commi 28 e seguenti, le spese di personale e le facoltà assunzionali sono considerate in maniera cumulata fra gli enti coinvolti, garantendo forme di compensazione fra gli stessi, fermi restando i vincoli previsti dalle vigenti disposizioni e l'invarianza della spesa complessivamente considerata. |
Identico |
La gestione associata delle funzioni e dei servizi comunali è finalizzata a superare le difficoltà legate alla frammentazione dei piccoli comuni per la razionalizzazione della spesa e per il conseguimento di una maggiore efficienza dei servizi.
L'ordinamento prevede la possibilità di esercitare in forma associata le funzioni locali attraverso due strumenti:
§ la convenzione;
§ l'unione di comuni.
Gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni per svolgere in modo coordinato determinati funzioni e servizi.
In alternativa, due o più comuni possono costituire una unione, vero e proprio ente locale dotato di statuto e di organi rappresentativi propri, per l'esercizio stabile di funzioni e servizi.
L'ordinamento prevede due tipologie di esercizio in forma associata tramite unione di comuni o convenzione: quella, facoltativa, per l'esercizio associato di determinate funzioni e quella obbligatoria, per i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti per l'esercizio delle funzioni fondamentali.
Le regioni hanno il compito di individuare i livelli territoriali ottimali di esercizio associato di funzioni comunali, di promuovere e favorire l'associazionismo.
Disposizioni incentivanti sono previste anche da parte dello Stato nella forma di contributi e di agevolazioni in materia di rispetto del patto di stabilità interno. Gli incentivi sono destinati sia ai comuni che stipulano convenzioni o che formano unioni di comuni, sia a quelli che danno vita a fusioni di comuni.
La fusione di uno o più comuni, con l'istituzione di un nuovo comune, costituisce la forma più compiuta di semplificazione e razionalizzazione della realtà dei piccoli comuni. Anche le fusioni di comuni godono di incentivi statali.
L'entrata in vigore dell'esercizio obbligatorio di tutte le funzioni comunali dei piccoli comuni è stato prorogato più volte, da ultimo al 31 dicembre 2019 da parte del DL 135/2018. Contestualmente il medesimo decreto-legge ha disposto l'istituzione di un tavolo tecnico-politico, presso la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, per l'avvio di un percorso di revisione della disciplina di province e città metropolitane, anche al fine del superamento dell'esercizio obbligatorio e la semplificazione degli oneri amministrativi a contabili a carico dei comuni, soprattutto di piccole dimensioni.
La legge n. 56 del 2014 di riforma degli enti locali, oltre a istituire le città metropolitane e a ridefinire profondamente il sistema delle province, ha modificato sensibilmente anche la disciplina sulle unioni e sulle fusioni di comuni.
L'istituto dell'unione di comuni è stata semplificata con l'abolizione di una forma speciale di unione, ossia l'unione per l'esercizio facoltativo di tutte le funzioni comunali. Altre disposizioni intervengono poi in materia di organizzazione interna, di status degli amministratori locali e di funzioni delle unioni di comuni. Sono, inoltre, stabilite diverse misure agevolative e organizzative per la fusione di comuni volte, da un lato, a tutelare la specificità dei comuni che si sono fusi e dall'altro a mantenere anche nel nuovo comune le eventuali norme di maggior favore e gli incentivi di cui beneficiano i comuni oggetto della fusione. Vengono poi definite alcune disposizioni organizzative di tipo procedurale per regolamentare il passaggio dalla vecchia alla nuova gestione, principalmente per quanto riguarda l'approvazione dei bilanci. Viene introdotto un nuovo procedimento di fusione di comuni per incorporazione: si prevede che il comune incorporante mantiene la propria personalità e i propri organi, mentre decadono gli organi del comune incorporato.
Come accennato, la Corte costituzionale ha affermato che la disposizione che impone ai comuni con meno di 5.000 abitanti di gestire in forma associata le funzioni fondamentali è incostituzionale là dove non consente ai comuni di dimostrare che, in quella forma, non sono realizzabili economie di scala o miglioramenti nell'erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento (sent. 33/2019). Secondo la Corte, l'obbligo imposto ai Comuni sconta un'eccessiva rigidità perché dovrebbe essere applicato anche in tutti quei casi in cui: a) non esistono Comuni confinanti parimenti obbligati; b) esiste solo un Comune confinante obbligato, ma il raggiungimento del limite demografico minimo comporta il coinvolgimento di altri Comuni non in situazione di prossimità; c) la collocazione geografica dei confini dei Comuni (per esempio in quanto montani e caratterizzati da particolari fattori antropici, dispersione territoriale e isolamento) non consente di raggiungere gli obiettivi normativi.
La lettera b) dell’articolo in esame prevede che, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, la ripartizione dei fondi (sia statali, sia regionali) di incentivazione e di premialità per le unioni di comuni è effettuata tenendo conto in modo proporzionale del numero e della tipologia delle funzioni e dei servizi, del numero dei comuni partecipanti all’unione e della consistenza demografica della forma associativa, sulla base di criteri operativi stabiliti con regolamento adottato con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia previa intesa in sede di Conferenza unificata.
Per quanto riguarda il riparto dei contributi, le modalità vigenti sono definite dal D.M. 1 settembre 2000, n. 318 (Regolamento concernente i criteri di riparto dei fondi erariali destinati al finanziamento delle procedure di fusione tra i comuni e l'esercizio associato di funzioni comunali, come modificato dal decreto del Ministro dell’interno 1° ottobre 2004, n. 289). In materia è poi intervenuta l’intesa n. 936 del 1° marzo 2006, sancita in sede di Conferenza unificata, con la quale sono stati convenuti i nuovi criteri per il riparto e la gestione delle risorse statali a sostegno dell’associazionismo comunale.
L’articolo 20 elimina il limite dei mandati per i sindaci dei comuni fino a 5.000 abitanti ed eleva da due a tre il limite dei mandati consecutivi per i sindaci dei comuni da 5.000 a 15.000 abitanti. Per i sindaci dei comuni con più di 15.000 abitanti rimane il limite di due mandati consecutivi.
Le modifiche all’articolo 51 del TUEL operate dall’articolo in esame sono evidenziate in dettaglio nel testo a fronte che segue.
Testo unico enti locali |
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Testo vigente |
Testo modificato |
Articolo 51 |
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1. Il sindaco e il consiglio comunale, il presidente della provincia e il consiglio provinciale durano in carica per un periodo di cinque anni. |
Identico |
2. Chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco e di presidente della provincia non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile alle medesime cariche. |
2. Chi ha ricoperto per due mandati consecutivi la carica di sindaco e di presidente della provincia non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile alle medesime cariche. Per i sindaci dei comuni con popolazione da 5.001 a 15.000 abitanti, il limite previsto dal primo periodo si applica allo scadere del terzo mandato. |
3. E' consentito un terzo mandato consecutivo se uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontari |
Identico |
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3-bis. Le disposizioni dei commi 2 e 3 non si applicano per i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti. |
Inoltre, viene abrogata una disposizione della legge 56/2014 (art. 1, comma 138) che ha elevato da due a tre il limite di mandati consecutivi per i sindaci dei comuni fino a 3.000 abitanti, introducendo tuttavia un tetto di mandati complessivi pari a tre.
In base alla disposizione in esame quindi:
§ non vi sarebbe limite di mandati per i sindaci dei comuni fino a 5.000 abitanti;
§ vi sarebbe il limite di tre mandati consecutivi per i sindaci dei comuni da 5.000 a 15.000 abitanti;
§ rimarrebbe il limite di due mandati consecutivi per i sindaci dei comuni con più di 15.000 abitanti.
Il divieto di terzo mandato del sindaco si configura come una particolare causa di ineleggibilità.
Da parte della giurisprudenza la ratio legis è stata individuata nell’esigenza di favorire il ricambio ai vertici dell’amministrazione locale ed evitare la soggettivizzazione dell’uso del potere dell’amministrazione locale, in modo da spezzare il vincolo personale tra elettore ed eletto per sostituire alla personalità del comando l’impersonalità di esso ed evitare clientelismo (in questo senso la Corte di cassazione, I Sezione civile, nella sentenza 20 maggio 2006 n. 11895).
La legge 25 marzo 1993, n. 81, confluita poi in gran parte nel Testo unico degli enti locali, ha introdotto nell’ordinamento previsioni relative all’elezione diretta del sindaco e del presidente della provincia. In particolare, la legge ha stabilito che tali soggetti non siano immediatamente rieleggibili alla medesima carica dopo due mandati consecutivi. Un terzo mandato consecutivo è consentito soltanto nel caso in cui uno dei due mandati precedenti abbia avuto una durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie.
La ratio della disciplina illustrata è in particolare individuata, come emerge dai lavori parlamentari, nell’esigenza di bilanciare i nuovi e maggiori poteri riconosciuti al sindaco e al presidente di provincia dalla legge elettorale del 1993 rispetto a quelli delle giunte e dei consigli, attraverso un limite alla permanenza al potere.
La Corte costituzionale, per consolidata giurisprudenza, ha affermato che, per l'art. 51 della Costituzione, l'eleggibilità è la regola, l'ineleggibilità l'eccezione (sent. 46/1969, 166/1972 510/1989 e 344/1993).
Il diritto di elettorato passivo è, infatti, un diritto politico fondamentale che l'art. 51 Cost. riconosce e garantisce a ogni cittadino con i caratteri propri dell'inviolabilità. Tuttavia, può essere limitato, ma “soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la regione o il luogo di appartenenza” (Corte cost. sent. 235/1988).
In particolare, la Corte si è espressa sul tetto di mandati elettivi, pur in una fattispecie diversa, ossia sul divieto del terzo mandato dei consiglieri dell’ordine forense. In tale occasione la Corte ha affermato che “Le condizioni di eguaglianza stabilite dall’articolo 51 della Costituzione per accedere «alle cariche elettive» possono essere compromesse se alla competizione (…) può partecipare chi ha ricoperto due (o più) mandati consecutivi, consolidando così un forte legame con una parte dell’elettorato. Il divieto del terzo mandato consecutivo favorisce inoltre il fisiologico ricambio all’interno dell’organo, immettendo “forze fresche” nel meccanismo rappresentativo e blocca il rischio di cristallizzazione della rappresentanza. Si tratta dunque di un divieto in linea con il principio del buon andamento dell’amministrazione, in particolare nelle sue declinazioni di imparzialità e trasparenza”.
Articolo 21
(Rimborso delle spese legali degli amministratori locali)
L’articolo 21 estende la disciplina di cui all’articolo 86, comma 5, del Testo unico degli enti locali, in materia di rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori locali, introdotta nel 2015, anche per le spese derivanti da procedimenti conclusi o pendenti al momento dell’introduzione della disciplina.
Si ricorda, in proposito, che la disposizione di cui all’art. 86, co. 5, TUEL prevede innanzitutto la possibilità per gli enti locali di assicurare, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, gli amministratori degli enti contro i rischi conseguenti all'espletamento del loro mandato. Gli enti locali ai quali la disposizione si applica sono individuati mediante rinvio all'articolo 2 del medesimo TUEL, che al comma 1 intende per enti locali “i comuni, le province, le città metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni”.
La finalità dell’istituto è di evitare che gli amministratori ricavino danni economici dal (corretto) esercizio del mandato. Tuttavia, in assenza di ulteriori indicazioni della normativa primaria (contenuto concreto della disposizione, spazio, copertura e limiti della copertura assicurativa), l’applicazione di tale istituto è stata rimessa alla regolamentazione degli enti territoriali e alla elaborazione giurisprudenziale.
Il citato articolo 86, comma 5, è stato integrato dall’art. 7-bis del D.L. 78/2015, (conv. L. 125 del 2015), che ha reso altresì ammissibile il rimborso delle spese legali per gli amministratori locali, sempre senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica (come stabilito per le spese di assicurazione) e nel limite massimo dei parametri stabiliti dalla legge[13], nel caso di conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione, ed in presenza dei seguenti requisiti:
a) assenza di conflitto di interessi con l'ente amministrato;
b) presenza di nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti;
c) assenza di dolo o colpa grave.
Come chiarito anche dalla giurisprudenza (si cfr. tra le più recenti, Cass. civ. Sez. III Ord., n. 6745 del 2019), il diritto al rimborso, previsto dall'art. 7 bis del D.L. n. 78 del 2015, introdotto dalla legge di conversione n. 125 del 2015, in assenza di un'espressa previsione contraria, non ha efficacia retroattiva, applicandosi quindi solo nel caso di fatti costitutivi del diritto verificatisi in epoca successiva all'entrata in vigore della citata legge.
L’articolo in commento prevede espressamente il rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori di enti locali è ammesso anche per le spese derivanti da procedimenti conclusi o pendenti alla data di entrata in vigore della L. 125 del 2015, di conversione del D.L. 78/2015, con cui è stata introdotta la citata disposizione.
L’articolo 22 interviene, con una serie di abrogazioni, ad eliminare alcune disposizioni vigenti finalizzate al contenimento della spesa sostenuta in determinati settori dalle pubbliche amministrazioni appartenenti al conto economico consolidato della P.A.[14], inclusi gli enti locali.
L’articolo interviene, in particolare, ad eliminare i vincoli alle spese per la formazione (comma 1), per le relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza (comma 2), per la stampa di relazioni e pubblicazioni (comma 3) e per l’acquisto di immobili (comma 4).
Si osserva preliminarmente che di alcune delle disposizioni richiamate dall’articolo in esame ne è stata nel frattempo disposta la disapplicazione nei confronti delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano, degli enti locali e dei loro organismi ed enti strumentali, dall’art. 57, comma 2, del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124 (come illustrato in seguito).
In particolare, il comma 1 esclude, per i comuni e le città metropolitane, l’applicazione dei limiti alla spesa per attività di formazione, previsti dall’articolo 6, comma 13, del D.L. n. 78/2010, a decorrere dal 1° gennaio 2019.
La norma citata prevede il contenimento della spesa annua delle PA per attività esclusivamente di formazione al 50 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009.
Si segnala che la disapplicazione della disposizione richiamata è stata nel frattempo prevista dall'art. 57, comma 2, lett. b), D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, sia nei confronti degli enti locali che delle regioni e province autonome. Si valuti pertanto la soppressione del comma 1.
Il comma 2 dispone l’abrogazione delle disposizioni - contenute nel comma 8 dell’articolo 6 del D.L. n. 78 del 2010 - che recano, a decorrere dal 2011, un limite alla spesa delle amministrazioni pubbliche, incluse le autorità indipendenti, per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza, nella misura del 20 per cento di quella sostenuta nell'anno 2009.
La normativa vigente esclude dai vincoli le spese per i convegni organizzati dalle università e dagli enti di ricerca per gli incontri istituzionali connessi all'attività di organismi internazionali o comunitari, per le feste nazionali previste da disposizioni di legge e per quelle istituzionali delle Forze armate e delle Forze di polizia. È inoltre previsto che l'organizzazione di convegni, di giornate e feste celebrative, nonché di cerimonie di inaugurazione e di altri eventi similari, da parte delle Amministrazioni dello Stato e delle Agenzie è subordinata alla preventiva autorizzazione del Ministro competente.
Con riferimento alla disposizione di cui al comma 8 dell’articolo 6 del D.L. n. 78 del 2010, di cui si propone l’abrogazione, si osserva che essa non trova più applicazione, a decorrere dal 2020, nei confronti delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano, degli enti locali e dei loro organismi ed enti strumentali, in base a quanto previsto dall’art. 57, comma 2, lett. b), del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124.
Il comma 3 dispone l’abrogazione della disposizione - contenuta nel comma 1 dell’articolo 27 del D.L. n. 112 del 2008 – che dispone l’obbligo per le amministrazioni pubbliche, compresi gli enti territoriali, di ridurre del 50% rispetto a quella dell'anno 2007, la spesa per la stampa delle relazioni e di ogni altra pubblicazione prevista da leggi e regolamenti e distribuita gratuitamente od inviata ad altre amministrazioni.
Secondo la Relazione illustrativa, la disposizione che disciplina la razionalizzazione della spesa per la stampa, di cui si propone l’abrogazione, è considerata troppo limitativa per le finalità che si prefigge, inficiando tuttavia notevolmente l’autonomia decisionale degli enti.
Anche con riferimento alla disposizione di cui al comma 1 dell’articolo 27 del D.L. n. 112 del 2008, di cui si propone l’abrogazione, si ricorda che essa non trova più applicazione nei confronti delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano, degli enti locali e dei loro organismi ed enti strumentali, a decorrere dal 2020, sulla base di quanto previsto dall’art. 57, comma 2, lett. a), del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124.
Infine, il comma 4 – mediante modifiche al comma 1-ter dell’articolo 12 del D.L. n. 98 del 2011 – interviene sulla normativa che pone dei vincoli alle spese degli enti territoriali e degli enti del Servizio sanitario nazionale per l’acquisto di immobili.
Tale normativa prevede l’obbligo, a decorrere dal 1° gennaio 2014, di attestare con idonea documentazione, da parte del responsabile del procedimento, che le operazioni di acquisto di immobili siano indispensabili e non dilazionabili. Per gli enti locali tale attestazione non è necessaria solo nel caso in cui le operazioni di acquisto siano effettuate a valere su risorse appositamente stanziate per tale finalità dal CIPE o cofinanziate dall’Unione Europea, ovvero dallo Stato e dalle Regioni.
Le modifiche apportate al comma 1-ter dell’articolo 12 del D.L. n. 98/2011 sono volte:
a) ad escludere gli enti territoriali dalla normativa suesposta, che resterebbe pertanto valida solo nei confronti degli enti del Servizio Sanitario Nazionale. Di conseguenza, viene soppressa la disposizione (di cui al secondo periodo del comma 1-ter) che prevede l’esclusione dai vincoli per gli enti locali in caso di acquisto di immobili con risorse stanziate dal CIPE o cofinanziate dalla UE, esclusione introdotta solo di recente dall’articolo 14-bis del D.L. n. 50/2017.
La Relazione illustrativa sottolinea l’opportunità di prevedere la soppressione della norma riguardante l’acquisto degli immobili pubblici, al fine di escludere gli enti territoriali da una procedura che ha generato un aggravio del procedimento di acquisizione di immobili da parte dei comuni, soprattutto di quelli di minore dimensione demografica.
In merito, si segnala che la disposizione di cui al comma 1-ter dell’articolo 12 del D.L. n. 98/2011 non trova più applicazione nei confronti degli enti territoriali a decorrere dal 2020, ai sensi dell’art. 57, comma 2, lett. f), del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124. Si valuti pertanto la soppressione della lettera a) comma 4.
b) ad eliminare la disposizione (contenuta al terzo periodo del comma 1-ter) che richiede l’attestazione della congruità del prezzo, da parte dell'Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese, che pertanto non si applicherebbe più nemmeno agli enti del SSN.
Per completezza espositiva, si precisa che per gli enti del SSN resta fermo l’obbligo di dare preventiva notizia delle operazioni di acquisto di immobili nel sito internet istituzionale dell'ente.
Articolo 23
(Disposizioni in materia di società partecipate dai comuni)
L’articolo 23 prevede disposizioni volte alla razionalizzazione della spesa per il funzionamento degli Enti locali.
In particolare:
§ Al comma 1, abroga i commi 30, 31 e 32 dell’articolo 3 della legge n.244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), in materia di costituzione di società ed enti o di partecipazione in società, consorzi o altri organismi, sul presupposto, evidenziato dalla Relazione illustrativa, che si tratti di norme superate dalle disposizioni di cui al Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica
Con riguardo ai suddetti processi di costituzione di società ed enti, il comma 30 prevede che le amministrazioni “adottano, sentite le organizzazioni sindacali per gli effetti derivanti sul personale, provvedimenti di trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali in misura adeguata alle funzioni esercitate mediante i soggetti di cui al presente comma e provvedono alla corrispondente rideterminazione della propria dotazione organica”. In relazione a tali provvedimenti di rideterminazione, il comma 31 prevede che “le dotazioni organiche sono provvisoriamente individuate in misura pari al numero dei posti coperti al 31 dicembre dell'anno precedente all'istituzione o all'assunzione di partecipazioni di cui al comma 30, tenuto anche conto dei posti per i quali alla stessa data risultino in corso di espletamento procedure di reclutamento, di mobilità o di riqualificazione del personale, diminuito delle unità di personale effettivamente trasferito”. Ai sensi del comma 32, “i collegi dei revisori e gli organi di controllo interno delle amministrazioni e dei soggetti interessati dai processi di cui ai commi 30 e 31 asseverano il trasferimento delle risorse umane e finanziarie e trasmettono una relazione alla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato segnalando eventuali inadempimenti anche alle sezioni competenti della Corte dei conti”.
§ Al comma 2, interviene sul decreto legislativo n. 165 del 2001, recante “Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, sopprimendo l’articolo 6-bis, che prevede misure di riorganizzazione e razionalizzazione della spesa delle P.A. e modificando il comma 6 dell’articolo 7, relativo alla gestione delle risorse umane.
In particolare, l’articolo 6-bis consente alle pubbliche amministrazione di “acquistare sul mercato i servizi, originariamente prodotti al proprio interno, a condizione di ottenere conseguenti economie di gestione e di adottare le necessarie misure in materia di personale”, autorizzando le stesse al congelamento dei posti e alla temporanea riduzione dei fondi della contrattazione in misura corrispondente”.
Il comma 6 dell’articolo 7, disciplina, invece, quelle specifiche esigenze cui le pubbliche amministrazioni non possono far fronte con personale in servizio, disciplinando il conferimento di incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione, anche universitaria, in presenza di particolari presupposti di legittimità. In particolare, però, si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in un elenco di casi, sul quale interviene, appunto, la novella in esame riducendolo, ma soprattutto sopprimendo la clausola di invarianza finanziaria prevista nel testo vigente, secondo il quale tali contratti di collaborazione possono essere stipulati purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Articolo 24
(Riscossione della TARI da parte dei gestori dei rifiuti)
L’articolo 24 consente ai comuni di affidare la gestione dell'accertamento e della riscossione della TARI al soggetto che gestisce i rifiuti.
Si ricorda che la tassa sui rifiuti (TARI), a carico dell'utilizzatore dell'immobile, istituita dalla legge di bilancio 2014 (legge n. 147 del 2013, comma 641 e seguenti), è destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti.
La TARI è dovuta da chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie di tutti i locali tassabili. Sono quindi soppressi tutti i previgenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l'addizionale per l'integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza. In via provvisoria, la base imponibile da assoggettare a tassazione è individuata nella superficie calpestabile delle unità immobiliari a destinazione ordinaria iscritte o iscrivibili nel catasto edilizio urbano assoggettabile alla TARI, fino all'attuazione della procedura da attivarsi fra l'Agenzia delle entrate e i comuni, volta a determinare la superficie assoggettabile al tributo pari all'80 per cento di quella catastale.
La tariffa è commisurata all'anno solare, cui corrisponde un'autonoma obbligazione tributaria. Il comune nella commisurazione della tariffa tiene conto dei criteri individuati dal D.P.R. n. 158 del 1999 per la elaborazione del metodo normalizzato. In alternativa, il comune, nel rispetto del principio "chi inquina paga", sancito dall'articolo 14 della direttiva 2008/98/UE relativa ai rifiuti, può commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte. Le tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea sono determinate dal comune moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l'anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti. A partire dal 2018 il comune deve avvalersi, nella determinazione dei costi del servizio, anche delle risultanze dei fabbisogni standard.
Entro il termine per l'approvazione del bilancio di previsione il consiglio comunale deve approvare le tariffe in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani, redatto dal soggetto che svolge il servizio.
Il decreto legge n. 124 del 2019 ha prorogato fino a diversa regolamentazione disposta dall'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) tale modalità di commisurazione della tariffa sulla base del criterio medio-ordinario (in luogo dell’effettiva quantità di rifiuti prodotti). Il provvedimento ha disposto l'accesso a condizioni tariffarie agevolate alla fornitura del servizio di gestione integrato dei rifiuti urbani e assimilati per gli utenti domestici che si trovino in condizioni economico-sociali disagiate.
La legge di bilancio 2018 (legge 205 del 2017, comma 527) ha affidato ad Arera il compito di regolare il settore dei rifiuti, con riguardo al miglioramento del servizio agli utenti, all’omogeneità tra le aree del Paese, alla valutazione dei rapporti costo-qualità e all’adeguamento infrastrutturale.
Con delibera 31 ottobre 2019 443/2019/R/rif è stato quindi definito il nuovo metodo tariffario del servizio integrato di gestione dei rifiuti. In particolare, l’articolo 2 definisce le seguenti componenti tariffarie del servizio integrato di gestione dei rifiuti urbani:
§ costi operativi, intesi come somma dei costi operativi di gestione delle attività di spazzamento e di lavaggio, di raccolta e di trasporto di rifiuti urbani indifferenziati, di trattamento e di smaltimento, di raccolta e di trasporto delle frazioni differenziate, di trattamento e di recupero, nonché di oneri incentivanti il miglioramento delle prestazioni;
§ costi d’uso del capitale; intesi come somma degli ammortamenti delle immobilizzazioni, degli accantonamenti ammessi al riconoscimento tariffario, della remunerazione del capitale investito netto riconosciuto e della remunerazione delle immobilizzazioni in corso;
§ componente a conguaglio relativa ai costi delle annualità 2018 e 2019.
La determinazione delle componenti tariffarie è effettuata in conformità al predetto metodo Tariffario, di cui all’Allegato A della delibera.
Si prevede un primo periodo di regolazione dal 1° aprile 2020 al 31 dicembre 2023 (in modo sperimentale per tutto il 2020). Per i Comuni sotto i 5 mila abitanti il muovo metodo si applica dal gennaio 2021.
In particolare, l’articolo modifica il comma 691 della citata legge di bilancio 2014, il quale prevede la possibilità per i comuni di affidare la riscossione della TARI ai soli gestori dei rifiuti cui, alla data del 31 dicembre 2013, risultava affidato il servizio di gestione dei rifiuti o di accertamento e riscossione del tributo.
La norma è volta quindi a eliminare il vincolo dell’esistenza dell’affidamento al 31 dicembre 2013 al fine di estendere la possibilità di affidamento del servizio di riscossione anche a eventuali nuovi gestori dei rifiuti.
In tal caso, i gestori opererebbero secondo le stesse disposizioni applicabili ai concessionari iscritti nell'albo Albo per l'accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali, di cui all'articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997.
Si ricorda che gli enti locali possono svolgere il servizio di riscossione delle proprie entrate secondo le seguenti modalità:
§ tramite risorse interne;
§ ricorrendo all'affidamento in house a società strumentali;
§ tramite le ordinarie procedure a evidenza pubblica;
§ avvalendosi, a seguito di apposita deliberazione, dell'Agenzia delle entrate–Riscossione, titolare dello svolgimento delle funzioni della riscossione nazionale.
Si ricorda infatti che l'Agenzia delle entrate-Riscossione (AER) può svolgere le attività di riscossione delle entrate tributarie o patrimoniali di tutte le amministrazioni locali (come individuate dall'ISTAT) e delle società da esse partecipate, con l'esclusione delle società di riscossione (D.L. n. 50 del 2017, articolo 35).
Per quanto riguarda le procedure di riscossione coattiva, la legge di bilancio 2020 (commi 784 e ss.gg. della legge n. 160 del 2019) ha complessivamente riformato la riscossione degli enti locali, con particolare riferimento agli strumenti per l'esercizio della potestà impositiva, fermo restando l'attuale assetto dei soggetti abilitati alla riscossione delle entrate locali. In sintesi, le norme introducono anche per gli enti locali l'istituto dell'accertamento esecutivo, sulla falsariga di quanto già previsto per le entrate erariali (cd. ruolo), che consente di emettere un unico atto di accertamento avente i requisiti del titolo esecutivo; l'accertamento esecutivo opera, a partire dal 1° gennaio 2020, con riferimento ai rapporti pendenti a tale data. Le norme tra l’altro istituiscono una sezione speciale nell'albo dei concessionari della riscossione, cui devono obbligatoriamente iscriversi i soggetti che svolgono le funzioni e le attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate locali.
L’affidamento viene consentito in deroga all’obbligo, previsto dall'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, di disciplinare la gestione delle attività di liquidazione, accertamento e riscossione con regolamento.
L’art, 52 del decreto n. 446/1997 attribuisce ai comuni ed alle province la potestà di disciplinare con regolamento (di competenza dei rispettivi consigli) tutte le entrate di propria pertinenza, sia di natura tributaria che patrimoniale, e le relative forme di gestione delle attività di liquidazione, accertamento e riscossione, salvo il rispetto dell’art. 23 della Costituzione, per quanto concerne la indicazione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e delle aliquote massime dei tributi.
Articolo 25
(Disciplina della TARI)
L’articolo 25 proroga al 2020 la modalità semplificata di misurazione della TARI da parte dei comuni sulla base di un criterio medio-ordinario e non sull’effettiva quantità di rifiuti prodotti. É inoltre definito un termine certo, al 30 aprile di ciascun anno, entro il quale il Comune deve deliberare le tariffe della TARI, scollegando tale adempimento dalla deliberazione del bilancio di previsione.
In particolare, il comma 1, lettera a), dell’articolo in esame estende al 2020 la modalità di commisurazione della TARI da parte dei comuni sulla base di un criterio medio-ordinario (ovvero in base alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte) e non sull’effettiva quantità di rifiuti prodotti (c.d. metodo normalizzato, nel rispetto del principio “chi inquina paga”, sancito dall’articolo 14 della direttiva 2008/98/CE). A tal fine è modificato il comma 652 della legge di stabilità per il 2014 (articolo 1 della legge n. 147 del 2013).
In base al comma 652 della legge di stabilità per il 2014, il comune, in alternativa ai criteri previsti dal metodo normalizzato, nel rispetto del principio “chi inquina paga”, sancito dall’articolo 14 della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, può commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte. Le tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea sono determinate dal comune moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l'anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti.
Tale disciplina conferma la facoltà già prevista dall’articolo 5, comma 1, del decreto-legge n. 102 del 2013 di commisurare le tariffe della Tares, alternativamente al metodo normalizzato di cui al D.P.R. n. 158 del 1999, alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie. In base a quest’ultima norma, quindi, viene confermata la modalità di commisurazione della TARI basata su un criterio medio-ordinario e non sull’effettiva quantità di rifiuti prodotti.
Si rammenta che l'articolo 14 della direttiva 2008/98/CE applica al settore della gestione dei rifiuti il principio "chi inquina paga", di cui all'articolo 191, par. I, seconda alinea, Trattato FUE, stabilendo che i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale o dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti. Gli Stati membri possono decidere che i costi della gestione dei rifiuti siano sostenuti parzialmente o interamente dal produttore del prodotto causa dei rifiuti e che i distributori di tale prodotto possano contribuire alla copertura di tali costi.
Successivamente, il decreto legge n. 124 del 2019 ha prorogato fino a diversa regolamentazione disposta dall'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (Arera) tale modalità di commisurazione della tariffa sulla base del criterio medio-ordinario (in luogo dell’effettiva quantità di rifiuti prodotti). Il provvedimento ha disposto l'accesso a condizioni tariffarie agevolate alla fornitura del servizio di gestione integrato dei rifiuti urbani e assimilati per gli utenti domestici che si trovino in condizioni economico-sociali disagiate.
La legge di bilancio 2018 (legge 205 del 2017, comma 527) ha affidato ad Arera il compito di regolare il settore dei rifiuti, con riguardo al miglioramento del servizio agli utenti, all’omogeneità tra le aree del Paese, alla valutazione dei rapporti costo-qualità e all’adeguamento infrastrutturale.
Con delibera 31 ottobre 2019 443/2019/R/rif è stato quindi definito il nuovo metodo tariffario del servizio integrato di gestione dei rifiuti. In particolare, l’articolo 2 definisce le seguenti componenti tariffarie del servizio integrato di gestione dei rifiuti urbani:
§ costi operativi, intesi come somma dei costi operativi di gestione delle attività di spazzamento e di lavaggio, di raccolta e di trasporto di rifiuti urbani indifferenziati, di trattamento e di smaltimento, di raccolta e di trasporto delle frazioni differenziate, di trattamento e di recupero, nonché di oneri incentivanti il miglioramento delle prestazioni;
§ costi d’uso del capitale; intesi come somma degli ammortamenti delle immobilizzazioni, degli accantonamenti ammessi al riconoscimento tariffario, della remunerazione del capitale investito netto riconosciuto e della remunerazione delle immobilizzazioni in corso;
§ componente a conguaglio relativa ai costi delle annualità 2018 e 2019.
La determinazione delle componenti tariffarie è effettuata in conformità al predetto metodo Tariffario, di cui all’Allegato A della delibera.
Si prevede un primo periodo di regolazione dal 1° aprile 2020 al 31 dicembre 2023 (in modo sperimentale per tutto il 2020). Per i Comuni sotto i 5 mila abitanti il muovo metodo si applica dal gennaio 2021.
Occorrerebbe pertanto coordinare la norma in commento con la disciplina intervenuta nel tempo.
Con la lettera b) si intende definire una data certa per la deliberazione delle tariffe della TARI, il cui termine viene quindi fissato al 30 aprile di ciascun anno, anziché collegato alla data di deliberazione del bilancio di previsione. A tal fine è modificato il comma 652 della legge di stabilità per il 2014 (articolo 1 della legge n. 147 del 2013).
Attualmente, il comma 652 della legge di stabilità per il 2014 prevede che consiglio comunale approvi, entro il termine fissato da norme statali per l'approvazione del bilancio di previsione, le tariffe della TARI in conformità al piano finanziario del servizio di gestione dei rifiuti urbani, redatto dal soggetto che svolge il servizio stesso ed approvato dal consiglio comunale o da altra autorità competente a norma delle leggi vigenti in materia,
Al riguardo, la relazione illustrativa evidenzia che le tariffe della TARI devono essere aggiornate coerentemente con i piani finanziari di gestione dei rifiuti urbani predisposti e inviati all'ente locale da parte del soggetto che svolge il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti. L'impossibilità di acquisire tempestivamente il piano finanziario di gestione ha spesso esposto i comuni al rischio di non poter approvare per tempo le tariffe della TARI o di non poterle compiutamente aggiornare.
Articolo 26
(Imposta comunale sulla pubblicità
e diritto sulle pubbliche affissioni)
I commi 1 e 3 dell’articolo 26 consentono ai comuni:
§ a decorrere dal 2019, di riavvalersi della facoltà di aumentare fino al 50% le tariffe dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni per le superfici superiori al metro quadrato;
§ di dilazionare il rimborso ai contribuenti delle maggiorazioni dell’imposta sulla pubblicità avvenute negli anni 2013-2018, rese inefficaci dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 15 del 2018.
Si segnala al riguardo che le predette disposizioni sono state sostanzialmente superate inizialmente dalla legge di bilancio 2019; sul punto è poi intervenuta la legge di bilancio 2020 che ha istituito e disciplinato il cd. canone unico patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria che trova applicazione dal 2021.
Il comma 2 dell’articolo in esame individua un metodo di calcolo per verificare la dimensione complessiva e la distribuzione della perdita di gettito subita negli anni dal 2013 al 2018 dai comuni che si sono avvalsi della facoltà di confermare o prorogare gli aumenti tariffari predetti, resi inefficaci dalla citata sentenza della Consulta: si impegna il Governo ad adottare le misure necessarie per la previsione di un rimborso da ripartirsi tra i comuni interessati.
Come anticipato in premessa, i commi 1 e 3 riproducono il contenuto delle disposizioni recate rispettivamente dai commi 919 e 917 della legge di bilancio 2019 (legge n. 145 del 2018).
Più in dettaglio il comma 1, con una disposizione superata dalla legislazione vigente, consente agli enti locali di prevedere aumenti tariffari - fino al 50 per cento - per le superfici superiori al metro quadrato soggette all’imposta comunale sulla pubblicità e al diritto sulle pubbliche affissioni.
L’8 febbraio 2019 il Dipartimento delle Finanze del MEF ha pubblicato alcuni chiarimenti in proposito del ripristino di tale facoltà.
Anche tali disposizioni della legge di bilancio 2019 sono state successivamente superate dall’introduzione, con la legge di bilancio 2020 (articolo 1, commi da 816 e ss.gg.), del cd. canone unico patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria che sostituisce, a partire dal 2021, entrate di diversa natura, vale a dire la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), l'imposta comunale sulla pubblicità; e il diritto sulle pubbliche affissioni (ICPDPA), il canone per l'installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP) e il canone di cui all'art. 27, commi 7 e 8, del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada). Il canone è; comunque comprensivo di qualunque canone ricognitorio o concessorio previsto da norme di legge e dai regolamenti comunali e provinciali, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi.
Il medesimo provvedimento ha altresì disciplinato, sempre a decorrere dal 1° gennaio 2021, il canone di concessione per l'occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, destinati a mercati realizzati anche in strutture attrezzate, cui provvedono i comuni e le città metropolitane che lo istituiscono con proprio regolamento.
Si ricorda al riguardo che i provvedimenti emergenziali adottati in occasione della pandemia da COVID-19 e i provvedimenti di ristoro hanno disposto l’esonero, per alcuni soggetti particolarmente colpiti dalle conseguenze economiche dell'emergenza sanitaria dal pagamento (dal 1° gennaio al 31 marzo 2021) del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitari nonché del canone per l'occupazione delle aree destinate ai mercati (Cosap e Tosap). Il decreto proroga termini 2021 (decreto-legge n. 183 del 2020) stabilisce che, per l'anno 2021, per le attività con sede legale od operativa nei territori delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, interessati dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016, non sono dovuti il predetto canone unico, né il canone di concessione per l'occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, destinati a mercati realizzati anche in strutture attrezzate (istituiti dall'articolo 1, commi da 816 a 847, della legge 27 dicembre 2019, n. 160).
Sulla vicenda degli aumenti tariffari relativi all’imposta comunale sulla pubblicità e al diritto sulle pubbliche affissioni si ricorda che la sentenza della Corte Costituzionale n.15 del 2018 ha sostanzialmente disposto che le delibere di aumento delle tariffe dell’imposta sulla pubblicità e pubbliche affissioni, approvate dai comuni entro il 26 giugno 2012 (data di entrata in vigore della norma che ha abolito tale facoltà: decreto-legge n. 83 del 2012) fossero efficaci solo per il 2012. Da ciò è discesa la sostanziale inefficacia delle delibere confermative, espresse o tacite, delle maggiorazioni disposte per gli anni successivi al 2012.
Ciò in considerazione del fatto che l’articolo 23, comma 7, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, ha abrogato, a decorrere dal 26 giugno 2012, l’articolo 11, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, relativo alla facoltà dei comuni di aumentare le tariffe dell’imposta comunale sulla pubblicità. La successiva norma di interpretazione autentica (art. 1, comma 739, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, legge di stabilità 2016), volta a chiarire che l’abrogazione non ha effetto per i Comuni che si siano già avvalsi di tale facoltà prima della data di entrata in vigore del decreto-legge, secondo la Corte, ha efficacia per l’anno 2012, ma non ha ripristinato il regime impositivo antecedente al D.L. n. 83 del 2012 anche per gli anni successivi al 2012.
Il comma 2 dell’articolo in esame prevede che, per verificare la dimensione complessiva e la distribuzione della perdita di gettito subita negli anni dal 2013 al 2018 dai comuni che, a decorrere dal 2013, si sono avvalsi della facoltà di confermare o prorogare gli aumenti tariffari dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, il Ministero dell’economia e delle finanze elabori una metodologia condivisa con l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), da sottoporre all’esame della Conferenza Stato-città ed autonomie locali entro il 30 giugno 2019.
Sulla base delle risultanze di tale elaborazione, il Governo è tenuto ad adottare le misure necessarie per la previsione di un rimborso da ripartirsi tra i comuni interessati in misura proporzionale alla perdita di gettito subita da ciascun ente.
Il comma 3 dell’articolo in esame, anch’esso superato dalla legislazione vigente, riproduce il contenuto del comma 917 della legge di bilancio 2019.
Si dispone, in deroga alle norme vigenti e alle disposizioni regolamentari deliberate da ciascun comune, che i rimborsi delle somme acquisite dai comuni a titolo di maggiorazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni per gli anni dal 2013 al 2018 possono essere effettuati in forma rateale, entro cinque anni dalla data in cui la richiesta del contribuente è diventata definitiva.
Alla luce del nuovo quadro normativo, si segnala l’opportunità di aggiornare la proposta con la legislazione intervenuta nel tempo.
Articolo 27
(Addizionale comunale dei diritti
d’imbarco aeroportuali)
L’articolo 27 , comma 1 prevede, modificando in tal senso l’articolo 2, comma 11, lett. a) della legge n. 350/2003, che a decorrere dall’anno 2018, l’addizionale comunale dei diritti d’imbarco aeroportuali dovrà essere versata ai comuni secondo le disposizioni che saranno stabilite con un decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, sentita l’ANCI, nei seguenti termini di versamento:
§ entro il 31 ottobre di ciascun anno il Ministero dell’interno dovrà erogare a ciascun comune l’importo dovuto relativo al primo semestre dell’anno, sulla base del rispettivo traffico aeroportuale;
§ entro il 31 marzo dell’anno successivo, il Ministero dell’interno ripartirà tra i comuni il saldo annuale degli incassi sulla base del rispettivo traffico aeroportuale registrato nell’anno precedente.
Si tratta pertanto di una nuova procedura temporale di riparto dell’addizionale comunale sui diritti aeroportuali, che peraltro riguarda solo la parte destinata ai comuni dell’importo totale delle addizionali sui diritti di imbarco che sono attualmente previste, in quanto successivi interventi normativi (vedi infra) hanno previsto specifiche destinazioni per gli incrementi di volta in volta introdotti legislativamente, i quali quindi non sono oggetto della norma in commento. Nella relazione illustrativa si evidenzia come ratio della norma il fatto che negli ultimi anni il flusso dei finanziamenti sia stato “discontinuo e contrassegnato da mancate assegnazioni e non rispondenza degli importi dovuti ai comuni con il totale dei passeggeri viaggianti”.
Attualmente infatti una quota delle somme riscosse come addizionale (la quota corrispondente a 1 euro per passeggero in base all’art. 2, co. 11 della legge n. 350/2003 e destinata all'entrata del bilancio dello Stato), viene riassegnata quanto a 30 milioni di euro, in un apposito fondo istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti destinato a compensare l'ENAV S.p.a., secondo modalità regolate dal contratto di servizio per i costi sostenuti da ENAV S.p.a. per garantire la sicurezza ai propri impianti e per garantire la sicurezza operativa e, quanto alla residua quota, in un apposito fondo istituito presso il Ministero dell'interno e ripartito sulla base del rispettivo traffico aeroportuale, secondo i seguenti criteri:
a) il 40 per cento del totale a favore dei comuni del sedime aeroportuale o con lo stesso confinanti secondo la media delle seguenti percentuali: percentuale di superficie del territorio comunale inglobata nel recinto aeroportuale sul totale del sedime; percentuale della superficie totale del comune nel limite massimo di 100 chilometri quadrati;
b) il 60 per cento del totale per il finanziamento di misure volte alla prevenzione e al contrasto della criminalità e al potenziamento della sicurezza nelle strutture aeroportuali e nelle principali stazioni ferroviarie, al fine di pervenire ad efficaci misure di tutela dell'incolumità delle persone e delle strutture.
Il decreto del MEF di cui la norma in commento prevede l’emanazione dovrà inoltre disciplinare le modalità di versamento delle quote su appositi conti correnti intestati ai singoli comuni.
Si ricorda che i diritti aeroportuali sono costituiti dal diritto di approdo e di partenza degli aeromobili, dal diritto per il ricovero o la sosta allo scoperto di aeromobili e dal diritto per l'imbarco passeggeri, che i vettori pagano, rivalendosene sul prezzo del biglietto nei confronti dei passeggeri, ai gestori aeroportuali. L'importo dei diritti in tutti gli aeroporti aperti al traffico commerciale deve essere determinato, in base alla normativa europea (direttiva 2009/12/CE), in un quadro di libera concorrenza, attraverso il confronto fra gestori e le compagnie operanti nello scalo, sulla base dei modelli tariffari adottati dall'Autorità dei Trasporti e calibrati sul traffico annuo aeroportuale.
In questo quadro è stata istituita, dall’articolo 2, comma 11 della legge n. 350 del 2003, l'addizionale comunale sui diritti di imbarco dei passeggeri, fissata inizialmente nella misura di 1 euro a passeggero imbarcato e successivamente incrementata, con specifica destinazione delle relative somme, nelle misure di seguito indicate, con una serie di interventi legislativi:
§ di 1 euro a passeggero dal D.L. n. 7/2005, poi portato a 3 euro dal decreto-legge 134 del 2008 (per la destinazione di tale incremento v. sub);
§ 50 centesimi di euro a passeggero a decorrere dall'anno 2007, che è stato destinato a ridurre il costo a carico dello Stato del servizio antincendi negli aeroporti;
§ 2 euro a passeggero imbarcato a decorrere dal 1° luglio 2013 (articolo 4, comma 75 della legge n. 92 del 2012), con specifica destinazione di tali somme all'INPS, con versamento da parte dei gestori di servizi aeroportuali con le modalità in uso per la riscossione dei diritti di imbarco e con la previsione che il versamento da parte delle compagnie aeree avvenga entro tre mesi dalla fine del mese in cui sorge l'obbligo (art. 2, comma 48, lett. b) della legge n. 92/2012).
Per quanto riguarda la destinazione delle somme, l'incremento dell'addizionale (i 3 euro previsti dall'articolo 6-quater, comma 2, del DL n. 7/2005) è stato destinato, a seguito di diverse proroghe, fino al 31 dicembre 2018 ad alimentare il Fondo di solidarietà per il settore del trasporto aereo e del sistema aeroportuale (costituito ai sensi dell'articolo 1-ter del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249) e, per l'anno 2019, all'alimentazione dello stesso Fondo nella misura del cinquanta per cento.
A decorrere dal 1° gennaio 2020 tali maggiori somme saranno riversate alla gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali dell'INPS (di cui all'articolo 37 della legge 9 marzo 1989, n. 88) e per l'anno 2019 le stesse somme sono riversate alla medesima gestione nella misura del 50 per cento (articolo 26 del decreto-legge n. 4 del 2019).
L’addizionale comunale ed i relativi incrementi, secondo quanto precisato dall'articolo 13, comma 16, del decreto-legge n. 145 del 2013, non sono dovuti dai passeggeri in transito negli scali aeroportuali nazionali, se provenienti da scali domestici. Inoltre le disposizioni concernenti l’addizionale comunale si interpretano nel senso che dalle stesse non sorgono obbligazioni di natura tributaria, secondo la previsione dell'articolo 39-bis del decreto-legge n.159 del 2007.
Nel 2010 è stata poi istituita un’addizionale Commissariale sui diritti di imbarco dei passeggeri sugli aeromobili in partenza dagli aeroporti della città di Roma di 1 euro per passeggero (articolo 14, comma 14, del DL 31 maggio 2010, n. 78 e destinata alle straordinarie esigenze di ripianamento finanziario della città), che continua ad applicarsi (in base all’art. 13, co. 17 del D.L. n. 145/2013), a tutti i passeggeri con voli originanti e in transito negli scali di Roma Fiumicino e Ciampino, ad eccezione di quelli in transito aventi origine e destinazione domestica.
Con l'articolo 13, comma 23 del decreto-legge n. 145 del 2013 era infine stato previsto un incremento della addizionale comunale per finanziare il "Fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione del settore del trasporto aereo"; l’aumento era quantificato dal decreto del MIT 29 ottobre 2015, in euro 2,50 per l'anno 2016, euro 2,42 per l'anno 2017 e euro 2,34 per l'anno 2018. Tale incremento è stato poi sospeso dal 1° settembre al 31 dicembre 2016 (art. 13-ter del decreto legge n. 113 del 2016) e quindi definitivamente soppresso dalla legge di Bilancio 2017 (legge n. 232 del 2016, comma 378) a decorrere dal 1° gennaio 2017.
Il comma 2 dell’articolo 27 provvede inoltre a sopprimere nell’elenco n. 1 allegato alla legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), che contiene le disposizioni legislative autorizzative di riassegnazioni di entrate, il riferimento alla legge n. 350 del 2003, istitutiva dell’addizionale sui diritti di imbarco passeggeri. Tale elenco contiene l’elenco dei provvedimenti legislativi per i quali (in base all’art. 2, comma 615 della legge finanziaria 2008) era previsto che fino all'anno 2016, non si desse luogo alle iscrizioni di stanziamenti negli stati di previsione dei Ministeri in correlazione a versamenti di somme all'entrata del bilancio dello Stato autorizzate dagli stessi.
Il riferimento alla legge istitutiva dell’addizionale è contenuto al numero 8, rubricato «Ministero dell’interno» e secondo quanto indicato nella Relazione illustrativa, ha fatto venire meno la certezza del riversamento ai comuni dell’addizionale sui diritti aeroportuali.
Articolo 28
(Adeguamento delle tariffe del canone per
l’occupazione di spazi ed aree pubbliche)
L’articolo 28 intende aggiornare l’importo forfettario del COSAP dovuto per le occupazioni permanenti del territorio comunale da parte di aziende di erogazione di pubblici servizi e di quelle esercenti attività strumentali: il canone passa da 0,77 a 2 euro per utenza nei comuni fino a 20.000 abitanti, e da 0,62 a 1,80 euro per utenza nei comuni con oltre 20.000 abitanti (comma 1, lettere a) e b)).
La lettera c) del comma 1, sempre con riferimento alle occupazioni da parte di aziende di erogazione dei pubblici servizi e di aziende esercenti attività strumentali, impone a tali aziende di trasmettere agli enti concedenti, entro il 28 febbraio di ciascun anno, gli elenchi delle utenze, nel rispetto della normativa in materia di riservatezza dei dati personali, ai fini del calcolo del canone.
Si segnala preliminarmente che la legge di bilancio 2020 (articolo 1, commi da 816 e ss.gg. della legge n. 160 del 2020, al cui dossier si rinvia per ulteriori precisazioni) ha istituito il cd. canone unico patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria che sostituisce, a partire dal 2021, le entrate di diversa natura tra cui il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP).
Il cd. canone unico patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria sostituisce, a partire dal 2021, entrate di diversa natura, vale a dire la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), l'imposta comunale sulla pubblicità; e il diritto sulle pubbliche affissioni (ICPDPA), il canone per l'installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP) e il canone di cui all'art. 27, commi 7 e 8, del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada). Il canone è; comunque comprensivo di qualunque canone ricognitorio o concessorio previsto da norme di legge e dai regolamenti comunali e provinciali, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi. Il medesimo provvedimento ha altresì disciplinato, sempre a decorrere dal 1° gennaio 2021, il canone di concessione per l'occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, destinati a mercati realizzati anche in strutture attrezzate, cui provvedono i comuni e le città metropolitane che lo istituiscono con proprio regolamento.
Si ricorda al riguardo che i provvedimenti emergenziali adottati in occasione della pandemia da COVID-19 e i provvedimenti di ristoro hanno disposto l’esonero, per alcuni soggetti particolarmente colpiti dalle conseguenze economiche dell'emergenza sanitaria dal pagamento (dal 1° gennaio al 31 marzo 2021) del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitari nonché del canone per l'occupazione delle aree destinate ai mercati (Cosap e Tosap). Il decreto proroga termini 2021 (decreto-legge n. 183 del 2020) stabilisce che, per l'anno 2021, per le attività; con sede legale od operativa nei territori delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, interessati dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016, non sono dovuti il predetto canone unico, né il canone di concessione per l'occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, destinati a mercati realizzati anche in strutture attrezzate (istituiti dall'articolo 1, commi da 816 a 847, della legge 27 dicembre 2019, n. 160).
L’articolo in commento intende quindi aggiornare l’importo forfettario del COSAP dovuto per le occupazioni permanenti da parte di aziende di erogazione di pubblici servizi e quelle esercenti attività strumentali, da 0.77 a 2 euro per utenza nei comuni fino a 20.000 abitanti, e da 0,62 a 1,80 euro per utenza nei comuni con oltre 20.000 abitanti (lettere a) e b), rispettivamente, del comma 1).
La lettera c) del comma 1 intende aggiornare il criterio per l’emanazione del regolamento COSAP contenuto all’articolo 63, comma 1, lettera f), n. 5), anch’esso relativo alle occupazioni permanenti da parte di aziende di erogazione dei pubblici servizi e da aziende esercenti attività strumentali ai servizi medesimi.
Per effetto delle modifiche il regolamento dell’ente, oltre a prevedere che il numero complessivo delle utenze sia quello risultante al 31 dicembre dell'anno precedente, stabilisce che le aziende che erogano pubblici servizi e quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi sarebbero tenute a trasmettere agli enti concedenti, entro il 28 febbraio di ciascun anno, gli elenchi delle utenze, nel rispetto della normativa in materia di riservatezza dei dati personali.
La richiamata legge di bilancio 2020 (articolo 1, comma 831 della legge n. 160 del 2020, come sostituito dall’articolo 1, comma 848 della legge n. 178 del 2020, legge di bilancio 2021, al cui dossier si rinvia) ha previsto una specifica disciplina del già richiamato canone unico per le occupazioni permanenti del territorio comunale con cavi e condutture per la fornitura di servizi di pubblica utilità (distribuzione ed erogazione di energia elettrica, gas, acqua, calore, di servizi di radiotelevisione e telecomunicazione e altri servizi di rete).
Preliminarmente si ricorda che ai sensi del comma 817, tale canone è istituito e disciplinato dagli enti con regolamento, in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono sostituiti, fatta salva, in ogni caso, la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe.
In tale caso il canone è dovuto dal soggetto titolare dell'atto di concessione dell'occupazione del suolo pubblico e dai soggetti che occupano il suolo pubblico, anche in via mediata, attraverso l'utilizzo materiale delle infrastrutture del soggetto titolare della concessione sulla base del numero delle rispettive utenze moltiplicate per la seguente tariffa forfettaria:
Classificazione dei Comuni
|
Tariffa standard
|
Comuni fino a 20.000 abitanti |
euro 1,50 |
Comuni oltre 20.000 abitanti |
euro 1 |
In ogni caso, l’ammontare del canone dovuto a ciascun ente non può essere inferiore a euro 800. Il canone, inoltre, è comprensivo degli allacciamenti alle reti effettuati dagli utenti e di tutte le occupazioni di suolo pubblico con impianti direttamente funzionali all’erogazione del servizio a rete.
Il numero complessivo delle utenze è quello risultante al 31 dicembre dell’anno precedente ed è comunicato al comune competente per territorio con autodichiarazione da inviare, mediante posta elettronica certificata, entro il 30 aprile di ciascun anno.
Gli importi sono rivalutati annualmente in base all’indice ISTAT dei prezzi al consumo rilevati al 31 dicembre dell’anno precedente.
Il versamento del canone è effettuato entro il 30 aprile di ciascun anno in unica soluzione attraverso la piattaforma PagoPa (si veda il tema relativo ai servizi digitali della PA curato dal Servizio studi della Camera per un approfondimento), di cui all’articolo 5 del Codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005. Per le occupazioni del territorio provinciale e delle città metropolitane, il canone è determinato nella misura del 20% dell’importo risultante dall’applicazione della misura unitaria di tariffa, pari a euro 1,50, per il numero complessivo delle utenze presenti nei comuni compresi nel medesimo ambito territoriale.
Al riguardo si osserva che le norme in esame dovrebbero essere riferite al cd. canone unico istituito dalla legge di bilancio 2020 o, comunque, a esso coordinate.
Articolo 28
(Adeguamento delle tariffe del canone per
l’occupazione di spazi ed aree pubbliche)
L’articolo 28 intende aggiornare l’importo forfettario del COSAP dovuto per le occupazioni permanenti del territorio comunale da parte di aziende di erogazione di pubblici servizi e di quelle esercenti attività strumentali: il canone passa da 0,77 a 2 euro per utenza nei comuni fino a 20.000 abitanti, e da 0,62 a 1,80 euro per utenza nei comuni con oltre 20.000 abitanti (comma 1, lettere a) e b)).
La lettera c) del comma 1, sempre con riferimento alle occupazioni da parte di aziende di erogazione dei pubblici servizi e di aziende esercenti attività strumentali, impone a tali aziende di trasmettere agli enti concedenti, entro il 28 febbraio di ciascun anno, gli elenchi delle utenze, nel rispetto della normativa in materia di riservatezza dei dati personali, ai fini del calcolo del canone.
Si segnala preliminarmente che la legge di bilancio 2020 (articolo 1, commi da 816 e ss.gg. della legge n. 160 del 2020, al cui dossier si rinvia per ulteriori precisazioni) ha istituito il cd. canone unico patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria che sostituisce, a partire dal 2021, le entrate di diversa natura tra cui il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP).
Il cd. canone unico patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria sostituisce, a partire dal 2021, entrate di diversa natura, vale a dire la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP), il canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (COSAP), l'imposta comunale sulla pubblicità; e il diritto sulle pubbliche affissioni (ICPDPA), il canone per l'installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP) e il canone di cui all'art. 27, commi 7 e 8, del D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada). Il canone è; comunque comprensivo di qualunque canone ricognitorio o concessorio previsto da norme di legge e dai regolamenti comunali e provinciali, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi. Il medesimo provvedimento ha altresì disciplinato, sempre a decorrere dal 1° gennaio 2021, il canone di concessione per l'occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, destinati a mercati realizzati anche in strutture attrezzate, cui provvedono i comuni e le città metropolitane che lo istituiscono con proprio regolamento.
Si ricorda al riguardo che i provvedimenti emergenziali adottati in occasione della pandemia da COVID-19 e i provvedimenti di ristoro hanno disposto l’esonero, per alcuni soggetti particolarmente colpiti dalle conseguenze economiche dell'emergenza sanitaria dal pagamento (dal 1° gennaio al 31 marzo 2021) del canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitari nonché del canone per l'occupazione delle aree destinate ai mercati (Cosap e Tosap). Il decreto proroga termini 2021 (decreto-legge n. 183 del 2020) stabilisce che, per l'anno 2021, per le attività; con sede legale od operativa nei territori delle regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, interessati dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016, non sono dovuti il predetto canone unico, né il canone di concessione per l'occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, destinati a mercati realizzati anche in strutture attrezzate (istituiti dall'articolo 1, commi da 816 a 847, della legge 27 dicembre 2019, n. 160).
L’articolo in commento intende quindi aggiornare l’importo forfettario del COSAP dovuto per le occupazioni permanenti da parte di aziende di erogazione di pubblici servizi e quelle esercenti attività strumentali, da 0.77 a 2 euro per utenza nei comuni fino a 20.000 abitanti, e da 0,62 a 1,80 euro per utenza nei comuni con oltre 20.000 abitanti (lettere a) e b), rispettivamente, del comma 1).
La lettera c) del comma 1 intende aggiornare il criterio per l’emanazione del regolamento COSAP contenuto all’articolo 63, comma 1, lettera f), n. 5), anch’esso relativo alle occupazioni permanenti da parte di aziende di erogazione dei pubblici servizi e da aziende esercenti attività strumentali ai servizi medesimi.
Per effetto delle modifiche il regolamento dell’ente, oltre a prevedere che il numero complessivo delle utenze sia quello risultante al 31 dicembre dell'anno precedente, stabilisce che le aziende che erogano pubblici servizi e quelle esercenti attività strumentali ai servizi medesimi sarebbero tenute a trasmettere agli enti concedenti, entro il 28 febbraio di ciascun anno, gli elenchi delle utenze, nel rispetto della normativa in materia di riservatezza dei dati personali.
La richiamata legge di bilancio 2020 (articolo 1, comma 831 della legge n. 160 del 2020, come sostituito dall’articolo 1, comma 848 della legge n. 178 del 2020, legge di bilancio 2021, al cui dossier si rinvia) ha previsto una specifica disciplina del già richiamato canone unico per le occupazioni permanenti del territorio comunale con cavi e condutture per la fornitura di servizi di pubblica utilità (distribuzione ed erogazione di energia elettrica, gas, acqua, calore, di servizi di radiotelevisione e telecomunicazione e altri servizi di rete).
Preliminarmente si ricorda che ai sensi del comma 817, tale canone è istituito e disciplinato dagli enti con regolamento, in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono sostituiti, fatta salva, in ogni caso, la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe.
In tale caso il canone è dovuto dal soggetto titolare dell'atto di concessione dell'occupazione del suolo pubblico e dai soggetti che occupano il suolo pubblico, anche in via mediata, attraverso l'utilizzo materiale delle infrastrutture del soggetto titolare della concessione sulla base del numero delle rispettive utenze moltiplicate per la seguente tariffa forfettaria:
Classificazione dei Comuni
|
Tariffa standard
|
Comuni fino a 20.000 abitanti |
euro 1,50 |
Comuni oltre 20.000 abitanti |
euro 1 |
In ogni caso, l’ammontare del canone dovuto a ciascun ente non può essere inferiore a euro 800. Il canone, inoltre, è comprensivo degli allacciamenti alle reti effettuati dagli utenti e di tutte le occupazioni di suolo pubblico con impianti direttamente funzionali all’erogazione del servizio a rete.
Il numero complessivo delle utenze è quello risultante al 31 dicembre dell’anno precedente ed è comunicato al comune competente per territorio con autodichiarazione da inviare, mediante posta elettronica certificata, entro il 30 aprile di ciascun anno.
Gli importi sono rivalutati annualmente in base all’indice ISTAT dei prezzi al consumo rilevati al 31 dicembre dell’anno precedente.
Il versamento del canone è effettuato entro il 30 aprile di ciascun anno in unica soluzione attraverso la piattaforma PagoPa (si veda il tema relativo ai servizi digitali della PA curato dal Servizio studi della Camera per un approfondimento), di cui all’articolo 5 del Codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005. Per le occupazioni del territorio provinciale e delle città metropolitane, il canone è determinato nella misura del 20% dell’importo risultante dall’applicazione della misura unitaria di tariffa, pari a euro 1,50, per il numero complessivo delle utenze presenti nei comuni compresi nel medesimo ambito territoriale.
Al riguardo si osserva che le norme in esame dovrebbero essere riferite al cd. canone unico istituito dalla legge di bilancio 2020 o, comunque, a esso coordinate.
Articolo 29
(Semplificazioni in materia di imposta di registro)
L’articolo 29 reca semplificazioni e riduzioni fiscali per le amministrazioni pubbliche, inclusi gli enti locali, in materia di imposta di registro sugli atti esecutivi e su quelli di trasferimento a titolo oneroso di diritti reali immobiliari.
In particolare, il comma 1 dell’articolo 29 introduce un nuovo comma (7-bis) all’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica, 26 aprile 1986, n. 131 (Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro) che esenta le pubbliche amministrazioni dal pagamento dell’imposta di registro sugli atti esecutivi.
Si ricorda che l’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, indica come amministrazioni pubbliche tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie fiscali, nonché quelle dei ministeri e di enti pubblici, elencate nel decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
La vigente normativa (articolo 37 del Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro) prevede che gli atti dell'autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere, sono soggetti all'imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili; l’imposta di registro richiamata è pari al 3% (Tariffa - Parte prima - Articolo 8, D.P.R. 26/04/1986, n. 131)
La norma pertanto elimina per gli enti pubblici l’obbligo di pagamento dell’imposta sugli atti esecutivi di crediti vantati emanati dall’autorità giudiziaria ordinaria, previsto tra l’altro ancor prima del soddisfacimento del credito.
Nella relazione alla proposta di legge si sottolinea che, diversamente dall’erario che è escluso da tale prelievo, gli enti locali, in particolare i comuni, si trovano spesso nella condizione di dover anticipare un’imposta, anche di rilevante entità, a fronte di un’incerta riscossione del quantum stabilito dalla sentenza del giudice ordinario.
Il comma 2 modifica la disciplina dell’imposta di registro sugli atti di trasferimento a titolo oneroso dei diritti reali immobiliari a favore dello Stato, delle regioni, delle province, delle città metropolitane, dei comuni e delle unioni di comuni.
La norma in esame inserisce un nuovo comma (1-bis) all’articolo 10 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in materia di applicazione dei tributi nell'ipotesi di trasferimento immobiliare, che dispone che nei casi di atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, compresi la rinuncia pura e semplice agli stessi, e i provvedimenti di espropriazione per pubblica utilità e i trasferimenti coattivi, se il trasferimento avviene a favore dello Stato, delle regioni, delle province, delle città metropolitane, dei comuni e delle unioni di comuni, l’imposta si applica in misura fissa (ovvero nella misura di 200 euro prevista dall’articolo 26, comma 2, del Dl 104/2013) e non in misura proporzionale del 9%.
Per una ricostruzione generale della disciplina dell’imposta di registro si rimanda alla consultazione delle schede web Imposta di registro sul sito istituzionale dell’Agenzia delle entrate.
Si segnala che l’ANCI durante l’esame dell’A.C. 1074, in materia di semplificazione fiscale, aveva già sollecitato in una memoria l’esigenza di semplificazioni normative in materia di imposta di registro.
L’articolo 30 dispone l’abrogazione e la modifica di alcune disposizioni del Codice della Strada (D.Lgs. n. 285 del 1992) in materia di ripartizione ed impiego dei proventi delle sanzioni per le violazioni ai limiti di velocità, che siano accertate attraverso dispositivi di rilevamento dei limiti di velocità (portali, sistemi tutor) o attraverso mezzi a distanza (autovelox, telelaser etc.): si tratta sostanzialmente dei commi che definiscono sia la percentuale di ripartizione delle sanzioni tra gli enti proprietari delle strade e gli enti locali, che il vincolo di destinazione del 50 per cento dei proventi delle multe a una serie di attività connesse al miglioramento della circolazione stradale e delle strutture amministrative preposte.
In dettaglio, con il comma1, lett. a), vengono abrogati i commi 12-bis, 12-ter e 12-quater dell’articolo 142 del Codice. Si tratta delle seguenti disposizioni:
§ il comma 12-bis che prevede l’attribuzione dei proventi per violazione dei limiti di velocità, in misura pari al 50 per cento ciascuno, all'ente proprietario della strada su cui è stato effettuato l'accertamento o agli enti che esercitano le relative funzioni e all'ente da cui dipende l'organo accertatore (enti locali), alle condizioni e nei limiti dei successivi commi 12-ter e 12-quater (sono escluse le strade in concessione). Per tali enti diversi dallo Stato la norma prevede l’obbligo di utilizzo della quota dei proventi ad essi destinati nella regione nella quale sono stati effettuati gli accertamenti;
§ il comma 12-ter, che prevede un vincolo di destinazione per tali somme alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, ivi comprese la segnaletica e le barriere, e dei relativi impianti, nonché al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, ivi comprese le spese relative al personale, nel rispetto della normativa vigente relativa al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego e al patto di stabilità interno;
§ il comma 12-quater, che prevede l’obbligo di ciascun ente locale di trasmettere una relazione annuale in cui sono indicati, con riferimento all'anno precedente, l'ammontare complessivo dei proventi di propria spettanza di cui al comma 1 dell'articolo 208 e al comma 12-bis e gli interventi realizzati a valere su tali risorse, con la specificazione degli oneri sostenuti per ciascun intervento; la relazione va inviata entro il 31 maggio di ogni anno, in via informatica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed al Ministero dell'interno.
A seguito di tale abrogazione pertanto per la destinazione delle risorse derivanti degli accertamenti per le violazioni ai limiti di velocità, effettuati attraverso dispositivi di rilevamento dei limiti di velocità (portali, sistemi tutor) o attraverso mezzi a distanza (autovelox, telelaser etc.) dovrebbe trovare applicazione la previsione generale dell’articolo 208, concernente la destinazione dei proventi delle sanzioni pecuniarie.
Il criterio di ripartizione tra gli enti accertatori delle risorse derivanti dall’accertamento delle violazioni del Codice della strada individuato dall’articolo 208 fa esclusivo riferimento ai soggetti che effettuano l’accertamento dell’infrazione (pertanto i proventi delle infrazioni sono attribuiti all’ente cui fa capo l’agente accertatore).
Si segnala tuttavia che, con riferimento agli accertamenti effettuati attraverso dispositivi di rilevamento dei limiti di velocità o attraverso mezzi a distanza, secondo la disciplina oggetto di abrogazione una quota parte significativa delle risorse, pari al 50%, era attribuita “all'ente proprietario della strada su cui è stato effettuato l'accertamento o agli enti che esercitano le relative funzioni”.
Con il comma 1, lett. b), si dispone una modifica dell’articolo 208, comma 4 del Codice, che disciplina la destinazione dei proventi di tutte le sanzioni amministrative pecuniarie riscosse per violazioni al Codice, che prevede l’eliminazione del vincolo per gli enti locali di destinare almeno un quarto della quota ad una serie di interventi, previsti nelle lettere a) e b) del comma 4.
Attualmente infatti il comma 4 prevede un vincolo di destinazione per una quota pari al 50 per cento dei proventi per le violazioni accertate da funzionari, ufficiali ed agenti, rispettivamente, delle regioni, delle province e dei comuni, così definito:
a) in misura non inferiore a un quarto della quota, a interventi di sostituzione, di ammodernamento, di potenziamento, di messa a norma e di manutenzione della segnaletica delle strade di proprietà dell'ente;
b) in misura non inferiore a un quarto della quota, al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, anche attraverso l'acquisto di automezzi, mezzi e attrezzature dei Corpi e dei servizi di polizia provinciale e di polizia municipale;
c) ad altre finalità connesse al miglioramento della sicurezza stradale, relative alla manutenzione delle strade di proprietà dell'ente, all'installazione, all'ammodernamento, al potenziamento, alla messa a norma e alla manutenzione delle barriere e alla sistemazione del manto stradale delle medesime strade, alla redazione dei piani urbani del traffico, a interventi per la sicurezza stradale a tutela degli utenti deboli, quali bambini, anziani, disabili, pedoni e ciclisti, allo svolgimento, da parte degli organi di polizia locale, nelle scuole di ogni ordine e grado, di corsi didattici finalizzati all'educazione stradale, a misure di assistenza e di previdenza per il personale della polizia provinciale e comunale, alle misure di cui al comma 5-bis (assunzioni a progetto e progetti di controllo della mobilità urbana e sicurezza stradale) e a interventi a favore della mobilità ciclistica.
Si valuti l’opportunità di chiarire le modalità di verifica del rispetto dell’effettiva destinazione delle risorse derivanti da tali accertamenti alle finalità indicate dall’articolo 208, comma 4.
Si segnala che il comma 3-bis del decreto-legge n. 50 del 2017, come modificato dall’articolo 39-bis del decreto-legge n. 162 del 2019, prevede una deroga alle disposizioni di cui all'articolo 142, comma 12-ter, e all'articolo 208, comma 4, del Codice della strada stabilendo che per gli anni dal 2017 al 2022 le province e le città metropolitane, possano usare le risorse derivanti dai proventi delle sanzioni per le violazioni degli articoli sopra indicati, anche per il finanziamento degli oneri riguardanti le funzioni di viabilità e di polizia locale con riferimento al miglioramento della sicurezza stradale, nonché per interventi per il ricovero degli animali randagi, per la rimozione dei rifiuti abbandonati e per il decoro urbano delle aree e delle sedi stradali.
Si ricorda che il Testo Unificato delle proposte di legge di modifica al Codice della Strada (A.C. 24 e abbinate) in corso d’esame presso la IX Commissione della Camera prevede anch’esso una modifica delle disposizioni dell’articolo 208 del Codice, ma nei seguenti termini:
1. l'eliminazione della riserve di un minimo di un quarto della quota (che si applica sul 50% dei proventi spettanti alle regioni ed agli enti locali), per gli interventi di sostituzione, di ammodernamento, di potenziamento, di messa a norma e di manutenzione della segnaletica delle strade di proprietà dell'ente (comma 4, lett. a) e di un ulteriore minimo di un quarto al potenziamento delle attività di controllo e di accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, anche attraverso l'acquisto di automezzi, mezzi e attrezzature dei Corpi e dei servizi di polizia provinciale e di polizia municipale. Tale intervento è ripreso dalle modifiche previste dall’articolo 30, comma 1, lettera b) della proposta di legge all’esame.
2. la destinazione della quota dell'80% dei proventi delle sanzioni che spettano allo Stato, anche all'intensificazione dei controlli sulla circolazione stradale (comma 2, lett. a) dell'art. 208);
3. l'esclusione dalla possibilità di partecipare, nell'anno successivo, ai bandi per l'attuazione del Piano nazionale della sicurezza stradale per gli enti locali che non ottemperino all'obbligo di rendicontazione delle sanzioni elevate e delle relative spese;
4. l'introduzione dell'obbligo di trasmissione in via telematica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, entro il 31 marzo di ogni anno, da parte dei soggetti che accertano le violazioni, dei dati relativi all'entità delle sanzioni comminate nell'anno precedente, per ciascuna tipologia di infrazione e la conseguente pubblicazione sul sito internet del Ministero, entro il 30 giugno, dei relativi dati, in modo da permettere la consultazione sulla base di criteri temporali e geografici, determinati a livello comunale, per tipologia di infrazione, di veicolo, di età e sesso.
Articolo 31
(Contributo unificato relativo ai processi tributari
in cui è parte l’ente locale)
L’articolo 31 interviene sul testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, estendendo anche agli enti locali il beneficio della prenotazione a debito di imposte o di spese a carico, e dettando specifiche disposizioni concernenti l’esenzione dal pagamento del contributo unificato per le parti del processo già esenti da imposta da bollo.
In particolare, la lettera a) del comma 1, modifica l’articolo 3, lett. q) del citato testo unico, che reca la definizione di "amministrazione pubblica ammessa alla prenotazione a debito". Attualmente rientra in tale definizione l'amministrazione dello Stato, o altra amministrazione pubblica, ammessa da norme di legge alla prenotazione a debito di imposte o di spese a suo carico.
Secondo quanto previsto dalla lett. s) del medesimo articolo 3 del TU spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, per prenotazione a debito delle spese di giustizia si intende annotazione a futura memoria di una voce di spesa, per la quale non vi è pagamento, ai fini dell’eventuale successivo recupero. Le spese prenotate a debito e quelle anticipate dall’erario sono recuperate dall’amministrazione, insieme alle altre spese anticipate, in caso di condanna dell’altra parte alla rifusione delle spese in proprio favore. Tuttavia alla luce dell’art. 3, lett. q) del medesimo Testo Unico non qualsiasi pubblica amministrazione può usufruire dell’istituto ma soltanto il soggetto pubblico a ciò legittimato da una specifica norma di legge.
Con la riforma si ricomprendono specificamente nella definizione di amministrazioni pubbliche ammesse alla prenotazione a debito le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e dunque anche gli enti locali.
Come è noto l’art. 1, comma 2 del D.Lgs. n. 165 del 2001, specifica che per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
Anche gli enti locali quindi potranno beneficiare dell’ammissione alla prenotazione a debito e, in particolare potranno beneficiare della prenotazione a debito del contributo unificato, così come previsto dall’art. 158 del medesimo testo unico in materia di spese di giustizia.
L’art. 9 del TU spese di giustizia prevede il pagamento del contributo unificato di iscrizione a ruolo, per ciascun grado di giudizio, nel processo civile, compresa la procedura concorsuale e di volontaria giurisdizione, nel processo amministrativo e nel processo tributario, secondo gli importi previsti dall'articolo 13 e salvo quanto previsto dall'articolo 10. L’art. 158 del medesimo Testo Unico prevede che, nel processo in cui è parte l’amministrazione pubblica, il contributo unificato nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo tributario (se è a carico dell’amministrazione), è prenotato a debito. Tuttavia alla luce dell’art. 3 del medesimo Testo può usufruire dell’istituto soltanto il soggetto pubblico a ciò legittimato da una specifica norma di legge. Infatti con la direttiva del 14 dicembre 2012, n. 2/DGT il Ministero delle finanze ha precisato in merito ai ricorsi degli enti impositori che i ricorsi presentati dagli enti impositori diversi dalle amministrazioni dello Stato, Agenzie fiscali e altre amministrazioni pubbliche ammesse a regime di favore, sono assoggettati al pagamento del contributo unificato e non sono ammessi alla “prenotazione a debito”.
La rubrica dell’articolo e la relazione illustrativa individuano la finalità delle norme nell’esenzione degli enti locali dal pagamento del contributo unificato nel processo tributario. In realtà, dalla formulazione delle novelle, discende un potenziale campo d’applicazione molto più ampio. Si valuti la coerenza tra la rubrica dell’articolo e il contenuto normativo delle modifiche.
La lettera b) del comma 1 modifica l’articolo 10 del citato Testo unico in materia di spese di giustizia. Il quale attualmente prevede che non sia soggetto al contributo unificato il processo già esente dall'imposta di bollo o da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura secondo previsione legislativa e senza limiti di competenza o di valore.
Al riguardo si ricorda che l'articolo 5, comma 1 della tabella allegato B al DPR 642/1972 (Testo unico in materia di imposte di bollo) prevede l’esenzione assoluta per atti e copie del procedimento di accertamento e riscossione di qualsiasi tributo, dichiarazioni, denunzie, atti, documenti e copie presentati ai competenti uffici ai fini dell'applicazione delle leggi tributarie, con esclusione di ricorsi, opposizioni ed altri atti difensivi del contribuente; sono esenti da imposta di bollo anche verbali, decisioni e relative copie delle commissioni tributarie nonché copie dei ricorsi, delle memorie, delle istanze e degli altri atti del procedimento depositati presso di esse. Risultano altresì esenti gli atti e le copie relativi al procedimento, anche esecutivo, per la riscossione dei tributi, dei contributi e delle entrate extratributarie dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e delle istituzioni pubbliche di beneficenza, dei contributi e delle entrate extratributarie di qualsiasi ente autorizzato per legge ad avvalersi dell'opera dei concessionari del servizio nazionale di riscossione, le istanze di rimborso e di sospensione del pagamento di qualsiasi tributo, nonché i documenti allegati alle istanze medesime.
Con la modifica in esame viene integrato il predetto articolo 10, specificando che non sono soggette al contributo unificato anche le parti – oltre che il processo – già esenti dall’imposta di bollo o da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.
La relazione illustrativa che accompagna la proposta chiarisce che l’intento delle modifiche in esame è quella di rendere esplicita l’esenzione dal pagamento del contributo unificato per i processi tributari che coinvolgono gli enti locali.
Al riguardo è opportuno ricordare che l’imposta di bollo (D.P.R. n. 642 del 1972, articolo 1) ha come presupposto impositivo l'esistenza di un atto, documento o registro; la legge dunque ne declina l’applicazione, così come le agevolazioni e le esenzioni, in base ad atti e documenti emessi in specifici contesti o provenienti da parti qualificate.
Si segnala che la modifica in esame fa invece riferimento alle “parti già esenti” da imposta di bollo, strutturando dunque l’agevolazione sotto il profilo squisitamente soggettivo e slegandola dall’emanazione di atti e documenti.
La formulazione letterale della modifica sembrerebbe riferita non al solo processo tributario in cui è parte l’ente locale, facendo potenzialmente ricadere nell’esenzione un più ampio novero di atti.
Articolo 32
(Competenza territoriale delle commissioni tributarie)
L’articolo 32, facendo seguito a una sentenza della Corte Costituzionale (n. 44/2016), modifica la competenza territoriale delle commissioni tributarie nei casi in cui gli enti locali abbiano deciso di affidare in concessione a soggetti privati terzi le attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi locali.
In particolare la lettera a) dell’articolo in esame modifica l’articolo 4 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, ed espunge la previsione che in caso di controversie per gli atti emessi dall’agente della riscossione e dai concessionari privati (iscritti nell’albo previsto dall’articolo 53, del D.Lgs. n. 446, del 1997) la commissione tributaria competente sia quella nella cui circoscrizione ha sede l’agente della riscossione o il concessionario privato. Considerato che il D.Lgs. n. 446 del 1997 (articolo 52) non pone agli enti locali delimitazioni geografiche per l'individuazione del soggetto cui affidare in concessione i servizi tributari, può verificarsi il caso in cui gli atti impugnabili siano emessi da soggetti aventi sede anche a molti chilometri di distanza dal luogo in cui si è generata l'obbligazione d'imposta costringendo il contribuente a farsi carico di uno spostamento geografico anche significativo per esercitare il proprio diritto di difesa e instaurare la propria azione giudiziaria.
Si segnala che l’articolo 53 richiamato (comma 1) prevede che presso il Ministero delle finanze è istituito l'albo dei soggetti privati abilitati ad effettuare attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni.
La disposizione dà seguito normativo alla pronuncia della Corte Costituzionale, sentenza n. 44 depositata il 3 marzo 2016, che aveva ravvisato la violazione da parte dell’articolo 4, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, dell’articolo 24 della Costituzione, nella parte in cui stabiliva un criterio attributivo della competenza territoriale lesivo dell’esercizio del diritto di difesa. La Corte, pertanto, aveva affermato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, nella parte in cui prevede che per le controversie proposte nei confronti dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione i medesimi soggetti hanno sede, anziché quella nella cui circoscrizione ha sede l’ente locale impositore.
La lettera b), sempre adeguando l’attuale normativa ai rilievi della Corte, aggiunge un nuovo periodo al citato articolo 4, disponendo che se la controversia è proposta nei confronti degli agenti della riscossione o dei soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 53 è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ente impositore.
Si segnala che l’ANCI durante l’esame dell’A.C. 1074, in materia di semplificazione fiscale, aveva già sollecitato in una memoria l’esigenza della modifica normativa della competenza territoriale delle commissioni tributarie per i soggetti privati terzi che svolgono attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi locali.
L’articolo 33 estende gli incentivi per la partecipazione dei comuni all’accertamento fiscale anche al caso di recuperi di entrate derivanti da ravvedimento operoso, a seguito di segnalazione qualificata del comune, in conseguenza delle attività di controllo relative a imposte dirette, IVA e imposta di registro, nonché di invito a comparire ai fini dell’accertamento con adesione.
La partecipazione degli enti territoriali all’attività di accertamento
In applicazione del principio di sussidiarietà e al fine di rafforzare gli strumenti della lotta all'evasione fiscale, il legislatore ha complessivamente previsto un maggior coinvolgimento degli Enti territoriali nell'attività di accertamento e riscossione.
Per quanto concerne i comuni, l'articolo 1, comma 1 del D.L. n. 203/2005 disponeva in origine l'attribuzione a tali enti di una quota pari al 30 per cento delle maggiori somme riscosse con il concorso dei medesimi. Tale ammontare è stato in un primo momento elevato al 50 per cento (articolo 2, comma 10, lettera b), del D.Lgs. n. 23 del 2011). Successivamente, per gli anni 2012, 2013 e 2014, ai comuni è stato assegnato l'intero maggior gettito ottenuto a seguito dell'intervento svolto dall'ente stesso nell'attività di accertamento, anche se si tratta di somme riscosse a titolo non definitivo e fermo restando il successivo recupero delle stesse ove rimborsate ai contribuenti a qualunque titolo (articolo 1, comma 12-bis, del D.L. 138 del 2011). Con la legge di stabilità 2015 (comma 702 della legge n. 190 del 2014) per il triennio 2015-2017 la predetta quota era stata fissata nella misura del 55 per cento; secondo tale assetto normativo, ai comuni sarebbe spettato un ammontare inferiore a quello temporaneamente attribuito nel triennio precedente (2012-2014), ancorché in misura più elevata di quanto stabilito in via ordinaria dalla legge (D.Lgs. n. 23 del 2011). L'articolo 10, comma 12-duodecies del decreto-legge n. 192 del 2014, modificando il D.L. n. 138 del 2011 ha disposto che fino al 2017 fosse riconosciuto ai comuni il 100 per cento delle maggiori somme riscosse per effetto della partecipazione dei comuni stessi all'azione di contrasto all'evasione.
Da ultimo, è stato esteso fino al 2021 l'incentivo previsto per la partecipazione dei comuni all'attività di accertamento tributario, pari al 100 per cento del riscosso (articolo 34 D.L. n. 124 del 2019).
A decorrere dal 1° luglio 2011, inoltre, gli importi minimo e massimo della sanzione amministrativa prevista per l'inadempimento degli obblighi di dichiarazione agli uffici dell'Agenzia del territorio degli immobili e delle variazioni di consistenza o di destinazione dei medesimi sono quadruplicati; il 75 per cento dell'importo delle sanzioni irrogate a decorrere dalla predetta data è devoluto al comune ove è ubicato l'immobile interessato.
Per quanto riguarda le regioni, l'articolo 9 del D.Lgs. n. 68/2011 (in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province) ha assicurato il riversamento diretto alle regioni dell'intero gettito derivante dall'attività di recupero fiscale riferita ai tributi propri derivati e alle addizionali alle basi imponibili dei tributi erariali di cui al presente decreto. Ai medesimi enti è poi attribuita una quota del gettito riferibile al concorso della regione nella attività di recupero fiscale in materia di IVA, commisurata all'aliquota di compartecipazione alla medesima in favore delle Regioni.
Relativamente alle province, l'articolo 10 del D.Lgs. n. 149 del 2011 riconosce ai predetti enti una quota pari al 50 per cento delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse con il contributo dei medesimi enti, anche mediante segnalazione all'Agenzia delle entrate ed alla Guardia di finanza di elementi utili ad integrare i dati contenuti nelle dichiarazioni presentate dai contribuenti per la determinazione di maggiori imponibili fiscali.
Le modifiche proposte dalle norme in esame
Le disposizioni in esame introducono un comma 1-bis al già citato articolo 1 del decreto-legge n. 203 del 2005, volto a estendere gli incentivi ai comuni per la partecipazione all’attività di accertamento (100 per cento del riscosso, ai sensi del richiamato decreto-legge n. 124 del 2019, fino all’anno 2021) anche ai recuperi da ravvedimento operoso (di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472), a specifiche condizioni, tra cui la segnalazione qualificata del comune.
Si ricorda che l’istituto del ravvedimento operoso consente ai contribuenti di regolarizzare omessi o insufficienti versamenti e altre irregolarità fiscali, beneficiando della riduzione delle sanzioni; esso non ha più preclusioni di natura temporale, ma è impedito - per i tributi amministrati dall'Agenzia delle Entrate - solo dalla notifica di atti di liquidazione e di accertamento (comprese le comunicazioni da controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni).
Il ravvedimento menzionato dalle norme in esame deve essere effettuato dal contribuente come conseguenza dell’esercizio dell’attività di controllo fiscale ai fini delle imposte dirette (disciplinato dagli articoli 32 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600) dell’IVA (di cui agli articoli 51 e 52 del decreto del Presi-dente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633), dell’imposta di registro (articolo 53-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131) nonché a seguito di invito a comparire innanzi all’amministrazione finanziaria per la definizione del debito (articoli 5 e 11 del decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218) e deve conseguire a una segnalazione qualificata del comune.
Al riguardo si osserva che la rubrica dell’articolo fa riferimento alle cd. comunicazioni di irregolarità, che non sono tuttavia espressamente menzionate dalle norme in esame.
Per tali si intendono infatti le comunicazioni emesse a seguito dell'attività di controllo sulle dichiarazioni fiscali, sulla base dei dati dichiarati dal contribuente o, comunque, in possesso dell'Agenzia delle Entrate (c.d. controllo automatizzato o "liquidazione"), ovvero da controlli diretti a verificare la correttezza dei dati indicati nelle dichiarazioni e dei versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti attraverso un riscontro con la documentazione richiesta al contribuente oppure incrociando i dati presenti nelle dichiarazioni presentate anche da altri soggetti o trasmessi per legge all'Agenzia (c.d. "controllo formale"), ovvero ancora a seguito della liquidazione delle imposte dirette su redditi assoggettati a tassazione separata; si tratta di situazioni espressamente disciplinate dagli articoli 36-bis e 36-ter del DPR n. 600 del 1973 in materia di imposte dirette, dall’articolo 54-bis del DPR n. 633 del 1972 in materia di IVA e dall’articolo 3-bis del D.Lgs. n. 462 del 1997 con riferimento alla liquidazione delle somme dovute a seguito di controlli formali o automatizzati.
L’articolo 34 consente ai comuni, con regolamento, di destinare una quota del gettito IMU al potenziamento degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate, anche mediante l’attribuzione di compensi incentivanti al personale impiegato nel raggiungimento degli obiettivi del settore delle entrate.
Tale disposizione riprende, con alcune differenze, quanto già previsto dalla legge di bilancio 2019.
Più in dettaglio l’articolo 34, ferma restando la generale potestà regolamentare dei comuni in materia tributaria (articolo 52 del D.Lgs. n. 446 del 1997) consente ai comuni, con proprio regolamento, di prevedere che una quota percentuale del gettito IMU sia destinata al potenziamento degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate, anche comprendendo nel programma di potenziamento la possibilità di attribuire compensi incentivanti al personale impiegato nel raggiungimento degli obiettivi del settore delle entrate, anche con riferimento alla progettazione e allo svi-luppo delle attività connesse alla partecipazione del comune all’accertamento dei tributi erariali e dei contributi sociali non corrisposti, in applicazione delle norme sulla partecipazione dei comuni all’attività di riscossione (articolo 1 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203) come modificato dall’articolo 33 della presente legge.
La legge di bilancio 2019 (articoli 1, comma 1091 della legge n. 145 del 2018) ha introdotto una norma di analogo contenuto, che consente ai comuni tale destinazione di gettito.
Tuttavia, la legge di bilancio 2019 presenta le seguenti specificità:
§ la facoltà di destinare le risorse è propria dei comuni che hanno approvato il bilancio di previsione ed il rendiconto entro i termini di legge;
§ oggetto della destinazione è il maggiore gettito accertato e riscosso;
§ il gettito comprende gli accertamenti sia dell’IMU che della TARI ed è computato come gettito dell’esercizio fiscale precedente a quello di riferimento, come risultante dal conto consuntivo approvato;
§ inoltre la destinazione avviene nella misura massima del 5% e limitatamente all’anno di riferimento;
§ oltre al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate, le risorse possono essere destinate al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale, in deroga ai limiti assunzionali di legge.
Più in dettaglio, la quota destinata al trattamento economico accessorio, al lordo degli oneri riflessi e dell’Irap a carico dell’amministrazione, sia attribuita, mediante contrattazione integrativa, al personale impiegato nel raggiungimento degli obiettivi del settore entrate, anche con riferimento all’impianto e allo sviluppo delle attività connesse alla partecipazione del comune all’accertamento dei tributi erariali e dei contributi sociali non corrisposti, in applicazione dell’articolo 1 del decreto legge 30 settembre 2005; il beneficio attribuito non può superare il quindici per cento del trattamento tabellare annuo lordo individuale e le norme non si applicano qualora il servizio di accertamento sia affidato in concessione.
Si ricorda che, in applicazione del principio di sussidiarietà e al fine di rafforzare gli strumenti della lotta all'evasione fiscale, il legislatore ha previsto un maggior coinvolgimento degli enti territoriali nell'attività di accertamento e riscossione. Per quanto concerne i comuni, l'articolo 1, comma 1 del D.L. n. 203/2005 disponeva in origine l'attribuzione a tali enti di una quota pari al 30 per cento delle maggiori somme riscosse con il concorso dei medesimi. Tale ammontare è stato in un primo momento elevato al 50 per cento (articolo 2, comma 10, lettera b), del D.Lgs. n. 23 del 2011). Successivamente, per gli anni 2012, 2013 e 2014, ai comuni è stato assegnato l'intero maggior gettito ottenuto a seguito dell'intervento svolto dall'ente stesso nell'attività di accertamento (articolo 1, comma 12-bis, del D.L. 138 del 2011). Con la legge di stabilità 2015 (comma 702 della legge n. 190 del 2014) per il triennio 2015-2017 la predetta quota era stata fissata nella misura del 55 per cento; secondo tale assetto normativo, ai comuni sarebbe spettato un ammontare inferiore a quello temporaneamente attribuito nel triennio precedente (2012-2014), ancorché in misura più elevata di quanto stabilito in via ordinaria dalla legge (D.Lgs. n. 23 del 2011). L'articolo 10, comma 12-duodecies del decreto-legge n. 192 del 2014, modificando il D.L. n. 138 del 2011 ha disposto che fino al 2017 venga riconosciuto ai comuni il 100 per cento delle maggiori somme riscosse per effetto della partecipazione dei comuni stessi all'azione di contrasto all'evasione.
Da ultimo, l'incentivo previsto per la partecipazione dei comuni all'attività di accertamento tributario pari al 100 per cento del riscosso è stato esteso agli anni 2018 e 2019 (articolo 4, comma 8-bis del D.L. n. 193 del 2016). L’articolo 33 del provvedimento in esame estende tale incentivo anche al caso di ravvedimento operoso conseguente a segnalazione qualificata del comune (cfr. la relativa scheda di lettura).
Si valuti, al riguardo, l’opportunità di coordinare il testo della norma proposta – che appare meno restrittivo – con quanto previsto dalla suesposta normativa vigente.
Articolo 35
((Misure preventive per il contrasto dell'evasione dei tributi locali)
Al fine di contrastare l’evasione dei tributi locali, l’articolo 35 consente agli enti locali di subordinare il rilascio di licenze, autorizzazioni e concessioni e dei relativi rinnovi, nonché la ricezione di segnalazioni certificate di inizio attività in esercizio alla verifica della regolarità del pagamento dei tributi locali da parte dei soggetti richiedenti. Inoltre, in caso di affidamenti di contratti pubblici i predetti enti possono prevedere che il requisito di regolarità fiscale sussista anche per il pagamento di tributi, imposte e canoni di competenza della stazione appaltante.
Si segnala che su tale materia, con una disposizione sostanzialmente analoga, è intervenuto l’articolo 15-ter del decreto legge 30 aprile 2019 n. 34 che stabilisce che gli enti locali competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni e dei relativi rinnovi, alla ricezione di segnalazioni certificate di inizio attività, uniche o condizionate, concernenti attività commerciali o produttive possono disporre, con norma regolamentare, che il rilascio o il rinnovo e la permanenza in esercizio siano subordinati alla verifica della regolarità del pagamento dei tributi locali da parte dei soggetti richiedenti.
Un recente studio in materia di riscossione degli enti locali condotto dal Dipartimento delle Finanze del MEF ha evidenziato un grado di riscossione delle entrate, con riferimento al tributo immobiliare (IMU/TASI), “soddisfacente” a livello nazionale, attestandosi, per il 2016, all’88,50%. La lieve flessione degli accertamenti nel periodo considerato (2012/2016) passati dai 14,67 miliardi del 2012 ai 14,23 miliardi del 2016 (-3%) è stata accompagnata da una contrazione delle riscossioni in c/competenza, passate dai 13,68 miliardi di euro del 2012 ai 12,59 miliardi di euro del 2016 (-7,97%). Tale dinamica troverebbe conferma dall’andamento del relativo indice di realizzazione del tributo immobiliare passato dal 93,25% del 2012 all’88,50% del 2016.
Per quanto riguarda la tassa per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, a fronte di un grado di riscossione della tassa, a livello nazionale pari a circa il 60%, emerge, dai dati disaggregati per regione, un quadro piuttosto disomogeneo passando da valori dell’indicatore superiori al 70% per i comuni di Piemonte (+76,94%), Emilia Romagna, Marche, Lombardia, Liguria, Molise e Toscana, a valori pari al 42,56% e 41,52% di Campania e Lazio.
Più in dettaglio, il comma 1 stabilisce che enti locali possono disporre con norma regolamentare che il rilascio di licenze, autorizzazioni e concessioni e dei relativi rinnovi, nonché alla ricezione di segnalazioni certificate di inizio attività, uniche o condizionate, inerenti ad attività commerciali o produttive siano subordinati alla verifica della regolarità del pagamento dei tributi locali da parte dei soggetti richiedenti.
Come sopra segnalato, l’articolo 15-ter del decreto legge 30 aprile 2019 n. 34 recepisce sostanzialmente le disposizioni previste al comma 1 dell’articolo in esame.
Occorrerebbe pertanto coordinare la norma in commento con la disciplina intervenuta nel tempo.
Ai sensi del successivo comma 2, gli enti locali hanno facoltà, in occasione di affidamenti di contratti pubblici di richiedere, tra i requisiti generali che gli operatori economici devono possedere per partecipare a tali procedure, che il requisito di regolarità fiscale previsto dall'articolo 80, comma 4, del Codice dei contratti pubblici sussista anche per il pagamento di tributi, imposte e canoni di competenza della stazione appaltante, relativamente a un importo minimo complessivo stabilito con regolamento.
Si ricorda che l’articolo 80, comma 4, del Codice dei contratti pubblici, decreto legislativo n. 50 del 2016, esclude gli operatori economici dalla partecipazione a una procedura d'appalto che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti. Costituiscono gravi violazioni quelle che comportano un omesso pagamento di imposte e tasse superiore a cinquemila euro.
Le stazioni appaltanti sono quindi autorizzate a verificare il possesso del requisito consultando le banche di dati in proprio possesso, in deroga a quanto disposto dall'articolo 216, comma 13, del Codice e fino all'entrata in vigore del decreto previsto dall'articolo 81, comma 2, del medesimo Codice.
L'articolo 216, comma 13, del Codice prevede che le stazioni appaltanti e gli operatori economici utilizzano la banca dati AVC Pass istituita presso l'ANAC fino alla data di entrata in vigore del decreto di cui all'articolo 81, comma 2, che detta le modalità di alimentazione della Banca dati nazionale degli operatori economici.
Articolo 36
(Potenziamento dell'attività di riscossione,
accertamento e controllo degli enti locali)
L'articolo 36 consente l'accesso ai comuni, in forma gratuita, alle informazioni necessarie all'attività di riscossione, che può avvenire anche per via telematica.
L’interoperabilità dei dati tra amministrazioni pubbliche
Il legislatore negli anni ha avvertito la necessità di garantire, attraverso interventi normativi specifici, una sempre maggiore interoperabilità tra le banche dati a disposizione delle pubbliche amministrazioni.
Lo scambio di informazioni tra gli enti, grazie all’'interoperabilità delle basi dati, consente infatti alle amministrazioni di ridurre i costi di gestione e i tempi di condivisione. Non a caso nel Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione 2020-2022 i dati pubblici sono definiti come un bene comune: il patrimonio informativo della pubblica amministrazione è un bene fondamentale per lo sviluppo del Paese e deve essere valorizzato e reso disponibile ai cittadini e alle imprese, in forma aperta e interoperabile.
Già a partire dall’introduzione del Codice dell'amministrazione digitale (decreto legislativo n. 82 del 2005) è stato previsto che i dati delle pubbliche amministrazioni siano formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili con l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione che ne consentano la fruizione e riutilizzazione, alle condizioni fissate dall'ordinamento, da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dai privati; (restano salvi i limiti alla conoscibilità dei dati previsti dalle leggi e dai regolamenti, le norme in materia di protezione dei dati personali ed il rispetto della normativa comunitaria in materia di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico). A tale proposito, l’articolo 50 del Codice dispone che qualunque dato trattato da una pubblica amministrazione, nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali, è reso accessibile e fruibile alle altre amministrazioni quando l'utilizzazione del dato sia necessaria per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell'amministrazione richiedente (senza oneri a carico di quest'ultima, salvo per la prestazione di elaborazioni aggiuntive).
Le pubbliche amministrazioni certificanti detentrici dei dati ne assicurano la fruizione da parte delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici, attraverso la predisposizione di accordi quadro. Di recente l’articolo 33 del D.L. 16 luglio 2020, n. 76 dispone che tale fruizione è possibile sempre, anche in caso di mancata stipulazione degli accordi quadro. In assenza di accordi il Presidente del Consiglio dei ministri (o il Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione) stabilisce un termine entro il quale le pubbliche amministrazioni interessate provvedano a rendere disponibili, accessibili e fruibili i dati alle altre amministrazioni pubbliche. Il mancato adempimento dell'obbligo di mettere a disposizione i dati costituisce per i dirigenti responsabili delle competenti strutture elemento di valutazione negativa della performance, tale da tradursi nella riduzione, non inferiore al 30 per cento, della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei dirigenti competenti, oltre al divieto di attribuire premi o incentivi nell’ambito delle medesime strutture.
Al fine di rendere effettiva tale consultazione, è stato previsto che i dati trattati dalle pubbliche amministrazioni devono essere di tipo aperto, vale a dire (secondo la definizione che ne dà l'articolo 1, comma 1, lettera l-ter del Codice) presentare le seguenti caratteristiche:
§ disponibili secondo i termini di una licenza o di una previsione normativa che ne permetta l'utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato;
§ accessibili attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti (ossia resi pubblici, documentati esaustivamente e neutri rispetto agli strumenti tecnologici necessari per la fruizione dei dati stessi), sono adatti all'utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei relativi metadati;
§ disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione (salvo i casi di tariffazione, secondo la disciplina posta dal decreto legislativo n. 36 del 2006 all'articolo 7).
Il decreto legislativo n. 217 del 2017, recante modifiche e integrazioni al Codice, ha istituzionalizzato il progetto di Piattaforma digitale nazionale dati, già introdotto nel Piano triennale per l'informatica 2017-2019, testo che - si ricorda - definisce il modello di riferimento per lo sviluppo dell’informatica pubblica italiana (amministrazioni centrali e locali) fissando i principi architetturali fondamentali, le regole di usabilità e interoperabilità, precisando la logica di classificazione delle spese ICT.
La Piattaforma rappresenta l’infrastruttura tecnologica che rende possibile l'interoperabilità dei sistemi informativi e delle basi di dati delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici. La condivisione di dati e informazioni avviene attraverso la messa a disposizione e l'utilizzo da parte dei soggetti accreditati, di interfacce di programmazione delle applicazioni (API, nell'acronimo di Application Programming Interface, ossia uno strumento di programmazione che interfaccia, rendendoli comunicanti, programmi o piattaforme altrimenti incompatibili). Dunque la Piattaforma fa perno sulla condivisione dei dati attraverso interfacce di programmazione delle applicazioni, non già sull'acquisizione di dati detenuti dalle varie amministrazioni convergenti verso un centro.
In fase di prima applicazione, la Piattaforma assicura prioritariamente l'interoperabilità con i seguenti sistemi informativi:
§ l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) (di cui all’articolo 5 del decreto-legge n. 201 del 2011);
§ la banca dati nazionale unica della documentazione antimafia (di cui all’articolo 96 del decreto legislativo n. 159 del 2011);
§ l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (di cui all'articolo 62 del Codice dell'amministrazione digitale);
§ le banche dati dell'Agenzie delle entrate, individuate dal Direttore della medesima Agenzia.
Nella Piattaforma non confluiscono i dati attinenti a ordine e sicurezza pubblici, difesa e sicurezza nazionale, polizia giudiziaria e polizia economico finanziaria.
Si ricorda, inoltre, che al fine di disciplinare i rapporti di credito e debito tra la pubblica amministrazione e le imprese fornitrici e nell'ottica di liberare i debiti bloccati e fornire liquidità alle imprese, il legislatore (legge 6 giugno 2013, n. 64) ha posto l’obbligo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare l'elenco completo dei debiti certi liquidi ed esigibili. Le amministrazioni pubbliche, pertanto, ai fini della certificazione delle somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti e per obbligazioni relative a prestazioni professionali provvedono a registrarsi sulla Piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni, predisposta dal Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della ragioneria generale dello Stato.
Tale piattaforma, gestita dalla Sogei, svolge diverse funzioni:
§ acquisisce giornalmente dallo SDI (Sistema di Interscambio) le informazioni di tutte le fatture elettroniche;
§ acquisisce giornalmente da SICOGE e SICOGE ENTI le informazioni contabili e le informazioni di pagamento delle fatture elettroniche inerenti le Amministrazioni che utilizzano tali sistemi contabili;
§ consente alle amministrazioni pubbliche la registrazione e l'aggiornamento puntuale delle informazioni contabili relative al ciclo di vita di una fattura attraverso molteplici canali di comunicazione;
§ consente alle pubbliche amministrazioni di ricavare informazioni di sintesi o di dettaglio sui tempi di pagamento e di ritardo.
Interoperabilità nell’amministrazione finanziaria
Anche ai fini di un migliore monitoraggio delle movimentazioni di natura finanziaria (in particolare in chiave di contrasto al fenomeno dell’evasione fiscale) sono state introdotte alcune norme volte a favorire una maggiore interoperabilità tra banche dati dell’amministrazione finanziaria.
In questa direzione, il comma 4 dell’articolo 11 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (come modificato dall’ articolo 16-quater del decreto legge 23 ottobre 2018, n. 119) prevede che le informazioni che gli operatori finanziari sono tenuti a comunicare periodicamente all'Anagrafe tributaria sono utilizzate altresì dalla Guardia di finanza, anche in coordinamento con l’Agenzia delle entrate, nonché dal Dipartimento delle finanze, ai fini della valutazione di impatto e della quantificazione e del monitoraggio dell'evasione fiscale.
Recentemente, inoltre, i commi da 681 e 686 della legge di bilancio 2020 stabiliscono che per le attività di analisi del rischio di evasione effettuate utilizzando le informazioni contenute nell'archivio dei rapporti finanziari tenuto presso l'anagrafe tributaria, l'Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza si possano avvalere delle tecnologie, delle elaborazioni e delle interconnessioni con le altre banche dati di cui dispongono, allo scopo di individuare criteri di rischio utili per far emergere posizioni da sottoporre a controllo e incentivare l’adempimento spontaneo, nel rispetto di specifiche condizioni poste a protezione dei dati personali dei cittadini. Viene incluso, fra le ipotesi in cui viene limitato l'esercizio di specifici diritti in tema di protezione dei dati personali, l'effettivo e concreto pregiudizio alle attività di prevenzione e contrasto all'evasione fiscale. La portata innovativa della norma risiede, in sintesi, nella possibilità per l’Agenzia delle entrate di passare da logiche deduttive a logiche induttive nella propria attività di controllo grazie a un’attività di data mining (estrazione di informazioni utili da grandi quantità di dati attraverso metodi automatici o semi-automatici) svolta a monte della determinazione dei criteri di rischio.
L’intervento legislativo potenzia, dunque, le linee strategiche anti-evasione di Agenzia delle entrate e Guardia di finanza consentendo che le informazioni sui rapporti bancari e finanziari e le movimentazioni di natura finanziaria, trasmessi dagli intermediari bancari e finanziari all’anagrafe tributaria, possano essere utilizzati anche ai fini dell’analisi di rischio, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 23 del Regolamento Ue n. 2016/679, anche previa pseudonimizzazione dei dati personali ovvero assegnando alla posizione una cifratura al posto del codice fiscale dell’interessato per evitare l’individuazione del contribuente. Tale analisi preventiva condurrebbe poi alla determinazione di criteri di rischio utili per far emergere posizioni da sottoporre a controllo o per incentivare l’adempimento spontaneo.
Nella direzione di un maggiore monitoraggio dei dati fiscali in possesso dell’amministrazione finanziaria è rivolto anche il comma 5-bis dell’articolo 14 del decreto legge 124 del 2019 allorché stabilisce che i file delle fatture elettroniche acquisiti sono memorizzati fino al 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione di riferimento ovvero fino alla definizione di eventuali giudizi, superando gli ordinari termini di accertamento pari a 5 o 7 anni.
Tuttavia, come ha rilevato l’Ufficio parlamentare di bilancio nel Rapporto sulla politica di bilancio 2020 l’efficacia di queste misure dipenderanno in modo cruciale:
§ dalla capacità dell’Agenzia delle entrate di sfruttare il potenziale informativo che avrà a disposizione e cioè di poter disporre delle adeguate competenze statistico-informatiche e di risorse umane professionalmente idonee a questo scopo;
§ dall’effettivo superamento delle problematiche connesse con il trattamento dei dati personali.
A tale proposito è utile evidenziare che nel corso dell’audizione presso le Commissioni (Finanze) riunite Senato della Repubblica e Camera dei deputati del 1°marzo 2021, la Guardia di finanza ha sottolineato che incrociando i dati delle fatture elettroniche con quelli dell’anagrafe tributaria e degli altri applicativi informatici è stato possibile, selezionare, in modo molto più agevole e tempestivo, i contribuenti connotati da un più elevato profilo di pericolosità.
Una recente analisi del nucleo speciale entrate ha permesso di individuare circa 600 imprenditori individuali e società di persone che hanno omesso la presentazione della dichiarazione annuale a fronte di flussi in entrata sui propri conti correnti per importi superiori a 100.000 euro. In un’altra attività investigativa, sempre grazie all’analisi integrata delle banche dati, sono emerse oltre 5.300 imprese che, non adempiendo agli obblighi dichiarativi, hanno sottratto a tassazione una base imponibile di oltre 3 miliardi di euro e iva per circa 700 milioni di euro.
Da segnalare che al suo interno la Guardia di finanza ha creato anche un ulteriore sistema di interoperabilità delle banche dati (cd dorsale informatica) a disposizione del corpo, in grado di far emergere più speditamente i contesti suscettibili di approfondimento sul piano fiscale e valorizzare tutte le informazioni presenti.
Inoltre si segnala che nel processo di attuazione del federalismo fiscale, il MEF-Dipartimento finanze ha sviluppato un progetto finalizzato ad arricchire e valorizzare il Sistema informativo della fiscalità immobiliare attraverso la costituzione di una Banca dati integrata della fiscalità immobiliare. La mappatura dell’universo immobiliare avviene mediante l’incrocio tra l’archivio catastale, dove risiedono informazioni su ubicazione, tipologia, dimensione e titolarità degli immobili, l’archivio dichiarativo dei redditi, dove sono presenti tutte le informazioni utili ai fini fiscali, e le banche dati dei versamenti dei tributi locali.
All’alimentazione della Banca dati integrata della fiscalità immobiliare concorrono:
§ la banca Dati catastale;
§ le dichiarazioni dei redditi;
§ le dichiarazioni IVA;
§ gli atti del registro (compravendite, successioni, donazioni e locazioni);
§ la banca dati dei versamenti IMU;
§ le quotazioni OMI (rilevate dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate).
In materia di condivisione di dati fiscali tra amministrazioni centrali ed enti locali si ricorda anche il Portale del Federalismo fiscale che consente agli enti territoriali di disporre delle informazioni rilevanti dal punto di vista fiscale offerte, per ogni area di competenza, dalle diverse amministrazioni. Attraverso il portale, il Dipartimento delle finanze fornisce a regioni, province e comuni i dati statistici, riferiti al proprio territorio, estratti dalle dichiarazioni fiscali, dall’Osservatorio delle partite Iva e dalla banca dati catastale integrata.
In particolare, il comma 1 prevede che per lo svolgimento delle attività di controllo, accertamento e riscossione, anche coattiva, delle entrate degli enti locali, l'ente creditore, la società a capitale interamente pubblico partecipata dal medesimo ente locale e i soggetti da essi incaricati e dell'articolo 1, comma 691, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, come da ultimo sostituito dall'articolo 24 della presente legge, possono accedere gratuitamente, anche per via telematica, a tutti i dati rilevanti ai predetti fini, detenuti da uffici pubblici e da soggetti gestori di pubblici servizi.
Tali soggetti possono prendere visione e estrarre, anche in forma massiva, copia degli atti riguardanti i beni dei debitori e di eventuali coobbligati, nonché ottenere le relative certificazioni, previa attestazione, anche trasmessa per via informatica, dell'avvenuta emissione e notifica dell'ingiunzione.
Si ricorda che gli enti locali possono svolgere il servizio di riscossione delle proprie entrate secondo le seguenti modalità:
§ tramite risorse interne;
§ ricorrendo all'affidamento in house a società strumentali;
§ tramite le ordinarie procedure a evidenza pubblica;
§ avvalendosi, a seguito di apposita deliberazione, dell'Agenzia delle entrate–Riscossione, titolare dello svolgimento delle funzioni della riscossione nazionale.
Si ricorda infatti che l'Agenzia delle entrate-Riscossione (AER) può svolgere le attività di riscossione delle entrate tributarie o patrimoniali di tutte le amministrazioni locali (come individuate dall'ISTAT) e delle società da esse partecipate, con l'esclusione delle società di riscossione (D.L. n. 50 del 2017, articolo 35).
Ai sensi dell'articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, qualora sia deliberato l’affidamento a terzi, anche disgiuntamente, dell'accertamento e della riscossione, le relative attività sono affidate, nel rispetto della normativa dell'Unione europea e delle procedure vigenti in materia di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali, a:
1) i soggetti iscritti all'albo dei gestori dell'accertamento e della riscossione dei tributi locali;
2) gli operatori degli Stati membri stabiliti in un Paese dell'Unione europea che esercitano le menzionate attività, i quali devono presentare una certificazione rilasciata dalla competente autorità del loro Stato di stabilimento dalla quale deve risultare la sussistenza di requisiti equivalenti a quelli previsti dalla normativa italiana di settore;
3) la società a capitale interamente pubblico, mediante convenzione, a condizione: che l'ente eserciti sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente che la controlla; che svolga la propria attività solo nell'ambito territoriale di pertinenza dell'ente che la controlla;
4) le società pubbliche iscritte all'albo i cui soci privati siano scelti tra i soggetti di cui ai numeri 1) e 2), a condizione che l'affidamento avvenga sulla base di procedure ad evidenza pubblica.
Per quanto riguarda la riscossione coattiva, si ricorda che la legge di bilancio 2020 (commi 784 e ss.gg.) ha complessivamente riformato la riscossione degli enti locali, con particolare riferimento agli strumenti per l'esercizio della potestà impositiva, fermo restando l'attuale assetto dei soggetti abilitati alla riscossione delle entrate locali. In sintesi, le norme:
§ intervengono sulla disciplina del versamento diretto delle entrate degli enti locali, prevedendo che tutte le somme a qualsiasi titolo riscosse appartenenti agli enti locali affluiscano direttamente alla tesoreria dell'ente;
§ disciplinano in modo sistematico l'accesso ai dati da parte degli enti e dei soggetti affidatari del servizio di riscossione;
§ introducono anche per gli enti locali l'istituto dell'accertamento esecutivo, sulla falsariga di quanto già previsto per le entrate erariali (cd. ruolo), che consente di emettere un unico atto di accertamento avente i requisiti del titolo esecutivo; l'accertamento esecutivo opera, a partire dal 1° gennaio 2020, con riferimento ai rapporti pendenti a tale data;
§ in assenza di regolamentazione da parte degli enti, disciplinano puntualmente la dilazione del pagamento delle somme dovute;
§ istituiscono una sezione speciale nell'albo dei concessionari della riscossione, cui devono obbligatoriamente iscriversi i soggetti che svolgono le funzioni e le attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate locali.
Il Dipartimento delle finanze del MEF con la circolare n. 3/DF del 27 ottobre 2020 ha fornito istruzioni agli enti locali, ai soggetti che svolgono la funzione di tesoreria e ai soggetti affidatari della riscossione delle entrate degli enti locali in merito alle modalità di verifica e di rendicontazione dei versamenti delle entrate dei predetti enti, in modo da assicurare, in tempi certi, il pagamento dei compensi dovuti dall'ente impositore al proprio soggetto affidatario della riscossione.
Si ricorda infatti che l'Agenzia delle entrate-Riscossione può svolgere le attività di riscossione delle entrate tributarie o patrimoniali di tutte le amministrazioni locali (come individuate dall'ISTAT) e delle società da esse partecipate, con l'esclusione delle società di riscossione (D.L. n. 50 del 2017, articolo 35).
Ai sensi del comma 2, i soggetti sopra menzionati possono accedere gratuitamente ai dati e alle informazioni disponibili presso i sistemi informativi anagrafici di numerosi enti:
§ Ministero dell'interno;
§ anagrafe tributaria, compreso l'archivio dei rapporti finanziari;
§ archivi catastali e conservatorie dei registri immobiliari;
§ altri soggetti pubblici o incaricati di pubblici servizi, quali gli enti previdenziali, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, il Pubblico registro automobilistico, i fornitori di energia elettrica, gas e acqua.
Sono fatte salve le esigenze di identificazione e conservazione dei dati relativi agli accessi, di riservatezza e di segretezza derivanti dalle vigenti disposizioni di legge.
Tale accesso si pone anche l’obiettivo di consentire il confronto di dati e informazioni utili all'attuazione delle procedure di riscossione delle proprie entrate.
Viene inoltre consentito l’accesso gratuito al servizio di consultazione telematica della banca dati catastale e della banca dati della pubblicità immobiliare, alle medesime condizioni di accesso previste per l'agente della riscossione ai fini della riscossione delle entrate erariali (comma 3).
Si ricorda che l'articolo 35, comma 25, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, prevede che gli agenti della riscossione, ai soli fini della riscossione mediante ruolo, possono utilizzare i dati relativi ai rapporti detenuti con gli operatori finanziari e messi da questi ultimi a disposizione dell'Amministrazione finanziaria.
Ai sensi del comma 4, l’accesso alle banche di dati è consentito attraverso credenziali informatiche rilasciate dalle amministrazioni e dagli enti detentori delle medesime entro trenta giorni dalla richiesta.
Il trattamento dei dati acquisiti è svolto nel rispetto delle norme in materia di protezione dei dati personali (comma 5).
Infine, il comma 6 demanda a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le modalità di attuazione delle disposizioni del presente articolo.
Alla luce di quanto esposto, si valuti l’opportunità di coordinare le disposizioni in commento con le novità intervenute in materia di interoperabilità dei dati tra pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento all’amministrazione fiscale.
[1] La riforma del titolo V della Costituzione ha abrogato gli articoli della Costituzione che prevedevano, nelle regioni a statuto ordinario, la figura del Commissario del Governo. L’art. 10 della legge 5 giugno 2003, n. 131, attribuisce, in tutte le Regioni a statuto ordinario, al Rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie le funzioni già esercitate dal Commissario del Governo, con l’eccezione di alcune di esse, soppresse con la riforma costituzionale ricordata.
[2] Quest’ultima causa di ineleggibilità, già abrogata dall'art. 2268, comma 1, n. 429), del D.Lgs. 66/2010, n. 66, Codice dell’ordinamento militare, e il cui contenuto era confluito nell’art. 1485 del medesimo D.Lgs. 66/2010 come modificato dal D.Lgs. 248/2012 (art. 4, co. 1, lett. ddd), ha ripreso vigore ai sensi di quanto disposto dall’art. 9, comma 1, lett. s), del D.Lgs. 248/2012, che ha soppresso il citato n. 429).
[3] Tali cause di ineleggibilità sono riferite anche alle analoghe cariche rivestite presso Stati esteri.
[4] I cinque anni della legislatura sono calcolati a decorrere dalla data della prima riunione delle Camere (D.P.R. 361/1957, art. 7, sesto comma).
[5] L'art. 32, comma 2, della Costituzione, riservando alla legge la disciplina dei casi di trattamento sanitario somministrato senza il consenso del paziente (e ponendo, in ogni caso, il limite del rispetto della dignità dell'uomo), sancisce il principio per cui alle cure mediche non si può, in genere, essere sottoposti d'imperio.
[6] In proposito l’art. 17 della legge n. 400/1988 dispone che con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta, possono essere emanati regolamenti per disciplinare l'esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi, oltre che di regolamenti comunitari. Tali provvedimenti devono recare la denominazione di «regolamento» e sono sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. In particolare, con detti regolamenti si provvede al periodico riordino delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e all'espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo o sono comunque obsolete (comma 4-bis).
[7] A partire dall’entrata in vigore della procedura basata sulla formazione dell'elenco apposito e sul suo periodico aggiornamento, non trovano più applicazione le disposizioni di cui all'art. 234, co. 2, del D.Lgs. n. 267/2000 (TUEL), il quale prevedeva che i componenti del collegio dei revisori fossero scelti: a) uno tra gli iscritti al registro dei revisori contabili, con funzioni di presidente; b) uno tra gli iscritti nell'albo dei dottori commercialisti; c) uno tra gli iscritti nell'albo dei ragionieri.
[8] Si riportano, per completezza, i requisiti richiesti per l’iscrizione delle prime due fasce.
Nella fascia 1) degli enti locali sono inseriti i richiedenti in possesso dei seguenti requisiti:
a) iscrizione da almeno 2 anni nel registro dei revisori legali o all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili;
b) conseguimento, nel periodo 1° gennaio-30 novembre dell'anno precedente, di almeno 10 crediti formativi per aver partecipato a corsi e/o seminari formativi in materia di contabilità pubblica e gestione economica e finanziaria degli enti territoriali.
Nella fascia 2) sono inseriti i richiedenti in possesso dei seguenti requisiti:
a) iscrizione da almeno 5 anni nel registro dei revisori legali o all'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili;
b) aver svolto almeno un incarico di revisore presso un ente locale per la durata di tre anni;
c) conseguimento, nel periodo 1° gennaio 30 novembre dell'anno precedente, di almeno 10 crediti formativi per aver partecipato a corsi e/o seminari formativi in materia di contabilità pubblica e di gestione economica e finanziaria degli enti territoriali.
[9] Al riguardo, si ricorda che il citato art. 9, co. 28, del D.L. 78/2010, relativo al contenimento delle spese in materia di impiego pubblico, fissa i limiti delle assunzioni flessibili, stabilendo che tutti gli enti locali possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009. A decorrere dal 2013 gli enti locali possono superare il predetto limite per le assunzioni strettamente necessarie a garantire l'esercizio delle funzioni di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale nonché per le spese sostenute per lo svolgimento di attività sociali mediante forme di lavoro accessorio. Tali limitazioni non si applicano alle regioni e agli enti locali in regola con l'obbligo di riduzione delle spese di personale di cui ai commi 557 e 562 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007. Resta fermo che comunque la spesa complessiva non può essere superiore alla spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009.
[10] Tra le previsioni di cui al richiamato articolo 3, comma 5, del D.L. 90/2014 vi è anche la possibilità per le regioni e gli enti locali di cumulare le risorse destinate alle assunzioni a tempo indeterminato per un arco temporale non superiore a cinque anni, utilizzando, altresì, i residui ancora disponibili delle quote percentuali delle facoltà assunzionali riferite al quinquennio precedente, nel rispetto della programmazione del fabbisogno e di quella finanziaria e contabile.
[11] Le attività indicate dal richiamato comma 845 sono quelle in materia di viabilità e di edilizia scolastica relativamente alle figure ad alto contenuto tecnico-professionale di ingegneri, architetti, geometri, tecnici della sicurezza ed esperti in contrattualistica pubblica e in appalti pubblici.
[12] I parametri definiti con il decreto ministeriale potranno essere aggiornati con cadenza quinquennale.
[13] Le spese sono rimborsabili nel rispetto dei parametri stabiliti per la liquidazione dei compensi per la professione forense, previsti dal decreto di cui all'articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (D.M. 10 marzo 2014, n. 55).
[14] La ricognizione delle amministrazioni pubbliche facenti parte del conto economico consolidato della P.A. è effettuata annualmente dall’ISTAT, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge n. 196/2009, sulla base del sistema europeo dei conti. Per l’anno 2019, le Amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico della PA sono individuate dall’ISTAT con il Comunicato del 30 settembre 2019 (G.U. n. 229/2019).