Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Affari Comunitari
Titolo: Legge europea 2018 -A.C. 1432-A
Riferimenti: AC N.1432/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 41/3
Data: 08/03/2019
Organi della Camera: XIV Unione Europea

LEGGE EUROPEA

A.C. 1432-A

 

 

 

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Dossier n. 67/3

 

 

 

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 41/3

 

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ID0005c

 


I N D I C E

Schede di lettura

§  Introduzione.. 3

Schede di lettura

§  Articolo 1 (Disposizioni in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali - Procedura di infrazione 2018/2175) 9

§  Articolo 2 (Disposizioni in materia di professione di agente d’affari in mediazione -  Procedura di infrazione n. 2018/2175) 12

§  Articolo 3 (Disposizioni relative agli ex lettori di lingua straniera-Caso EU Pilot 2079/11/EMPL) 15

§  Articolo 4 (Criteri di rilascio delle concessioni relative alle rivendite di  tabacchi - Caso EU-Pilot 8002/15/GROW) 20

§  Articolo 5 (Disposizioni in materia di pagamenti nelle transazioni commerciali - Procedura di infrazione 2017/2090) 25

§  Articolo 6 (Designazione delle autorità competenti ai sensi del Regolamento (UE) n. 2018/302 volto a impedire i blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazione basate sulla nazionalità, sul luogo di residenza o sul luogo di stabilimento dei clienti nell’ambito del mercato interno) 28

§  Articolo 7 (Delega al Governo per l'adozione di nuove disposizioni in materia di utilizzo dei termini «cuoio» e «pelle» e di quelli da essi derivati o loro sinonimi - Caso EU Pilot 4971/13/ENTR) 37

§  Articolo 8 (Disposizioni in materia di mandato di arresto europeo e procedure di consegna tra Stati membri) 40

§  Articolo 9 (Disposizioni relative agli esaminatori di patenti di guida) 46

§  Articolo 10 (Disposizioni in materia di diritti aeroportuali –  Procedura di infrazione n. 214/4187) 48

§  Articolo 11 (Disposizioni relative all’IVA applicabile ai servizi di trasporto e spedizione di beni in franchigia - Procedura d’infrazione n. 2018/4000) 50

§  Articolo 12 (Disposizioni relative ai termini di prescrizione delle obbligazioni doganali) 53

§  Articolo 13 (Disposizioni relative alla partecipazione alle aste delle quote di emissioni dei gas a effetto serra) 56

§  Articolo 14 (Abrogazione di aiuto di Stato individuale previsto dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205 – Caso SA 50464 (2018/N)) 60

§  Articolo 15 (Attuazione della Direttiva 2017/1564/UE relativa a taluni utilizzi di opere protette da diritto d‘autore e da diritti connessi consentiti a persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa) 62

§  Articolo 16 (Attuazione della direttiva (UE) 2017/1572 che integra la direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto concerne i princìpi e le linee guida relativi alle buone prassi di fabbricazione dei medicinali per uso umano) 71

§  Articolo 17 (Designazione dell’autorità competente in materia di dispositivi medici e dispositivi medici diagnostici in vitro ai sensi dei regolamenti UE numeri 745/2017 e 746/2017) 75

§  Articolo 18 (Disposizioni relative alla responsabilità primaria ed alla responsabilità ultima in materia di combustibile esaurito o rifiuti radioattivi - Procedura di infrazione n. 2018/2021) 76

§  Articolo 19 (Disposizioni relative ai rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) - Corretta attuazione della direttiva 2012/19/UE - Caso EU-Pilot 8718/16/ENVI) 80

§  Articolo 20 (Disposizioni relative allo smaltimento degli sfalci e delle potature - Caso EU-Pilot 9180/17/ENVI) 86

§  Articolo 21 (Abrogazione delle disposizioni recanti estensione del periodo di incentivazione per gli impianti a biomasse, biogas e bioliquidi) 95

§  Articolo 22 (Clausola di invarianza finanziaria) 98

 

 


SIWEB

Schede di lettura

 


Introduzione

Il disegno di legge A.C. 1432, recante "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2018", è stato trasmesso dal Senato della Repubblica il 10 dicembre 2018 dopo l'avvenuta approvazione, con modificazioni rispetto al testo del Governo.

L'A.S. 822 era stato presentato in Senato il 26 settembre 2018 in base alle disposizioni di cui alla legge 24 dicembre 2012, n. 234, sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea. Il testo è stato trasmesso privo del parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano, avvalendosi della procedura di urgenza prevista dall'articolo 2, comma 5, del decreto legislativo n. 281 del 28 agosto 1997.

La Commissione politiche dell’Unione europea – iniziato l’esame il 9 gennaio 2019 – lo ha concluso il 21 febbraio 2019, apportandovi modifiche (A.C. 1432-A).

 

Il decreto legislativo n. 281 del 28 agosto 1997 reca: "Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali". Nel regolare i compiti della Conferenza Stato-regioni, l'articolo 2, comma 5, prevede la possibilità, per "ragioni di urgenza" dichiarate dal Presidente del Consiglio dei ministri, di consultare la Conferenza non preventivamente ma successivamente. Tale possibilità si applica sia in caso di esame parlamentare dei disegni di legge o delle leggi di conversione dei decreti-legge sia per l'esame definitivo degli schemi di decreto legislativo sottoposti al parere delle Commissioni parlamentari. In ogni caso, il Governo è tenuto a tenere conto dei pareri una volta espressi.

Si ricorda che la Consulta, nella sentenza n. 408 del 14 dicembre 1998, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sull'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 281 del 1997 avanzate dalla regione Puglia.

Successivamente, in data 4 ottobre 2018, la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano ha adottato un parere favorevole (repertorio atti n. 184/CSR), nel quale comunque le regioni si sono riservate di formulare alcune osservazioni, in merito ai recepimenti in materia ambientale, in sede parlamentare.


 

 

 

La legge europea

 

La legge europea è - assieme alla legge di delegazione europea - uno dei due strumenti predisposti dalla legge n. 234 del 2012 al fine di adeguare periodicamente l'ordinamento nazionale a quello dell'Unione europea[1].

L'articolo 29, comma 5, della legge vincola il Governo alla presentazione alle Camere, su base annuale, di un disegno di legge dal titolo "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea", completato dall'indicazione "Legge europea" seguita dall'anno di riferimento.

Non è stabilito un termine preciso per la presentazione del disegno di legge europea. Al contrario l'articolo 29, comma 4, prevede che il disegno di legge di delegazione europea sia presentato entro il 28 febbraio di ogni anno.

L'articolo 30, comma 3, dettaglia come segue il contenuto della legge europea:

a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea;

b) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure d'infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea;

c) disposizioni necessarie per dare attuazione a, o per assicurare l'applicazione di, atti dell'Unione europea;

d) disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea;

e) disposizioni emanate nell'esercizio del potere sostitutivo esercitabile ex articolo 117, comma 5, della Costituzione per l'attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea al livello regionale e delle province autonome di Trento e Bolzano in caso di inadempienza degli enti competenti. Peraltro l'articolo 41 detta principi e limiti cui è sottoposto tale potere sostitutivo.

Vengono, dunque, inserite nel disegno di legge europea, in linea generale, norme volte a prevenire l'apertura, o a consentire la chiusura, di procedure di infrazione, nonché, in base ad una interpretazione estensiva del disposto legislativo, anche norme volte a permettere l'archiviazione dei casi di pre-contenzioso EU Pilot (su cui infra).

La legge di delegazione europea contiene invece disposizioni per il conferimento al Governo di deleghe legislative per il recepimento o attuazione degli atti dell'Unione europea che richiedono trasposizione negli ordinamenti nazionali (articolo 30, comma 2).

Sugli schemi di disegno di legge europea e di delegazione europea è previsto, ai sensi dell'articolo 29, comma 6, il parere della Conferenza Stato-regioni. La presentazione alle Camere ha luogo comunque ove il parere medesimo non sia adottato entro venti giorni dalla richiesta. E' comunque possibile - come accaduto per il disegno di legge in titolo - che il Governo ricorra alla procedura di urgenza prevista dall'articolo 2, comma 5, del decreto legislativo n. 281 del 28 agosto 1997 e che quindi il parere sia reso non anticipatamente ma successivamente. In questo caso, il Governo è tenuto a tenere conto dei pareri una volta espressi.

Da ultimo, si evidenzia che la legge europea e la legge di delegazione europea non sono gli unici strumenti per assicurare l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza all'UE. L'articolo 37 della legge n. 234 del 2012 specifica, infatti, che "il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per gli affari europei può proporre al Consiglio dei ministri l'adozione dei provvedimenti, anche urgenti, diversi dalla legge di delegazione europea e dalla legge europea, necessari a fronte di atti normativi dell'Unione europea o di sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea ovvero dell'avvio di procedure di infrazione nei confronti dell'Italia che comportano obblighi statali di adeguamento, qualora il termine per provvedervi risulti anteriore alla data presunta di entrata in vigore della legge di delegazione europea o della legge europea relativa all'anno di riferimento". Qualora si rilevi necessario ricorrere a tali ulteriori provvedimenti, "il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro per i rapporti con il Parlamento assume le iniziative necessarie per favorire un tempestivo esame parlamentare" (art. 37, comma 2). Infine, l'articolo 38 della legge n. 234 del 2012, rubricato “Attuazione di singoli atti normativi dell'Unione europea”, prevede che "in casi di particolare importanza politica, economica e sociale, tenuto conto anche di eventuali atti parlamentari di indirizzo, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere un apposito disegno di legge recante le disposizioni occorrenti per dare attuazione o assicurare l'applicazione di un atto normativo emanato dagli organi dell'Unione europea riguardante le materie di competenza legislativa statale".

 

L’articolato del disegno di legge europea 2018, quale approvato dapprima dal Senato e poi modificato dalla Commissione in sede referente, contiene 22 articoli (suddivisi in 8 capi) che modificano o integrano disposizioni vigenti dell’ordinamento nazionale per adeguarne i contenuti al diritto europeo e per far fronte a procedure di infrazione. Si compone di disposizioni aventi natura eterogenea che intervengono nei seguenti settori:

·        libera circolazione di persone, servizi e merci (capo I, articoli 1-7);

·        giustizia e sicurezza (capo II, articolo 8);

·        trasporti (capo III, articoli 9 e 10);

·        fiscalità, dogane e aiuti di Stato (capo IV, articoli 11-14);

·        diritto d'autore (capo V, articolo 15);

·        tutela della salute umana (capo VI, articoli 16 e 17);

·        ambientale (capo VII, articoli 18-21).

 

Completa il disegno di legge l'articolo 22, che contiene la clausola di invarianza finanziaria.

 

 


Schede di lettura

 


Articolo 1
(Disposizioni in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali - Procedura di infrazione 2018/2175)

 

 

L’articolo, che consiste in un unico comma, reca modifiche alla disciplina in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali, di cui al decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206. Una parte di tali interventi è intesa a definire questioni oggetto della procedura europea di infrazione 2018/2175.

La novella di cui alla lettera a) concerne la nozione di cittadino dell'Unione europea "legalmente stabilito", posta dalla disciplina di cui all’articolo 4, comma 1, lett. n-septies), del decreto legislativo n. 206. Rispetto alla formulazione attualmente vigente, si sopprime il riferimento allo “Stato membro di residenza” in quanto, osserva la relazione illustrativa governativa, non contemplato nelle direttive europee che il D.lgs recepisce (circostanza che, peraltro, ha comportato problemi applicativi). Tale riferimento viene, pertanto, sostituito con il riferimento corretto allo “Stato membro”.

La successiva lettera b), modifica le norme di individuazione delle pubbliche amministrazioni competenti ad esaminare le richieste di riconoscimento di una qualifica professionale di cui all’articolo 5 del D.lgs sopra richiamato. Tali novelle - oltre a recare una precisazione esclusivamente formale in materia di insegnanti di autoscuole - aggiornano, sotto il profilo terminologico, il riferimento all'Ufficio per lo sport (che con D.P.C.M. del 7 giugno 2016 è divenuto un Ufficio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri al posto del Dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport) e specificano che, dalle competenze del medesimo Ufficio è escluso il riconoscimento delle guide alpine e di tutti i profili professionali di cui alla L. 2 gennaio 1989, n. 6 (aspiranti guide, guide alpine-maestri di alpinismo, accompagnatori di media montagna, guide vulcanologiche).

La lettera c) concerne un profilo della procedura di rilascio della tessera professionale europea (istituto previsto per le professioni di infermiere responsabile dell'assistenza generale, farmacista, fisioterapista, guida alpina, agente immobiliare). In base alla norma interna vigente, l'autorità competente deve segnalare al richiedente gli eventuali documenti mancanti e rilasciare ogni certificato che sia già in proprio possesso e che sia richiesto dalla disciplina in oggetto. La novella - come richiesto dalla Commissione europea nell'àmbito della citata procedura d'infrazione 2018/2175, sulla base dell'articolo 4-ter della direttiva 2005/36/CE[2] - riformula quest'ultimo profilo, prevedendo che l'autorità competente rilasci ogni certificato di supporto richiesto dalla medesima disciplina (a prescindere dalla circostanza che il certificato sia in possesso o meno della medesima autorità).

Anche la novella di cui alla lettera d) riguarda le disposizioni del D.lgs, in particolare l’articolo 5-quinquies, relative alla tessera professionale europea.

In particolare, al numero 1) stabilisce che il termine di un mese, previsto per lo svolgimento della verifica - da parte dell'autorità competente - dell'autenticità e della validità dei documenti giustificativi, presentati ai fini del rilascio della tessera professionale europea, decorra, anziché dal ricevimento della domanda, dalla scadenza del precedente termine (posto per i primi adempimenti dell'autorità) di una settimana dal ricevimento della domanda. Tale riformulazione (conforme alla corrispondente disposizione dell'articolo 4-quinquies della direttiva 2005/36/CE) rientra tra quelle richieste dalla Commissione europea nell'àmbito della citata procedura d'infrazione 2018/2175.

Al numero 2), si prevede la possibilità di una ulteriore proroga di due settimane - da parte dell'autorità competente - del termine entro cui la medesima deve adottare la decisione finale sulla domanda di rilascio della tessera professionale europea. La norma interna vigente ammette tale possibilità per una volta sola e unicamente quando è strettamente necessaria, in particolare per ragioni attinenti alla salute pubblica o alla sicurezza dei destinatari del servizio. La novella consente, invece, due proroghe (ciascuna di due settimane), mantenendo per la prima esclusivamente l'obbligo generale di motivazione e limitando, quindi, alla seconda il riferimento alle ragioni specifiche summenzionate. La relazione illustrativa governativa osserva che questa riformulazione, pur non essendo sollecitata nella procedura d'infrazione 2018/2175, appare necessaria al fine di adeguare la norma alla corrispondente disposizione dell'articolo 4-quinquies della direttiva 2005/36/CE.

La novella di cui alla lettera e), aggiungendo un comma 5-bis all’articolo 6 del D.lgs, specifica che le autorità interne competenti devono prestare piena collaborazione con i centri di assistenza degli Stati membri ospitanti - centri che forniscono l'assistenza necessaria in favore dei cittadini europei che intendano ottenere il riconoscimento di una qualifica professionale nel medesimo Stato ospitante - e, se richiesto, devono trasmettere ai medesimi centri tutte le informazioni pertinenti ai singoli casi, fatte salve le disposizioni in materia di protezione dei dati personali. La relazione illustrativa governativa osserva che la norma introdotta dalla presente novella rientra tra quelle richieste dalla procedura d'infrazione 2018/2175 ed è contemplata dall'articolo 57-ter della direttiva 2005/36/CE.

La lettera f), modificata nel corso dell’esame in Commissione per le Politiche dell’Unione Europea, con la novella di cui ai numeri 1) e 2) disciplina le misure compensative di cui ai commi 4 e 4-bis del decreto legislativo n. 206, cioè le misure che possono essere prescritte, ai fini del riconoscimento della qualifica professionale, dell’Autorità competente dello Stato membro ospitante, in caso di discordanza tra la formazione seguita dal professionista e quella richiesta nel medesimo Stato ospitante.

In particolare, la nuova formulazione del comma 4, accorpando i vigenti commi 4 e 4-bis (quest’ultimo risulta così assorbito e abrogato), riordina la materia delle deroghe al principio sancito dal comma 1 (il quale – come regola generale - lascia al richiedente la facoltà di scelta - quale misura compensativa ai fini del riconoscimento della qualifica professionale - tra l’effettuare un tirocinio di adattamento non superiore a tre anni oppure sostenere una prova attitudinale). Si confermano, in tal senso, le ipotesi già previste dalla disciplina vigente che assegna alle Autorità competenti, elencate dal precedente articolo 5, il riconoscimento di cui sopra, richiedendo la prova attitudinale o un tirocinio di adattamento.

La novella di cui al numero 3) - nel testo modificato dal Senato - reca un intervento di mero coordinamento (in relazione alla novella di cui ai numeri 1) e 4)).

La lettera g) integra le norme speciali sul riconoscimento automatico di alcune qualifiche professionali, in relazione a corsi di formazione iniziati prima di una certa data e a séguito dei quali l'attività in questione sia stata esercitata, nel territorio dello Stato membro (in cui è stato svolto il corso), per almeno tre anni consecutivi nei cinque anni precedenti il rilascio del certificato da parte del medesimo Stato. L'integrazione consiste nel riferimento alla Croazia per i corsi iniziati anteriormente all'8 ottobre 1991, con riguardo alle professioni di medico chirurgo, infermiere, odontoiatra, veterinario, ostetrica, farmacista, architetto - e con esclusione, per quanto riguarda i corsi di ostetricia, di quelli individuati nella novella di cui alla successiva lettera h) -. L'integrazione e l'esclusione - osserva la relazione illustrativa governativa - corrispondono alle modifiche operate nella direttiva 2005/36/CE da parte dell'allegato III dell'atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica di Croazia e agli adattamenti del trattato sull'Unione europea, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea e del trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica, allegato al Trattato del 9 dicembre 2011.


 

Articolo 2
(Disposizioni in materia di professione di agente d’affari in mediazione -  Procedura di infrazione n. 2018/2175)

 

 

L'articolo 2 - modificato nel corso dell'esame in Senato - limita l'incompatibilità dell’attività di mediazione alle seguenti ipotesi:

a)      attività imprenditoriali di produzione, vendita, rappresentanza o promozione dei beni[3] afferenti al medesimo settore merceologico per il quale si esercita l’attività di mediazione;

b)     attività svolta in qualità di dipendente (ad esclusione delle imprese di mediazione) di:

1.      ente pubblico o privato,

2.      istituto bancario, finanziario o assicurativo;

 

c)      esercizio di professioni intellettuali afferenti al medesimo settore merceologico per cui si esercita l'attività di mediazione;

d)     situazioni di conflitto di interessi (le ulteriori ipotesi di incompatibilità - in aggiunta alla lett. a), sono state introdotte con l'approvazione dell'emendamento in questione).

 

A tal fine viene novellato il co. 3 dell’art. 5, L. 39/1989.

 

Il vigente comma 3 stabilisce che l'esercizio dell'attività di mediazione è incompatibile:

a) con l'attività svolta in qualità di dipendente da persone, società o enti, privati e pubblici, ad esclusione delle imprese di mediazione;

b) con l'esercizio di attività imprenditoriali e professionali, escluse quelle di mediazione comunque esercitate.

 

Procedure di contenzioso

 

L'articolo 59, paragrafo 3, della direttiva 2005/36/CE (modificata dalla direttiva 2013/55/UE) prevede l'obbligo per gli Stati membri di valutare se i requisiti stabiliti nel loro ordinamento giuridico per limitare l'accesso a una professione o il suo esercizio ai possessori di una specifica qualifica professionale siano compatibili con i principi fissati dal medesimo articolo. In particolare, i requisiti che limitano l'accesso a una professione o il suo esercizio devono essere non discriminatori, giustificati e proporzionati. Inoltre, l'articolo 49 TFUE vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento[4] dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Tale divieto si estende alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.

Nell'ambito della procedura di infrazione 2018/2175, la Commissione europea ha rilevato che l'art. 5, co. 3, della L. 39/1989, limiterebbe fortemente le attività che un agente immobiliare può svolgere, osservando che l'articolo 59, paragrafo 3, della direttiva 2005/36/CE e l'articolo 49 TFUE prevedono che qualsiasi restrizione dell'accesso a una professione o, più in generale, a un'attività di prestazione di servizi rispetti in particolare il principio di proporzionalità: tali restrizioni, per essere giustificate, devono quindi essere proporzionate, adatte alle rispettive professioni e dettate da un motivo imperativo di interesse generale.

In secondo luogo, l'articolo 25, paragrafo 1, della direttiva 2006/123/CE consente agli Stati membri di limitare l'esercizio di attività multidisciplinari nelle professioni regolamentate, ma solo nella misura in cui ciò sia giustificato per garantire il rispetto di norme di deontologia diverse in ragione della specificità di ciascuna professione, di cui è necessario garantire l'indipendenza e l'imparzialità. Tali restrizioni, per essere giustificate, devono essere proporzionate, adatte alle rispettive professioni e necessarie per garantire l'imparzialità e l'indipendenza dei singoli professionisti.

L'art. 5, co. 3, della L. 39/1989, rappresenterebbe dunque, a giudizio della Commissione, ben più di un divieto di conflitto di interessi e sembrerebbe impedire agli agenti immobiliari di esercitare qualunque altra attività diversa dall'intermediazione immobiliare. Tale divieto ostacolerebbe la possibilità di sviluppare modelli commerciali innovativi e flessibili e limiterebbe la capacità degli agenti immobiliari di offrire servizi adattati alle necessità dei loro clienti. Sulla base delle informazioni fornite dalle autorità italiane, la regolamentazione della professione di agente immobiliare in Italia ha per obiettivo la protezione dei consumatori e dei destinatari di servizi, il che rappresenta un motivo imperativo legittimo legato all'interesse pubblico, riconosciuto come tale dalla giurisprudenza consolidata della CGUE e dall'articolo 4, paragrafo 8, della direttiva 2006/123/CE. Tuttavia, secondo la Commissione, rimarrebbe da chiarire come tale interessi generali siano direttamente collegati agli specifici obiettivi di garanzia dell'indipendenza e dell'imparzialità che, conformemente all'articolo 25, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/123/CE, possono giustificare tale restrizione. Anche qualora tali interessi generali sostengano pienamente le norme deontologiche della professione in questione e mirino a garantire l'indipendenza e l'imparzialità della stessa, rimarrebbe tuttavia da chiarire come una regola di incompatibilità così severa come quella in questione possa essere considerata necessaria per il raggiungimento di tali obiettivi. Non emergerebbe con chiarezza come l'esercizio di qualunque altra attività senza alcuna  distinzione possa incidere negativamente sul rendimento professionale degli agenti  immobiliari e per quale motivo, per proteggere i consumatori, non siano sufficienti soluzioni meno restrittive, ad esempio norme generiche sul conflitto di interessi o criteri di incompatibilità specifici per quelle attività per le quali sia possibile dimostrare l'esistenza di un rischio connesso agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti.


 

Articolo 3
(Disposizioni relative agli ex lettori di lingua straniera-Caso EU Pilot 2079/11/EMPL)

 

 

L’articolo 3, introdotto durante l’esame in sede referente alla Camera, differisce (dal 31 dicembre 2018) al 31 ottobre 2019 il termine previsto per il perfezionamento, da parte delle università statali, dei contratti integrativi di sede volti a superare il contenzioso in atto, nonché a prevenire l’instaurazione di nuovo contenzioso nei confronti delle medesime università da parte degli ex lettori di lingua straniera.

Il differimento è presumibilmente collegato al mancato intervento del decreto interministeriale che deve definire lo schema-tipo in base al quale le università perfezionano i contratti integrativi di sede.

 

A tal fine, novella ulteriormente l’art. 11, co. 2, secondo periodo, della L. 20 novembre 2017, n. 167 (legge europea 2017), sul quale era già intervenuto l’art. 1, co. 1144, della L. 205/2017 (L. di bilancio 2018).

 

L’art. 11 della L. 167/2017 ha stanziato risorse per consentire il superamento del contenzioso relativo alla ricostruzione di carriera degli ex lettori di lingua straniera assunti nelle università statali prima dell’entrata in vigore del D.L. 120/1995 (L. 236/1995), con il quale è stata introdotta nell’ordinamento nazionale la nuova figura del “collaboratore esperto linguistico”.

Secondo la relazione illustrativa del disegno di legge europea 2017, la disposizione intendeva risolvere il caso EU Pilot 2079/11/EMPL (richiamato anche nella rubrica dell’articolo), nell’ambito del quale la Commissione europea ha chiesto chiarimenti all’Italia circa la compatibilità dell'art. 26, co. 3, ultimo capoverso, della legge c.d. Gelmini (n. 240 del 2010) – che ha stabilito l'automatica estinzione dei giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore, relativi al trattamento economico degli ex lettori – con l'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che tutela il diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale[5].

Nello specifico, l’art. 11 ha previsto che, a decorrere dal 2017, il Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO) è incrementato di € 8.705.000[6] destinati, a titolo di cofinanziamento, alla copertura degli oneri derivanti dai contratti integrativi di sede di cui si è detto. Le risorse sono destinate esclusivamente alle università che perfezionano i medesimi contratti – definiti, a livello di singolo ateneo, secondo uno schema-tipo da emanare con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, che doveva essere emanato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, ma che non è ancora intervenuto – entro il termine, in origine, del 31 dicembre 2017, poi del 31 dicembre 2018 e, ora, in base al nuovo differimento, del 31 ottobre 2019.

 

 

 

L’art. 28 del DPR 382/1980 aveva previsto la possibilità per le università di assumere – con contratto di diritto privato di durata massima pari ad un anno accademico, rinnovabile per un massimo di cinque anni consecutivi –, in relazione ad effettive esigenze di esercitazioni degli studenti di corsi di lingua, e anche al di fuori di specifici accordi internazionali, lettori di madre lingua straniera di qualificata e riconosciuta competenza, accertata dalla facoltà interessata, in numero non superiore al rapporto di uno a centocinquanta tra il lettore e gli studenti effettivamente frequentanti il corso. I relativi oneri erano coperti con finanziamenti a tale scopo predisposti per ciascuna università con decreto del Ministro della pubblica istruzione, sentito il CUN.

Tale disciplina è stata censurata dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 55 del 23 febbraio 1989, nella parte in cui non consentiva il rinnovo annuale per più di cinque anni dei suddetti contratti.

Ulteriori censure, sotto diversi profili, sono derivate dalle sentenze della Corte di Giustizia europea del 30 maggio 1989 (causa 33/88) e del 2 agosto 1993 (cause riunite C-259/91, C-331/91 e C-332/91), nonché dalla procedura di infrazione n. 92/4660.

E’ stato conseguentemente approvato il D.L. 120/1995 (L. 236/1995), il cui art. 4 ha dettato una nuova disciplina, abrogando contestualmente l’art. 28 del DPR 382/1980.

Nello specifico, la nuova disciplina – rimettendo, tra l’altro, gli oneri a carico dei bilanci dei singoli atenei, anche a seguito dell’intervenuta autonomia finanziaria degli stessi (art. 5, L. 537/1993) – ha previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 1994, le università possono assumere, compatibilmente con le risorse disponibili nei propri bilanci, per esigenze di apprendimento delle lingue e di supporto alle attività didattiche, anche mediante apposite strutture d'ateneo, istituite secondo i propri ordinamenti, collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre (CEL) – in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere e di idonea qualificazione e competenza – con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo indeterminato ovvero, per esigenze temporanee, a tempo determinato. L'assunzione avviene per selezione pubblica, le cui modalità sono disciplinate dalle università, secondo i rispettivi ordinamenti.

Sempre in base all’art. 4 citato, le università avevano l'obbligo di assumere prioritariamente i titolari dei contratti di cui all'art. 28 del DPR 382/1980, in servizio nell'a.a. 1993-1994, nonché quelli cessati dal servizio per scadenza del termine dell'incarico, salvo che la mancata rinnovazione fosse dipesa da inidoneità o da soppressione del posto. Il personale così assunto conservava i diritti acquisiti in relazione ai precedenti rapporti.

Con sentenza del 26 giugno 2001 (causa C-212/99), la Corte di giustizia europea ha però stabilito che l’Italia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 39 del Trattato CE “con riferimento alla prassi amministrativa e contrattuale posta in essere da alcune università pubbliche [Università degli studi della Basilicata, di Milano, Palermo, Pisa, La Sapienza di Roma e L'Orientale di Napoli], prassi che si traduce nel mancato riconoscimento dei diritti quesiti degli ex lettori di lingua straniera, riconoscimento invece garantito alla generalità dei lavoratori nazionali”, in quanto “ai collaboratori linguistici non è stata riconosciuta, in termini di trattamento economico e previdenziale, l'anzianità di servizio che avevano acquisito come lettori di lingua straniera prima dell'entrata in vigore della L. 236/1995”[7]. Ne è derivata la condanna alle spese.

In seguito a tale condanna, la Commissione europea ha chiesto all’Italia di dare adempimento alla sentenza sopra citata, e da ultimo, con parere motivato del 30 aprile 2003, le ha concesso un termine di 2 mesi dalla notifica dello stesso, per adottare gli strumenti necessari.

 

L’intervento normativo in esecuzione della sentenza è stato effettuato nel 2004. In particolare, l’art. 1, co. 1, del D.L. 2/2004 (L. 63/2004) ha attribuito ai collaboratori esperti linguistici presso le sei università sopra indicate, già destinatari di contratti stipulati ai sensi dell'art. 28 del DPR 382/1980, un trattamento economico, proporzionale all'impegno orario assolto - tenendo conto che l'impegno pieno corrisponde a 500 ore -, corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli. La richiamata equiparazione è stata disposta ai soli fini economici, con esclusione dell’esercizio da parte dei collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, di qualsiasi funzione docente.

 

Il 4 marzo 2004 la Commissione europea ha presentato ricorso alla Corte di giustizia europea chiedendo l’accertamento del persistente inadempimento dell’Italia nei confronti della sentenza 26 giugno 2001 e il pagamento di una penale giornaliera.

La Corte di giustizia europea, con sentenza 18 luglio 2006 (causa C-119/04), ha accertato l'inadempimento dei suddetti obblighi – con riferimento alla situazione esistente prima dell'entrata in vigore del D.L. 2/2004 – per la mancata attuazione da parte dell'Italia dei provvedimenti richiesti dalla esecuzione della pronuncia del 26 giugno 2001, nel termine di due mesi assegnato dal parere motivato della Commissione del 30 aprile 2003. Ha, peraltro, escluso la permanenza del suddetto inadempimento, alla data dell'esame dei fatti, nel quadro normativo stabilito dal D.L. 2/2004.

 

Nel frattempo, la Corte di cassazione-sezione Lavoro, con le sentenze 21856/2004 e 5909/2005, ha esteso l’ambito di applicazione del D.L. 2/2004, in particolare affermando che: “la delimitazione del campo di applicazione di tale nuova normativa alle università specificatamente indicate non può interferire sul valore di ulteriore fonte di diritto comunitario che deve essere attribuito alle sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità europee, ed in particolare alla citata sentenza del 26 giugno 2001, che la normativa stessa intende eseguire. Pertanto, il trattamento spettante secondo questa disciplina deve essere riconosciuto a tutti gli appartenenti alla categoria dei collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera ancorché dipendenti da università diverse da quelle contemplate” (Cass. n. 5909/2005)[8].

 

Da ultimo, l’art. 26, co. 3, della L. 240/2010 ha disposto che l’art. 1, co. 1, del D.L. 2/2004 si interpreta nel senso che ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università interessate quali lettori di madrelingua straniera, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all'impegno orario effettivamente assolto, deve essere attribuito con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell'art. 28 del DPR 382/1980, sino alla data di instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell'art. 4 del D.L. 120/1995.

Inoltre, ha disposto che, a decorrere da quest'ultima data, a tutela dei diritti maturati nel rapporto di lavoro precedente, i collaboratori esperti linguistici hanno diritto a conservare, quale trattamento retributivo individuale, l'importo corrispondente alla differenza tra l'ultima retribuzione percepita come lettori di madrelingua straniera, computata secondo i criteri dettati dal D.L. 2/2004, e, ove inferiore, la retribuzione complessiva loro spettante secondo le previsioni della contrattazione collettiva di comparto e decentrata applicabile a norma del D.L. 120/1995. Ha, infine, previsto l’estinzione dei giudizi in materia, in corso alla data di entrata in vigore della legge[9] [10].

 

Al riguardo, l’analisi tecnico-normativa al disegno di legge europea 2017 faceva presente che, a fronte di quanto previsto dall’art. 26, co. 3, della L. 240/2010, molti ex lettori avevano avviato un contenzioso nei confronti degli atenei dai quali dipendevano, reclamando il diritto a conservare una retribuzione e una progressione economica corrispondente a quelle dei ricercatori confermati anche per i periodi successivi al 1994 (anno di instaurazione del nuovo rapporto di lavoro quali collaboratori esperti linguistici).

Sempre l’analisi tecnico-normativa evidenziava che il contenzioso, in alcuni casi, si era risolto con pronunce sfavorevoli per le università (Cassazione, sezione lavoro: 28 settembre 2016, n. 19190; 15 ottobre 2014, n. 21831; 5 luglio 2011, n. 14705).

Al riguardo, nella risposta del 16 dicembre 2014 all'interrogazione discussa nella 7^ Commissione del Senato n. 3-00189, il rappresentante del Governo aveva rimarcato che “il contenzioso è particolarmente delicato per quelle università (tra le quali l’università di Catania) che hanno, in un primo momento, riconosciuto ai lettori lo stipendio del ricercatore universitario anche dopo la trasformazione del rapporto di lavoro in CEL e poi, con l’entrata in vigore della legge n. 240 del 2010, hanno modificato tale trattamento economico procedendo al recupero delle somme già percepite dagli interessati”.

 

 


 

Articolo 4
(Criteri di rilascio delle concessioni relative alle rivendite di
tabacchi - Caso EU-Pilot 8002/15/GROW)

 

 

L’art. 4 modifica i requisiti in base ai quali si procede all'istituzione di rivendite ordinarie e speciali di generi di monopolio, nonché al rilascio ed al rinnovo del patentino, novellando, l'art. 24, co. 42, del D.L. 98/2011 (L. 111/2011).

In particolare, il comma 1 (come modificato nel corso dell'esame in Senato):

-          per quanto riguarda l'istituzione e i trasferimenti di rivendite ordinarie, introduce - in luogo della "produttività minima" - i requisiti della distanza non inferiore a 200 metri e della popolazione nel rispetto del rapporto di una rivendita ogni 1500 abitanti ed elimina, di conseguenza, la previsione relativa all'introduzione di un meccanismo di aggiornamento dei parametri di produttività minima;

-          per quanto riguarda l'istituzione di rivendite speciali, introduce gli ulteriori requisiti, identici a quelli stabiliti per l'istituzione di rivendite ordinarie, della distanza non inferiore a 200 metri e della popolazione nel rispetto del rapporto di una rivendita ogni 1500 abitanti, espungendo il riferimento a "parametri certi, predeterminati ed uniformemente applicabili sul territorio nazionale, volti ad individuare e qualificare la potenzialità della domanda di tabacchi riferibile al luogo proposto". L'oggettiva ed effettiva esigenza di servizio (che giustifica l'istituzione di rivendite speciali) continua a essere valutata in ragione dell'effettiva ubicazione degli altri punti vendita già esistenti nella medesima zona di riferimento;

-          sopprime il richiamo al criterio della "produttività minima" per il rinnovo dei patentini; per poter valutare la complementarità e non sovrapponibilità degli stessi rispetto alle rivendite, permane il richiamo al criterio della distanza tanto per il rilascio quanto, per effetto della novella, per i rinnovi.

 

Resta invece fermo il principio generale di cui alla lettera a) del co. 42, per cui occorre contemperare, nel rispetto della tutela della concorrenza, l'esigenza di garantire all'utenza una rete di vendita capillarmente dislocata sul territorio, con l'interesse pubblico primario della tutela della salute consistente nel prevenire e controllare ogni ipotesi di offerta di tabacco al pubblico non giustificata dall'effettiva domanda di tabacchi.

 

Il comma 2 - come modificato nel corso dell'esame in Senato - prevede l'adozione - entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge - di un regolamento di attuazione da parte del Ministro dell'economia e delle finanze; un'ulteriore disposizione - introdotta nel corso dell'esame in sede referente - reca la quantificazione e la copertura degli oneri derivanti dalle previsioni di cui al comma 1.

 

Il comma 3 fa in ogni caso salvi gli effetti dell’art. 24, co. 42, del D.L. 98/2011 e del DM 21 febbraio 2013, n. 38.

 

Il comma 42 in questione ha stabilito che con regolamento del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro il 31 marzo 2013, fossero dettate disposizioni concernenti le modalità necessarie per l'istituzione di rivendite ordinarie e speciali di genere di monopolio e per il rilascio ed il rinnovo del patentino.

I principi cui tali disposizioni avrebbero dovuto attenersi erano:

a) ottimizzazione e razionalizzazione della rete di vendita, anche attraverso l'individuazione di criteri volti a disciplinare l'ubicazione dei punti vendita, al fine di contemperare, nel rispetto della tutela della concorrenza, l'esigenza di garantire all'utenza una rete di vendita capillarmente dislocata sul territorio, con l'interesse pubblico primario della tutela della salute consistente nel prevenire e controllare ogni ipotesi di offerta di tabacco al pubblico non giustificata dall'effettiva domanda di tabacchi;

b) istituzione di rivendite ordinarie solo in presenza di determinati requisiti di distanza e produttività minima;

c) introduzione di un meccanismo di aggiornamento dei parametri di produttività minima rapportato alle variazioni annuali del prezzo medio al consumo dei tabacchi lavorati intervenute dall'anno 2001;

d) trasferimenti di rivendite ordinarie solo in presenza dei medesimi requisiti di distanza e, ove applicabili, anche di produttività minima;

e) istituzione di rivendite speciali solo ove si riscontri un'oggettiva ed effettiva esigenza di servizio, da valutarsi in ragione dell'effettiva ubicazione degli altri punti vendita già esistenti nella medesima zona di riferimento, nonché in virtù di parametri certi, predeterminati ed uniformemente applicabili sul territorio nazionale, volti ad individuare e qualificare la potenzialità della domanda di tabacchi riferibile al luogo proposto;

f) rilascio e rinnovi di patentini da valutarsi in relazione alla natura complementare e non sovrapponibile degli stessi rispetto alle rivendite di generi di monopolio, anche attraverso l'individuazione e l'applicazione, rispettivamente, del criterio della distanza nell'ipotesi di rilascio, e del criterio della produttività minima per il rinnovo.

 

In attuazione del citato comma 42 è stato quindi adottato il DM n. 38 del 21 febbraio 2013.

In base all'art. 2, co. 5, del DM citato, non è consentita l'istituzione di nuove rivendite ordinarie quando la quarta parte della somma degli aggi realizzati dalla vendita di tabacchi dalle tre rivendite più vicine a quella da istituire ed ognuna delle quali poste a una distanza inferiore ai 600 metri rispetto alla sede proposta per l'istituzione della nuova rivendita, non è pari o superiore a:

a) da euro 19.965 a euro 20.139, per i comuni con popolazione fino a 30.000 abitanti;

b) da euro 31.990 a euro 32.268, per i comuni con popolazione da 30.001 a 100.000 abitanti;

c) da euro 39.825 a euro 40.171, per i comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti. 

Tali importi, sulla base di quanto previsto dal successivo co. 9[11], derivano da ultimo dall'adeguamento disposto, per il biennio 2017-2018, dalla Determinazione 17 marzo 2017; in precedenza, essi erano stati prima rideterminati, per il biennio 2013-2014, dal D.D. 19 giugno 2013, e quindi confermati, per il biennio 2015-2016, dal D.D. 15 gennaio 2015.

 

Le rivendite speciali possono essere istituite per soddisfare particolari esigenze del pubblico servizio anche di carattere temporaneo quando, a giudizio dell'amministrazione, mancano le condizioni per procedere alla istituzione di una rivendita ordinaria, ovvero al rilascio di un patentino (art. 22, L. 1293/1957), in base ai seguenti criteri:

a) ubicazione degli altri punti vendita già esistenti nella medesima zona di riferimento;

b) possibile sovrapposizione della rivendita da istituire rispetto agli altri punti vendita già esistenti nella medesima zona di riferimento;

c) significativo pregiudizio economico che dalla nuova rivendita deriverebbe per quelle già esistenti nella medesima zona di riferimento.  

 

In base all'art. 9, co. 3, il rinnovo del patentino è concesso a condizione che il soggetto titolare abbia effettuato un prelievo di generi di monopolio per un valore complessivo medio annuo pari o superiore a:

- euro 1.000 per i comuni ovvero frazioni di comuni con popolazione fino a 2.000 abitanti, nonché per i comuni montani e quelli delle isole minori;

- euro 24.000 per i comuni con popolazione compresa tra 2.001 e 10.000 abitanti;

- euro 30.000 per i comuni con popolazione compresa tra 10.001 e 30.000 abitanti;

- euro 48.000 per i comuni con popolazione compresa tra 30.001 e 100.000 abitanti;

- euro 57.000 per i comuni con popolazione compresa tra 100.001 e 1.000.000 di abitanti;

- euro 75.000 per i comuni aventi oltre 1.000.000 di abitanti.

 

In base al co. 4, qualora l'ammontare del prelievo di generi di monopolio sia inferiore ai predetti valori per non oltre il venti per cento degli stessi, l'Ufficio competente può autorizzare, una sola volta, il rinnovo qualora il patentino assolva a particolari esigenze di servizio giustificate dalla particolare ubicazione dell'esercizio ovvero dalla peculiare tipologia di clientela. Il provvedimento di rinnovo deve indicare espressamente gli elementi e le notizie che dimostrano la sussistenza delle particolari esigenze di servizio.

 

Nella relazione illustrativa, si sottolinea che la disposizione in esame è finalizzata alla chiusura del Caso EU-Pilot 8002/15/GROW, nell’ambito del quale la Commissione europea ha contestato il fatto che l’adozione, mediante l’art. 24, co. 42, del D.L. 98/2011, di un criterio che consenta l’apertura di nuovi tabaccai solo quando la produttività dei tabaccai già esistenti abbia superato una certa soglia minima, contrasta con l’articolo 15 della direttiva 2006/123/CE.

Al fine di rendere conforme la normativa nazionale con la citata direttiva, l’articolo in esame sostituisce il parametro della “produttività minima” con quello della “popolazione” sulla cui base i competenti uffici dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli valuteranno la sussistenza di un’esigenza di servizio per l’istituzione di un punto vendita di tabacchi (rivendita ordinaria o speciale e patentini). Il parametro della popolazione di una determinata zona, oltre ad essere conforme alle previsioni di cui all’articolo 15 della citata direttiva, assicura una maggiore neutralità rispetto a quello della produttività della rivendita, la quale è determinata, oltre che dai volumi, anche dai prezzi di tariffa stabiliti dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli in conformità a quelli indicati dai produttori e fornitori.

 

Al riguardo si ricorda che l'art. 14 della direttiva 2006/123/CE prevede che gli Stati membri non subordinano l’accesso ad un’attività di servizi o il suo esercizio sul loro territorio al rispetto dei requisiti da esso previsti; in particolare, il par. 5 vieta l’applicazione caso per caso di una verifica di natura economica che subordina il rilascio dell’autorizzazione alla prova dell’esistenza di un bisogno economico o di una domanda di mercato, o alla valutazione degli effetti economici potenziali o effettivi dell’attività o alla valutazione dell’adeguatezza dell’attività rispetto agli obiettivi di programmazione economica stabiliti dall’autorità competente; tale divieto non concerne i requisiti di programmazione che non perseguono obiettivi economici, ma che sono dettati da motivi imperativi d’interesse generale.

Inoltre, l'art. 15, par. 2, lettera a), della direttiva citata, dispone che gli Stati membri verificano se il loro ordinamento giuridico subordina l’accesso a un’attività di servizi o il suo esercizio a restrizioni quantitative o territoriali sotto forma, in particolare, di restrizioni fissate in funzione della popolazione o di una distanza geografica minima tra prestatori.

In base al paragrafo 3, gli Stati membri verificano che i predetti requisiti soddisfino le condizioni seguenti (e, in caso negativo, adattano le loro disposizioni legislative, regolamentari o amministrative per renderle conformi a tali condizioni):

a) non discriminazione: i requisiti non devono essere direttamente o indirettamente discriminatori in funzione della cittadinanza o, per quanto riguarda le società, dell’ubicazione della sede legale;

b) necessità: i requisiti sono giustificati da un motivo imperativo di interesse generale;

c) proporzionalità: i requisiti devono essere tali da garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito; essi non devono andare al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo; inoltre non deve essere possibile sostituire questi requisiti con altre misure meno restrittive che permettono di conseguire lo stesso risultato.


 

Articolo 5
(Disposizioni in materia di pagamenti nelle transazioni commerciali - Procedura di infrazione 2017/2090)

 

 

L'articolo 5 introdotto dal Senato – sostituisce interamente l’art. 113-bis del decreto legislativo n. 50 del 2016 (codice dei contratti pubblici).

 

La modifica fa seguito all’impegno assunto dal Governo italiano di porre rimedio all’apertura della procedura di infrazione 2017/2090 in materia di pagamenti negli appalti pubblici. La procedura è allo stato del parere motivato e inerisce, più in particolare, alla disciplina dei termini di pagamento delle stazioni appaltanti pubbliche in favore degli appaltatori.

 

La materia – giova ribadire - è trattata nel codice dei contratti pubblici (già decreto legislativo n. 163 del 2006 e, oggi, n. 50 del 2016, modificato con il decreto legislativo n. 56 del 2017, all’art. 77, e poi ancora con la legge di bilancio 2018 – art. 1, comma 586, della legge n. 205 del 2017).

 

La direttiva 2011/7/UE, all’articolo 4, comma 3 lettera a), punto iv), prescrive che – ove la legge preveda procedure di verifica o accettazione della prestazione – il pagamento debba avvenire entro 30 giorni di calendario dalla data in cui tali adempimenti si compiono.

 

Secondo la Commissione europea la disciplina italiana attuale - di fatto - consente alle stazioni appaltanti pubbliche italiane di non rispettare tale termine.

 

Nell’interpretazione della Commissione europea (esplicitata nel parere motivato ex art. 258 del TFUE), l’articolo 113-bis del decreto legislativo n. 50 del 2016 permette la prassi per cui il pagamento possa intervenire entro 30 giorni dal certificato di pagamento, a sua volta intervenuto entro 30 giorni dal collaudo. Ciò perché gli adempimenti amministrativi che corrono tra collaudo ed emissione del certificato di pagamento – di competenza, rispettivamente, del direttore dei lavori e del responsabile unico del procedimento – non sono necessariamente contemporanei (dato il rinvio dell’art. 113-bis all’art. 4, commi 2, 3, 4 e 5, del decreto legislativo n. 231 del 2002). A seguito dell’emissione del parere motivato della Commissione, ai sensi dell’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, la Struttura di missione per le procedure di infrazione, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento per gli affari europei aveva convenuto di proporre una modifica dell’articolo 113-bis volta a concentrare gli adempimenti prodromici al pagamento dell’appaltatore, in maniera tale che il decorso dei 30 giorni sia calcolato non già dall’emissione del certificato di pagamento ma dalla data di svolgimento e compimento delle varie forme di collaudo e di verifica dello stato avanzamento lavori (SAL).

 

Il nuovo testo si articola in 4 commi.

 

Il comma 1 attiene agli acconti. Vi si stabilisce che essi devono essere corrisposti all’appaltatore entro 30 giorni da ogni SAL, a meno che sia espressamente concordato un termine diverso (mai superiore a 60 giorni) nei casi in cui tale termine più lungo sia giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sua caratteristiche. Il certificato di pagamento devono essere emessi contestualmente al SAL e comunque non oltre 7 giorni dalla loro adozione.

 

Il comma 2 si riferisce invece al pagamento. Anche in questo caso la nuova disposizione è volta a eliminare lo iato temporale tra l’adempimento tecnico costituito dal collaudo (o dalla verifica di conformità) e il rilascio del certificato di pagamento da parte del responsabile del procedimento, il quale a sua volta consente l’emissione della fattura. Questi elementi divengono contestuali (o comunque separati da un massimo di 7 giorni) e il decorso del termine di 30 giorni muove dal momento in cui – in definitiva - la stazione appaltante pubblica acquisisce in via effettiva l’utilità dell’opera.

 

Resta fermo che l’emissione del certificato di pagamento, di per sé, non comporta accettazione dell’opera o della sua parte, ai sensi dell’art. 1666 del codice civile. Si ricorda, al riguardo, che tale disposizione, nel capoverso, distingue tra pagamento dell’opera e versamento di semplici acconti. Solo il primo fa presumere l’accettazione della parte di opera pagata (è peraltro dibattuto se si tratti di presunzione che ammetta la prova contraria).

 

Anche nel comma 2, sono fatti salvi, conformemente alla direttiva, i casi nei quali sia espressamente concordato un termine diverso, comunque non superiore a 60 giorni e purché la natura particolare del contratto o talune sue caratteristiche giustifichino tale termine più lungo.

 

Nel comma 3, la novella fa salvo anche il comma 6 dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 231 del 2002, ai sensi del quale - quando è prevista una procedura volta ad accertare la conformità della merce o dei servizi al contratto - essa non può avere una durata superiore a 30 giorni dalla data della consegna della merce o della prestazione del servizio, salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalle parti, previsto nella documentazione di gara e sempre che non si tratti di una condizione gravemente iniqua per il creditore.

 

Sicché, in conclusione, l’appaltatore può attendere un massimo di 67 giorni dopo aver consegnato la merce o il lavoro (30 giorni tra prestazione e sua verifica o collaudo; fino a un massimo di 7 giorni per l’emissione del certificato di pagamento; e 30 giorni per il pagamento), salve le eccezioni dovute alle peculiari caratteristiche del contratto (che possono far tardare il pagamento di ulteriori 30 giorni).

 

Il comma 4 disciplina – viceversa – le penali a carico dell’imprenditore, lasciando intatto il dettato del previgente comma 2. Esse devono essere pattuite con due requisiti:

a)      uno che attiene alla tecnica di calcolo, cioè commisurate ai giorni di ritardo nella consegna e devono essere comprese nella forchetta tra lo 0,3 e l’1 per mille dell’ammontare netto del compenso al giorno, avuto riguardo dell’entità delle conseguenze del ritardo;

b)     uno di proporzione, cioè proporzionali all’importo complessivo o alle prestazioni del contratto in modo da non superare comunque il 10 per cento dell’ammontare totale netto.

 

Vale la pena ricordare che pende innanzi alla Corte di giustizia del Lussemburgo un’altra procedura d’infrazione per violazione della direttiva 2011/7/UE, la 2014/2143, che inerisce al più generale tema dell’adempimento puntuale delle obbligazioni di pagamento della pubblica amministrazione. In argomento, v. alla Camera – per esempio - lo svolgimento dell’interpellanza urgente Sorial e altri 2-1114 il 16 ottobre 2015 (XVII legislatura); e al Senato l’interrogazione Cardiello 3-01925 della XVII legislatura.

 


 

Articolo 6
(Designazione delle autorità competenti ai sensi del Regolamento (UE) n. 2018/302 volto a impedire i blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazione basate sulla nazionalità, sul luogo di residenza o sul luogo di stabilimento dei clienti nell’ambito del mercato interno)

 

L’articolo 6, inserito nel corso dell’esame in sede referente, reca alcune modificazioni al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, c.d. Codice del consumo, volte ad adeguare la normativa interna alle disposizioni del Regolamento (UE) n. 2018/302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 febbraio 2018.

Il Regolamento in questione – che rientra fra le iniziative proposte dalla Commissione europea nel maggio del 2015 nel quadro della Digital Single Market Strategy al fine di migliorare l’accesso dei consumatori e delle imprese a beni e servizi online – è finalizzato a vietare il fenomeno del cd. “geoblocking” ingiustificato.

Come evidenzia la Commissione Europea, l'espressione "blocco geografico" (c.d. "geo-blocking") fa riferimento a pratiche impiegate da venditori online per imporre limitazioni alle vendite online transfrontaliere sulla base della nazionalità, del luogo di residenza o di stabilimento dei clienti. Tali pratiche impediscono, tra le altre cose, ai consumatori di accedere a siti web da altri Stati membri, oppure concedono loro la possibilità di accedervi, non permettendo però al cliente estero di finalizzare l'acquisto o chiedendogli di pagare con una carta di debito o di credito di un determinato paese. La "discriminazione geografica" può anche verificarsi quando si acquistano beni e servizi "off-line", ad esempio quando i consumatori sono fisicamente presenti nel luogo in cui i professionisti effettuano la vendita, ma viene loro impedito di accedere ad un prodotto o ad un servizio, oppure vengono loro imposte diverse condizioni di acquisto, per ragioni di nazionalità o di residenza. Il regolamento stabilisce disposizioni direttamente applicabili che intendono impedire il verificarsi di tali pratiche in determinate situazioni in cui non vi sia una giustificazione oggettiva per l'impiego di un trattamento diverso sulla base di nazionalità, luogo di residenza o di stabilimento.

Quanto al contesto economico entro cui si muove il Regolamento, la Commissione UE ricorda che i consumatori e le imprese, in particolare le piccole e medie imprese (PMI), sono sempre più interessati ad acquistare in tutta l'UE.

Nel 2017, il 68 % degli utenti di Internet nell'UE ha effettuato acquisti online. Secondo un'indagine condotta dalla stessa Commissione, solo il 37 % dei siti web permette ai clienti di un altro Stato membro di arrivare alla fase finale che precede la conferma dell'ordine. Tuttavia, spesso i professionisti rifiutano ancora di vendere a clienti di un altro Stato membro, o di rifornirli, senza alcuna ragione obiettiva, oppure di offrir loro prezzi vantaggiosi quanto quelli proposti ai clienti locali. La Commissione riceve regolarmente denunce riguardanti casi di discriminazione dei clienti per motivi connessi alla loro nazionalità, al loro luogo di residenza o al loro luogo di stabilimento. Tale questione riguarda tanto i consumatori quanto le imprese che acquistano beni e servizi per i propri bisogni, e interessa sia il contesto digitale sia quello fisico. Il regolamento (UE) 2018/302 affronta quindi il problema rappresentato dall'impossibilità, per alcuni clienti, di acquistare beni e servizi da professionisti situati in un altro Stato membro per ragioni di nazionalità, luogo di residenza o luogo di stabilimento.

 

Il Regolamento (UE) n. 2018/302 del Parlamento europeo e del Consiglio

 

Il Regolamento (UE) n. 2018/302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 febbraio 2018, recante misure volte a impedire i blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazione basate sulla nazionalità, sul luogo di residenza o sul luogo di stabilimento dei clienti nell'ambito del mercato interno e modifica i regolamenti (CE) n. 2006/2004 e (UE) n. 2017/2394 e la direttiva n. 2009/22/CE, è entrato in vigore il 3 dicembre 2018.

 

Ambito di applicazione

 

Il Regolamento si applica alle transazioni transfrontaliere aventi ad oggetto l’offerta, sia on-line che off-line, di beni mobili materiali e/o servizi (definiti come ogni attività economica non salariata “fornita normalmente dietro retribuzione”) da parte di un professionista stabilito all’interno dell’UE o in un Paese terzo (cfr. Considerando n. 4 e n. 17) in favore di un cliente cittadino UE oppure residente o stabilito all’interno dell’UE. Rientrano nella nozione di “cliente” sia i consumatori (persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività professionale) sia le imprese che acquistano o ricevono beni/servizi “al fine esclusivo dell’uso finale” (cfr. art. 2, p).

Sono esclusi dal campo di applicazione del Regolamento:

·         le situazioni puramente interne ad uno Stato membro, nelle quali tutti gli elementi rilevanti della transazione, in particolare la nazionalità, il luogo di residenza o il luogo di stabilimento del cliente o del professionista, il luogo di esecuzione, i mezzi di pagamento impiegati nella transazione o nell'offerta, nonché l'utilizzo di un'interfaccia online, siano limitati a un solo Stato membro” (cfr. Considerando n. 7 e art. 1, par. 2, del Regolamento);

·         le opere protette dal diritto d’autore ed i servizi audiovisivi, compresi quelli il cui principale obiettivo consiste nel fornire accesso alla trasmissione di eventi sportivi, e che sono forniti sulla base di licenze territoriali esclusive. Tale esclusione dovrà essere oggetto di revisione da parte delle Istituzioni UE due anni dopo l’entrata in vigore del Regolamento (dunque a partire dal 2020) e successivamente ogni cinque anni (cfr. art. 9);

·         i servizi finanziari previsti dall’art. 2, par. 2 della Direttiva servizi 2006/123/EC (cfr. art. 2, par. 3 del Regolamento).

 

Con riferimento alle transazioni tra professionista e cliente, il Regolamento mira a vietare i blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazione basate, direttamente o indirettamente, sulla nazionalità, sul luogo di residenza o di stabilimento dei clienti. Per “blocco geografico” (geoblocking) il Regolamento intende i casi nei quali i professionisti, che offrono beni/servizi in un Paese UE, bloccano o limitano l’accesso alle proprie “interfacce online” (siti internet e applicazioni online) nei confronti di clienti di altri Stati membri. Oltre che al geoblocking, il Regolamento si applica anche alle “altre forme di discriminazione” che avvengono nelle transazioni sia online che offline (cfr. considerando n. 1 e art. 1, par. 1).

 

 

Blocco alle interfacce on-line

 

Ai sensi dell’art. 3, il professionista non può bloccare o limitare l’accesso del cliente alla propria interfaccia on-line per motivi legati alla nazionalità, luogo di residenza o stabilimento del cliente stesso. Il professionista non può neppure reindirizzare il cliente ad una versione diversa della propria interfaccia on-line, a meno che il cliente non vi abbia esplicitamente acconsentito. In caso di reindirizzamento con l’esplicito consenso del cliente, la versione dell’interfaccia online del professionista cui il cliente desiderava inizialmente accedere deve restare facilmente accessibile al cliente in questione (cfr. considerando n. 20 e art. 3, co. 2).

I citati divieti non si applicano qualora il blocco/limitazione/reindirizzamento sia necessario per garantire il rispetto di un requisito giuridico previsto dal diritto dell’Unione o dalle leggi degli Stati membri che, in conformità al diritto dell’Unione, limitino l’accesso dei clienti a determinati beni/servizi (cfr. considerando n. 21 e art. 3). In simili ipotesi, il professionista è comunque tenuto a fornire al cliente una chiara e specifica informativa in merito ai motivi del blocco/limitazione/reindirizzamento (cfr. art. 3, par. 3).

 

 

Condizioni generali di accesso a beni o servizi

 

Ai sensi dell’art. 4, il professionista non può applicare condizioni generali discriminatorie, quanto all’offerta dei beni/servizi, per motivi legati alla nazionalità, al luogo di residenza o al luogo di stabilimento di un cliente, nelle situazioni in cui il cliente intende:

a) acquistare da un professionista beni che sono consegnati in un luogo di uno Stato membro ove il professionista ne offre la consegna ai sensi delle sue condizioni generali di accesso o che sono ritirati presso un luogo concordato tra il professionista e il cliente in uno Stato membro in cui le predette condizioni generali di accesso offrono tale opzione;

b) ricevere da un professionista servizi tramite mezzi elettronici, diversi dai servizi che consistono principalmente nel fornire l’accesso a opere tutelate dal diritto d'autore o altri beni protetti, compresa la vendita di opere tutelate dal diritto d'autore o altri beni immateriali protetti, e nel permetterne l’uso;

c) ricevere da un professionista servizi diversi da quelli prestati tramite mezzi elettronici in un luogo fisico nel territorio di uno Stato membro in cui il professionista esercita la sua attività (cfr. art. 4, par. 1).

Il divieto sancito dall’art. 4, par. 1, non impedisce ai professionisti di offrire condizioni generali di accesso, ivi compresi prezzi di vendita netti, che siano diverse tra Stati membri o all'interno di uno Stato membro e che siano offerte ai clienti in un territorio specifico o a gruppi specifici di clienti su base non discriminatoria” (cfr. art. 4, par. 2). Anche laddove formulino offerte mirate per territori specifici o per gruppi di clienti, dunque, “i professionisti dovrebbero sempre trattare i clienti in modo non discriminatorio, indipendentemente dalla nazionalità, dal luogo di residenza o dal luogo di stabilimento” (cfr. considerando n. 27).

 

Discriminazioni relative ai mezzi di pagamento accettati dal professionista

Quanto ai mezzi di pagamento, ai sensi dell’art. 5 un professionista non può applicare condizioni discriminatorie per motivi connessi alla nazionalità, al luogo di residenza o al luogo di stabilimento di un cliente, all’ubicazione del conto di pagamento, al luogo di stabilimento del prestatore dei servizi di pagamento o al luogo di emissione dello strumento di pagamento all'interno dell’Unione, se:

a) l'operazione di pagamento è effettuata tramite una transazione elettronica mediante bonifico, addebito diretto o uno strumento di pagamento basato su carta avente lo stesso marchio di pagamento e appartenente alla stessa categoria;

b) i requisiti di autenticazione sono soddisfatti a norma della direttiva (UE) 2015/2366;

c) le operazioni di pagamento sono effettuate in una valuta accettata dal professionista”.

 

Pacchetti combinati di beni/servizi

 

Il Regolamento contiene una particolare previsione concernente i pacchetti di servizi o di servizi/beni. A tal riguardo, si prevede che qualora un professionista offra un pacchetto di vari servizi combinati tra loro o un pacchetto di beni combinati con servizi, e uno o più di tali servizi, se offerto su base individuale, rientri nell'ambito di applicazione del regolamento, mentre un altro servizio o altri servizi non vi rientri, tale professionista dovrebbe rispettare i divieti stabiliti dal regolamento per quanto riguarda il pacchetto nel suo insieme, o almeno fornire su base individuale servizi che rientrano nell'ambito di applicazione del regolamento, se tali servizi sono offerti ai clienti da parte dello stesso professionista su base individuale.

Il professionista che fornisca un servizio o un bene su base individuale al di fuori di un pacchetto dovrebbe rimanere libero di decidere il prezzo da applicare a tale servizio o bene al di fuori del pacchetto, purché non applichi prezzi differenti per motivi connessi alla nazionalità, al luogo di residenza o al luogo di stabilimento” (cfr. considerando n. 10 del Regolamento).

 

Attività di esecuzione demandate agli Stati membri

 

Ciascun Paese membro è tenuto a svolgere attività di esecuzione del Regolamento, direttamente applicabile in tutti gli Stati membri, consistenti nel:

1.      designare uno o più organismi responsabili dell’attuazione del Regolamento stesso (cfr. art. 7, par. 1);

2.      definire le misure applicabili in caso di violazione del Regolamento (cfr. art. 7, par. 2);

3.      designare uno o più organismi competenti a fornire assistenza pratica ai consumatori in caso di controversie derivanti dall’applicazione del Regolamento (cfr. art. 8).

Entro il mese di marzo 2020 e successivamente ogni cinque anni, la Commissione europea riferisce sulla valutazione dell’applicazione del regolamento. La prima valutazione stabilisce se l’ambito di applicazione debba essere ampliato.

Per un’analisi dei profili applicativi del Regolamento in questione si rinvia alla pubblicazione della Commissione UEDomande e risposte sul Regolamento sui blocchi geografici (Geo-blocking) nel quadro del commercio elettronico”.

 

In primo luogo, l’articolo 6, comma 1, lettera a) del disegno di legge in esame integra l’art. 139, comma 1, secondo periodo, del Codice del consumo, aggiungendo, tra le disposizioni legislative ivi elencate che disciplinano interessi collettivi dei consumatori dalla cui violazione discende la legittimazione ad agire delle associazioni dei consumatori e degli utenti, il richiamo al Regolamento (UE) n. 2018/302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 febbraio 2018 (nuova lettera b-quater) nel comma 1 dell’articolo 139).

 

L’art. 139 del Codice del consumo, inserito nel Titolo II “Accesso alla giustizia”, dispone in tema di legittimazione ad agire, da parte delle associazioni dei consumatori e degli utenti inserite nell'apposito elenco delle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico, a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti.

La norma dispone che, oltre a quanto disposto dall'articolo 2 (che riconosce come diritti fondamentali dei consumatori e degli utenti: il diritto alla tutela della salute; il diritto alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi; il diritto ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità; il diritto all'esercizio delle pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà; il diritto all'educazione al consumo; il diritto alla correttezza, alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali; il diritto alla promozione e allo sviluppo dell'associazionismo libero, volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti; il diritto all'erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità e di efficienza), le associazioni dei consumatori e degli utenti sono legittimate ad agire nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi dei consumatori contemplati nelle materie disciplinate dal codice stesso, nonché dalle seguenti disposizioni legislative:

a) legge 6 agosto 1990, n. 223, Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato, e ss.mm., comprese quelle di cui al testo unico della radiotelevisione (D. Lgs. 31 luglio 2005, n. 177), e alla legge sull'esercizio delle attività televisive (L. 30 aprile 1998, n. 122);

b) D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 541, Attuazione della direttiva 92/28/CEE concernente la pubblicità dei medicinali per uso umano e ss.mm;

b-bis) D. Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, recante attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno;  

b-ter) regolamento (UE) n. 524/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla risoluzione delle controversie online per i consumatori (regolamento sull'ODR per i consumatori).

Come già detto, alle predette disposizioni legislative, la norma in commento aggiunge all’art. 139 del D. Lgs., con la nuova lettera b-quater), il riferimento al citato Regolamento (UE) n. 2018/302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 febbraio 2018.

 

In secondo luogo, l’articolo 6 in commento, al comma 1, lettera b), integra l’art. 144-bis, comma 9 del Codice del consumo, aggiungendovi due nuovi commi, volti, rispettivamente, a designare l’Autorità garante della concorrenza e del mercato quale organismo responsabile dell’applicazione del Regolamento, nonché il Centro nazionale della rete europea per i consumatori (ECC-NET) quale organismo competente a fornire assistenza ai consumatori in caso di controversia tra consumatore e professionista.

 

Più in dettaglio, il nuovo comma 9-bis dell’art. 144 – introdotto dalla Commissione referente - designa l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) quale organismo responsabile dell'adeguata ed efficace applicazione del regolamento (UE) n. 2018/302, prevedendo altresì che, in relazione a tale regolamento, l’AGCM svolga le funzioni di autorità competente per l’esecuzione della normativa sulla protezione degli interessi dei consumatori, ai sensi dell’articolo 3, lettera c), del regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004.

 

Si ricorda in proposito che l’articolo 3, lettera c), del regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio intende per “autorità competente” qualsiasi autorità pubblica a livello nazionale, regionale o locale, con responsabilità specifiche per l’esecuzione della normativa sulla protezione degli interessi dei consumatori.

Si ricorda che l’art. 144-bis dispone in materia di cooperazione tra le autorità nazionali per la tutela dei consumatori, attribuendo al Ministero dello sviluppo economico, fatte salve le disposizioni in materia bancaria, finanziaria, assicurativa e di sistemi di pagamento e le competenze delle autorità indipendenti di settore, la funzione di autorità competente, ai sensi del medesimo articolo 3, lettera c), del citato regolamento (CE) n. 2006/2004, in materia, tra l’altro, di garanzia nella vendita dei beni di consumo, credito al consumo e commercio elettronico. La norma prevede inoltre che il Ministero dello sviluppo economico possa avvalersi delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, nonché del Corpo della Guardia di finanza, e può inoltre definire forme di collaborazione con altre pubbliche amministrazioni.

 

In conseguenza dell’attribuzione all’AGCM della qualifica di organismo responsabile dell'adeguata ed efficace applicazione del Regolamento (UE) n. 2018/302, il nuovo comma 9-bis prevede inoltre che, in materia di accertamento e sanzione delle violazioni del medesimo regolamento, si applichi l’articolo 27, commi da 2 a 15, del Codice del consumo, il quale disciplina i poteri inibitori e sanzionatori esercitabili dell’AGCM.

 

L’art. 27 del Codice del consumo, in tema di tutela giurisdizionale e amministrativa, prevede che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato eserciti le attribuzioni disciplinate dal medesimo articolo anche quale autorità competente per l'applicazione del regolamento 2006/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori, nei limiti delle disposizioni di legge.

A tale riguardo, la norma attribuisce all’AGCM il potere di:

- inibire, d'ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, la continuazione delle pratiche commerciali scorrette e di eliminarne gli effetti (comma 2);

- disporre, con provvedimento motivato, la sospensione provvisoria delle pratiche commerciali scorrette, laddove sussista particolare urgenza, e di richiedere a imprese, enti o persone che ne siano in possesso le informazioni ed i documenti rilevanti al fine dell'accertamento dell'infrazione (comma 3);

- applicare, in caso di inottemperanza, senza giustificato motivo, a quanto disposto dall'Autorità, una sanzione amministrativa pecuniaria (comma 4);

- disporre che il professionista fornisca prove sull'esattezza dei dati di fatto connessi alla pratica commerciale se, tenuto conto dei diritti o degli interessi legittimi del professionista e di qualsiasi altra parte nel procedimento, tale esigenza risulti giustificata, date le circostanze del caso specifico (comma 5);

- richiedere, prima di provvedere, il parere dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, quando la pratica commerciale è stata o deve essere diffusa attraverso la stampa periodica o quotidiana ovvero per via radiofonica o televisiva o altro mezzo di telecomunicazione (comma 6);

- vietare la diffusione, ove ritenga la pratica commerciale scorretta, qualora non ancora portata a conoscenza del pubblico, o la continuazione, qualora la pratica sia già iniziata, disponendo inoltre l'applicazione di una sanzione amministrativa (commi 8 e 9);

- assegnare per l’esecuzione dei provvedimenti, nei casi riguardanti comunicazioni commerciali inserite sulle confezioni di prodotti, un termine che tenga conto dei tempi tecnici necessari per l'adeguamento (comma 10);

- disciplinare, con proprio regolamento, la procedura istruttoria, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione degli atti e la verbalizzazione (comma 11);

- applicare sanzioni amministrative in caso di inottemperanza ai provvedimenti d'urgenza e a quelli inibitori o di rimozione degli effetti o, nei casi di reiterata inottemperanza, disporre la sospensione dell'attività d'impresa per un periodo non superiore a trenta giorni (comma 12);

Il comma 13 richiama l’applicazione dei principi generali vigenti in materia di sanzioni amministrative e quelli sul pagamento della sanzione in forma rateale, sull’esecuzione forzata in caso di decorso del termine per il pagamento, sulla prescrizione quinquennale e sulla devoluzione dei proventi delle sanzioni stesse, di cui, rispettivamente, al Capo I, Sez. I della legge n. 689/1981, agli articoli da 26 a 29 della medesima legge.

Il comma 14 prevede che, ove la pratica commerciale sia stata assentita con provvedimento amministrativo, preordinato anche alla verifica del carattere non scorretto della stessa, la tutela dei soggetti e delle organizzazioni che vi abbiano interesse, è esperibile in via giurisdizionale con ricorso al giudice amministrativo avverso il predetto provvedimento, mentre il comma 15 fa comunque salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di atti di concorrenza sleale, nonché, per quanto concerne la pubblicità comparativa, in materia di atti compiuti in violazione della disciplina sul diritto d'autore e dei marchi d'impresa, nonché delle denominazioni di origine riconosciute e protette in Italia e di altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti.

 

Il nuovo comma 9-ter (anch’esso introdotto dalla XIV Commisisone) designa il Centro nazionale della rete europea per i consumatori (ECC-NET) quale organismo competente a fornire assistenza ai consumatori in caso di controversia tra un consumatore e un professionista, ai sensi dell’articolo 8 del regolamento (UE) 2018/302.

Per le finalità descritte, la norma prevede l’applicazione della procedura di cui all’articolo 30, comma 1-bis, del D. Lgs. 26 marzo 2010, n. 59.

 

Il D.Lgs. n. 59/2010, di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, reca, all’art. 30, norme relative all’assistenza ai destinatari di attività di servizi, prevedendo, al comma 1-bis, che al fine di assicurare il rispetto del divieto di discriminazioni, il Centro europeo dei consumatori per l'Italia:

- riceve le segnalazioni dei consumatori, delle micro-imprese e delle associazioni dei consumatori;

-fornisce loro assistenza anche per facilitarne la comunicazione con il prestatore del servizio;

- d'ufficio o su segnalazione, contatta il prestatore del servizio al fine di ottenere il rispetto delle normative europee e nazionali relative al predetto divieto di discriminazioni, avvalendosi anche della rete dei centri europei dei consumatori (ECC-NET).

Ove tali iniziative non consentano di ottenere il rispetto del divieto, il Centro europeo dei consumatori per l'Italia invia un documentato rapporto all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che può intervenire applicando i poteri inibitori e sanzionatori di cui all'articolo 27 del codice del consumo, prima descritti. Con proprio regolamento, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato disciplina la procedura istruttoria, in modo da garantire il contraddittorio e l'accesso agli atti. Con il medesimo regolamento l'Autorità garante della concorrenza e del mercato disciplina i propri rapporti con il Centro europeo dei consumatori per l'Italia. In applicazione di tale disposizione l’AGCM ha adottato il regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, pratiche commerciali scorrette, violazione dei diritti dei consumatori nei contratti, violazione del divieto di discriminazioni e clausole vessatorie, del 1° aprile 2015.

 


 

Articolo 7
(Delega al Governo per l'adozione di nuove disposizioni in materia di utilizzo dei termini «cuoio» e «pelle» e di quelli da essi derivati o loro sinonimi - Caso EU Pilot 4971/13/ENTR)

 

 

L’articolo 7, introdotto nel corso dell’esame al Senato, delega il Governo ad adottare, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo che disciplini l'utilizzo dei termini «cuoio» e «pelle» e di quelli da essi derivati o loro sinonimi, nel rispetto della legislazione dell'UE nei settori armonizzati[12].

Il decreto è adottato su proposta del Ministro dello sviluppo economico, sentite le Commissioni parlamentari competenti, che esprimono il proprio parere entro 40 giorni dalla data di assegnazione dello schema di decreto legislativo. Decorso inutilmente tale termine, il decreto può essere comunque adottato.

Il relativo schema è sottoposto alla procedura di informazione prima della definitiva adozione del decreto, in applicazione della direttiva (UE) 2015/1535, recepita con d.lgs. 223/2017.

Entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo possono essere emanate disposizioni correttive e integrative nel rispetto delle suddette procedure.

Con il medesimo decreto legislativo si provvede ad abrogare le disposizioni nazionali non più applicabili e ad adottare le necessarie disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni degli obblighi contenuti nello stesso decreto.

L'articolo in esame stabilisce che resta ferma l'abrogazione della L. 8/2013, disposta con l'art. 26, L. 161/2014 (legge europea 2013-bis).

 

Si ricorda al riguardo che il comma 1 dell'articolo 26, L. 161/2014 (legge europea 2013-bis), ha abrogato la L. 8/2013 in materia di utilizzo dei termini "cuoio", "pelle" e "pelliccia" e di quelli da essi derivanti o loro sinonimi, facendo rivivere la precedente legge n. 1112/1966.

Il comma 2 aveva quindi delegato il Governo all'adozione di un decreto legislativo che disciplinasse l'utilizzo dei termini «cuoio», «pelle» e «pelliccia» e di quelli da essi derivati o loro sinonimi, precisando che si sarebbe dovuto operare nel rispetto della legislazione dell'UE nei settori armonizzati.

Secondo il comma 3 il decreto legislativo avrebbe dovuto essere adottato entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge (dunque il 25 novembre 2015) su proposta del Ministro dello sviluppo economico, sentite le Commissioni parlamentari competenti. La delega non è stata esercitata.

Per il comma 4, con il medesimo decreto avrebbero dovuto essere abrogate le disposizioni nazionali non più applicabili e adottate le necessarie disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni degli obblighi contenuti nello stesso decreto.

Infine, ai sensi del comma 5, lo schema di decreto legislativo avrebbe dovuto essere sottoposto alla procedura di informazione prima della definitiva adozione, in applicazione della direttiva 98/34/CE (poi abrogata dalla già citata direttiva 2015/1535), recepita con legge 21 giugno 1986, n. 317.

Anche la disposizione in commento appariva dunque finalizzata alla risoluzione del caso EU Pilot 4971/13/ENTR.

 

 

Procedure di contenzioso

Come detto in precedenza, l'art. 26, L. 161/2014 intendeva risolvere il caso EU Pilot 4971/13/ENTR, mediante l'abrogazione della legge 14 gennaio 2013, n. 8, ritenuta in contrasto con le norme dell’UE in materia di libera circolazione delle merci.

In particolare, l’articolo 3 della legge vietava l’immissione in commercio e la vendita di prodotti in cuoio, pelle e pelliccia non conformi alle specifiche tecniche nazionali e stabiliva inoltre l’obbligo di etichettatura recante lo stato di provenienza per i prodotti ottenuti da lavorazioni in paesi esteri.

Le specifiche tecniche erano indicate all’articolo 1 della medesima legge: esso stabiliva che i termini cuoio e pelle fossero riservati ai prodotti ottenuti dalla lavorazione di spoglie di animali nonché agli articoli con esse fabbricati, calzature comprese, a patto che gli eventuali strati ricoprenti di altro materiale avessero uno spessore uguale o inferiore a 0,15 millimetri. Sulla base di tali disposizioni un prodotto realizzato con i materiali in questione, legalmente fabbricato e messo in commercio in un altro Stato membro, era escluso dal mercato italiano se l’eventuale strato ricoprente fosse stato anche di poco superiore a 0,15 millimetri.

La Commissione aveva riconosciuto che l’utilizzo dei termini in questione non era disciplinato dalla legislazione di armonizzazione dell’UE, ad eccezione dei casi di “cuoio” e “cuoio rivestito” per le calzature. Dunque gli Stati membri potevano (e possono tuttora) utilizzare specifiche diverse a livello nazionale che tuttavia devono rispettare le norme dell’UE in materia di libera circolazione delle merci (articoli da 34 a 36 del TFUE) nonché il principio del mutuo riconoscimento.

La Commissione aveva inoltre rilevato che:

·        le disposizioni contenute nella L. 8/2013 risultavano incompatibili anche con la direttiva 94/11/CE, che stabilisce le condizioni per l’utilizzo dei termini “cuoio” e “cuoio rivestito” limitatamente alle calzature;

·        l’obbligo di indicare in etichetta il luogo di origine costituiva un ostacolo alla libera circolazione delle merci, dal momento che il consumatore – come riconosciuto dalla Corte di giustizia – sarebbe stato già adeguatamente tutelato dalle norme che vietano le false indicazioni di origine;

il disegno di legge da cui era derivata la L. 8/2013 era stato notificato alla Commissione stessa ai sensi della direttiva 98/34/CE in materia di procedura di informazione di regole tecniche ma era stato approvato ed era entrato in vigore prima dello scadere dei tre mesi previsti per la valutazione di conformità con il mercato interno da parte della Commissione stessa e degli Stati membri.

 

 


 

Articolo 8
(Disposizioni in materia di mandato di arresto europeo e procedure di consegna tra Stati membri)

 

 

L'articolo 8 estende l'ambito di applicazione delle disposizioni della legge 22 aprile 2005, n. 69, in materia di mandato di arresto europeo e procedure di consegna tra Stati membri, anche ai rapporti tra l’Italia e il Regno di Norvegia e a quelli tra l’Italia e la Repubblica d’Islanda.

 

Più nel dettaglio l'articolo introduce nell'articolo 1 della legge n. 69 del 2005 due ulteriori comma (commi 4-bis e 4-ter).

 

Il mandato di arresto europeo, introdotto con la decisione quadro 2002/584/GAI dal Consiglio dell’Unione Europea, e attuato in Italia con legge 22 aprile 2005, n. 69, è un provvedimento giudiziario emesso da uno Stato membro dell’UE per consentire l’arresto e la consegna da parte di altro Stato membro di un soggetto ricercato per l’esercizio dell’azione penale o dell’esecuzione di una pena ovvero di una misura di sicurezza.

La finalità perseguita è quella di garantire agli Stati membri dell’UE una rapida e agevole procedura di consegna dei ricercati. Il mandato di arresto europeo può essere disposto in caso di condanna per fatti puniti dalla legge dello Stato membro emittente con una pena o con una misura di sicurezza privative della libertà non inferiore a 12 mesi ovvero in caso di condanna o a una misura di sicurezza non inferiore a 4 mesi. L’efficacia della decisione giudiziaria è subordinata alla condizione che i fatti per cui è stato emesso il provvedimento costituiscano reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione, a prescindere dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso. Non soggiacciono a tale condizione i reati indicati dall’art. 2, par. 2 della citata decisione quadro.

La procedura di consegna si suddivide in tre fasi: nella prima si ha la comunicazione del provvedimento da parte dell’autorità emittente all’autorità di esecuzione; nella seconda fase, relativa all’attuazione, l’autorità ricevente può dare esecuzione al mandato, ovvero rifiutarsi nelle ipotesi previste dagli art. 3 e 4 della decisione quadro; nell’ultima fase l’autorità giudiziaria deve decidere in merito alla consegna dell’arrestato, dopo che questi in modo irrevocabile vi abbia o meno prestato il consenso. Nel caso in cui il ricercato non presti il consenso alla consegna, ha diritto di essere condotto innanzi all’autorità giudiziaria dell’esecuzione e interpellato nel rispetto delle norme del diritto interno di tale Stato membro.

 

Il comma 4-bis prevede che le disposizioni di cui alla legge n. 69 costituiscono attuazione anche dell'Accordo tra l'UE e la Repubblica di Islanda e il Regno di Norvegia del 28 giugno 2006. Tale Accordo trova applicazione, specifica la norma, nei limiti in cui le sue disposizioni non sono incompatibili con i principi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti e libertà fondamentali, compreso il diritto al giusto processo - come sottolinea la relazione illustrativa-.

 

In proposito è opportuno ricordare che la legge n. 69, all'articolo 1, prevede espressamente che alle disposizioni della decisione quadro è data attuazione nei limiti in cui esse "non sono incompatibili con i principi supremi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e del giusto processo".

 

Il comma 4-ter precisa che i riferimenti contenuti nella legge n. 69 al "mandato d'arresto europeo" e allo "Stato membro" devono intendersi, con riguardo alle procedure di consegna con l'Islanda o la Norvegia, rispettivamente al "mandato di arresto" che rappresenta l'oggetto dell'Accordo del giugno 2006 e alla "Repubblica d'Islanda o al Regno di Norvegia".

 

La disposizione costituisce attuazione dell’Accordo tra l’Unione europea e la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia, fatto a Vienna il 28 giugno 2006, relativo alla procedura di consegna tra gli Stati membri dell’Unione europea e l’Islanda e la Norvegia. L'Unione Europea, con la decisione 2014/835/UE ha espresso il proprio consenso a essere vincolata a tale Accordo[13].

 

I negoziati per la riforma delle relazioni in materia di estradizione tra gli Stati membri, l’Islanda e la Norvegia, avviati, nei primi anni duemila, sulla base degli articoli 24 e 38 TUE ante-Lisbona, erano stati originariamente concepiti per estendere ai rapporti con i due Stati alcune disposizioni della convenzione relativa all’estradizione tra gli Stati membri dell’Unione europea del 1996 (contenente alcuni aspetti di semplificazione ed innovazione delle procedure di consegna, seppur ancora espressione del tradizionale sistema convenzionale nell’ambito dei rapporti internazionali di cooperazione). In seguito all’adozione della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, tuttavia, si è ritenuto opportuno valutare l'estensione del nuovo modello di procedura di consegna ai rapporti con l’Islanda e la Norvegia ( cui peraltro erano già stati estesi, seppur con alcuni limiti, l’accordo di Schengen e la relativa convenzione applicativa).

L'Accordo in questione è stato firmato nel giugno del 2006, in esecuzione della decisione del Consiglio 2006/697/CE, “con riserva” della sua conclusione, ossia rinviando ad un momento successivo la definitiva volontà di obbligarsi. La decisione di conclusione dell’accordo è stata adottata dal Consiglio, previa approvazione da parte del Parlamento europeo, sulla base dell’articolo 82, par. 1, lett. d), in combinato disposto con l’articolo 218, par. 6, lett. a), TFUE. Il perfezionamento dell’accordo sul piano internazionale può compiersi solo con la notifica alle altre parti contraenti della conclusione delle procedure richieste per l’espressione del consenso dell’Unione europea ad essere vincolata dall’accordo. Come ricordato il 27 novembre 2014 il Consiglio dell'Unione europea ha adottato la decisione 2014/835/UE con la quale è stato espresso il definitivo consenso dell'UE a essere vincolata all'Accordo.

 

 

A tutt'oggi il nostro Paese non ha proceduto al recepimento dell'Accordo.

In data 23 gennaio 2015 il Ministero della giustizia della Norvegia, con nota formale, nel rilevare il mancato recepimento dell'Accordo da parte dell'Italia, ha chiesto informazioni in ordine allo stato delle procedure interne di attuazione. L'inadempimento italiano è stato, altresì, evidenziato, lo scorso 16 luglio, dal Consiglio dell'Unione, il quale ha chiesto all'Italia di trasmettere quanto prima le proprie dichiarazioni e notificazioni al fine di rendere pienamente esecutivo l'Accordo nelle relazioni di cooperazione giudiziaria internazionale. 

 

L'Accordo tra l'UE e la Repubblica d'Islanda e il Regno di Norvegia

 

L’Accordo del 2006 estende, con alcune modifiche, il sistema del mandato di arresto europeo ai rapporti con l’Islanda e la Norvegia, introducendo una disciplina della procedura di consegna quasi interamente mutuata da quella delineata nella decisione quadro 2002/584/GAI, in particolare per ciò che attiene alla natura dello strumento di cooperazione e agli aspetti più prettamente procedurali.

Nel preambolo dell’accordo, le parti contraenti motivano l’istituzione di una procedura di consegna semplificata con lo scopo di approfondire i loro rapporti di cooperazione giudiziaria in materia penale, per una più efficace repressione della criminalità transnazionale, ma anche alla luce della reciproca fiducia nella struttura e nel funzionamento dei loro ordinamenti giuridici e nella capacità di tutti i sistemi giudiziari delle parti contraenti di garantire un processo equo.

Le disposizioni dell’Accordo, similmente alle previsioni della decisione quadro sul mandato di arresto europeo, sostituiscono nei rapporti tra gli Stati coinvolti i tradizionali strumenti in materia di estradizione.

Il sistema di consegna tra autorità giudiziarie è quindi fondato sul mandato d’arresto: decisione giudiziaria emessa da uno Stato (Stato emittente) in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato (Stato di esecuzione) di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale (mandato d’arresto c.d. processuale) o dell’esecuzione di una pena o misura di sicurezza privativa della libertà (mandato d’arresto c.d. esecutivo).

L’accordo riproduce pressoché integralmente la decisione quadro del 2002 quanto:

-          al campo di applicazione (art. 3, par. 1).

Il mandato d’arresto può essere emesso per fatti puniti con una pena o misura di sicurezza privativa della libertà di almeno dodici mesi oppure, se è stata disposta la condanna a una pena o è stata inflitta una misura di sicurezza, per condanne pronunciate di durata non inferiore a quattro mesi.  Per reati passibili di una pena privativa della libertà di almeno tre anni, le parti possono fare una dichiarazione che attesti che esse non richiedono la condizione di doppia incriminabilità (amplius infra);

-          alla procedura di consegna (artt. 12-33).

Quando la persona viene arrestata, deve essere informata del mandato d’arresto e del suo contenuto, della possibilità di acconsentire alla propria consegna all’autorità emittente e del proprio diritto di essere assistita da un consulente legale e da un interprete.   L’udienza viene condotta secondo la legislazione dello Stato di esecuzione e a condizioni fissate di comune accordo. La persona può scegliere se acconsentire o meno alla propria consegna, a patto che tale scelta sia espressa volontariamente e con piena consapevolezza delle relative conseguenze. La persona deve essere consegnata entro dieci giorni a partire dalla decisione di eseguire il mandato o, se ciò non è possibile, entro dieci giorni dalla data di consegna concordata dalle autorità. Se la persona, allo scadere di tali termini, continua a trovarsi in stato di custodia, deve essere rilasciata. L’autorità emittente confischerà e consegnerà i beni che possono essere necessari come prova o che sono stati acquisiti dal ricercato a seguito del reato;

-          alle tassative ipotesi nelle quali l’autorità giudiziaria competente può rifiutare l’esecuzione di un mandato di arresto o richiedere che lo Stato emittente fornisca particolari garanzie (artt. 4, 5 e 8).

 

Le autorità giudiziarie rifiuteranno di eseguire il mandato d’arresto se:

-          il reato per cui viene richiesto è coperto da amnistia;

-          la persona è già stata giudicata per gli stessi fatti e la sanzione è già stata applicata o è in fase di esecuzione;

-          la persona non può essere considerata penalmente responsabile a causa dell’età.

I Paesi possono, poi, rifiutare di eseguire il mandato d’arresto in diversi    casi, quali:

-          i fatti all’origine del mandato non costituiscono un reato nel paese in cui il sospetto è detenuto («Stato di esecuzione»), ad eccezione dei casi riguardanti tasse, imposte, dogane e cambi;

-          contro tale persona è in corso un’azione nello Stato di esecuzione per il medesimo fatto;

-          lo Stato ha emesso una sentenza definitiva per gli stessi fatti, che osta all’esercizio di ulteriori azioni;

-          le autorità dello Stato di esecuzione hanno deciso di non esercitare l’azione penale o vi hanno posto fine;

-          la persona ricercata è cittadino dello Stato di esecuzione o vi risiede e tale Stato intende eseguire esso stesso tale pena (vedi infra);

-          i reati sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato che ha emesso il mandato («Stato emittente») o la legge dello Stato di esecuzione non consente azioni penali per tali reati.

 

Con riguardo alle eccezioni alla consegna- contemplate dalla decisione quadro 2002/584/GAI- è opportuno segnalare due recentissime decisioni della Corte di giustizia di Lussemburgo (CGUE, Sentenza 25 luglio 2018, Causa C-220/18 e CGUE, Sentenza 25 luglio 2018, Causa- 216/18). Con tali decisioni il Giudice europeo ha chiarito la portata delle eccezioni alla consegna nel caso in cui nel Paese di emissione vi siano rischi sul rispetto delle regole dell'equo processo, con specifico riferimento al diritto ad un giudice indipendente e all'ipotesi di trattamenti inumani per le condizioni di detenzione nel Paese.

 

La nuova procedura di consegna tra i due Stati nordici e gli Stati membri dell’Unione, tuttavia, conserva alcuni aspetti tipici della disciplina convenzionale. L’innovatività della nuova forma di cooperazione è infatti mitigata dalla possibilità, subordinata alla volontà dei singoli Stati, di attribuire ancora rilievo ad alcuni dei princìpi propri del sistema classico di estradizione, quali:

-          il requisito della doppia incriminabilità (art. 3, parr. 2-4)

Il par. 2 prevede che la consegna è subordinata alla condizione che i fatti per i quali è stato emesso il mandato d'arresto costituiscano un reato ai sensi della legge dello Stato di esecuzione indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso. Come detto, per reati passibili di una pena privativa della libertà di almeno tre anni, le parti possono fare una dichiarazione che attesti che esse non richiedono la condizione di doppia incriminabilità. Tali reati comprendono, fra gli altri: la partecipazione a un’organizzazione criminale; il terrorismo; la tratta di esseri umani; la pornografia infantile; il traffico illecito di organi umani; il traffico di stupefacenti. (L’elenco dei reati è lo stesso utilizzato dai paesi dell’UE per il mandato di arresto europeo).

 

-          le limitazioni alla consegna in relazione ai reati politici (art. 6),

-          le limitazioni alla consegna dei cittadini dello Stato richiesto (art. 7),

-          i poteri riconosciuti all’Esecutivo (art. 9, par. 2).

 

Per quanto attiene poi al profilo della consegna dei cittadini, l’accordo prevede che l’esecuzione non possa essere rifiutata solo per il fatto che la persona ricercata sia un cittadino dello Stato di esecuzione e attribuisce altresì rilevanza, ai fini della decisione sull’ordinamento in cui potrà essere eseguita la pena, al luogo di residenza e dimora del ricercato. Tuttavia, dispone al contempo che gli Stati membri potranno fare una dichiarazione attestante che i propri cittadini non saranno consegnati o che la consegna sarà autorizzata soltanto a talune specifiche condizioni (e, in tal caso, gli altri Stati potranno applicare la condizione di reciprocità).


 

Articolo 9
(Disposizioni relative agli esaminatori di patenti di guida)

 

 

L'articolo 9 interviene in materia di requisiti richiesti agli esaminatori di patenti di guida diverse da quella per gli autoveicoli (patente B).

 

La disposizione modifica la lettera a) del punto 2.2. dell'allegato IV del decreto legislativo n. 59 del 2011 (recante Attuazione delle direttive 2006/126/CE e 2009/113/CE concernenti la patente di guida) prevedendo quale requisito alternativo alla titolarità di una patente di categoria corrispondente a quella per la quale l'esaminatore è chiamato a svolgere la propria attività il possesso di un diploma di laurea in ingegneria del vecchio ordinamento o di laurea magistrale in ingegneria.

 

E' opportuno rilevare che la disposizione, diversamente da quanto precisato nella relazione tecnica, non richiede la specifica laurea in ingegneria meccanica, ma più genericamente il possesso della laurea vecchio ordinamento o di quella magistrale in ingegneria.

 

Il punto 2.2 dell'allegato reca i seguenti requisiti minimi per gli esaminatori di guida per le patenti diverse da quella B:

a) titolarità di una patente della categoria corrispondente a quella per la quale svolgono l'attività di esaminatore;

b) superamento della formazione iniziale e adempimento delle disposizioni relative alla garanzia di qualità e alla formazione continua;

c) essere stati esaminatori di guida per la patente di categoria B e aver esercitato per almeno tre anni tale funzione (tale durata è derogabile a condizione che l'esaminatore dimostri di possedere un'esperienza di guida di almeno cinque anni nella categoria interessata);

d) aver completato un'istruzione professionale che porti almeno al completamento del livello 3 come definito dalla decisione 85/368/CEE;

e) non lavorare contemporaneamente come insegnante o istruttore di guida in una scuola guida.

 

La proposta di modifica in esame, precisa la relazione illustrativa, oltre ad essere conforme a quanto stabilito dall'allegato IV della direttiva 2006/126/CE[14] risponde all'esigenza di "valorizzare le formazioni professionali di almeno una quota di dipendenti che devono abilitarsi alla funzione di esaminatore".

A ben vedere, infatti il ventennale blocco del turn-over ha impedito al Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale di assumere nuovo personale per sostituire i funzionari andati in quiescenza o dimessi. Le uniche risorse che, in questi anni, hanno implementato l’organico del Dipartimento sono funzionari provenienti da enti disciolti, ovvero in mobilità da altre Amministrazioni, i quali, pur avendo alta professionalità tecnica, non sono in possesso delle patenti di guida delle categorie richieste dall'allegato IV del decreto legislativo n. 59 e quindi non possono essere né ammessi a frequentare i corsi per esaminatori né tantomeno essere adibiti a svolgere tale mansione.

 

La modifica legislativa proposta, aggiunge sempre la relazione illustrativa, si basa sul presupposto che, per condurre i veicoli diversi dalle autovetture, è necessaria una salda conoscenza di nozioni teoriche e pratiche di fisica, di meccanica e di dinamica, che certamente sono possedute da chi è in possesso di diploma di laurea in ingegneria (secondo il nuovo ordinamento universitario). Pertanto il possesso del titolo di studio, accompagnato dal corso di qualificazione iniziale che comunque devono obbligatoriamente frequentare i funzionari che intendono conseguire l’abilitazione di esaminatore, consentirebbe di assicurare i requisiti di competenza ed affidabilità allo svolgimento delle funzioni in argomento richiesti.

 


 

Articolo 10
(Disposizioni in materia di diritti aeroportuali –
Procedura di infrazione n. 214/4187)

 

 

L'articolo 10 introdotto a seguito di un emendamento durante l’esame in Commissione in Senato – è volto a rimediare all’apertura della procedura di infrazione 2014/4187 in materia di regolazione del trasporto aereo. La procedura è allo stato della messa in mora.

 

La disposizione novella il decreto legge 24 gennaio 2012 n. 1 (convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012 n. 27) sostituendone l’articolo 73.

 

La modifica è tesa ad assegnare all’Autorità di regolazione dei trasporti (ART) – già istituita con l’art. 37 del decreto legge n. 201 del 2011 (il cosiddetto “Salva Italia”) - la funzione di regolatore indipendente dei rapporti di concessione anche quando sussista tra l’Enac e il concessionario dei servizi aeroportuali un contratto di programma.

 

Tale modificazione legislativa viene proposta per venire incontro alle obiezioni della Commissione europea, secondo cui l’Enac non sarebbe idoneo a soddisfare i requisiti dell’autorità amministrativa indipendente, cui deve essere demandata la competenza di risolvere le controversie tra autorità aeroportuale e gestori dei relativi servizi.

 

Gli articoli 6 e 11 della direttiva 2009/12/CE, infatti, prevedono che, in caso di controversie sui diritti aeroportuali, che insorgano tra l’autorità aeroportuale e l’imprenditore che ne gestisca i servizi, sia prevista un’autorità terza, innanzi alla quale la lite possa essere sottoposta e risolta, in base a criteri e condizioni non discriminatori, trasparenti e obiettivi.

 

La direttiva (art. 6, comma 5) consente – sì – agli Stati membri di non prevedere tale ruolo di un’autorità amministrativa indipendente se a monte viga un regime pubblicistico amministrato da una simile autorità, tale per cui i diritti aeroportuali siano stabiliti in via fissa e preventiva. A parere della Commissione europea, però, in Italia non sussistono queste condizioni, giacché l’Enac non potrebbe essere ritenuta un’autorità indipendente. Essa è parte dei contratti di programma con gli enti gestori dei servizi aeroportuali, la cui validità è stata prorogata in deroga alla direttiva 2009/12/CE e al citato decreto legge n. 201 del 2011.

 

La disposizione introdotta in sede referente al Senato è pertanto volta a individuare nell’ART quella competente a stabilire dirimere le eventuali liti, anche nei casi in cui siano vigenti contratti di programma. L’Enac - pertanto - non avrà più tale compito.

 

La disposizione introdotta stabilisce che l’ART attua le funzioni assegnate con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Nondimeno, si ricorda l’art. 16 del decreto legge 28 settembre 2018, n. 109 (c.d decreto Genova), di recente conversione in legge (legge n. 130 del 2018), ha ampliato le competenze dell’ART, rafforzandone le risorse.

 

 

 


 

Articolo 11
(Disposizioni relative all’IVA applicabile ai servizi di trasporto e spedizione di beni in franchigia - Procedura d’infrazione n. 2018/4000)

 

 

L’articolo 11 disciplina il regime IVA applicabile ai servizi di trasporto e spedizione dei beni in franchigia, allo scopo di archiviare la procedura di infrazione 2018/4000, attualmente allo stadio di messa in mora ex art. 258 TFUE. Con le modifiche in commento si esentano da IVA le predette prestazioni, a condizione che il loro valore sia compreso nella base imponibile, in luogo di essere concretamente assoggettato a imposta in dogana.

 

Il Governo – nella relazione illustrativa al provvedimento – ricorda che a parere della Commissione UE le vigenti disposizioni di cui all’articolo 9, comma 1, numeri 2 e 4, del D.P.R. IVA (D.P.R. n. 633 del 1972), confliggono con l’articolo 144 della Direttiva 2006/112/CE sul sistema comune dell’IVA.

 

Nell’attuale formulazione del citato articolo 9, per applicare l’esenzione IVA ai servizi di trasporto e di spedizione dei beni in esportazione, in transito o in importazione temporanea, nonché ai trasporti relativi a beni in importazione, i relativi corrispettivi devono essere assoggettati all’imposta e scontare l’IVA in dogana all’atto dell’importazione, ai sensi del primo comma dell’articolo 69 del D.P.R. n. 633 del 1972.

 

Più in dettaglio il vigente articolo 11, comma 1 del DPR IVA considera servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali, non imponibili, tra gli altri:

-           i trasporti relativi a beni in esportazione, in transito o in importazione temporanea, nonché i trasporti relativi a beni in importazione, i cui corrispettivi sono assoggettati all'imposta a norma del primo comma dell'articolo 69 del medesimo DPR (n.2);

-          i servizi di spedizione relativi ai trasporti di persone, eseguiti in parte nel territorio dello Stato e in parte in territorio estero in dipendenza di unico contratto, ai trasporti di beni in esportazione, in transito o in temporanea importazione, nonché ai trasporti di beni in importazione, sempreché i corrispettivi dei servizi di spedizione siano assoggettati all'imposta a norma del primo comma dell'art. 69; i servizi relativi alle operazioni doganali (n. 4).

 

L'articolo 69, al primo comma, commisura l’IVA sui beni importati al valore dei beni medesimi, determinato ai sensi delle disposizioni in materia doganale, aumentato dell'ammontare dei diritti doganali dovuti (ad eccezione dell'imposta sul valore aggiunto) nonché dell'ammontare delle spese d'inoltro fino al luogo di destinazione all'interno del territorio della UE che figura sul documento di trasporto sotto la cui scorta i beni sono introdotti nel territorio medesimo.

 

L’articolo 144 della Direttiva IVA (direttiva 2006/112/CE) consente agli Stati membri di esentare da imposta le prestazioni di servizi connesse con l'importazione di beni, purché il loro valore sia compreso nella base imponibile, conformemente all'articolo 86, paragrafo 1, lettera b).

L’articolo 86, paragrafo 1, lettera b) dispone che siano comprese nella base imponibile le spese accessorie quali le spese di commissione, di imballaggio, di trasporto e di assicurazione, che sopravvengono fino al primo luogo di destinazione dei beni nel territorio dello Stato membro d'importazione, nonché quelle risultanti dal trasporto verso un altro luogo di destinazione situato in UE, qualora quest'ultimo sia noto nel momento in cui si verifica il fatto generatore dell'imposta.

 

Coerentemente a quanto esposto, al fine di consentire l’archiviazione della procedura, le lettere a) e b) dell’articolo 9, comma 1, novellano rispettivamente l’articolo 9, comma 1, n. 2 e 4 del D.P.R. IVA, sostituendo il riferimento all’assoggettamento ad imposta con il riferimento all’inclusione nella base imponibile, al fine di superare i rilievi mossi dalla Commissione.

 

La lettera c) modifica l’articolo 9, comma 1, n. 4-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, che nella formulazione vigente qualifica come non imponibili i servizi accessori relativi alle piccole spedizioni di carattere non commerciale e alle spedizioni di valore trascurabile (di cui alle direttive 2006/79/CE del Consiglio, del 5 ottobre 2006, e 2009/132/CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009) purché i corrispettivi dei servizi accessori abbiano concorso alla formazione della base imponibile ai sensi dell'articolo 69 del DPR IVA, ancorché la medesima base imponibile non sia stata assoggettata all'imposta.

La Commissione al riguardo ha rilevato che detta disposizione non è in linea con l’articolo 144 della menzionata direttiva IVA, in quanto limita la prescrizione alle importazioni di beni di modico valore ed alle piccole spedizioni.

Al fine di superare anche tale rilievo, con la lettera c) si modifica il n. 4-bis del primo comma dell’articolo 9 del D.P.R. n. 633/1972, eliminando il riferimento alle piccole spedizioni e a quelle di carattere non commerciale, ovvero di valore trascurabile.

 

Procedura di contenzioso

 

Il 19 luglio 2018 la Commissione europea ha inviato una lettera di costituzione in mora all’Italia chiedendole di uniformare alle norme dell'UE le sue regole in materia di IVA sulla prestazione di servizi connessi all'importazione di beni.

Secondo la Commissione europea (che richiama anche la sentenza C-273/16, EU:C:2017:733 della Corte di giustizia del 4 ottobre 2017, Agenzia delle Entrate contro Federal Express Europe Inc., in particolare i punti 40 e 46), ai fini dell'applicazione dell'esenzione dall'IVA sui servizi accessori (ivi compresi i servizi di trasporto), la legislazione italiana (articolo 9 DPR n. 633/72) prevede non solo l'inclusione del valore di detti servizi nella base imponibile, ma anche lo sconto dell'IVA in dogana all'atto dell'importazione, contravvenendo in tal modo agli obblighi imposti dal combinato disposto degli articoli 86, paragrafo l, lettera b), e 144 della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (cosiddetta direttiva IVA), secondo cui, nei limiti in cui le spese di trasporto sono comprese nella base imponibile dell’operazione d'importazione esentata, anche la prestazione di servizio accessoria deve essere esentata dall'IVA. Ne consegue che le spese di trasporto riguardanti l'importazione definitiva di beni devono essere esentate dall'IVA, sempre che il loro valore sia compreso nella base imponibile, anche se non hanno scontato l'IVA in dogana all'atto dell'importazione.


 

Articolo 12
(Disposizioni relative ai termini di prescrizione delle obbligazioni doganali)

 

 

L’articolo 12 novella l’articolo 84 del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, che reca il Testo Unico in materia doganale (TULD), con particolare riferimento ai termini di prescrizione dell’obbligazione doganale, al fine di garantire piena attuazione al Nuovo Codice Doganale dell’Unione, Regolamento (UE) n. 952 del 9 ottobre 2013.

Le norme in esame rimandano, per i termini di notifica dell’obbligazione doganale, alle vigenti disposizioni dell’Unione Europea; ove l’obbligazione doganale sorga a seguito di un comportamento penalmente perseguibile, il termine per la notifica dell’obbligazione doganale è fissato in sette anni.

 

Il vigente articolo 84 del TU doganale, che riguarda la riscossione dei diritti doganali, fissava originariamente in cinque anni il termine di prescrizione del relativo potere. Tale termine è stato ridotto a tre anni ai sensi dell’articolo 29, comma 1, della L. 29 dicembre 1990, n. 428.  Detto articolo 84 fissa i termini di decorrenza di tale prescrizione.

Il termine di tre anni decorre:

a) dalla data della bolletta doganale, per i diritti in essa liquidati e non riscossi in tutto o in parte, per qualsiasi causa, o dovuti in conseguenza di errori di calcolo nella liquidazione o di erronea applicazione delle tariffe;

b) dalla data del termine fissato nella bolletta di cauzione, di cui all'art 141 per la presentazione delle merci alla dogana di destinazione, quando si tratta di diritti doganali dovuti in conseguenza della spedizione delle merci ad altra dogana od in transito. Si ricorda che ai sensi del richiamato articolo 141, la dogana può consentire che le merci estere ad essa presentate siano spedite, per ulteriori operazioni doganali, ad altra dogana. A garanzia dell'obbligo della presentazione delle merci alla dogana di destinazione nei termini di legge, il proprietario deve prestare cauzione per una somma pari all'importo dei diritti gravanti sulla merce;

 c) dalla data della chiusura dei conti di magazzino delle singole partite, per i diritti dovuti in conseguenza del movimento delle merci depositate nei magazzini doganali e nei magazzini di temporanea custodia;

d) dalla data in cui i diritti sono divenuti esigibili, in ogni altro caso.

 

L’articolo 84 TULD, nella sua formulazione vigente, disciplina anche il caso in cui il mancato pagamento, totale o parziale, dei diritti dipende da un reato (comma 2). In tal caso il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il decreto o la sentenza, pronunciati nel procedimento penale, sono divenuti irrevocabili.

 

Come riferisce al riguardo la relazione illustrativa, in relazione ai termini di prescrizione dell’obbligazione in presenza di reato, l’articolo 84, comma 2, del TULD è stato interpretato dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 26045/2016 e ordinanza n. 24674/2015) nel senso che l’azione di recupero dei diritti doganali, in presenza di fattispecie penalmente rilevanti, può essere avviata dopo la scadenza del termine di prescrizione triennale, purché sia stata trasmessa all’autorità giudiziaria, entro il suddetto termine di prescrizione, la notizia di reato.

Tale interpretazione appariva in linea con il precedente Codice Doganale Comunitario, regolamento (CEE) n. 2913/92.

L’articolo 221, terzo paragrafo del regolamento del 1992 fissava il termine massimo di tre anni per la comunicazione al debitore dell’importo del dazio. Tuttavia il quarto paragrafo dell’articolo 221 contemplava espressamente il caso di obbligazione doganale nata a seguito di un atto che, nel momento in cui è stato commesso, era perseguibile penalmente: in tale ipotesi la comunicazione al debitore dell’importo dei dazi poteva essere effettuata anche dopo la scadenza del termine di tre anni.

La norma, rinviando in sostanza agli ordinamenti degli Stati membri la regolamentazione della notifica della pretesa tributaria in caso di obbligazione doganale derivante da fatti penalmente rilevanti, rendeva applicabile la normativa e la prassi di settore adottate dall’ordinamento nazionale, in base alle quali, in presenza di reato, l’avviso di pagamento poteva essere notificato anche dopo il triennio, purché la “notitia criminis” fosse stata trasmessa all’autorità giudiziaria entro il triennio stesso.

 

Le norme nazionali non sono tuttavia più in linea con il regolamento (UE) n. 952/2013 del 9 ottobre 2013, recante il nuovo Codice doganale dell’Unione.

Ai sensi dell’articolo 103 del nuovo Codice, nessuna obbligazione doganale può essere notificata al debitore dopo la scadenza di un termine di tre anni dalla data in cui è sorta l'obbligazione doganale.

Il comma 2 dell’articolo 103 prevede tuttavia che, se l'obbligazione doganale sorge in seguito a un atto che nel momento in cui è stato commesso era perseguibile penalmente, il termine di tre anni sia esteso a minimo cinque anni e massimo dieci anni, conformemente al diritto nazionale.

Di conseguenza, a decorrere dal 1° maggio 2016 (data di entrata in vigore della predetta prescrizione; articolo 288, comma 2 del Codice), gli uffici doganali non possono notificare il debito e di riscuotere i dazi, qualora la pretesa tributaria non sia notificata agli operatori entro tale termine.

 

Con le norme in esame viene dunque sostituito integralmente l’articolo 84 del TULD.

In particolare la nuova disposizione (nuovo articolo 84, comma 1), chiarisce che i termini per la notifica dell’obbligazione doganale avente ad oggetto diritti doganali sono disciplinati dalle vigenti disposizioni dell’Unione Europea.

Al comma 2 è previsto che, qualora l’obbligazione doganale sorga a seguito di un comportamento penalmente perseguibile, il termine per la notifica dell’obbligazione doganale è di sette anni.

La relazione illustrativa al riguardo chiarisce che la previsione di un termine ultraquinquennale per le violazioni doganali più gravi, quali quelle aventi rilevanza penale, è coerente con la scelta operata anche in materia di imposte sui redditi e sull’IVA dalla normativa nazionale, che ha elevato i termini di decadenza dell’accertamento, nel caso di omissione della prescritta dichiarazione annuale, a sette anni.

Infine, al comma 3 è precisato che la nuova disciplina si applica alle obbligazioni doganali sorte dal 1° maggio 2016, data di applicazione del nuovo codice doganale dell’Unione.

 

Si segnala che la norma in esame appare derogare all’articolo 3 della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei contribuenti) in tema di efficacia temporale delle norme tributarie, il quale prevede che le disposizioni tributarie non possano avere effetto retroattivo; inoltre occorrerebbe verificare se, in concreto, la norma in esame sia compatibile con il divieto (articolo 3, comma 3 dello Statuto) di prorogare i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposte.


 

Articolo 13
(Disposizioni relative alla partecipazione alle aste delle quote di emissioni dei gas a effetto serra)

 

 

L’articolo 13 contiene disposizioni per la piena attuazione del regolamento (UE) n. 1031/2010, che disciplina a sua volta i tempi, la gestione e altri aspetti della vendita all’asta delle quote di emissioni dei gas a effetto serra.

 

Lo European Union Emissions Trading Scheme (EU ETS) è il sistema per lo scambio di quote di emissione di gas serra finalizzato alla riduzione di tali emissioni inquinanti nell’Unione europea. Il sistema si basa sulla assegnazione di quote agli impianti produttivi caratterizzati da rilevante impatto ambientale sull'atmosfera. Dal 2013 l'assegnazione avviene a titolo oneroso attraverso piattaforme d’asta gestite da mercati regolamentati ai sensi del regolamento n. 1031/2010.

 

Come segnalato dal Governo nella relazione, ad oggi, le aste si svolgono su due mercati: lo European Energy Exchange, (EEX) con sede a Lipsia, e l’ICE Futures Europe (ICE), con sede a Londra, che si sono aggiudicati le gare d’appalto di tutte le piattaforme d’asta istituite dal regolamento. Il numero di quote che ciascuno Stato (per l’Italia è il GSE – Gestore dei Servizi Energetici) mette all’asta è determinato prevalentemente sulla base delle emissioni storiche delle installazioni rientranti nello schema e presenti sul proprio territorio nazionale. Almeno la metà dei proventi delle aste di quote per gli impianti fissi – e tutti i ricavi delle aste di quote per gli operatori aerei – deve essere utilizzata dagli Stati membri in azioni volte a combattere il cambiamento climatico.

 

I produttori di energia elettrica e gli impianti che si occupano di cattura, trasporto e stoccaggio di CO2 (CCS) devono approvvigionarsi sul mercato delle quote necessarie per acquisire "permessi di emissione". Manifattura e aviazione ricevono parte delle quote a titolo gratuito e ricorrono alle aste per la parte rimanente.

 

Alle aste prendono parte intermediari finanziari che contribuiscono ad aumentare la liquidità del mercato primario e secondario. Dal 3 gennaio 2018, la quota di emissione è classificata come strumento finanziario ai sensi delle disposizioni del pacchetto MiFID II (direttiva 2014/65/UE e regolamento n. 600/2014).

 

L'articolo 4-terdecies, comma 1, lettera l), del TUF, nell'identificazione dei soggetti ai quali non si applicano le disposizioni della Parte II del TUF (disciplina degli intermediari) menziona i coloro che: “i) compresi i market maker, [..] negoziano per conto proprio strumenti derivati su merci o quote di emissione o derivati dalle stesse, esclusi quelli che negoziano per conto proprio eseguendo ordini di clienti; o ii) che prestano servizi di investimento diversi dalla negoziazione per conto proprio, in strumenti derivati su merci o quote di emissione o strumenti derivati dalle stesse ai clienti o ai fornitori della loro attività principale; purché: 1) per ciascuno di tali casi, considerati sia singolarmente che in forma aggregata, si tratti di un’attività accessoria alla loro attività principale considerata nell’ambito del gruppo, purché tale attività principale non consista nella prestazione di servizi di investimento ai sensi del [TUF], di attività bancarie ai sensi del Testo unico bancario o in attività di market making in relazione agli strumenti derivati su merci; 2) tali soggetti non applichino una tecnica di negoziazione algoritmica ad alta frequenza; e 3) detti soggetti comunichino formalmente, entro il 31 dicembre di ogni anno alla Consob, se si servono di tale esenzione e, su richiesta della Consob, su quale base ritengono che la loro attività ai sensi dei punti i) e ii) sia accessoria all’attività principale”.

 

Il regolamento n. 1031/2010, all'articolo 18, paragrafo 3, precisa che le banche e le imprese di investimento possono chiedere di essere ammesse a partecipare direttamente all’asta per conto dei loro clienti in riferimento a prodotti non costituiti da strumenti finanziari, purché lo Stato membro in cui essi sono stabiliti abbia adottato una normativa che consenta alle autorità nazionali competenti di autorizzare tali soggetti a presentare offerte per conto dei loro clienti.

 

Inoltre, l’articolo 59, paragrafo 4, del medesimo regolamento europeo, che stabilisce norme di condotta per alcuni dei soggetti ammessi a presentare offerte per conto di terzi, prevede che “le autorità nazionali competenti designate dagli Stati membri in cui sono stabiliti i soggetti di cui al paragrafo 1 [fra cui enti creditizi e imprese di investimento] provvedono ad autorizzare tali soggetti ad esercitare le attività contemplate dallo stesso paragrafo [presentare offerte per conto di terzi], nonché a far rispettare le norme di condotta di cui ai paragrafi 2 e 3, in particolare attraverso il trattamento delle denunce presentate per violazione di tali norme.”.

 

Con specifico riferimento alle ipotesi di revoca dell’autorizzazione concessa ai soggetti legittimati ad operare su mercato delle quote di emissione, a norma dell'articolo 59, paragrafo 6, lettera b), del regolamento europeo “[…] lo Stato membro procura che: […] sia predisposto un procedimento per il trattamento delle denunce e la revoca dell’autorizzazione in caso di inadempimento degli obblighi inerenti alla stessa”. Inoltre, il successivo paragrafo 7 prevede che “I clienti degli offerenti di cui al paragrafo 1 possono presentare denuncia alle autorità competenti di cui al paragrafo 3 per inosservanza delle norme di condotta di cui al paragrafo 2, secondo le regole procedurali vigenti per il trattamento delle denunce nello Stato membro che vigila sul soggetto di cui al paragrafo 1”.

 

Per dare piena attuazione a tali previsioni, il comma 1, lettera a), dell’articolo in esame introduce, nell’ambito della disciplina degli intermediari, Parte II del TUF, il nuovo articolo 20-ter sull’autorizzazione e la vigilanza dei soggetti legittimati a presentare domanda di partecipazione al mercato delle aste, ai sensi del regolamento europeo.

 

Il comma 1 del nuovo articolo 20-ter, in attuazione dell'articolo 18, paragrafo 2, del regolamento europeo, attribuisce alla CONSOB della competenza ad autorizzare i soggetti che beneficiano dell’esenzione prevista dalla MiFID II a presentare offerte nel mercato delle quote di emissioni, con conseguente attribuzione anche del compito di vigilare sul rispetto, da parte di questi ultimi, delle regole di comportamento stabilite dall’articolo 59 del medesimo regolamento. In premessa, il comma 1 specifica inoltre che gli intermediari autorizzati hanno la facoltà di presentare offerte in conto proprio, come previsto dall'articolo 18, paragrafo 1, lettere b) e c), del regolamento (UE) n. 1031/2010.

 

Il comma 2 attribuisce alla CONSOB, nell'esercizio della vigilanza sui soggetti autorizzati ai sensi del precedente comma 1, tutti i poteri di vigilanza (informativi, di indagine, ispettivi e di intervento, nonché la potestà di adottare provvedimenti ingiuntivi) previsti con riferimento agli intermediari abilitati.

 

Il comma 3 sancisce che le banche e le imprese di investimento autorizzate a norma della disciplina bancaria e finanziaria vigente e iscritte nei rispettivi albi, sono altresì autorizzate di diritto a operare nel mercato delle aste delle quote di emissione per conto dei loro clienti qualora risultino già autorizzate alla prestazione dei servizi di investimento di negoziazione per conto proprio e/o esecuzione di ordini.

 

Fermo restando quanto stabilito dall'articolo 6, commi 2 e 2-bis, del TUF con riferimento ai criteri per l'esercizio dei poteri regolamentari, l'articolo in esame attribuisce alla CONSOB la facoltà di dettare disposizioni di attuazione dell’articolo 59 del regolamento n. 1031/2010. In particolare, tale potestà è attribuita con riferimento alle regole di condotta che i soggetti legittimati a presentare domanda di partecipazione al mercato delle aste sono tenuti ad osservare (paragrafi 2 e 3 del regolamento europeo), nonché alla procedura di autorizzazione dei soggetti esentati ai sensi della MiFID II e all’eventuale revoca dell’autorizzazione in caso di violazioni gravi e sistematiche delle norme di condotta (paragrafi 4, 5 e 6 dello stesso regolamento europeo).

 

Infine, l’articolo 59, paragrafo 6, lettera a), del regolamento n. 1031/2010 dispone che le competenti autorità nazionali possano applicare “sanzioni efficaci, proporzionali e dissuasive” in caso di violazione delle regole prescritte.

 

Conseguentemente, il comma 1, lettere b), c) e d), dell’articolo in esame apporta le necessarie integrazioni alla Parte V del TUF (Sanzioni) al fine di prevedere l’applicazione delle sanzioni amministrative già previste con riferimento agli intermediari abilitati nei confronti dei responsabili delle violazioni delle disposizioni dettate dall’articolo 59, paragrafi 2, 3 (relativi alle regole di comportamento) e 5 (relativo alle condizioni per l'autorizzazione) del regolamento (UE) n. 1031/2010 e delle relative disposizioni di attuazione.

 

Il comma 2 dell'articolo 13 reca infine la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che le amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti derivanti dall'attuazione della delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

Articolo 14
(Abrogazione di aiuto di Stato individuale previsto dalla legge 27 dicembre 2017, n. 205 – Caso SA 50464 (2018/N))

 

 

La legge di bilancio per il 2018 (l. 27 dicembre 2017, n. 2015, approvata con votazione fiduciaria in articolo unico dal Senato il 23 dicembre 2017), al comma 1087 reca testualmente:

 

Al fine di affermare un modello digitale italiano come strumento di tutela e valorizzazione economica e sociale del made in Italy e della cultura sociale e produttiva della tipicità territoriale, è assegnato un contributo pari a 1.000.000 di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020 in favore dell'istituto IsiameD per la promozione di un modello digitale italiano nei settori del turismo, dell'agroalimentare, dello sport e delle smart city.

 

L'articolo 14 - introdotto nel corso dell'esame in Commissione in Senato - abroga la disposizione, la quale aveva assegnato – come riportato sopra - un contributo pari a un milione di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020 in favore dell'Istituto italiano per l'Asia e il Mediterraneo (IsiameD).

 

Con comunicazione del 4 aprile 2018 (inviata ai sensi dell’art. 108 TFUE), la Commissione europea ha segnalato che, poiché le autorità italiane non avevano notificato la misura - comunicata il 16 febbraio 2018 - ai fini della certezza del diritto né avevano messo in discussione la sua natura di aiuto, qualificandola piuttosto come misura di aiuto ad hoc a favore di una PMI, i servizi della Commissione ne hanno tratto che essa costituisse effettivamente un aiuto di Stato ai sensi dell'art. 107 TFUE.

La Commissione si è dunque riservata la valutazione di compatibilità con il mercato interno, pur affermando che prima facie sembravano mancare basi giuridiche dell'UE che potessero fondare l’ammissibilità del finanziamento diretto. Tanto più che – non essendo il contributo destinato a profili particolari di investimento o di altre spesse ammesse – se ne doveva concludere che si tratti di "aiuto al funzionamento" e, in quanto tale, generalmente vietata, salvo alcune eccezioni non ritenute però pertinenti nel caso in questione (al riguardo v., in particolare, le deroghe possibili previste nei commi 2 e 3 del menzionato art. 107).

A seguito della comunicazione ricevuta, nella risposta dell'11 maggio 2018, il Governo italiano ha fatto presente di aver sospeso l'erogazione del contributo al soggetto beneficiario, specificando di non disporre di elementi a sostegno della compatibilità della misura legislativa contestata con l’art. 2107 TFUE.

Nella successiva comunicazione del 7 giugno 2018, la Commissione – preso atto che il Governo non contestava la natura di aiuto di Stato dell’art. 1, comma 1087, della legge di bilancio per il 2018 – lo ha sollecitato ad adottare le misure idonee a rimuovere il contrasto con il diritto dell’UE e a comunicargliene il contenuto.

Per completezza si ricorda, a proposito di aiuti di Stato, che il regolamento UE 2013/1407 sul c.d. de minimis consente aiuti diretti a determinate categorie d’imprese (v. l’art. 1) ed entro il limite dei 200 mila euro nel triennio (soglia che in questo caso risulta superata). L’abrogazione dell’art. 1, comma 1087, della legge n. 205 del 2017 ha lo scopo ultimo di evitare una procedura d’infrazione ai sensi del combinato disposto degli art. 108, comma 2, e 258 TFUE.

 

 


 

Articolo 15
(Attuazione della Direttiva 2017/1564/UE relativa a taluni utilizzi di opere protette da diritto d‘autore e da diritti connessi consentiti a persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa)

 

 

L’articolo 15, ulteriormente modificato durante l’esame alla Camera, reca disposizioni attuative della Direttiva (UE) 2017/1564, che mira a garantire che le persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa abbiano accesso ai libri e ad altri tipi di pubblicazioni – compresi gli spartiti musicali –, su qualsiasi supporto, anche in formato audio, e in formato digitale.

A tal fine, prevede eccezioni al diritto d’autore e ai diritti connessi[15], novellando l’art. 71-bis della L. 633/1941 con l’aggiunta di dodici nuovi commi (da 2-bis a 2-terdecies) che, sostanzialmente, riprendono le previsioni della Direttiva.

 

Preliminarmente, dunque, si evidenzia che, vertendosi anche in materia di diritti connessi, occorrerebbe valutare se le nuove disposizioni non debbano essere collocate nel Titolo III (Disposizioni comuni) della L. 633/1941, piuttosto che nell’art. 71-bis, inserito nel Titolo I (Disposizioni sul diritto d’autore).

 

Gli Stati membri dovevano conformarsi alla Direttiva entro l’11 ottobre 2018. Al riguardo, il Ministro per gli affari europei, con lettera del 27 novembre 2018, ha trasmesso alla Camera la comunicazione concernente l'avvio della procedura di infrazione.

 

La relazione illustrativa all’A.S. 822 evidenziava che sulla questione era stato consultato il Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore (previsto dall’art. 190 della L. 633/1941).

 

In argomento, si ricorda che la Direttiva 2001/29/CE ha disposto, all’art. 5, par. 3), lett. b), che gli Stati membri hanno la facoltà di disporre eccezioni o limitazioni al diritto di riproduzione e al diritto di comunicazione di opere al pubblico, compreso il diritto di mettere a disposizione del pubblico altri materiali protetti, quando si tratti di un utilizzo a favore di portatori di handicap, sempreché l'utilizzo sia collegato all'handicap, non abbia carattere commerciale e si limiti a quanto richiesto dal particolare handicap.

Questa previsione è stata recepita nell’ordinamento italiano con l’art. 9 del d.lgs. 68/2003 che, per quanto qui interessa, ha introdotto gli artt. 71-bis e 71-quinquies nell’ambito del Capo V (Eccezioni e limitazioni) del Titolo I (Disposizioni sul diritto d’autore) della L. 633/1941.

In particolare, l’art. 71-bis ha disposto che ai portatori di “particolari” handicap sono consentite, per uso personale, la riproduzione di opere e materiali protetti o l'utilizzazione della comunicazione al pubblico degli stessi, purché siano direttamente collegate all'handicap, non abbiano carattere commerciale e si limitino a quanto richiesto dall'handicap.

Le relative specifiche sono state definite con D.M. 14 novembre 2007, n. 239, che ha precisato che il riferimento è alle persone con disabilità sensoriale, la cui situazione sia stata accertata ai sensi della L. 104/1992, e che la riproduzione e l'utilizzazione della comunicazione al pubblico di opere e materiali protetti può anche essere effettuata per il tramite delle associazioni e delle federazioni di categoria rappresentative dei beneficiari, che non perseguono scopo di lucro, sulla base di appositi accordi.

A sua volta, l’art. 71-quinquies, co. 2-3, della L. 633/1941 ha disposto che i titolari dei diritti sono tenuti ad adottare idonee soluzioni, anche mediante la stipula di appositi accordi con le associazioni di categoria rappresentative dei beneficiari, per consentire l'esercizio – per quanto qui interessa – delle eccezioni di cui all’art. 71-bis, su espressa richiesta dei beneficiari e a condizione che i beneficiari stessi abbiano avuto accesso legittimo agli esemplari dell’opera o del materiale protetto ai fini del loro utilizzo. In particolare, i titolari dei diritti non sono tenuti a tali adempimenti in relazione alle opere o materiali messi a disposizione del pubblico in modo che ciascuno vi possa avere accesso dal luogo o nel momento scelto individualmente, quando l'accesso avvenga sulla base di accordi contrattuali.

 

Successivamente, il Trattato di Marrakesh – firmato per conto dell’Unione europea il 30 aprile 2014[16] – ha imposto alle parti contraenti di prevedere eccezioni o limitazioni al diritto d'autore e ai diritti connessi per la realizzazione e la diffusione di copie in formati accessibili di determinate opere e di altro materiale protetto e per lo scambio transfrontaliero di tali copie, per gli utilizzi da parte delle categorie delle persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa.

Conseguentemente, la Direttiva (UE) 2017/1564 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 settembre 2017, ha attuato gli obblighi imposti all’Unione dal medesimo Trattato, ampliando lo spettro delle eccezioni già previste dalla Direttiva 2001/29/CE e inserendo all’art. 5, par. 3, della Direttiva del 2001 il riferimento ai nuovi obblighi da essa derivanti.

In particolare, il punto (6) dei consideranda della Direttiva del 2017 ha evidenziato che “poiché le eccezioni o le limitazioni previste dal trattato di Marrakesh riguardano anche le opere in formato audio, come gli audiolibri, le eccezioni obbligatorie previste dalla presente direttiva dovrebbero applicarsi anche ai diritti connessi”.

 

Al riguardo, si evidenzia, per completezza, che – come ricorda anche il punto (22) dei consideranda della Direttiva (UE) 2017/1564 – il trattato di Marrakesh impone taluni obblighi relativamente allo scambio di copie in formato accessibile tra l’Unione e i paesi terzi che sono parti contraenti del trattato, e che le misure adottate dall’Unione per l’adempimento di tali obblighi sono contenute nel Regolamento (UE) 2017/1563 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 settembre 2017, che si applica negli Stati membri a decorrere dal 12 ottobre 2018.

 

In base all’art. 9 della Direttiva (UE) 2017/1564, entro l’11 ottobre 2020 la Commissione europea presenterà una relazione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo sulla disponibilità, in formati accessibili, di opere e di altri materiali diversi da quelli considerati dalla stessa Direttiva, ovvero destinati a persone con disabilità diverse da quelle dalla medesima considerate.

In base all’art. 10, entro l’11 ottobre 2023 la Commissione europea procederà ad una valutazione della Direttiva e presenterà le principali conclusioni in una relazione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo – a tal fine utilizzando le informazioni fornite dagli Stati membri –, eventualmente con proposte di modifica. La valutazione comprenderà la verifica dell’impatto dei sistemi di indennizzo previsti dagli Stati (l’art. 3, par. 6, della Direttiva, infatti, dispone che gli Stati membri possono prevedere che gli utilizzi consentiti, qualora effettuati da entità autorizzate stabilite nel loro territorio, siano soggetti a sistemi di indennizzo entro limiti previsti dalla medesima Direttiva[17]).

 

Inoltre, lo stesso art. 10 dispone che, qualora uno Stato membro abbia validi motivi per ritenere che l’attuazione della Direttiva abbia avuto un notevole impatto negativo sulla disponibilità commerciale di opere o altro materiale in formati accessibili per i beneficiari, può sottoporre la questione all’attenzione della Commissione.

 

 

 

Soggetti beneficiari dell’eccezione

 

Il co. 2-ter dell’art. 71-bis della L. 633/1941 dispone che beneficiari dell’eccezione sono – indipendentemente da altre forme di disabilità – persone:

·        non vedenti;

·        con una disabilità visiva che non può essere migliorata o con disabilità percettiva o di lettura, che per questo non siano in grado di leggere le opere stampate in misura sostanzialmente equivalente a quella di una persona priva di tale disabilità.

·        Al riguardo, il punto (7) dei consideranda della Direttiva precisa che fra le disabilità percettive o di lettura sono compresi “la dislessia o qualsiasi altro disturbo dell'apprendimento”;

·        con una disabilità fisica che impedisce loro di tenere o di maneggiare un libro, oppure di fissare o spostare lo sguardo nella misura che sarebbe normalmente necessaria per leggere[18].

 

Oggetto dell’eccezione

 

Il co. 2-bis dell’art. 71-bis della L. 633/1941 stabilisce che l’eccezione riguarda le opere letterarie, fotografiche e delle arti figurative in forma di libri, riviste, quotidiani, rotocalchi o altri tipi di scritti, notazioni, compresi gli spartiti musicali, e relative illustrazioni, su qualsiasi supporto, anche in formato audio, quali gli audiolibri, e in formato digitale, protette da diritto d’autore o da diritti connessi, pubblicate o altrimenti rese lecitamente accessibili al pubblico[19].

 

L’eccezione si sostanzia, innanzitutto, nel principio secondo cui sono liberi la riproduzione, la comunicazione al pubblico e la messa a disposizione del pubblico, la distribuzione e il prestito delle opere sopra indicate, previa trasformazione in copie in formato accessibile, ossia in formato tale da consentire al beneficiario di averne accesso in maniera agevole e confortevole come una persona che non ha alcuna delle disabilità indicate nel co. 2-ter[20].

Il punto (7) dei consideranda della Direttiva precisa che i formati accessibili includono, ad esempio, braille, stampa a caratteri grandi, e-book adattati, audiolibri e trasmissioni radiofoniche.

 

L’eccezione opera esplicitamente in deroga a specifiche disposizioni della stessa L. 633/1941.

Si tratta, in particolare, di: art. 13 (diritto esclusivo di riprodurre); art. 16 (diritto esclusivo di comunicazione al pubblico); art. 17 (diritto esclusivo di distribuzione), art. 18-bis, co. 2 (diritto esclusivo di dare in prestito); art. 64-bis (diritti esclusivi sui programmi per elaboratore); art. 64-quinquies (diritti esclusivi sulle banche dati); art. 72, co. 1, lett. a), b) e d) (diritto esclusivo del produttore di fonogrammi di autorizzare la riproduzione dei fonogrammi, la distribuzione degli esemplari dei suoi fonogrammi, e la messa a disposizione del pubblico); art. 78-ter, co. 1, lett. a), b) e d) (diritto esclusivo del produttore di opere cinematografiche o audiovisive o di sequenze di immagini in movimento di autorizzare la riproduzione degli originali e delle copie delle proprie realizzazioni, la distribuzione dell'originale e delle copie di tali realizzazioni, e la messa a disposizione del pubblico dell'originale e delle copie delle proprie realizzazioni); art. 79, co. 1, lett. b), d) ed e) (diritto esclusivo di coloro che esercitano l'attività di emissione radiofonica o televisiva di autorizzare la riproduzione delle fissazioni delle proprie emissioni, la messa a disposizione del pubblico in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso nel luogo o nel momento scelti individualmente, delle fissazioni delle proprie emissioni, e di autorizzare la distribuzione delle fissazioni delle proprie emissioni); art. 80, co. 2, lett. b), c) ed e) (diritto esclusivo di interpreti ed esecutori di autorizzare la riproduzione della fissazione delle loro prestazioni artistiche, la comunicazione al pubblico nonché la diffusione via etere e la comunicazione via satellite delle proprie prestazioni artistiche dal vivo, e la distribuzione delle fissazioni delle loro prestazioni artistiche); art. 102-bis (diritti del costitutore di una banca di dati).

 

In particolare, in base al co. 2-quinquies dell’art. 71-bis della L. 633/1941 è consentito:

·        a un beneficiario, o a persona che agisce per suo conto, di realizzare, per suo uso esclusivo, una copia in formato accessibile di un’opera cui il beneficiario stesso ha legittimamente accesso;

·        ad una entità autorizzata (v. infra), di realizzare, senza scopo di lucro, una copia in formato accessibile di un’opera cui ha legittimamente accesso, ovvero, sempre senza scopo di lucro, di comunicare, mettere a disposizione, distribuire o dare in prestito la stessa copia a un beneficiario o a un’altra entità autorizzata, affinché sia destinata a un uso esclusivo da parte di un beneficiario[21].

 

Il co. 2-octies dell’art. 71-bis della L. 633/1941 chiarisce che l’esercizio di tali attività è consentito nei limiti giustificati dal fine perseguito, per finalità non commerciali, dirette o indirette, e senza scopo di lucro, e che gli utilizzi consentiti non devono porsi in contrasto con lo sfruttamento normale dell’opera e non devono arrecare ingiustificato pregiudizio ai legittimi interessi dei titolari dei relativi diritti[22].

Stabilisce, inoltre, che l’esercizio di tali attività non è subordinato al rispetto di ulteriori requisiti da parte dei beneficiari e che le clausole contrattuali dirette ad impedire o limitare l’applicazione dell’eccezione introdotta sono prive di effetti giuridici[23].

 

Disposizioni specifiche riguardanti la trasformazione dell’opera in formato accessibile

 

In base al co. 2-quater dell’art. 71-bis della L. 633/1941, la trasformazione dell’opera attiene alle operazioni necessarie per apportare modifiche, convertire o adattare un’opera ai fini della produzione di una copia in formato accessibile e ricomprende anche le modifiche che possono essere necessarie nei casi in cui il formato di un’opera sia già accessibile a taluni beneficiari, ma non ad altri, per via delle diverse disabilità.

 

In base al co. 2-septies dell’art. 71-bis della L. 633/1941, sono consentite unicamente le modifiche, le conversioni e gli adattamenti strettamente necessari per rendere l’opera accessibile in base alle necessità specifiche dei beneficiari.

Ogni copia in formato accessibile deve rispettare l’integrità dell’opera e deve essere sempre accompagnata dalla menzione del titolo, dei nomi di autori, editori e traduttori della stessa, nonché di eventuali ulteriori indicazioni che figurano sull’opera stessa[24].

Nel determinare se modifiche, conversioni e adattamenti sono necessari, i beneficiari non hanno l’obbligo di condurre verifiche sulla disponibilità di altre versioni accessibili dell’opera.

All’entità autorizzata non si applica l’eccezione qualora siano già disponibili in commercio versioni accessibili di un’opera o di altro materiale, fatta però salva – secondo la modifica approvata in XIV Commissione – la possibilità di miglioramento dell’accessibilità o della qualità degli stessi.

 

 

Disposizioni specifiche riguardanti le entità autorizzate

 

In base al co. 2-sexies, primo periodo, dell’art. 71-bis della L. 633/1941, per “entità autorizzata” si intende un’entità, pubblica o privata, riconosciuta o autorizzata “secondo le norme vigenti” a fornire ai beneficiari, senza scopo di lucro, istruzione, formazione, possibilità di lettura adattata o accesso alle informazioni.

In tale categoria rientrano “anche”, in base al secondo periodo dello stesso comma, gli enti pubblici o le organizzazioni senza scopo di lucro che forniscono ai beneficiari istruzione, formazione, possibilità di lettura adattata o accesso alle informazioni come loro attività primarie, obbligo istituzionale o come parte delle loro missioni di interesse pubblico[25].

 

Si valuti l’opportunità di esplicitare meglio quali altri soggetti rientrino tra le entità autorizzate (oltre agli enti indicati nel secondo periodo del co. 2-sexies).

 

Le entità autorizzate stabilite sul territorio nazionale devono trasmettere al Mibac una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che ne attesti la denominazione, i dati identificativi, il possesso dei requisiti richiesti, nonché i “contatti”[26].

Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, emanato, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, di concerto con il Ministro della salute e il Ministro per la famiglia e le disabilità, sono stabilite le modalità per la verifica del possesso dei requisiti richiesti.

Si valuti l’opportunità di specificare se si tratti dei contatti delle entità autorizzate con le quali è stato avviato lo scambio di copie in formato accessibile. Occorrerebbe, altresì, coordinare tale previsione con quella del comma 2-terdecies.

 

Il co. 2-novies dell’art. 71-bis della L. 633/1941 dispone che le entità autorizzate – alle quali non è imposto alcun obbligo di produzione e diffusione delle copie realizzate in formato accessibile – possono chiedere ai beneficiari esclusivamente il rimborso del costo per la trasformazione, nonché delle spese necessarie per la consegna delle copie.

 

Circa gli obblighi cui sono tenute le entità autorizzate, il co. 2-undecies dell’art. 71-bis della L. 633/1941 dispone che – nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di trattamento dei dati personali – le medesime entità devono:

·        distribuire, comunicare e rendere disponibili le copie in formato accessibile unicamente ai beneficiari o ad altre entità autorizzate;

·        prendere opportune misure per prevenire la riproduzione, la distribuzione, la comunicazione al pubblico o la messa a disposizione del pubblico delle copie in formato accessibile, ove ciò non sia stato autorizzato;

·        prestare la dovuta diligenza nel trattare le opere e le relative copie in formato accessibile e registrare tutte le operazioni effettuate;

·        pubblicare e aggiornare, eventualmente sul proprio sito web, o tramite altri canali, informazioni sul modo in cui esse rispettano gli obblighi precedenti[27].

 

Inoltre, il co. 2-duodecies dell’art. 71-bis della L. 633/1941 stabilisce che le medesime entità autorizzate devono fornire in modo accessibile, su richiesta – ai beneficiari, alle entità autorizzate (anche se stabilite all’estero) e ai titolari dei diritti – informazioni circa:

·        le opere per cui dispongono di copie in formato accessibile e i formati disponibili;

·        le entità autorizzate con le quali hanno avviato scambi di copie in formato accessibile ai sensi del co. 2-decies (v. infra)[28].

 

In base al co. 2-terdecies dell’art. 71-bis della L. 633/1941, tali informazioni devono anche essere trasmesse annualmente ai competenti uffici del Mibac, ai fini della comunicazione periodica alla Commissione europea.

 

In base all’art. 6, punto 2, della Direttiva, infatti, gli Stati membri forniscono alla Commissione europea le informazioni relative alle copie accessibili realizzate da entità autorizzate o per le quali siano stati effettuati scambi tra entità autorizzate in virtù di quanto dispongono la medesima Direttiva e gli artt. 3 e 4 del regolamento (UE) 2017/1563, relativi allo scambio di copie accessibili tra paesi terzi contraenti il trattato di Marrakesh[29].

La Commissione aggiorna tali informazioni e le rende disponibili al pubblico on line in un punto d’accesso alle informazioni centralizzato.

 

Il già citato decreto interministeriale previsto dal comma 2-sexies stabilisce anche le modalità per la verifica del rispetto degli obblighi di cui ai commi 2-undecies, 2-duodecies e 2-terdecies.

 

Scambio transfrontalerio di copie in formato accessibile

 

Il co. 2-decies dell’art. 71-bis della L. 633/1941 dispone che le entità autorizzate stabilite nel territorio dello Stato italiano possono realizzare, comunicare, mettere a disposizione, distribuire o dare in prestito copie in formato accessibile anche per un beneficiario o un’entità autorizzata stabiliti in un altro Stato membro.

Parimenti, i beneficiari o le entità autorizzate stabiliti nel territorio dello Stato italiano possono avere accesso a una copia in formato accessibile da parte di un’entità autorizzata stabilita in un altro Stato membro[30].

 


 

Articolo 16
(Attuazione della direttiva (UE) 2017/1572 che integra la direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto concerne i princìpi e le linee guida relativi alle buone prassi di fabbricazione dei medicinali per uso umano)

 

 

L’articolo in esame dispone, con riferimento ai profili relativi alle buone prassi di fabbricazione, alcune modifiche alla disciplina sui medicinali per uso umano (di cui al D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 219). Le modifiche sono intese, in via principale, al recepimento della direttiva (UE) 2017/1572 della Commissione, del 15 settembre 2017, concernente i princìpi e le linee guida relativi alle buone prassi di fabbricazione dei medicinali per uso umano.

Si segnala che il termine per il recepimento della direttiva è scaduto il 31 marzo 2018.

 

La direttiva (UE) 2017/1572 impone anche per i medicinali importati dall’estero, nonché per quelli sperimentali, il rispetto dei principi e delle linee guida fissati sul territorio nazionale per la produzione di medicinali per uso umano. Destinatari della direttiva in questione sono, in primo luogo, gli Stati, e, nella specie l’AIFA, in qualità di autorità nazionale competente, in secondo luogo, i produttori e gli importatori di medicinali ponendo una serie di obblighi a carico dei soggetti sopra individuati per garantire la conformità delle operazioni alle buone prassi di fabbricazione e l’attuazione del sistema di garanzia della qualità farmaceutica.

 

L’intervento legislativo è attuato apportando modificazioni al D.Lgs. 219/2006 Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché della direttiva 2003/94/CE.

In particolare, si segnalano le seguenti novità:

- ispezioni finalizzate a verificare che i fabbricanti rispettino le linee guida relative alle buone prassi di fabbricazione specifiche per i medicinali per terapie avanzate;

- operazioni di fabbricazione conformi alle buone prassi di fabbricazione e all’autorizzazione di fabbricazione eseguite anche quando si tratti di medicinali destinati esclusivamente all'esportazione oppure quando si tratti di medicinali importati da Paesi terzi;

- massima corrispondenza tra le operazioni di fabbricazione e/o di importazione dei medicinali e le condizioni previste dalle relative autorizzazioni all’immissione in commercio;

- efficace sistema di qualità farmaceutica, sulla base delle linee guida adottate dall’EMA, con l'attiva partecipazione della dirigenza e del personale a tutte le diverse attività di produzione, documentazione e controllo e gli obblighi del produttore inerenti il personale vengono rispettati anche per i siti di importazione;

- rispetto dei principi e delle linee guida relativi alle buone prassi di fabbricazione dei medicinali sperimentali per uso umano nonché delle relative modalità di ispezione.

 

Di seguito viene commentato nello specifico il contenuto dell’intervento legislativo in esame.

La novella di cui al comma 1, lettera a), del presente articolo aggiorna il titolo del D.Lgs. n. 219 del 2006, il quale, nell'attuale versione, richiama anche una direttiva che risulta abrogata.

Si tratta della direttiva 2003/94/CE, già richiamata dalla suddetta direttiva (UE) 2017/1572, il cui riferimento viene pertanto soppresso.

 

La successiva lettera b) restringe l'àmbito delle sostanze utilizzate come materie prime farmacologicamente attive che siano soggette - anziché ad un sistema di registrazione - al medesimo regime di autorizzazione previsto per la produzione di medicinali.

Si ricorda che la formulazione vigente richiede l'applicazione di quest'ultimo regime per la produzione di tutte le sostanze attive sterili o di origine biologica (destinate all'utilizzo suddetto), mentre la novella fa riferimento - oltre che a quelle sterili - alle sostanze biologiche ed a quelle derivanti da tessuti, organi, liquidi umani e animali, al fine di escludere - come osserva la relazione illustrativa governativa - gli estratti vegetali. La produzione di questi ultimi rientra, dunque, in base alla novella in esame, nel sistema di registrazione negli altri Stati membri dell'Unione europea.

 

I numeri 1) e 2) della lettera c) prevedono che l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) tenga conto della raccolta delle procedure dell’Unione sulle ispezioni e sullo scambio di informazioni, pubblicata dalla Commissione europea, e che si doti, nell’àmbito del proprio servizio ispettivo, di un sistema di qualità adeguatamente concepito e periodicamente aggiornabile.

 

Il successivo numero 3) concerne la procedura di definizione - da parte dell'AIFA - del programma annuale delle analisi di controllo (svolte dall'Istituto superiore di sanità) delle composizioni dei medicinali. La novella sopprime il parere della Commissione consultiva tecnico-scientifica della medesima AIFA.

In proposito si sottolinea che rimane ferma la previsione del parere da parte dell'Istituto superiore di sanità.

La novella di cui alla lettera d) specifica che le norme sulle linee guida relative alla buona fabbricazione continuano ad applicarsi (come modificate dalle presenti novelle) anche ai medicinali sperimentali per uso umano, nelle more che, per questi ultimi, diventi applicabile in materia l'autonoma disciplina europea, posta dal regolamento (UE) n. 536/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014.

In proposito si ricorda che la decorrenza dell'applicazione del regolamento è disciplinata dall'art. 99 del medesimo.

 

Tra le novità introdotte dalle modifiche di cui alla lettera e), oltre a disporre norme formali e di coordinamento, vi è la definizione esplicita di “produttore”, come chiunque sia impegnato in attività per le quali sia necessaria l’autorizzazione alla fabbricazione e all’importazione di medicinali sperimentali, nonché la modifica della denominazione di “assicurazione di qualità farmaceutica” con “sistema di qualità farmaceutica”.

 

La lettera f) specifica che per i medicinali per terapie avanzate devono essere prese in considerazione le linee guida europee relative alle buone prassi di fabbricazione per tali farmaci.

Si ricorda che tali linee guida sono adottate ai sensi dell'art. 5 del regolamento (CE) n. 1394/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007.

 

Le novelle di cui alle lettere g) ed h), concernenti alcuni obblighi a carico del produttore e dell'importatore relativi alle norme di buona fabbricazione in oggetto, pongono modifiche formali o di coordinamento.

 

La lettera i) riguarda il sistema di qualità farmaceutica, che ciascuno dei produttori in esame deve istituire ed attuare. Rispetto alla formulazione vigente, si specifica che il produttore adotta e gestisce il proprio sistema sulla base delle linee guida dell'EMA (Agenzia europea per i medicinali).

 

La lettera l) estende agli importatori in esame l'obbligo, previsto nella formulazione vigente per i produttori, di dotare ciascuno dei propri siti di sufficiente personale, avente competenza e qualifiche idonee per garantire la qualità farmaceutica.

 

La novella di cui alla lettera m) reca alcuni adeguamenti terminologici in relazione alla citata direttiva (UE) 2017/1572 oggetto di recepimento e specifica che i locali e le attrezzature da sottoporre a qualifica e convalida sono non solo quelli usati in fasi del processo produttivo, ma anche quelli impiegati in fasi del processo di importazione (in entrambi i casi, resta fermo che si fa riferimento esclusivamente alle fasi decisive per la qualità dei medicinali).

 

Le lettere n), o), p) e r) concernono, rispettivamente, gli obblighi di documentazione a carico dei produttori in oggetto, le modalità delle operazioni di produzione, l'obbligo di istituire ed attuare un sistema di controllo della qualità (della produzione o dell'importazione in esame), i reclami ed i ritiri dei medicinali.

Oltre a porre alcune modifiche formali o di dettaglio, le novelle sopprimono le disposizioni in materia per i medicinali sperimentali, in quanto esse sono ora previste - come ricorda la relazione illustrativa governativa - da un regolamento delegato della Commissione europea (regolamento 2017/1569/UE del 23 maggio 2017).

 

La lettera q) concerne gli eventuali appalti e subappalti nell'esecuzione delle operazioni in oggetto.

Oltre a porre modifiche formali o di coordinamento, la novella estende esplicitamente le relative norme alle operazioni di importazione.

 

La lettera s) riformula le norme in materia di autoispezioni da parte dei produttori in esame, al fine di recepire le disposizioni in materia di cui all'art. 14 della citata direttiva (UE) 2017/1572 e di specificare che il termine minimo di conservazione della relativa documentazione è pari a dieci anni.

 

La lettera t) inserisce l'ipotesi in cui non siano stati osservati gli obblighi e le condizioni imposti con l'autorizzazione all’immissione in commercio (o con l’approvazione delle variazioni) tra le fattispecie per le quali l'AIFA adotta il divieto di vendita e di impiego del medicinale ed il provvedimento di ritiro dal commercio dello stesso, anche limitatamente a singoli lotti.

 

La lettera u) integra la disciplina sui farmaci ritirati o sequestrati, al fine di definire le norme relative alla distruzione degli stessi.

In proposito si dispone che i farmaci ritirati vengono stoccati dalla ditta titolare di AIC presso appositi magazzini individuati dalla stessa e, a seguito di una procedura di verifica effettuata dal Comando dei Carabinieri per la tutela della salute, la stessa ditta deve eseguire, con oneri a suo carico, la distruzione dei medicinali rientrati. Analoga procedura vale per la distruzione dei farmaci posti sotto sequestro, salvo diversa disposizione da parte dell'autorità giudiziaria.


 

Articolo 17
(Designazione dell’autorità competente in materia di dispositivi medici e dispositivi medici diagnostici in vitro ai sensi dei regolamenti UE numeri 745/2017 e 746/2017)

 

 

L'articolo 17 introdotto a seguito di un emendamento durante l’esame in Commissione in Senato - è volto a modificare tre decreti legislativi, il n. 46 del 1997, il n. 507 del 1992 e il n. 332 del 2000.

 

Si rammenta che il decreto legislativo n. 46 del 1997 recepisce la direttiva 93/42/CEE, in materia di dispositivi medici e prescrive – tra l’altro - che i dispositivi possono essere immessi in commercio o messi in servizio a condizione che rispondano ai requisiti ivi prescritti, siano correttamente forniti e installati, oggetto di un'adeguata manutenzione e utilizzati in conformità della loro destinazione. Il decreto legislativo n. 507 del 1992 inerisce ai dispositivi medici impiantabili attivi e recepisce la direttiva 90/385/CEE. A sua volta, il decreto legislativo n. 332 del 2000 recepisce la direttiva 98/79/CEE in materia di dispositivi medici diagnostici in vitro e prescrive – tra l’altro - che i dispositivi possono essere immessi in commercio o messi in servizio unicamente se rispondono ai requisiti ivi prescritti, sono correttamente forniti e installati, sono oggetto di un'adeguata manutenzione e sono utilizzati in conformità della loro destinazione.

 

La modifica legislativa proposta non è tesa a rimediare a una procedura di infrazione ma ad adeguare tempestivamente l’ordinamento interno all’entrata in vigore dei regolamenti citati nella rubrica. (I primi due decreti legislativi al regolamento 745 e il terzo al regolamento 746).

 

In tutti i casi la novella è volta a modificare il testo vigente, in modo da individuare nel Ministero della salute:

-          l’autorità competente;

-          l’autorità responsabile degli organismi notificati (quelli incaricati di svolgere le verifiche di conformità dei prodotti in questione);

-          l’autorità designata all’attuazione dei regolamenti.

 

E’ rimessa altresì a un decreto del Ministro della salute la determinazione delle tariffe per lo svolgimento delle attività disciplinate nei medesimi regolamenti.

 

 


 

Articolo 18
(Disposizioni relative alla responsabilità primaria ed alla responsabilità ultima in materia di combustibile esaurito o rifiuti radioattivi - Procedura di infrazione n. 2018/2021)

 

L’articolo 18, introdotto nel corso dell’esame in sede referente alla Camera, al fine di superare le censure mosse dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione n. 2018/2021, novella il decreto legislativo n. 45 del 2014, introducendovi l’art. 1-bis, che reca disposizioni sull’attribuzione delle responsabilità (in via sia principale sia sussidiaria) della sicurezza della gestione di combustibile esaurito o di rifiuti radioattivi.

 

La Commissione europea, con lettera di costituzione in mora trasmessa il 18 maggio 2018, ha avviato una procedura d'infrazione nei confronti dello Stato italiano per la mancata attuazione della direttiva 2011/70/EURATOM che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi.

Si ricorda che al fine di recepire le citate disposizioni europee è stato emanato il citato decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45, che ha introdotto una serie di novità, prima tra tutte la previsione di un Programma nazionale, che avrebbe dovuto essere definito entro il 31 dicembre 2014, per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, dalla generazione allo smaltimento (la mancata trasmissione di tale programma all'UE ha comportato l'avvio della procedura d'infrazione n. 2016/2027).

Nella relazione del Ministro dell'ambiente relativa alla procedura d’infrazione n. 2018/202, trasmessa alle Camere nell’agosto 2018, viene evidenziato che “La Commissione rileva che non vi è alcuna norma che prevede che la responsabilità ultima riguardo alla gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi incomba allo Stato italiano. Rileva, in particolare, che il d.lgs n. 31/2010 designa la Sogin S.p.A. come soggetto responsabile della disattivazione degli impianti nucleari a fine vita e dell'esercizio del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e del parco tecnologico; che il d.lgs n. 230/1995 attribuisce la responsabilità ai titolari di licenza e che la legge n. 1860/1962 definisce la responsabilità civile degli operatori, ma nessuno di questi strumenti legislativi prevede la responsabilità ultima dello Stato. Parimenti, per quanto concerne la responsabilità ultima dello Stato italiano riguardo allo smaltimento sicuro e responsabile di combustibile esaurito e rifiuti radioattivi spediti in Stati membri o Paesi terzi, la Commissione rileva l'assenza di esplicite disposizioni normative al riguardo”.

Tale mancanza configurerebbe quindi, secondo la Commissione europea, una violazione dell’art. 4, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2011/70, ove si dispone che “ciascuno Stato membro ha la responsabilità ultima riguardo alla gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi generati nel suo territorio” e che “Qualora rifiuti radioattivi o combustibile esaurito siano spediti in uno Stato membro o un paese terzo per il trattamento o il ritrattamento, la responsabilità ultima dello smaltimento sicuro e responsabile di questi stessi materiali, inclusi eventuali rifiuti come sottoprodotti, è dello Stato membro o del paese terzo da cui il materiale radioattivo è stato spedito”.

Al recepimento di tali disposizioni sono finalizzate le disposizioni dettate dai commi 2, 3 e 4 del nuovo articolo 1-bis introdotto dall'articolo in esame.

 

Vale la pena osservare che il comma 11 dell’art. 6 del decreto legislativo n. 45 del 2014 già dispone, tra l’altro, che l’ISIN (l'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione istituito dal medesimo decreto e designato autorità di regolamentazione del settore) “è responsabile della sicurezza nucleare e della radioprotezione sul territorio nazionale”. Pare – dunque – che la Commissione europea non abbia ritenuto questa disposizione sufficiente per le finalità della direttiva.

 

Nella citata relazione del Ministro dell'ambiente viene altresì ricordato che “La Commissione rileva che le disposizioni italiane non conferiscono la responsabilità primaria per il combustibile esaurito e i rifiuti radioattivi ai rispettivi generatori. Rileva, in particolare, che il d.lgs n. 230/1995 individua nel titolare dell'autorizzazione il soggetto che ha la responsabilità primaria per la sicurezza degli impianti di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi. Tale disposizione legislativa, tuttavia, non equivale a conferire la responsabilità primaria della gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi ai rispettivi generatori o a un titolare di licenza designato dagli organismi competenti”.

Tale mancanza configurerebbe quindi, secondo la Commissione europea, una violazione dell’art. 5, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2011/70, ove si dispone che la legislazione nazionale deve disciplinare, tra l’altro, “la suddivisione delle responsabilità tra gli organismi coinvolti nelle diverse fasi di gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi” e, in particolare, conferire “la responsabilità primaria per il combustibile esaurito e i rifiuti radioattivi ai rispettivi generatori oppure, in circostanze specifiche, al titolare della licenza cui è stata conferita la responsabilità dagli organismi competenti”.

Al recepimento di tale norma sono finalizzate le disposizioni dettate dal comma 1 del nuovo articolo 1-bis introdotto dall'articolo in esame.

 

Si fa notare che i profili di criticità sollevati dalla Commissione europea non si esauriscono però in quelli testé richiamati.

 

Responsabilità in via principale (comma 1)

 

Il comma 1 attribuisce la responsabilità in via principale della sicurezza della gestione di combustibile esaurito o di rifiuti radioattivi ai soggetti produttori di tali materiali e ai soggetti titolari di autorizzazioni per attività o impianti connessi alla gestione di tali materiali.

Come già detto poc’anzi, tale disposizione si propone di recepire il disposto dell’art. 5, paragrafo 1, lettera f), della direttiva, nella parte in cui stabilisce che la legislazione nazionale deve, tra l’altro, conferire “la responsabilità primaria per il combustibile esaurito e i rifiuti radioattivi ai rispettivi generatori oppure, in circostanze specifiche, al titolare della licenza cui è stata conferita la responsabilità dagli organismi competenti”.

Responsabilità in via sussidiaria (comma 2)

In mancanza di soggetti responsabili in via principale o di altre parti responsabili, il comma 2 dispone che lo Stato è responsabile in via sussidiaria riguardo alla gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi prodotti nel territorio nazionale.

Come già detto poc’anzi, tale disposizione si propone di recepire il disposto dell’art. 4, paragrafo 1, della direttiva, nella parte in cui stabilisce che “ciascuno Stato membro ha la responsabilità ultima riguardo alla gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi generati nel suo territorio”.

 

Lo stesso comma individua i casi di esclusione della responsabilità sussidiaria dello Stato in quelli riguardanti il rimpatrio di sorgenti sigillate dismesse al fornitore o fabbricante e la spedizione del combustibile esaurito di reattori di ricerca ad un paese in cui i combustibili di reattori di ricerca sono forniti o fabbricati, tenendo conto degli accordi internazionali applicabili.

Tali casi di esclusione ricalcano quelli previsti dall’art. 2, paragrafo 3, della direttiva 2011/70, che escludono dall’ambito di applicazione della medesima direttiva:

a) il rimpatrio di sorgenti sigillate dismesse al fornitore o fabbricante;

b) la spedizione del combustibile esaurito di reattori di ricerca ad un paese in cui i combustibili di reattori di ricerca sono forniti o fabbricati, tenendo conto degli accordi internazionali applicabili.

Responsabilità sussidiaria degli Stati in caso di spedizione dei materiali radioattivi (commi 3 e 4)

In base al comma 3, se i materiali radioattivi in questione sono spediti in uno Stato membro o in un paese terzo per il trattamento o il ritrattamento, allora è attribuita allo Stato italiano la responsabilità, in via sussidiaria rispetto agli altri soggetti obbligati, dello smaltimento sicuro e responsabile di tali materie radioattive prodotte nel territorio nazionale, inclusi eventuali rifiuti come sottoprodotti, intesi come rifiuti radioattivi derivanti dalle attività di trattamento e ritrattamento.

Qualora, invece, i materiali radioattivi in questione siano spediti in Italia, per il trattamento o il ritrattamento, la responsabilità sussidiaria dello smaltimento sicuro e responsabile di tali materie radioattive, inclusi eventuali rifiuti come sottoprodotti, intesi come rifiuti radioattivi derivanti dalle attività di trattamento e ritrattamento, è attribuita (dal comma 4) allo Stato membro o al Paese terzo a partire dal quale tali materie radioattive sono state spedite.

Come già detto poc’anzi, le disposizioni dettate dai commi 3 e 4 si propongono di recepire il disposto dell’art. 4, paragrafo 2, della direttiva, che stabilisce che “Qualora rifiuti radioattivi o combustibile esaurito siano spediti in uno Stato membro o un paese terzo per il trattamento o il ritrattamento, la responsabilità ultima dello smaltimento sicuro e responsabile di questi stessi materiali, inclusi eventuali rifiuti come sottoprodotti, è dello Stato membro o del paese terzo da cui il materiale radioattivo è stato spedito”.

Copertura degli oneri (comma 5)

Il comma 5 dispone che agli eventuali oneri derivanti dai commi 2 e 3 (cioè dalle norme che attribuiscono responsabilità in via sussidiaria allo stato italiano) si fa fronte mediante utilizzo delle risorse disponibili a legislazione vigente.

 


 

Articolo 19
(Disposizioni relative ai rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) - Corretta attuazione della direttiva 2012/19/UE - Caso EU-Pilot 8718/16/ENVI)

 

 

L'articolo 19 apporta modifiche al decreto legislativo 14 marzo 2014, n. 49, adottato in attuazione della direttiva 2012/19/UE in considerazione delle non conformità riscontrate dalla Commissione europea nell'ambito del Caso EU Pilot 8718/16/ENVI, al fine di garantire la corretta attuazione della citata direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE).

La modifica legislativa in esame intende definire il caso evitando l’apertura di una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia.

Rispetto al testo originario, nel corso dell'esame in Senato si era intervenuti sulla lettera c), capoverso 7, della norma, prevedendo che, qualora non sia possibile, a causa delle dimensioni o della funzione del prodotto, apporre il simbolo - e il marchio, secondo quanto previsto con una modifica apportata dal Senato - sull’apparecchiatura elettrica ed elettronica, gli stessi sono apposti sull’imballaggio, sulle istruzioni per l’uso e sulla garanzia dell’apparecchiatura elettrica ed elettronica, anche se in formato digitale.

 

In particolare la lettera a) del comma 1 integra l'art. 14, comma 3, del decreto legislativo n. 49 del 2014, introducendo adempimenti in capo ai produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche (di seguito, AEE) finalizzati al monitoraggio da parte dell'ISPRA del rispetto del tasso di raccolta differenziata dei RAEE.

 

In materia, le disposizioni della direttiva (art. 7, paragrafo 2), prevedono, al fine di stabilire se il tasso minimo di raccolta sia stato raggiunto, che gli Stati membri provvedono affinché le informazioni sui RAEE raccolti separatamente, conformemente all'articolo 5 della direttiva stessa, siano trasmesse agli Stati membri gratuitamente e che siano almeno comprensive di informazioni sui RAEE che sono stati:

a)      ricevuti presso impianti di raccolta e di trattamento,

b)     ricevuti presso i distributori,

c)      oggetto di raccolta differenziata da parte dei produttori o di terzi che agiscono a loro nome.

 

La lettera in esame introduce, a tale riguardo, l'obbligo a carico dei produttori e dei terzi che agiscono a loro nome, di trasmettere, con cadenza annuale e gratuitamente, all'ISPRA i dati relativi ai RAEE così specificati:

a)      ricevuti presso i distributori

b)     ricevuti presso gli impianti di raccolta e trattamento

c)      oggetto di raccolta differenziata.

 

La lettera b), mediante la novella dell'articolo 23, comma 3, del decreto legislativo, riconduce i casi di rimborso dei contributi ai produttori di AEE ai soli previsti dalla direttiva.

L'art 23, in materia di Modalità di finanziamento dei RAEE provenienti dai nuclei domestici, prevede per i RAEE storici il finanziamento delle operazioni di ritiro e di trasporto dei RAEE domestici conferiti nei centri di raccolta, nonché delle operazioni di trattamento adeguato, di recupero e di smaltimento ambientalmente compatibile dei medesimi, a carico dei produttori presenti sul mercato nello stesso anno in cui si verificano i rispettivi costi, in proporzione alla rispettiva quota di mercato, calcolata in base al peso delle AEE immesse sul mercato per ciascun tipo di apparecchiatura o per ciascun raggruppamento, nell'anno solare di riferimento (comma 1). Per i RAEE derivanti da AEE immesse sul mercato dopo il 13 agosto 2005, il finanziamento delle operazioni di ritiro e di trasporto dei RAEE domestici conferiti nei centri di raccolta, nonché delle operazioni di trattamento adeguato, di recupero e di smaltimento ambientalmente compatibile dei medesimi, è a carico dei produttori presenti sul mercato nell'anno in cui si verificano i rispettivi costi, che possono adempiere in base alle seguenti modalità: a) individualmente, con riferimento ai soli RAEE derivanti dal consumo delle proprie AEE; b) mediante un sistema collettivo, in proporzione alla rispettiva quota di mercato, calcolata in base al peso delle AEE immesse sul mercato per ciascun tipo di apparecchiatura o per ciascun raggruppamento, nell'anno solare di riferimento.

Il comma 3 vigente, qui oggetto di novella, prevede che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare definisce le misure necessarie per assicurare che siano elaborati appropriati meccanismi o procedure di rimborso dei contributi ai produttori qualora le AEE siano trasferite per l'immissione sul mercato al di fuori del territorio nazionale 'oppure qualora le stesse siano avviate al trattamento al di fuori dei sistemi di cui all'articolo 8, comma 2', disposizione questa oggetto di espunzione dalla norma in esame.

Si ricorda che, in base al citato articolo 8, comma 2, del D. Lgs. 49, i produttori di AEE, attraverso uno dei sistemi di gestione indicati, determinano annualmente e comunicano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'ammontare del contributo necessario per adempiere, nell'anno solare di riferimento, agli obblighi di raccolta, trattamento, recupero e smaltimento imposti dal decreto legislativo, in misura tale da non superare la migliore stima dei costi effettivamente sostenuti. Il produttore, al momento della messa a disposizione sul mercato nazionale di un'AEE, può applicare sul prezzo di vendita della stessa il contributo, indicandolo separatamente nelle proprie fatture di vendita ai distributori. La presenza del contributo può essere resa nota nell'indicazione del prezzo del prodotto all'utilizzatore finale.

Nell'attuale testo vigente del d.lgs. 49/2014, le procedure di rimborso sono previste, oltre che per il caso in cui le AEE siano trasferite per l'immissione sul mercato al di fuori del territorio nazionale, anche in ipotesi in cui le stesse siano avviate al trattamento al di fuori dei sistemi di gestione previsti dall'articolo 8, comma 2, del decreto, fattispecie, quest'ultima, non prevista dalla direttiva e quindi oggetto di espunzione con la novella in esame.

Si ricorda che, in base all'articolo 12, par. 5, della direttiva, gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che siano elaborati appropriati meccanismi o procedure di rimborso per la restituzione dei contributi ai produttori qualora le AEE siano trasferite per l'immissione sul mercato al di fuori del territorio dello Stato membro interessato. Detti meccanismi o procedure possono essere elaborati dai produttori o da terzi che agiscono a loro nome.

 

La lettera c) interviene sul decreto, modificandone l'articolo 28, comma 7 in base alla direttiva (art. 14, par. 4) in materia di disposizioni dedicate agli obblighi di informazione da garantire nei casi eccezionali in cui, a causa delle dimensioni o della funzione del prodotto, non sia possibile apporre segni sull'apparecchiatura.

In particolare, si prevede che, qualora non sia possibile, a causa delle dimensioni o della funzione del prodotto, apporre il simbolo - e il marchio del produttore, come aggiunto con una modifica approvata dal Senato, che ripropone sotto tale aspetto il riferimento al marchio previsto nel testo già vigente della norma - sull’apparecchiatura elettrica ed elettronica, gli stessi sono apposti sull’imballaggio, sulle istruzioni per l’uso e sulla garanzia dell’apparecchiatura elettrica ed elettronica.

L'obbligo di apporre il simbolo - e il marchio, a seguito della citata modifica approvata dal Senato - oltreché sull'imballaggio e sulle istruzioni d'uso, come già attualmente previsto dal decreto vigente, riguarda nella norma in esame anche la garanzia dell'apparecchiatura, e, con una ulteriore modifica approvata dal Senato si è specificato 'anche se in formato digitale'.

Si rammenta che il par. 4. dell'articolo 14 della direttiva in rilievo prevede che, al fine di ridurre al minimo lo smaltimento dei RAEE come rifiuti urbani misti e di facilitarne la raccolta differenziata, gli Stati membri provvedono affinché i produttori marchino adeguatamente, preferibilmente in conformità alla norma europea EN 50419, con il simbolo indicato nell'allegato IX[31] le AEE immesse sul mercato. In casi eccezionali, ove sia necessario a causa delle dimensioni o della funzione del prodotto, si prevede il simbolo sia stampato sull'imballaggio, sulle istruzioni per l'uso e sulla garanzia dell'AEE.

Si segnala che la relazione illustrativa al testo originario rilevava che, con la riformulazione dell'articolo 28, comma 7 (che nel testo originario espungeva il riferimento al marchio) non veniva più ammessa alcuna deroga all'obbligo di apporre il marchio di fabbrica sull'apparecchiatura, essendo questo uno strumento indispensabile alla tracciabilità dei RAEE ed alla loro corretta gestione.

Si ricorda che l'articolo 28 vigente, rubricato "Marchio di identificazione del produttore", dispone che il produttore apponga sulle apparecchiature elettriche ed elettroniche da immettere sul mercato un marchio, che deve consentire di individuare in maniera inequivocabile il produttore delle AEE. Si specificano le indicazioni che deve contenere il marchio. Il comma 5 stabilisce che, per le finalità indicate, quali assicurare il corretto smaltimento dei RAEE e facilitarne la raccolta differenziata, il produttore apponga sulle apparecchiature il simbolo riportato all'Allegato IX al D. Lgs. 49/2014, mentre il co.6. prevede che il marchio ed il simbolo sono apposti sulla superficie dell'AEE, o su una superficie visibile dopo la rimozione di un coperchio o di una componente dell'apparecchiatura stessa.

In particolare, il comma 7 prevede poi che, qualora non sia possibile, a causa delle dimensioni o della funzione del prodotto, apporre il marchio e il simbolo sull'apparecchiatura elettrica ed elettronica, gli stessi sono apposti sull'imballaggio e sulle istruzioni per l'uso dell'apparecchiatura elettrica ed elettronica.

Si valuti l’opportunità di verificare la compatibilità del riferimento anche al marchio, posto che tale riferimento al marchio non risulta contenuto nella disposizione della direttiva citata, ove si fa riferimento al solo simbolo.

 

La lettera d) interviene sull'articolo 30, comma 2, del citato decreto per specificare le modalità con cui il produttore, nel caso intenda vendere AEE in uno Stato dell'Unione europea diverso da quello nel quale è stabilito, debba provvedere ad identificare il proprio rappresentante autorizzato presso tale Stato.

Tale figura è prevista dalla direttiva come "la persona responsabile dell'adempimento degli obblighi del produttore nel territorio di tale Stato membro".

Si ricorda che l'articolo 30 del d. Lgs. 49/2014 prevede che il produttore avente sede legale in un altro Stato membro dell'Unione europea può, in deroga quanto disposto all'articolo 4, comma 1, lettera g), numeri da 1) a 3), designare con mandato scritto un rappresentante autorizzato, inteso come persona giuridica stabilita sul territorio italiano o persona fisica, in qualità di legale rappresentante di una società stabilita nel territorio italiano, responsabile per l'adempimento degli obblighi ricadenti sul produttore, ai sensi della presente decreto legislativo. In particolare il comma 2 prevede che il produttore di cui all'articolo 4, comma 1, lettera g), numero 4), stabilito nel territorio nazionale, il quale vende AEE in un altro Stato membro dell'Unione europea nel quale non è stabilito, deve "nominare" un rappresentante autorizzato presso quello Stato, responsabile dell'adempimento degli obblighi ricadenti sul produttore ai sensi della disciplina dello Stato in cui è effettuata la vendita.

La modifica richiede di provvedere a tale designazione con mandato scritto, come previsto dalla direttiva (art. 17, par. 3, direttiva citata).

 

La lettera e) provvede a correggere un errore formale: il titolo dell'allegato V rinvia, infatti, all'art. 15 (Ritiro dei RAEE conferiti nei centri di raccolta), anziché all'art. 19 (Obiettivi di recupero), il cui contenuto è, appunto, riferito al conseguimento degli obiettivi minimi i di cui all'allegato V.

 

La lettera f) parimenti provvede ad emendare un refuso consistente nell'omessa indicazione della data di decorrenza degli obblighi minimi di recupero, in vigore dal 13 agosto 2012, previsti dallo stesso allegato V, parte I, in linea con la direttiva.

 

Con la lettera g) si interviene sulla disciplina della documentazione minima richiesta per le spedizioni di AEE difettose effettuate dal detentore al produttore o a un terzo che agisce a suo nome. In particolare viene eliminato dal punto. 2, lett. a) dell'allegato VI del decreto il riferimento al 'contratto di riparazione', che non è contemplato dal corrispondente allegato VI della direttiva.

 

Anche la lettera h) interviene sulla disciplina della documentazione minima delle spedizioni dei prodotti difettosi, con specifico riferimento alle AEE ad uso professionale usate difettose, quali dispositivi medici e loro parti.

Precisamente viene modificata la lett. c) del punto 2 dell’Allegato VI del decreto, introducendo la possibilità che le AEE possano essere rinviate al produttore o ad un terzo che agisca a suo nome per un'analisi delle cause profonde anche nel caso in cui l’analisi possa essere effettuata da terzi che agiscono a nome del produttore.

Si ricorda che la lett. c) del punto 2 dell’Allegato VI della direttiva prevede infatti che le AEE ad uso professionale usate difettose, quali dispositivi medici e loro parti, sono rinviate al produttore o a un terzo che agisce a suo nome per un'analisi delle cause profonde in base a un contratto valido, nei casi in cui tale analisi possa essere effettuata solo dal produttore o da terzi che agiscono a suo nome.

 

Si segnala, infine, che l’articolo 13 del disegno di legge di delegazione europea (già A.C. 1201, ora A.S. 944), già approvato dalla Camera in prima lettura, in corso di esame nell'altro ramo del Parlamento, stabilisce i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della direttiva 2018/849, che modifica, tra le altre, la direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, cosiddetti "Raee" (2012/19/Ue).

 

 


 

Articolo 20
(Disposizioni relative allo smaltimento degli sfalci e delle potature - Caso EU-Pilot 9180/17/ENVI)

 

 

L’articolo 20, modificato nel corso dell'esame in sede referente, è relativo allo smaltimento degli sfalci e delle potature e risulta finalizzato alla chiusura del Caso Eu-Pilot 9180/17/ENVI concernente specifiche ulteriori 'esclusioni' dalla normativa sui rifiuti introdotte dal legislatore nazionale all’articolo 185, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 152/2006 (Codice dell'ambiente), rispetto al testo della direttiva europea sui rifiuti.

La norma esclude dall'applicazione della parte quarta del Codice dell’ambiente, in materia di rifiuti, le materie fecali, la paglia nonché l'altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali - in un elenco che la norma medesima specifica avere carattere esemplificativo e non esaustivo - gli sfalci e le potature, ove effettuate nell'ambito delle buone pratiche colturali.

In virtù di una proposta emendativa approvata durante l'esame in Commissione, l'esclusione si stabilisce altresì per la categoria degli sfalci e delle potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico di comuni e città metropolitane, riproponendo per tale aspetto l'esclusione già prevista a legislazione vigente.

Si prevede che i materiali siano utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, con metodi che non danneggiano l'ambiente e la salute umana.

 

Di seguito l’illustrazione dettagliata della norma in esame e, in calce alla scheda, una tabella di raffronto che evidenzia le modifiche operate nel tempo, dai successivi interventi legislativi e dall'articolo in esame, al testo della lettera f) del comma 1 dell’art. 185 del Codice dell’ambiente, anche riguardo al dettato della corrispondente disposizione della direttiva europea 2008/98/CE.

 

La disposizione novella l'articolo 185, comma 1, del c.d. Codice dell'ambiente, recante esclusioni dall'applicazione delle norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, la cui lettera f) viene interamente sostituita.

L’articolo si riferisce alla chiusura del Caso Eu-Pilot 9180/17/ENVI, nell’ambito del quale la Commissione europea ha rilevato come il legislatore nazionale non abbia correttamente trasposto l’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti[32].

Tale norma europea esclude dalla nozione di rifiuto, oltre alle materie fecali, la paglia e ogni 'altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati nell’attività agricola, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana'.

Si ricorda che l'articolo 185 del codice dell'ambiente, recante "Esclusioni dall'ambito di applicazione", prevede, nel testo attualmente vigente, che non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del Codice medesimo una serie di fattispecie, tra cui, alla lettera f) vigente:

- le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), del medesimo articolo 185, fattispecie confermata dalla disposizione in esame;

- la paglia, fattispecie anch'essa confermata dalla disposizione in esame;

- gli sfalci e le potature provenienti dalle attività di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e), e comma 3, lettera a) fattispecie questa - non più espunta, come era nel testo originario della norma in esame - bensì riformulata in base alla novella in esame;

- nonché ogni altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso destinati alle normali pratiche agricole e zootecniche o utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana: disposizione come detto in parte riformulata dalla novella qui in esame.

 

Si fa altresì notare che l’attuale testo della lettera f) del comma 1 dell’art. 185 del D.Lgs. 152/2006, risultante dalle modifiche operate dalla L. 154/2016, è stato oggetto dell’atto di segnalazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AS 1512) del 22 maggio 2018, la quale ha auspicato “l’opportunità di abrogare l’attuale lettera f) del comma 1 dell’art. 185 del decreto legislativo n. 152/2006, come modificata ad opera della legge 28 luglio 2016, n. 154, allineandone i contenuti a quanto previsto dalla pertinente normativa comunitaria, e in particolare dalla direttiva 2008/98/CE, al fine di eliminare potenziali effetti distorsivi nei mercati del trattamento degli scarti vegetali”.

Si fa altresì notare che la possibilità di circoscrivere la portata normativa della disposizione in questione “a paglia, sfalci e potature agricole e forestali” era stata già considerata dall’Assemblea del Senato, con l’approvazione (avvenuta nella seduta del 6 luglio 2016) dell’ordine del giorno 9/1328-B/22, a conclusione dell’esame del disegno di legge poi approvato come legge n. 154/2016.

 

In base al testo, come approvato a seguito dell'esame in sede referente, della lettera f) in parola, si prevede che non rientrino nel campo di applicazione della parte quarta del Codice ambientale relativa alla gestione dei rifiuti i seguenti materiali:

Ø  materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), dello stesso articolo 184 (fattispecie già prevista a legislazione vigente)

Si ricorda che il comma 2 citato stabilisce che sono esclusi dall'ambito di applicazione della parte quarta del codice, in quanto regolati da altre disposizioni normative comunitarie, ivi incluse le rispettive norme nazionali di recepimento, tra gli altri, i sottoprodotti di origine animale, compresi i prodotti trasformati, contemplati dal regolamento (CE) n. 1774/2002, eccetto quelli destinati all'incenerimento, allo smaltimento in discarica o all'utilizzo in un impianto di produzione di biogas o di compostaggio (citata lett. b).

Ø  paglia (fattispecie già prevista a legislazione vigente)

Ø  e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quale a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuate nell'ambito delle buone pratiche colturali. Rispetto alla legislazione vigente, viene prevista la caratteristica che queste siano effettuate nell'ambito delle buone pratiche colturali.

Ø  nonché - secondo la modifica approvata dalla Commissione in sede referente - gli sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico di comuni e città metropolitane. Tale modifica approvata in sede referente ricalca sostanzialmente quanto previsto, a legislazione vigente, circa la fattispecie degli sfalci e delle potature provenienti dalle attività di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e) - vale a dire i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi urbane, quali giardini, parchi e aree cimiteriali - di cui, con la modifica in parola, si reintroduce l'esclusione (dalla applicazione della normativa sui rifiuti).

Si valuti la compatibilità della previsione, con riferimento alla fattispecie degli sfalci e delle potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico urbano di comuni e città metropolitane, rispetto al quadro europeo, atteso che l'esclusione di tale fattispecie dalla applicazione della normativa sui rifiuti non risulta prevista nel testo della Direttiva.

Su tale aspetto, per i profili di compatibilità con il quadro europeo, si ritiene utile di seguito ricostruire, in sintesi, l'iter di esame della norma nelle sue successive modifiche, riportando altresì i contenuti della relazione fornita dal Governo sui profili in rilievo per il caso EU pilot aperto nei confronti dell'Italia.

 

In ordine alle esclusioni (dalla normativa sui rifiuti) che vengono contestate all'Italia, si ricorda che il testo originario del disegno di legge, presentato in prima lettura in Senato (art. 12 dell'A.S. 822), ricalcando la citata direttiva europea, espungeva, rispetto alla norma vigente, - dunque non considerandoli più esclusi dalle norme del codice dell'ambiente sui rifiuti - gli sfalci e le potature provenienti dalle attività di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e), e comma 3, lettera a) del Codice dell'ambiente.

Trattasi, ai sensi della vigente disposizione, rispettivamente:

Ø  dei rifiuti urbani individuati nei vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali (di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e), Cod. ambiente);

Ø  dei rifiuti speciali individuati nei rifiuti da attività agricole e agro-industriali, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2135 c.c. (di cui all'art. 184, comma 3, lettera a) Cod. ambiente).

Rispetto al testo originariamente proposto:

- nel corso dell'esame presso il Senato era stato reintrodotto in norma il riferimento a sfalci e potature, presente nella legislazione vigente, ma con una riformulazione volta a specificare il carattere esemplificativo e non esaustivo della previsione di tali materiali, e con riferimento solo alla categoria 'altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso';

- nel corso dell'esame in sede referente presso la XIV Commissione della Camera dei deputati, viene invece introdotto in norma anche il riferimento agli "sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico di comuni e città metropolitane", che risultano così esclusi dall'applicazione delle norme in materia di gestione dei rifiuti della parte quarta del codice dell'ambiente, ricalcando sotto tale aspetto la previsione a legislazione vigente sulla quale verte la procedura EU pilot in rilievo.

In particolare, si segnala infatti che la relazione illustrativa al testo originario della norma come proposta dal Governo - ora modificata a seguito dell'iter di esame parlamentare - affermava che dagli approfondimenti effettuati sulla base delle indicazioni ricevute dalla Commissione europea nell’ambito del citato Caso EU Pilot 9180/17/ENVI, si fosse ritenuto che il legislatore italiano abbia esteso sostanzialmente il regime di favore previsto all’articolo 2, paragrafo 1, lettera f), della direttiva sui rifiuti ai seguenti materiali: i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi urbane (giardini, parchi e aree cimiteriali) di cui all’articolo 184, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 152/2006 e i rifiuti speciali prodotti da attività agricole e agro-industriali di cui all’articolo 184, comma 3, lettera a), dello stesso decreto. L'intervento normativo risultava quindi teso - secondo quanto riportato nella Relazione al testo originario della disposizione- ad evitare una chiusura negativa del caso e la conseguente apertura di una procedura d’infrazione per non corretto recepimento della direttiva europea sui rifiuti.

La stessa relazione illustrativa affermava che, rilevato che difficilmente tali materiali possono, a priori, essere considerati materiali agricoli o forestali naturali, alla luce della giurisprudenza europea, 'occorre garantire il rispetto del principio secondo il quale la nozione di rifiuto non può essere interpretata in senso restrittivo, né tantomeno possono essere interpretate in senso estensivo le eccezioni alla definizione di rifiuto previste dall’articolo 2 della direttiva 2008/98/CE'.

Si richiamano, a tale riguardo, le posizioni già assunte dalla Commissione europea, e le diverse condanne pronunciate nei confronti dell’Italia in casi analoghi e, in particolare, la sentenza del 18 dicembre 2007, nella causa C -195/05 sugli scarti alimentari e la sentenza del 22 dicembre 2008, nella causa C-283/07 sui rottami ferrosi.

 

 Il testo della norma in esame, a seguito di una modifica apportata durante la prima lettura in Senato rispetto al testo originariamente proposto dal Governo, reintroduce il riferimento al possibile utilizzo dei materiali in questione 'anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi'.

Tale riferimento non risulta indicato nel testo della direttiva.

La lettera f) dell'art. 2, par. 1, della direttiva citata prevede, quale esclusione dall'ambito di applicazione dalla Direttiva stessa: "f) materie fecali, se non contemplate dal paragrafo 2, lettera b), paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati nell’attività agricola, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana".

Su tale punto, va ricordato che in sede di espressione del parere sul testo del disegno di legge, la 13a Commissione del Senato aveva formulato un'osservazione, rilevando che 'non emergono profili di incompatibilità con la normativa comunitaria nell'inserimento nel citato articolo 185, comma 1, lettera f), dell'inciso ", anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi,", limitandosi tale inciso ad esplicitare quanto già desumibile dalla disposizione della direttiva richiamata, nella quale non è prevista alcuna differenziazione della disciplina applicabile in ragione del luogo di utilizzazione o di un’eventuale cessione a terzi, purché ricorrano tutte le altre condizioni richieste', formulando un'osservazione volta a conservare nella formulazione della lettera f) del comma 1, dell'articolo 185 del Codice dell'ambiente di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006 il riferimento in parola.

 

Si ricorda infine che la relazione illustrativa al testo in esame, come originariamente proposto dal Governo (si veda l'A.S. 822), già sopra richiamata - nel ricordare come la relativa norma europea sia stata attuata dall’articolo 185, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 152 del 2006, da ultimo modificato dall’articolo dall’ art. 41, comma 1, della 28 luglio 2016, n. 154, che ha incluso fra i materiali non rientranti nella nozione di rifiuto anche gli sfalci e le potature provenienti dalle attività di manutenzione delle aree verdi (giardini, parchi e aree cimiteriali), di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e), oltre agli sfalci e le potature provenienti dalle attività agricole e agro-industriali di cui all'articolo 184, comma 3, lettera a) - affermava che le specifiche introdotte nella disciplina nazionale a suo tempo previste erano finalizzate a precisare la nozione di materiale agricolo o forestale naturale e ad agevolare una corretta attuazione della norma in parola, con riferimento, in particolare, alle imprese non qualificate come agricole ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile.

Ai sensi dell’articolo 2135 c.c. è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.

Per una più ampia ricostruzione della vicenda, si ricorda che la lettera in parola era stata sostituita nella formulazione oggi vigente dall'art. 41, comma 1, L. 28 luglio 2016, n. 154, recante Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo e agroalimentare, nonché sanzioni in materia di pesca illegale. Tale norma aveva infatti escluso dalla definizione di rifiuto - contenuta nel codice ambientale - le materie fecali, la paglia, gli sfalci e le potature nonché ogni altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso destinati alle normali pratiche agricole e zootecniche utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione o con cessione a terzi.

Si ricorda che prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 205 del 2010, che aveva recepito la direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, in base all’art. 185, comma 2, potevano essere considerati sottoprodotti i “materiali fecali e vegetali provenienti da sfalci e potature di manutenzione del verde pubblico e privato, oppure da attività agricole, utilizzati nelle attività agricole, anche al di fuori del luogo di produzione, ovvero ceduti a terzi, o utilizzati in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore, o biogas”.

In occasione dell'introduzione della lettera f) in parola, con l'articolo 41 D.L. 154 del 2016, era emerso come l’espunzione del riferimento agli sfalci e potature derivanti dal verde pubblico e privato, operata dal decreto legislativo n. 205 del 2010, avesse determinato talune incertezze negli operatori del settore, per cui il Ministero dell'ambiente aveva indicato (con la nota 1° marzo 2011, prot. 11338) che i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi quali giardini, parchi e aree cimiteriali andassero classificati come rifiuti urbani ai sensi dell'art. 184, comma 2, lettera e), del decreto legislativo n. 152 del 2006, poiché l'esclusione dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti per la "paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa" (art. 185, comma 1, lett. f) del decreto legislativo n. 152 del 2006) andava riferita esclusivamente ai materiali provenienti da attività agricola o forestale destinati agli utilizzi ivi descritti.

 

 


Di seguito, si riporta il testo a fronte tra le successive formulazioni della lettera f) in questione e la corrispondente disposizione europea. In neretto le modifiche apportate dalla legge n. 154 del 2016, in blu le modifiche apportate nel corso dell’esame al Senato ed in rosso quelle approvate nel corso dell'esame in sede referente presso la Camera dei deputati.

 

Art. 2, par. 1, lett. f) direttiva 2008/98/CE

Art. 185, comma 1, lettera f), D.Lgs. 152/2006

Testo vigente prima della L. 154/2016

Testo vigente

Nuovo testo previsto dall'articolo in esame (A.C. 1432-A)

1. Sono esclusi dall'ambito di applicazione della presente direttiva:

1. Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto:

 1.  Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto:

 1.  Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto:

f) materie fecali, se non contemplate dal paragrafo 2, lettera b), paglia e

f) le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), paglia, sfalci e potature,

f) le materie fecali, se non contemplate dal comma 2,  lettera b), del presente articolo, la paglia, gli sfalci e le potature  provenienti dalle attività di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e), e comma 3, lettera a),

f) le materie fecali, se non contemplate dal comma 2, lettera b), del presente articolo, la paglia e

altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso

nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso

Nonché ogni altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso destinati alle normali pratiche agricole e zootecniche o

altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuate nell'ambito delle buone pratiche colturali, nonché gli sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico di comuni e città metropolitane

utilizzati nell'attività agricola, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa

utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa

utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi,

utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi,

mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana.

mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana.

mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana.

mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana.

 

 


 

Articolo 21
(Abrogazione delle disposizioni recanti estensione del periodo di incentivazione per gli impianti a biomasse, biogas e bioliquidi)

 

 

Introdotto mediante l'approvazione di un emendamento in sede referente, l’art. 21 abroga le disposizioni di cui ai commi 149, 150 e 151 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), recanti l'estensione del periodo di incentivazione per gli impianti a biomasse, biogas e bioliquidi.

 

Lo scopo dell’abrogazione è evitare una procedura d’infrazione, ai sensi del combinato disposto degli articoli 108, comma 2, e 258 del TFUE.

 

Infatti, il comma 149 della legge di stabilità 2016 - oggetto di abrogazione con la norma approvata dal Senato – era teso ad assicurare il contributo italiano al conseguimento degli obiettivi 2020 sulle fonti rinnovabili. Vi si prevede (agli effetti pratici dello stato attuale) che agli esercenti di impianti per la produzione di energia elettrica alimentati da biomasse, biogas e bioliquidi sostenibili, che cessino entro il 31 dicembre 2018 di beneficiare di incentivi sull'energia prodotta, in alternativa all'integrazione dei ricavi, è concesso il diritto di fruire di un incentivo sull'energia prodotta. Le modalità e le condizioni per tale fruizione sono stabiliti dai successivi commi 150 e 151.

 

In sintesi e in pratica, a questi operatori, erano offerte due vie:

 

a)      l’incentivo sull’energia prodotta, previsto dall’art. 1, comma 149, della legge n. 208 del 2015 fino al 31 dicembre 2020, termine poi prorogato al 31 dicembre 2021, a opera dell’art. 3-quater, comma 1, lett. a) del decreto legge n. 243 del 2016 (convertito nella legge n. 18 del 2017). Si noti che la legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio per il 2018) aveva anche esteso il beneficio in modo alternativo al termine fisso del 31 dicembre 2021, ammettendolo per i primi 5 anni dal rientro in esercizio degli impianti Il comma 150 che la norma provvede ad abrogare dispone che tale incentivo è pari all’80 per cento di quello riconosciuto dal D.M. 6 luglio 2012 agli impianti di nuova costruzione e di pari potenza. Esso è erogato dal GSE secondo le modalità fissate dallo stesso D.M., a partire dal giorno successivo alla cessazione del precedente incentivo, qualora tale data sia successiva al 31 dicembre 2015, ovvero a partire dal 1° gennaio 2016 se la data di cessazione del precedente incentivo è antecedente al 1 gennaio stesso.

 

-          L’erogazione è subordinata alla decisione favorevole della Commissione europea in esito alla notifica del regime di aiuto di cui al successivo comma 151. Secondo tale comma 151 della legge di stabilità 2016 - anch'esso oggetto di abrogazione con la norma in esame - , entro il 31 dicembre 2018 (termine così da ultimo esteso con il comma 588 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2017, n. 205) i produttori interessati devono fornire al MISE gli elementi per la notifica alla Commissione UE del regime di aiuto ai fini della verifica di compatibilità dello stesso con la disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell’ambiente e dell’energia 2014-2020 (Comunicazione 2014/C 200/01). Si tratta in particolare: delle autorizzazioni di legge possedute per l'esercizio dell'impianto, della perizia asseverata di un tecnico attestante il buono stato di uso e di produttività dell'impianto e del piano di approvvigionamento delle materie prime, nonché degli altri elementi necessari per la notifica alla Commissione europea del regime di aiuto di cui agli stessi commi.

 

b)      l'integrazione dei ricavi, prevista dall'articolo 24, comma 8, del decreto legislativo n. 28 del 2011. Tale disposizione stabilisce, fermo restando quanto stabilito dall'articolo 13 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 in materia di partecipazione al mercato elettrico dell'energia prodotta da fonti rinnovabili, che entro la data indicata del 31 dicembre 2012 e sulla base di indirizzi stabiliti dal Ministro dello sviluppo economico, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas provveda a definire prezzi minimi garantiti, ovvero integrazioni dei ricavi conseguenti alla partecipazione al mercato elettrico, per la produzione da impianti a fonti rinnovabili che continuano ad essere eserciti in assenza di incentivi e per i quali, in relazione al perseguimento degli obiettivi indicati, la salvaguardia della produzione non è assicurata dalla partecipazione al mercato elettrico. A tale scopo, gli indirizzi del Ministro dello sviluppo economico e le conseguenti deliberazioni dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas mirano ad assicurare l'esercizio economicamente conveniente degli impianti, con particolare riguardo agli impianti alimentati da biomasse, biogas e bioliquidi, fermo restando, per questi ultimi, il requisito della sostenibilità. Si ricorda in attuazione del citato articolo 24 era stato emanato il D.M. 6 luglio 2012.

 

In relazione a questo contesto, la Commissione europea – per gli effetti degli articoli 107 e 108 del TFUE – aveva rammentato che "il punto 133 delle linee guida in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia (EEAG) stabilisce che la Commissione considererà compatibili con il mercato interno gli aiuti al funzionamento per gli impianti a biomassa dopo l'ammortamento dell'impianto se lo Stato membro interessato dimostra che i costi operativi sostenuti dal beneficiario dopo l'ammortamento dell'impianto risultano ancora superiori al prezzo di mercato dell'energia in questione e a condizione che siano soddisfatte una serie di condizioni ivi previste". A tale riguardo, una serie di informazioni sono state richieste dalla Commissione europea alle Autorità italiane al fine di poter assumere una posizione sulle norme in materia, in relazione ai profili di aiuto di Stato.

 

In conclusione, la disposizione in esame – nel sopprimere alla radice la possibilità dell’incentivo alla produzione elimina l’aiuto di Stato.


 

Articolo 22
(Clausola di invarianza finanziaria)

 

 

L'articolo 22, modificato in sede referente, reca una clausola di invarianza finanziaria per tutte le disposizioni del disegno di legge, ad eccezione dell'articolo 4. Tale clausola stabilisce che dall'attuazione della legge non debbano derivare conseguenze finanziarie.

 

Si ricorda al riguardo che l'articolo 17, comma 6-bis della legge 31 dicembre 2009, n. 196, in materia di contabilità e di finanza pubblica, prescrive che per le disposizioni corredate da siffatte clausole di neutralità finanziaria, la relazione tecnica riporti la valutazione degli effetti derivanti dalle disposizioni medesime, i dati e gli elementi idonei a suffragare l'ipotesi di invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica, attraverso l'indicazione dell'entità delle risorse già esistenti nel bilancio e delle relative unità gestionali, utilizzabili per le finalità indicate dalle disposizioni medesime anche attraverso la loro riprogrammazione. In ogni caso, la clausola di neutralità finanziaria non può essere prevista nel caso di spese di natura obbligatoria.

 

Per la quantificazione e i mezzi di copertura degli oneri derivanti dall'articolo 4, di cui, in sede referente, si è precisata l'esclusione dalla presente clausola di invarianza finanziaria, si rinvia alla relativa scheda di lettura.

 

 

 

 

 



[1]     Si veda in proposito il Dossier predisposto dal Servizio studi della Camera dei deputati "L'attuazione del diritto dell'UE nella XVII legislatura: i numeri delle leggi europee 2013 - 2017", maggio 2018.

[2]     Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, "relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali".

[3]     Il riferimento anche ai "servizi", presente nel testo originario, è stato espunto a seguito dell'approvazione dell'emendamento sopra citato.

[4]     Ciò comprende, come ha chiarito la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, le restrizioni discriminatorie e quelle non giustificate da motivi imperiosi di interesse pubblico o non proporzionate alla realizzazione di tale interesse (cfr., tra le numerose altre, la sentenza della Corte di giustizia del 30 novembre 1995, Reinhard Gebhard/Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e Procuratori di Milano, C-55/94).

[5]     La relazione illustrativa e l’analisi tecnico-normativa al disegno di legge europea 2017 facevano presente che, sui circa 500 ex lettori in servizio nelle università statali, circa 260 avevano un contenzioso pendente con gli atenei dai quali dipendono.

[6]     La relazione tecnica al disegno di legge europea 2017 evidenziava che l’onere complessivo pari a € 8.705.000 annui era stato calcolato moltiplicando il costo massimo pro capite per l’adeguamento stipendiale (pari a € 33.480) per le 260 unità interessate.

[7]     “L'esame dell'ambito normativo nazionale fa emergere che, certo, l'art. 4, terzo comma, della legge n. 236 prevede esplicitamente la conservazione dei diritti quesiti da parte degli ex lettori di lingua straniera in relazione ai precedenti rapporti di lavoro. Tuttavia, una valutazione delle prassi amministrative e contrattuali poste in essere da alcune università pubbliche italiane consente di concludere nel senso dell’esistenza di situazioni discriminatorie” (cfr. n. 31 della sentenza).

[8]     Tale posizione è stata ribadita, più recentemente, con sentenza 21004/2015.

[9]     Con ordinanza 38/2012 la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità, per carenza di motivazione, della questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, co. 3, ultimo periodo, della L 240/2010, sollevata dal Tribunale di Torino in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost. La stessa Corte, con successiva ordinanza 99/2013, ha dichiarato la manifesta inammissibilità, per insufficiente descrizione della fattispecie concreta, della questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione, sollevata in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo e secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.

[10]   Per completezza, si ricorda che il Presidente della Repubblica, nella lettera al Presidente del Consiglio che ha accompagnato la promulgazione della L. 240/2010, aveva sottolineato l’opportunità che l’articolo 26, “nel prevedere l'interpretazione autentica dell'art. 1, comma 1, del decreto legge n. 2 del 2004 sia formulato in termini non equivoci e corrispondenti al consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte Costituzionale” (che ha sempre riconosciuto, nel settore pubblico, il diritto alla ricongiunzione di tutti i servizi prestati ai fini della definizione dei diritti pensionistici: ad es., v. le sentenze 305/1995, 496/2002 e 191/2008).

[11]    Il co. 9 prevede che gli importi di cui al comma 5 sono adeguati, in sede di prima applicazione, a decorrere dal 1° gennaio 2013 e successivamente ogni due anni, con provvedimento direttoriale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli in misura pari alla media aritmetica dell'indice ISTAT dei prezzi medi al consumo e dell'incremento del prezzo medio ponderato dei prezzi al consumo dei tabacchi lavorati, intervenuti nel biennio precedente.

[12]   Dall'attuazione dell'articolo in esame e del decreto legislativo da esso previsto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

[13]    La decisione del 27 novembre precisa nei considerando che, in applicazione dell’articolo 3 del protocollo n. 21 sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG) allegato al TUE e al TFUE, questi due Stati hanno notificato che desiderano partecipare all’adozione e all’applicazione della decisione. La Danimarca, invece, a norma degli artt. 1 e 2 del protocollo n. 22 allegato al TUE e al TFUE, non ha partecipato all’adozione della decisione e quindi non ne è vincolata, né è soggetta alla sua applicazione.

[14]    Il punto 2.2, lettera a), dell’allegato IV della direttiva 2006/126/CE (alla quale è stata data attuazione con il decreto legislativo n. 59 del 2011) stabilisce che l’esaminatore di guida deve, tra gli altri requisiti, essere titolare della categoria corrispondente a quella per cui svolge l’attività di esaminatore e che si può prescindere dal possesso di tale requisito a condizione che l’esaminatore sia in possesso di adeguata formazione professionale.

[15]   La L. 633/1941 disciplina la protezione delle opere dell'ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all'architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione (art. 1), ponendo misure a tutela dei diritti morali e dei diritti patrimoniali (c.d. diritti di utilizzazione economica dell'opera). In base alla stessa, si intendono per diritti connessi quelli riconosciuti non direttamente all’autore, ma ad altri soggetti comunque collegati o affini. Si tratta, sostanzialmente, di coloro che offrono l’opera alla fruizione del pubblico e sono anch’essi titolari di diritti patrimoniali e, in taluni casi, anche di diritti morali (https://www.siae.it/it/diritto-dautore/diritti-connessi/i-diritti-connessi).

[16]   Sulla base della Decisione 2014/221/UE del Consiglio del 14 aprile 2014. Più approfonditamente, si veda qui.

[17]   Al riguardo, il punto (14) dei consideranda evidenzia che, “nello stabilire il livello di indennizzo, dovrebbero essere tenuti in debito conto il carattere non lucrativo delle attività di entità autorizzate, gli obiettivi di pubblico interesse perseguiti dalla presente direttiva, gli interessi dei beneficiari dell'eccezione, l'eventuale danno arrecato ai titolari dei diritti e la necessità di garantire la diffusione transfrontaliera delle copie in formato accessibile. Si dovrebbe tenere conto anche delle peculiarità di ciascun caso derivanti dalla realizzazione di una particolare copia in formato accessibile. Quando il danno a carico di un titolare dei diritti è minimo, non dovrebbe sussistere alcun obbligo di pagamento dell'indennizzo”.

[18]   Si tratta delle categorie di soggetti considerate dall’art. 2, punto 2), della Direttiva.

[19]   Si tratta, sostanzialmente, della definizione recata dall’art. 2, punto 1), della Direttiva, con riferimento alla quale si specifica anche che può trattarsi di opere letterarie, fotografiche e delle arti figurative.

[20]   La definizione di “copia in formato accessibile” corrisponde a quella recata dall’art. 2, punto 3), della Direttiva.

[21]   Si tratta di previsioni corrispondenti a quanto disposto dall’art. 3, par. 1, della Direttiva.

[22]   Si tratta di previsioni corrispondenti a quanto disposto dall’art. 3, par. 3, della Direttiva.

[23]   Quest’ultima previsione è recata dall’art. 3, par. 5, della Direttiva.

[24]   Si tratta di previsioni analoghe a quanto disposto dall’art. 3, par. 2, della Direttiva.

[25]   Si tratta di definizione corrispondente a quella prevista dall’art. 2, punto 4), della Direttiva.

      In base al punto (9) dei consideranda, gli utilizzi consentiti dovrebbero comprendere la realizzazione di copie in formato accessibile da parte dei beneficiari o delle entità autorizzate che ne soddisfano le esigenze, “siano tali entità autorizzate organizzazioni pubbliche o private, in particolare biblioteche, istituti scolastici e altre organizzazioni senza scopo di lucro, che erogano servizi alle persone che presentano disabilità nella lettura di testi a stampa in quanto loro attività primarie, obblighi istituzionali o come parte delle loro missioni di interesse pubblico”.

[26]   Si tratta di previsioni corrispondenti a quanto previsto dall’art. 6, punto 1), della Direttiva.

[27]   Si tratta di previsioni conformi a quanto disposto dall’art. 5, par. 1, della Direttiva.

[28]   Si tratta di previsioni conformi a quanto disposto dall’art. 5, par. 2, della Direttiva.

[29]   In particolare, gli artt. 3 e 4 del Regolamento (UE) 2017/1563 dispongono, rispettivamente, che:

- le entità autorizzate stabilite in uno Stato membro possono distribuire, comunicare o rendere disponibile ai beneficiari o a un'entità autorizzata stabilita in un paese terzo che è parte del trattato di Marrakesh una copia in formato accessibile di un'opera o di altro materiale realizzata in conformità della normativa nazionale adottata a norma della Direttiva (UE) 2017/1564;

- i beneficiari o le entità autorizzate stabilite in uno Stato membro possono importare o altrimenti ottenere o accedere e quindi utilizzare, conformemente alla normativa nazionale adottata a norma della Direttiva (UE) 2017/1564, una copia in formato accessibile di un'opera o di altro materiale che sia stata loro distribuita, comunicata o resa disponibile da un'entità autorizzata in un paese terzo che è parte del trattato di Marrakesh.

[30]   Si tratta di previsioni conformi a quanto disposto dall’art. 4 della direttiva.

[31]   L'allegato IX reca 'Simbolo per la marcatura delle Aee', specificando che il simbolo che indica la raccolta differenziata delle AEE è un contenitore di spazzatura mobile barrato, indicato in allegato. Il simbolo è stampato in modo visibile, leggibile e indelebile.

[32]   Si fa notare che la disposizione dettata dall’art. 2, par. 1, lettera f), della direttiva 2008/98/CE non è stata interessata dall’ampia riscrittura operata dalla nuova direttiva rifiuti n. 2018/851/UE.