Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Affari Comunitari
Titolo: Legge di delegazione europea 2018 - A.C. 1201-B
Riferimenti: AC N.1201-B/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 37/4
Data: 13/09/2019
Organi della Camera: Assemblea

13 settembre 2019

Legge di delegazione Europea 2018 A.C. 1201-B marzo 2018


 

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Dossier n. 62/4

 

 

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 37/4

 

 

 

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ID0004d

 


INDICE

Schede di lettura

Premessa................................................................................................................. 3

Articolo 1 (Delega al Governo per l’attuazione di direttive europee)........ 16

Articolo 2 (Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell’Unione europea)......................................................................................... 20

Articolo 3 (Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale).................................................................................................................. 23

Articolo 4 (Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1939, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea - “EPPO”)........................................ 35

Articolo 5 (Adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) n. 655/2014, sulla procedura per l'ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari per facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti in materia civile e commerciale)... 50

Articolo 6 (Delega al Governo per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato d'arresto europeo) 54

Articolo 7 (Compiuta attuazione della direttiva (UE) 2017/828 che modifica la direttiva 2007/36/CE per quanto riguarda l’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti)............................................................................................................... 67

Articolo 8 (Attuazione della direttiva (UE) 2017/1852, sui meccanismi di risoluzione delle controversie in materia fiscale nell'Unione europea).................................... 69

Articolo 9 (Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1129, relativo al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di titoli in un mercato regolamentato, e che abroga la direttiva 2003/71/CE) 71

Articolo 10 (Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1131, sui fondi comuni monetari)........................................................... 74

Articolo 11 (Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/2031 relativo alle misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante e, limitatamente alla sanità delle piante, al regolamento (UE) n. 2017/625, nonché per il riordino e la semplificazione in materia di sementi e di materiali di moltiplicazione di alcune piante)................................................................. 77

Articolo 12 (Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/625, relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari)........................................................................................... 80

Articolo 13 (Delega al Governo per l’attuazione della direttiva (UE) 2018/410, che modifica la direttiva 2003/87/CE in materia di scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra)............................................................................................................................... 85

Articolo 14 (Attuazione della direttiva (UE) 2018/849, che modifica le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) 90

Articolo 15 (Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2018/850, che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti)........... 96

Articolo 16 (Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2018/851, che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e della direttiva (UE) 2018/852, che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio) 100

Articolo 17 (Attuazione della direttiva  UE/2017/2108 in materia di sicurezza per le navi passeggeri)........................................................................................................ 115

Articolo 18 (Attuazione della direttiva (UE) 2017/2109 relativa alle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo e/o in partenza da porti degli Stati membri)   117

Articolo 19 (Attuazione della direttiva (UE)2017/2110 relativa a un sistema di ispezioni per l'esercizio in condizioni di sicurezza di navi ro-ro da passeggeri e di unità veloci da passeggeri adibite a servizi di linea).............................................................. 119

Articolo 20 (Princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2013/59/Euratom sulla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti)  121

Articolo 21 (Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/821 che stabilisce obblighi in materia di dovere di diligenza nella catena di approvvigionamento per gli importatori dell'Unione di alcune materie prime originarie di zone di conflitto o ad alto rischio).................................................................. 126

Articolo 22 (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 952/2013, che istituisce il codice doganale dell'Unione, del regolamento delegato (UE) 2015/2446, che integra il regolamento (UE) n. 952/2013 in relazione alle modalità che specificano alcune disposizioni del codice doganale dell'Unione, e del regolamento di esecuzione (UE) 2015/2447, recante modalità di applicazione di talune disposizioni del regolamento (UE) n. 952/2013).......................................... 130

Articolo 23 (Attuazione della direttiva (UE) 2018/844, che modifica la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia e la direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica)............................................................................................................................. 132

Articolo 24 (Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1938, concernente misure volte a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di gas e che abroga il regolamento (UE) n. 994/2010)........................................... 140

Articolo 25 (Principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/692 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, che modifica la direttiva 2009/73/CE relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale)............ 147

Articolo 26 (Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2017/159, recante attuazione dell’accordo relativo all’attuazione della Convenzione sul lavoro nel settore della pesca del 2007 dell’Organizzazione internazionale del lavoro)................ 149

Direttiva (UE) 2017/159 del Parlamento europeo e del Consiglio 19 dicembre 2016, recante attuazione dell'accordo relativo all'attuazione della Convenzione sul lavoro nel settore della pesca del 2007 dell'Organizzazione internazionale del lavoro, concluso il 21 maggio 2012, tra la Confederazione generale delle cooperative agricole nell'Unione europea (Cogeca), la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti e l'Associazione delle organizzazioni nazionali delle imprese di pesca dell'Unione europea (Europêche).............................. 152

Direttiva (UE) 2017/828 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2017 che modifica la direttiva 2007/36/CE per quanto riguarda l'incoraggiamento dell'impegno a lungo termine degli azionisti........................................................................... 157

Direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale............................................................................................................................. 162

Direttiva (UE) 2017/1852 del Consiglio, del 10 ottobre 2017, sui meccanismi di risoluzione delle controversie in materia fiscale nell'Unione europea.......................... 163

Direttiva (UE) 2017/2102 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2017, recante modifica della direttiva 2011/65/UE sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche....................... 170

Direttiva (UE) 2017/2108 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 novembre 2017 che modifica la direttiva 2009/45/CE, relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri.................................................................................................... 172

Direttiva (UE) 2017/2109 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2017, che modifica la direttiva 98/41/CE del Consiglio, relativa alla registrazione delle persone a bordo delle navi da passeggeri che effettuano viaggi da e verso i porti degli Stati membri della Comunità, e la direttiva 2010/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo e/o in partenza da porti degli Stati membri............................................................................................................................. 174

Direttiva (UE) 2017/2110 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2017 relativa a un sistema di ispezioni per l'esercizio in condizioni di sicurezza di navi ro-ro da passeggeri adibite a servizi di linea e che modifica la direttiva 2009/16/CE e abroga la direttiva 1999/35/CE del Consiglio................................................................ 177

Direttiva (UE) 2017/2397 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali nel settore della navigazione interna e che abroga le direttive 91/672/CEE e 96/50/CE del Consiglio............... 180

Direttiva (UE) 2017/2398 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2017 che modifica la direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro......... 184

Direttiva (UE) 2017/2455 del Consiglio, del 5 dicembre 2017, che modifica la direttiva 2006/112/CE e la direttiva 2009/132/CE per quanto riguarda taluni obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto per le prestazioni di servizi e le vendite a distanza di beni  186

Direttiva (UE) 2018/131 del Consiglio del 23 gennaio 2018 recante attuazione dell'Accordo concluso dall'Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF), volto a modificare la direttiva 2009/13/CE conformemente alle modifiche del 2014 alla convenzione sul lavoro marittimo del 2006, approvate dalla Conferenza internazionale del lavoro l'11 giugno 2014. 190

Direttiva (UE) 2018/410 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 marzo 2018, che modifica la direttiva 2003/87/CE per sostenere una riduzione delle emissioni più efficace sotto il profilo dei costi e promuovere investimenti a favore di basse emissioni di carbonio e la decisione (UE) 2015/1814.......................................................................... 193

Direttiva (UE) 2018/645 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 aprile 2018 che modifica la direttiva 2003/59/CE sulla qualificazione iniziale e formazione periodica dei conducenti di taluni veicoli stradali adibiti al trasporto di merci o passeggeri e la direttiva 2006/126/CE concernente la patente di guida.............................................. 197

Direttiva (UE) 2018/822 del Consiglio, del 25 maggio 2018, recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale relativamente ai meccanismi transfrontalieri soggetti all'obbligo di notifica............................................................................................................................. 201

Direttiva (UE) 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica le direttive 2009/138/CE e 2013/36/UE....................................................................................................... 205

Direttiva (UE) 2018/844 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia e la direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica........................................................... 208

Direttiva (UE) 2018/849 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 che modifica le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche................................................................................. 214

Direttiva (UE) 2018/850 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti........... 216

Direttiva (UE) 2018/851 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti..................................... 221

Direttiva (UE) 2018/852 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio 226

Direttiva (UE) 2018/957 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2018, recante modifica della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi........................................................................................ 229

Direttiva (UE) 2018/958 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 giugno 2018, relativa a un test della proporzionalità prima dell'adozione di una nuova regolamentazione delle professioni......................................................................................................... 232

Direttiva (UE) 2018/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2018 che modifica la direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica....................... 234

Direttiva (UE) 2019/692 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, che modifica la direttiva 2009/73/CE relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale.............................................................................................................. 238

Direttiva 2013/59/EURATOM del Consiglio del 5 dicembre 2013 che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall'esposizione alle radiazioni ionizzanti, e che abroga le direttive 89/618/EURATOM, 90/641/EURATOM, 96/29/EURATOM, 97/43 EURATOM e 2003/122/EURATOM..................... 239

 

 


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Schede di lettura


Premessa

Il presente dossier contiene le schede di lettura riferite ai singoli articoli del disegno di legge di delegazione europea 2018 (A.S. 944), nel testo approvato con modifiche dal Senato della Repubblica il 30 luglio 2019. Il dossier reca inoltre una descrizione delle direttive elencate nell'Allegato A.

 

Si ricorda che il disegno di legge recante Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2018 (A.C. 1201) è stato presentato dal Governo il 26 settembre 2018 alla Camera dei deputati e da questa approvato il 13 novembre 2018.

 

A seguito delle modifiche approvate in Senato, il disegno di legge consta di 26 articoli, le cui disposizioni di delega riguardano il recepimento di 26 direttive europee inserite nell’allegato A, nonché l’adeguamento della normativa nazionale a 10 regolamenti europei e a una decisione quadro GAI del Consiglio. L’articolato contiene inoltre principi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega relativa a 14 direttive.

 

Durante l’esame presso la 14a Commissione permanente del Senato:

·        sono stati inseriti tre nuovi articoli: 6, sul mandato di arresto europeo; 22, sul codice doganale dell'Unione; 25, sul mercato interno del gas naturale;

·        sono state incluse due direttive nell’Allegato A: la direttiva (UE) 2018/2002 sull'efficienza energetica e la direttiva (UE) 2019/692 relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale;

·        sono state apportate modifiche agli articoli: 3, 4, 7, 12, 13, 14, 15, 16 e 20.

 

Le leggi europee

La legge di delegazione europea è uno dei due strumenti di adeguamento all’ordinamento dell’Unione europea introdotti dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234, che ha attuato una riforma organica delle norme che regolano la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea.

In base all’articolo 29 della legge n. 234 del 2012, infatti, la legge comunitaria annuale (prevista dalla legge n. 11 del 2005) è stata sostituita da due distinti provvedimenti:

- la legge di delegazione europea, il cui contenuto è limitato alle disposizioni di delega necessarie per il recepimento delle direttive e degli altri atti dell’Unione europea;

- la legge europea, che contiene norme di diretta attuazione volte a garantire l’adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento europeo, con particolare riguardo ai casi di non corretto recepimento della normativa europea[1].

Il comma 4 dell’articolo 29 prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per gli affari europei, di concerto con il Ministro degli affari esteri e con gli altri Ministri interessati, presenta alle Camere, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, un disegno di legge di delegazione europea, con l’indicazione dell'anno di riferimento.

Il termine per la presentazione è posto entro il 28 febbraio di ogni anno.

Il contenuto del disegno di legge di delegazione europea è stabilito all’articolo 30, comma 2, della legge n. 234 del 2012:

a)                           disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa volta esclusivamente all'attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell'ordinamento nazionale, esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei;

b)                           disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa, diretta a modificare o abrogare disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformità dell'ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all'Italia dalla Commissione europea o al dispositivo di sentenze di condanna per inadempimento emesse della Corte di giustizia dell'Unione europea;

c)                           disposizioni che autorizzano il Governo a recepire le direttive in via regolamentare;

d)                           delega legislativa al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea;

e)                           delega legislativa al Governo limitata a quanto necessario per dare attuazione a eventuali disposizioni non direttamente applicabili contenute in regolamenti europei;

f)                            disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l'emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni UE recepite dalle regioni e dalle province autonome;

g)                           disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per recepire o per assicurare l'applicazione di atti dell'Unione europea nelle materie di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione;

h)                           disposizioni che, nell'ambito del conferimento della delega legislativa per il recepimento o l'attuazione degli atti di cui alle lettere a), b) ed e), autorizzano il Governo a emanare testi unici per il riordino e per l'armonizzazione di normative di settore, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome;

i)                            delega legislativa al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati.

Nell’esercizio delle deleghe legislative conferite, il Governo è tenuto al rispetto dei principi e criteri generali di delega[2], nonché degli specifici principi e criteri direttivi aggiuntivi eventualmente stabiliti dalla legge di delegazione europea, come previsto all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012.

Ai sensi dell’articolo 29, comma 7, il Governo deve inoltre dare conto dell’eventuale omesso inserimento delle direttive il cui termine di recepimento è scaduto o scade nel periodo di riferimento, considerati i tempi previsti per l’esercizio della delega, e fornire dati sullo stato delle procedure di infrazione, l’elenco delle direttive recepite o da recepire in via amministrativa, l’elenco delle direttive recepite con regolamento e l’elenco dei provvedimenti con i quali le singole regioni e province autonome hanno provveduto a recepire direttive nelle materie di loro competenza. Tutte queste informazioni sono contenute nella articolata ed estesa relazione illustrativa[3] che precede il testo del disegno di legge.

 

Si fa presente che, successivamente all’entrata in vigore della legge n. 234 del 2012, nell’ambito della XVII legislatura, sono state approvate 5 leggi di delegazione europea (due riferite al 2013 e una, rispettivamente, agli anni 2014, 2015 e 2016-2017).

 

La legge di delegazione europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 96) è composta da 13 articoli e tre allegati, ed ha conferito al Governo deleghe legislative per il recepimento di 40 direttive, il coordinamento della normativa nazionale alle rettifiche di 5 direttive e l’adeguamento a 2 regolamenti.

La legge di delegazione europea 2013 - secondo semestre (legge 7 ottobre 2014, n. 154) consta di 9 articoli e due allegati e conferisce al Governo deleghe legislative per il recepimento di 19 direttive, l’attuazione di 2 decisioni quadro, l'adeguamento a un regolamento (UE) e l'adozione di un testo unico.

La legge di delegazione europea 2014 (legge 9 luglio 2015, n. 114), che consta di 21 articoli e due allegati, reca disposizioni di delega per il recepimento di 58 direttive europee, per l'adeguamento della normativa nazionale a 6 regolamenti (UE), nonché per l'attuazione di 10 decisioni quadro.

La legge di delegazione europea 2015 (legge 12 agosto 2016, n. 170) si compone di 21 articoli e due allegati, conferendo deleghe per il recepimento di 7 regolamenti, 16 direttive, una raccomandazione del Comitato europeo per il rischio sistemico ed una decisione quadro GAI. L'articolo 7 contiene, inoltre, una delega generale per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni dell'Unione europea e agli accordi internazionali in materia di prodotti e tecnologia a duplice uso, di sanzioni ed embarghi commerciali, di commercio di strumenti di tortura e per ogni tipologia di operazione di esportazione di materiali proliferanti.

Da ultimo, la legge di delegazione europea 2016-2017 ((legge 25 ottobre 2017, n. 163), che si compone di 15 articoli e un allegato, conferendo deleghe per il recepimento di 29 direttive.

 

Ai sensi dell’articolo 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012, il disegno di legge di delegazione europea 2018 stabilisce - con riferimento ad alcuni atti dell’Unione europea - principi e criteri direttivi specifici cui il Governo deve attenersi nell’esercizio della delega, in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare e a quelli generali di delega, richiamati alle lettere da a) a i) del citato comma 1.

 

In particolare, il disegno di legge in esame introduce principi e criteri direttivi specifici di delega riferiti ai seguenti atti:

 

Direttive:

§  (UE) 2017/1371: lotta alle frodi lesive degli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (Articolo 3);

§  (UE) 2017/828: impegno a lungo termine degli azionisti (Articolo 7);

§  (UE) 2017/1852: meccanismi di risoluzione delle controversie in materia fiscale (Articolo 8);

§  (UE) 2018/410: riduzione emissioni carbonio (Articolo 13);

§  (UE) 2018/849: veicoli fuori uso, pile e accumulatori, RAEE (Articolo 14);

§  (UE) 2018/850: discariche dei rifiuti (Articolo 15);

§  (UE) 2018/851: rifiuti (Articolo 16);

§  (UE) 2017/2108: sicurezza delle navi da passeggeri (Articolo 17);

§  (UE) 2017/2109: registrazione delle persone a bordo delle navi da passeggeri (Articolo 18);

§  (UE) 2017/2110: ispezioni sulla sicurezza di navi ro-ro e di unità veloci da passeggeri (Articolo 19);

§  2013/59/EURATOM: norme di sicurezza sulla protezione dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti (Articolo 20);

§  (UE) 2018/844: prestazione energetica nell’edilizia (Articolo 23);

§  (UE) 2019/692: mercato interno del gas naturale (Articolo 25);

§  (UE) 2017/159: attuazione accordo sul lavoro nel settore della pesca (Articolo 26).

 

Regolamenti:

§  (UE) n. 2017/1939: cooperazione rafforzata sull'istituzione della Procura europea «EPPO» (Articolo 4);

§  (UE) n. 655/2014: procedura per l'ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari per facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti (Articolo 5);

§  (UE) n. 2017/1129: prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di titoli in un mercato regolamentato (Articolo 9);

§  (UE) n. 2017/1131: fondi comuni monetari (Articolo 10);

§  (UE) n. 2016/2031: misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante (Articolo 11);

§  (UE) n. 2017/625: controlli ufficiali sugli alimenti e sui mangimi, norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari (Articoli 11 e 12);

§   (UE) n. 2017/2392: limiti dell'ambito di applicazione relativo alle attività di trasporto aereo (Articolo 13);

§   (UE) n. 2017/821: dovere di diligenza nella catena di approvvigionamento per gli importatori dell'Unione di stagno, tantalio e tungsteno, dei loro minerali, e di oro, originari di zone di conflitto o ad alto rischio (Articolo 21);

§  (UE) n. 952/2013: codice doganale dell'Unione (articolo 22);

§  (UE) n. 2017/1938: sicurezza dell'approvvigionamento di gas (Articolo 24).

 

Decisioni quadro:

§  2002/584/GAI: mandato d'arresto europeo (Articolo 6).

 

Segue un elenco di tutti gli atti legislativi dell'UE contenuti nel disegno di legge di delegazione europea 2018 (articolato o Allegato A).

 

Tabella I – Elenco degli atti legislativi dell'Unione europea contenuti nel disegno di legge

 

Atto dell’Unione europea

Collocazione

Regolamento (UE) n. 2017/1939 cooperazione rafforzata sull'istituzione della Procura europea «EPPO»

Articolo 4

Regolamento (UE) n. 655/2014 procedura per l'ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari per facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti

Articolo 5

Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri

Articolo 6

Regolamento (UE) n. 2017/1129 prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di titoli in un mercato regolamentato

Articolo 9

Regolamento (UE) n. 2017/1131 fondi comuni monetari

Articolo 10

Regolamento (UE) n. 2016/2031 misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante

Articolo 11

Regolamento (UE) n. 2017/625 controlli ufficiali sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari

Articoli 11 e 12

Regolamento (UE) n. 2017/2392 limiti dell'ambito di applicazione relativo alle attività di trasporto aereo

Articolo 13

Regolamento (UE) n. 2017/821 dovere di diligenza nella catena di approvvigionamento per gli importatori dell'Unione di stagno, tantalio e tungsteno, dei loro minerali, e di oro, originari di zone di conflitto o ad alto rischio

Articolo 21

Regolamento (UE) n. 952/2013, che istituisce il codice doganale dell'Unione

Articolo 22

Regolamento (UE) n. 2017/1938 sicurezza dell'approvvigionamento di gas

Articolo 24

Direttiva 2013/59/Euratom norme di sicurezza sulla protezione dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti

Articolo 20 e Allegato A (n. 1)

Direttiva (UE) 2017/159 attuazione accordo sul lavoro nel settore della pesca

Articolo 26 e Allegato A (n. 2)

Direttiva (UE) 2017/828 impegno a lungo termine degli azionisti

Articolo 7 e Allegato A (n. 3)

Direttiva (UE) 2017/1371 lotta alle frodi lesive degli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale

Articolo 3 e Allegato A (n. 4)

Direttiva (UE) 2017/1852 meccanismi di risoluzione delle controversie in materia fiscale

Articolo 8 e Allegato A (n. 5)

Direttiva (UE) 2017/2102 restrizione uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche

Allegato A (n. 6)

Direttiva (UE) 2017/2108 sicurezza delle navi da passeggeri;

Articolo 17 e Allegato A (n. 7)

Direttiva (UE) 2017/2109 registrazione delle persone a bordo delle navi da passeggeri;

Articolo 18 e Allegato A (n. 8)

Direttiva (UE) 2017/2110 ispezioni sulla sicurezza di navi ro-ro e di unità veloci da passeggeri;

Articolo 19 e Allegato A (n. 9)

Direttiva (UE) 2017/2397 qualifiche professionali nel settore della navigazione interna;

Allegato A (n. 10)

Direttiva (UE) 2017/2398 prevenzione nella esposizione dei lavoratori ad agenti cancerogeni o mutageni

Allegato A (n. 11)

Direttiva (UE) 2017/2455 IVA su servizi e vendite a distanza

Allegato A (n. 12)

Direttiva (UE) 2018/131 accordo armatori e federazione lavoratori trasporto

Allegato A (n. 13)

Direttiva (UE) 2018/410 riduzione emissioni carbonio

Articolo 13 e Allegato A (n. 14)

Direttiva (UE) 2018/645 conducenti veicoli trasporto

Allegato A (n. 15)

Direttiva (UE) 2018/822 scambio informazioni fiscali sui meccanismi transfrontalieri

Allegato A (n. 16)

Direttiva (UE) 2018/843 prevenzione uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio

Allegato A (n. 17)

Direttiva (UE) 2018/844 prestazione energetica nell’edilizia

Articolo 23 e Allegato A (n. 18)

Direttiva (UE) 2018/849 veicoli fuori uso, pile e accumulatori, RAEE

Articolo 14 e Allegato A (n. 19)

Direttiva (UE) 2018/850 discariche dei rifiuti

Articolo 15 e Allegato A (n. 20)

Direttiva (UE) 2018/851 rifiuti

Articolo 16 e Allegato A (n. 21)

Direttiva (UE) 2018/852 imballaggi e rifiuti di imballaggio

Allegato A (n. 22)

Direttiva (UE) 2018/957 distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi

Allegato A (n. 23)

Direttiva (UE) 2018/958 test della proporzionalità prima dell'adozione di una nuova regolamentazione delle professioni

Allegato A (n. 24)

Direttiva (UE) 2018/2002 sull'efficienza energetica

Allegato A (n. 25)

Direttiva (UE) n. 2019/692 relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale

Articolo 25 e Allegato A (n. 26)

 

 

Analizzando gli atti contenuti nel disegno di legge per anno di emanazione, si evidenzia, per quanto riguarda le direttive, che sono state inserite: una direttiva emanata nel 2013; 11 del 2017; 13 pubblicate nel 2018 e una nel 2019. Quanto ai regolamenti europei, il disegno di legge reca un atto emanato nel 2013, uno nel 2014, uno nel 2016 e 7 regolamenti pubblicati nel 2017.

 

 


 

Tabella II - Direttive per anno di emanazione

 

2013 (1)

2017 (11)

2018 (13)

 

2019 (1)

2013/59/EURATOM

(UE) 2017/159

(UE) 2017/828

(UE) 2017/1371

(UE) 2017/1852

(UE) 2017/2102

(UE) 2017/2108

(UE) 2017/2109

(UE) 2017/2110

(UE) 2017/2397

(UE) 2017/2398

(UE) 2017/2455

(UE) 2018/131

(UE) 2018/410

(UE) 2018/645

(UE) 2018/822

(UE) 2018/843

(UE) 2018/844

(UE) 2018/849

(UE) 2018/850

(UE) 2018/851

(UE) 2018/852

(UE) 2018/957

(UE) 2018/958

(UE) 2018/2002

(UE) 2019/692

 

Tabella III - Regolamenti per anno di emanazione

 

2013 (1)

2014 (1)

2016 (1)

 

2017 (7)

(UE) n. 952/2013

(UE) n. 655/2014

(UE) n. 2016/2031

(UE) n. 2017/625

(UE) n. 2017/821

(UE) n. 2017/1129

(UE) n. 2017/1131

(UE) n. 2017/1938

(UE) n. 2017/1939

(UE) n. 2017/2392

 

Nel disegno di legge è disciplinato l'adeguamento della normativa nazionale a un'unica decisione quadro e il relativo documento risale al 2002.

 

La successiva tabella elenca, invece, i documenti legislativi dell'Unione europea, oggetto di attuazione mediante il disegno di legge di delegazione 2018, ripartiti in base alla scadenza dei termini di recepimento delle direttive.

 

 

 

 

 

 

 

 

Tabella IV - Direttive per termine di recepimento

 

Termine di recepimento

Direttive

Totale (26)

6 febbraio 2018[4]

2013/59/EURATOM

1

31 dicembre 2018[5]

(UE) 2017/2455

1

10 giugno 2019

(UE) 2017/828

1

12 giugno 2019

(UE) 2017/2102

1

30 giugno 2019

(UE) 2017/1852

1

6 luglio 2019

(UE) 2017/1371

1

9 ottobre 2019[6]

(UE) 2018/410

1

15 novembre 2019

(UE) 2017/159

1

21 dicembre 2019

(UE) 2017/2108

(UE) 2017/2109

(UE) 2017/2110

3

31 dicembre 2019

(UE) 2018/822

1

10 gennaio 2020

(UE) 2018/843

1

17 gennaio 2020

(UE) 2017/2398

1

16 febbraio 2020

(UE) 2018/131

1

24 febbraio 2020

(UE) 2019/692

1

10 marzo 2020

(UE) 2018/844

1

23 maggio 2020[7]

(UE) 2018/645

1

25 giugno 2020

(UE) 2018/2002

1

5 luglio 2020

(UE) 2018/849

(UE) 2018/850

(UE) 2018/851

(UE) 2018/852

4

30 luglio 2020

(UE) 2018/957

(UE) 2018/958

2

17 gennaio 2022

(UE) 2017/2397

1

 

 

La procedura parlamentare di esame delle leggi europee 

 

La fase discendente di esame ed approvazione dei disegni di legge europea e di delegazione europea, con il contestuale esame della Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione, rappresentano il momento per compiere, in sede parlamentare, una verifica complessiva dell'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dall'appartenenza all'UE da parte dell'Italia.

Sui due atti si svolge un procedimento di esame congiunto in Commissione ed in Assemblea, pur avendo l'uno natura legislativa e l'altro quella di indirizzo e controllo.

Per quanto riguarda la procedura occorre far riferimento all' articolo 126-ter del Regolamento della Camera (R.C.) che traccia una procedura speciale.

Nella vigente formulazione, la norma regolamentare mantiene il riferimento alla legge comunitaria e alla relazione annuale, precedentemente previsti dalla legge n. 11 del 2005. Per effetto dello sdoppiamento dello strumento legislativo recato dalla legge n. 234 del 2012, tale disciplina si intende applicabile all'esame della legge europea e della legge di delegazione europea. La disciplina speciale prevista all'art. 126-ter, inoltre, si intende riferita solamente all'esame della Relazione consuntiva. A tal riguardo, la Giunta per il Regolamento della Camera ha ritenuto in via interpretativa, con due pareri adottati il 6 ottobre 2009 ed il 14 luglio 2010, che: la relazione programmatica, che il Governo presenta entro il 31 dicembre di ciascun anno, è oggetto di esame congiunto con il programma legislativo delle Istituzioni europee, secondo la procedura già delineata dalla Giunta medesima il 9 febbraio 2000; la relazione a consuntivo, che il Governo presenta assieme al disegno di legge comunitaria, è invece oggetto di esame congiunto con il disegno di legge comunitaria, secondo il disposto regolamentare vigente.

Più in dettaglio, l'art. 126-ter R.C. prevede che il disegno di legge comunitaria (ora: europea e di delegazione europea) e la relazione (ora: consuntiva) sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'UE siano assegnati, per l'esame generale in sede referente, alla Commissione politiche dell'Unione europea, e, per l'esame delle parti di rispettiva competenza, alle Commissioni competenti per materia.

Ciascuna Commissione è tenuta ad esaminare le parti del disegno di legge di propria competenza entro quindici giorni dall'assegnazione, concludendo con l’approvazione di una relazione e con la nomina di un relatore, che può partecipare alle sedute della Commissione politiche dell'Unione europea. Entro lo stesso termine sono trasmesse le eventuali relazioni di minoranza. Le singole Commissioni approvano anche gli emendamenti al disegno di legge, relativi alle parti di competenza, che vengono inclusi nella relazione. Analogamente, sempre entro quindici giorni, ciascuna Commissione esamina le parti della Relazione annuale che riguardino la propria competenza ed approvano un parere.

Decorso il termine indicato, la Commissione politiche dell'Unione europea, entro i successivi trenta giorni, conclude l'esame del disegno di legge e della relazione, predisponendo per ciascun atto una relazione generale per l'Assemblea, alla quale sono allegate, rispettivamente, le relazioni ed i pareri approvati dalle singole Commissioni.

La Commissione politiche dell’Unione europea svolge l'esame in sede referente del provvedimento e gli emendamenti approvati dalle singole commissioni si ritengono accolti salvo che la Commissione politiche dell’Unione europea non li respinga per motivi di compatibilità con la normativa comunitaria, ovvero per esigenze di coordinamento generale.

Criteri particolari riguardano l'ammissibilità degli emendamenti: oltre ai princìpi generali contenuti all'art. 89 R.C. (estraneità all'oggetto della discussione), sono considerati inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che riguardino materie estranee all'oggetto proprio delle leggi europee, come definito dalla legislazione vigente. Gli emendamenti dichiarati inammissibili in commissione non possono essere ripresentati in Assemblea.

Terminato l’esame in Commissione, i disegni di legge europea e di delegazione

europea e la Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, sono trasmessi all'Assemblea, dove ha luogo la discussione generale congiunta, nell’ambito della quale possono essere presentate risoluzioni sulla Relazione annuale, che sono votate dopo la votazione finale sul disegno di legge.

Si ricorda, infine, che sul disegno di legge di delegazione europea (e su quello di legge europea, ove contenga deleghe), si esprime, inoltre, il Comitato per la legislazione, ai sensi dell'art. 16- bis, comma 6- bis, R.C., dal momento che si tratta di una legge contenente norme di delegazione legislativa.

 

Per quanto riguarda il Senato, la procedura vigente per l'esame del disegno di legge di delegazione europea (come della legge europea e delle relazioni annuali sulla partecipazione dell'Italia all'UE) è disciplinata dall’articolo 144-bis del Regolamento interno.

Il suddetto articolo, al comma 1, prevede che tali atti siano assegnati, per l'esame generale in sede referente, alla 14a Commissione "Politiche dell'Unione europea" e, per l'esame delle parti di rispettiva competenza, alle Commissioni competenti per materia.

Queste ultime dispongono di quindici giorni per condurre l'esame che potrà concludersi, nel caso del disegno di legge di delegazione (e del disegno di legge europea), con l'approvazione di una relazione e con la nomina di un relatore. È prevista inoltre la possibilità di trasmettere relazioni di minoranza.

Nel caso si tratti delle relazioni annuali sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, l'esame nelle commissioni si concluderà con l'approvazione di un parere.

Trascorsi quindici giorni dall'assegnazione la 14a Commissione potrà in ogni caso procedere all'esame (comma 2). Avrà a disposizione trenta giorni per concluderlo e per trasmettere una relazione generale all'Assemblea. A tale relazione sono allegate altresì le relazioni delle Commissioni (o i pareri nel caso si esamini la relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea).

Per quanto concerne gli emendamenti, fermi restando i principi sanciti dall'articolo 97 R.S. (dichiarazione di improbabilità e inammissibilità), sono inammissibili quelli che riguardano materie estranee al disegno di legge in esame. Il Presidente del Senato, ricorrendo tali condizioni, può dichiarare inammissibili disposizioni del testo proposto dalla Commissione all'Assemblea (comma 4). L'articolo 144-bis prevede poi, al comma 5, che possano essere presentati in Assemblea, anche dal solo proponente, i soli emendamenti respinti nella 14a Commissione. Il Presidente del Senato, tuttavia, potrà ammetterne dei nuovi purché correlati con modifiche proposte dalla Commissione o già approvate in Assemblea.

In base al comma 6, la discussione generale dell'esame del disegno di legge di delegazione europea (e della legge europea) può avvenire congiuntamente con la discussione della relazione annuale sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, sulla quale è prevista la possibilità di presentare delle proposte di risoluzione. Al termine della votazione sul disegno di legge, l'Assemblea delibera sulle suddette proposte, votando per prima quella accettata dal Governo, alla quale ciascun senatore può proporre emendamenti (comma 7).

 

 


Articolo 1
(Delega al Governo per l’attuazione di direttive europee)

 

Il comma 1 dell’articolo 1 reca la delega al Governo per l’attuazione delle direttive elencate nell'allegato A.

 

L’allegato A elenca 26 direttive da recepire con decreto legislativo, il cui testo deve essere preliminarmente sottoposto all'esame delle competenti Commissioni parlamentari per l'espressione di un parere.

 

Per quanto riguarda i termini, le procedure, i princìpi e i criteri direttivi della delega, il citato comma 1 rinvia alle disposizioni previste dagli articoli 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

 

L’articolo 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012 dispone che il termine per l’esercizio delle deleghe conferite al Governo con la legge di delegazione europea sia di quattro mesi antecedenti il termine di recepimento indicato in ciascuna delle direttive[8]. Per le direttive il cui termine così determinato sia già scaduto alla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea, o scada nei tre mesi successivi, la delega deve essere esercitata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge stessa. Per le direttive che non prevedono un termine di recepimento, la delega deve essere esercitata entro i dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea.

L’articolo 31, comma 5, della legge n. 234 del 2012 prevede inoltre che il Governo possa adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati in base alla delega conferita con la legge di delegazione entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, sempre nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi fissati dalla legge stessa.

 

L’articolo 32 della legge n. 234 del 2012 detta i seguenti princìpi e criteri direttivi generali di delega:

a)   le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti;

b)   ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, anche attraverso il riassetto e la semplificazione della normativa;

c)    gli atti di recepimento di direttive dell'Unione europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (c.d. gold plating);

d)   ove necessario, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste sanzioni amministrative e penali per le infrazioni alle disposizioni dei decreti stessi. In ogni caso le sanzioni penali sono previste "solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti";

e)    al recepimento di direttive o di altri atti che modificano precedenti direttive o di atti già attuati con legge o con decreto legislativo si procede apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione;

f)     nella redazione dei decreti legislativi si tiene conto delle eventuali modificazioni delle direttive comunque intervenute fino al momento dell'esercizio della delega;

g)   quando si verificano sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse o comunque siano coinvolte le competenze di più amministrazioni statali, i decreti legislativi individuano le procedure per salvaguardare l'unitarietà dei processi decisionali, l’efficacia e la trasparenza dell’azione amministrativa, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà e delle competenze delle regioni e degli enti territoriali;

h)   le direttive che riguardano le stesse materie o che comunque comportano modifiche degli stessi atti normativi vengono attuate con un unico decreto legislativo, compatibilmente con i diversi termini di recepimento;

i)     è sempre assicurata la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea e non può essere previsto in ogni caso un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani.

 

Il comma 2 dell’articolo 1 prevede che gli schemi di decreto legislativo recanti attuazione delle direttive incluse nell’allegato A siano sottoposti al parere delle competenti Commissioni parlamentari.

 

La disposizione segue lo schema procedurale disciplinato in via generale dall’articolo 31, comma 3, della legge 234 del 2012. Esso prevede che gli schemi di decreto legislativo, una volta acquisiti gli altri pareri previsti dalla legge, siano trasmessi alle Camere per l’espressione del parere e che, decorsi quaranta giorni dalla data di trasmissione, i decreti siano emanati anche in mancanza del parere.

Qualora il termine fissato per l’espressione del parere parlamentare scada nei trenta giorni che precedono il termine per l’esercizio della delega o successivamente, il termine per la delega è prorogato di tre mesi. Si intende in tal modo permettere al Governo di usufruire in ogni caso di un adeguato periodo di tempo per l’eventuale recepimento nei decreti legislativi delle indicazioni emerse in sede parlamentare.

Il comma 9 del medesimo articolo 31 prevede altresì che, ove il Governo non intenda conformarsi ai pareri espressi dagli organi parlamentari relativi a sanzioni penali contenute negli schemi di decreti legislativi, ritrasmette i testi alle Camere, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni. Decorsi venti giorni dalla data di ritrasmissione, i decreti sono emanati anche in mancanza di nuovo parere.

 

Il comma 3 dell’articolo in esame dispone che eventuali spese non contemplate dalla legislazione vigente, che non riguardano l’attività ordinaria delle amministrazioni statali o regionali, possono essere previste nei decreti legislativi attuativi delle direttive di cui all'Allegato A esclusivamente nei limiti necessari per l’adempimento degli obblighi di attuazione dei medesimi provvedimenti.

 

Alla copertura degli oneri recati dalle spese eventualmente previste nei decreti legislativi attuativi, nonché alla copertura delle minori entrate eventualmente derivanti dall’attuazione delle direttive, qualora non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni, si provvede a carico del Fondo per il recepimento della normativa europea, di cui all’articolo 41-bis della legge n. 234/2012.

 

Il Fondo per il recepimento della normativa europea è stato istituito dalla legge 29 luglio 2015, n. 115 (Legge europea 2014) attraverso l’introduzione dell'articolo 41-bis della legge 234/2012, al fine di consentire il tempestivo adeguamento dell'ordinamento interno agli obblighi imposti dalla normativa europea, nei soli limiti occorrenti per l'adempimento di tali obblighi e soltanto in quanto non sia possibile farvi fronte con i fondi già assegnati alle competenti amministrazioni dalla legislazione vigente.

 

Il Fondo è collocato nella Missione 3 dello stato di previsione del MEF, programma 3.1, capitolo 2815; esso aveva una dotazione iniziale di 10 milioni di euro per il 2015 e di 50 milioni annui a partire dal 2016.

 

Il comma 810 dell’articolo unico della legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) ha previsto che la dotazione di tale Fondo sia ulteriormente incrementata di 50 milioni di euro per l'anno 2016 e di 100 milioni di euro annui per il periodo 2017-2020. Il comma 813 della medesima legge ha posto a carico del Fondo il pagamento degli oneri finanziari derivanti dall'esecuzione delle sentenze di condanna inflitte dalla Corte di giustizia dell'Unione europea a carico dell'Italia (articolo 43, comma 9-bis, della legge n. 234/2012). Viene inoltre specificato che "a fronte dei pagamenti effettuati, il Ministero dell'economia e delle finanze attiva il procedimento di rivalsa a carico delle amministrazioni responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di condanna, anche con compensazione con i trasferimenti da effettuare da parte dello Stato in favore delle amministrazioni stesse".

 

Nel disegno di legge di assestamento 2018 (a.C. 2018), il Fondo porta 45,9 milioni di euro, con una riduzione di 66,5 milioni rispetto alle previsioni iniziali 2018 e pagamenti pari a zero.

 

Si segnala, infine, che l'articolo 36 della legge europea 2015-2016 (legge 7 luglio 2016, n. 122) ha incrementato il fondo di cui all’articolo 156, comma 10, del Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo n. 196/2003), al fine di assicurare il funzionamento del Garante per la protezione dei dati personali e il regolare svolgimento dei poteri di controllo ad esso affidati dalla normativa dell’Unione europea. La disposizione prevede che a tale onere si provveda mediante la corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui all’articolo 41-bis, comma 1, della legge 234/2012, nella misura di 12 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017.

 

Lo stesso comma 3 prevede inoltre che, in caso di incapienza del Fondo per il recepimento della normativa europea, i decreti legislativi attuativi delle direttive dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie, in conformità all'articolo 17, comma 2, della legge di contabilità e finanza pubblica (legge 31 dicembre 2009, n. 196).

 

Il comma 2 dell’articolo 17 della legge n. 196/2009 ha introdotto specifiche disposizioni relative alla copertura degli oneri recati dall’attuazione di deleghe legislative. In particolare, è espressamente sancito il principio in base al quale le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura finanziaria necessari per l’adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, a tale quantificazione si procede al momento dell’adozione dei singoli decreti.

A tal fine, si dispone, in primo luogo, che ciascuno schema di decreto sia corredato di una relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo provvedimento ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura. In secondo luogo, la norma dispone che l’individuazione dei mezzi di copertura deve in ogni caso precedere l’entrata in vigore dei decreti medesimi, subordinando l’emanazione dei decreti legislativi alla previa entrata in vigore degli atti legislativi recanti lo stanziamento delle relative risorse finanziarie.

 

È altresì previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti anche per i profili finanziari sugli schemi dei decreti legislativi in questione, come richiesto dall'articolo 31, comma 4, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, che disciplina le procedure per l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea.

 

In particolare, il citato comma 4 dell’articolo 31 prevede che gli schemi dei decreti legislativi recanti recepimento delle direttive che comportino conseguenze finanziarie siano corredati della relazione tecnica, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge di contabilità pubblica (legge n. 196/2009). Su di essi è richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari. Il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi d'informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari, che devono essere espressi entro venti giorni.

 

 


 

Articolo 2
(Delega al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell’Unione europea)

 

L'articolo 2 conferisce al Governo, ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 234 del 2012, una delega biennale per l'emanazione di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi discendenti da precetti europei non trasfusi in leggi nazionali. Può trattarsi di direttive attuate in via regolamentare o amministrativa, quindi trasposte con fonti secondarie, come tali inidonee a istituire sanzioni penali. Può, infine, altresì trattarsi di violazioni di regolamenti dell'Unione europea.

La delega è conferita per gli atti pubblicati a partire dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea 2016-2017, per i quali non siano già previste sanzioni.

 

Gli atti legislativi dell'Unione europea di norma non introducono né disciplinano sanzioni, rimandando invece agli ordinamenti nazionali, in virtù della diversità dei sistemi giuridici nazionali.

 

La disposizione è analoga a quella contenuta nelle leggi di delegazione europea relative agli anni precedenti. Risponde all'esigenza di prevedere con fonte normativa interna di rango primario - atta ad introdurre norme di natura penale o amministrativa nell’ordinamento nazionale - l'eventuale disciplina sanzionatoria necessaria all’attuazione di direttive in via regolamentare o amministrativa. La stessa necessità si ravvisa per eventuali sanzioni da introdurre per violazione di norme contenute in regolamenti dell’Unione europea che, come è noto, non richiedono leggi di recepimento, essendo direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale.

La finalità dell’articolo è pertanto quella di consentire al Governo, fatte salve le norme penali vigenti, di introdurre sanzioni volte a punire le trasgressioni commesse in violazione dei precetti contenuti nelle disposizioni normative dell’Unione europea, garantendo il rispetto degli atti regolamentari o amministrativi con cui tali disposizioni vengono trasposte nell’ordinamento interno.

 

L’articolo 33 della legge n. 234 del 2012 individua la delega stessa come contenuto proprio della legge di delegazione europea. Il comma 2 dell’art. 33 prevede che i decreti legislativi siano adottati, in base all'art. 14 della legge n. 400 del 1988[9], su proposta del Presidente del Consiglio o del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri competenti per materia

La tipologia e la scelta delle sanzioni deve essere effettuata, oltre che secondo i princìpi e i criteri direttivi generali indicati all’articolo 32, comma 1, lettera d), della legge n. 234 del 2012, secondo quelli specifici eventualmente indicati nella legge di delegazione europea.

La citata lettera d) dell’articolo 32, comma 1, della legge n. 234 del 2012 indica i principi e criteri di delega per l’adozione della disciplina sanzionatoria corrispondente. In particolare, al di fuori dei casi previsti dalle norme penali vigenti, al fine di assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, possono essere previste sanzioni penali, nei limiti, rispettivamente, dell'ammenda fino a 150.000 euro e dell'arresto fino a tre anni, in via alternativa o congiunta, solo nei casi in cui le infrazioni ledano o espongano a pericolo interessi costituzionalmente protetti. In tali casi è prevista la pena dell'ammenda alternativa all'arresto per le infrazioni che espongano a pericolo o danneggino l'interesse protetto; la pena dell'arresto congiunta a quella dell'ammenda per le infrazioni che rechino un danno di particolare gravità. In luogo dell'arresto e dell'ammenda, possono essere anche previste le sanzioni alternative di cui agli articoli 53 e seguenti del decreto legislativo n. 274 del 2000, e la relativa competenza del giudice di pace. Tali sanzioni consistono nell’obbligo di permanenza domiciliare, nel divieto di accesso a luoghi determinati e nello svolgimento di lavori di pubblica utilità (su richiesta dell’imputato). È altresì prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma non inferiore a 150 euro e non superiore a 150.000 euro per le infrazioni che ledono o espongono a pericolo interessi diversi da quelli sopra indicati. L’entità delle sanzioni è determinata tenendo conto della diversa potenzialità lesiva dell'interesse protetto che ciascuna infrazione presenta in astratto, di specifiche qualità personali del colpevole, con particolare riguardo a quelle che impongono particolari doveri di prevenzione, controllo o vigilanza, nonché del vantaggio patrimoniale che l'infrazione può recare al colpevole o alla persona o all'ente nel cui interesse egli agisce. Ove necessario per assicurare l'osservanza delle disposizioni contenute nei decreti legislativi, sono previste inoltre le sanzioni amministrative accessorie della sospensione fino a sei mesi e, nei casi più gravi, della privazione definitiva di facoltà e diritti derivanti da provvedimenti dell'amministrazione, nonché sanzioni penali accessorie nei limiti stabiliti dal codice penale. Sempre al medesimo fine è prevista la confisca obbligatoria delle cose utilizzate per commettere l'illecito amministrativo o il reato previsti dai medesimi decreti legislativi, nel rispetto dei limiti stabiliti dall'articolo 240, commi 3 e 4, del codice penale e dall'articolo 20 della legge n. 689 del 1981. Entro i limiti di pena indicati sono previste sanzioni anche accessorie identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per violazioni omogenee e di pari offensività rispetto a quelle previste nei decreti legislativi. Infine, nelle materie di cui all'articolo 117, quarto comma, della Costituzione, le sanzioni amministrative sono determinate dalle regioni.

 

Sugli schemi di decreto legislativo adottati in virtù della delega conferita dal presente articolo è prevista l’acquisizione del parere delle competenti Commissioni parlamentari, secondo le modalità previste dal comma 3 del citato articolo 33.

 

 


 

Articolo 3
(Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale)

 

L’articolo 3, modificato nel corso dell’esame in Senato, contiene i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode - che leda gli interessi finanziari dell’Unione - mediante il diritto penale, cosiddetta “direttiva PIF (protezione interessi finanziari)”. Il termine per il recepimento della Direttiva era il 6 luglio 2019.

 

La Direttiva 2017/1371 ha per oggetto la fissazione di «norme minime riguardo alla definizione di reati e di sanzioni in materia di lotta contro la frode e altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, al fine di rafforzare la protezione contro reati che ledono tali interessi finanziari» (art. 1).

A tal fine (art. 2), è specificata la nozione di “interessi finanziari”, per cui, ai sensi dell’art. 2, par. 1, lett. a), «si intendono tutte le entrate, le spese e i beni che sono coperti o acquisiti oppure dovuti in virtù: del bilancio dell’Unione; dei bilanci di istituzioni, organi e organismi dell’Unione istituiti in virtù dei trattati o dei bilanci da questi direttamente o indirettamente gestiti e controllati. Tutte le risorse proprie sono dunque ricondotte entro la nozione di interessi finanziari dell’Unione, compresa la materia dell’IVA.

Al riguardo, il par. 2 del medesimo articolo chiarisce che, in materia di risorse provenienti dal sistema IVA, la direttiva si applica solo in caso di reati gravi, ovvero soltanto nel caso in cui la condotta fraudolenta (attiva od omissiva) comporti un danno complessivo almeno pari a dieci milioni di euro e sia connessa a due o più Stati membri. La Direttiva detta soltanto norme ‘minime’ e lascia intatta in capo agli Stati membri la “facoltà di mantenere in vigore o adottare norme più rigorose per reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione”.

L’art. 2 fornisce altresì la definizione di “persona giuridica” (par. 1, lett. b), da intendersi quale «entità che abbia personalità giuridica in forza del diritto applicabile, ad eccezione degli Stati o di altri organismi pubblici nell’esercizio dei pubblici poteri e delle organizzazioni internazionali pubbliche».

Gli artt. 3 e 4 (titolo II) sono dedicati all’analisi dei reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione: sui Paesi gravano quindi precisi obblighi di incriminazione per le tipologie di condotte ivi descritte (vedi infra).

Rispetto ai reati individuati, si debbono punire anche le forme di istigazione, concorso, favoreggiamento e tentativo (art. 5) e deve essere considerata come circostanza aggravante l’ipotesi della consumazione di tali reati nell’ambito di un’organizzazione criminale (art. 8, con rinvio alla decisione quadro 2008/841/GAI).

L’art. 6 stabilisce altresì che dovranno ritenersi responsabili quelle persone giuridiche che abbiano tratto beneficio dalla consumazione di tali reati, qualora questi siano stati commessi da parte dei membri apicali delle stesse, ovvero a seguito dell’omissione di controlli da parte dei vertici societari. L’art. 9, sempre in tema di persone giuridiche, stabilisce che esse saranno sottoposte a sanzioni pecuniarie o di altra natura, che spaziano dalle interdizioni fino, addirittura, allo scioglimento dell’ente.

Quanto alle persone fisiche (art. 8), dopo il richiamo alla natura effettiva, proporzionata e dissuasiva delle sanzioni, si prevede che per i reati di cui agli artt. 3 e 4 della direttiva debba essere prevista, come pena massima, una forma di reclusione (par. 2): in caso di danni e vantaggi considerevoli – considerati tali ove sia superata la soglia dei centomila euro, salvo quanto già detto in materia di frodi IVA – il limite edittale massimo non potrà essere inferiore a quattro anni (par. 3). Nel caso di danni e vantaggi inferiori a diecimila euro, possono essere disposte sanzioni di natura non penale (par. 4).

Ai sensi dell’art. 10, per i reati previsti dalla direttiva dovranno essere assunte opportune misure perché le competenti autorità giudiziarie possano disporre forme di congelamento e confisca dei proventi dei reati, in ossequio a quanto stabilito dalla direttiva 2014/42/UE.

L’art. 12 concerne i termini di prescrizione.

A quest’ultimo riguardo, si rammenta che nel nostro ordinamento si è sviluppata una complessa vicenda, comunemente indicata come caso Taricco, che ha preso le mosse con l’ordinanza di rimessione della Corte di cassazione dell’8 luglio 2016, con cui si lamentava l’illegittimità costituzionale della legge di ratifica del Trattato di Lisbona e, più in particolare, dell’art. 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, laddove esso avrebbe imposto la disapplicazione delle regole interne sulla prescrizione dei reati (art. 160 del codice penale), proprio in un processo penale per frode IVA. Secondo la Corte di cassazione, la disapplicazione delle norme sulla prescrizione (dovuta alla prevalenza del diritto dell’Unione europea su quello interno, stabilita con riferimento al caso Taricco nella sentenza dell’8 settembre 2015, C-105/14) avrebbe impedito di dichiarare prescritti i fatti di causa – che secondo la legge italiana erano prescritti – senza però che la normativa risultante da tale disapplicazione indicasse una nuova precisa disciplina della prescrizione, con ciò ledendo un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico italiano (un c.d. controlimite), vale a dire la determinatezza del precetto penale, ai sensi dell’art. 25, secondo comma, della Costituzione. La Corte costituzionale aveva dapprima sollevato una questione pregiudiziale innanzi alla Corte del Lussemburgo (ordinanza n. 24 del 2017); una volta che la Corte di giustizia aveva risposto (sentenza 5 dicembre 2017, in causa C-42/17), la Corte costituzionale ha emanato una sentenza interpretativa di rigetto (n. 115 del 2018). La Corte ha ritenuto che la regola Taricco non possa applicarsi nell’ordinamento italiano senza un’espressa scelta legislativa interna e con una regolazione rispettosa del principio di determinatezza. La Corte ritiene che – del resto – questa pronunzia sia in linea con la sentenza resa dalla Corte di giustizia in riscontro alla questione pregiudiziale, giacché la Corte di giustizia aveva subordinato l’applicabilità nell’ordinamento interno della regola Taricco alla verifica - demandata al giudice nazionale – se essa fosse compatibile con il principio di determinatezza in materia penale.

Agli Stati membri è qui chiesto di adottare al proposito misure tali da consentire l’intero svolgimento del procedimento penale, onde realizzare un contrasto efficace dei reati che ledono gli interessi finanziari UE (par. 1). Il periodo necessario a prescrivere il reato non può essere inferiore a cinque anni (par. 2), che possono essere diminuiti a tre (par. 3) ove siano previsti termini interruttivi o sospensivi in caso di determinati atti. Il par. 4, in punto di prescrizione della pena, esige che le pene detentive possano essere eseguite per almeno cinque anni dalla data della condanna definitiva.

Gli artt. 13 e 14, infine, ribadiscono che l’applicazione della direttiva non pregiudica il recupero delle somme indebitamente sottratte all’Unione o del quantum non versato a titolo IVA (in questo secondo caso, si provvederà a livello nazionale); l’avvio di un procedimento penale sulla base di disposizioni penali nazionali attuative di questa nuova disciplina non dovrà indebitamente pregiudicare l’applicazione di misure amministrative non assimilabili a quelle sanzionatorie, pur nel rispetto dei diritti stabiliti dalla Carta dei diritti fondamentali (considerando nn. 28 e 31).

L’art. 15 ribadisce l’esigenza di cooperazione tra Stati membri, Eurojust, la (futura) Procura europea e la Commissione.

Gli articoli 16 e 17 concernono il termine di recepimento della Direttiva e la sostituzione, a partire dalla data del 6 luglio 2019 (termine per il recepimento da parte degli Stati membri), della Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, del 26 luglio 1995, e relativi protocolli del 27 settembre 1996, del 29 novembre 1996 e del 19 giugno 1997, che attualmente regola la materia.

Gli articoli 18 e 19 regolano rispettivamente le relazioni e la valutazione della Commissione circa il recepimento da parte degli Stati membri e l’entrata in vigore.

 

In definitiva, lo scopo della direttiva è quello di impegnare gli Stati membri a indicare con chiarezza ed esplicitamente quali fattispecie di reato dei rispettivi ordinamenti devono essere considerate lesive degli interessi finanziari dell’UE, facendo conseguire a tale catalogazione misure sanzionatorie efficaci e proporzionate. In tal senso, la direttiva offre un ventaglio di obiettivi e criteri nella strumentazione penalistica che i singoli Stati devono adottare.

 

Sicché, la lettera a) del comma 1 dell’art. 3 del disegno di legge, prescrive che il Governo individui le fattispecie incriminatrici già previste nell’ordinamento interno che possano essere ritenute lesive degli interessi finanziari dell’Unione europea, e quindi corrispondano alla definizione di reati secondo quanto previsto dalla Direttiva (con particolare riguardo agli articoli 1, 2, 3, 4 e 5 della stessa).

 

Il nostro ordinamento non contiene attualmente una norma che definisca o elenchi i reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione pur essendo presenti nel sistema numerose norme corrispondenti alle fattispecie incriminatrici descritte dalla Direttiva. L’originaria relazione illustrativa del disegno di legge motiva il criterio di cui alla lettera a), con la finalità di rendere chiara l’armonizzazione del diritto interno con le norme europee, nonché con la finalità di rendere chiari i richiami ai reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, che dovranno essere introdotti nel nostro ordinamento ai fini dell’adeguamento al Regolamento UE 2017/1939, relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata sull'istituzione della Procura europea «EPPO») (vedi infra, art. 4).

 

E’ dunque proprio agli articoli 3 e 4 (titolo II) che la Direttiva si dedica all’elencazione dei reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.

 

E’ in primo luogo definita (art. 3, par. 2 della Direttiva) la nozione di frode lesiva degli interessi finanziari. Essa si articola in quattro punti che riguardano le materie delle:

-         spese sostenute dall’Unione e non relative agli appalti;

-         spese sostenute dall’Unione e relative agli appalti;

-         entrate dell’Unione, diverse dalle risorse proprie provenienti dall’IVA;

-         entrate derivanti dalle risorse IVA.

Le diverse forme di frode si possono realizzare secondo specifiche modalità. La prima tipologia di condotta fraudolenta si sostanzia nell’utilizzo o presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti, cui segua il conseguimento di un indebito beneficio per l’agente, con danno del bilancio UE. Il secondo modello, invece, coincide con la mancata comunicazione di informazioni, a fronte di un preciso obbligo in tal senso, da cui derivino le medesime conseguenze. Il terzo tipo di condotta fraudolenta, invece, si rinviene nella distrazione di somme o benefici (ovvero il conseguimento a finalità incompatibili con quelle originarie). Per la sola IVA si prevede tuttavia, accanto alle predette condotte fraudolente, altresì la “presentazione di dichiarazioni esatte (…) per dissimulare in maniera fraudolenta il mancato pagamento o la costituzione illecita di diritti a rimborsi dell’IVA”.

 

Con riguardo all’individuazione dei reati previsti dalla normativa interna vigente, si ricorda che l’articolo 640-bis c.p. prevede la fattispecie di reato della truffa aggravata per conseguimento di erogazioni pubbliche, che concerne le ipotesi in cui la truffa (di cui all’art. 640 c.p.) riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dall’Unione europea. In tali casi, la pena prevista è la reclusione da uno a sei anni e si procede d’ufficio.

Inoltre, l’articolo 316-ter c.p. (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato) prevede che, salvo che il fatto costituisca il reato previsto dal citato articolo 640-bis, chiunque mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dall’Unione europea è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La norma prevede altresì che se la somma indebitamente percepita è pari o inferiore ad una certa soglia si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro

Per quanto riguarda la materia delle entrate derivanti dalle risorse IVA, si ricorda che, nell’ordinamento interno, la materia è regolata dal decreto legislativo n. 74 del 2000 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto), così come modificato dal decreto legislativo n. 158 del 2015.

Tale ultimo provvedimento, con riferimento alle fattispecie penali, prevede un inasprimento delle condotte fraudolente (pene più severe per l'omessa presentazione della dichiarazione, l'occultamento o distruzione di scritture contabili e l'indebita compensazione di crediti inesistenti; è introdotto il reato di omessa presentazione della dichiarazione del sostituto di imposta) e un alleggerimento di quelle ritenute meno gravi (ad esempio, sono elevate le soglie di punibilità, da 50 mila a 250 mila, per l'omesso versamento dell'Iva, da 50 mila a 150 mila euro per la dichiarazione infedele, da 30 mila a 50 mila per l'omessa dichiarazione). Sono inoltre circoscritte le definizioni di ‘documenti falsi', di ‘mezzi fraudolenti' e di ‘operazioni simulate'. La disciplina penale della dichiarazione infedele è stata mitigata: non sono punibili le valutazioni che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento rispetto a quelle corrette. Si prevede la non punibilità nel caso del pagamento del debito tributario prima del dibattimento, per i reati di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, omesso versamento delle ritenute e dell'IVA; in caso di pagamento del debito per gli altri reati le pene sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie e le circostanze aggravanti. I beni sequestrati, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati in custodia giudiziale agli organi dell'amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le loro esigenze operative.

 

Il Governo, nell’esercizio della delega, dovrà inoltre individuare le norme interne relative ai reati che, pur essendo diversi dalle condotte fraudolente direttamente tese a far conseguire un vantaggio all’agente con danno del bilancio UE, sono in grado di apportare un danno al medesimo bene giuridico secondo quanto previsto dalla Direttiva (art. 4).

Questa, infatti, impone specifici obblighi d’incriminazione per:

 

·        il riciclaggio di denaro (con rinvio alla direttiva 2015/849/UE, peraltro modificata dalla direttiva 2018/843/UE, su cui peraltro v. infra la scheda sull’allegato A) commesso con beni tratti dalla consumazione di altro reato individuato dalla Direttiva;

 

Con riferimento alle fattispecie di reato previste dall’ordinamento interno, l’art. 648 c.p. contempla il reato di ricettazione, prevedendo che, fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329.

L’articolo 648-bis, che disciplina il reato di riciclaggio, prevede che fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000.

Inoltre, il codice penale contempla anche il reato di reimpiego: l’articolo 648-ter, rubricato “Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita”, incrimina la condotta di chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000.

L’articolo 512-bis c.p. (Trasferimento fraudolento di valori), inoltre, prevede che salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter, è punito con la reclusione da due a sei anni.

Per completezza si rammenta che con la legge n. 186 del 2014 è stato introdotto anche il reato di autoriciclaggio, che si applica al denaro o alle altre utilità provenienti da delitti in cui l’autore ha concorso.

 

·        la corruzione, passiva e attiva (come definita al par. 2, lettere a) e b);

 

L’art. 4, par. 2, della Direttiva alla lettera a) specifica che per «corruzione passiva» si intende l'azione del funzionario pubblico che, direttamente o tramite un intermediario, solleciti o riceva vantaggi di qualsiasi natura, per sé o per un terzo, o ne accetti la promessa per compiere o per omettere un atto proprio delle sue funzioni o nell'esercizio di queste in un modo che leda o possa ledere gli interessi finanziari dell'Unione. La lettera b) definisce «corruzione attiva» l'azione di una persona che prometta, offra o procuri a un funzionario pubblico, direttamente o tramite un intermediario, un vantaggio di qualsiasi natura per il funzionario stesso o per un terzo, affinché questi compia o ometta un atto proprio delle sue funzioni o nell'esercizio di queste in un modo che leda o possa ledere gli interessi finanziari dell'Unione.

 

·        l’appropriazione indebita (par. 3).

 

L’art. 4, par. 3 della Direttiva definisce l’«appropriazione indebita» come l'azione del funzionario pubblico, incaricato direttamente o indirettamente della gestione di fondi o beni, tesa a impegnare o erogare fondi o ad appropriarsi di beni o utilizzarli per uno scopo in ogni modo diverso da quello per essi previsto, che leda gli interessi finanziari dell'Unione.

L’art. 4, par. 4, provvede a definire la nozione di “funzionario pubblico” – come funzionario “dell’Unione” o come “nazionale” – e ad essa equipara quella di «qualunque altra persona a cui siano state assegnate o che eserciti funzioni di pubblico servizio» (par. 4, lett. b).

Nell’ordinamento interno l’art. 314 c.p. (Peculato), punisce con la reclusione da quattro a dieci anni e sei mesi il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria.

 

La lettera b) del comma 1, impone al Governo di sostituire nelle norme nazionali vigenti che prevedono reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, i riferimenti alle «Comunità europee», con quelli all’«Unione europea».

 

La lettera c) del comma 1, prescrive invece al Governo un intervento abrogativo delle norme interne che risultino incompatibili con quelle della Direttiva e in particolare di quelle che stabiliscono la non punibilità a titolo di concorso o di tentativo dei delitti che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea.  

 

Tale criterio sembra rispondere a quanto previsto dalla Direttiva che (art. 5, par. 1), impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie affinché siano punibili come reato l’istigazione, il favoreggiamento e il concorso nella commissione di uno dei reati di cui agli articoli 3 e 4 della Direttiva. Con riferimento alla punibilità del tentativo di reato la Direttiva (art. 5, par. 2) la limita ai reati di cui all’articolo 3 (frode) e all’articolo 4, paragrafo 3 (appropriazione indebita), della stessa: rimangono dunque al di fuori degli obblighi di criminalizzazione, il tentativo sia di riciclaggio sia di corruzione. Rispetto a quanto previsto nella Direttiva (art. 5), la lettera c) fa esclusivo riferimento alla punibilità a titolo di concorso o di tentativo, senza fare riferimento all’istigazione e al favoreggiamento. Peraltro, nell’ordinamento italiano l’istigazione pubblica a delinquere è reato (ove cagioni un pericolo concreto che esso sia commesso dall’istigato) (art. 414 c.p.) e può configurare un’ipotesi di concorso morale di persona nel reato (art. 110 c.p.).

 

In tema di favoreggiamento personale, l’art. 378 c.p. prevede che chiunque, dopo che fu commesso un delitto per il quale la legge stabilisce l'ergastolo o la reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo aiuta taluno a eludere le investigazioni dell'autorità, comprese quelle svolte da organi della Corte penale internazionale, o a sottrarsi alle ricerche effettuate dai medesimi soggetti, è punito con la reclusione fino a quattro anni. L’art. 379 c.p. disciplina il favoreggiamento reale, prevedendo la pena della reclusione fino a cinque anni se si tratta di delitto per chiunque fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 (ricettazione), 648-bis (riciclaggio) e 648-ter (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita), aiuta taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato.

Per quanto attiene al concorso (di persone nel reato), tale istituto è disciplinato dall’art. 110 c.p. che testualmente recita: “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”. I successivi articoli da 111 a 119 dettano le ulteriori disposizioni che disciplinano il concorso nel reato.

Si ricorda altresì che in campo fiscale, e quindi anche in materia di violazioni relative all’IVA, l’articolo 9 del decreto legislativo n. 74/2000 in deroga all'articolo 110 del codice penale, prevede la non punibilità a titolo di concorso per l'emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi concorre con il medesimo non è punibile a titolo di concorso nel reato di “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”; si prevede inoltre la non punibilità a titolo di concorso nel reato di “Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”.

Per quanto riguarda il tentativo, si ricorda che la norma generale prevista nell’ordinamento interno è l’art 56 c.p. che prevede che risponde di delitto tentato chi compie atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica. Il colpevole di delitto tentato è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni, se la pena stabilita è l’ergastolo; e, negli altri casi con la pena stabilita per il delitto, diminuita da un terzo a due terzi.

Tuttavia in materia fiscale e di violazioni relative all’IVA l’art. 6 del citato D. lgs.n. 74 del 2000, esclude la configurabilità del tentativo limitatamente alle fattispecie di “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”; Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e “Dichiarazione infedele”.

 

La lettera d) del comma 1, modificata nel corso dell’esame del disegno di legge in Senato, concerne le ipotesi di corruzione e delega il Governo a modificare l’articolo 322-bis del codice penale.

 

L’art. 322-bis c.p.[10], introdotto nel 2000, estende l’applicabilità di alcune fattispecie incriminatrici del codice penale (peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione) ai membri e ai funzionari degli organi dell’Unione europea e della Corte penale internazionale.

Nel penultimo comma, l’art. 322-bis prevede attualmente l’estensione della punibilità anche a funzionari di Stati esteri non UE e di organismi internazionali solo della corruzione attiva (art. 321) e dell’istigazione alla corruzione (322) (non dunque nella corruzione passiva).

 

Il disegno di legge delega il Governo a estendere la punibilità proprio per i fatti di corruzione passiva, come definita dalla Direttiva, anche ai pubblici ufficiali e agli incaricati di pubblico servizio di Stati non appartenenti all’Unione europea quando tali fatti siano posti in essere in modo da ledere anche potenzialmente gli interessi finanziari dell’Unione.

Il testo approvato dalla Camera in prima lettura delegava inoltre il governo a estendere l’applicazione dell’art. 322-bis anche alla corruzione passiva di pubblici ufficiali di organizzazioni pubbliche internazionali e ad eliminare la previsione che attualmente circoscrive l’applicazione dell’art. 322-bis ai fatti commessi in operazioni economiche internazionali ovvero al fine di ottenere o di mantenere un’attività economica o finanziaria. Tali principi di delega sono stati soppressi dal Senato.

 

La lettera e) prescrive al Governo di integrare la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231) prevedendo espressamente la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche anche per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea e che non risultino già compresi nelle disposizioni del citato decreto legislativo.

 

Al riguardo si ricorda che l’articolo 6 della direttiva detta specifiche disposizioni circa la responsabilità delle persone giuridiche in relazione ai reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione, commessi a proprio vantaggio da qualsiasi soggetto, a titolo individuale o in quanto membro di un organo della persona giuridica, e che detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica.

 

L’articolo 9 della direttiva, inoltre, sempre per le persone giuridiche in tale ambito, prescrive l’adozione di misure necessarie affinché la persona giuridica riconosciuta responsabile ai sensi dell’articolo 6 sia sottoposta a sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, che comprendono sanzioni pecuniarie penali o non penali e che possono comprendere anche altre sanzioni quali» quelle indicate esemplificativamente nello stesso articolo.

La definizione di «persona giuridica» è contenuta all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della Direttiva e per essa si intende qualsiasi entità che abbia personalità giuridica in forza del diritto applicabile, ad eccezione degli Stati o di altri organismi pubblici nell'esercizio dei pubblici poteri e delle organizzazioni internazionali pubbliche.

La materia è regolata, nell’ordinamento interno, dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, recante la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica.

In particolare l’articolo 24 (Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico) stabilisce, tra l’altro la sanzione pecuniaria per gli enti in caso di: indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.) e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.). L’articolo 24-ter stabilisce le sanzioni pecuniarie in caso di associazione per delinquere e associazioni di tipo mafioso anche straniere (articoli 416 e 416-bis c.p.). L’articolo 25 stabilisce le sanzioni pecuniarie per gli enti in caso di concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e corruzione. L’articolo 25-octies stabilisce le sanzioni pecuniarie per gli enti nelle ipotesi di ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, nonché autoriciclaggio.

Come sottolineato dalla relazione illustrativa, dei c.d. reati PIF restano esclusi dall’ambito applicativo del d.lgs. 231 /2001 tutti quelli in materia fiscale e, perciò, anche quelli relativi all’IVA.

Il principio espresso nella lettera e) sembra dunque essere principalmente rivolto all’ampliamento del catalogo dei reati-presupposto della responsabilità degli enti collettivi ex decreto legislativo n. 231 del 2001 alle frodi in materia di IVA.

 

La lettera f) demanda al Governo la previsione, ove necessario, della punibilità con una pena massima di almeno 4 anni di reclusione per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, qualora ne derivino danni o vantaggi considerevoli, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, della direttiva (UE) 2017/1371.

 

L’articolo 7 della Direttiva impone agli Stati membri, nei riguardi delle persone fisiche, di assicurare che i reati c.d. PIF siano puniti con sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive. Inoltre si prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché tali reati siano punibili con una pena massima che preveda la reclusione. La Direttiva specifica (art. 7, par. 3 richiamato nel testo) che qualora ne derivino danni o vantaggi considerevoli i medesimi reati debbano essere puniti con una pena massima di almeno quattro anni di reclusione.

Il medesimo articolo 7 della Direttiva detta i criteri in base ai quali valutare i danni o vantaggi considerevoli. In particolare specifica che si presume considerevole il danno o il vantaggio di valore superiore a i 100 000 EUR per tutti i reati c.d. PIF, ad eccezione dei danni o vantaggi derivanti da reati in materia di IVA, che si presumono sempre considerevoli.

L’art. 7 prevede infine che qualora un reato PIF diverso da quelli in materia di IVA, comporti danni inferiori a 10 000 EUR o vantaggi inferiori a 10 000 EUR, gli Stati membri possono prevedere sanzioni di natura diversa da quella penale.

 

Sullo specifico punto, l’originaria relazione illustrativa del disegno di legge specificava che le fattispecie incriminatrici richiamate dall’art. 7 della Direttiva sono quasi tutte punite nell’ordinamento interno con un massimo edittale pari o superiore ai quattro anni di reclusione, indipendentemente dai danni o vantaggi considerevoli. Nella stessa relazione sono peraltro evidenziate una serie di eccezioni, per le quali sarebbe necessario un allineamento alla direttiva. Si tratta in particolare: della fattispecie di «dichiarazione infedele» ex articolo 4 del decreto legislativo n. 74/2000; 2) del «peculato mediante profitto dell’errore altrui» ex articolo 316 c.p.; 3) dell’«indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato» ex articolo 316-ter c.p. Per tutte queste fattispecie si prevede attualmente una pena massima inferiore a quattro anni di reclusione.

 

La lettera g) prevede altresì, quale criterio di delega, che sia prevista un’aggravante, ove necessario, qualora un reato che lede gli interessi finanziari dell’Unione europea sia commesso nell’ambito di un’organizzazione criminale, ai sensi della decisione quadro 2008/841/GAI (si tratta di una norma che appare ispirata al medesimo meccanismo di cui all’art. 7 del decreto-legge n. 306 del 1992);

 

La previsione di cui alla lettera g) riprende quanto specificato dall’art. 8 della Direttiva nel quale si prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per garantire che qualora un reato PIF sia commesso nell'ambito di un'organizzazione criminale ai sensi della decisione quadro 2008/841/GAI, ciò sia considerato una circostanza aggravante.

Si ricorda, al riguardo, che la suddetta decisione quadro definisce l’"organizzazione criminale" come un’associazione strutturata di più di due persone, stabilita da tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere reati punibili con una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà non inferiore a quattro anni o con una pena più grave per ricavarne, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o un altro vantaggio materiale. Invece l’"associazione strutturata" è definita come un’associazione che non si è costituita fortuitamente per la commissione estemporanea di un reato e che non deve necessariamente prevedere ruoli formalmente definiti per i suoi membri, continuità nella composizione o una struttura articolata.

 

La lettera h) concerne la possibilità - prevista dall’art. 9 della Direttiva- per gli Stati membri, di introdurre per le persone giuridiche, talune delle sanzioni di cui all’articolo 9 della direttiva suddetta. Al riguardo il Governo è delegato a prevedere ove necessario, in caso di reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, talune delle suddette sanzioni previste dalla Direttiva, in aggiunta alle sanzioni amministrative previste dal sopra citato decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (articoli da 9 a 23).

 

L’art. 9 della Direttiva prevede infatti l’adozione da parte degli Stati membri delle misure necessarie affinché la persona giuridica riconosciuta responsabile ai sensi dell'articolo 6 sia sottoposta a sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, che comprendono sanzioni pecuniarie penali o non penali e che possono comprendere anche altre sanzioni quali: a) l'esclusione dal godimento di un beneficio o di un aiuto pubblico; b) l'esclusione temporanea o permanente dalle procedure di gara pubblica; c) l'interdizione temporanea o permanente di esercitare un'attività commerciale; d) l'assoggettamento a sorveglianza giudiziaria; e) provvedimenti giudiziari di scioglimento; f) la chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti che sono stati usati per commettere il reato.

Gli articoli da 9 a 23 del D.lgs. 231 del 2001 contengono la disciplina generale delle sanzioni per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. In particolare, l’art. 9 specifica che tali sanzioni sono: a) la sanzione pecuniaria; b) le sanzioni interdittive; c) la confisca; d) la pubblicazione della sentenza.

Inoltre, l’articolo 19 contiene la disciplina della confisca (cfr. art. 10 della Direttiva) e l’articolo 22 contiene il regime della prescrizione (cfr art 12 della Direttiva).

In particolare, l’articolo 10 della Direttiva, rubricato «Congelamento e confisca», impone agli Stati membri l’adozione delle «misure necessarie per consentire il congelamento e la confisca degli strumenti e dei proventi dei reati» in questione e che «gli Stati vincolati dalla direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo e del Consiglio vi provvedono in conformità di tale direttiva».

Nella relazione illustrativa dell’originario disegno di legge il Governo specificava di non aver inteso introdurre alcuna disposizione concernente tali istituti in quanto la normativa interna sarebbe già conforme a quanto previsto al riguardo nella Direttiva stessa. In particolare per i reati PIF in materia di IVA, il governo ricorda l’articolo 12-bis del decreto legislativo n. 74/2000 che disciplina la confisca obbligatoria, anche per equivalente, per i «proventi» dei reati in questione; per questi ultimi opera la confisca facoltativa ex articolo 240, comma 1, c.p. per «le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato», in ordine a quelli che la direttiva chiama «strumenti» di tali reati.

Altre ipotesi di confisca obbligatoria è attualmente disciplinata dall’articolo 240-bis c.p., e copre diversi reati PIF. Per gli «strumenti» degli stessi può operare la confisca facoltativa.

Circa il «congelamento», nell’ ordinamento interno il Governo ricorda, nella relazione illustrativa, che vi è l’istituto del «sequestro preventivo», ossia, una misura cautelare reale di potenziale applicazione generale.

 

Infine, la lettera i) impone al Governo di adeguare, ove necessario, le norme nazionali in materia di giurisdizione penale per i reati c.d. PIF.

 

L’articolo 11 della Direttiva prescrive infatti a ciascuno Stato membro di adottare le misure necessarie a stabilire la propria giurisdizione per i reati PIF nei casi in cui il reato è stato commesso in tutto o in parte sul proprio territorio; o l'autore del reato è un proprio cittadino (par 1). Inoltre l’art. 11 impone a ciascuno Stato membro di adottare le misure necessarie a stabilire la propria giurisdizione per i reati PIF laddove l'autore del reato sia soggetto allo statuto dei funzionari al momento della commissione del reato (Par. 2).

Il Governo, nell’esercizio della delega dovrà prevedere inoltre, ove necessario, una o più estensioni della giurisdizione penale, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 11, paragrafo 3, della stessa Direttiva.

 

L’articolo 11 della Direttiva, al par. 3, prevede che lo Stato membro informi la Commissione ove intenda estendere la propria giurisdizione ai reati PIF che sono stati commessi al di fuori del proprio territorio in una delle seguenti situazioni: l'autore del reato risieda abitualmente nel proprio territorio; il reato sia commesso a vantaggio di una persona giuridica che ha sede nel proprio territorio; l'autore del reato sia uno dei propri funzionari che agisce nelle sue funzioni ufficiali.

 

Ai sensi del comma 2 dell’articolo in esame, i decreti delegati sono adottati su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

 

Il comma 3 contiene la clausola di invarianza finanziaria e la specificazione che le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti di cui all’articolo in esame con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

 


 

Articolo 4
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1939, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata sull’istituzione della Procura europea - “EPPO”)

 

L’articolo 4, modificato nel corso dell’esame in Senato, contiene la delega al Governo per l’adeguamento dell’ordinamento nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1939 che, sulla base della procedura di cooperazione rafforzata, ha istituito la Procura europea (cd. EPPO, European Public Prosecutor’s Office). Gli obblighi di adeguamento previsti dall’articolo in esame riguardano l’armonizzazione del diritto interno con il nuovo ufficio inquirente europeo, le nuove figure istituzionali e relative competenze, i rapporti con le autorità inquirenti nazionali nonché gli aspetti procedimentali della cooperazione.

 

Per l’approvazione del Regolamento 2017/1939 del 12 ottobre 2017 istitutivo della Procura europea - il cui iter legislativo è stato formalmente avviato solo nel luglio 2013 - sono stati necessari oltre 4 anni di negoziati.

Nel solco più generale dell’art. 67 del Trattato sul Funzionamento dell’UE, che prefigura la realizzazione di uno spazio di sicurezza e giustizia comune, la base giuridica del Regolamento è costituita - sul piano più specifico - dall’art. 86 TFUE, il quale stabilisce che per combattere i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, può istituire una Procura europea a partire da Eurojust. (par. 1). Le difficoltà per un accordo unanime hanno tuttavia condotto alla procedura di cooperazione rafforzata prevista dallo stesso par. 1 dell’art. 86, che consente una più stretta condivisione di alcune materie solo agli Stati (almeno 9) che hanno tale volontà. Alla cooperazione rafforzata - decisa dal Consiglio europeo del 9 e 10 marzo 2017 - hanno per ora aderito 22 Stati membri (dopo un iniziale rifiuto, hanno appena aderito nell’agosto 2018 Olanda e Malta): accanto a Danimarca, Regno Unito (peraltro prossimo all’uscita dalla UE) ed Irlanda – che in base ai rispettivi statuti speciali non erano sin dall’inizio computati per l’unanimità necessaria all’adozione del testo - hanno scelto di rimanere fuori dell’iniziativa Polonia, Svezia e Ungheria. La competenza della Procura europea riguarda l’individuazione, il perseguimento e il rinvio a giudizio, eventualmente in collegamento con Europol, degli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, quali definiti dal regolamento e i loro complici. In ogni caso, l'EPPO non è competente per i reati in materia di imposte dirette nazionali, ivi inclusi i reati ad essi indissolubilmente legati nonché in materia di entrate derivanti dalle risorse proprie provenienti dall'IVA.

L’EPPO esercita l'azione penale per tali reati dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri (par. 2). L’art. 86 prevede, tuttavia la possibilità per il Consiglio europeo di estendere le attribuzioni della Procura europea alla lotta contro la criminalità grave, di carattere transnazionale (par. 4).

I regolamenti stabiliscono lo statuto della Procura europea, le condizioni di esercizio delle sue funzioni, le regole procedurali applicabili alle sue attività e all'ammissibilità delle prove e le regole applicabili al controllo giurisdizionale degli atti procedurali che adotta nell'esercizio delle sue funzioni (par. 3)

Il regolamento, composto da 120 articoli, è in vigore dal 20 novembre 2017 e istituisce un vero e proprio ufficio di procura europeo (l’EPPO) che, nei limiti della cd. “area PIF” cioè quella citata degli interessi finanziari dell’Unione (diversamente, Eurojust è un ufficio di coordinamento delle indagini), svolge indagini, esercita l'azione penale ed esplica le funzioni di pubblico ministero dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri fino alla pronuncia del provvedimento definitivo.

Sono definiti dal regolamento interessi finanziari dell’Unione “tutte le entrate e le spese e i beni coperti o acquisiti oppure dovuti in virtù del bilancio dell’Unione e dei bilanci delle istituzioni, organi, uffici e agenzie stabiliti a norma dei trattati o dei bilanci da questi gestiti e controllati (art. 2).

Il nuovo ufficio inquirente europeo dovrà operare non prima che siano trascorsi tre anni dalla entrata in vigore del regolamento (ovvero non prima del 21 novembre 2020). Alla procura europea sono attribuiti (art. 22) tutti i reati specificati nella direttiva PIF così come verrà attuata negli ordinamenti nazionali (vedi ante, art. 3). In particolare, sono stabilite le condizioni per l’attribuzione di un procedimento penale al PM europeo, precisandone tuttavia l’esclusione in presenza di danni minimi (ad esempio, quando il danno per gli interessi finanziari dell’Unione sia inferiore a 10.000 euro).

Per quel che riguarda la struttura della procura europea, l’ufficio sarà composto a livello centrale dal collegio, dal procuratore capo europeo (e dai suoi sostituti), dalle camere permanenti, dai procuratori europei e dal direttore amministrativo, oltre che dal personale dell’EPPO che assiste i magistrati nell’esercizio delle loro funzioni.

Il collegio (art. 9) è composto dal procuratore capo europeo e da un procuratore europeo per ciascuno degli Stati membri aderenti. All’ambito collegiale sono riservate in particolare le decisioni che riguardano l’indirizzo generale e strategico dell’Ufficio, nonché l’adozione del regolamento interno dell’EPPO.

Il procuratore capo europeo (artt. 11 e 14) è il soggetto posto al vertice dell’Ufficio di procura, ne dirige e coordina l’attività, rappresentando la procura europea davanti alle istituzioni UE e agli Stati membri, nonché nei rapporti con i terzi; resta in carica 7 anni (non rinnovabili) ed è nominato di comune accordo dal Consiglio e dal Parlamento europeo, scelto in una rosa di candidati qualificati designati da un comitato di selezione. Il comitato di selezione è composto di dodici persone scelte tra ex membri della Corte di giustizia e della Corte dei conti, ex membri nazionali di Eurojust, membri dei massimi organi giurisdizionali nazionali, procuratori di alto livello e giuristi di notoria competenza. Una delle persone scelte è proposta dal Parlamento europeo. La eventuale rimozione del Procuratore capo europeo è di competenza della Corte di giustizia UE (art. 15).

I procuratori europei (art. 12 del regolamento) sono nominati (uno per ogni Paese aderente) con mandato di 6 anni, prorogabile per non più di 3 anni. Loro compito principale è la supervisione delle indagini e delle azioni penali che affidano ai procuratori europei delegati, per i quali fanno da tramite con le camere permanenti.

La concreta funzione operativa è assegnata ai procuratori europei delegati (art. 13) che restano incardinati nella procura della Repubblica di appartenenza, ferme restando le norme processuali nazionali, dal momento che i reati finanziari lesivi di interessi dell’Unione andranno perseguiti secondo le regole del diritto nazionale. I procuratori delegati operano quindi sul territorio nazionale per conto dell’Ufficio europeo di procura e hanno gli stessi poteri dei PM nazionali in materia di indagini e di esercizio dell’azione penale. In ciascuno Stato aderente devono essere nominati due o più procuratori delegati, in base a un accordo tra le autorità competenti dei diversi Paesi e il procuratore capo.

Alle camere permanenti (art. 10) - formate dal collegio e composte dal presidente (cioè il procuratore capo) più almeno due membri permanenti - devono essere assegnati in modo casuale i diversi procedimenti penali, eccetto i casi espressamente contemplati in cui il procuratore capo può individuare direttamente la camera più idonea alla trattazione di una determinata fattispecie. Quanto alle funzioni, le camere monitorano e indirizzano le indagini e le azioni penali condotte dai procuratori delegati, oltre a garantire il coordinamento delle indagini e delle azioni penali nei casi transfrontalieri e assicurare il rispetto dell’indirizzo del collegio. Il numero delle camere non è stabilito preventivamente dal regolamento e dovrà essere individuato, così come la stessa composizione, in ragione delle esigenze funzionali della procura europea.

Per quanto concerne gli aspetti procedimentali, l’EPPO esercita la sua competenza o avviando direttamente - tramite un procuratore europeo delegato dello Stato interessato- un’indagine su uno dei reati su cui ritiene avere titolarità o, quando le indagini sono avviate da una procura di uno Paese aderente, esercitando l’avocazione. Alla procura europea è riconosciuto tale potere quando l’EPPO ha conoscenza dell’esistenza di un procedimento penale per reati PIF in uno Stato aderente; in tali ipotesi, ha cinque giorni di tempo (10 in casi particolari) per avocare a sé il caso. Specifiche disposizioni regolano le ipotesi di connessione di reati (art. 26, par. 4). Sotto il profilo del concreto svolgimento dell’attività investigativa, il procuratore delegato può occuparsi personalmente delle indagini o delegare i PM nazionali, che sono tenuti a rispettarne le direttive. Il regolamento prescrive l’indispensabilità della regola per cui l’organo europeo possa fare ricorso ad un insieme minimo di misure investigative (perquisizioni, congelamento di strumenti o proventi di reato, intercettazioni, consegne controllate…), suscettibile di essere integrato ove necessario, e possa ricorrere a tutti gli strumenti giuridici utili nell’ottica del reciproco riconoscimento e della cooperazione transfrontaliera, nei casi in cui il reato oggetto d’indagine è soggetto ad una pena massima di quattro anni di reclusione (art. 30). In materia di libertà personale, il regolamento prevede (art 33) che i procuratori delegati, conformemente al diritto nazionale applicabile, potranno disporre misure cautelari personali, anche tramite lo strumento del mandato di arresto europeo. Quanto all’esercizio dell’azione penale, posto che i rappresentanti della procura europea hanno gli stessi poteri dei pubblici ministeri nazionali, questi possono formulare l’imputazione, partecipare all’assunzione delle prove ed esercitare i rimedi interni disponibili, sempre considerando che le decisioni in merito all’imputazione (azione o archiviazione) spettano in via definitiva alle camere permanenti.

L'azione dell'EPPO si ferma alla chiusura dell'indagine, Tutta la fase del processo è, infatti, di competenza nazionale e, come tale, regolata dal diritto interno di ogni Stato aderente.

 

Il comma 1 dell’articolo 4 delega il Governo ad adottare, entro nove mesi, con le procedure di cui all’articolo 31 della legge n. 234 del 2012 (per cui si rinvia al commento degli articoli introduttivi del provvedimento) e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari - uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) n. 2017/1939.

L’intervento, dato l’ambito di competenza dell’EPPO, ovvero le frodi contro gli interessi finanziari dell’Unione, appare strettamente collegato all’attuazione della direttiva n. 2017/1371 (cd. direttiva PIF), oggetto dell’art. 3 del disegno di legge (v. ante), che detta i principi direttivi per l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a detta direttiva sul piano del diritto penale sostanziale. La delega prevista dall’articolo in esame riguarda invece, il corrispondente adeguamento sul piano processuale.

 

Il comma 2 specifica che tali decreti sono adottati su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'economia e delle finanze.

 

Il comma 3 contiene gli specifici princìpi e criteri di esercizio della delega che vanno ad affiancarsi ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32, della legge n. 234 del 2012 (per cui si rinvia alla parte generale del dossier).

 

Il procuratore capo europeo e i suoi delegati (comma 3, lettere a), b) e c) e commi 4-9)

La lettera a) del comma 3 delega il Governo ad individuare l’autorità nazionale competente alla designazione dei tre candidati al posto di procuratore europeo nonché i criteri e le modalità del procedimento di nomina.

L’art. 16 del Regolamento prevede che ciascuno Stato membro designa tre candidati al posto di procuratore europeo tra candidati che: a) sono membri attivi delle procure o della magistratura dello Stato membro interessato; b) offrono tutte le garanzie di indipendenza; c) possiedono le qualifiche necessarie per essere nominati ad alte funzioni a livello di procura o giurisdizionali nei rispettivi Stati membri e vantano una rilevante esperienza pratica in materia di sistemi giuridici nazionali, di indagini finanziarie e di cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale (par. 1). Il Consiglio, ricevuto il parere motivato del comitato di selezione (composto di dodici persone scelte tra ex membri della Corte di giustizia e della Corte dei conti, ex membri nazionali di Eurojust, membri dei massimi organi giurisdizionali nazionali, procuratori di alto livello e giuristi di notoria competenza), seleziona e nomina uno dei candidati al posto di procuratore europeo dello Stato membro in questione. Se il comitato di selezione ritiene che un candidato non soddisfi le condizioni necessarie all'esercizio delle funzioni di procuratore europeo, il suo parere è vincolante per il Consiglio (par. 2). Il Consiglio, deliberando a maggioranza semplice, seleziona e nomina i procuratori europei per un mandato non rinnovabile di sei anni. Alla fine del periodo di sei anni il Consiglio può decidere di prorogare il mandato per un massimo di tre anni (par 3). Ogni tre anni si procede a un rinnovo parziale di un terzo dei procuratori europei. Il Consiglio, deliberando a maggioranza semplice, adotta disposizioni transitorie relative alla nomina dei procuratori europei per e durante il primo mandato (par. 4).

 

Una norma transitoria, introdotta nel corso dell’esame alla Camera e poi ampiamente modificata nel corso dell’esame in Senato (cfr. commi da 4 a 9), prevede che in fase di prima attuazione, la designazione dei tre candidati al ruolo di procuratore capo europeo sia effettuata mediante un complesso meccanismo di concorso tra CSM e Ministro della giustizia.

 

Il testo approvato dalla Camera individuava, in via transitoria, nel Ministro della giustizia l’autorità competente alla designazione dei tre candidati nazionali al posto di procuratore capo europeo. I tre nomi dovevano essere scelti da un elenco di nove candidati predisposto dal CSM a seguito di apposita selezione, in base a criteri concordati con il Ministro della giustizia. La disposizione prevedeva inoltre l’applicazione al procuratore europeo: a) della disciplina della legge Severino (L. 190 del 2012) che stabilisce l’obbligo di collocazione fuori ruolo del magistrato, fermo restando il limite di durata decennale in tale posizione nell’arco della carriera; b) del trattamento economico massimo (240.000 euro) complessivo, comprensivo di eventuali altri emolumenti e rimborsi spese da parte dell’EPPO.

 

Più in particolare, a seguito delle modifiche approvate dal Senato, è previsto che i magistrati che intendono candidarsi al ruolo di procuratore europeo devono aver superato la quarta verifica di professionalità (non ostando alla candidatura il fatto di essere collocati fuori ruolo) e devono presentare domanda al CSM (comma 5).

Le domande sono poi esaminate, in via autonoma, sia dal CSM sia dal Ministro della giustizia, al quale saranno inoltrate. In esito alla propria disamina, quest’ultimo trasmette al CSM una graduatoria, munita delle relative valutazioni. Se il CSM condivide le valutazioni ministeriali, effettua senz’altro la designazione dei primi tre candidati e la trasmette al Ministro, affinché questi la inoltri all’EPPO (comma 6).

Viceversa, ove il CSM non condivida le valutazioni del Guardasigilli, gli restituisce gli atti con provvedimento motivato. Decorre allora un termine di 15 giorni entro cui il Ministro – a sua volta e alternativamente – può (comma 7):

a)      formare una nuova graduatoria conforme alle valutazioni del CSM;

b)     invitare il CSM a rivedere la propria posizione.

 

In entrambi i casi, la designazione spetta comunque al CSM, con la precisazione che – se il Ministro abbia insistito su proprie posizioni – la designazione deve motivare specificamente le ragioni per cui il CSM non abbia aderito all’impostazione del Ministro (comma 8).

 

Questa procedura – in larga sostanza – risponde ai rilievi espressi dal Consiglio superiore della magistratura nel parere (delibera del 12 novembre 2018), in cui era evidenziato tra l’altro che «date le caratteristiche che il PE dovrà avere e l’attività tipicamente giudiziaria che è chiamato a svolgere, deve ritenersi che, in forza della disposizione dei cui all’art. 105 della Costituzione, debba essere il CSM l’autorità dello Stato deputata a selezionare i candidati ed indicare la terna».

 

Infine, il comma 9 esclude per i magistrati nominati alla Procura europea l’applicazione dei limiti temporali di collocamento fuori ruolo previsti nella c.d. legge Severino (legge n. 190 del 2012, commi 68-69 e 71-72).

 

 

La lettera b) del comma 3 delega il Governo ad individuare l’autorità competente alla conclusione dell’accordo con il procuratore capo europeo circa il numero dei procuratori europei delegati, la ripartizione funzionale e territoriale delle competenze di questi ultimi.

 

L’art. 13, par. 2, del Regolamento prevede la nomina di almeno 2 procuratori delegati per Stato aderente, non stabilendone un numero massimo. Spetta al procuratore capo europeo, previe consultazioni con le autorità degli Stati aderenti, approvare il numero dei procuratori europei delegati nonché la ripartizione delle loro competenze funzionali e territoriali all’interno di ogni Stato aderente.

 

La lettera c) del comma 3 delega infine il Governo ad individuare l’autorità competente a designare i candidati al posto di procuratore europeo delegato, nominati dal collegio dell’EPPO su proposta del procuratore capo europeo.

 

Nel citato parere del 12 novembre 2018 il CSM ha sottolineato, sul punto, che analogamente a quanto osservato per il Procuratore europeo, in coerenza con l’art. 105 Cost., la selezione e la nomina dei procuratori europei delegati debbano essere riservate al CSM.

 

L’art. 17 del Regolamento prevede che, su proposta del procuratore capo europeo, il collegio nomina i procuratori europei delegati designati dagli Stati membri. Il collegio può rigettare la designazione qualora la persona designata non soddisfi i criteri di cui al paragrafo 2. I procuratori europei delegati sono nominati per un periodo rinnovabile di cinque anni (par. 1). Dal momento della nomina a procuratore europeo delegato e fino alla rimozione dall'incarico, i procuratori europei delegati sono membri attivi delle procure o della magistratura dei rispettivi Stati membri che li hanno designati. Essi offrono tutte le garanzie di indipendenza, possiedono le qualifiche necessarie e vantano una rilevante esperienza pratica relativa al loro sistema giuridico nazionale (par. 2).

L’art. 13, par. 1, Reg. stabilisce che i procuratori europei delegati agiscono per conto dell'EPPO nei rispettivi Stati membri e dispongono degli stessi poteri dei procuratori nazionali in materia di indagine, azione penale e atti volti a rinviare casi a giudizio, in aggiunta e fatti salvi i poteri specifici e lo status conferiti loro e alle condizioni stabilite dal presente regolamento. I procuratori europei delegati sono responsabili delle indagini e azioni penali da essi stessi avviate, ad essi assegnate o da essi rilevate avvalendosi del diritto di avocazione. I procuratori europei delegati seguono le indicazioni e istruzioni della camera permanente incaricata del caso nonché le istruzioni del procuratore europeo incaricato della supervisione. I procuratori europei delegati sono altresì responsabili di portare casi in giudizio e dispongono, in particolare, del potere di formulare l'imputazione, partecipare all'assunzione delle prove ed esercitare i rimedi disponibili in conformità del diritto nazionale.

 

Durante l’esame del disegno di legge in Senato è stata soppresso il principio di delega relativo all’individuazione di limiti retributivi per i membri italiani della Procura europea.

 

Competenza della procura europea (comma 3, lettera i)

In materia di competenza della procura europea, la lettera i) prevede di modificare il sistema processuale per prevedere che i procuratori europei delegati svolgano le funzioni di pubblico ministero ex art. 51 c.p.p. nei procedimenti davanti al giudice competente per i reati in danno degli interessi finanziari dell’Unione.

L’intervento in sede di attuazione della delega sembra essere limitato ad una integrazione del citato art. 51 del codice processuale penale.

 

L’art. 51 c.p.p. prevede che, nelle indagini preliminari e nei procedimenti di primo grado, le funzioni di PM siano svolti dai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale (circondariale) mentre, nei giudizi di impugnazione, le stesse funzioni sono svolte dai magistrati della procura generale presso la corte d’appello. Per specifiche categorie di delitti (associazione mafiosa, terrorismo e altri illeciti di particolare allarme sociale) le funzioni inquirenti sono svolte dai PM della procura presso il tribunale capoluogo del distretto.

 

Coordinamento con i poteri degli organi dell’EPPO (comma 3, lettere d), e), f), l), n), o), q)

Le lettere d) ed f) delegano il Governo a coordinare le disposizioni dell’ordinamento giudiziario sulle attribuzioni e i poteri dei titolari degli uffici del Pubblico ministero con le disposizioni del Regolamento UE relative agli organi della Procura europea. Ciò, con particolare riferimento alle prerogative del collegio dell’EPPO, allo scopo di preservare la supervisione “europea” sui reati PIF, garantendo l’uniformità di indirizzo nell’esercizio dell’azione penale (lett. d).

Il collegio della Procura europea (art. 9 del regolamento) adotta decisioni su questioni strategiche e su questioni di ordine generale derivanti da singoli casi, in particolare al fine di assicurare la coerenza, l'efficienza e l'uniformità della politica in materia di azione penale dell'EPPO in tutti gli Stati membri, nonché su altre questioni previste nel presente regolamento. Il collegio non adotta decisioni operative in singoli casi. Il regolamento interno dell'EPPO stabilisce le modalità dell'esercizio delle attività di controllo generale e dell'adozione delle decisioni su questioni strategiche e di ordine generale (par. 2)

Analogo coordinamento della disciplina dell’ordinamento giudiziario sarà necessario in relazione ai penetranti poteri delle camere permanenti della procura europea (esercizio e archiviazione dell’azione penale, controllo e indirizzo sulla gestione dei casi, riunione, separazione, riassegnazione) nonché per quanto riguarda le prerogative del procuratore europeo incaricato della supervisione delle indagini (lett. f).

L’art. 10 Reg. prevede che le camere permanenti monitorano e indirizzano le indagini e le azioni penali condotte dai procuratori europei delegati attraverso indicazioni e istruzioni. Questi ultimi - incaricati del caso nel rispettivo Stato membro di origine – sono sottoposti alla supervisione delle indagini da parte del procuratore europeo per conto della camera permanente (art. 12). Oltre a seguire le istruzioni delle stesse camere ove sia necessario per l’efficiente svolgimento dell’indagine o dell’azione penale, nell’interesse della giustizia, o per assicurare il funzionamento coerente dell’EPPO (art. 10), i procuratori delegati devono seguire le istruzioni del procuratore europeo (art. 13 del regolamento). Specifici poteri sull’esercizio dell’azione penale negli Stati aderenti da parte delle camere permanenti sono poi disciplinati dagli artt. 35 e 36.

L’introduzione della nuova figura inquirente europea dovrebbe, in particolare, comportare il coordinamento dell’art. 70 dell’ordinamento giudiziario (RD n. 12 del 1942) sulla costituzione del pubblico ministero, con particolare riferimento ai poteri di direzione e coordinamento dell’ufficio

Ulteriore coordinamento sarà necessario con la disciplina del D.Lgs 106 del 2006 (Disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero) soprattutto per quanto riguarda le attribuzioni del Procuratore della Repubblica e la titolarità dell’azione penale.

 

Ai citati criteri pare collegato quello previsto alla lettera l), che stabilisce che i procuratori europei delegati, operino, in relazione ai reati PIF, in collegamento e d’intesa, anche mediante acquisizione e scambio di informazioni, con il procuratore europeo che supervisiona le indagini, attenendosi alle direttive ed istruzioni dallo stesso impartite.

 

Il criterio di delega previsto dalla lettera e) mira al coordinamento della disciplina dell’avocazione dei procedimenti per reati PIF da parte della procura europea (art. 27 Reg.) con quella dettata dall’ordinamento nazionale, che prevede la trasmissione del decreto di avocazione al Consiglio superiore della magistratura. Analoghi obblighi di comunicazione dovranno esservi se il procuratore europeo decida di svolgere personalmente le indagini nei casi eccezionali previsti dall’art. 28, par. 4 del Regolamento (v. ultra).

Sullo stesso tema, le lettere n), o) e q) prevedono, rispettivamente:

§  la possibilità che, fino alla decisione sull’avocazione da parte della procura europea, il PM nazionale competente possa adottare e richiedere atti urgenti (all’evidente scopo di acquisire e salvaguardare le fonti di prova);

§  intervenuta l’avocazione delle indagini, che il PM trasmetta gli atti all’EPPO;

§  che, in relazione ai delitti contro gli interessi finanziari dell’Unione (come individuati dall’art. 3 del provvedimento), si preveda l’obbligatorietà della denuncia alla procura europea da parte del PM nazionale in ogni fase del procedimento penale per consentire all’EPPO l’eventuale esercizio del potere di avocazione.

L’art. 27 del regolamento disciplina il diritto di avocazione delle indagini da parte dell’EPPO. Ricevute dall’autorità nazionale (o con mezzi diversi, par. 3) tutte le informazioni sulla condotta criminosa conformemente all'articolo 24, paragrafo 2, l'EPPO - previa consultazione con l’autorità nazionale competente (par. 4) – decide se esercitare il diritto di avocazione non oltre cinque giorni dal ricevimento delle informazioni stesse (prorogabili, in casi specifici di ulteriori 5 gg.) e informa queste ultime di tale decisione. Durante i termini indicati, le autorità nazionali si astengono dall'adottare qualsiasi decisione ai sensi del diritto nazionale che possa avere l'effetto di precludere all'EPPO l'esercizio del suo diritto di avocazione (par. 2). Le autorità nazionali adottano le misure urgenti necessarie, a norma del diritto nazionale, per garantire l'efficacia dell'indagine e dell'azione penale. Qualora l'EPPO eserciti il suo diritto di avocazione, le autorità competenti degli Stati membri trasferiscono il fascicolo all'EPPO e si astengono da ulteriori atti d'indagine in relazione allo stesso reato (par. 5). Se un procuratore europeo delegato valuti di non esercitare l’avocazione, ne informa, attraverso il procuratore europeo del proprio Stato membro, la camera permanente competente affinché quest'ultima possa eventualmente incaricare dell’avocazione il procuratore europeo (par. 6).

L’adeguamento dell’ordinamento nazionale dovrebbe riguardare i commi 6 e 6-bis dell’art. 70 dell’ordinamento giudiziario, che stabiliscono che copia del decreto di avocazione delle indagini da parte del Procuratore generale (e del Procuratore nazionale antimafia) vada trasmesso sempre al Consiglio superiore della magistratura ed ai Procuratori della Repubblica interessati, affinché questi - entro 10 gg dalla ricezione del provvedimento - possano proporre reclamo presso la Corte di Cassazione, ove lo ritengano opportuno. Analogo coordinamento potrebbe riguardare la disciplina dell’avocazione dettata dal codice di procedura penale, che potrebbe essere integrata con quella prevista dal regolamento.

L’art. 28 del regolamento (par. 4) prevede che, in casi eccezionali, dopo aver ottenuto l'approvazione della camera permanente competente, il procuratore europeo incaricato della supervisione può adottare la decisione motivata di svolgere l'indagine di persona, adottando le misure d'indagine e altre misure di persona o dandone incarico alle autorità competenti del suo Stato membro, qualora ciò risulti indispensabile ai fini dell'efficienza dell'indagine o dell'azione penale: in ragione della gravità del reato, in particolare alla luce delle sue possibili ripercussioni a livello dell'Unione; quando l'indagine riguarda funzionari o altri agenti dell'Unione o membri delle istituzioni dell'Unione; in caso di fallimento del meccanismo di riassegnazione dell’indagine. In tali circostanze eccezionali, gli Stati membri provvedono affinché il procuratore europeo sia autorizzato a disporre o a chiedere misure d'indagine e altre misure e che abbia tutti i poteri, le responsabilità e gli obblighi di un procuratore europeo delegato in conformità del presente regolamento e del diritto nazionale. Le autorità nazionali competenti e i procuratori europei delegati interessati dal caso sono informati senza indebito ritardo della decisione adottata ai sensi del presente paragrafo

 

Poteri disciplinari della Procura europea (comma 3, lettera g)

La lettera g) concerne l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario alle disposizioni del Regolamento relative alla possibile rimozione del PM nazionale nominato procuratore europeo delegato ed alle sanzioni disciplinari nei suoi confronti in conseguenza dell’incarico rivestito nell’ambito dell’EPPO.

L’articolo 17 del regolamento prevede che il collegio possa rimuovere dall’incarico il procuratore delegato quando riscontra l’assenza delle garanzie di indipendenza, delle qualifiche necessarie e della rilevante esperienza relativa al loro sistema giuridico nazionale.

Uno Stato membro, prima di decidere la rimozione dall'incarico o l'adozione di provvedimenti disciplinari nei confronti di un procuratore nazionale nominato procuratore europeo delegato per motivi non connessi alle responsabilità che gli derivano dall’appartenenza all’EPPO, deve informarne il procuratore capo europeo. Analoga rimozione o provvedimenti disciplinari possono essere adottati per motivi connessi alle responsabilità che gli derivano dall’appartenenza all’EPPO solo con il consenso del procuratore capo europeo.

Se il procuratore capo europeo non dà il suo consenso, lo Stato membro interessato può chiedere al collegio di esaminare la questione. Se un procuratore europeo delegato è rimosso dal suo incarico, lo Stato membro interessato ne informa immediatamente il procuratore capo europeo e, se del caso, designa un altro procuratore affinché sia nominato come nuovo procuratore europeo delegato.

 

In particolare, andrà coordinata con le disposizioni del regolamento il sistema della responsabilità disciplinare dei magistrati contenuta del decreto legislativo n. 109 del 2006 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati e delle relative sanzioni) che ha riformato la legge sulle guarentigie della magistratura (RDL n. 511/1946) e la legge istitutiva del CSM (L. n. 195/1958). Nello specifico, il governo dovrà prevedere:

§  obblighi di comunicazione al procuratore capo europeo prima di dare esecuzione alla rimozione dall’incarico o a sanzioni disciplinari nei confronti di un procuratore europeo delegato disposte dalla sezione disciplinare del CSM per motivi non connessi alla sua appartenenza all’EPPO;

§  analoghi obblighi di comunicazione per trasferimenti d’ufficio che comportino la rimozione dall’incarico di procuratore europeo delegato.

 

Non è presente tra i criteri di delega la possibilità (prevista dall’art. 17, par. 4, Reg) che in caso di mancato consenso del procuratore europeo, si possa ricorrere al collegio dell’EPPO per un esame della questione.

 

Valutazioni di professionalità (comma 3, lett. h)

Ulteriore coordinamento dovrà riguardare la disciplina nazionale sulle valutazioni di professionalità dei procuratori europei delegati (lettera h), in relazione alle prerogative che il regolamento attribuisce al collegio dell’EPPO sulla valutazione del loro rendimento e capacità professionali.

L’art. 114 del regolamento prevede che il collegio dell’EPPO, su proposta del procuratore capo europeo, adotta le norme sulle condizioni di impiego, i criteri di rendimento, l’insufficienza professionale, i diritti e gli obblighi dei procuratori europei delegati, comprese le norme per la prevenzione e la gestione dei conflitti di interesse.

In particolare, il coordinamento dovrà preservare le prerogative del collegio dell’EPPO, chiarendone l’incidenza sul procedimento di valutazione da parte del CSM.

La normativa quadro in materia è contenuta nel D.Lgs. 160/2006 (Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati) il cui art. 11 - prevedendo che i magistrati sono sottoposti a valutazione di professionalità ogni 4 anni fino al superamento della settima valutazione di professionalità - detta una articolata disciplina sui parametri di valutazione, il ruolo dei consigli giudiziari e del CSM (competente sulla decisione finale) e le conseguenze della valutazione.

 

Obbligo di denuncia alla procura europea (comma 3, lettera q)

La lettera q) - a parte il citato collegamento con l’avocazione (v. ante) - contiene una previsione generale che appare centrale per un efficace svolgimento delle prerogative dell’EPPO, ovvero l’obbligo di denuncia alla procura europea in relazione ai delitti di cui alla direttiva PIF. Il funzionamento dell’EPPO, infatti, dipenderà dalla tempestività delle segnalazioni da parte delle procure nazionali e dal flusso di informazioni che trasmetteranno alla procura europea.

 

Gli indicati obblighi di comunicazione sono previsti nello specifico dall’articolo 24 del regolamento. La disposizione stabilisce anzitutto che le istituzioni, gli organi, gli uffici e le agenzie dell'Unione e le autorità degli Stati membri competenti ai sensi del diritto nazionale applicabile comunicano senza indebito ritardo all'EPPO qualsiasi condotta criminosa in relazione alla quale essa potrebbe esercitare la sua competenza (par. 1). Quando un'autorità giudiziaria o di polizia di uno Stato membro avvia un'indagine su un reato in relazione al quale l'EPPO potrebbe esercitare la propria competenza o qualora, in qualsiasi momento successivo all'avvio di un'indagine, la competente autorità giudiziaria o di polizia di uno Stato membro ritenga che un'indagine riguardi un reato, tale autorità ne informa senza indebito ritardo l'EPPO, di modo che quest'ultima possa decidere se esercitare il proprio diritto di avocazione ai sensi dell'articolo 27 (par. 2). Quando un'autorità giudiziaria o di polizia di uno Stato membro avvia un'indagine su un reato quale definito all'articolo 22 e ritiene che l'EPPO non possa esercitare la sua competenza, ne informa l'EPPO (par. 3). La segnalazione contiene, come minimo, una descrizione dei fatti, compresa una valutazione del danno reale o potenziale, la possibile qualificazione giuridica e qualsiasi informazione disponibile riguardo alle potenziali vittime, agli indagati e a qualsiasi altra persona coinvolta (par. 4).

 

La lett. q) non individua espressamente i soggetti obbligati alla segnalazione.

Nonostante l’art. 24 del Regolamento europeo stabilisca un dovere di segnalazione diretta all’EPPO anche da parte dell’autorità di polizia, l’obbligo previsto nella delega sembra possa riguardare le sole procure nazionali, stante che la polizia giudiziaria ha l’obbligo di riferire la notizia di reato al PM competente (art. 347 c.p.p.) anche ove acquisita a seguito di denuncia di un privato (art. 333 c.p.p.).

La stessa lett. q) prevede il citato obbligo di denuncia alla procura europea, fatte salve le previsioni dell’art. 331 c.p.p.

 

Tale disposizione stabilisce l’obbligo di denuncia scritta al pubblico ministero (o a un ufficiale di polizia giudiziaria) da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, abbiano notizie di reati perseguibili d’ufficio; l’obbligo sussiste anche quando non sia individuata la persona a cui è attribuito il reato. Analogo obbligo di denuncia sussiste quando nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio.

Indagini transnazionali (comma 3, lettera m)

La lettera m) riguarda disposizioni da prevedere nell’attuazione della delega relativa alle indagini transnazionali su reati PIF.

In tali ipotesi, il procuratore delegato dell’EPPO è tenuto alla cooperazione (assistenza, scambi informativi) con gli altri procuratori delegati degli Stati aderenti. Sono, tuttavia, indicate specifiche ipotesi - mutuate espressamente dall’art. 31, par. 5, del regolamento - in cui il procuratore delegato dovrà segnalare la richiesta di cooperazione al procuratore europeo incaricato della supervisione nonché consultare il procuratore delegato straniero richiedente ovvero: quando la richiesta da parte del collega estero risulti in contrasto col diritto interno o sia possibile un atto di indagine meno intrusivo (che consegua lo stesso effetto); se la richiesta sia incompleta o contenga un manifesto errore o quando risulti impossibile assumere l’atto richiesto per motivi giustificati e oggettivi.

 

La disciplina sulla cooperazione nelle indagini transfrontaliere è dettata dagli artt. 31, 32 e 33 del regolamento. In particolare l’art. 31 prevede che i procuratori europei delegati agiscono in stretta cooperazione fornendosi reciproca assistenza e consultandosi nei casi transfrontalieri. Qualora una misura debba essere intrapresa in uno Stato membro diverso da quello del procuratore europeo delegato incaricato del caso, quest'ultimo decide in merito all'adozione della misura necessaria e la assegna a un procuratore europeo delegato avente sede nello Stato membro in cui la misura in questione deve essere eseguita (par. 1). Il procuratore delegato incaricato, informandone il procuratore europeo suo supervisore, può chiedere al collega dello Stato aderente perquisizioni, produzione di oggetti, documenti o dati informatici, intercettazioni, congelamento degli strumenti e proventi del reato, compresi i beni da confiscare, tracciamento di un oggetto, consegne controllate. La giustificazione e l'adozione di tali misure sono disciplinate dal diritto dello Stato membro del procuratore europeo delegato incaricato del caso (par. 2). L’art. 31 individua specifiche ipotesi in cui l’assistenza tra procuratori delegati è valutata e decisa a livello bilaterale (par. 5). Se la misura assegnata non esiste in una situazione puramente interna, ma sarebbe disponibile in una situazione transfrontaliera disciplinata da strumenti giuridici di reciproco riconoscimento o di cooperazione transfrontaliera, i procuratori europei delegati interessati di concerto con i procuratori europei incaricati della supervisione, possono ricorrere a tali strumenti (par. 6) Qualora i procuratori europei delegati non possano risolvere la questione entro sette giorni lavorativi e l'assegnazione sia mantenuta, la questione è sottoposta alla camera permanente competente. (par. 7).  La camera permanente competente sente, nella misura necessaria, i procuratori europei delegati interessati dal caso, e successivamente decide, senza indebito ritardo e conformemente al diritto nazionale applicabile e al regolamento, se ed entro quale termine la misura necessaria, o una misura sostitutiva, è adottata dal procuratore europeo delegato incaricato di prestare assistenza, e comunica tale decisione ai suddetti procuratori europei delegati tramite il procuratore europeo competente (par. 8).

 

Con riguardo all’adeguamento dell’ordinamento interno, l’ambito di intervento del legislatore delegato riguarda la cooperazione giudiziaria penale. Oltre al regolamento sull’EPPO va soprattutto ricordata, per l’Italia, la ratifica della Convenzione di Bruxelles del 2000, cui ha provveduto la legge n. 149 del 2016 e che ha individuato l'ambito dell'attività comune, favorendo per quanto possibile - in materia di acquisizione della prova - lo scambio diretto di richieste tra le autorità giudiziarie dell'Unione nell'ambito di una progressiva omogeneizzazione dei sistemi penali nazionali. La citata legge 149 ha contestualmente delegato il Governo all'adeguamento del nostro ordinamento ai contenuti della Convenzione e la delega è stata esercitata con il decreto legislativo n. 52 del 2017 che, per quel che qui interessa ai fini del coordinamento con le norme del regolamento EPPO, ha modificato la disciplina del codice di procedura penale sulle rogatorie.

Si segnala, poi, l'attuazione di una serie di decisioni quadro e direttive UE ispirate, oltre che al principio del mutuo riconoscimento, alla libera circolazione dei mezzi di prova; in particolare, andrebbe anche qui valutata la necessità di coordinare le nuove disposizioni delegate con la disciplina sull’ordine europeo di indagine penale, attuativo della direttiva di cui al D. Lgs. n. 108 del 201.

 

Impugnazioni (comma 3, lett. p)

La lettera p) prevede che il procuratore europeo delegato debba svolgere le sue funzioni anche in sede di impugnazione delle decisioni del giudice nazionale competente.

 

Il Regolamento non prevede specifiche disposizioni dedicate alle impugnazioni da parte della procura europea avverso le decisioni del giudice nazionale sui reati PIF. L’art. 13, par. 1, stabilisce soltanto che i procuratori europei delegati dispongono “del potere di formulare l’imputazione, partecipare all’assunzione delle prove ed esercitare i rimedi disponibili in conformità dell’ordinamento nazionale” (ove, tra questi ultimi, ragionevolmente dovrebbero ricadere quelli relativi alla possibilità di impugnare). Inoltre, l’art. 36, co. 7, disciplina il solo momento della proposizione del ricorso in appello, attribuendo la relativa competenza al procuratore europeo delegato, che agirà su istruzione della camera permanente; solo in caso di urgenza, (se, ad esempio, scadono nell’immediato i termini del ricorso), questi potrà ricorrere autonomamente, informandone senza ritardo la camera che lo istruirà quanto al mantenimento o al ritiro dell’impugnazione.

 

Al coordinamento dovrebbe essere interessata la corrispondente disciplina del codice di procedura penale In particolare, l’art. 51 c.p.p., comma 1, lett. b) stabilisce che sia in sede di appello che davanti alla cassazione le funzioni di pubblico ministero sono svolte dal procuratore generale presso la corte d’appello. Analoga necessità di coordinamento dovrebbe riguardare, nella disciplina generale sulle impugnazioni, l’art. 570 (Impugnazione del pubblico ministero) e, nelle disposizioni sul procedimento di cassazione, l’art.608 (Ricorso del pubblico ministero) del codice processuale penale.

 

Coordinamento con le norme del Regolamento (comma 3, lettera r)

La lettera r) del comma 3 appare, infine, come norma di chiusura che indica la necessità di adeguamento al regolamento UE delle norme interne, processuali e ordinamentali, nonché di abrogazione delle disposizioni nazionali incompatibili col regolamento stesso.

 

 

Il comma 10, infine, prevede, per gli obblighi derivanti dall’attuazione della delega, un’autorizzazione di spesa pari a 88.975 euro per il 2020 e di 533.848 euro a decorrere dall’anno 2020 mentre il comma 11 concerne l’autorizzazione alle variazioni di bilancio.

La differenza di spesa si ricollega al contenuto dell’art. 120 del regolamento che prevede che la Procura europea dovrà operare da una determinata data stabilita dalla Commissione europea, ma non prima che siano trascorsi tre anni dall’entrata in vigore del regolamento stesso (ovvero non prima del 21 novembre 2020).

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

 

In occasione del Discorso sullo Stato dell’Unione europea del Presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, del 12 settembre 2018, è stata presentata la comunicazione COM(2018)641, il cui allegato reca un'iniziativa per l'eventuale adozione di una decisione del Consiglio europeo volta a modificare l'articolo 86, commi 1 e 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) allo scopo di estendere le competenze della Procura europea a reati terroristici che interessano più di uno Stato membro.

Il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (articolo 86, comma 4) prevede la possibilità di estendere le competenze di tale organismo allo scopo di includere tra le sue le attribuzioni i reati gravi che colpiscono più di uno Stato membro, mediante una decisione presa all'unanimità da tutti gli Stati membri partecipanti e dagli altri, previa approvazione del Parlamento europeo e previa consultazione della Commissione.

La nuova presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen ha designato quale commissario per la giustizia, il belga Didier Reynders.

 

 


 

Articolo 5
(Adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) n. 655/2014, sulla procedura per l'ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari per facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti in materia civile e commerciale)

 

Il regolamento (CE) n. 655/2014 affronta la problematica del recupero transfrontaliero dei crediti. Le disposizioni europee (regolamento n. 1215 del 2012 sulla competenza giurisdizionale, l’esecuzione e il riconoscimento delle decisioni in materia civile e commerciale, cd. Bruxelles I bis, che ha proceduto alla rifusione del regolamento n. 44 del 2001, cd. reg. Bruxelles) già prevedevano alcuni strumenti, in favore dei creditori civili e commerciali, volti a ottenere provvedimenti cautelari nello Stato di esecuzione, al fine prevenire eventuali attività fraudolente dei propri debitori.

 

Con il Libro Verde del 24 ottobre 2006, la Commissione Europea ha esaminato la possibilità di migliorare l'esecuzione delle decisioni in materia di crediti pecuniari in Europa; da tale esigenza è infatti scaturito il regolamento (CE) n. 655 del 2014, che introduce una procedura univoca per il sequestro conservativo di depositi bancari, allo scopo di superare le disomogeneità derivanti da differenti regolamentazioni proprie degli Stati membri. La funzione del nuovo istituto europeo è quella di assicurare una tutela uniforme dei crediti pecuniari attraverso una misura lato sensu cautelare, facoltativa, alternativa e speciale rispetto ai sequestri conservativi nazionali.

 

Nello specifico, con tale tipologia di ordinanza, applicabile a livello europeo, è possibile, nei casi transazionali, procedere al recupero transfrontaliero dei crediti in materia civile e commerciale avvalendosi del sequestro conservativo anche di somme depositate in conti correnti riconducibili ad un debitore. Scopo della misura è, quindi, consentire al creditore di vincolare i conti bancari del debitore, senza che questi, avendone ricevuto notizia, possa compromettere la successiva soddisfazione del credito mediante assegnazione delle somme così vincolate.

Nei casi transazionali, dunque, il creditore può chiedere al giudice competente per il merito della causa di emettere l’ordinanza europea di sequestro conservativo, fondata su un credito risultante da atto pubblico (sentenza o transazione). L’ordinanza in questione può essere richiesta parallelamente o in cumulo con misure conservative nazionali, con l’obbligo di dichiararlo nella richiesta.

Il regolamento UE n. 655/2014 si applica a decorrere dal 18 gennaio 2017 a tutti gli Stati membri, eccetto la Danimarca (ed il Regno Unito).

 

Con la procedura dettata dal regolamento è possibile ottenere la cd. OESC, ovvero l’ordinanza europea di sequestro conservativo su conti bancari, che impedisce al debitore di compromettere la successiva esecuzione del credito mediante il trasferimento o il prelievo, fino a concorrenza dell’importo specificato nell’ordinanza, di somme che sono detenute dal debitore, o in suo nome, in un conto bancario presso uno Stato membro. L’OESC è autonoma, concorrente ed alternativa rispetto ai rimedi cautelari di diritto interno (articolo 1 del Regolamento).

Il regolamento si applica ai crediti pecuniari in materia civile e commerciale con carattere transnazionale (articoli 2 e 3). L’articolo 4 reca le definizioni rilevanti.

 

L’articolo 2 reca esplicite esclusioni dalla disciplina, ratione materiae, tra cui; i crediti fiscali, doganali o amministrativi; i diritti patrimoniali derivanti da un regime patrimoniale tra coniugi o da rapporti con effetti assimilabili al matrimonio, i testamenti e le successioni, i crediti nei confronti di un debitore assoggettato ad una procedura concorsuale, la sicurezza sociale e l’arbitrato.

 

La transnazionalità (articolo 3) si verifica ove il conto bancario, su cui si intende effettuare il sequestro mediante l’OESC, è tenuto in uno Stato membro che non sia quello dell’autorità giudiziaria presso cui è stata presentata la domanda di OESC ovvero quello di domicilio del creditore.

 

Agli articoli 5 e 6 viene disciplinata la procedura per ottenere un’ordinanza di sequestro conservativo europea.

 

All’articolo 7 è previsto il doppio requisito del fumus boni iuris e del pericolum in mora, similmente a quanto previsto per le misure cautelari nell’ordinamento interno. All’articolo 11 è specificato che il provvedimento viene emanato inaudita altera parte.

 

Nell'esercizio della delega per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 655 del 2014, il Governo è tenuto a:

·               prevedere che per la domanda di ordinanza di sequestro conservativo fondata su un credito risultante da atto pubblico sia competente il giudice del luogo in cui l'atto pubblico è stato formato (lettera a) del comma 3);

·               prevedere che le disposizioni nazionali in materia di ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare si applicano per l'acquisizione delle informazioni sui conti bancari di cui all'articolo 14 del regolamento (UE) n. 655/2014 (lettera b) del comma 3);

·               prevedere, agli effetti dell'articolo 492-bis del codice di procedura civile, la competenza del Presidente del tribunale di Roma quando il debitore non ha la residenza, il domicilio o la dimora in Italia, ovvero quando la persona giuridica non ha la sede in Italia. L'articolo 492-bis del codice di procedura civile disciplina la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare e prevede che il Presidente del tribunale possa, su istanza del creditore e previa verifica del diritto della parte istante, autorizzare il ricorso alla ricerca con modalità telematiche. Il medesimo articolo disciplina in dettaglio la possibilità di accesso alle banche dati delle pubbliche amministrazioni e le procedure da applicare (lettera c) del comma 3);

·               prevedere che l'impugnazione della decisione di rifiuto di emettere l'ordinanza di sequestro conservativo (di cui all'articolo 21 del regolamento (UE) n. 655/2014) si proponga con ricorso al tribunale in composizione collegiale. È espressamente statuito che del collegio non può fare parte il giudice che ha emanato il provvedimento di rigetto. L'impugnazione ha ad oggetto la pronuncia del giudice singolo, che respinge in tutto o in parte la richiesta di sequestro conservativo di conti bancari (lettera d) del comma 3);

·               prevedere che per l'esecuzione dell'ordinanza europea di sequestro conservativo si applichi l'articolo 678 del codice di procedura civile il quale ha per oggetto l'esecuzione del sequestro conservativo sui mobili. Stabilisce che le norme stabilite per il pignoramento presso il debitore o presso terzi si applicano anche al sequestro conservativo sui mobili e sui crediti. Risultano quindi applicabili gli articoli 543 e 513 del codice di procedura civile, che regolano rispettivamente il contenuto e la forma dell'atto di pignoramento e la ricerca delle cose da pignorare ad opera dell'ufficiale giudiziario (lettera e) del comma 3);

·               prevedere che per il ricorso del debitore avverso l’ordinanza di sequestro conservativo (procedimento disciplinato dall'articolo 33 del regolamento (UE) n. 655/2014) sia competente il giudice che ha emesso l'ordinanza europea di sequestro conservativo (lettera f) del comma 3);

·               prevedere che per il ricorso del debitore avverso l’esecuzione dell’ordinanza di sequestro conservativo (procedimento disciplinato all'articolo 34 del regolamento (UE) n. 655/2014 sia competente il tribunale del luogo in cui il terzo debitore ha la residenza (lettera g) del comma 3);

·               prevedere che il procedimento di cui all'articolo 37 del regolamento (UE) n. 655/2014, che prevede il diritto di impugnare la decisione emessa con riferimento al ricorso del debitore avverso l’ordinanza di sequestro conservativo, al ricorso del debitore avverso l’esecuzione dell’ordinanza di sequestro conservativo e agli altri mezzi di ricorso a disposizione del debitore e del creditore, sia disciplinato dall'articolo 669-terdecies del codice di procedura civile, che disciplina il reclamo contro i provvedimenti cautelari (lettera h) del comma 3);

 

Per quanto riguarda la definizione degli importi relativi al contributo unificato (lettera i) del comma 3), vengono identificati tre gruppi di procedimenti, ai quali dovranno essere applicati specifici importi. In particolare, il Governo dovrà prevedere che siano applicati:

·               per i procedimenti di impugnazione della decisione di rifiuto di emettere l’ordinanza di sequestro conservativo e di impugnazione delle decisioni emesse con riferimento al ricorso del debitore avverso l’ordinanza di sequestro conservativo, al ricorso del debitore avverso l’esecuzione dell’ordinanza di sequestro conservativo e agli altri mezzi di ricorso a disposizione del debitore e del creditore, previsti dagli articoli 21 e 37 del regolamento (UE) n. 655/2014, gli importi stabiliti dall'articolo 13, commi 1, lettera b), e 1-bis, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (DPR n. 115 del 2002);

·               per i procedimenti relativi alla domanda di ordinanza di sequestro conservativo, al ricorso del debitore avverso l’ordinanza di sequestro conservativo e agli altri mezzi di ricorso a disposizione del debitore e del creditore, previsti dagli articoli 8, 33 e 35 del regolamento (UE) n. 655/2014, gli importi stabiliti dall'articolo 13, comma 3, del DPR n. 115 del 2002;

·               per i procedimenti relativi al ricorso del debitore avverso l’esecuzione dell’ordinanza di sequestro conservativo, previsti dall'articolo 34 del regolamento (UE) n. 655/2014, gli importi stabiliti dall'articolo 13, comma 1, del DPR n. 115 del 2002.

 

Infine, la lettera i) del comma 3, delega il governo ad apportare alle disposizioni processuali civili e a quelle in materia di spese di giustizia ogni altra modificazione e integrazione necessaria al coordinamento e al raccordo dell'ordinamento interno ai fini della piena attuazione delle disposizioni non direttamente applicabili del regolamento (UE) n. 655/2014.

 


 

Articolo 6
(Delega al Governo per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI relativa al mandato d'arresto europeo)

 

L’articolo è stato introdotto presso il Senato.

Il comma 1 reca una delega al Governo ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame, uno o più decreti legislativi - con le procedure di cui all’articolo 31 della legge n. 234 del 2012 (per cui si rinvia al commento degli articoli introduttivi del provvedimento) e acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari - per il più compiuto adeguamento della normativa nazionale alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna, apportando le opportune modifiche alla legge 22 aprile 2005, n. 69.

 

In via di sintesi, pertanto, questa delega inerisce a un atto normativo dell’UE già recepito. L’atto di recepimento (la citata legge n. 69 del 2015) è in vigore da molti anni ed è proprio in relazione ad alcune questioni interpretative che la sua applicazione ha posto che si è manifestata l’esigenza di un intervento di manutenzione legislativa.

 

Il comma 2 specifica che i decreti legislativi sono adottati su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'economia e delle finanze.

 

Il comma 3, alle lett. a) e b), contiene gli specifici princìpi e criteri di esercizio della delega che affiancano i princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32, della legge n. 234 del 2012 (per cui si rinvia alla parte generale del dossier).

 

La lettera a) contempla quale criterio l’armonizzazione delle disposizioni della legge 22 aprile 2005, n. 69 alla decisione quadro 2002/584/GAI, sia in relazione alla procedura di consegna e agli obblighi di informazione che alla disciplina dei motivi di rifiuto, prevedendo, in particolare, quali motivi di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto europeo quelli indicati dall'articolo 4 della decisione quadro 2002/584/GAI, al fine di assicurare il principio del mutuo riconoscimento e la salvaguardia dei principi fondamentali dell'ordinamento, secondo quanto stabilito dall'articolo 1 della decisione quadro e dal considerando n. 12, tenuto conto del principio di presunzione del rispetto dei diritti fondamentali da parte degli altri Stati membri, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE, e di quanto stabilito dal Titolo I-bis del codice di procedura penale.

 

L'articolo 4 della decisione quadro 2002/584/GAI indica i motivi per i quali lo Stato membro di esecuzione può rifiutare di eseguire il mandato di arresto europeo. Innanzitutto, se lo Stato si è avvalso della facoltà di prevedere la doppia incriminazione per i fatti "fuori lista", può rifiutare l’esecuzione qualora il fatto posto a base del mandato di arresto europeo non costituisca reato in base alla propria legislazione. Fanno eccezione i reati fiscali: in questi casi, infatti, il rifiuto non può basarsi sul fatto che la legislazione interna non impone lo stesso tipo di tasse o imposte o non contiene lo stesso tipo di normativa in materia di reati fiscali rispetto alla legislazione dello Stato emittente. Tale eccezione si ricollega a quanto previsto dal Secondo protocollo alla Convenzione europea di estradizione ove peraltro si richiede altresì che il reato sia della medesima natura e quindi un reato fiscale (n. 1).

Lo Stato membro di esecuzione può altresì rifiutare l'esecuzione del mandato di arresto europeo se contro la persona destinataria del mandato sia in corso un’azione nello Stato membro di esecuzione per il medesimo fatto (n.2); se le autorità giudiziarie dello Stato membro di esecuzione hanno deciso di non esercitare l’azione penale per il reato oggetto del mandato di arresto europeo o di porvi fine oppure se la persona ricercata è già stata giudicata in uno Stato membro con una sentenza definitiva che osta all'esercizio di ulteriori azioni (n. 3).

In relazione alla situazione descritta da ultimo (art. 4 n.3), si crea una sovrapposizione con l'ipotesi di rifiuto obbligatorio prevista dall’articolo 3 n.2[11]:  nel caso in cui per una sentenza di condanna definitiva non sussistano le condizioni richieste dall'articolo 3, n. 2, il motivo di rifiuto obbligatorio dovrebbe trasformarsi in facoltativo.  Nel caso in cui la situazione contemplata dal citato n. 2 dell'articolo 3 come caso di rifiuto obbligatorio riguardi una sentenza definitiva emessa in un Paese terzo si verifica un caso di rifiuto soltanto facoltativo (n. 5).

 Un ulteriore motivo di rifiuto facoltativo riguarda l’ipotesi di azione penale o di pena prescritta secondo la legislazione dello Stato membro di esecuzione purché i fatti rientrano nella sua competenza in base al diritto penale interno (n. 4).

L’autorità giudiziaria può, inoltre rifiutare di eseguire il mandato qualora la persona ricercata "dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda", se tale Stato si impegni a eseguire la pena o la misura di sicurezza conformemente al proprio diritto interno (n. 6).

L’ultimo caso di rifiuto concerne la situazione in cui oggetto del mandato di arresto europeo siano reati che dalla legge dello Stato membro di esecuzione "sono considerati commessi in tutto in parte nel suo territorio o il nuovo adesso assimilato" oppure che sono stati commessi al di fuori del territorio (n.7).

 

Sull'interpretazione dell'articolo 4 della decisione quadro (vedi supra) importanti precisazioni sono state fornite dalla giurisprudenza della Corte di Lussemburgo.  Con particolare riguardo proprio ai motivi di rifiuto facoltativi, la Corte di giustizia (Ordinanza 25 settembre 2015, C-463/15 PPU) ha precisato che gli articoli 2 e 4, n. 1 della decisione quadro 2002/584/GAI devono essere interpretati nel senso che si impediscono allo Stato membro di esecuzione di subordinare la consegna non solo alla condizione che il fatto per il quale il mandato di arresto è stato emesso costituisca reato secondo la legge di tale Stato, ma anche alla condizione che sia punibile, in base alla stessa legge, con una pena detentiva non inferiore nel massimo a dodici mesi. 

Oggetto di reiterati interventi della Corte di giustizia è stata poi l'interpretazione dell'articolo 4, n. 6. Con una prima decisione (Sentenza 17 luglio 2008, C-66/08) la Corte ha chiarito le nozioni di "dimora" e di "residenza", specificando che esse costituiscono nozioni autonome del diritto dell'Unione e che pertanto gli Stati membri, nelle loro norme attuative, non possono conferire a tali termini una portata più ampia di quella risultante dall'interpretazione uniforme adottata dalla Corte.

Secondo il Giudice europeo una persona ricercata "risiede" nello Stato membro di esecuzione "qualora abbia ivi stabilita la propria residenza effettiva", mentre vi "dimora" quando "a seguito di un soggiorno stabile di una certa durata nel medesimo abbia acquisito legami di collegamento con tale Stato di intensità simile a quella dei legami di collegamento che si instaurano in caso di residenza". Al fine di verificare la "dimora" compete all’autorità giudiziaria di esecuzione effettuare una valutazione complessiva di un certo numero degli elementi oggettivi caratterizzanti la situazione della persona fra i quali, a titolo esemplificativo, la natura, la durata e le modalità del suo soggiorno.

La Corte ha, poi, evidenziato, nella Sentenza 6 ottobre 2009 (C-123/08), che finalità dell’articolo 4 n. 6 è quella di "accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata, una volta scontata la pena". Sempre secondo la Corte gli Stati membri sono tenuti comunque a rispettare il principio che vieta ogni discriminazione basata sulla nazionalità. Date queste premesse la giurisprudenza ha ritenuto compatibile con tali disposizioni una normativa nazionale sulla cui base l’autorità giudiziaria competente, da un lato, rifiuta di eseguire un mandato di arresto in executivis contro un suo cittadino e, dall'altro, condiziona il rifiuto quando si tratta di cittadino di un altro Stato membro, avente un diritto di soggiorno al fatto che quest’ultimo abbia soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nello Stato membro di esecuzione. In altre parole, secondo la Corte, è legittimo per lo Stato membro di esecuzione perseguire il reinserimento sociale soltanto nei confronti delle persone che abbiano dimostrato "un sicuro grado" di inserimento. Per analoghe ragioni la Corte ha invece ritenuto non compatibile con la normativa europea, per violazione del principio di non discriminazione basata sulla nazionalità, la disciplina nazionale che limita il motivo di non esecuzione ai propri cittadini, escludendo "in maniera assoluta e automatica" i cittadini di altri Stati membri che dimorano o risiedono nel loro territorio a prescindere dai legami che si presentano con quest’ultimo (Sentenza 5 settembre 2012, C-42/11)[12].

 

Il considerando n. 12 precisa, con riguardo al rafforzamento dei diritti e delle garanzie difensive della persona da consegnare, che la decisione quadro "rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti" dall’allora vigente articolo 6 TUE e contenuti nella Carta di Nizza, proclamata il 17 dicembre 2000 e che non è d'ostacolo, per gli Stati membri, all’applicazione "delle loro norme costituzionali relative al giusto processo".

 

Il principio del mutuo riconoscimento costituisce la vera "pietra angolare" della cooperazione giudiziaria europea. Secondo tale principio le decisioni dei giudici penali o di altre autorità assimilate di uno Stato membro devono essere riconosciute dai giudici o alle autorità assimilate degli altri Stati membri ed eseguite allo stesso modo delle proprie. Come ha precisato il Preambolo del Programma dell'Unione europea concernente misure per l'attuazione del principio del mutuo riconoscimento in materia penale, adottato dal Consiglio il 12 ottobre 2000 "l'attuazione del principio di reciproco riconoscimento delle decisioni penali presuppone una fiducia reciproca degli Stati membri nei rispetti ordinamenti penali".

 

Il Titolo I-bis del Libro XI del codice penale (artt. 696-bis e ss)è stato introdotto dall'articolo 3 del decreto legislativo 3 ottobre 2017, n. 149 (Disposizioni di modifica del Libro XI del Codice di procedura penale in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere). Prima della riforma del 2017 la questione relativa alla circolazione dei provvedimenti giudiziari è stata da sempre disciplinata nell'ambito dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere. In particolare, nel disegno originale del codice di rito alla materia era dedicato il Capo IV del libro XI, in cui era dettata una regolamentazione di carattere generale, in cui l'unica differenziazione era operata fra l'ipotesi in cui si trattasse di definire gli effetti delle sentenze penali straniere in Italia ed il caso in cui si dovesse dare esecuzione all'estero a sentenze penali italiane, senza alcuna valutazione circa lo Stato estero cui ci si interfacciava.

Tale sistema è stato radicalmente rivisto con la riforma del 2017, la quale reca una disciplina in modo diverso le procedure a seconda che lo Stato estero sia o meno uno Stato membro della UE. Infatti, mentre con riferimento a Stati non facenti parte dell'Unione europea, la materia continua ad essere regolamentata dal capo IV del libro XI, (cui peraltro il decreto legislativo ha apportato alcune modifiche); radicale è la riforma con riferimento all'ipotesi in cui i rapporti intercorrano con Stati membri della UE - ipotesi la cui disciplina è contenuta proprio nel ricordato Titolo I-bis.

L'elemento  più significativo della riforma è rappresentato dalla circostanza che viene meno la preventiva valutazione del Ministro della Giustizia sulla richiesta di riconoscimento, al fine di verificare l'eseguibilità della decisione straniera in Italia, prevedendo che le decisioni giudiziarie da eseguirsi nel territorio dello Stato possano essere trasmesse direttamente all'autorità giudiziaria territorialmente competente per l'esecuzione e che l'autorità giudiziaria possa trasmettere direttamente allo Stato di esecuzione le decisioni delle quali si chiede il riconoscimento, con comunicazione al Ministro della Giustizia nei casi e nei modi previsti dalla legge. Ciò deriva dal fatto che il controllo sul rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato è preventivamente effettuato, in relazione ai Paesi europei.

 

La lettera b) delega il Governo a risolvere i contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione dell'articolo 31 della decisione quadro 2002/584/GAI, prevedendo che si possono continuare ad applicare gli accordi o intese bilaterali o multilaterali vigenti al momento dell'adozione della decisione quadro se contribuiscono a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna del ricercato.

 

L'articolo 31 della decisione quadro detta la disciplina relativa alle relazioni con gli altri strumenti giuridici. La disposizione prevede che fra Stati membri le disposizioni contenute nella decisione quadro 2002/584/GAI sostituiscono, a partire dal 1° gennaio 2004, le corrispondenti disposizioni di una serie di convenzioni applicabili in materia di estradizione nelle relazioni tra gli Stati membri. In particolare sono richiamate la Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, il relativo protocollo addizionale del 15 ottobre 1975, il relativo secondo protocollo aggiuntivo del 17 marzo 1978 e la convenzione europea per la repressione del terrorismo del 27 gennaio 1977 per la parte concernente l'estradizione; l'accordo tra gli Stati membri delle Comunità europee sulla semplificazione e la modernizzazione delle modalità di trasmissione delle domande di estradizione del 26 maggio 1989; la convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea del 10 marzo 1995; la convenzione relativa all'estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea del 27 settembre 1996; il titolo III, capitolo 4, della convenzione del 19 giugno 1990 di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985 relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni. L'applicazione di tali accordi -non può però in nessun caso pregiudicare le relazioni con gli Stati membri che non sono parte degli stessi. L'articolo 31 prevede inoltre che gli Stati membri possono continuare ad applicare gli accordi o intese bilaterali o multilaterali vigenti al momento dell'adozione della presente decisione quadro nella misura in cui questi consentono di approfondire o di andare oltre gli obiettivi di quest'ultima e contribuiscono a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna del ricercato.

Sempre secondo l'articolo 31 gli Stati membri possono concludere accordi o intese bilaterali o multilaterali dopo l'entrata in vigore della presente decisione quadro nella misura in cui questi consentono di approfondire o di andare oltre il contenuto di quest'ultima e contribuiscono a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna del ricercato.

 

Con riguardo alla questione relativa al rapporto tra disciplina sul mandato di arresto europeo e accordi bilaterali si segnala da ultimo Cass., sez. VI, Sentenza 22 marzo 2018 n. 13868 (in questo caso la Corte ha ritenuto prevalente un accordo bilaterale).

 

Il comma 4 prevede che in sede di esercizio della delega in conformità ai criteri di cui al comma 3, lettera a), possono essere apportate anche modifiche alle disposizioni di cui agli articoli 18 e 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69, oggetto di novella ai sensi del comma 5 (vedi infra).

 

Il comma 5 apporta modifiche alla legge 22 aprile 2005, n. 69.

 

In particolare la lettera a) modifica l'articolo 18 della legge, il quale prevede i motivi di rifiuto obbligatorio della consegna. Rispetto alla formulazione vigente sono espunte dal testo le lettere o), p)[13] e r). Più nel dettaglio i motivi di cui alle citate lettere che attualmente costituiscono motivi di rifiuto obbligatori vengono invece inseriti fra quelli per i quali il rifiuto è facoltativo.

Per quanto riguarda la formulazione, le lettere o) e p) sono identiche rispettivamente alle lettere a) e b) (vedi infra) del comma 1 del nuovo articolo 18-bis della legge n. 69; talune modifiche sono invece apportate alla lettera r), il cui contenuto è in larga parte ripreso dalla lettera c) dell'articolo 18-bis.

 

Con riguardo al vigente articolo 18 della legge del 2005 (per il testo si veda il testo a fronte) si rileva come il numero complessivo di motivi di rifiuto obbligatorio sia decisamente più significativo in rapporto alle ipotesi previste nella decisione quadro. In linea di massima, i motivi di rifiuto ex art. 18 possono essere raggruppati in quattro differenti categorie:

·        la prima include le lett. i), m) ed l) e individua tre motivi di rifiuto obbligatori che costituiscono la diretta trasposizione di altrettante clausole ostative già previste dalla decisione quadro[14].

·        La seconda lett. o), n), r), p) e q) ricomprende una serie di clausole ostative che la decisione quadro presenta come facoltative ma che, al contrario, la legge di attuazione ha trasformato in obbligatorie.

·        La terza, nella quale rientrano le lett. a), d) ed h), comprende una serie di motivi di rifiuto non direttamente riconducibili allarticolato della decisione quadro, bensì al suo preambolo, avuto particolare riguardo ai considerando 12 e 13.

·        infine, la quarta ed ultima ricomprende le disposizioni dellart. 18 di cui alle lett. b), c), e), f), g), s), t), u) e v) - le quali non sembrano presentare alcun collegamento con la normativa UE, ma sembrano, invece, rispondere ad esigenze di portata prettamente nazionale.

 

Particolarmente discusso anche a livello giurisprudenziale è stato il motivo ostativo di cui alla lettera r) del vigente articolo 18 della legge del 2005, per la sua sostanziale divergenza dalla decisione quadro. Come ricordato, l'art. 4, n. 6 della decisione quadro attribuisce la facoltà, e non dunque l'obbligo, di non eseguire il mandato di arresto "qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda". La legge di attuazione italiana alla lett. r) dell'art. 18, fatto salvo che la legittimità del rifiuto è subordinata alla condizione che "la Corte di Appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno", presentava i seguenti elementi di divergenza:

·        l'ipotesi in esame era configurata come obbligatoria

·        l'art 18, comma 1, lett. r), nella sua formulazione originaria, circoscriveva la portata applicativa della disposizione ai soli cittadini italiani, disattendendo i riferimenti europei ai concetti di residenza e dimora.

 

Secondo un primo e più risalente orientamento giurisprudenziale (si veda a titolo esemplificativo Cass., Sez. VI, 25 giugno 2008, n. 25879) l'art. 18, comma 1, lett. r), nel limitare la portata applicativa del rifiuto al solo cittadino italiano, non doveva essere ritenuto in contrasto con la decisione quadro. Ad avviso dei giudici di legittimità, infatti, la normativa europea attribuiva la facoltà, ma non l'obbligo, per gli Stati membri dell'UE di estendere le guarentigie previste per i propri cittadini anche agli stranieri che dimorino o risiedano nel proprio territorio).

Nel 2009, con quattro ordinanze (Ordinanza 27 agosto 2009 n. 298; ordinanza 4 settembre 2009 n. 305; Ordinanza 28 ottobre 2008 n. 10 e Ordinanza 11 novembre 2009 n. 45), la Corte di Cassazione, alla luce di opposte argomentazioni, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 18, comma 1, lett. r) nella misura in cui prevedeva l'obbligo della Corte d'Appello di rifiutare la consegna della persona ricercata soltanto qualora cittadino italiano e non anche nel caso in cui si trattasse di cittadino di un altro Stato membro residente o con dimora in Italia.

Quale primo parametro di legittimità invocato dalla Cassazione è stato richiamato l'articolo 117 della Costituzione per violazione dell'art. 4, n. 6, della decisione quadro. La disposizione della decisione quadro richiamata, infatti, secondo i giudici remittenti, facendo espresso riferimento al concetto di residenza e dimora, non permetterebbe di limitare il rifiuto della consegna al solo cittadino del Paese di esecuzione. Ancora la Corte remittente ha invocato come parametro di legittimità l'articolo 27, comma 3 della Costituzione, ritenendo che l'espiazione della pena nel paese nel quale la persona ricercata ha residenza o dimora, e dunque ove si esplicano legami familiari e sociali, risponda all'esigenza di risocializzazione del condannato, in attuazione della finalità rieducativa della pena sancita appunto dal richiamato articolo 27 Cost. L'espiazione della pena nel luogo in cui il condannato ha la residenza o la stabile dimora consentirebbe, infatti, di conservare quei rapporti familiari e sociali necessari per favorire il reinserimento nella società una volta espiata la pena. Infine, in subordine, i rimettenti hanno prospettato una possibile violazione dell'articolo 3 della Costituzione, in quanto non sarebbe stata ragionevole la diversa disciplina prevista dall'art. 18 rispetto all'art. 19, lett. c), il quale, con riferimento al mandato di arresto europeo cosiddetto "processuale" non faceva alcuna distinzione tra cittadino italiano e cittadino di altro Stato membro residente in Italia.

La Corte costituzionale (Sentenza 21-24 giugno 2010, n. 227) ha quindi dichiarato l'art. 18, lett. r) incostituzionale per violazione degli articoli 11 (articolo non invocato dai rimettenti) e 117 Cost., nella parte in cui tale disposizione non prevedeva "il rifiuto di consegna anche del cittadino di un altro Paese membro dell'Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, ai fini dell'esecuzione della pena detentiva in Italia conformemente al diritto interno".

Successivamente a tale pronuncia, quanto affermato dalla Corte costituzionale è stato confermato peraltro anche dalla stessa Corte di Giustizia, la quale nel noto caso Lopes Da Silva Jorge già richiamato(vedi supra C-42/11) ha ribadito che "gli Stati membri, qualora traspongano l'art. 4, n. 6, della decisione quadro 2002/584 nel loro ordinamento interno, non possono, pena la lesione del principio di non discriminazione in base alla nazionalità, limitare tale motivo di non esecuzione ai soli cittadini nazionali, escludendo in maniera assoluta e automatica i cittadini di altri Stati membri che dimorano o risiedono nel territorio dello Stato membro di esecuzione, indipendentemente dai legami che essi presentano con tale Stato membro".

 

La lettera b) del comma 5 introduce nel codice penale il nuovo articolo 18-bis il quale disciplina i motivi di rifiuto facoltativo della consegna.

La disposizione prevede che la Corte d'appello possa rifiutare la consegna:

·         se, per lo stesso fatto che è alla base del mandato d'arresto europeo, nei confronti della persona ricercata, è in corso un procedimento penale in Italia, esclusa l'ipotesi in cui il mandato d'arresto europeo concerne l'esecuzione di una sentenza definitiva di condanna emessa in uno Stato membro dell'Unione europea (lett. a);

·         se il mandato d'arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio; ovvero reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l'azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio (lett. b);

·        se il mandato d'arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell'Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno (lett. c).

 

Come già rilevato, le lettere a) e b) della disposizione in commento riproducono testualmente il contenuto delle lettere o) e p) del vigente articolo 18 della legge n. 69. La lettera c), invece, riprende il contenuto della vigente lettera r) del citato articolo 18, ma apportandovi alcune modifiche, volte ad adeguare la disposizione alle indicazioni della Corte costituzionale.

E' appena il caso di ricordare che la vigente la lettera r) prevede che la Corte d'appello deve rifiutare la consegna "se il mandato d'arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno".

 

Siano consentite da ultimo, alla luce della più recente giurisprudenza della Corte di cassazione, alcune ulteriori considerazioni sulla nozione di "residenza" e "dimora". In proposito il Supremo giudice ha rilevato (Cass. pen., Sez. VI, Sentenza, 30 ottobre 2018, n. 49992) che la nozione di "residenza" che viene in considerazione per l'applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla legge 22 aprile 2005, n. 69, presuppone l'esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, tra i cui indici concorrenti vanno indicati la legalità della sua presenza in Italia, l'apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest'ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all'estero, la fissazione in Italia. Ancora, la Corte (Cass. pen. Sez. VI, Sentenza 21 giugno 2018, n. 29290) ha precisato che l'art. 18, lett. r), della legge del 2005 che consente il rifiuto della consegna del soggetto destinatario di un mandato d'arresto europeo all'autorità giudiziaria procedente trova applicazione solo con riferimento ai cittadini italiani ed ai cittadini di un altro Paese membro dell'UE che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano. Per quel che concerne, invece, la facoltà riconosciuta alla corte di appello di rinviare la consegna per consentire alla persona richiesta in consegna di essere sottoposta a procedimento penale in Italia per un reato diverso da quello oggetto del mandato d'arresto, questa implica una valutazione di opportunità, che deve tener conto non solo dei criteri desumibili dalla L. n. 69 del 2005, art. 20 (ossia, la gravità dei reati e la loro data di consumazione), ma anche di altri parametri pertinenti, quali lo stato di restrizione della libertà, la complessità dei procedimenti, la fase o il grado in cui essi si trovano, l'eventuale definizione con sentenza passata in giudicato, l'entità della pena da scontare e le prevedibili modalità della sua esecuzione.

 

Il comma 6 reca la clausola di invarianza finanziaria, precisando che dall'esercizio della delega non devono derivare oneri a carico della finanza pubblica e che le amministrazioni interessate devono provvedere ai compiti derivanti dalle nuove disposizioni con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

 

Legge 22 giugno 2005, n. 69

Art.18. (Rifiuto della consegna)

Formulazione vigente

Legge 22 giugno 2005, n. 69

Come modificato dal disegno di legge

Art.18. (Rifiuto della consegna)

Art.18. (Motivi di rifiuto obbligatorio della consegna)

1. La corte di appello rifiuta la consegna nei seguenti casi:

1.  La corte di appello rifiuta la consegna nei seguenti casi:

a) se vi sono motivi oggettivi per ritenere che il mandato d'arresto europeo è stato emesso al fine di perseguire penalmente o di punire una persona a causa del suo sesso, della sua razza, della sua religione, della sua origine etnica, della sua nazionalità, della sua lingua, delle sue opinioni politiche o delle sue tendenze sessuali oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi;

a) identica;

b) se il diritto è stato leso con il consenso di chi, secondo la legge italiana, può validamente disporne;

b) identica;

c) se per la legge italiana il fatto costituisce esercizio di un diritto, adempimento di un dovere ovvero è stato determinato da caso fortuito o forza maggiore;

c) identica;

d) se il fatto è manifestazione della libertà di associazione, della libertà di stampa o di altri mezzi di comunicazione;

d) identica;

e) se la legislazione dello Stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione preventiva;

e) identica;

f) se il mandato d'arresto europeo ha per oggetto un reato politico, fatte salve le esclusioni previste dall'articolo 11 della Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 15 dicembre 1997, resa esecutiva dalla legge 14 febbraio 2003, n. 34; dall'articolo 1 della Convenzione europea per la repressione del terrorismo, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1977, resa esecutiva dalla legge 26 novembre 1985, n. 719; dall'articolo unico della legge costituzionale 21 giugno 1967, n. 1;

f) identica;

g) se dagli atti risulta che la sentenza irrevocabile, oggetto del mandato d'arresto europeo, non sia la conseguenza di un processo equo condotto nel rispetto dei diritti minimi dell'accusato previsti dall'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e dall'articolo 2 del Protocollo n. 7 a detta Convenzione, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, reso esecutivo dalla legge 9 aprile 1990, n. 98, statuente il diritto ad un doppio grado di giurisdizione in materia penale;

g) identica;

h) se sussiste un serio pericolo che la persona ricercata venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti;

h) identica;

i) se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo era minore di anni 14 al momento della commissione del reato, ovvero se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo era minore di anni 18 quando il reato per cui si procede è punito con una pena inferiore nel massimo a nove anni, o quando la restrizione della libertà personale risulta incompatibile con i processi educativi in atto, o quando l'ordinamento dello Stato membro di emissione non prevede differenze di trattamento carcerario tra il minore di anni 18 e il soggetto maggiorenne o quando, effettuati i necessari accertamenti, il soggetto risulti comunque non imputabile o, infine, quando nell'ordinamento dello Stato membro di emissione non è previsto l'accertamento della effettiva capacità di intendere e di volere;

i) identica;

l) se il reato contestato nel mandato d'arresto europeo è estinto per amnistia ai sensi della legge italiana, ove vi sia la giurisdizione dello Stato italiano sul fatto;

l) identica;

m) se risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza irrevocabile per gli stessi fatti da uno degli Stati membri dell'Unione europea purché, in caso di condanna, la pena sia stata già eseguita ovvero sia in corso di esecuzione, ovvero non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro che ha emesso la condanna;

m) identica;

n) se i fatti per i quali il mandato d'arresto europeo è stato emesso potevano essere giudicati in Italia e si sia già verificata la prescrizione del reato o della pena;

n) identica;

o) se, per lo stesso fatto che è alla base del mandato d'arresto europeo, nei confronti della persona ricercata, è in corso un procedimento penale in Italia, esclusa l'ipotesi in cui il mandato d'arresto europeo concerne l'esecuzione di una sentenza definitiva di condanna emessa in uno Stato membro dell'Unione europea;

Soppressa[15];

p) se il mandato d'arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio; ovvero reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l'azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio;

Soppressa[16];

q) se è stata pronunciata, in Italia, sentenza di non luogo a procedere, salvo che sussistano i presupposti di cui all' articolo 434 del codice di procedura penale per la revoca della sentenza;

o) identica;

r) se il mandato d'arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno;

Soppressa[17]  

s) se la persona richiesta in consegna è una donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, salvo che, trattandosi di mandato d'arresto europeo emesso nel corso di un procedimento, le esigenze cautelari poste a base del provvedimento restrittivo dell'autorità giudiziaria emittente risultino di eccezionale gravità;

p) identica;

t) se il provvedimento cautelare in base al quale il mandato d'arresto europeo è stato emesso risulta mancante di motivazione;

q) identica;

u) se la persona richiesta in consegna beneficia per la legge italiana di immunità che limitano l'esercizio o il proseguimento dell'azione penale;

r) identica;

v) se la sentenza per la cui esecuzione è stata domandata la consegna contiene disposizioni contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano.

s) identica.


 

Articolo 7
(Compiuta attuazione della direttiva (UE) 2017/828 che modifica la direttiva 2007/36/CE per quanto riguarda l’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti)

 

L’articolo 7 reca i principi e i criteri direttivi per la compiuta attuazione della direttiva (UE) 2017/828 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2017, che modifica la direttiva 2007/36/CE per quanto riguarda l’incoraggiamento dell’impegno a lungo termine degli azionisti. Si tratta – in realtà – di una direttiva già recepita con il decreto legislativo n. 49 del 2019. Proprio per tali motivi, nel corso dell’esame al Senato, l’articolo in esame è stato modificato per tenere conto dell'intervenuta adozione del giù citato decreto legislativo n. 49 del 2019: di conseguenza sono stati soppressi alcuni criteri di delega originariamente previsti dal disegno di legge.

 

Il comma 1 dell'articolo 7 individua – dunque - i principi e i criteri direttivi specifici, ai quali il Governo deve attenersi nell'esercizio della delega, in aggiunta ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234. Resta fermo – pur dopo le modifiche del Senato - che il Governo è tenuto a:

1)     apportare al codice delle assicurazioni private (decreto legislativo n. 209 del 2005) le integrazioni alla disciplina del sistema di governo societario per i profili attinenti alla remunerazione. Il Governo viene inoltre delegato a modificare il codice delle assicurazioni con riferimento ai requisiti e ai criteri di idoneità degli esponenti aziendali, dei soggetti che svolgono funzioni fondamentali e dei partecipanti al capitale al fine di assicurarne la conformità alle disposizioni contenute nella direttiva 2009/138/CE (cd. solvency II che disciplina l'accesso e l'esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione), alle disposizioni direttamente applicabili dell’Unione europea, nonché alle raccomandazioni, linee guida e altre disposizioni emanate dalle autorità di vigilanza europee in materia (lettera a);

2)     prevedere sanzioni amministrative efficaci, proporzionate e dissuasive ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, n. 5), della direttiva 2017/828, nel rispetto dei criteri e delle procedure previsti dalle disposizioni nazionali vigenti che disciplinano l’esercizio del potere sanzionatorio da parte delle autorità nazionali competenti ad irrogarle. Vengono, infine, identificati l'importo minimo (2.500 euro) e quello massimo (10 milioni di euro) riferiti alle sanzioni amministrative pecuniarie.

 

Prima delle modifiche intervenute in Commissione, il testo conteneva una serie più articolata di criteri direttivi, che comprendevano: modificazioni, integrazioni e abrogazioni alla normativa vigente occorrenti ai fini dell'attuazione della normativa europea; l'individuazione della Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB) quale autorità competente a informare la Commissione europea in merito a sostanziali difficoltà pratiche nell’applicazione o in caso di mancata osservanza delle disposizioni; dare specifica attuazione al nuovo articolo 3-bis della direttiva 2007/36/CE, ai sensi del quale gli Stati membri assicurano che le società abbiano il diritto di identificare i propri azionisti; la modifica della disciplina in materia di operazioni con parti correlate.

 

Il comma 2 stabilisce che gli atti delegati sono adottati su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri della giustizia, del lavoro e delle politiche sociali, degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dello sviluppo economico.

 

Si segnala che, alla luce del carattere specialistico delle norme oggetto di delega, occorrerebbe valutare l'opportunità di semplificare il procedimento di adozione degli atti delegati per l'attuazione della direttiva 2017/828, in cui risultano coinvolti sei ministeri.

 

Il comma 3 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che le amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti derivanti dall'attuazione della delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Per ulteriori ragguagli sulla direttiva v. la relativa scheda infra.

 

 


 

Articolo 8
(Attuazione della direttiva (UE) 2017/1852, sui meccanismi di risoluzione delle controversie in materia fiscale nell'Unione europea)

 

L’articolo 8 reca i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2017/1852 del Consiglio, del 10 ottobre 2017, sui meccanismi di risoluzione delle controversie in materia fiscale nell'Unione europea (c.d. direttiva DRM - Dispute Resolution Mechanism, il cui recepimento è previsto entro il 30 giugno 2019).

 

Si rinvia alla sintesi della direttiva in calce al presente dossier per una disamina delle principali disposizioni della stessa e per le differenze con le vigenti Convenzioni europee. Sinteticamente si ricorda in questa sede che la direttiva DRM è volta a garantire l'effettiva risoluzione delle controversie relative all'interpretazione e all'applicazione delle convenzioni fiscali bilaterali e della convenzione sull'arbitrato dell'Unione, con particolare riferimento alle doppie imposizioni.

Nel merito, la direttiva in esame ripropone la struttura generale della vigente convenzione n. 90/436/CEE, e cioè:

-       presentazione dell’istanza da parte del contribuente;

-       valutazione delle Autorità competenti sull’ammissibilità dell’istanza;

-       raggiungimento entro due anni dell’accordo amichevole volto ad eliminare la doppia imposizione;

-       in mancanza di accordo, previsione di un arbitrato obbligatorio attraverso l’istituzione di una commissione consultiva con il compito di emanare un parere sulle modalità di risoluzione del caso.

Rispetto all’impianto della suddetta convenzione n. 90/436/CEE, vengono introdotti i seguenti elementi di novità:

-       ampliamento del campo di applicazione, non più limitato alla materia dei prezzi di trasferimento e di attribuzione degli utili alle stabili organizzazioni, ma esteso alle ulteriori fattispecie contemplate nei Trattati bilaterali contro le doppie imposizioni (articolo 1 della Direttiva);

-       introduzione di ulteriori meccanismi di natura arbitrale e di ricorso alle competenti corti giurisdizionali nazionali attivabili dal contribuente ogni qualvolta si presenti la necessità di superare l’inerzia delle Autorità competenti coinvolte, dirimere disaccordi tra le dette Autorità, nonché di contrastare dinieghi di queste ultime al passaggio alle fasi successive della procedura. In particolare si introduce: i) in caso di disaccordo tra gli Stati interessati circa l’instaurazione della procedura, la possibilità di adire una commissione consultiva competente ad esprimersi sull’ammissibilità del caso; ii) in caso di diniego di accesso alla procedura amichevole e/o di mancata istituzione della commissione consultiva, la possibilità per il contribuente di ricorrere agli organi giurisdizionali domestici (articolo 5);

-       previsione, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo da parte delle Autorità competenti degli Stati membri coinvolti nella procedura, della possibilità per il contribuente di richiedere l’istituzione di una commissione consultiva e quindi di passare alla fase arbitrale (articolo 6).

 

Il comma 1 individua i seguenti princìpi e i criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega, affidando al Governo il compito di:

-       procedere al necessario adeguamento delle disposizioni di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, recante disposizioni sul processo tributario, con riguardo tra l’altro agli adempimenti attribuiti dalla Direttiva DRM ai tribunali nazionali;

-       coordinare e raccordare le previsioni dei decreti delegati per l’attuazione della direttiva (UE) 2017/1852 con gli obblighi internazionali in materia fiscale, ivi inclusa la Convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate, con atto finale e dichiarazioni, fatta a Bruxelles il 23 luglio 1990, ratificata e resa esecutiva ai sensi della legge 22 marzo 1993, n. 99 ;

-       procedere alla modifica delle altre disposizioni nazionali al fine di dare attuazione a quanto stabilito dalla direttiva (UE) 2017/1852, anche alla luce degli obblighi internazionali in materia fiscale;

-       fissare criteri e modalità per disciplinare il rapporto tra il meccanismo di risoluzione delle controversie fiscali previsto dalla Direttiva DRM con eventuali procedimenti giurisdizionali nazionali, anche non riconducibili nell’ambito del processo tributario, al fine di dare attuazione alle disposizioni della Direttiva DRM con particolare riferimento all’esercizio delle facoltà previste dall’articolo 16 della stessa.

-       Si ricorda in proposito che il richiamato articolo 16 della Direttiva DRM stabilisce che spetta ai singoli Stati membri regolamentare le interazioni tra le decisioni dei giudici nazionali e la percorribilità della procedura.

 

Ai sensi del comma 2 dell’articolo in esame, i decreti delegati sono adottati su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri della giustizia e degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

 

Il comma 3 contiene la quantificazione degli oneri finanziari, da intendersi come annuale. Pertanto, il comma 4 autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.

 

 


 

Articolo 9
(Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1129, relativo al prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di titoli in un mercato regolamentato, e che abroga la direttiva 2003/71/CE)

 

L’articolo 9 conferisce la delega per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1129 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017, che abroga la direttiva 2003/71/CE: tale regolamento in argomento stabilisce i requisiti relativi alla redazione, all’approvazione e alle modalità di diffusione del prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica di titoli o la loro ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato che ha sede o opera in uno Stato membro.

 

Si ricorda al riguardo che i prospetti sono documenti che contengono tutte le informazioni su una determinata società e sugli strumenti oggetto di offerta. Sulla base di tali informazioni gli investitori dovrebbero essere in grado di effettuare scelte di investimento consapevoli. Nella loro redazione, gli emittenti di strumenti finanziari sono chiamati a bilanciare l'esigenza di fornire un'informativa completa e, allo stesso tempo, efficace e comprensibile. La riforma nasce dall'esigenza, emersa in sede di revisione della direttiva 2003/71/CE, di contenere gli oneri per le imprese, in particolare piccole e medie (PMI), connessi al rispetto degli obblighi di tale disciplina, garantendo al contempo che gli investitori siano ben informati sui prodotti in cui stanno investendo. La revisione della normativa persegue, pertanto, l'obiettivo di prevedere per diverse tipologie di emittenti norme di informativa adeguate alle loro specifiche esigenze e rendere il prospetto uno strumento più pertinente per informare i potenziali investitori.

La disciplina nazionale sul prospetto è contenuta, in normativa primaria, nella Parte IV, Titolo II del TUF, sull’offerta al pubblico e, in normativa secondaria, nel Regolamento emittenti della Consob. La disciplina sanzionatoria è contenuta nella Parte V, Titoli I e II del TUF, sulle sanzioni penali e amministrative nei confronti degli emittenti. In particolare, l’articolo 173-bis punisce il reato di falso in prospetto, mentre all’articolo 191 sono sanzionate in via amministrativa le violazioni delle norme sull’offerta al pubblico di sottoscrizione e di vendita.

 

Il comma 1 dell'articolo 8 delega al Governo l'adozione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, con le procedure di cui all'articolo 31 della legge n. 234 del 2012, acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) 2017/1129.

Il comma 2 specifica che gli atti delegati sono adottati su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri della giustizia, degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dello sviluppo economico.

 

Il comma 3 dell'articolo individua i principi e i criteri direttivi specifici ai quali il Governo deve attenersi nell'esercizio della delega, in aggiunta ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

 

In particolare, le lettere a) e b) dispongono di adottare, in conformità alle definizioni e alla disciplina del regolamento 2017/1129, le occorrenti modificazioni alla normativa vigente per i settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, con l'obiettivo di assicurare l'integrità dei mercati finanziari e un appropriato grado di tutela degli investitori. Il Governo dovrà dunque modificare e integrare il TUF per attuare il regolamento 2017/1129 e le relative norme tecniche di regolamentazione e di attuazione, provvedendo ad abrogare espressamente le eventuali norme dell'ordinamento nazionale riguardanti gli istituti disciplinati dal regolamento anzidetto, fatte salve le compatibili vigenti disposizioni nazionali in materia di offerte al pubblico di sottoscrizione e vendita di prodotti finanziari diversi dai titoli.

 

Nella definizione delle modifiche alla normativa primaria, ai sensi della lettera c) il Governo dovrà prevedere, coerentemente con quanto già stabilito dagli articoli 94 e seguenti del TUF, il ricorso alla disciplina secondaria adottata dalla CONSOB. In particolare, ai sensi della lettera d) sarà attribuito alla CONSOB, in linea con le vigenti disposizioni in materia di offerta al pubblico di cui all’articolo 100 del TUF, il potere di prevedere con regolamento, nel rispetto delle condizioni previste dall’articolo 3 del regolamento 2017/1129, l’esenzione dall’obbligo di pubblicazione del prospetto per le offerte al pubblico di titoli di ridotte dimensioni (aventi un corrispettivo totale, nell’Unione e per un periodo di dodici mesi, pari a un importo monetario compreso tra un minimo di un milione di euro e un massimo di 8 milioni di euro). Sarà altresì attribuito alla CONSOB, ai sensi della lettera e), il potere di esercitare la facoltà prevista dall’articolo 7, paragrafo 7, secondo comma, del regolamento 2017/1129 quando l’Italia è Stato membro d’origine ai fini del predetto regolamento, secondo un criterio di proporzionalità degli oneri amministrativi a carico degli emittenti. Tale facoltà riguarda il coordinamento fra la disciplina della nota di sintesi del prospetto e quella di cui al documento contenente le informazioni chiave (KID - Key information document) a norma del regolamento (UE) n. 1286/2014, relativo a talune categorie di prodotti finanziari, detti "preassemblati" in quanto il loro valore dipende dall'andamento di altri prodotti o indici connessi agli andamenti dell'economia e di specifici mercati. Si tratta in entrambi (nota di sintesi e KID) i casi di documenti sintetici, la cui lunghezza è soggetta a specifiche limitazioni normative, volti a condensare al massimo le informazioni messe a disposizione degli investitori.

La lettera f) dispone la necessità di prevedere l’attribuzione della responsabilità delle informazioni fornite nei documenti pubblicati ai sensi del regolamento in argomento all’emittente o ai suoi organi di amministrazione, direzione o controllo, all’offerente, al soggetto che chiede l’ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato o al garante, a seconda dei casi. Con riguardo alle informazioni contenute nella nota di sintesi, che riprende i contenuti chiave del prospetto in un numero limitato di pagine, sarà necessario prevedere che nessun soggetto possa essere chiamato a rispondere in sede civile esclusivamente in base alla nota di sintesi, a meno che la stessa sia fuorviante, imprecisa o incoerente se letta insieme con altre parti del prospetto o non offra, se letta insieme con le altre parti del prospetto, le informazioni chiave per aiutare gli investitori al momento di valutare l’opportunità di investire nei titoli. La responsabilità dell’autorità competente resta disciplinata esclusivamente dal diritto nazionale.

 

La lettera g) individua nella CONSOB l'autorità competente, responsabile dell’espletamento dei compiti previsti dal regolamento e di assicurarne l’applicazione ai sensi dell'articolo 31 del regolamento (UE) 2017/1129, assicurando che la citata Commissione possa esercitare tutti i poteri previsti dal regolamento stesso.

 

La lettera h) dispone l'attribuzione alla CONSOB del potere di imporre le sanzioni amministrative e le altre misure amministrative per le violazioni elencate dall'articolo 38 del regolamento (UE) 2017/1029, tenendo conto delle circostanze elencate nell’articolo 39 del regolamento medesimo.

 

La lettera i) delega il Governo ad apportare le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, al fine di prevedere che le decisioni adottate in applicazione al regolamento (UE) 2017/1129 siano adeguatamente motivate e soggette a diritto di impugnazione in conformità dell’articolo 40 del medesimo regolamento. 

 

La lettera l) dispone la necessità di adeguare la disciplina degli articoli 4-undecies e 4-duedecies del TUF, relativa ai sistemi interni di segnalazione delle violazioni (cd. whistleblowing) e alle procedure di segnalazione all'autorità di vigilanza che vengono estesi alle violazioni della disciplina del "prospetto" in conformità a quanto previsto in tema di segnalazioni delle violazioni dall’articolo 41 del regolamento (UE) 2017/1129.

 

Il comma 4 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che le amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti derivanti dall'attuazione della delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

Articolo 10
(Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1131, sui fondi comuni monetari)

 

L’articolo 10 conferisce la delega per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1131 sui fondi comuni monetari (FCM), che rappresentano uno strumento di finanziamento a breve termine per gli enti finanziari, le società e le amministrazioni pubbliche.

 

Secondo i dati riportati nella relazione del Governo, tali fondi rappresentano in Europa circa il 22% dei titoli di debito a breve termine emessi da amministrazioni o società e il 38% di quelli emessi dal settore bancario. Per gli investitori, i FCM costituiscono strumenti di gestione delle attività a breve termine caratterizzati da elevata liquidità, diversificazione, stabilità del valore e rendimento basato sul mercato. I FCM sono utilizzati principalmente dalle società desiderose d’investire le eccedenze di disponibilità liquide per un periodo breve.

Con circa 1.000 miliardi di euro di attività gestite, i FCM rappresentano una categoria di fondi distinti da tutti gli altri fondi comuni che, per la maggior parte (circa l’80% in base alla consistenza delle attività e il 60% in base a quello del numero di fondi) sono soggetti alla direttiva 2009/65/CE (cd. UCITS) sugli organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM). La parte restante è soggetta alle norme della direttiva 2011/61/UE sui gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA).

I FCM sono caratterizzati da un patrimonio medio gestito superiore a quello di altre categorie di fondi. I FCM domiciliati in alcuni Stati membri, quali Francia, Irlanda e Lussemburgo, rappresentano oltre il 95% del mercato. Vi sono tuttavia notevoli interconnessioni con altri paesi a causa della quota elevata di investimenti ed investitori transfrontalieri e delle possibilità di contagio transfrontaliero tra il FCM e il promotore, che nella maggior parte dei casi è domiciliato in un paese diverso da quello del FCM. La rilevanza di tale comparto e le sue implicazioni sul rischio sistemico hanno determinato l'adozione di una normativa specifica da parte dell'Unione europea.

Dato che i FCM svolgono un ruolo centrale nel finanziamento a breve termine di entità come banche, società o amministrazioni pubbliche, le "corse al riscatto" possono avere conseguenze di natura macroeconomica, paragonabili alle "corse agli sportelli" per il ritiro di depositi bancari. In base ai dati riportati dalla relazione del Governo, sui 1.000 miliardi di euro investiti dai FCM in strumenti finanziari, le emissioni di banche sono la percentuale più rilevante (85%), seguite da quelle di amministrazioni pubbliche (10%) e di società (5%).

 

Il regolamento (UE) 2017/1131 introduce norme comuni per aumentare la liquidità dei FCM e garantire loro una struttura stabile, nonché per introdurre un livello minimo di attività liquide giornaliere e settimanali. Il regolamento contiene anche norme volte a garantire che i FCM investano in attività ben diversificate e di elevata qualità, in particolare sotto il profilo dell’affidabilità creditizia. Queste misure garantiscono che la liquidità del fondo sia adeguata per soddisfare le richieste di riscatto degli investitori. Viene prevista una riserva patrimoniale (la cosiddetta riserva NAV) per assorbire i movimenti dei mercati dei capitali, pari al 3% delle attività gestite dal FCM. Sono rafforzati i requisiti di trasparenza tesi a garantire che l’investitore comprenda correttamente il profilo di rischio e il rendimento del suo investimento.

 

La disciplina dei FCM e dei relativi gestori si inserisce nel quadro normativo sulla gestione collettiva del risparmio previsto, nel nostro ordinamento, dalla Parte II, Titolo III del TUF, nonché dal regolamento sulla gestione collettiva del risparmio della Banca d’Italia, dal regolamento intermediari e dal regolamento emittenti della CONSOB.

 

Nel nostro ordinamento le autorità competenti ai sensi delle direttive sugli OICVM e sui GEFIA sono la Banca d’Italia e la CONSOB. La Banca d’Italia è l’autorità competente ad autorizzare la gestione di un OICVM o di un FIA da parte di un gestore (Sgr, Sicav o Sicaf) e ad approvare il regolamento del fondo. Nel caso di prima istituzione di un FCM da parte di un gestore, l’autorizzazione è rilasciata dalla Banca d’Italia, sentita la Consob. L’autorizzazione è valida in tutti gli Stati membri. La CONSOB è l’autorità competente a ricevere dal gestore la notifica per la commercializzazione in Italia o in uno Stato dell’UE diverso dall’Italia delle quote o delle azioni del FCM agli investitori professionali e agli investitori al dettaglio e a ricevere dall’autorità dello Stato membro di origine del gestore del FCM la notifica per la commercializzazione in Italia, nonché ricevere il prospetto, e le relative modifiche.

 

La disciplina sanzionatoria nel nostro ordinamento è contenuta nella Parte V, Titolo II del TUF, sulle sanzioni amministrative. Considerato che il regolamento (UE) 2017/1131 non fissa sanzioni pecuniarie o altre misure amministrative ulteriori rispetto a quelle previste dalle direttive 2009/65/CE e 2011/61/UE, già recepite nel nostro ordinamento, si applicano le sanzioni attualmente previste dal TUF in materia di disciplina degli intermediari, entro i limiti massimi già previsti.

 

Il comma 1 dell'articolo in commento delega al Governo l'adozione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, con le procedure di cui all'articolo 31 della legge n. 234 del 2012, acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, di uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) 2017/1131.

 

Il comma 2 specifica che gli atti delegati sono adottati su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri della giustizia e degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

 

Il comma 3 dell'articolo individua i principi e i criteri direttivi specifici ai quali il Governo deve attenersi nell'esercizio della delega, in aggiunta ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

 

In particolare, le lettere a) e b) dispongono di adottare, in conformità alle definizioni e alla disciplina del regolamento 2017/1131, le occorrenti modificazioni alla normativa vigente, anche di derivazione europea, per i settori interessati dalla normativa da attuare, al fine di attuare il regolamento in argomento e realizzare il migliore coordinamento con le altre disposizioni vigenti, provvedendo ad abrogare espressamente le norme dell’ordinamento nazionale riguardanti la disciplina contenuta nel regolamento anzidetto. Tra i settori di intervento ai fini dell'adeguamento della normativa nazionale, è incluso quello della revisione legale dei fondi comuni di investimento per gli aspetti di rilevanza.

La lettera c) dispone di apportare le necessarie modifiche e integrazioni alle disposizioni contenute nel TUF, sulla base di quanto previsto nel capo VIII del regolamento (UE) 2017/1131, affinché le autorità di vigilanza e di settore, secondo le rispettive competenze, dispongano dei poteri di vigilanza e di indagine necessari per l’esercizio delle loro funzioni.

La lettera d) delega il Governo a prevedere che le stesse autorità possano imporre le sanzioni e le altre misure amministrative stabilite dalla parte V, titolo II, del TUF, in materia di disciplina degli intermediari, secondo i criteri e nei limiti massimi degli importi edittali ivi previsti, nei casi di violazione delle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1131. 

 

Il comma 4 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che le amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti derivanti dall'attuazione della delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.


 

Articolo 11
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2016/2031 relativo alle misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante e, limitatamente alla sanità delle piante, al regolamento (UE) n. 2017/625, nonché per il riordino e la semplificazione in materia di sementi e di materiali di moltiplicazione di alcune piante)

 

L’articolo 11 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per l’adeguamento dell’ordinamento interno ai seguenti provvedimenti europei:

-       regolamento (UE) n. 2016/2031, relativo alle misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante;

-       regolamento (UE) n. 2017/625 limitatamente alla normativa nazionale sulla sanità delle piante.

Il Reg. (UE) n. 2031 del 2016, che sostituisce la direttiva 2000/29/CE, stabilisce norme per determinare i rischi fitosanitari presentati da qualsiasi specie, ceppo o biotipo di agenti patogeni, animali o piante parassite, dannosi per le piante o i prodotti vegetali («organismi nocivi») e misure per ridurre tali rischi a un livello accettabile.

Vengono offerte le necessarie definizioni e si incarica la Commissione europea di redigere un apposito elenco. Gli operatori professionali sono tenuti a notificare immediatamente alle Autorità competenti qualsiasi dato a loro disposizione che riguardi un pericolo imminente relativo a un organismo nocivo; gli Stati membri dovranno notificare alla Commissione europea le relative informazioni. L'operatore professionale adotta immediatamente le misure necessarie a prevenire la diffusione dell'organismo nocivo, dando attuazione alle disposizioni impartite dallo Stato membro. Gli Stati membri sono chiamati a svolgere indagini basate sul rischio, volte ad accertare eventuali presenze di organismi nocivi da quarantena, e ad approvare programmi pluriennali. Essi devono stilare piani di emergenza per gli organismi nocivi prioritari, programmare esercizi di simulazione, designare stazioni di quarantena e strutture di confinamento.

Viene confermato che le piante devono essere dotate del c.d. passaporto, di un’etichetta ufficiale utilizzata per lo spostamento delle piante; tale passaporto non è richiesto se la pianta è fornita direttamente a un utilizzatore finale, salvo si tratti di contratti a distanza o riguardi utilizzatori che si trovano in zone protette.

Nel registro ufficiale degli operatori professionali sono chiamati a iscriversi coloro che spostano prodotti vegetali nell’Unione europea, rilasciano i passaporti delle piante e i certificati di export. Gli operatori professionali sono tenuti a istituire sistemi di tracciabilità atti a consentire l’identificazione degli spostamenti delle piante e dei prodotti vegetali. La tracciabilità deve essere conservata per almeno tre anni.

Il regolamento si applica a decorrere dal 14 dicembre 2019.

Il Reg. (UE) n. 625/2017 modifica la normativa in maniera di controlli ufficiali, introducendo una disciplina trasversale che interessa tutta la catena agroalimentare, includendo i controlli sugli alimenti, sui mangimi, sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari. Il regolamento mantiene l’approccio basato sul rischio ma gli conferisce una diversa valenza.

La frequenza dei controlli è, infatti, collegata ai rischi che un prodotto o un processo presentano rispetto alla frode, alla salute, alla sicurezza, al benessere degli animali o all’ambiente. Altri fattori inclusi nella valutazione del rischio possono, inoltre, aver riguardo ai dati in ordine alla conformità o meno dell’operatore o la probabilità che i consumatori siano indotti in errore circa le caratteristiche del prodotto agroalimentare.

I controlli saranno, quindi, effettuati con una frequenza rapportata al rischio; i posti di controllo dovranno rispettare requisiti comuni; sarà introdotto un Documento di ingresso comune in salute per le spedizioni provenienti dai Paesi terzi. Gli Stati membri sono chiamati a facilitare lo scambio di informazioni tra autorità competenti e le altre autorità di controllo come l’autorità giudiziaria. Le autorità designate per il controllo dovranno agire nel pubblico interesse, essere adeguatamente finanziate e offrire garanzie di imparzialità e professionalità. Le Autorità competenti devono tenere aggiornato il registro degli operatori soggetti ai controlli ufficiali. I controlli potranno essere delegati ad uno o più organismi o persone fisiche purché vengano rispettati alcuni requisiti. È prevista l’istituzione di laboratori e centri di riferimento, alcuni di riferimento dell’Unione europea, i c.d. EURL. All’art. 97 si prevede la possibilità di stabilire centri di riferimento europei per l’autenticità e l’integrità della filiera agroalimentare al fine di fornire conoscenze specialistiche per rilevare metodi per rilevazione di pratiche fraudolente.

 

L’articolo in esame – in definitiva – compie una scelta volta a trasporre nell’ordinamento interno la normativa sui controlli di cui al Reg. 2017/625, limitatamente alla sola disciplina sulla sanità delle piante. All’articolo successivo (art. 12) è prevista un’ulteriore delega per l’attuazione del medesimo regolamento, la cui applicazione si estende anche ai controlli sugli alimenti e sui mangimi, al rispetto delle norme sulla salute e sul benessere degli animali e all’utilizzo dei prodotti fitosanitari.

 

Nel corso dell’esame, in prima lettura, presso la Camera, è stato approvato un emendamento volto a specificare, nel comma 1, che i decreti legislativi di adeguamento al regolamento (UE) 2017/625 si dovranno limitare a modificare la normativa nazionale limitatamente alla sanità delle piante.

 

Il termine per l’esercizio della delega è di 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione europea.

È previsto, per l’adozione dei relativi decreti legislativi - su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro delle politiche agricole, di concerto con i Ministri della salute, della giustizia, degli affari esteri, dell’economia e dello sviluppo economico - che venga acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni. 

La delega è rivolta, altresì, a raccogliere in appositi testi unici tutte le norme vigenti in materia di sementi e di materiali di moltiplicazione delle piante da frutto, delle ortive e dei materiali di moltiplicazione della vite, divise per settori omogenei, in coordinamento con i regolamenti (UE) n. 2031 del 2016 e 2017/625.

 

Si osserva, al riguardo, come dal tenore della disposizione da ultimo citata non è facilmente comprensibile il rapporto tra l’emanazione dei testi unici e la normativa europea di cui si prevede l’attuazione nell’ordinamento interno. L’ambito oggettivo, riferito alle sementi e ai materiali di moltiplicazione delle piante da frutto, delle ortive e dei materiali di moltiplicazione della vite, non sembra essere disciplinato nello specifico dai regolamenti poc’anzi illustrati.

 

I princìpi e criteri direttivi specifici cui dovranno ispirarsi i decreti legislativi in esame fanno riferimento a:

-       adeguamento e semplificazione delle normative vigenti alle recenti conoscenze tecnico scientifiche del settore (ambito che sembra esulare dall’adeguamento all’ordinamento europeo e avere carattere molto ampio);

-       coordinamento delle disposizioni vigenti per garantire la coerenza giuridica;

-       risoluzione di eventuali incongruenze;

-       revisione dei procedimenti amministrativi al fine di ridurre i termini procedimentali;

-       individuazione delle autorità competenti, degli organismi delegati e dei compiti conferiti per l’applicazione dei regolamenti in esame;

-       adozione di un Piano di emergenza nazionale (il riferimento sembra essere alla definizione delle procedure per l’adozione di un Piano);

-       adeguamento dei posti di controllo transfrontaliero;

-       definizione di un Piano di controllo nazionale pluriennale per il settore della protezione dagli organismi nocivi delle piante;

-       designazione dei Laboratori nazionali di riferimento;

-       individuazione delle stazioni di quarantena e delle strutture di confinamento;

-       realizzazione di un sistema elettronico per la raccolta delle informazioni del settore fitosanitario;

-       ridefinizione del sistema sanzionatorio;

-       destinazione di una quota parte dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative per destinarle alle misure di eradicazione, gestione e coordinamento, nel limite del 50% del valore complessivo;

-       ricognizione e abrogazione espressa delle disposizioni nazionali oggetto di abrogazione tacita o implicita.


-          

Articolo 12
(Delega al Governo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/625, relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari)

 

L'articolo 12 conferisce al Governo la delega per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/625 relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari.

 

In particolare, l'adozione dei decreti legislativi, su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro della salute, di concerto con i Ministri delle politiche agricole, della giustizia, degli affari esteri, dell’economia e dello sviluppo economico (comma 2), deve aver luogo entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del disegno di legge in esame e deve essere preceduta dall'acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari competenti, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni (comma 1).

Nell’attuazione della delega, il Governo è tenuto a seguire le procedure delineate dall’art. 31, L. n. 234/2012 (comma 1), i princìpi e i criteri direttivi generali di cui all’art. 32 della legge citata (comma 3) nonché i princìpi e i criteri direttivi specifici elencati dallo stesso comma 3 e modificati nel corso dell'esame presso il Senato:

 

a) adeguare e raccordare le disposizioni nazionali vigenti alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/625, con abrogazione espressa delle norme nazionali incompatibili e coordinamento e riordino di quelle residue;

 

b)     “fermo restando che il Ministero della salute è designato quale Autorità unica di coordinamento e di contatto, ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, lettera b) del regolamento (UE) 2017/625” (questo inciso è stato introdotto dal Senato), individuare il Ministero della salute, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e le aziende sanitarie locali (regioni, province autonome e ASL sono state aggiunte dal Senato), nell'ambito di rispettiva competenza, quali Autorità competenti ai sensi dell'articolo 4 del regolamento (UE) 2017/625, deputate a organizzare o effettuare i controlli ufficiali e le altre attività ufficiali nei settori di cui all'articolo 1, paragrafo 2, lettera a), anche con riferimento agli alimenti geneticamente modificati, lettera c), anche con riferimento ai mangimi geneticamente modificati, lettere d), e), f) e h), del medesimo regolamento, “garantendo un coordinamento efficiente ed efficace delle menzionate Autorità competenti” (quest’ultimo inciso è stato introdotto dal Senato);

 

L'articolo 4 del regolamento (UE) 2017/625 disciplina la designazione, da parte degli Stati membri, delle autorità competenti a cui essi conferiscono la responsabilità di organizzare o effettuare controlli ufficiali e altre attività ufficiali nei settori di cui all’articolo 1, paragrafo 2 del regolamento stesso:

a) gli alimenti e la sicurezza alimentare, l’integrità e la salubrità, in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione di alimenti, comprese le norme volte a garantire pratiche commerciali leali e a tutelare gli interessi e l’informazione dei consumatori, la fabbricazione e l’uso di materiali e oggetti destinati a venire a contatto con alimenti;

b) l’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (OGM) a fini di produzione di alimenti e mangimi;

c) i mangimi e la sicurezza dei mangimi in qualsiasi fase della produzione, della trasformazione, della distribuzione e dell’uso di mangimi, comprese le norme volte a garantire pratiche commerciali leali e a tutelare la salute, gli interessi e l’informazione dei consumatori;

d) le prescrizioni in materia di salute animale;

e) la prevenzione e la riduzione al minimo dei rischi sanitari per l’uomo e per gli animali derivanti da sottoprodotti di origine animale e prodotti derivati;

f) le prescrizioni in materia di benessere degli animali;

g) le misure di protezione contro gli organismi nocivi per le piante;

h) le prescrizioni per l’immissione in commercio e l’uso di prodotti fitosanitari e l’utilizzo sostenibile dei pesticidi, ad eccezione dell’attrezzatura per l’applicazione di pesticidi;

i) la produzione biologica e l’etichettatura dei prodotti biologici;

j) l’uso e l’etichettatura delle denominazioni di origine protette, delle indicazioni geografiche protette e delle specialità tradizionali garantite.

 

In base a quanto prescritto dall'articolo 4, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2017/625, se le autorità designate dagli Stati membri sono autorizzate, in virtù di tale designazione, a trasferire competenze specifiche in materia di controlli ufficiali o di altre attività ufficiali ad altre autorità pubbliche, lo Stato membro: garantisce un coordinamento efficiente ed efficace tra tutte le autorità coinvolte e la coerenza e l’efficacia dei controlli ufficiali o delle altre attività ufficiali in tutto il suo territorio e designa un’autorità unica per coordinare la collaborazione e i contatti con la Commissione e con gli altri Stati membri in relazione ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati in ogni settore disciplinato dalle norme di cui all’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2017/625. L'articolo 4, paragrafo 3, del regolamento in esame, stabilisce che le autorità competenti di cui sopra possono inoltre affidare determinate responsabilità riguardanti i controlli ufficiali o altre attività ufficiali ad una o più autorità di controllo competenti per il settore biologico. Gli Stati membri provvedono affinché la Commissione sia informata dei recapiti e di tutte le eventuali modifiche.

 

c) individuare il Ministero della salute quale organismo unico di coordinamento ai sensi dell'articolo 109 del regolamento (UE) 2017/625 e quale organo di collegamento per lo scambio di comunicazioni tra le autorità competenti “degli Stati membri” (quest’ultimo inciso è stato introdotto dal Senato), ai sensi degli articoli da 103 (originariamente era previsto 104) a 107 del medesimo regolamento, nel rispetto dei profili di competenza istituzionale di cui alla lettera b);

 

L'articolo 109 del regolamento (UE) 2017/625 disciplina i Piani di controllo nazionali pluriennali (PCNP) e l'organismo unico per il PCNP. In base a quanto disposto dall'articolo 109, spetta agli Stati membri assicurare che i controlli ufficiali disciplinati siano eseguiti dalle autorità competenti sulla base di un PCNP, la cui elaborazione e attuazione sono coordinate in tutto il loro territorio. L'articolo 109 prescrive altresì che gli Stati designino un organismo unico.

I compiti di coordinamento definiti dal regolamento (UE) 2017/625 all'articolo 109, paragrafo 2, lettera a), sono relativi alla preparazione del PCNP fra tutte le autorità competenti responsabili dei controlli ufficiali. Il medesimo paragrafo, rispettivamente alle lettere b) e c), attribuisce all'organismo unico l'incarico di garantire che il PCNP sia coerente e di raccogliere informazioni sull'attuazione del PCNP in vista delle relazioni annuali che, in base all'articolo 113, gli Stati membri sono tenuti a presentare alla Commissione europea entro il 31 agosto di ogni anno. L'organismo unico è altresì incaricato di riesaminare e aggiornare il PCNP.

 

d) ferma restando la competenza del Ministero della salute quale Autorità unica di coordinamento e di contatto ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (UE) 2017/625, nei settori indicati all'articolo 1, paragrafo 2, lettere a), c), d), e), f) e h) del predetto regolamento, individuare il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, quale autorità competente ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2017/625, deputata a organizzare o effettuare i controlli ufficiali e le altre attività ufficiali nei settori di cui all'articolo l, paragrafo 2, lettere a) e c), per i profili privi di impatto sulla sicurezza degli alimenti e dei mangimi ma che possono incidere sulla correttezza e trasparenza delle transazioni commerciali, lettere g), i) e j) dell'articolo 1, paragrafo 2, dello stesso regolamento, nonché nei settori di cui ai medesimo articolo 1, paragrafo 4, lettera a), per gli aspetti relativi ai controlli effettuati a norma dell'articolo 89 del regolamento (UE) n. 1306/2013 e alle pratiche fraudolente o ingannevoli relative alle norme di commercializzazione di cui agli articoli da 73 a 91 del regolamento (UE) n. 1308/2013 (questa lettera è stata introdotta dal Senato);

 

e) individuare il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo quale organo di collegamento per lo scambio di comunicazioni tra le autorità competenti degli Stati membri, ai sensi degli articoli da 103 a 107 del regolamento (UE) 2017/625, nei settori di competenza come individuati alla precedente lettera d) (questa lettera è stata introdotta dal Senato);

 

f) adeguare la normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/625 in materia di controlli sanitari sugli animali e le merci provenienti dagli altri Stati membri dell’Unione e le connesse competenze degli Uffici veterinari per gli adempimenti degli obblighi comunitari del Ministero della salute in conformità alle nuove norme sull’assistenza amministrativa contenute negli articoli da 102 a 108 del regolamento (UE) 2017/625 che disciplinano nuovi obblighi e procedure;

 

Gli articoli da 102 a 108 del regolamento (UE) 2017/625, contenuti nel titolo IV (Assistenza amministrativa e collaborazione), disciplinano la reciproca assistenza amministrativa tra le autorità competenti degli Stati membri interessati al fine di garantire la corretta applicazione della normativa di cui all’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento nei casi che presentano rilevanza in più di uno Stato membro. L’assistenza amministrativa comprende, se del caso e nell’ambito di un accordo tra le autorità competenti interessate, la partecipazione delle autorità competenti di uno Stato membro ai controlli ufficiali in loco svolti dalle autorità competenti di un altro Stato membro.

 

g) rivedere le disposizioni del decreto legislativo 19 novembre 2008, n. 194, “in coerenza con le modalità di finanziamento dei controlli sanitari ufficiali ivi previsti all'articolo 7” (il predetto inciso è stato introdotto dal Senato) e in conformità alle norme contenute nel capo VI del titolo II del regolamento (UE) 2017/625, al fine di attribuire alle autorità competenti di cui alla lettera b) le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per organizzare ed effettuare i controlli ufficiali, nonché le altre attività ufficiali, al fine di migliorare il sistema dei controlli e di garantire il rispetto delle disposizioni dell'Unione europea in materia;

 

Il d.lgs. 194/2008 (Disciplina delle modalità di rifinanziamento dei controlli sanitari ufficiali in attuazione del regolamento (CE) n. 882/2004), il cui regolamento di riferimento viene abrogato dal regolamento in esame, stabilisce le modalità di finanziamento dei controlli sanitari ufficiali eseguiti dalle autorità competenti per la verifica della conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali: in particolare, l’art. 7 del predetto decreto legislativo indica la destinazione dei proventi derivanti dalla riscossione delle tariffe. Gli allegati al decreto contengono le tariffe per il finanziamento dei controlli. Il capo VI del regolamento (UE) 2017/625, contenuto nel titolo II (Controlli ufficiali e altre attività ufficiali negli Stati membri), disciplina il finanziamento dei controlli ufficiali e di altre attività ufficiali.

 

h) adeguare e riorganizzare i Posti di controllo frontalieri, che assorbiranno le competenze dei Posti di ispezione frontaliera (PIF) e degli Uffici di sanità marittima e aerea di frontiera (USMAF) del Ministero della salute, anche sotto il profilo delle dotazioni strumentali e di personale, per dare applicazione al regolamento (UE) 2017/625;

 

In merito ai Posti di controllo frontalieri, il regolamento (UE) 2017/625, all'articolo 59, stabilisce che gli Stati membri designano i posti di controllo frontalieri preposti ad eseguire i controlli ufficiali su una o più categorie di animali e merci di cui all'articolo 47, paragrafo 1, del regolamento in esame. In base all'articolo 61 del regolamento è revocato il riconoscimento dei posti d’ispezione frontalieri di cui all’articolo 6 della direttiva 97/78/CE e all’articolo 6 della direttiva 91/496/CEE, entrambe abrogate dal regolamento (UE) 2017/625. Lo stesso articolo 61 del regolamento (UE) 2017/625 revoca la designazione dei punti di entrata di cui all’articolo 5 del regolamento (CE) n. 669/2009 e all’articolo 13 quater, paragrafo 4, della direttiva 2000/29/CE e la designazione dei punti di ingresso ai sensi dell’articolo 5 del regolamento (UE) n. 284/2011 della Commissione.

 

i) ridefinire il sistema sanzionatorio, attraverso la previsione di sanzioni amministrative efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità delle violazioni delle disposizioni del regolamento (UE) 2017/625.

 

In base a quanto stabilito dall'articolo 139 del regolamento (UE) 2017/625, gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni da applicare in caso di violazione delle disposizioni del regolamento stesso e adottano tutte le misure necessarie ad assicurare la loro attuazione. Lo stesso articolo 139 specifica che le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive e che gli Stati membri, entro il 14 dicembre 2019, notificano le disposizioni alla Commissione e provvedono a notificare senza ritardo alla stessa ogni successiva modifica delle stesse. In ragione di quanto disciplinato dall'articolo 139, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2017/625, gli Stati membri provvedono affinché le sanzioni pecuniarie per violazioni del regolamento e della normativa di cui all’articolo 1, paragrafo 2, commesse mediante pratiche fraudolente o ingannevoli, rispecchino, conformemente al diritto nazionale, come minimo il vantaggio economico per l’operatore o, se del caso, una percentuale del fatturato dell’operatore.

 


 

Articolo 13
(Delega al Governo per l’attuazione della direttiva (UE) 2018/410, che modifica la direttiva 2003/87/CE in materia di scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra)

 

L’articolo 13, modificato al Senato, disciplina, in materia di scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra, le modalità per l'adozione delle norme di recepimento della direttiva (UE) 2018/410, nonché delega il Governo all'adozione delle disposizioni necessarie per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/2392 e della decisione (UE) 2015/1814. Lo stesso articolo definisce le modalità di emanazione dei decreti delegati e stabilisce principi e criteri direttivi specifici per l’esercizio della delega.

 

La direttiva (UE) 2018/410 ha introdotto profonde modifiche alla direttiva 2003/87/CE di riferimento per lo European Union Emission trading system (EU-ETS), volte a potenziare la capacità del sistema ETS di contribuire efficacemente al raggiungimento dell'obiettivo del 40 per cento di abbattimento delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2030, in coerenza con il Quadro 2030 delle Politiche per il clima e l'energia della UE e come contributo all'Accordo di Parigi sul clima del 2015 (COP 21). La direttiva si propone di regolare il funzionamento dell'EU ETS nel periodo 2021-2030. Tra le principali novità della direttiva 2018/410/UE si segnala l'innalzamento del cd. "fattore di riduzione lineare" al fine di determinare una riduzione annuale del volume totale di emissioni del 2,2%, nonché la riscrittura delle modalità di assegnazione gratuita delle quote e il raddoppio temporaneo (fino al 2023) del numero di quote da immettere nella riserva stabilizzatrice del mercato. Il termine per il recepimento della nuova direttiva da parte degli Stati membri è fissato (dall’art. 3 della stessa direttiva) al 9 ottobre 2019.

Si ricorda che si è svolta dal 2 al 14 dicembre 2018 a Katowice, in Polonia, la conferenza COP24 sui cambiamenti climatici. In relazione a tale occasione, il Consiglio Ambiente dell'UE ha adottato il 9 ottobre 2018 conclusioni sui cambiamenti climatici che sottolineano l'urgenza senza precedenti di intensificare gli sforzi globali per evitare gli effetti pericolosi dei cambiamenti climatici e costituiscono la base della posizione dell'UE nella conferenza. Per una ricostruzione in materia, si veda il Dossier dei Servizi Studi di Camera e Senato n. 87.

L’EU-ETS è un sistema che fissa un tetto massimo al livello totale delle emissioni ammesse per tutti i soggetti vincolati dal sistema e consente ai partecipanti di acquistare e vendere sul mercato, secondo le rispettive necessità, i diritti di emissione di CO2, all'interno del limite definito a livello europeo in funzione degli obiettivi al 2020 e al 2030. In particolare, il sistema EU ETS regolamenta le emissioni di gas serra provenienti dalla maggior parte delle attività industriali e dal settore aereo e prevede l'obbligo di restituire annualmente (per via informatica, attraverso un apposito registro nazionale) un numero di "quote" di emissione pari alle emissioni di CO2 rilasciate durante l'anno precedente. Mentre nel periodo 2008-2012 tutti i settori hanno beneficiato di assegnazioni a titolo gratuito, a partire dal 2013 solo alcuni settori (prevalentemente quelli manifatturieri) possono beneficiare di quote assegnate a titolo gratuito. Una quota rappresenta il diritto per l'operatore di rilasciare "gratuitamente" in atmosfera una tonnellata di CO2. Se l'operatore nel corso dell'anno emette in atmosfera emissioni in quantità maggiore delle quote a esso rilasciate, deve acquistare quote per "coprire" le emissioni in eccesso (il prezzo della quota è determinato dal mercato sulla base dell'equilibrio tra domanda e offerta). Al contrario, se nel corso dell'anno l'operatore emette in atmosfera emissioni in quantità minore rispetto alle quote a esso rilasciate può vendere sul mercato le quote non utilizzate ai fini della restituzione.

Il Quadro per il clima e l’energia 2030 prevede l'obiettivo vincolante di ridurre entro il 2030 le emissioni nel territorio dell’Unione Europea di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990, mentre i settori interessati dal sistema ETS dovranno ridurre le emissioni del 43%, rispetto al 2005, comportando una necessaria riforma dell’EU-ETS per poter adempiere agli impegni assunti nell'ambito dell'Accordo di Parigi.

Di qui nasce l’esigenza di un costante rafforzamento del sistema ETS in grado di sostenere una sostanziale riduzione nel tempo delle quote disponibili sul mercato.

Il recepimento della direttiva (UE) 2018/410 comporterà l’abrogazione del decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30, con il quale è stata data attuazione alla direttiva 2009/29/CE (a sua volta modificativa della direttiva 2003/87/CE).

 

Al Senato, è stato introdotto un nuovo comma 1, in base al quale si prevede che, nell'esercizio della delega per l'attuazione della citata direttiva (UE) 2018/410, il Governo è tenuto ad acquisire il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

Si prevede, altresì, che il Governo sia tenuto a dare attuazione anche agli atti di cui al successivo comma 2 nonché a seguire, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 1, comma 1 della presente legge, anche i principi e criteri direttivi specifici di cui al comma 4 della disposizione in esame.

 

Procedure di emanazione dei decreti delegati

 

Con il comma 2, modificato al Senato, si prevede che con i medesimi decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo è delegato ad adottare (secondo le procedure e i termini di cui all'articolo 31 della legge 24 dicembre 2012, n. 234) anche le disposizioni necessarie per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/2392 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2017, nonché per l'attuazione della decisione (UE) 2015/1814 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 ottobre 2015.

Il comma 2 prevede inoltre che sia acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e delle competenti Commissioni parlamentari.

 

Il Regolamento (UE) 2017/2392 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2017, reca modifiche alla direttiva 2003/87/CE al fine di mantenere gli attuali limiti dell'ambito di applicazione relativo alle attività di trasporto aereo e introdurre alcune disposizioni in vista dell'attuazione di una misura mondiale basata sul mercato a decorrere dal 2021.

La Decisione (UE) 2015/1814 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 ottobre 2015, è invece relativa all'istituzione e al funzionamento di una riserva stabilizzatrice del mercato nel sistema dell'Unione per lo scambio di quote di emissione dei gas a effetto serra e recante modifica della direttiva 2003/87/CE.

 

Il comma 3 prevede altresì che gli stessi decreti siano adottati su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell’economia e finanze, dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti.

 

Principi e criteri direttivi specifici (comma 4)

 

Il comma 4 indica i principi e i criteri direttivi specifici cui il Governo è tenuto ad attenersi nel recepimento della direttiva (UE) 2018/410 e nell’adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) 2017/2392 e alla decisione (UE) 2015/1814.

 

Il criterio di cui alla lettera a) prevede la razionalizzazione e il rafforzamento della struttura organizzativa dell’autorità nazionale competente di cui all’art. 4 del D.Lgs. 30/2013, in considerazione del potenziamento, della complessità e della specificità dei compiti da svolgere, che richiedono la disponibilità di personale dedicato, e tenuto conto della rilevanza, anche in termini economici, dei provvedimenti decisori dalla stessa autorità adottati.

Per la gestione della direttiva 2003/87/CE e per il supporto nella gestione delle attività di progetto del Protocollo di Kyoto, il decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30, all’articolo 4, ha istituito il Comitato nazionale, definendone la struttura organizzativa e funzionale ed attribuendogli il ruolo di Autorità nazionale competente.

Il Comitato è composto da un Consiglio direttivo, con funzioni deliberanti, e da una Segreteria tecnica, cui compete lo svolgimento di una attività istruttoria di carattere permanente e che deve svolgersi senza soluzione di continuità (quale, ad esempio, quella riguardante la gestione della documentazione e degli atti, in entrata ed in uscita, presentati o destinati alle imprese soggette a regime ETS) e al cui svolgimento – secondo quanto riportato nella relazione illustrativa – ha sinora provveduto, di fatto, la competente Direzione del Ministero dell’ambiente, che in teoria, ai sensi del citato art. 4, dovrebbe assicurare alla Segreteria tecnica esclusivamente un supporto logistico ed organizzativo. Alla luce delle difficoltà organizzative nella gestione delle procedure in atto e della complessità dei compiti da svolgere, il criterio di delega in questione mira, pertanto, a rendere possibile una razionalizzazione e ad un rafforzamento della struttura organizzativa dell’Autorità nazionale competente.

 

Il criterio di delega di cui alla lettera b) prevede l’ottimizzazione e l’informatizzazione delle procedure rientranti nel sistema europeo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (EU-ETS) allineando ed integrando tali procedure con altre normative e politiche europee e nazionali.

In particolare, come segnalato nella relazione di accompagnamento (si veda l'A.C. 1201), dal 2016 è in corso di realizzazione un nuovo portale nazionale per la gestione del sistema ETS italiano, attraverso la sottoscrizione di un Accordo di cooperazione, ancora in atto, fra Unioncamere ed il Ministero dell’ambiente. Tale nuovo strumento informatico è concepito con l’obiettivo di fornire un adeguato supporto al Comitato nella gestione delle attività rivolte agli operatori e al pubblico, consentendo l’accesso ai soggetti interessati, nonché la razionalizzazione e l’organizzazione dei dati e delle informazioni in un unico archivio centralizzato e il tracciamento e verifica di conformità delle istanze di parte presentate dai soggetti rientranti nel sistema ETS.

 

Il criterio di cui alla lettera c) prevede la revisione e la razionalizzazione del sistema sanzionatorio adottato ai sensi della normativa europea, al fine di definire sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive e di consentire una maggiore efficacia nella prevenzione delle violazioni e di consentire, anche alla luce dell’irregolare andamento dei pagamenti delle sanzioni e dei fenomeni di vera e propria elusione registratisi in passato (sottolineati dalla relazione illustrativa), una migliore calibrazione del regime sanzionatorio.

Alla lettera d) è stabilito, poi, il criterio di delega concernente la riassegnazione al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare dei proventi derivanti dalle eventuali sanzioni amministrative di nuova istituzione e la destinazione degli stessi al potenziamento delle attività istruttorie, di vigilanza, prevenzione, monitoraggio e alla verifica del rispetto delle condizioni previste dai procedimenti rientranti nel sistema EU-ETS, riconnettendosi pertanto alla generale finalità di rafforzamento dell’autorità nazionale competente declinata dal criterio di delega di cui alla lettera a), con particolare riferimento alla necessità che l’autorità disponga degli strumenti e delle risorse idonee a svolgere appieno le proprie funzioni ispettive e di verifica del monitoraggio sulle emissioni espletato dagli impianti autorizzati, allo scopo di poter certificare l’accuratezza dei metodi applicati e delle informazioni raccolte.

In proposito, la relazione illustrativa sottolinea, infatti, che “la nuova direttiva ETS chiede alle Autorità nazionali competenti di andare oltre il mero adempimento amministrativo di approvazione delle richieste di autorizzazione e di accoglimento delle comunicazioni periodiche e di entrare nel merito dei processi di monitoraggio delle emissioni degli impianti autorizzati in ambito EU ETS” e che “si tratta di istituire presidi con precise finalità ispettive, per entrare nel merito delle modalità con cui gli impianti autorizzati in ambito EU ETS espletano le attività di monitoraggio sulle emissioni, allo scopo di poter certificare l’accuratezza del metodo applicato e dell’informazione raccolta attraverso il monitoraggio annuale, al fine di evitare il verificarsi di errori dovuti alla mancata osservanza delle linee guida che definiscono i criteri per un corretto monitoraggio”. Poter verificare l’applicazione di criteri e od o parametri affidabili per la determinazione del quantitativo totale delle quote in circolazione in Italia rappresenta, sempre secondo la relazione illustrativa, “un obiettivo rilevante, in quanto una non corretta determinazione del quantitativo di quote in circolazione può penalizzare lo sviluppo del sistema economico industriale e interferire sul corretto funzionamento concorrenziale del mercato. Al riguardo si precisa che, nel 2017, è stato sottoscritto un Accordo di cooperazione tra il Ministero dell’ambiente, il Comitato ETS ed Unioncamere che persegue le finalità sopra indicate. Tale Accordo ha una durata di diciotto mesi ed è finanziato con i proventi delle tariffe attualmente versate dai gestori ai sensi dell’articolo 41, comma 4, del decreto legislativo n. 30/2013, come definite nel decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 25 luglio 2016, recante tariffe a carico degli operatori per le attività previste dal decreto legislativo n. 30 del 2013 per la gestione del sistema UE-ETS. E’ previsto che il decreto sulle tariffe debba essere periodicamente aggiornato per rendere maggiormente coerenti le prestazioni economiche relative alle singole istanze. Una maggiore disponibilità economica potrebbe rappresentare un’ulteriore opportunità di investimento e di crescita per il sistema, in linea con gli orientamenti europei in materia (cfr. ad es. DRAFT Guidance Document EU ETS Inspections MRR Guidance document No. 8 Final Draft for Endorsement by the CCC - 24 November 2017)”.

 

Infine, la lettera e) prevede, come ultimo criterio di delega, la conseguenziale abrogazione delle previsioni del decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30, recante attualmente l'attuazione della direttiva 2009/29/CE in materia di sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra.

Rispetto al testo originario del criterio, che faceva riferimento alla abrogazione tout court del D. Lgs. n. 30/2013, il Senato ha specificato che il legislatore delegato provvede alla abrogazione espressa delle sole disposizioni incompatibili e al coordinamento delle residue disposizioni del decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30.

 

Si ricorda che in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE (COM/2015/0337 final), poi approvata come Direttiva 2018/410, le Commissioni riunite VIII e X della Camera, nella seduta del 2 febbraio 2016, hanno approvato, ai sensi dell’art. 127 del Regolamento, il Doc. XVIII n. 31 (in cui si esprimeva sulla proposta di direttiva una valutazione positiva con osservazioni) e la 13a Commissione del Senato, nella seduta del 14 ottobre 2015, ha approvato la risoluzione Doc. XVIII n. 98.

 

Si ricorda infine che la Commissione europea  ha recentemente annunciato la Strategia europea per un impatto climatico zero entro il 2050, nell'ambito del percorso per rendere l’economia europea più rispettosa del clima.

La tabella di marcia verso un'economia a basse emissioni di carbonio prevede che:

-          entro il 2050 l'UE riduca le emissioni di gas a effetto serra dell'80% rispetto ai livelli del 1990;

-          le tappe per raggiungere questo risultato sono una riduzione delle emissioni del 40% entro il 2030 e del 60% entro il 2040;

-          tutti i settori diano il loro contributo;

-          la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio sia fattibile ed economicamente abbordabile.

 


 

Articolo 14
(Attuazione della direttiva (UE) 2018/849, che modifica le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche)

 

 

La direttiva 2018/849 apporta modifiche a direttive già in vigore, in particolare con riferimento ai veicoli fuori uso (direttiva 2000/53/CE); alle pile e agli accumulatori (direttiva 2006/66/CE); e ai rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE – direttiva 2012/19/UE) con l'obiettivo di migliorare la gestione del ciclo dei rifiuti e, in tale contesto, la qualità del flusso informativo dagli Stati membri alle autorità europee in ordine all’efficacia e ai livelli di tutela ambientale della gestione del ciclo dei rifiuti.

 

Il comma 1 dell’art. 14, modificato durante l'esame al Senato, contiene, alle lettere a)-c), i principi e i criteri specifici, individuati per ciascuna delle direttive interessate, che devono essere seguiti, oltre ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 1, comma 1 del presente provvedimento, per l’esercizio della delega prevista.

Le modifiche principali sono finalizzate a considerare la possibilità di realizzare un sistema unico di gestione dei rifiuti di pile e accumulatori e dei RAEE (lettera b), n. 4)) nonché ad introdurre (ai numeri 4) e 6) della lettera c)) due ulteriori criteri di delega, volti a richiedere la previsione di misure che favoriscano il ritiro, su base volontaria, ''uno contro zero'' dei piccolissimi RAEE da parte di distributori che non vendono apparecchiature elettriche ed elettroniche, nonché la disciplina del fine vita dei pannelli fotovoltaici incentivati immessi sul mercato prima del 12 aprile 2014, anche prevedendo il coinvolgimento dei sistemi individuali e collettivi di gestione dei RAEE.

 

Il comma 2, non modificato durante l'esame al Senato, disciplina le modalità di adozione dei decreti delegati.

 

 

Criteri specifici per la revisione della normativa relativa alla gestione dei veicoli fuori uso (comma 1, lettera a))

La lettera a) prevede, ai punti da 1 a 4, la riforma del sistema di gestione dei veicoli fuori uso, in attuazione della direttiva 2018/849, nel rispetto delle seguenti indicazioni:

1) coordinare le previsioni del decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, con le disposizioni contenute nella direttiva 2018/851 (vedi la scheda contenuta nel presente dossier), che modifica la direttiva 2008/98, relativa ai rifiuti, con particolare riferimento, tra l’altro, allo schema di responsabilità estesa del produttore.

2) individuare forme di promozione e semplificazione per il riutilizzo delle parti dei veicoli fuori uso utilizzabili come ricambio, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 2, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, di attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso (in base al quale lo scopo della normativa stessa consiste in primo luogo nel ridurre al minimo l'impatto dei veicoli fuori uso sull'ambiente, al fine di contribuire alla protezione, alla conservazione ed al miglioramento della qualità dell'ambiente) nonché delle procedure e delle norme di sicurezza;

3) rafforzare l’efficacia e l’efficienza dei sistemi di tracciabilità e contabilità dei veicoli, dei veicoli fuori uso e dei rifiuti derivanti dal trattamento degli stessi, con particolare riferimento all’obbligo di pesatura dei veicoli fuori uso nei centri di raccolta;

4) individuare misure per sviluppare o incentivare il riciclaggio dei rifiuti provenienti da impianti di frantumazione dotati delle migliori tecniche disponibili, finalizzando lo smaltimento o il recupero energetico ai soli rifiuti non riciclabili (il testo originario prevedeva di incentivare il recupero energetico dei rifiuti provenienti dal trattamento degli stessi).

 

Si ricorda che l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 851/2018, intervenendo sull’articolo 3 della direttiva 2008/98, ha modificato tra l’altro  la definizione di “regime di responsabilità estesa del produttore", al fine di prevedere che gli Stati membri adottino una serie di misure volte ad assicurare che ai produttori di prodotti spetti la responsabilità finanziaria o la responsabilità finanziaria e organizzativa della gestione della fase del ciclo di vita in cui il prodotto diventa un rifiuto. Conseguentemente, l’articolo 1, paragrafo 8, della direttiva 851/2018 ha modificato l’articolo 8 della direttiva 2008/98 sulla disciplina della responsabilità estesa del produttore, mentre l’articolo 1, paragrafo 9 della medesima direttiva 851/2018, ha introdotto un nuovo articolo 8-bis nella direttiva 2008/98 contenente i requisiti generali minimi in materia di responsabilità estesa del produttore.

 

Nella relazione illustrativa (A.C. 1201) si sottolinea, in particolare, che l’intento della norma in esame è quello di individuare forme di promozione e di semplificazione per il riutilizzo delle componenti dei veicoli fuori uso come parti di ricambi e di introdurre sistemi di tracciabilità dei veicoli fuori uso e dei materiali derivanti dal loro trattamento nonché sistemi di tracciabilità dei veicoli che contrastino, tra l’altro, l’importazione di veicoli di “provenienza ignota”, spesso destinati ad essere “cannibalizzati” delle parti da utilizzare come ricambio e poi abbandonati sul territorio”. La misura in commento prevede anche l’introduzione di misure che incentivino il recupero di energia al fine di conseguire l’obiettivo di reimpiego e recupero.

 

Criteri specifici per la revisione della normativa relativa alla gestione dei rifiuti di pile e accumulatori (comma 1, lettera b))

La lettera b) prevede, ai punti da 1 a 4, al fine di riformare il sistema di gestione dei rifiuti di pile e accumulatori, in attuazione della direttiva 2018/849, il rispetto delle seguenti indicazioni:

1) definire obiettivi di gestione dei rifiuti di pile e accumulatori per i produttori, come previsto dall’articolo 8-bis della direttiva 2008/98, introdotto dalla direttiva 2018/851;

Il nuovo art. 8-bis (Requisiti minimi generali per la responsabilità estesa del produttore) della direttiva 2008/98 prevede, in particolare, la definizione di obiettivi di gestione dei rifiuti volti a conseguire gli obiettivi quantitativi rilevanti per il regime di responsabilità estesa del produttore di cui alla direttiva rifiuti e alle direttive imballaggi, pile, veicoli fuori uso e RAEE;

2) prevedere specifiche modalità semplificate per la raccolta dei rifiuti di pile portatili nonché degli accumulatori non derivanti dall’attività di enti e imprese;

3) adeguare lo schema di responsabilità estesa alle nuove previsioni, anche alla luce delle disposizioni che, sull’argomento, sono contenute nella direttiva 2018/851;

4) armonizzare il sistema di gestione dei rifiuti di pile e accumulatori con quello di gestione dei RAEE, valutando - secondo l’integrazione approvata durante l'esame al Senato - la possibilità di realizzare un sistema unico di gestione.

 

Nella relazione illustrativa (si veda l'A.C. 1201) si sottolinea che l’intervento normativo “è consequenziale alla recente riforma del sistema di gestione dei RAEE, intervenuta con l’attuazione della direttiva 2012/19 sui RAEE, che ha allontanato le due filiere, che, invece, hanno in comune gran parte degli operatori economici presenti nel mercato. Inoltre, si prevedono modalità semplificate per la raccolta dei rifiuti di pile ed accumulatori portatili e l’adeguamento dello schema di responsabilità estesa del produttore alle disposizioni contenute nella direttiva (UE) 2018/851. In tal senso, è prevista la definizione di obiettivi di raccolta e riciclo/recupero per i produttori di pile ed accumulatori, al fine di incrementare la raccolta sul territorio nazionale e, quindi, permettere il conseguimento degli obiettivi previsti dalla direttiva 2006/66 CE”.

 

Criteri specifici per la revisione della normativa relativa alla gestione dei RAEE (comma 1, lettera c))

La lettera c) prevede, ai numeri da 1) a 6), al fine di riformare il sistema di gestione dei rifiuti di AEE (apparecchiature elettriche ed elettroniche), in attuazione della direttiva 2018/849, il rispetto dei seguenti criteri specifici di delega:

1) definire obiettivi di gestione dei RAEE per i produttori, come previsto dall’art. 8-bis della direttiva 2008/98, come modificata dalla direttiva 2018/851 (vedi supra);

2) adeguare lo schema di responsabilità estesa alle nuove previsioni, anche alla luce delle disposizioni, che sull’argomento, sono contenute nella direttiva 2018/851;

3) individuare, al fine di prevenire la produzione dei rifiuti, misure di promozione e semplificazione per il riutilizzo delle AEE e - secondo quanto aggiunto durante l'esame al Senato - dei loro componenti;

5) definire condizioni, requisiti e standard operativi, nonché le relative modalità di controllo, per gli impianti di trattamento adeguato dei RAEE.

 

Oltre a tali criteri, durante l'esame al Senato sono stati aggiunti i seguenti ulteriori criteri:

4) prevedere misure che favoriscano il ritiro, su base volontaria, ''uno contro zero'', dei piccolissimi RAEE da parte di distributori che non vendono AEE;

Si ricorda che, in base all’art. 4, comma 1, lettera f), del D.Lgs. 49/2014, per “RAEE di piccolissime dimensioni” si intendono i RAEE di dimensioni esterne inferiori a 25 cm. Per tali rifiuti, l’art. 11 prevede, tra l’altro, che i distributori possono effettuare all'interno dei locali del proprio punto vendita o in prossimità immediata di essi la raccolta a titolo gratuito dei RAEE provenienti dai nuclei domestici di piccolissime dimensioni conferiti dagli utilizzatori finali, senza obbligo di acquisto di AEE di tipo equivalente (cioè “uno contro zero”). Tale attività è invece obbligatoria per i distributori con superficie di vendita di AEE al dettaglio di almeno 400 mq. Lo stesso articolo ha demandato ad un apposito decreto ministeriale la disciplina delle modalità semplificate per l'attività di ritiro “uno contro zero” nonché dei requisiti tecnici per lo svolgimento del deposito preliminare alla raccolta presso i distributori e per il trasporto dei rifiuti in questione. In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.M. 121/2016.

6) disciplinare il fine vita dei pannelli fotovoltaici incentivati immessi sul mercato prima del 12 aprile 2014 (cioè prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 49/2014), anche prevedendo il coinvolgimento dei sistemi individuali e collettivi di cui agli articoli 9 e 10 del D.Lgs. 49/2014.

Si tratta dei c.d. rifiuti storici vale a dire derivanti da pannelli fotovoltaici immessi sul mercato prima del 12 aprile 2014. Per questi, qualora si tratti di Raee domestici, cioè rifiuti derivanti da pannelli fotovoltaici installati in impianti di potenza nominale inferiore a 10 kW, la responsabilità è a carico dei produttori presenti sul mercato nello stesso anno in cui si verificano i rispettivi costi, in proporzione alla rispettiva quota di mercato, calcolata in base al peso dei pannelli immessi sul mercato nell'anno solare di riferimento; qualora, invece, trattasi di Raee professionali, derivanti da pannelli fotovoltaici installati in impianti di potenza nominale pari o superiore a 10 kW, la responsabilità risulta a carico del produttore nel caso di fornitura di una nuova apparecchiatura elettrica ed elettronica in sostituzione di un prodotto di tipo equivalente ovvero del detentore negli altri casi.

Ai sensi della definizione di “rifiuti derivanti dai pannelli fotovoltaici”, recata dalla lettera qq) dell'art. 4 del citato D.Lgs. 49/2014, infatti, “sono considerati RAEE provenienti dai nuclei domestici i rifiuti originati da pannelli fotovoltaici installati in impianti di potenza nominale inferiore a 10 KW. Detti pannelli vanno conferiti ai «Centri di raccolta» nel raggruppamento n. 4 dell'Allegato 1 del decreto 25 settembre 2007, n. 185; tutti i rifiuti derivanti da pannelli fotovoltaici installati in impianti di potenza nominale superiore o uguale a 10 KW sono considerati RAEE professionali”.

Relativamente al richiamo agli artt. 9 e 10 del D.Lgs. 49/2014, le disposizioni in essi contenute stabiliscono i presupposti e le modalità per l'adesione ai sistemi individuali o collettivi di gestione, per i produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE), per la gestione dei RAEE che derivano dal consumo delle proprie AEE.

L’art. 8, comma 2, del D.Lgs. 49/2014, dispone che “i produttori adempiono ai propri obblighi derivanti dalle disposizioni del presente decreto legislativo mediante sistemi di gestione individuali o collettivi, operanti in modo uniforme sull'intero territorio nazionale”.

In base all’art. 9, i produttori che intendono adempiere ai propri obblighi in forma individuale organizzano un sistema autosufficiente operante in modo uniforme sull'intero territorio nazionale per la gestione dei RAEE che derivano dal consumo delle proprie AEE e ne chiedono il riconoscimento al Ministero dell'ambiente sulla base di un progetto che include un piano di raccolta attestante la predisposizione di un efficiente sistema di restituzione dei RAEE generati dalle proprie AEE oppure la stipula di apposite convenzioni con i soggetti responsabili della raccolta sull'intero territorio nazionale.

In base all’art. 10, i produttori che non adempiono ai propri obblighi mediante un sistema individuale devono aderire a un sistema collettivo organizzato in forma consortile, avente personalità giuridica di diritto privato ed operante sotto la vigilanza del Ministero dell'ambiente che ne approva lo statuto-tipo. Ciascun sistema collettivo deve garantire il ritiro di RAEE dai centri comunali di raccolta su tutto il territorio nazionale secondo le indicazioni del Centro di coordinamento RAEE (che è l'organismo centrale istituito per ottimizzare la raccolta, il ritiro e la gestione dei RAEE da parte dei sistemi collettivi).

 

Si fa notare che l’art. 40, comma 3, del D.Lgs. 49/2014 detta una disciplina transitoria specifica per i rifiuti derivanti dai pannelli fotovoltaici.

Tale disposizione:

- disciplina il finanziamento della gestione dei rifiuti derivanti dai pannelli fotovoltaici immessi sul mercato prima del 12 aprile 2014;

- prevede, limitatamente ai pannelli fotovoltaici immessi sul mercato successivamente al 2 febbraio 2016, per uso domestico o professionale, al fine di una corretta gestione del loro fine vita, i sistemi individuali e collettivi di cui agli articoli 9 e 10, per ciascun nuovo modulo immesso sul mercato, adottano un sistema di garanzia finanziaria e un sistema di geolocalizzazione delle medesime tipologie di quelle richieste dal Gestore dei servizi energetici (GSE) nel disciplinare tecnico adottato nel mese di dicembre 2012, recante "Definizione e verifica dei requisiti dei 'Sistemi o Consorzi per il recupero e riciclo dei moduli fotovoltaici a fine vita' in attuazione delle 'Regole applicative per il riconoscimento delle tariffe incentivanti' (DM 5 maggio 2011 e DM 5 luglio 2012);

- dispone che, per la gestione dei rifiuti prodotti dai pannelli fotovoltaici che beneficiano dei meccanismi incentivanti di cui al D.Lgs. 387/2003 e successivi decreti e delibere attuativi, al fine di garantire il finanziamento delle operazioni di raccolta, trasporto, trattamento adeguato, recupero e smaltimento ambientalmente compatibile dei rifiuti prodotti da tali pannelli, il GSE trattiene dai meccanismi incentivanti negli ultimi dieci anni di diritto all'incentivo una quota finalizzata a garantire la copertura dei costi di gestione dei predetti rifiuti. La somma trattenuta viene restituita al detentore, laddove sia accertato l'avvenuto adempimento agli obblighi previsti dal presente decreto, oppure qualora, a seguito di fornitura di un nuovo pannello, la responsabilità ricada sul produttore. In caso contrario il GSE provvede direttamente, utilizzando gli importi trattenuti.
Viene altresì demandato al GSE di definire il metodo di calcolo della quota da trattenere e le relative modalità operative a garanzia della totale gestione dei rifiuti da pannelli fotovoltaici. In attuazione di tale disposizione il GSE disciplina le “Istruzioni operative per la gestione e lo smaltimento dei pannelli fotovoltaici incentivati”.

 

Si ricorda che nel 2003, a seguito del recepimento, con il decreto legislativo 387/2003 è stato introdotto in Italia il sistema incentivante c.d. “conto energia”.

I privati possono ottenere, su apposita istanza inoltrata al Gestore dei Servizi Energetici (di seguito GSE), di essere ammessi al collegamento alla rete elettrica nazionale provvedendo alla produzione di energia e alla rivendita di eventuali surplus a tariffe agevolate. All'atto dell'autorizzazione, il GSE trattiene una quota del finanziamento erogato per la copertura dei costi di smaltimento dei RAEE fotovoltaici.

Il proprietario dell'impianto fotovoltaico che dia prova di aver effettuato lo smaltimento degli stessi mediante apposita documentazione, avrà diritto alla restituzione della quota trattenuta dal GSE al momento del rilascio dell'autorizzazione.

A partire dal 2005 si sono susseguite le seguenti politiche incentivanti:

•   Il primo conto energia (DM 28/7/2005 modificato dal DM 6/2/2006) si applica agli impianti entrati in esercizio dal 30/9/2005 al 13/4/2007;

•   Il secondo conto energia (DM 19/2/2007) si applica agli impianti entrati in esercizio dal 13/04/07 (data di pubblicazione della Delibera AEEG 90/07) e fino al 31/12/2010;

•   Il terzo conto energia (DM 6/8/2010), con la Delibera AEEG 181/2010, si applica agli impianti entrati in esercizio dal 1/1/2011 fino al 31/5/2011.

•   Il quarto conto energia gli impianti entrati in esercizio fino al 30 giugno 2012 e tutti gli impianti rientranti nel Titolo IV - impianti a concentrazione (DM 5 maggio 2011); Il IV conto energia ha poi previsto, per i responsabili dello smaltimento dei RAEE, la possibilità di aderire a Consorzi di smaltimento.

• Il quinto conto energia (DM 5/7/2012) si applica agli impianti entrati in esercizio dal 27/8/2012 fino al raggiungimento di un costo cumulato di tutti gli incentivi, gravante sulle tariffe dell'energia elettrica, di circa 6,7 miliardi di euro l'anno. Il raggiungimento di questa soglia è stato comunicato dall'Autorità AEEG con Delibera 250/2013.

 

Il comma 2, non modificato durante l'esame al Senato, prevede l’adozione dei decreti delegati di cui al comma 1, previa acquisizione del parere della Conferenza Unificata, su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell'economia e finanze, dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del disegno di legge in esame, poiché la direttiva di cui trattasi è elencata nell’allegato A, i decreti delegati in questione saranno trasmessi anche alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l’espressione del parere dei competenti organi parlamentari.

 

 


 

Articolo 15
(Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2018/850, che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti)

 

L’articolo 15, modificato al Senato, prevede il recepimento della direttiva 2018/850, che modifica la direttiva 1999/31, in materia di discariche di rifiuti, specificando, in particolare, determinati princìpi e criteri direttivi da perseguire nell’esercizio della delega.

 

Princìpi e criteri direttivi (comma 1).

 

Il comma 1 prevede, nell'esercizio della delega per l'attuazione della direttiva (UE) 2018/850, che il Governo sia tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 1, comma 1 della presente legge, i seguenti princìpi e criteri direttivi.

La lettera a) del comma 1 affida al Governo, nell’esercizio della delega, il compito di riformulare il sistema dei criteri di ammissibilità in discarica dei rifiuti, con l’obiettivo:

- di conseguire il rapido adeguamento alle norme dettate dall’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva (UE) 2018/850;

Le disposizioni a cui la norma in esame sembra far riferimento sono quelle dettate in particolare dalla lettera c) del citato paragrafo 4, secondo cui, tra l’altro, “gli Stati membri si adoperano per garantire che, entro il 2030, tutti i rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo, in particolare i rifiuti urbani, non siano ammessi in discarica”, nonché quelle contemplate dalla successiva lettera d), che fissa specifici obiettivi per la collocazione dei rifiuti urbani in discarica, prevedendo, in particolare, che “Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che entro il 2035 la quantità di rifiuti urbani collocati in discarica sia ridotta al 10 %, o a una percentuale inferiore, del totale dei rifiuti urbani prodotti (per peso)”.

- di semplificare il procedimento per la modifica degli allegati tecnici.

 

Si ricorda che, in base al disposto dell’art. 7, comma 5, del D.Lgs. 36/2003, i criteri di ammissione in discarica sono definiti con decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con i Ministri delle attività produttive e della salute, sentita la Conferenza Stato-Regioni. In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.M. 3 agosto 2005, poi sostituito dal D.M. 27 settembre 2010. A sua volta tale decreto è stato modificato e integrato, dal D.M. 24 giugno 2015, al fine precipuo di adeguarne i contenuti alle nuove disposizioni introdotte a livello europeo.

Si fa altresì notare che l’art. 48 della L. 221/2015, c.d. collegato ambientale, ha demandato all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) l’individuazione di criteri tecnici da applicare per stabilire quando il trattamento non è necessario ai fini del collocamento in discarica e che in attuazione di tale disposizione l’ISPRA ha adottato le linee guida n. 145/2016. Al fine di chiarire l’applicabilità di tali linee guida, con la circolare del 21 aprile 2017 il Ministero dell'ambiente ha chiarito che “la vincolatività dei «Criteri tecnici» individuati da ISPRA ai sensi dell’art. 48 della legge n. 221 del 2015 non si dispiega – direttamente ed immediatamente – nei confronti degli operatori del settore, ma soltanto con riguardo al dm previsto dall’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 36/2003. In sintesi, i sopra menzionati «Criteri tecnici», per essere efficaci nell’ordinamento, dovranno essere recepiti mediante il dm di cui alla disposizione citata. Sarà dunque cura del Ministero predisporre una nuova versione del decreto di cui all’art. 7, comma 5, del d.lgs. n. 36/2003, che – tra l’altro – abbia modo di disciplinare, alla luce dei «Criteri tecnici» elaborati da ISPRA, anche il conferimento in discarica di rifiuti non trattati. In quella occasione potrà peraltro essere valutata l’opportunità di predisporre una adeguata normativa transitoria al fine di consentire gli adeguamenti amministrativi e infrastrutturali che si rendessero necessari”.

 

La lettera b) prevede l’adozione di una nuova disciplina organica in tema di utilizzazione dei fanghi - anche mediante una modifica di quella attualmente vigente recata dal D.Lgs. 99/1992 -  che sia finalizzata a garantire il perseguimento degli obiettivi di riduzione del conferimento in discarica (previsti dall’art. 1, paragrafo 4, della direttiva) e che consenta di:

-   adeguare la normativa alle nuove conoscenze tecnico-scientifiche in materia di inquinanti;

-   considerare adeguatamente le pratiche gestionali/operative del settore;

-   disciplinare la possibilità di realizzare nuove forme di gestione innovative finalizzate in particolare al recupero dei nutrienti e del fosforo;

-   garantire la gestione e l'utilizzo dei fanghi in sicurezza per l'uomo e per l'ambiente;

-   prevedere la predisposizione di specifici piani regionali di gestione dei fanghi di depurazione delle acque reflue, all'interno dei piani regionali di gestione dei rifiuti speciali, mirati alla chiusura del ciclo dei fanghi nel rispetto dei principi di prossimità e di autosufficienza.

 

La tematica dell'utilizzo dei fanghi di depurazione è stata oggetto di un intenso dibattito parlamentare. Nella scorsa legislatura, si ricorda che, in Senato, la 13a Commissione ha esaminato uno specifico disegno di legge (Atto Senato n. 2323), non approvato in via definitiva; alla Camera, è stata discussa, presso l’VIII Commissione, una proposta di risoluzione (n. 7-00925) al riguardo. La materia è stata altresì oggetto di una serie di interrogazioni. Si ricorda, al riguardo, la risposta all'interrogazione 4/13953 della XVII legislatura, il Ministro dell'ambiente aveva fornito una ricostruzione della normativa e delle principali criticità in materia. Nella citata risposta, infatti, è stato in particolare sottolineato che il D.Lgs. 99/1992 “oggi appare non adeguato alle più recenti acquisizioni tecnico- scientifiche, soprattutto per quanto attiene alla valutazione degli effetti a lungo termine dell'utilizzo dei fanghi sul suolo” e che è stato avviato sin dal 2000 un processo per l’aggiornamento della normativa citata che potrà portare ad introdurre “ad esempio, il regime dei controlli sulle acque e, se necessario, anche ampliando i limiti di altri inquinanti organici contenuti nei fanghi come ad esempio i residui di farmaci. Coniugando l'esigenza di garantire la sicurezza nell'utilizzo dei fanghi in agricoltura con la necessità di favorire il riciclo della sostanza organica nonché dell'azoto, del fosforo e degli altri nutrienti contenuti nei fanghi, si ridurrà al contempo il ricorso a modalità di gestione quali la discarica o l'incenerimento che presentano impatti elevati dal punto di vista delle emissioni serra”.

Si ricorda inoltre che nel decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109, relativo alle emergenze successive al crollo del ponte Morandi a Genova, con le modifiche introdotte dalla Legge di conversione n. 16 novembre 2018, n. 130, reca all’articolo 41 'Disposizioni urgenti sulla gestione dei fanghi di depurazione'.

Esso, come modificato all’esito dell’iter di conversione e con le modifiche apportate nel corso dell'esame e alla Camera (A.C. 1209), prevede che ai fini dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione valgano i limiti dell’Allegato I B del D.Lgs. 99/1992, fatta eccezione per gli idrocarburi (C10-C40), per i quali il limite da non superare è di 1.000 mg/kg tal quale, stabilito dalla disposizione. Vengono altresì dettate le condizioni al verificarsi delle quali si intende comunque rispettato il citato limite. Nel corso dell’esame presso la Camera dei deputati, sono poi state introdotte ulteriori eccezioni per la presenza di determinate sostanze nei fanghi, per le quali viene indicato dalla norma il limite da non superare (per gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), per le policlorodibenzodiossine e i policlorodibenzofurani (PCDD/PCDF), per i policlorobifenili (PCB), per Toluene, Selenio, Berillio, Arsenico, Cromo totale e Cromo VI, per i quali i limiti la disposizione detta i relativi valori (vale a dire: idrocarburi (C10-C40) ?1.000 (mg/kg tal quale), sommatoria degli IPA elencati nella tabella 1 dell'allegato 5 al titolo V della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ?6 (mg/ kg SS), PCDD/PCDF + PCB DL ?25 (ng WHO-TEQ/kg SS), PCB ?0,8 (mg/kg SS), Toluene ?100 (mg/kg SS), Selenio ?10 (mg/kg SS), Berillio ?2 (mg/kg SS), Arsenico <20 (mg/kg SS), Cromo totale <200 (mg/kg SS) e Cromo VI <2 (mg/kg SS)). Per ciò che concerne i parametri PCDD/PCDF + PCB DL viene richiesto il controllo analitico almeno una volta all'anno. La norma ha previsto che, per il parametro idrocarburi C10-C40, il limite di 1000 mg/kg tal quale si intende comunque rispettato se la ricerca dei marker di cancerogenicità fornisce valori inferiori a quelli definiti ai sensi della nota L, contenuta nell'allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, richiamata nella decisione 955/2014/UE della Commissione del 16 dicembre 2008, come specificato nel parere dell'Istituto superiore di sanità protocollo n. 36565 del 5 luglio 2006, richiamato in disposizione.

In materia di fanghi, è intervenuta la giurisprudenza sia amministrativa sia di Cassazione: si ricorda la sentenza del TAR Lombardia n. 1782 del 20 luglio 2018, che ha ripreso quanto precedentemente affermato dalla Corte di Cassazione (con la sentenza n. 27958 del 6 giugno 2017), ribadendo, in estrema sintesi, che, in mancanza di valori limite per gli idrocarburi nella disciplina dettata dal D.Lgs. 99/1992, viene in soccorso la disciplina più generale prevista dal Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006) e, conseguentemente, i fanghi ad uso agricolo debbono rispettare i limiti previsti dalla tabella 1 dell’allegato 5 al titolo V della parte IV del D.Lgs. 152/2006, ove viene fissato un valore massimo di 50 mg/kg per gli idrocarburi pesanti (C superiore a 12) e di 10 mg/kg per quelli leggeri (C inferiore o uguale a 12), in termini di sostanza secca. La citata pronuncia del TAR annullava gli effetti della deliberazione della Giunta regionale lombarda (n. 7076 dell’11 settembre 2017 e relativo allegato 1) che aveva, tra l’altro, introdotto un limite più alto di 10.000 mg/kg di sostanza secca per gli idrocarburi pesanti.

Per ulteriori approfondimenti, il dossier dei Servizi Studi di Camera e Senato sul decreto-legge c.d. Genova (per la trattazione, in prima lettura A.C. 1209, in seconda lettura A.S. 909).

 

La lettera c) prevede che la normativa delegata provveda ad adeguare al progresso tecnologico i criteri di realizzazione e di chiusura delle discariche favorendo l’evoluzione verso requisiti tecnici di tipo prestazionale.

La relazione illustrativa sottolinea al riguardo che il citato adeguamento dovrebbe consentire di passare “dall’attuale approccio prescrittivo ad un approccio tecnico di tipo prestazionale, al fine di perseguire l’obiettivo della direttiva di ridurre gli impatti negativi sull’ambiente derivanti dall’esercizio di tali impianti. L’idea di base è di definire la prestazione attesa, volta a garantire un determinato comparto ambientale, utilizzando criteri riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale. Il progettista, poi, nella progettazione e, successivamente, nella messa in opera del progetto di discarica troverà la migliore soluzione ingegneristica per garantire l’osservanza del principio di tutela stabilito”.

Si ricorda che l’allegato 1 al D.Lgs. 36/2003 disciplina i “Criteri costruttivi e gestionali degli impianti di discarica”, mentre l’allegato 2 detta disposizioni inerenti ai “Piani di gestione operativa, di ripristino ambientale, di gestione post-operativa, di sorveglianza e controllo, finanziario”. A tali allegati rinvia sia l’art. 9, comma 1, del medesimo decreto, in base al quale ai fini del rilascio dell'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di una discarica devono essere soddisfatte, tra le altre, tutte le prescrizioni dettate dagli allegati 1 e 2, sia, indirettamente, dall’art. 12 che disciplina la “procedura di chiusura”.

 

Durante l’esame al Senato, è stata aggiunta una nuova lettera d), che introduce un nuovo criterio di delega, al fine di definire le modalità, i criteri generali e gli obbiettivi progressivi per il raggiungimento dei target fissati dalla Direttiva (UE) 2018/850, in termini di percentuali massime di rifiuti urbani conferibili in discarica. Si prevede che tale definizione avvenga anche in coordinamento con le Regioni.

 

Modalità di emanazione dei decreti delegati (comma 2)

 

Il comma 2 prevede che i decreti delegati di cui al comma 1 siano adottati:

-   previa acquisizione del parere della Conferenza Stato-Regioni e province autonome;

-   su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dell’ambiente, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell'economia e finanze, delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo e della salute.


 

Articolo 16
(Principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2018/851, che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e della direttiva (UE) 2018/852, che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio)

 

 

L’articolo 16, modificato durante l'esame al Senato, concerne l’attuazione della direttiva (UE) 2018/851 e della direttiva (UE) 2018/852 in materia, rispettivamente, di rifiuti e di imballaggi e rifiuti di imballaggio, nonché disposizioni volte a disciplinare le procedure di emanazione dei decreti delegati, i quali avranno un significativo impatto sulla normativa italiana vigente, con particolare riferimento al codice dell’ambiente (d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152). La disposizione reca una molteplicità di princìpi e criteri direttivi specifici.

Tra le modifiche approvate durante l'esame al Senato si segnala, in particolare, la completa riscrittura della lett. e) inerente alla riforma della disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste).

Criteri specifici di delega (comma 1)

Riforma del sistema di responsabilità estesa del produttore (lett. a))

La lettera a) prevede, quale criterio di delega, la riforma del sistema di responsabilità estesa del produttore (EPR[18]), in attuazione dell’art. 1 della c.d. direttiva rifiuti (dir. 2018/851/UE) e dell’art. 1 della c.d. direttiva imballaggi (dir. 2018/852/UE), nel rispetto di una serie di ulteriori sotto-criteri.

Con le citate disposizioni è stata modificata e integrata la disciplina europea vigente sulla responsabilità estesa del produttore (e recepita nell’ordinamento nazionale con l’art. 178-bis del D.Lgs. 152/2006), per la quale è stata inoltre introdotta una definizione normativa dall’art. 1, paragrafo 1, punto 3), lettera h), della direttiva 2018/851/UE.

Secondo tale definizione, per «regime di responsabilità estesa del produttore» si intende “una serie di misure adottate dagli Stati membri volte ad assicurare che ai produttori di prodotti spetti la responsabilità finanziaria o la responsabilità finanziaria e organizzativa della gestione della fase del ciclo di vita in cui il prodotto diventa un rifiuto”.

La relazione illustrativa, in estrema sintesi, individua l’EPR come “quel principio in base al quale il produttore di un dato manufatto non può disinteressarsi, ma al contrario deve occuparsi, anche del fine vita di tale prodotto. In particolare, i nuovi criteri stabiliti dalla revisione europea riguardano la trasparenza, l’efficacia e l’economicità dei sistemi che operano attraverso una responsabilità estesa del produttore, nonché la responsabilità finanziaria o finanziaria/organizzativa dei produttori e la copertura integrale dei costi di gestione dei rifiuti da parte degli stessi”.

Con i paragrafi 8 e 9 della citata disposizione della “direttiva rifiuti”, la finalità principale perseguita risulta essere quella di prevedere e disciplinare l’applicazione di requisiti minimi generali in materia di responsabilità estesa del produttore, contenuti nel nuovo art. 8-bis della direttiva 2008/98/CE (introdotto dall’art. 1, paragrafo 1, punto 9), della direttiva 2018/851/UE).

 

La principale novità recata dalle disposizioni (paragrafi 8 e 9) della “direttiva imballaggi”, in tema di responsabilità estesa del produttore è di imporre agli Stati membri di garantire che “entro il 31 dicembre 2024, siano stabiliti regimi di responsabilità estesa del produttore per tutti gli imballaggi, conformemente” alle disposizioni sulla responsabilità estesa dettate dagli articoli 8 e 8-bis della direttiva 2008/98/CE, come risultanti per effetto delle modifiche operate dalla “direttiva rifiuti” 2018/851/UE (nuovo paragrafo 2 dell’art. 7 della direttiva 94/62/CE, come riscritto dal paragrafo 8).

 

I sotto-criteri informatori della riforma del sistema di responsabilità estesa del produttore, dettati dai numeri da 1) a 8) della lettera in esame, prevedono che nell’esercizio della delega si deve procedere:

1)     al riordino dei principi generali di riferimento, che deve avvenire nel rispetto degli obiettivi ambientali, della tutela della concorrenza, nonché del ruolo degli enti locali;

2)     a definire i modelli ammissibili di responsabilità estesa per i sistemi di gestione delle diverse filiere, nonché procedure omogenee per il riconoscimento;

3)     a prevedere l’introduzione di una disciplina sanzionatoria, con sanzioni che si devono riferire a ogni soggetto obbligato della filiera;

4)     a definire la natura del contributo ambientale, l'ambito di applicazione e modalità di determinazione in relazione alla copertura dei costi e prevedere adeguati sistemi di garanzia;

5)     a promuovere, nel rispetto del principio di concorrenza, l'accesso alle infrastrutture di raccolta differenziata e selezione da parte dei sistemi di responsabilità estesa autorizzati, in condizioni di parità tra loro, nonché ad estendere l'obbligo di raccolta all'intero anno di riferimento, indipendentemente dall'intervenuto conseguimento dell'obiettivo fissato;

6)     a prevedere, nell'ambito della responsabilità estesa, l'obbligo di sviluppare attività di comunicazione e di informazione ai fini della promozione e dello sviluppo delle attività di riutilizzo e di recupero dei rifiuti (punto 6). Nel corso dell’esame al Senato, tale criterio è stato integrato al fine di precisare che:
- le attività di comunicazione e di informazione devono essere univoche, chiare e immediate;
- lo sviluppo di tali attività deve essere finalizzato alla promozione e allo sviluppo non solo delle attività di riutilizzo e di recupero dei rifiuti, ma anche delle attività di raccolta differenziata;

7)     a disciplinare le attività di vigilanza e controllo sui sistemi di gestione;

8)     a prevedere sanzioni proporzionate in relazione agli obiettivi di riciclo definiti a livello nazionale e dell’Unione europea.

 

Riforma del sistema di tracciabilità informatica dei rifiuti (lett. b)

Il criterio di delega di cui alla lettera b) prevede una riforma del sistema di tracciabilità informatica dei rifiuti che assolva ad una serie di funzioni indicate.

Una prima funzione (indicata nel n. 1) della lettera in esame) è quella di consentire, anche attraverso l’istituzione di un Registro elettronico su base nazionale - con costi a carico degli operatori-, la trasmissione, da parte degli enti e delle imprese che producono, trasportano e gestiscono rifiuti a titolo professionale, dei dati ambientali inerenti alle quantità, alla natura e all’origine di rifiuti prodotti e gestiti, nonché dei materiali ottenuti dalle operazioni di preparazione per il riutilizzo, di riciclaggio e da altre operazioni di recupero, nonché dei dati relativi alle autorizzazioni.

Ulteriori funzioni sono, ai sensi del sotto-criterio di cui al n. 2) della lettera b), volte a garantire l’omogeneità e la fruibilità dei dati, mediante specifiche procedure per la tenuta in formato digitale dei registri di carico e scarico, dei formulari di trasporto e del catasto dei rifiuti, per la trasmissione dei relativi dati al Registro nazionale, anche al fine di conseguire una maggiore efficacia delle attività di controllo.

Viene altresì prevista, dal n. 3), l’ulteriore funzione di agevolare l'adozione di politiche di sviluppo e di analisi per migliorare le strategie di economia circolare e l'individuazione dei fabbisogni di impianti collegati alla gestione dei rifiuti.

Durante l'esame al Senato tale disposizione è stata modificata al fine di precisare che le analisi a cui si fa riferimento non sono solamente quelle economiche (come previsto dal testo approvato dalla Camera in prima lettura) ma anche quelle di sostenibilità ambientale.

 

Ulteriori funzioni, previste dalla lettera in esame, riguardano il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione degli oneri amministrativi e burocratici a carico delle imprese in un’ottica di semplificazione e proporzionalità (n. 4)), nonché quelle di garantire l'acquisizione dei dati relativi alle autorizzazioni in materia di gestione dei rifiuti nel Registro elettronico nazionale (n. 5)), di procedere alla revisione del sistema sanzionatorio relativo agli adempimenti di tracciabilità, secondo criteri di adeguatezza e di proporzionalità in funzione dell'attività svolta, della pericolosità dei rifiuti e delle dimensioni dell'impresa (n. 6)) e di garantire l'accesso al registro elettronico in tempo reale da parte di tutte le autorità preposte ai controlli.

 

Nella relazione illustrativa allegata al testo iniziale del disegno di legge (A.C. 1201) si sottolinea che, sotto il profilo economico, la realizzazione di un sistema incentrato su una banca dati unica a livello nazionale, coordinata a livello centrale, è destinata a produrre significativi risparmi di spesa per l’Amministrazione centrale e per l’utenza.

Il criterio di delega dettato dalla lettera in esame sembra nella sostanza finalizzato a superare e ampliare il sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), in linea con il dettato del nuovo paragrafo 4 dell’art. 35 della direttiva 2008/98/CE (introdotto dalla direttiva 2018/851/UE) che prevede che “Gli Stati membri istituiscono un registro elettronico o registri coordinati su cui riportare i dati riguardanti i rifiuti pericolosi” e che consente, agli stessi Stati membri, di “istituire tali registri per altri flussi di rifiuti, in particolare quelli per i quali sono stati fissati obiettivi negli atti legislativi dell’Unione”.

Di analogo tenore la disposizione introdotta dalla direttiva 2018/852/UE (paragrafo 3 del nuovo articolo 6-bis della direttiva 94/62/CE), secondo cui “Gli Stati membri stabiliscono un efficace sistema di controllo della qualità e di tracciabilità dei rifiuti di imballaggio” che “può consistere in registri elettronici allestiti ai sensi dell'articolo 35, paragrafo 4, della direttiva 2008/98/CE”.

 

Si fa notare che l’articolo 6 del D.L. 135/2018 (convertito dalla legge 11 febbraio 2019, n. 12) ha previsto la soppressione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI, codificato negli articoli 188-bis e 188-ter del Codice dell'ambiente) a decorrere dal 1° gennaio 2019 e – fino alla piena operatività di un nuovo sistema di tracciabilità organizzato e gestito direttamente dal Ministero dell’ambiente (istituito e disciplinato dai commi da 3 a 3-sexies del medesimo articolo) – ha disposto l’applicazione dei meccanismi di tracciabilità tradizionali (registri di carico e scarico, formulari di trasporto e MUD).

La disciplina del nuovo sistema (tracciata nei citati commi da 3 a 3-sexies) prevede l’istituzione di un Registro elettronico nazionale per la tracciabilità dei rifiuti (gestito direttamente dal Ministero dell'ambiente), le cui modalità di organizzazione e funzionamento sono demandate ad un apposito decreto ministeriale.

In base al comma 3-bis tale decreto, ad oggi non ancora adottato, dovrà essere emanato dal Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per la pubblica amministrazione e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, nonché per gli aspetti di competenza il Ministro della difesa.

 

Riforma delle definizioni e delle classificazioni (lett. c))

La lettera c) prevede, quale criterio specifico di delega, la riforma del sistema delle definizioni e delle classificazioni (attualmente riportate negli articoli 183, 184 e 218 del D.Lgs. 152/2006), in attuazione delle nuove disposizioni dettate dalle direttive (art. 1, n. 3, della direttiva 2018/851/UE e art. 1, n.2, della direttiva 2018/852/UE). La medesima lettera prevede altresì la modifica della disciplina dell’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani in modo tale da garantire uniformità sul piano nazionale.

L’esigenza di uniformità è stata sottolineata, tra l'altro, alla Camera nella risposta (fornita nella seduta del 23 marzo 2018) all’interrogazione 4-16852, ove si legge che “il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, fin dal mese di giugno 2016 ha avviato l’iter istruttorio concernente la definizione del decreto relativo alla definizione di criteri qualitativi e quali-quantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, ai sensi dell'articolo 195, comma 2, lettera e), del decreto legislativo n. 152 del 2006. L'istruttoria si è svolta mediante lo studio di un campione rappresentativo dei regolamenti comunali che disciplinano la materia e dal quale è emersa l'assoluta disomogeneità degli stessi, di qui la necessità di individuare criteri applicabili nell'ambito dell'intero territorio nazionale”. Nella stessa risposta si legge che lo schema è in una fase di elaborazione pressoché definitiva e “prevede criteri quantitativi e qualitativi omogenei e verificabili su tutto il territorio nazionale”.

 

Riforma del sistema tariffario (lett. d))

Il criterio di cui alla lettera d) prevede la razionalizzazione e la disciplina del sistema tariffario, al fine di incoraggiare l’applicazione della gerarchia dei rifiuti, in linea con quanto previsto dalla direttiva rifiuti, e garantire il perseguimento degli obiettivi fissati dalla direttiva in tema di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio dei rifiuti.

In proposito la lettera in esame richiama, infatti, le nuove disposizioni sulla gerarchia dei rifiuti (introdotte dalla direttiva 2018/851/UE) dell’art. 4, paragrafo 3, e dell’allegato IV-bis della direttiva 2008/98/CE, nonché gli obiettivi fissati dall’art. 1, n. 12, della stessa direttiva.

 

L’art. 4, paragrafo 3, della direttiva 2008/98/CE dispone che “Gli Stati membri ricorrono a strumenti economici e ad altre misure per incentivare l'applicazione della gerarchia dei rifiuti, come quelli di cui all'allegato IV-bis o altri strumenti e misure appropriati”. Tale allegato contiene infatti alcuni esempi di strumenti economici e altre misure per incentivare l'applicazione della gerarchia dei rifiuti.

L’art. 1, paragrafo 1, punto 12), della direttiva 2018/851/UE prevede, in particolare, i seguenti obiettivi aggiuntivi per la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti urbani, che dovranno essere aumentati, in peso: almeno al 55% entro il 2025, almeno al 60% entro il 2030 ed almeno al 65% entro il 2035.

Vengono inoltre fornite le seguenti indicazioni da rispettare:

1) prevenire la formazione dei rifiuti, incentivando comunque una gestione più oculata degli stessi da parte degli utenti;

2) individuare uno o più sistemi di misurazione puntuale e/o presuntiva dei rifiuti prodotti che consentano la definizione di una tariffa correlata al principio “chi inquina paga”;

3) riformare il tributo per il conferimento in discarica previsto, in favore delle regioni, dall’art. 3, commi 24 e seguenti, della L. 549/1995.

Con riferimento ai primi due punti, nella relazione illustrativa viene ricordato che “gli studi condotti sulle misure economiche per incentivare l’applicazione della gerarchia dei rifiuti (…) hanno evidenziato che c’è una significativa correlazione tra i quantitativi di rifiuti conferiti e l’ammontare del corrispettivo/tributo pagato per l’erogazione del servizio”. Riguardo al tributo per il conferimento in discarica (anche noto come “ecotassa”), la relazione illustrativa sottolinea che l’introduzione del tributo rispondeva “ad obiettivi ambientali tesi a favorire la riduzione della produzione dei rifiuti, il riciclo e il recupero degli stessi. Tuttavia, l’evoluzione della normativa ambientale succedutasi nel tempo, con l’introduzione di nuovi obiettivi di raccolta differenziata e di riciclo o con l’introduzione dell’obbligo preventivo di trattamento del rifiuto indifferenziato prima del conferimento in discarica, rendono necessaria una revisione delle aliquote e dei criteri di fondo da applicare a tale strumento economico di politica ambientale”.

 

Riforma della disciplina “end of waste” (lett. e))

La lettera e), che interviene in materia di cessazione della qualifica di rifiuto (in attuazione delle nuove disposizioni in materia dettate dalla direttiva 2018/851/UE, che ha modificato le norme europee già contenute nell’art. 6 della direttiva 2008/98/CE), è stata interamente riscritta durante l'esame al Senato.

Tralasciando la modifica di carattere formale contenuta nella parte iniziale della norma (che corregge il riferimento all’articolo 1, numero 6), della direttiva (UE) 2018/851, con quello più appropriato all’art. 6 della direttiva 2008/98/CE, come modificato dal citato numero 6)), il nuovo testo prevede che, nell’operare la riforma in questione:

1)       siano fatte salve le autorizzazioni in essere alla data di entrata in vigore del decreto legislativo attuativo della disciplina di cui alla lettera in parola; si prevede altresì per le stesse la possibilità di rinnovo, eventualmente anche al fine dell'adeguamento alle migliori tecnologie disponibili (BAT), unitamente alle autorizzazioni per le quali sia stata presentata l'istanza di rinnovo alla stessa data. Tale regime transitorio opera, secondo la norma in esame, nelle more dell'adozione dei decreti e nel rispetto dei criteri generali di cui all'art. 184-ter del D.Lgs. 152/2006, nonché nel rispetto delle condizioni di cui all'articolo 6 della direttiva 2008/98/CE, come modificato dalla direttiva (UE) 2018/851;

2)       si provveda all’istituzione presso il Ministero dell’ambiente, di un registro nazionale deputato alla raccolta delle autorizzazioni rilasciate ai sensi degli articoli 208, 209 e 211 e di quelle di cui al titolo III-bis della parte seconda del D.Lgs. 152/2006.

Si tratta delle autorizzazioni per gli impianti di trattamento rifiuti contemplate dagli artt. 208, 209 e 211 del D.Lgs. 152/2006, così come le AIA relative ad impianti di gestione dei rifiuti (disciplinate dal Titolo III-bis, parte seconda, del medesimo decreto, di competenza delle Regioni.

Si fa notare che la disposizione in esame appare finalizzata a rendere operativo il disposto del nuovo testo del paragrafo 4 dell’art. 6 della direttiva 2008/98/CE, che concede agli Stati membri la facoltà di rendere pubbliche tramite strumenti elettronici le informazioni sulle decisioni adottate caso per caso (v. infra).

 

 

Le discipline nazionale e europea vigenti in materia di end of waste

 

La disciplina nazionale dell’end of waste, contenuta nell’art. 184-ter del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006) dispone, in linea con quella europea dettata dall’art. 6 della direttiva 2008/98/CE, che un rifiuto cessa di essere tale quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfa criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni:

- la sostanza o l'oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;

- esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

- la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

- l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana.

Tali condizioni ripropongono quelle previste dall’art. 6 della direttiva 2008/98/CE. L’unica differenza deriva da una riscrittura della prima condizione, operata dalla direttiva 2018/851, che nel nuovo testo prevede che “la sostanza o l'oggetto è destinata/o a essere utilizzata/o per scopi specifici”.

 

Vale la pena richiamare il disposto del paragrafo 2 dell’art. 6 della direttiva 2008/98/CE, come riscritto dalla direttiva 2018/851/UE. In base a tale disposizione, la Commissione “monitora l'evoluzione dei criteri nazionali per la cessazione della qualifica di rifiuto negli Stati membri e valuta la necessità di sviluppare a livello di Unione criteri su tale base. A tale fine e ove appropriato, la Commissione adotta atti di esecuzione per stabilire i criteri dettagliati sull'applicazione uniforme delle condizioni di cui al paragrafo 1 a determinati tipi di rifiuti. Tali criteri dettagliati garantiscono un elevato livello di protezione dell'ambiente e della salute umana e agevolano l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali. Essi includono:

a) materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell'operazione di recupero;

b) processi e tecniche di trattamento consentiti;

c) criteri di qualità per i materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall'operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario;

d) requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo della qualità, l'automonitoraggio e l'accreditamento, se del caso; e

e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformità”.

 

I successivi paragrafi 3 e 4 disciplinano il caso in cui non esistano criteri comunitari. In base al paragrafo 3, in tal caso, gli Stati membri possono stabilire criteri dettagliati sull'applicazione delle condizioni di cui al paragrafo 1 a determinati tipi di rifiuti, che soddisfano i requisiti di cui al paragrafo 2, lettere da a) a e). Per tali criteri è previsto l’obbligo di notifica alla Commissione europea.

Il paragrafo 4 prevede che, qualora non siano stati stabiliti criteri né a livello di Unione né a livello nazionale, gli Stati membri possono decidere caso per caso o adottare misure appropriate al fine di verificare che determinati rifiuti abbiano cessato di essere tali in base alle condizioni di cui al paragrafo 1, rispecchiando, ove necessario, i requisiti di cui al paragrafo 2, lettere da a) a e).

Tali decisioni adottate caso per caso non devono essere notificate alla Commissione. Tuttavia gli Stati membri possono rendere pubbliche tramite strumenti elettronici le informazioni sulle decisioni adottate caso per caso e sui risultati della verifica eseguita dalle autorità competenti.

 

Il comma 2 dell’art. 184-ter dispone che i criteri specifici di cui al comma 1 (del medesimo articolo) sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero "in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare".

In attuazione di tale disposizione sono stati emanati tre soli regolamenti end of waste: il D.M. 14 febbraio 2013, n. 22 (che disciplina la cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari - CSS), il D.M. 28 marzo 2018, n. 69 (che disciplina la cessazione della qualifica di rifiuto di conglomerato bituminoso) e il D.M. 15 maggio 2019, n. 62 (che disciplina la cessazione della qualifica di rifiuto da prodotti assorbenti per la persona - PAP).

Il nuovo testo del comma 3 (in vigore dal 18 giugno 2019, in virtù della sua riscrittura ad opera dell’art. 1, comma 19, del D.L. 32/2019) prevede che, nelle more dell’emanazione di criteri end of waste:

- la disciplina transitoria a cui faceva riferimento il testo previgente (vale a dire le disposizioni di cui ai decreti del Ministro dell'ambiente datati 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269) continua ad applicarsi in relazione alle procedure semplificate per il recupero dei rifiuti;

- il rilascio delle autorizzazioni per gli impianti di trattamento rifiuti (di cui agli articoli 208, 209, 211 e di cui al Titolo III-bis, parte seconda, del D.Lgs. 152/2006) avviene, da parte delle regioni, sulla base dei criteri indicati negli allegati dei succitati decreti ministeriali (in particolare, nell'allegato 1, suballegato 1, al D.M. 5 febbraio 1998; nell’allegato 1, suballegato 1, al D.M. 161/2012; nonché nell’allegato 1 al D.M. 269/2005) per i parametri ivi indicati relativi a tipologia, provenienza e caratteristiche dei rifiuti, attività di recupero e caratteristiche di quanto ottenuto da tale attività.

Il comma 3 consente altresì l’emanazione, da parte del Ministro dell'ambiente, di linee guida per l'uniforme applicazione della disposizione sul territorio nazionale. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore di tali linee guida, i titolari delle autorizzazioni rilasciate successivamente al 18 giugno 2019 presentano alle autorità competenti apposita istanza di aggiornamento ai criteri generali definiti dalle linee guida medesime.

 

 

Si fa notare che le disposizioni recate dal nuovo testo della lettera e) non sono confrontabili con le norme previste dal testo approvato in prima lettura dalla Camera, ove si prevedevano invece le seguenti indicazioni:

1) chiarire, tra l’altro, nell’ambito delle operazioni di recupero/riciclo, quando tali processi comportano una cessazione della qualifica di rifiuto;

2) definire criteri generali al fine di armonizzare, sul territorio nazionale, la cessazione della qualifica di rifiuto “caso per caso”.

3) ridisciplinare le operazioni di recupero inerenti alle tipologie di rifiuto regolate dal D.M. 5 febbraio 1998, in modo da garantire maggiore uniformità di applicazione nell’ambito di differenti procedimenti autorizzatori;

4) semplificare le procedure di adozione dei criteri di cessazione della qualifica di rifiuto a livello nazionale.

 

 

Promozione del mercato di beni riciclati e dello scambio di beni riutilizzabili (lett. f))

La lettera f) prevede che i decreti delegati, al fine di garantire la gerarchia dei rifiuti, siano finalizzati anche a prevedere e agevolare l'applicazione di appositi strumenti e misure per promuovere il mercato di prodotti e materiali riciclati e lo scambio di beni riutilizzabili.

Si tratta di un tema che è oggetto di alcune proposte di legge presentate nella presente legislatura (C. 56 e abbinate) delle quali le Commissioni riunite VIII e X hanno iniziato l’esame nella seduta del 27 settembre 2018.

 

Miglioramento della qualità dei rifiuti organici raccolti e trattati, nonché dei processi di gestione (lett. g))

Al fine di garantire il raggiungimento dei nuovi obiettivi in materia di raccolta e riciclo dei rifiuti urbani, nonché di attuare la nuova disciplina europea dei rifiuti organici (introdotta dall’art. 1, paragrafo 19, della direttiva 2018/851/UE), la lettera g) prevede che i decreti delegati introducano misure atte a favorire:

-   la qualità dei rifiuti organici raccolti e in ingresso agli impianti di trattamento; nonché che gli stessi, entro il 31 dicembre 2020, siano raccolti in modo differenziato su tutto il territorio nazionale;

-   l’implementazione di sistemi di controllo della qualità dei processi di compostaggio e di digestione anaerobica, predisponendo anche sistemi di promozione e di sostegno per lo sviluppo della raccolta differenziata e del riciclo dei rifiuti organici, anche attraverso l’organizzazione di idonei sistemi di gestione dei rifiuti e l’attuazione delle previsioni dell’art. 35, comma 2, del D.L. 133/2014.

 

Durante l'esame al Senato la norma in esame è stata integrata al fine di fare riferimento anche all’incentivazione di pratiche di compostaggio di prossimità come quello domestico e di comunità, tra gli strumenti indicati dalla norma per la promozione ed il sostegno allo sviluppo della raccolta differenziata e del riciclo dei rifiuti organici.

Disposizioni in materia di compostaggio domestico e di comunità sono state introdotte dalla legge n. 221/2015.

In particolare, l’art. 37 contiene disposizioni finalizzate ad incentivare il compostaggio aerobico, sia individuale che di comunità, tramite l'applicazione di una riduzione della tassa sui rifiuti per le utenze domestiche e non domestiche (attività agricole e vivaistiche) che effettuano il compostaggio aerobico individuale, nonché attraverso la semplificazione del regime di autorizzazione degli impianti dedicati al c.d. compostaggio di comunità di rifiuti biodegradabili derivanti da attività agricole e vivaistiche o da cucine, mense, mercati, giardini o parchi, che hanno una capacità di trattamento non eccedente 80 tonnellate annue.

L'articolo 38 prevede l'incentivazione delle pratiche di compostaggio di rifiuti organici effettuate sul luogo stesso di produzione, come l'autocompostaggio e il compostaggio di comunità, e consente ai comuni di applicare riduzioni della tassa sui rifiuti (TARI). Lo stesso comma prevede l'emanazione di un decreto interministeriale volto a stabilire i criteri operativi e le procedure autorizzative semplificate per il compostaggio di comunità di rifiuti organici. Viene altresì introdotta nel testo del c.d. Codice ambientale (D.Lgs. 152/2006) la definizione di "compostaggio di comunità" ed estesa alle utenze non domestiche la nozione di autocompostaggio.

In attuazione delle citate disposizioni è stato emanato, con il D.M. Ambiente 29 dicembre 2016, n. 266, il regolamento recante i criteri operativi e le procedure autorizzative semplificate per il compostaggio di comunità di rifiuti organici (G.U. n. 45 del 23 febbraio 2017).

 

 

Relativamente al succitato art. 35 del D.L. 133/2014 (c.d. decreto-legge Sblocca Italia), si ricorda che il comma 2 di tale articolo contiene disposizioni finalizzate ad una ricognizione degli impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani (FORSU). In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.P.C.M. 7 marzo 2016, recante “Misure per la realizzazione di un sistema adeguato e integrato di gestione della frazione organica dei rifiuti urbani, ricognizione dell'offerta esistente ed individuazione del fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica di rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, articolato per regioni”.

 

Il nuovo articolo 22 della direttiva 2008/98/CE (risultante dalla riscrittura operata dal succitato paragrafo 19) della direttiva 2018/851/UE) prevede, tra l’altro, che gli Stati membri, entro il 31 dicembre 2023, assicurino che i rifiuti organici siano differenziati e riciclati alla fonte o siano raccolti in modo differenziato e non miscelati con altri tipi di rifiuti. Lo stesso articolo prevede che gli Stati membri adottino misure volte a: incoraggiare il riciclaggio, ivi compreso il compostaggio e la digestione, dei rifiuti organici, in modo da rispettare un livello elevato di protezione dell'ambiente e che dia luogo a un output che soddisfi pertinenti standard di elevata qualità; incoraggiare il compostaggio domestico; e promuovere l'utilizzo dei materiali ottenuti dai rifiuti organici.

Nella relazione illustrativa, come anche nel criterio di cui alla lettera g), viene sottolineato che è “necessario istituire un sistema di certificazione del processo di trattamento dei rifiuti organici per garantire la qualità in tutte le fasi del processo. Infine, è necessario prevedere standard adeguati sulle caratteristiche qualitative dei rifiuti organici che possono essere ammessi al trattamento di riciclaggio, al fine di garantire la qualità del processo e dei prodotti ottenuti”.”

 

Rifiuti assimilabili ai rifiuti organici (lett. h))

Il criterio di delega di cui alla lettera h) prevede che i rifiuti aventi analoghe proprietà di biodegradabilità e compostabilità, che rispettano gli standard europei per gli imballaggi recuperabili mediante compostaggio e biodegradazione, siano raccolti insieme ai rifiuti organici, assicurando la tracciabilità di tali flussi e dei rispettivi dati, al fine di computare il relativo riciclo organico negli obiettivi nazionali di riciclaggio dei rifiuti urbani e dei rifiuti di imballaggi.

Riforma della disciplina della prevenzione della produzione dei rifiuti (lett. i))

Nel prevedere la riforma della disciplina della prevenzione della produzione dei rifiuti in attuazione delle disposizioni dettate dalle nuove direttive sui rifiuti e sugli imballaggi (n. 2018/851 e n. 2018/852), la lettera i) fissa come criterio specifico di delega quello di disciplinare anche:

- la modalità di raccolta dei rifiuti dispersi in ambiente marino e lacuale, e la gestione degli stessi una volta a terra;

La relazione illustrativa evidenzia che la normativa vigente è carente su tale punto ed auspica quindi l’inserimento, nella disciplina nazionale, di uno specifico articolo dedicato ai rifiuti dispersi nell’ambiente marino.

Si fa notare che tale materia è oggetto del disegno di legge n. 1939 (c.d. salva mare) e proposte abbinate, all’esame della Commissione VIII (Ambiente) della Camera.

- le attività di riutilizzo considerandole un’attività non oggetto di autorizzazione ambientale e definendo opportuni metodi di misurazione dei flussi.

La relazione illustrativa sottolinea che per favorire la prevenzione dei rifiuti sarà necessario prevedere una disciplina delle attività di riutilizzo dei prodotti che esuli dalle autorizzazioni ambientali, non essendo a questa fattispecie applicabile la normativa rifiuti. Tali semplificazioni dovranno, comunque, garantire un adeguato sistema di contabilizzazione dei flussi in ingresso in tali attività economiche.

 

Riordino dell’elenco dei rifiuti (lett. l))

La lettera l) prevede, quale criterio specifico di delega, che il riordino dell’elenco dei rifiuti e delle caratteristiche di pericolo (che deve essere effettuato in attuazione delle norme dettate in materia dalla direttiva 2018/851/UE) avvenga anche provvedendo all’adeguamento al regolamento (UE) n. 1357/2014 e alla decisione 2014/955/UE.

Come ricordato anche dalla relazione illustrativa, in data 18 dicembre 2014 la Commissione europea ha adottato:

- il regolamento (UE) n. 1357/2014 che ha sostituito l'allegato III (relativo alle caratteristiche di pericolo per i rifiuti) della direttiva 2008/98/CE (recepito nell'ordinamento nazionale dall'allegato I alla parte IV del D.Lgs. 152/2006);

- e la decisione 2014/955/UE, la quale ha modificato la decisione 2000/532/CE relativa all'elenco europeo dei rifiuti (recepito nell'ordinamento nazionale dall'allegato D alla parte IV del D.Lgs. 152/2006) provvedendo, in particolare, alla riscrittura di tale elenco.

Tali disposizioni europee, essendo contenute in atti che hanno diretta applicazione nell'ordinamento nazionale, sono entrate in vigore alla data prevista negli atti citati, vale a dire il 1° giugno 2015 (le modifiche operate dal regolamento (UE) n. 2017/997 invece, per quanto disposto dall'art. 2 del medesimo provvedimento, a decorrere dal 5 luglio 2018).

Prima dell'entrata in vigore delle predette disposizioni europee, con il D.L. 91/2014 (lettera b-bis) del comma 5 dell'art. 13) è stata inserita, all'inizio dell'allegato D alla parte quarta del D.Lgs. 152/2006, una premessa (articolata in sette paragrafi, numerati da 1) a 7)) che ha introdotto ulteriori disposizioni sulla classificazione dei rifiuti e sulle modalità per stabilire la pericolosità del rifiuto, entrate in vigore (per espressa previsione del comma 5-bis dell'art. 13 del medesimo decreto-legge) decorsi centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, ossia a far data dal 18 febbraio 2015.

Poiché l'introduzione di tali disposizioni ha suscitato una serie di problemi applicativi e di compatibilità con la normativa europea, le stesse sono state soppresse dall'art. 9 del D.L. 91/2017 e sostituite da un semplice richiamo alle predette regole europee.

 

Si ricorda che con la Comunicazione della Commissione (2018/C 124/01) intitolata “Orientamenti tecnici sulla classificazione dei rifiuti”, sono stati forniti orientamenti tecnici su alcuni aspetti del testo vigente della direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti («direttiva quadro sui rifiuti») e della decisione 2000/532/CE della Commissione relativa all'elenco dei rifiuti («elenco dei rifiuti»).

 

Razionalizzazione delle funzioni dello Stato e degli enti territoriali e del loro riparto (lett. m))

La lettera m), in considerazione delle numerose innovazioni al sistema di gestione dei rifiuti rese necessarie dal recepimento delle direttive europee, prevede quale criterio di delega una razionalizzazione complessiva del sistema delle funzioni dello Stato e degli enti territoriali e del loro riparto, nel rispetto di una lunga serie di indicazioni che, in estrema sintesi, sono volte a perseguire la semplificazione dei procedimenti amministrativi (punto 1) e a garantire il rispetto del principio di leale collaborazione (punto 3).

Ulteriori indicazioni riguardano l’espletamento dei compiti di vigilanza e controllo e la previsione di adeguati poteri sostitutivi (punto 9), il rispetto delle competenze delle autonomie speciali (punto 10) nonché la necessità di fare chiarezza su quali funzioni siano normative e quali non normative e sul regime giuridico degli atti attuativi (punti 2 e 4).

Indicazioni ancora più articolate sono finalizzate a fissare criteri specifici per l’attribuzione delle funzioni allo Stato, alle Regioni, alle Province e alle Città metropolitane, nonché ai Comuni (punti 5-8).

Si tratta di criteri di delega che paiono orientati ad una riscrittura integrale degli articoli 195-198 che costituiscono il capo II (Competenze) del titolo I della parte IV (dedicata alla gestione dei rifiuti) del D.Lgs. 152/2006.

Con riferimento alle competenze statali, viene in particolare prevista l’attribuzione allo Stato della fissazione di standard, criteri minimi o criteri di calcolo, che devono essere necessariamente uniformi su tutto il territorio nazionale, anche in riferimento alla raccolta differenziata dei rifiuti (numero 5.2). In tale ambito, tali standard uniformi devono essere previsti anche in riferimento ai sistemi di misurazione puntuale e presuntiva dei rifiuti prodotti.

Si prevede, inoltre, l’istituzione di una funzione di pianificazione nazionale della gestione dei rifiuti, anche con efficacia conformativa di quella regionale, con la individuazione di obiettivi, flussi, criteri, nonché di casi in cui promuovere la realizzazione di gestioni interregionali (punto 5.4). Anche la funzione di monitoraggio e verifica dei contenuti dei piani regionali nonché della loro attuazione viene attribuita allo Stato (punto 5.5).

Tra le disposizioni vigenti, l’unica disposizione che sembra incidere sui piani regionali è quella di cui alla lettera m) dell’art. 195 del D.Lgs. 152/2006 che affida allo Stato “la determinazione di criteri generali, differenziati per i rifiuti urbani e per i rifiuti speciali, ai fini della elaborazione dei piani regionali” con particolare riferimento alla determinazione delle linee guida per il coordinamento dei piani stessi.

Si fa inoltre notare che la definizione di linee guida sui contenuti minimi delle autorizzazioni (contemplato come criterio di delega dal punto 5.3) conferma quanto già attualmente prevista dalla lettera b-bis) del citato art. 195.

 

Con riferimento alle competenze delle Regioni, viene configurata come specifica responsabilità regionale -  che deve essere esercitata senza poteri di veto da parte degli enti territoriali minori, pur nel rispetto del principio di leale collaborazione -  la programmazione e la pianificazione della gestione dei rifiuti, in modo da assicurare la chiusura del ciclo dei rifiuti a livello regionale (punto 6.1).

Tale criterio è rafforzato dall’indicazione circa la necessità di prevedere idonei strumenti, anche sostitutivi, per garantire l’attuazione delle previsioni sul riparto in ambiti ottimali, nonché sulla istituzione e concreta operatività dei relativi enti di governo (numero 6.2). In tale caso è prevista la facoltà per le regioni di adottare modelli alternativi o in deroga al modello degli Ambiti Territoriali Ottimali laddove predispongano un piano regionale dei rifiuti che dimostri la propria adeguatezza rispetto agli obiettivi strategici previsti dalla normativa vigente (come previsto all'articolo 200, comma 7, del D.Lgs. n.?152/2006).

Tali indicazioni sembrano quindi puntare ad un rafforzamento del ruolo della Regione nella stesura e nell’attuazione del piano regionale rispetto a quanto prevede attualmente l’art. 196 del D.Lgs. 152/2006.

Le lettere a) e g) del comma 1 dell’art. 196 si limitano infatti ad affidare alle regioni “la predisposizione, l'adozione e l'aggiornamento, sentiti le province, i comuni e le Autorità d'ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti” e la “delimitazione, nel rispetto delle linee guida generali (fissate dallo Stato), degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani e assimilati”.

Il numero 6.3 prevede l’assegnazione alle regioni della funzione di individuazione delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di smaltimento e di recupero, tenendo conto della pianificazione nazionale e di criteri ambientali oggettivi, come ad esempio il dissesto idrogeologico, la saturazione del carico ambientale, l'assenza di adeguate infrastrutture d'accesso.

 

Con riferimento alle competenze delle Province, delle Città metropolitane e dei Comuni, il punto 7.1 prevede la possibilità che l’organizzazione del servizio (da intendersi di gestione dei rifiuti) sia affidata alla Provincia o alla Città metropolitana, se l’ambito ottimale è individuato con riferimento al suo territorio. Mentre il punto 8.1 prevede il mantenimento, in capo ai Comuni, delle sole funzioni dimensionalmente adeguate alla luce del riassetto della governance.

Sia il punto 7.2 che il punto 8.2 prevedono poi che si provveda a specificare quali funzioni in materia di rifiuti devono considerarsi fondamentali, rispettivamente per province/città metropolitane (all’interno di un coordinamento con le previsioni della legge n. 56/2014) e comuni.

Si ricorda in proposito che per l’art. 14, comma 27, del D.L. 78/2010, sono funzioni fondamentali dei comuni “l’organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi”.

L’articolo 14, comma 27, stabilisce inoltre per i comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appartenuti a comunità montane, esclusi i comuni il cui territorio coincide integralmente con quello di una o di più isole e il comune di Campione d’Italia, l’esercizio obbligatorio in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, anche delle suddette funzioni. L’applicazione di tale disposizione è stata rinviata più volte e, da ultimo, in base all’art. 11-bis, comma 1, del D.L. 135/2018, è stata prorogata al 31 dicembre 2019.

L’articolo 197 del D.lgs. 152/2006 prevede che alle province competono in linea generale le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, mentre l’art. 198 disciplina le competenze dei comuni stabilendo, tra l’altro, che i comuni concorrono, nell'ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali e con le modalità ivi previste, alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati.

Occorre ricordare (con riferimento alle previsioni del punto 7.1) che l’art. 200 del D.Lgs. 152/2006 dispone che la gestione dei rifiuti urbani è organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali (ATO), delimitati dal piano regionale secondo criteri finalizzati, tra l’altro, al superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti e al conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, definite sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative.

Rifiuti derivanti da attività di costruzione e demolizione (lett. n))

Il criterio di delega recato dalla lettera n) prevede di disciplinare la raccolta di particolari tipologie di rifiuti, come ad esempio quelli di costruzione e demolizione, presso i rivenditori di prodotti merceologicamente simili ai prodotti che originano tali rifiuti.

 

Modalità di emanazione dei decreti delegati (comma 2)

In base al comma 2, i decreti delegati in questione sono adottati, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata, su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell'economia e finanze, dello sviluppo economico.

Per il decreto di attuazione della direttiva in materia di imballaggi è altresì previsto che il citato concerto, ai fini della proposta, riguardi anche il Ministro della salute.

Limitatamente ai contenuti attuativi del comma 1, lettera m), cioè relativamente alla razionalizzazione complessiva del sistema delle funzioni dello Stato e degli enti territoriali e del loro riparto, il comma in esame prevede che lo schema di decreto delegato sia adottato previa intesa con la Conferenza unificata.

Si ricorda che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, del disegno di legge in esame, poiché le direttive di cui trattasi sono elencate nell’allegato A, gli schemi dei decreti delegati per il loro recepimento dovranno essere trasmessi anche alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l’espressione del parere da parte delle Commissioni competenti.

 


 

Articolo 17
(Attuazione della direttiva  UE/2017/2108 in materia di sicurezza per le navi passeggeri)

 

L’articolo 17 contiene principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2017/2108, del Parlamento europeo e del Consiglio 15 novembre 2017, relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri.

 

Il comma 1 dell'articolo individua i principi e i criteri direttivi specifici ai quali il Governo deve attenersi nell'esercizio della delega, in aggiunta ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

 

In particolare, le lettere a) e b) prevedono criteri volti all’adeguamento:

-       delle disposizioni del decreto legislativo 4 febbraio 2000, n. 45, che conteneva disposizioni di attuazione della direttiva 98/18/CE relativa alle disposizioni e alle norme di sicurezza per le navi da passeggeri adibite a viaggi nazionali, con abrogazione espressa delle disposizioni superate;

-       delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 8 novembre 1991, n. 435, recante approvazione del regolamento per la sicurezza della navigazione e della vita umana in mare, con lo scopo di uniformare il livello di sicurezza per tutte le categorie di navi.

 

La direttiva (UE) 2017/2108[19] si propone di mantenere un elevato livello di sicurezza e, pertanto, di fiducia dei passeggeri, migliorando le previsioni già contenute nella direttiva 2009/45/CE. La direttiva (UE) 2017/2108, tra l’altro, ha escluso dal campo di applicazione della direttiva 2009/45/CE le navi da passeggeri nuove inferiori ai 24 metri, che in tal modo rientrano nel campo di applicazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 435 del 1991. La relazione illustrativa sottolinea come si renda quindi necessario adeguare anche le norme del citato regolamento di sicurezza, al fine di armonizzare il livello di sicurezza per tutte le categorie di navi passeggeri, evitando possibili disparità di trattamento che possano minare la sicurezza e la competitività della flotta.

 

I criteri di delega di cui alle lettere c) e d) dispongono la previsione di misure sanzionatorie penali e amministrative (che devono consistere nel pagamento di una somma da 500 a 15.000 euro) efficaci, proporzionate e dissuasive nei confronti delle violazioni in materia di sicurezza di navi da passeggeri, al fine di allineare l’ordinamento nazionale a quanto richiesto dalla direttiva europea, con attribuzione della competenza all'irrogazione delle sanzioni amministrative al Corpo delle Capitanerie di porto (lettera e).

 

Il comma 2 stabilisce che i decreti legislativi sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell’economia e delle finanze e dello sviluppo economico.

 

Il comma 3 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che le amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti derivanti dall'attuazione della delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Nel corso dell’esame al Senato, questo articolo non è stato modificato.

 


 

Articolo 18
(Attuazione della direttiva (UE) 2017/2109 relativa alle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo e/o in partenza da porti degli Stati membri)

 

L’articolo 18 reca i principi e i criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2017/2109 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2017, finalizzata a incrementare e rendere tempestive le informazioni sul numero o l'identità delle persone a bordo di una nave, anche alla luce dei progressi tecnologici significativi realizzati nel corso degli ultimi anni per quanto riguarda i mezzi di comunicazione e di memorizzazione dei dati sui movimenti delle navi, che facilitano l'accesso alle informazioni relative a un numero significativo di passeggeri in caso di emergenza o in seguito a un incidente in mare.

 

Il comma 1 dell'articolo individua i principi e i criteri direttivi specifici ai quali il Governo deve attenersi nell'esercizio della delega, in aggiunta ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234.

 

In particolare, le lettere a), b) e c) impongono al Governo, per finalità di coordinamento ordinamentale:

di apportare modifiche e integrazioni ai seguenti atti:

-       al decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.221 del 2012, che ha recepito alcuni aspetti della direttiva 2010/65/UE;

-       al decreto legislativo n. 196 del 2005, emanato in attuazione della direttiva 2002/59/CE relativa all'istituzione di un sistema comunitario di monitoraggio e di informazione sul traffico navale in ordine all'impiego dei sistemi di identificazione automatica AIS e della rete AIS nazionale. Il Sistema di Identificazione Automatica (AIS) consente di monitorare la posizione ed altre rilevanti informazioni delle imbarcazioni in prossimità dotate di Transponder AIS. Normalmente i plotter cartografici hanno la capacità di elaborare questi dati e quindi sono in grado di rappresentare sulla carta la posizione di queste imbarcazioni, insieme ad altre rilevanti informazioni quali la rotta, la velocità, il nome, l'MMSI[20], il tipo, le dimensioni ecc...

di abrogare, con nuova formulazione della relativa disciplina, del decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione 13 ottobre 1999, recante recepimento della direttiva 98/41/CE relativa alla registrazione delle persone a bordo delle navi da passeggeri che effettuano viaggi da e vero i porti degli Stati membri della Comunità.

 

Le lettere d) ed e) impongono poi al Governo di prevedere:

-       misure sanzionatorie penali efficaci, proporzionate e dissuasive in caso di inosservanza di norme in materia di conteggio e di registrazione delle persone a bordo delle navi da passeggeri nonché di formalità di dichiarazione delle navi in arrivo e in partenza, la cui violazione possa compromettere la sicurezza della navigazione;

-       sanzioni amministrative efficaci, proporzionate e dissuasive del pagamento di una somma da euro 500 a euro 15.000 in caso di violazioni diverse da quelle di cui alla lettera c) in materia di conteggio e registrazione delle persone a bordo delle navi passeggeri che effettuano viaggi da e verso i porti degli Stati membri delle Comunità e di formalità di dichiarazione delle navi in arrivo e in partenza da porti degli Stati membri.

In proposito si deve rilevare che la lettera c) richiamata nel principio di delega in esame contiene il riferimento all'abrogando DM del 1999. Tale DM reca una serie di obblighi al cui rispetto sono tenute le società che assumono la responsabilità dell'esercizio di una nave passeggeri. In particolare il DM (art. 4) impone a tutte le unità da passeggeri in partenza da porti nazionali che effettuano viaggi di distanza superiore a venti miglia di rilevare determinate informazioni relative alle persone. L'articolo 6 prevede, poi, che tali società debbano disporre di un sistema per la registrazione dei passeggeri e, designare un responsabile per la registrazione dei passeggeri e per la conservazione e la trasmissione di tali informazioni in caso di emergenza o in seguito ad un incidente.

 

La competenza all'irrogazione delle sanzioni amministrative dovrà essere attribuita al Corpo delle Capitanerie di porto (lett. f)).

 

Il comma 2 stabilisce che i decreti delegati sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia e dell’economia e delle finanze, per la pubblica amministrazione e dell’istruzione, dell’università e della ricerca.

 

Il comma 3 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che le amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti derivanti dall'attuazione della delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Nel corso dell’esame al Senato questo articolo non è stato modificato.

 


 

Articolo 19
(Attuazione della direttiva (UE)2017/2110 relativa a un sistema di ispezioni per l'esercizio in condizioni di sicurezza di navi ro-ro da passeggeri e di unità veloci da passeggeri adibite a servizi di linea)

 

L’articolo 19 reca principi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2017/2110 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 novembre 2017 relativa a un sistema di ispezioni per l'esercizio in condizioni di sicurezza di navi ro-ro[21] da passeggeri e di unità veloci da passeggeri adibite a servizi di linea e che modifica la direttiva 2009/16/CE e abroga la direttiva 1999/35/CE del Consiglio).

 

Il comma 1 individua i principi e i criteri direttivi specifici da seguire nell'esercizio della delega di cui al comma 1, in aggiunta ai principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 per l'attuazione della direttiva (UE) 2017/2110.

 

La direttiva (UE) 2017/2110 mira a garantire la sicurezza delle navi ro-ro da passeggeri e delle unità veloci da passeggeri in servizio di linea definendo un livello comune di sicurezza in ambito comunitario per evitare distorsioni della concorrenza. Detta direttiva abroga la direttiva 1999/35/CE e modifica la direttiva 2009/16/CE in ragione dei progressi compiuti nell'attuazione del regime del controllo da parte degli Stati di approdo previsto dalla direttiva 2009/16/CE nonché dell'esperienza maturata con l'applicazione del memorandum d'intesa di Parigi relativo al controllo delle navi da parte dello Stato di approdo, firmato a Parigi il 26 gennaio 1982.

 

In particolare:

-      le lettere a) e b) prevedono criteri volti all’adeguamento delle disposizioni vigenti in ambito di sicurezza del trasporto passeggeri di linea (ro-ro da passeggeri e unità veloci) - per il quale è previsto un sistema di ispezioni periodiche con il decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 28 di recepimento della direttiva 1999/35/CE, ora abrogata e delle disposizioni del decreto legislativo 24 marzo 2011, n. 53, che reca attuazione alla direttiva 2009/16/CE sulla sicurezza delle navi, la prevenzione dell'inquinamento e le condizioni di vita e di lavoro a bordo per le navi che approdano nei porti comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri (c.d. direttiva Port State Control).

La relazione illustrativa sottolinea in proposito che il fatto che la direttiva 1999/35/CE ha determinato modifiche al codice della navigazione, introducendo l’obbligo per gli Stati membri di condurre le inchieste sui sinistri marittimi in accordo con il “casualty investigation code” dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), rende necessario abrogare gli articoli da 1 a 13, 17 e 18 del decreto legislativo n. 28 del 2001 per la parte inerente il regime ispettivo. Inoltre, in materia di investigazione sui sinistri marittimi, disciplinata dalla direttiva 2009/18/CE recepita dal decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 165, che stabilisce i principi fondamentali in materia di inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo e che modifica la direttiva 1999/35/CE, l’istituzione dell’organismo investigativo che svolge inchieste sui sinistri marittimi con le finalità attualmente attribuite anche all’inchiesta formale crea una sovrapposizione ingiustificata con l’articolo 579, comma 4, del codice della navigazione, che pertanto va abrogato;

 

-      le lettere c) e d) prevedono criteri per la predisposizione di misure sanzionatorie penali e amministrative efficaci, proporzionate e dissuasive nei confronti delle violazioni in materia di condizioni di sicurezza, di navi ro-ro da passeggeri e di unità veloci da passeggeri adibite a servizi di linea, con attribuzione della competenza all'irrogazione delle sanzioni amministrative al Corpo delle Capitanerie di porto.

Il sistema sanzionatorio, infatti, previsto dall’articolo 17 del decreto n. 28 del 2001 - che sarà abrogato - deve essere rivisto in funzione dei nuovi requisiti introdotti dalla direttiva (UE) 2017/2110.

 

Il comma 2 definisce la procedura di adozione dei decreti legislativi. Questi sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell’economia e delle finanze, dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle politiche, alimentari, forestali e del turismo.

 

Il comma 3 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che le amministrazioni interessate provvedono all'adempimento dei compiti derivanti dall'attuazione della delega con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Nel corso dell’esame al Senato questo articolo non è stato modificato.

 


 

Articolo 20
(Princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2013/59/Euratom sulla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti)

 

L’articolo reca una disciplina di delega per il recepimento della direttiva 2013/59/Euratom, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, con riferimento sia all'esposizione medica sia alle persone soggette ad esposizione professionale sia alla popolazione.

 

L’articolo ha subito modifiche in Senato.

 

Il termine per il recepimento della direttiva è scaduto il 6 febbraio 2018; contro l'Italia risulta avviata la procedura di infrazione 2018/2044, che ha portato la Commissione europea a comunicare, il 17 maggio 2018, la messa in mora formale, ad inviare, il 24 gennaio 2019, un parere motivato chiedendo il recepimento della richiamata direttiva, ed infine, il 25 luglio 2019, a deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell'UE per mancato recepimento in quanto, come si legge nel comunicato, alla data del 25 luglio 2019 “le autorità italiane non hanno adottato alcuna legge di recepimento della direttiva, o comunque non la hanno notificata alla Commissione”.

 

Come evidenziato nella relazione illustrativa del disegno di legge originario, la direttiva in oggetto ha aggiornato e raccolto in un quadro unitario le disposizioni in materia contenute in cinque precedenti direttive (contestualmente abrogate), introducendo ulteriori tematiche, in precedenza trattate solo in raccomandazioni europee (come l'esposizione al radon nelle abitazioni) o non considerate (come le esposizioni volontarie per motivi non medici).

 

I principi e criteri direttivi specifici per l'esercizio della delega, come modificati nel corso dell’esame al Senato, prevedono (comma 1):

§  l’introduzione delle modifiche ed integrazioni necessarie per il corretto e integrale recepimento della citata direttiva 2013/59/Euratom, assicurando anche il coordinamento tra le disposizioni oggetto di modifica o integrazione. La modifica apportata dal Senato prevede l'adozione di un nuovo testo normativo di riassetto e semplificazione della disciplina di cui al D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 230, ovvero di un testo unico volto al riordino e armonizzazione della normativa di settore, anziché - come nella versione precedente - l'adozione di novelle al medesimo D.Lgs. n. 230 o ad altre norme vigenti - si ricorda che il D.Lgs. n. 230 reca disposizioni per il recepimento non solo di tre direttive sulle radiazioni ionizzanti ora abrogate dalla richiamata direttiva 2013/59/Euratom (ossia le direttive 89/618/Euratom, 90/641/Euratom, 96/29/Euratom), ma anche di altre direttive Euratom relative alla sorveglianza ed al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito, alla sicurezza nucleare degli impianti nucleari, alla gestione sicura del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi derivanti da attività civili (vedi infra). La modifica apportata dal Senato prevede, di conseguenza, che, in sede di esercizio della delega, si stabilisca l’abrogazione espressa dello stesso D.Lgs. n. 230, oltre che - come già previsto dalla precedente versione - delle altre disposizioni di settore incompatibili e, in particolare, del D.Lgs. 26 maggio 2000, n. 187, e del D.Lgs. 6 febbraio 2007, n. 52, di recepimento delle altre due direttive in materia di radiazioni ionizzanti abrogate dalla direttiva 2013/59/Euratom (ossia, rispettivamente, le direttive 97/43/Euratom e 2003/122/Euratom) (lett. a));

§  il rafforzamento e l’ottimizzazione della protezione dell’ambiente dagli effetti dannosi delle radiazioni ionizzanti, tenendo conto di criteri ambientali basati su dati scientifici riconosciuti a livello internazionale (e richiamati dalla direttiva 2013/59/Euratom), fermo restando quanto previsto dall’art. 104 del D.Lgs. 230/1995 in materia di controllo sulla radioattività ambientale (vedi infra) (lett. b));

§  la definizione a carico degli utilizzatori, dei commercianti e importatori di sorgenti radioattive, nonché dei produttori, detentori, trasportatori e gestori di rifiuti radioattivi, di obblighi di registrazione e comunicazione all'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione dei dati relativi alla tipologia e quantità di tali sorgenti e rifiuti (lett. c));

§  la razionalizzazione e semplificazione delle procedure di autorizzazione per la raccolta e il trasporto di sorgenti e rifiuti radioattivi, introducendo specifiche sanzioni in caso di violazione delle norme di sicurezza nucleare e radioprotezione per il trasporto (lett. d);

§  se già previsto dalla normativa nazionale vigente, il mantenimento delle misure di protezione dei lavoratori e della popolazione più rigorose rispetto alle norme minime presenti nella direttiva 2013/59/Euratom (lett. e));

§  la revisione - con riferimento alle esposizioni mediche - dei requisiti circa le informazioni ai pazienti, la registrazione e la comunicazione delle dosi dovute alle procedure mediche, l’adozione di livelli di riferimento diagnostici, la gestione delle apparecchiature, nonché la disponibilità di dispositivi che segnalino la dose (lett. f));

§  l’introduzione (lett. f) citata) di una chiara identificazione dei requisiti, compiti e responsabilità dei professionisti coinvolti nelle medesime esposizioni mediche, con particolare riferimento - come aggiunto nel corso dell’esame al Senato - al medico, all'odontoiatra o ad altro professionista sanitario titolato a farsi carico della responsabilità clinica (per le esposizioni in oggetto) in accordo con i requisiti nazionali. Potrebbe essere utile una più chiara definizione degli effetti di questa specificazione, con particolare riferimento alle varie categorie di professionisti titolati;

§  l'aggiornamento dei requisiti, dei compiti e delle responsabilità delle figure professionali coinvolte nella protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione, anche garantendo coerenza e continuità con le disposizioni del citato D.Lgs. n. 230 del 1995 (lett. g));

§  la razionalizzazione e semplificazione dei procedimenti autorizzativi (lett. h));

§  la garanzia, nella predisposizione del sistema di controlli, di cui alla direttiva 2013/59/Euratom, dei più alti livelli di salute per il personale aeronavigante esposto a radiazioni ionizzanti, comprese quelle cosmiche (lett. i);

§  la revisione e razionalizzazione dell’apparato sanzionatorio amministrativo e penale (lett. l)) e la destinazione dei proventi delle eventuali nuove sanzioni amministrative al potenziamento delle attività dirette alla protezione dell’ambiente, dei lavoratori e della popolazione contro i pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti (lett. m));

§  l’adozione di un nuovo Piano Nazionale Radon che recepisca le disposizioni della direttiva 2013/59/Euratom e preveda adeguati strumenti per la sua attuazione (lett. n)).

 

Il Piano nazionale Radon, predisposto nel 2002 da una Commissione del Ministero della salute, è un piano pluriennale di prevenzione, coordinato a livello nazionale, per azioni volte alla riduzione del rischio connesso all’esposizione della popolazione italiana al radon, come previsto dall’Accordo tra Ministro della salute, regioni e province autonome sul documento “Linee guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati” del 27 settembre 2001. Successivamente, nel 2005, la Direzione per la prevenzione sanitaria del Ministero della salute, insieme al Centro nazionale di prevenzione delle malattie, ha avviato un progetto che, rispetto al predetto Piano, si concentra sulla riduzione del rischio di tumore polmonare in Italia.

 

Infine, si dispone (comma 2) che i decreti delegati di cui al comma 1 sono adottati senza modificare la ripartizione delle competenze previste dalla disciplina vigente (previa acquisizione del parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, su proposta dei Ministri per gli affari europei, della salute, dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia, dell'economia e delle finanze, dell’interno e delle infrastrutture e dei trasporti).

Radiazioni ionizzanti: quadro normativo

In Italia, il controllo della radioattività ambientale è regolato dal D.Lgs. 230 del 1995 e sue successive modifiche ed integrazioni, che recepisce la Direttiva 89/628/Euratom, la Direttiva 90/641/Euratom e la Direttiva 96/29/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti.

In particolare, l’articolo 104 stabilisce che il controllo sulla radioattività ambientale è esercitato dal Ministero dell’ambiente, il controllo sugli alimenti e bevande per consumo umano e animale è esercitato dal Ministero della Salute e fornisce indicazioni sul sistema dei controlli che viene articolato in reti di sorveglianza regionali e reti di sorveglianza nazionali. La gestione delle reti regionali è effettuata dalle singole Regioni, le quali debbono avvalersi, anche attraverso forme consortili tra le regioni stesse, di strutture pubbliche idoneamente attrezzate. Le reti nazionali si avvalgono dei rilevamenti e delle misure effettuati da istituti, enti e organismi idoneamente attrezzati, inclusi quelli afferenti alle reti regionali. All’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sono affidate le funzioni di coordinamento tecnico delle reti nazionali, sulla base delle Direttive dei due Ministeri, al fine di assicurare l’omogeneità dei criteri di rilevamento e delle modalità dei prelievi e delle misure, nonché la diffusione dei dati rilevati e la trasmissione dei dati alla Commissione europea in ottemperanza al Trattato Euratom.

Al fine di dare indirizzi precisi, sui requisiti e sulla struttura delle reti di monitoraggio, ai sensi dell’articolo 35 del Trattato Euratom, la Commissione europea ha emanato la Raccomandazione 2000/473/ Euratom, nella quale sono riportate indicazioni sulla struttura della rete, le matrici da sottoporre ad analisi, la periodicità dei campionamenti, i radionuclidi di interesse e le sensibilità analitiche.

Un’ulteriore raccomandazione da tenere in considerazione è la 2003/274/CE del 14 aprile 2003 sulla protezione e l’informazione del pubblico per quanto riguarda l’esposizione risultante dalla continua contaminazione radioattiva di taluni prodotti di raccolta spontanei – funghi, frutti di bosco, pesci d’acqua dolce, selvaggina – a seguito dell’incidente verificatosi nella centrale nucleare di Chernobyl. Anche se in materia di tutela della salute, va citato il D.Lgs. n. 28 del 15 febbraio 2016 di attuazione della Direttiva 2013/51/Euratom, sulla tutela della salute della popolazione relativamente alle sostanze radioattive presenti nelle acque destinate al consumo umano.

Per ulteriori approfondimenti si rimanda al capitolo dedicato alle radiazioni ionizzanti della " Relazione sullo stato dell'ambiente (Anno 2016)" del MATTM del 6 luglio 2017.

 

 

La Direttiva 2013/59/Euratom

La direttiva concerne, come indica l'articolo 1, le norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione sanitaria contro i pericoli derivanti da radiazioni ionizzanti (con riferimento sia all'esposizione medica sia alle persone soggette ad esposizione professionale sia alla popolazione).

La direttiva si applica a qualsiasi situazione di esposizione pianificata, esistente o di emergenza che comporti un rischio che non possa essere trascurato dal punto di vista della radioprotezione "in relazione all'ambiente, in vista della protezione della salute umana nel lungo termine".

I Capi I e II indicano, rispettivamente, l’oggetto e l’ambito di applicazione e le definizioni

Nel Capo III viene demandata agli Stati membri la predisposizione di un sistema di controllo, volto a garantire un regime di protezione informato ai principi di giustificazione, ottimizzazione e limitazione delle dosi radioattive. Ai fini dell'ottimizzazione, la direttiva reca prescrizioni in merito a vincoli di dose per l'esposizione professionale, per l'esposizione della popolazione e per quella medica. Gli Stati membri sono altresì chiamati alla predisposizione di livelli di riferimento per le esposizioni di emergenza e per le esposizioni esistenti (queste ultime sono quelle già presenti quando deve essere adottata una decisione sul controllo e per le quali non è necessaria o non è più necessaria l'adozione di misure urgenti). Con riferimento alla limitazione delle dosi sui luoghi di lavoro, la direttiva prescrive limiti in relazione all'età (in particolare, prevedendo che soggetti di età inferiore a 18 anni non possano essere adibiti a lavori che comportino esposizioni alle radiazioni ionizzanti), allo stato di gravidanza e di allattamento, all'esposizione di apprendisti e studenti. Sono dettate norme specifiche anche in relazione all'esposizione della popolazione. In generale, con riferimento all'esposizione professionale e a quella della popolazione, i limiti si applicano alla somma delle esposizioni di un lavoratore - o dell'individuo della popolazione - considerando tutte le pratiche autorizzate.

Sono inoltre stabilite disposizioni relative alla formazione ed all'informazione dei lavoratori esposti, di quelli addetti alle emergenze e di quelli operanti nel settore dell'esposizione medica (Capo IV).

Con riferimento al principio della giustificazione, la direttiva, al Capo V, stabilisce che gli Stati membri devono applicare il medesimo con riferimento ad ogni nuova pratica che comporti un'esposizione a radiazioni ionizzanti. Al fine di rendere tale principio effettivo, si prevede l'obbligo, da parte di un operatore che intenda fabbricare, importare o esportare un prodotto a rischio, di fornire tutte le pertinenti informazioni alle autorità competenti. Sulla base di tali evidenze, lo Stato membro decide se l'uso previsto del prodotto di consumo sia giustificato. Non è comunque giustificata l'aggiunta intenzionale di sostanze radioattive nella produzione di alimenti, mangimi per animali, cosmetici, giocattoli ed ornamenti personali; di tali prodotti è vietata l'importazione e l'esportazione. Sono inoltre vietate le pratiche implicanti l'attivazione di materiali che comportino un aumento dell'attività che non possa essere trascurato dal punto di vista della radioprotezione.

Il medesimo Capo V reca disposizioni relative al controllo regolamentare, che consiste in qualsiasi forma di controllo o regolamentazione applicati alle attività umane per l'attuazione delle prescrizioni in materia di radioprotezione. Tali disposizioni prevedono, in particolare, una procedura di notifica - e relativi casi di esonero - prima dell'inizio della pratica presumibilmente rischiosa, la registrazione ovvero il rilascio di licenze per talune pratiche. Il rilascio di licenza deve essere comunque previsto per diverse attività, quali, ad esempio, la somministrazione intenzionale di sostanze radioattive, il funzionamento e disattivazione di impianti nucleari, le attività connesse alla gestione di residui radioattivi.

I successivi Capi VI, VII e VIII recano disposizioni relative, rispettivamente, alle esposizioni professionali, alle esposizioni mediche ed a quelle pubbliche. Con riferimento all'esposizione pubblica, sono contemplati specifici interventi in casi di emergenza.

Il Capo IX è dedicato alle competenze delle autorità degli Stati membri. In particolare, si prevede che l'autorità competente allo svolgimento dei compiti previsti dalla direttiva soddisfi il requisito dell'indipendenza (mediante separazione funzionale da ogni altro organismo o organizzazione coinvolto nella promozione o impiego delle pratiche in oggetto) ed abbia i poteri giuridici nonché adeguate risorse, umane e finanziarie, per adempiere i medesimi compiti. Gli Stati membri sono inoltre tenuti a rendere accessibili agli esercenti, ai lavoratori, agli individui della popolazione, nonché alle persone soggette a esposizioni mediche, le informazioni relative alla giustificazione delle pratiche ed alla regolamentazione in materia di sorgenti di radiazioni e di radioprotezione. Ulteriori prescrizioni sono previste riguardo al controllo delle sorgenti radioattive sigillate, non sigillate o orfane e sono stabilite disposizioni specifiche in merito alla notifica di eventi significativi ed alla gestione delle emergenze e delle summenzionate esposizioni esistenti.

Ai sensi dell'articolo 106, il termine per il recepimento era fissato al 6 febbraio 2018.


 

Articolo 21
(Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/821 che stabilisce obblighi in materia di dovere di diligenza nella catena di approvvigionamento per gli importatori dell'Unione di alcune materie prime originarie di zone di conflitto o ad alto rischio)

 

L’articolo 21 delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione, acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi per l’adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) 2017/821 che stabilisce obblighi in materia di dovere di diligenza nella catena di approvvigionamento per gli importatori dell'Unione di alcune materie prime originarie di zone di conflitto o ad alto rischio, su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro della giustizia.

 

Il Regolamento (UE) 2017/821

 

L’utilizzo delle risorse naturali di minerali può dare origine, nelle zone di conflitto e ad alto rischio, a sfruttamento illecito dei proventi quando questi ultimi vanno a finanziare l’insorgere di conflitti violenti o ad alimentarli.

Con diverse risoluzioni[22] il Parlamento europeo ha invitato l’Unione a legiferare sulla base del modello della legislazione statunitense sui minerali da conflitto e diverse sono state le sollecitazioni provenienti dalla società civile nella direzione di introdurre obblighi per gli operatori economici.

Nel quadro multilaterale e bilaterale internazionale le evoluzioni degli ultimi anni vanno nella direzione di una crescente responsabilizzazione degli attori economici nella catena di approvvigionamento, di pari passo con la collegata richiesta di adottare pratiche di dovuta diligenza (due diligence).

Nello specifico, il Consiglio europeo ha adottato e raccomandato di promuovere la Guida dell’OCSE sul dovere di diligenza nell’approvvigionamento dei minerali da zone di conflitti o ad alto rischio, del maggio 2011 così come i Princìpi-guida delle Nazioni Unite su Imprese e diritti umani, del luglio dello stesso anno, richiamano la responsabilità delle imprese e il dovere di diligenza nella catena di approvvigionamento di minerali in caso di zone di conflitto e situazioni instabili.

Il 3 novembre 2016, il Parlamento europeo ha acquisito anche la memoria dell’organizzazione Global Witness sull’argomento: https://www.globalwitness.org/it/campaigns/conflict-minerals/conflict-minerals-europe-brief/ .

Il regolamento risponde, dunque, all’impegno dei Paesi dell’Unione ad interrompere il nesso tra conflitti e sfruttamento illecito dei minerali, onde evitare gravi violazioni dei diritti umani, coinvolgendo in questo processo gli importatori di minerali che sono chiamati ad effettuare controlli ed adottare misure per garantire un approvvigionamento di minerali libero da utilizzi illeciti.

A tal fine, il regolamento prevede l’applicazione di un dovere di diligenza nella catena di approvvigionamento per gli importatori dell'Unione di taluni minerali e dell’oro, ed impone loro obblighi diretti ad una maggiore consapevolezza delle operazioni economiche collegate a regioni instabili del mondo.

A tale fine il Regolamento istituisce un sistema dell’Unione sul dovere di diligenza nella catena di approvvigionamento, al fine di ridurre le possibilità per i gruppi armati e le forze di sicurezza di praticare il commercio di stagno, tantalio e tungsteno, dei loro minerali, e di oro. Il regolamento è strutturato in modo da garantire la trasparenza e la sicurezza relativamente alle pratiche di approvvigionamento degli importatori dell'Unione, e delle fonderie e delle raffinerie in zone di conflitto o ad alto rischio (articolo 1).

Più in dettaglio, gli obblighi per gli importatori dell'Unione di minerali o metalli, con decorrenza dal 1° gennaio 2021, riguardano:

la conformità della loro attività rispetto al dovere di diligenza (articolo 3),

gli obblighi per gli importatori di metalli (articolo 4).

Gli importatori dell'Unione dei minerali o dei metalli devono, in particolare: adottare e comunicare con chiarezza ai fornitori e al pubblico informazioni aggiornate sulla propria strategia di approvvigionamento, integrandola con i principi già contenuti in materia nelle Linee guida dell'OCSE sul dovere di diligenza (allegato II); affidare ad alti dirigenti, se l'importatore non è persona fisica, l'incarico di sorvegliare il processo, e di conservare i documenti relativi per almeno cinque anni; rafforzare le proprie relazioni con i fornitori; istituire un meccanismo di trattamento dei reclami come sistema di allarme precoce, agevolando il ricorso a un esperto o a un organismo esterni, quale un mediatore. Sia per quanto riguarda i minerali, sia per quanto riguarda i metalli, gestire un sistema di catena di custodia o di tracciabilità attraverso i quali ottenere le seguenti informazioni documentate:

-    per quanto riguarda i minerali: descrizione dei minerali, compresi i loro nomi commerciali e il loro tipo; nome e indirizzo del fornitore dell'importatore dell'Unione; paese d'origine dei minerali; quantità estratte e date dell'estrazione, se disponibili, espresse in volume o in peso; qualora i minerali siano originari di zone di conflitto o ad alto rischio, informazioni aggiuntive, quali la miniera di origine, i luoghi in cui i minerali sono consolidati, commercializzati e trasformati, nonché imposte, oneri e diritti versati;

-    per quanto riguarda i metalli, la descrizione degli stessi, compresi i loro nomi commerciali e il loro tipo; il nome e indirizzo del fornitore dell'importatore dell'Unione; il nome e indirizzo delle fonderie e delle raffinerie nella catena di approvvigionamento dell'importatore dell'Unione; i paesi di origine dei minerali presenti nella catena di approvvigionamento delle fonderie e delle raffinerie;

l’adozione di sistemi di gestione del rischio (articolo 5).

In particolare, gli importatori dell'Unione dei minerali devono individuare e valutare i rischi di effetti negativi sulla loro catena di approvvigionamento minerario, conformemente Linee guida dell'OCSE, nonché prevedere la possibilità di risolvere il contratto con un fornitore dopo il fallimento dei tentativi di riduzione del rischio. Il Regolamento prevede anche la sospensione temporanea degli scambi commerciali nel corso dell'applicazione delle misure di riduzione del rischio.

la realizzazione di audit da parte di soggetti terzi (articolo 6).
Gli importatori dell'Unione dei minerali o dei metalli affidano a soggetti terzi indipendenti l'esecuzione di audit, che hanno lo scopo di determinare la conformità delle pratiche di diligenza dell'importatore dell'Unione nella catena di approvvigionamento;

specifici obblighi attinenti le attività di comunicazione (articolo 7).

 

Il regolamento prevede, inoltre, obblighi per gli Stati membri e la designazione di una o più autorità competenti responsabili dell’applicazione del Regolamento (articolo 10).

Le autorità competenti degli Stati membri sono tenute a garantire l’applicazione uniforme delle disposizioni da parte degli importatori dell’Unione dei minerali o dei metalli che rientrano nell’ambito di applicazione del Regolamento, svolgendo adeguati controlli ex post e sono chiamate a promuovere un approvvigionamento responsabile di minerali originari delle aree di conflitto.

Nello specifico, gli obblighi dell’autorità competente sono:

impostare un sistema adeguato di controlli, realizzando i controlli ex post sugli importatori di metalli e minerali dell’Unione originari dal territorio nazionali allo scopo di garantire che questi adempiano agli obblighi conformemente agli articoli da 4 a 7 del Regolamento (articolo 3 e 11);

fornire alla Commissione un elenco delle fonderie e raffinerie responsabili nella relazione annuale (articolo 8);

assicurare l'applicazione effettiva e uniforme del Regolamento (articolo 10);

conservare la documentazione relativa ai controlli ex post degli importatori responsabili (articolo 12);

assicurare una cooperazione ed uno scambio di informazioni tra le autorità competenti di altri Stati membri e con le rispettive autorità doganali e con la Commissione, sulle questioni riguardanti il dovere di diligenza nella catena di approvvigionamento e i controlli ex post effettuati, le carenze riscontrate nell’ambito dei controlli di cui all’articolo 11, paragrafo 1, e le norme applicabili in caso di infrazione di cui all’articolo 16 (articolo 13);

notificare all’importatore dell’Unione le misure correttive che egli deve adottare in caso d’infrazione del Regolamento (articolo 16).

Entro il 30 giugno (di ogni anno) gli Stati membri presentano alla Commissione una relazione sull'applicazione del Regolamento e, in particolare, sulle notifiche di misure correttive emesse dalle loro autorità competenti, e sulle relazioni relative agli audit svolti da soggetti terzi. Entro il 1° gennaio 2023 e successivamente ogni tre anni, la Commissione riesamina il funzionamento e l'efficacia del Regolamento (articolo 17).

 

Più nel dettaglio, i princìpi e criteri direttivi specifici prevedono (comma 3):

a) la designazione del Ministero dello sviluppo economico quale autorità nazionale competente responsabile dell’applicazione effettiva ed uniforme del Regolamento in esame, nonché dell’esecuzione dei controlli ex post finalizzati a garantire che gli importatori dell’Unione dei minerali o dei metalli adempiano agli obblighi previsti dal regolamento, nonché di favorire la cooperazione e lo scambio di informazioni con la Commissione europea, con le rispettive autorità doganali e le altre autorità competenti degli SM;

b) la definizione delle modalità dei controlli ex post in conformità alle disposizioni dell’articolo 11 del Regolamento;

c) l’istituzione presso l’autorità nazionale competente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, di un Comitato per il coordinamento delle attività per assicurare l’applicazione effettiva e uniforme del Regolamento, composto da rappresentanti delle diverse Amministrazioni coinvolte;

d) la previsione di sanzioni efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità della violazione delle disposizioni del regolamento, conformemente alle previsioni dell’articolo 32, comma 1, lettera d), della legge 24 dicembre 2012, n. 234;

e) la destinazione di quota parte dei proventi derivanti dalle sanzioni pecuniarie previste dall’emanando decreto legislativo all'attuazione delle misure di controllo di cui alla lettera b), nella misura di almeno il 50 per cento dell'importo complessivo.

In relazione all’attuazione della norma di delega in commento, la relazione tecnica, allegata al disegno di legge, evidenzia che, stante la complessità della materia oggetto di delega, le Amministrazioni competenti non sono allo stato in grado di procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dall’attuazione della stessa. L’adozione dei decreti legislativi, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge di contabilità nazionale (L. n. 196/2009), è subordinata al reperimento delle idonee forme di copertura degli oneri dagli stessi recati. La norma testé citata dispone infatti che, qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, la quantificazione degli stessi è effettuata al momento dell'adozione dei singoli decreti legislativi. I decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.

 

 


 

Articolo 22
(Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 952/2013, che istituisce il codice doganale dell'Unione, del regolamento delegato (UE) 2015/2446, che integra il regolamento (UE) n. 952/2013 in relazione alle modalità che specificano alcune disposizioni del codice doganale dell'Unione, e del regolamento di esecuzione (UE) 2015/2447, recante modalità di applicazione di talune disposizioni del regolamento (UE) n. 952/2013)

 

L'articolo 22, introdotto al Senato, delega il Governo ad adeguare la normativa nazionale al nuovo codice doganale dell'Unione Europea (regolamento UE n. 952/2013) e ad altre norme regolamentari conseguentemente adottate.

 

Il comma 1 delega il Governo ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, con le procedure di cui all'articolo 31 della legge n. 234 del 2012, acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) n. 952/2013, al regolamento delegato (UE) 2015/2446, e al regolamento di esecuzione (UE) 2015/2447.

 

Il 9 ottobre 2013, l'Ue ha adottato il codice doganale dell'Unione (CDU). Il regolamento (UE) n. 952/2013 che istituisce il codice doganale dell'Unione è entrato in vigore il 30 ottobre 2013, nonostante la maggior parte delle sue disposizioni sostanziali abbiano avuto effetto a decorrere dal 1º maggio 2016. Il CDU stabilisce un quadro giuridico che prevede norme e procedure doganali armonizzate, applicabili sul territorio doganale dell'Ue con riferimento all'ingresso (importazioni) e all'uscita (esportazioni) di merci, le quali poi possono circolare liberamente nel mercato interno.

L'obiettivo delle disposizioni contenute nel CDU è quello di agevolare il flusso delle merci che transitano o entrano ed escono dall'Unione, al fine di rafforzare la competitività delle imprese europee, salvaguardando allo stesso tempo la sicurezza e la protezione dei consumatori dell'Unione. Per conseguire tali obiettivi, il CDU mira a realizzare un ambiente doganale integrato, completamente elettronico e privo di supporti cartacei. Il CDU stabilisce requisiti in materia di dati e norme comuni per le dichiarazioni, le notifiche, le domande e le decisioni che precedono l'arrivo e la partenza delle merci. Sebbene le disposizioni legislative del CDU siano attualmente in vigore, l'implementazione dei diciassette sistemi elettronici necessari per la sua completa attuazione è ancora in corso. Pertanto, il codice prevede un periodo di transizione, che si estende per alcuni dei 17 sistemi da implementare fino alla fine del 2020, per altri sistemi fino alla fine del 2022, per altri ancora fino al 2025, durante il quale è possibile continuare a utilizzare i sistemi elettronici o basati su supporti cartacei attualmente esistenti per le questioni doganali per cui non sono ancora disponibili i nuovi sistemi elettronici. Un ulteriore periodo di transizione è stato previsto con riferimento alle autorizzazioni (ad esempio per il trattamento degli operatori economici autorizzati o per il ricorso ai regimi doganali "speciali") rilasciate a norma della precedente normativa quadro in materia di dogane, il codice doganale comunitario, che era possibile continuare ad applicare fino ad aprile 2019.

Il CDU ha sostituito il codice doganale comunitario, le cui procedure e pratiche si basavano sull'uso di documentazione cartacea. Inoltre, le crescenti responsabilità delle dogane in relazione a questioni che trascendono la riscossione dei dazi (ad esempio far fronte alle sfide concernenti la sicurezza e la protezione, i movimenti illeciti di denaro contante e i beni contraffatti) hanno reso necessaria l'introduzione di disposizioni legislative in grado di rendere più efficiente l'organizzazione dei controlli doganali.

Il CDU è integrato da atti giuridici delegati che pertanto compongono il "pacchetto legislativo CDU". In particolare, il regolamento delegato (UE) 2015/2446 ha specificato alcune disposizioni del codice doganale dell'Unione (ed è stato successivamente modificato dal regolamento delegato (UE) 2018/1063 del 16.5.2018) e il regolamento di esecuzione (UE) 2015/2447 ha individuato le modalità applicative del CDU.

 

Evidentemente, tra l’altro, anche a questo pacchetto si sottrarrebbe il Regno Unito in caso di uscita senza accordo dall’UE, laddove proprio una forma di conservazione di unità doganale era prevista tra le norme transitorie dell’accordo stipulato con negoziatore Michel Barnier ma respinto dal Parlamento britannico.

 

Il comma 3 stabilisce che, nell'esercizio della delega, il Governo, oltre a seguire i princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge n. 234 del 2012 (per i quali si rimanda alla Scheda relativa all'articolo 1 del presente Dossier), preveda l'abrogazione esplicita delle norme nazionali incompatibili e il riordino e coordinamento di quelle residue. Il successivo comma 4 consente al Governo di emanare, nei ventiquattro mesi successivi alla data del primo esercizio della delega, disposizioni correttive e integrative dei relativi atti delegati.

 

In base al comma 2, i decreti legislativi sono adottati su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dell'economia e delle finanze. Il comma 5 reca la clausola di invarianza finanziaria.

 


 

Articolo 23
(Attuazione della direttiva (UE) 2018/844, che modifica la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia e la direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica)

 

L’articolo 23 inerisce alla direttiva (UE) 2018/844 (che modifica le direttive 2010/31/UE, sulla prestazione energetica nell’edilizia, e 2012/27/UE sull’efficienza energetica). Tra i criteri di esercizio della delega, il Governo dovrà assicurare che le norme introdotte favoriscano, nel rispetto delle disposizioni dell'Unione europea, l’ottimizzazione del rapporto tra costi e benefici, al fine di minimizzare gli oneri a carico della collettività.

 

La direttiva (UE) 2018/844 entrata in vigore il 9 luglio 2018 e composta di 5 articoli – si pone come obiettivo generale quello di promuovere una maggiore diffusione dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili negli edifici, al fine di ottenere riduzioni delle emissioni di gas serra e contribuire al tempo stesso ad aumentare la sicurezza dell'approvvigionamento energetico. Il termine di recepimento è il 10 marzo 2020.

In particolare, nei considerando della Direttiva viene evidenziato l’impegno dell'Unione di ridurre ulteriormente le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 40 % entro il 2030 rispetto al 1990. L'Unione si è altresì impegnata a elaborare un sistema energetico decarbonizzato e ad alta efficienza entro il 2050 e al parco immobiliare è riconducibile circa il 36 per cento di tutte le emissioni di CO2 nell'Unione.

 

In tale prospettiva, si provvede ad un riesame delle disposizioni fondamentali contenute nella direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica e della direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell'edilizia.

Peraltro, la direttiva in esame interviene anche in ragione del fatto che la Direttiva 2010/31/UE ha prescritto alla Commissione di procedere a una revisione della stessa entro il 1° gennaio 2017, alla luce dell'esperienza acquisita e dei progressi compiuti nel corso della sua applicazione.

 

L’articolo 1 della direttiva modifica ed integra dunque in più punti la Direttiva 2010/31/UE.

In primis, vengono trasferite le disposizioni sulle strategie di ristrutturazione a lungo termine- per fronteggiare rischi di incendi e attività sismica e migliorare l’efficienza energetica - previste nella Direttiva 2012/27/UE all’interno della Direttiva 2010/31/UE, nella quale si inseriscono con maggiore coerenza.

A tal fine, si introduce nella Direttiva 2010/31/CE un nuovo articolo 2-bis che disciplina la strategia di ristrutturazione a lungo termine. L’articolo sostituisce la disciplina in materia già contenuta nell’articolo 4 della Direttiva 2012/27/UE, che viene quindi contestualmente modificato dall’articolo 2 della direttiva in commento. In particolare, le azioni per la realizzazione della strategia di ristrutturazione a lungo termine già contenute nell’articolo 4 della Direttiva 2012/27/UE vengono ora trasposte, estese e precisate nel nuovo articolo 2-bis della Direttiva 2010/31/CE.

La finalità della Strategia è ottenere un parco immobiliare decarbonizzato e ad alta efficienza energetica entro il 2050, facilitando la trasformazione in termini di costi degli edifici esistenti in edifici a energia quasi zero.

Le azioni che devono essere comprese nelle strategie nazionali di ristrutturazione a lungo termine comprendono, in base alla Direttiva 2012/27/UE, politiche e azioni volte a stimolare ristrutturazioni degli edifici profonde ed efficaci in termini di costi, ottenibili per fasi. La nuova Direttiva integra tale disposto, stabilendo, tra l’altro, che all’interno delle Strategie nazionali possa essere contemplata l'introduzione di un sistema facoltativo di "passaporto" di ristrutturazione degli edifici.

Nella strategia ogni Stato membro deve fissare una tabella di marcia in vista dell'obiettivo di lungo termine per il 2050 di ridurre le emissioni di gas a effetto serra nell'Unione dell'80-95 % rispetto al 1990.

La tabella deve includere tappe indicative, con misure e indicatori di progresso misurabili, per il 2030, il 2040 e il 2050 in relazione al conseguimento degli obiettivi di efficienza energetica dell'Unione.

Il nuovo articolo 2-bis impone altresì agli Stati membri di facilitare l’accesso a meccanismi appropriati di sostegno agli investimenti nelle ristrutturazioni, tra i quali l’uso di fondi pubblici per stimolare investimenti privati supplementari o reagire a specifici fallimenti del mercato; fornire strumenti di consulenza accessibili e trasparenti, come sportelli unici per i consumatori, denominati "one-stop-shop” .

Nel Considerando n. 16) della Direttiva, si afferma che gli SM dovrebbero, in particolare, incoraggiare la concessione di prestiti ipotecari rivolti all'efficienza energetica per ristrutturazioni immobiliari la cui efficienza energetica è certificata, promuovere partenariati pubblico-privato o contratti facoltativi di rendimento energetico.

Ogni Stato membro deve effettuare una consultazione pubblica sulla Strategia in questione prima della sua presentazione alla Commissione UE e può ricorrere alla propria Strategia per far fronte ai rischi connessi all'intensa attività sismica e agli incendi che interessano le ristrutturazioni destinate a migliorare l'efficienza energetica e la durata degli edifici.

L’articolo 1 della Direttiva in esame interviene sulla disciplina, contenuta nell’articolo 6 della Direttiva 2010/31/UE, sui requisiti minimi di prestazione energetica degli edifici di nuova costruzione, introducendovi la previsione che gli Stati membri debbono altresì garantire che, prima dell'inizio dei lavori di costruzione, si tenga conto della fattibilità tecnica, ambientale ed economica dei sistemi alternativi ad alta efficienza, se disponibili. I sistemi alternativi ad alta efficienza vengono ora genericamente richiamati e non recano più una indicazione tassativa e vincolante come nel testo originario della Direttiva 2010/31/UE.

Parimenti, per quanto concerne gli edifici oggetto di ristrutturazione importante, l’articolo 1 della Direttiva qui in esame, attraverso una novella all’articolo 7 della Direttiva 2010/31/UE, prescrive che gli Stati membri incoraggino sistemi alternativi ad alta efficienza, nella misura in cui è tecnicamente, funzionalmente ed economicamente fattibile, e prendano in considerazione le questioni del benessere termo-igrometrico degli ambienti interni, della sicurezza in caso di incendi e dei rischi connessi all'intensa attività sismica.

Anche l’articolo 8 della Direttiva 2010/31/UE, concernente l’ottimizzazione del consumo energetico nei sistemi tecnici per l’edilizia, viene integrato dall’articolo 1 della Direttiva in esame con nuove previsioni, concernenti la mobilità elettrica e l’indicatore degli edifici all’intelligenza. L’obiettivo dell’indicatore è quello di “sensibilizzare i proprietari e gli occupanti sul valore dell’automazione degli edifici e del monitoraggio elettronico dei sistemi tecnici per l’edilizia e dovrebbe rassicurare gli occupanti circa i risparmi reali di tali nuove funzionalità migliorate” (considerando n. 30).

In primis, gli Stati membri debbono introdurre l’obbligo di installare laddove tecnicamente ed economicamente fattibile, nei nuovi edifici, dispositivi autoregolanti che controllino separatamente la temperatura in ogni vano o, quando giustificato, in una determinata zona riscaldata dell'unità immobiliare. Negli edifici esistenti l'installazione dei dispositivi autoregolanti è richiesta al momento della sostituzione dei generatori di calore, sempre laddove tecnicamente ed economicamente fattibile.

Per ciò che concerne la mobilità elettrica e l'installazione di punti di ricarica negli edifici residenziali e non residenziali nuovi ed esistenti, gli Stati membri devono prevedere semplificazioni anche amministrativo-autorizzatorie all'installazione di tali punti di ricarica.

Inoltre, negli edifici non residenziali di nuova costruzione e negli edifici non residenziali sottoposti a ristrutturazioni importanti, con più di dieci posti auto, la Direttiva prevede che gli Stati membri provvedano all'installazione di almeno un punto di ricarica e di infrastrutture di canalizzazione, per cavi elettrici, per almeno un posto auto su cinque, per consentire in una fase successiva di installare punti di ricarica per veicoli elettrici. La previsione opera laddove il parcheggio sia situato all'interno dell'edificio o ne sia adiacente e, nel caso di ristrutturazioni importanti, la ristrutturazione riguardi il parcheggio o le infrastrutture elettriche dell'edificio o del parcheggio. Gli SM devono inoltre stabilire i requisiti per l'installazione di un numero minimo di punti di ricarica per tutti gli edifici non residenziali con più di venti posti auto entro il 1° gennaio 2025.

Gli Stati membri possono escludere dalle previsioni sopra indicate gli edifici di proprietà di piccole e medie imprese, da esse occupati.

Per quanto riguarda gli edifici residenziali di nuova costruzione e gli edifici residenziali sottoposti a ristrutturazioni importanti con più di dieci posti auto, gli Stati membri devono assicurare l'installazione, in ogni posto auto, di infrastrutture di canalizzazione, per cavi elettrici, per consentire l'installazione in una fase successiva di punti di ricarica per i veicoli elettrici. La previsione opera laddove il parcheggio sia situato all'interno dell'edificio o ne sia adiacente e, nel caso di ristrutturazioni importanti, la ristrutturazione riguardi il parcheggio o le infrastrutture elettriche dell'edificio o del parcheggio.

Sono indicate casistiche specifiche di esclusione dalle previsioni di cui sopra, tra le quali la presentazione di domande di licenza edilizia o domande equivalenti entro il 10 marzo 2021, o laddove il costo delle installazioni di ricarica e di canalizzazione superi il 7 % del costo totale della ristrutturazione importante dell'edificio.

Per ciò che concerne l’automazione degli edifici, la Commissione viene delegata ad adottare, entro il 31 dicembre 2019 ,un atto delegato integrativo della Direttiva in esame ed istitutivo di un sistema comune facoltativo a livello di Unione per valutare la predisposizione degli edifici all'intelligenza, con la definizione di un indicatore di predisposizione degli edifici all'intelligenza e una metodologia con la quale esso dev'essere calcolato , in conformità dell'allegato I-bis della Direttiva in esame che fissa il “quadro generale comune per la valutazione della predisposizione degli edifici all'intelligenza”.

L’articolo 10, paragrafo 6, della Direttiva 2010/31/UE, concernente gli incentivi finanziari destinati a migliorare l’efficienza energetica, viene anch’esso modificato al fine di introdurvi specifici criteri in base ai quali Stati membri debbono ancorare le rispettive misure finanziarie in occasione della ristrutturazione degli edifici ai risparmi energetici perseguiti o conseguiti.

Inoltre, le banche dati degli attestati di prestazione energetica devono consentire la raccolta di dati relativi al consumo di energia, misurato o calcolato, degli edifici contemplati, compresi almeno gli edifici pubblici (nuovo paragrafo 6 e 6 bis dell’articolo 10 della Direttiva 2010/31/UE).

L’articolo 1 della direttiva in esame modifica poi la disciplina dell’ispezione degli impianti di riscaldamento e degli impianti di condizionamento dell'aria di cui, rispettivamente, all’articolo 14 e all’articolo 15 della Direttiva 2010/31/UE.

Gli SM devono prevedere, in particolare, ispezioni periodiche degli impianti di riscaldamento e degli impianti di condizionamento d'aria, anche laddove tali impianti siano combinati con impianti di ventilazione di ambienti con potenza nominale utile superiore a 70 KW.

Viene altresì introdotto l’obbligo per gli SM di stabilire i requisiti affinché, laddove tecnicamente ed economicamente fattibile, gli edifici non residenziali con una potenza nominale utile superiore a 290 kW per gli impianti di riscaldamento e per gli impianti di condizionamento dell’aria anche combinati con impianti di ventilazione siano dotati di sistemi di automazione e controllo entro il 2025. Gli Stati membri sono poi facoltizzati a stabilire i requisiti affinché gli edifici residenziali siano attrezzati con: a) la funzionalità di monitoraggio elettronico continuo, che misura l'efficienza dei sistemi e informa i proprietari o gli amministratori dei cali significativi di efficienza e della necessità di manutenzione; b) funzionalità di regolazione efficaci ai fini della generazione, della distribuzione, dello stoccaggio e del consumo ottimali dell'energia.

Gli edifici non residenziali dotati di sistemi di automazione e controllo e gli edifici residenziali dotati delle funzionalità di monitoraggio continuo e di regolazione, di cui sopra, sono esentati dalle ispezioni periodiche.

Con una novella all’articolo 19, all’articolo 23 e all’articolo 26 della testé citata direttiva, si prevede poi che la Commissione – assistita da un Comitato (come consentito dal Reg. UE n. 182/2011) – valuti la Direttiva 2010/31/UE entro il 1° gennaio 2026, alla luce dell'esperienza maturata e dei progressi compiuti durante la sua applicazione e, se necessario, presenta proposte a riguardo, Alla Commissione viene demandato in particolare il compito di valutare la necessità di migliorare ulteriormente gli attestati di prestazione energetica. La Commissione ha il potere di adottare atti delegati di cui agli art. 5 e 8(calcolo dei livelli ottimali di prestazione energetica in funzione dei costi e adozione di sistema comune facoltativo di predisposizione degli edifici all’intelligenza), e 22 (adeguamento al progresso tecnico dei criteri di calcolo della prestazione energetica degli edifici) della Direttiva del 2010. In proposito vengono soppressi gli articoli 24 e 25 della Direttiva del 2010 sulla revoca della delega e sulle obiezioni agli atti delegati.

Con l’introduzione di un nuovo articolo 19-bis all’interno della Direttiva del 2010 si prevede la conclusione, da parte della Commissione, prima del 2020, di uno studio di fattibilità in cui illustra possibilità e tempistiche per introdurre l'ispezione di impianti autonomi di ventilazione e un passaporto facoltativo di ristrutturazione degli edifici complementare agli attestati di prestazione energetica.

Viene novellato l’articolo 20, paragrafo 2 della Direttiva del 2010, relativo alle informazioni che gli Stati membri devono fornire ai proprietari o locatari di edifici sugli attestati di prestazione energetica. Si specifica ora che gli Stati membri forniscono tali informazioni mediante strumenti di consulenza accessibili e trasparenti, come le consulenze in materia di ristrutturazione e gli sportelli unici (one-stop-shop) e le informazioni debbono concernere anche la sostituzione delle caldaie a combustibile fossile con alternative più sostenibili

Ai sensi dell’articolo 4, la Direttiva è entrata in vigore il 9 luglio 2018 (ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione in G.U.U.E).

Si ricorda che la Commissione europea  ha recentemente annunciato la Strategia europea per un impatto climatico zero entro il 2050, nell'ambito del percorso per rendere l’economia europea più rispettosa del clima ed efficiente dal punto di vista del consumo energetico. Si prevede che entro il 2050 l'UE riduca le emissioni di gas a effetto serra dell'80% rispetto ai livelli del 1990, con tappe per raggiungere questo risultato quali una riduzione delle emissioni del 40% entro il 2030 e del 60% entro il 2040; si prevede poi che tutti i settori diano il loro contributo e che la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio sia fattibile ed economicamente abbordabile.

 

Infine, viene modificato l’Allegato I della Direttiva del 2010/31/UE sui criteri e la metodologia di calcolo della prestazione energetica di un edificio. Essa è determinata sulla base del consumo di energia calcolato o effettivo e riflette l'uso normale di energia dell'edificio per tutte le seguenti attività: riscaldamento degli ambienti, rinfrescamento degli ambienti, produzione di acqua calda per uso domestico, ventilazione, l'illuminazione incorporata e altri sistemi tecnici per l'edilizia. Nel testo originario si faceva riferimento al solo riscaldamento e il rinfrescamento (energia necessaria per evitare un surriscaldamento).

 

Il termine di recepimento è il 10 marzo 2020.

 

 

Tra i criteri di esercizio della delega, il Governo dovrà assicurare che le norme introdotte favoriscano, nel rispetto delle disposizioni dell'Unione europea, l’ottimizzazione del rapporto tra costi e benefici, al fine di minimizzare gli oneri a carico della collettività.

Nel corso dell'esame presso la Camera, era stato soppresso il riferimento, a tale riguardo, alla possibilità di perseguire tali finalità 'anche mediante la sostituzione di sanzioni amministrative pecuniarie a quelle di ordine civilistico', previsione dunque non più contenuta nella norma.

 

La relazione illustrativa al disegno di legge di delegazione evidenzia che, secondo le stime della Commissione, il recepimento nell’Unione europea delle disposizioni contenute nella direttiva comporterà un'attività edilizia supplementare collegata all'energia per un valore di 47,6 miliardi di euro entro il 2030. La riduzione della spesa energetica annuale per imprese e famiglie dell’Unione europea corrisponderà ad un importo compreso tra 24 e 36 miliardi di euro. Sebbene negli ultimi anni si siano ottenuti netti progressi nel miglioramento dell'efficienza del settore grazie all’applicazione delle direttive precedenti (dopo l'entrata in vigore della direttiva del 2002/91/CE sul rendimento energetico nell'edilizia si è ridotto il consumo energetico annuo per superficie e a ciò ha ulteriormente contribuito la rifusione della direttiva nella successiva direttiva 2010/31/UE) la Commissione europea ha valutato che l’efficientamento del parco immobiliare esistente procede ad un ritmo comunque insoddisfacente rispetto all’enorme potenziale di risparmio energetico che il settore civile può mettere a disposizione. Di qui l’input all’intervento normativo in esame.

In recepimento della direttiva 2010/31/UE in materia di certificazione energetica degli edifici, con l’articolo 6 del decreto-legge n.63/2013, è stato introdotto l'attestato di prestazione energetica degli edifici (APE) che sostituisce il precedente attestato di certificazione energetica. Il nuovo attestato è in vigore a decorrere dal 1° ottobre 2015. Il 1° ottobre 2015 sono infatti entrati in vigore i decreti ministeriali attuativi della misura (S.O. n. 39 alla Gazzetta Ufficiale n. 162 del 15 luglio).

 

Sempre in recepimento di quanto disposto dalla Direttiva 2010/31/UE, l’articolo 5 del D.L. n. 63/2013, ha introdotto nel D.Lgs. n. 192/2005 l’articolo 4-bis (edifici ad energia quasi zero) il quale prevede che:

-          a partire dal 31 dicembre 2018, gli edifici di nuova costruzione occupati da pubbliche amministrazioni e di proprietà di queste ultime, ivi compresi gli edifici scolastici, devono essere edifici a energia quasi zero;

-          dal 1° gennaio 2021 la disposizione è estesa a tutti gli edifici di nuova costruzione.

La norma citata ha altresì introdotto la previsione della definizione - con decreto del Ministero dello sviluppo economico, entro il 30 giugno 2014 -  del Piano d'azione destinato ad aumentare il numero di edifici a energia quasi zero da trasmettersi alla Commissione europea. Il Piano d'azione comprende, tra l'altro: le politiche e le misure finanziarie o di altro tipo previste per promuovere gli edifici a energia quasi zero, comprese quelle sulle misure nazionali per l’uso delle fonti rinnovabili; l'individuazione, sulla base dell'analisi costi-benefici, di casi specifici per i quali non si applica l’obbligo per gli edifici di nuova costruzione di essere ad energia quasi zero; d) gli obiettivi intermedi di miglioramento della prestazione energetica degli edifici di nuova costruzione entro il 2015.

Il Decreto interministeriale 19 giugno 2017 ha approvato il «Piano d'azione nazionale per incrementare gli edifici ad energia quasi zero».

 

la Direttiva 2012/27/UE è stata recepita a livello nazionale con il Decreto Legislativo 102/2014, successivamente modificato e integrato dal D.Lgs. n. 141/2016. Il D.Lgs. contiene una serie di misure eterogenee per la promozione e il miglioramento dell'efficienza e molteplici adempimenti per realizzarle, in capo a più soggetti istituzionali. In via sintetica, per ciò che qui rileva si ricorda:

·         la previsione di interventi per una migliore e più trasparente misurazione e fatturazione dei consumi energetici (anche attraverso l'ausilio di contatori intelligenti evoluti), con l'attribuzione all'ARERA di adottare provvedimenti in tal senso (articolo 9, modificato dal D.Lgs n. 141/2016 e, successivamente dal D.L. n. 244/2016, cd. Milleproroghe);

·         il potenziamento dell'efficacia del meccanismo dei certificati bianchi, attraverso la revisione delle relative linee guida, realizzata con il D.M. 11 gennaio 2017 e del conto termico, quali misure per l'attuazione del regime obbligatorio di efficienza energetica di cui alla direttiva 2012/27/UE (articolo 7). Si segnala, in proposito, l'adozione del nuovo conto termico 2.0, con il D.M. 16 febbraio 2016, il quale aggiorna la disciplina per l'incentivazione di interventi di piccole dimensioni per l'incremento dell'efficienza energetica e per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili di cui al previgente D.M. 28 dicembre 2012. Il nuovo conto termico trova applicazione per le domande presentate dal 31 maggio 2016.

·         l'istituzione del Fondo per l'efficienza energetica, finalizzato a dare supporto alla riqualificazione energetica degli edifici della Pubblica Amministrazione ed agli interventi per la riduzione dei consumi di energia nei settori dell'industria e dei servizi (articolo 15 e D.M. attuativo 22 dicembre 2017).

·         le norme per la diffusione delle informazioni e per la formazione sull'uso efficiente dell'energia di imprese, pubbliche amministrazioni e cittadini inclusive delle modalità di utilizzo di strumenti incentivanti (articoli 12-14).

 

Il D. Lgs. n.102 del 2014 prevede specifiche misure per la promozione dell'efficienza energetica negli edifici privati e pubblici (articolo 4) e, in particolare, il programma per rendere più efficiente il patrimonio edilizio pubblico (articolo 5). In tali misure, si inserisce anche l'adeguamento dei criteri e delle procedure per l'acquisto di beni e servizi delle PP.AA. centrali ai requisiti minimi di efficienza energetica (articolo 6).

Anche a tal fine il D.Lgs. ha previsto l’istituzione di una cabina di regia per il coordinamento degli interventi per l'efficienza energetica, composta dal Ministero dello sviluppo economico, che la presiede, e dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. La cabina di regia si può avvalere della collaborazione di ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile) e GSE (Gestore Servizi Energetici). Tra gli obiettivi principali, quello di coordinare l’attuazione del programma per la riqualificazione energetica degli edifici della pubblica amministrazione centrale (articolo 4). Il D.M. 9 gennaio 2015 ha disciplinato le “modalità di funzionamento della cabina di regia”.

 

In particolare, l’articolo 4 del D.Lgs. n. 102/2014 ha demandato all’'ENEA, nel quadro dei piani d'azione nazionali per l'efficienza energetica (PAEE), elaborazione di una proposta di interventi di medio-lungo termine per il miglioramento della prestazione energetica degli immobili, sia pubblici che privati, e la sottoposizione del documento all'approvazione del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, d'intesa con la Conferenza unificata.

A novembre 2015 è stata adottata dall’ENEA la Strategia per la riqualificazione energetica del parco immobiliare nazionale.

L’articolo 5 ha demandato al MISE la predisposizione, ogni anno, a decorrere dal 2014, di un programma di interventi per il miglioramento della prestazione energetica degli immobili della pubblica amministrazione centrale coerente con le seguenti finalità:

-          riqualificare almeno il 3 per cento annuo della superficie coperta utile climatizzata o, in alternativa,

-          conseguire un risparmio energetico cumulato nel periodo 2014- 2020 di almeno 0,04 Mtep.

Al fine di predisporre il citato programma, le PP.AA. centrali devono presentare annualmente, anche in forma congiunta, proposte di intervento per la riqualificazione energetica degli immobili dalle stesse occupati, sulla base di appropriate diagnosi energetiche o con riferimento agli interventi di miglioramento energetico previsti dall'attestato di prestazione energetica.

Il D.M. 16 settembre 2016, attuativo dell’articolo 5, comma 5 del D.Lgs. 102/2014, reca le “Modalità di attuazione del programma di interventi per il miglioramento della prestazione energetica degli immobili della pubblica amministrazione centrale”.

In attuazione dell’art. 16, comma 3 del D.M. sono state realizzate delle Linee Guida al "Programma per la Riqualificazione Energetica degli edifici della Pubblica Amministrazione Centrale (PREPAC)".

Il Decreto interministeriale 31 maggio 2018 ha approvato il programma di interventi 2017 per il miglioramento della prestazione energetica degli immobili della pubblica amministrazione centrale (PREPAC 2017).

Infine, si ricorda che il potenziamento dell’efficienza energetica degli edifici è perseguito dal legislatore nazionale anche attraverso un apposito regime di detrazioni fiscali per tali interventi.

 


 

Articolo 24
(Adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1938, concernente misure volte a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di gas e che abroga il regolamento (UE) n. 994/2010)

 

L’articolo 24 delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di delegazione, acquisito il parere delle competenti Commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) 2017/1938 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2017, concernente misure volte a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di gas e che abroga il regolamento (UE) n. 994/2010.

 

In particolare, la relazione illustrativa evidenzia che l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1938 fa riferimento, in primo luogo, all’attuazione dei meccanismi di solidarietà ivi previsti, incluso l’affidamento di compiti determinati ai gestori del sistema di trasporto e agli operatori del gas interessati; in secondo luogo, all’individuazione di criteri direttivi in tema di compensazioni economiche tra Stati membri e soggetti interessati, per le attività connesse all'attuazione dei meccanismi stessi, anche in coordinamento con l’Autorità di regolazione per gli aspetti di competenza; in terzo luogo, alla competenza ad intervenire per garantire misure in materia di sicurezza degli approvvigionamenti anche nelle zone emergenti e isolate.

 

 

Il Regolamento (UE) 2017/1938

 

Il regolamento (UE) 2017/1938 prevede misure di rafforzamento della sicurezza energetica dell’Unione europea, che rappresenta uno degli obiettivi della strategia dell'Unione dell'energia, indicati nella comunicazione della Commissione COM (2015) 80 final del 25 febbraio 2015. In particolare, il regolamento (che abroga il regolamento (UE) n. 994/2010, rispetto al quale intende migliorare le azioni di prevenzione e di mitigazione) introduce misure volte a far fronte ad un’eventuale carenza (shortage) di gas causata da interruzioni nelle forniture o da una domanda straordinariamente elevata, al fine di assicurare la continuità dell’approvvigionamento di gas nei Paesi dell’Unione. Il regolamento dispone misure atte a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di gas nell'Unione assicurando il corretto e costante funzionamento del mercato interno del gas naturale, permettendo l'adozione di misure eccezionali da attuare qualora il mercato non sia più in grado di fornire i necessari approvvigionamenti di gas, comprese misure di solidarietà di ultima istanza, e prevedendo la chiara definizione e attribuzione delle responsabilità fra le imprese di gas naturale, gli Stati membri e l'Unione per quanto riguarda l'azione preventiva e la reazione a reali interruzioni dell'approvvigionamento di gas.

A tali fini, il Regolamento, all’art. 3, attribuisce la sicurezza dell'approvvigionamento di gas alla responsabilità condivisa delle imprese di gas naturale, degli Stati membri, in particolare attraverso le autorità competenti, e della Commissione, nell'ambito dei rispettivi settori di attività e competenza, prevedendo che ciascuno Stato membro designi un'autorità competente. È istituito (art. 4) un gruppo di coordinamento del gas (GCG), presieduto dalla Commissione e volto a facilitare il coordinamento delle misure relative alla sicurezza dell'approvvigionamento di gas, composto di rappresentanti degli Stati membri, in particolare rappresentanti delle rispettive autorità competenti, dell'Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia («Agenzia»), dell'ENTSOG e degli organi rappresentativi del settore interessato e di quelli dei pertinenti clienti. Il GCG assiste la Commissione, in particolare per quanto riguarda le seguenti questioni: a) la sicurezza dell'approvvigionamento di gas, in qualsiasi momento e più specificamente in caso di emergenza; b) tutte le informazioni importanti della sicurezza dell'approvvigionamento di gas a livello nazionale, regionale e dell'Unione; c) le buone prassi ed eventuali linee guida destinate a tutte le parti interessate; d) il livello di sicurezza dell'approvvigionamento di gas, i parametri di riferimento e i metodi di valutazione; e) gli scenari nazionali, regionali e dell'Unione e le prove per determinare il grado di preparazione; f) la valutazione dei piani d'azione preventivi e dei piani di emergenza, la coerenza tra i vari piani e l'attuazione delle misure ivi contemplate; g) il coordinamento delle misure intese a far fronte all'emergenza dell'Unione, con le parti contraenti della Comunità dell'energia e con altri paesi terzi; h) l'assistenza necessaria per gli Stati membri più colpiti.

Sono inoltre definiti i c.d. Standard di approvvigionamento di gas: l’art. 6 prevede infatti che l'autorità competente prescriva alle imprese di gas naturale, che l'autorità stessa identifica, di adottare misure volte ad assicurare ai clienti protetti dello Stato membro l'approvvigionamento di gas in ciascuno dei casi seguenti: a) temperature estreme per un periodo di picco di sette giorni che secondo la probabilità statistica ricorre una volta ogni vent'anni; b) un periodo di trenta giorni di domanda di gas eccezionalmente elevata che secondo la probabilità statistica ricorre una volta ogni vent'anni; c) un periodo di trenta giorni in caso di interruzione dell'operatività dell'infrastruttura principale del gas in condizioni invernali medie.

Ogni Stato membro notifica alla Commissione le proprie definizioni di clienti protetti, i volumi di consumo annuo di gas dei clienti protetti e la percentuale del consumo totale annuo finale di gas che tali volumi di consumo rappresentano in tale Stato membro.

L’istituzione di standard di sicurezza dell'approvvigionamento sufficientemente armonizzati è finalizzata a far fronte, come evidenziato nel Considerando n. 31, a situazioni come quella verificatasi nel gennaio 2009, a causa delle interruzioni dell'approvvigionamento di gas proveniente dalla Russia. Tali standard tengono conto delle differenze tra Stati membri, degli obblighi di servizio pubblico e delle misure a tutela dei clienti. Gli standard di sicurezza dell'approvvigionamento dovrebbero essere stabili, ai fini della certezza giuridica, e chiari, senza gravare in modo eccessivo e sproporzionato sulle imprese di gas naturale. Gli Stati membri dovrebbero definire misure che garantiscano, in modo efficace e proporzionato, la conformità delle imprese di gas naturale a tali standard, nonché la possibilità di stabilire sanzioni per i fornitori, qualora lo ritengano opportuno.

Il Regolamento adotta un approccio a tre livelli, che coinvolge, innanzitutto, le imprese di gas naturale pertinenti e il settore, in secondo luogo gli Stati membri a livello nazionale o regionale e, in terzo luogo, l'Unione. Si specifica infatti (cfr. Considerando n. 32) che, al fine di mantenere efficiente il funzionamento del mercato interno del gas, in particolare in caso di interruzione dell'approvvigionamento e in situazioni di crisi, è opportuno definire con precisione il ruolo e le responsabilità di tutte le imprese di gas naturale e di tutte le autorità competenti.

In primo luogo, lo Stato membro che ha dichiarato l'emergenza dovrebbe attuare in particolare tutte le misure previste dal suo piano di emergenza al fine di garantire l'approvvigionamento di gas ai propri clienti protetti nel quadro della solidarietà. Nel contempo tutti gli Stati membri che hanno introdotto un aumento dello standard di approvvigionamento dovrebbero ridurlo temporaneamente allo standard di approvvigionamento ordinario per rendere più liquido il mercato del gas, nell'eventualità che lo Stato membro che dichiara lo stato di emergenza indichi la necessità di un'azione transfrontaliera. Se queste due serie di misure non riescono ad assicurare l'approvvigionamento necessario, gli Stati membri direttamente connessi dovrebbero adottare misure di solidarietà per assicurare l'approvvigionamento di gas ai clienti protetti nel quadro della solidarietà nello Stato membro in situazione di emergenza su richiesta di tale Stato membro.

Tali misure di solidarietà dovrebbero consistere nel garantire una riduzione o un'interruzione dell'approvvigionamento di gas ai clienti diversi dai clienti protetti, al fine di liberare i volumi di gas, nella misura necessaria e fintantoché non sia assicurato l'approvvigionamento di gas ai clienti protetti nel quadro della solidarietà nello Stato membro richiedente solidarietà.

A tale proposito, si precisa (v. Considerando n. 60) che l'obiettivo della salvaguardia della sicurezza dell'approvvigionamento di gas nell'Unione “non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri ma, a motivo della sua portata e dei suoi effetti, può essere conseguito meglio a livello di Unione”: quest'ultima, quindi, può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del Trattato sull'Unione europea. Collateralmente, il Considerando n. 39 specifica che i meccanismi di solidarietà (art. 13 del Regolamento) assicurano la cooperazione con Stati membri più vulnerabili e, allo stesso tempo, rappresentano una misura di ultima istanza che si applica solo in una situazione di emergenza e solo a condizioni restrittive. Pertanto, si specifica che se uno Stato membro ha dichiarato l'emergenza, è opportuno procedere con un approccio graduale e proporzionato per garantire la sicurezza dell'approvvigionamento di gas.

In tale ottica, il regolamento rafforza la cooperazione regionale tra Stati membri, proponendo una stretta cooperazione tra gli stessi nell’elaborazione delle valutazioni regionali dei rischi, che saranno affrontati in piani d'azione preventivi e in piani d'emergenza, notificati dalla Commissione entro il 1° marzo 2019. Entro 4 mesi dalla notifica, la Commissione esamina tali piani tenendo conto dei pareri espressi su di essi dal GCG (articoli da 7 a 10 del Regolamento).

Il regolamento stabilisce anche meccanismi di trasparenza (art. 14 sullo scambio di informazioni) che riguardano, in uno spirito di solidarietà, il coordinamento della pianificazione e delle contromisure da attuare in caso di emergenze a livello nazionale, regionale e dell'Unione

L’art. 11 del Regolamento riconosce un sistema proporzionato di gestione delle crisi e scambio di informazioni basato su tre livelli di crisi: preallarme (qualora ci siano informazioni concrete, serie e affidabili che possa verificarsi un evento che rischi di deteriorare gravemente la situazione dell'approvvigionamento di gas innescando il livello di allarme o di emergenza); allarme (qualora un'interruzione dell'approvvigionamento di gas o una domanda di gas eccezionalmente elevata deteriori gravemente la situazione dell'approvvigionamento di gas, ma il mercato è ancora in grado di farvi fronte senza dover ricorrere a misure non di mercato); emergenza (qualora ci sia una domanda di gas eccezionalmente elevata, o grave interruzione o altro serio deterioramento dell'approvvigionamento di gas e tutte le misure di mercato sono state attuate ma l'approvvigionamento di gas è insufficiente a soddisfare la domanda rimanente. Quando l'autorità competente di uno Stato membro dichiara uno dei livelli di crisi, essa ne informa immediatamente la Commissione nonché le autorità competenti degli Stati membri cui lo Stato membro di tale autorità competente è direttamente connessa. In caso di dichiarazione dello stato di emergenza, ne sono informati anche gli Stati membri nel gruppo di rischio. La Commissione dichiara: lo stato di emergenza a livello regionale o dell'Unione su richiesta di almeno due autorità competenti che hanno dichiarato lo stato di emergenza; la fine di un'emergenza a livello regionale o dell'Unione se, dopo aver valutato la situazione, conclude che la dichiarazione dello stato di emergenza non è più giustificata.

 

Il comma 2 chiarisce che i decreti legislativi di cui al comma 1 sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia e dell'economia e delle finanze.

 

Il comma 3 enumera i principi e ai criteri direttivi che il Governo è tenuto a seguire nell'esercizio della delega: si tratta, oltre che dei principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 32 della legge n. 234 del 2012 (per i quali si rinvia al commento relativo all’art. 1 del provvedimento), anche dei seguenti principi e criteri direttivi specifici:

a) riordino, coordinamento e aggiornamento delle disposizioni nazionali, con abrogazione espressa delle disposizioni incompatibili, per l’attuazione dei meccanismi di solidarietà previsti dallo stesso regolamento e per la definizione di misure in materia di sicurezza degli approvvigionamenti anche nelle zone emergenti e isolate;

In particolare, si fa riferimento alle disposizioni del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, di attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144, nonché del decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93, recante attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE.

In particolare, si ricorda che il D. Lgs. n. 164/2000, come successivamente modificato dal D. Lgs. n. 93/2011, ha previsto:

-    che, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, fossero stabilite regole per il dispacciamento in condizioni d'emergenza e definiti gli obblighi di sicurezza del sistema nazionale del gas naturale (art. 8, comma 7)[23];

-    che il Ministero dello sviluppo economico provvedesse altresì alla sicurezza, all'economicità e alla programmazione a lungo termine del sistema nazionale del gas, e persegue tali obiettivi anche mediante specifici indirizzi con le finalità di salvaguardare la continuità e la sicurezza degli approvvigionamenti, il funzionamento coordinato del sistema degli stoccaggi e di ridurre la vulnerabilità del sistema nazionale del gas (art. 28, comma 2)[24];

-    che, in caso di crisi del mercato dell'energia o di gravi rischi per la sicurezza della collettività, dell'integrità delle apparecchiature e degli impianti di utilizzazione del gas naturale, il Ministero dello sviluppo economico potesse adottare le necessarie misure temporanee di salvaguardia[25].

Il D. Lgs. n. 93/2011 ha poi previsto:

-    l’emanazione, da parte del Ministro dello sviluppo economico, di atti di indirizzo e l’adozione degli opportuni provvedimenti al fine di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti per il sistema del gas naturale e dell'energia elettrica, anche in funzione delle misure per far fronte ai picchi della domanda e alle carenze delle forniture di uno o più fornitori (art. 1, comma 1)[26];

-    la definizione, da parte del Ministero dello sviluppo economico, di un piano di azione preventivo e di un piano di emergenza e monitoraggio della sicurezza degli approvvigionamenti di gas naturale, in attuazione degli articoli 5 e 10 del regolamento UE[27];

Nell’imminenza dell’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2017/1938, alla luce della necessità di adottare misure atte a garantire - a seguito di eventi sfavorevoli conseguenti a condizioni climatiche avverse durante ciascun periodo invernale o ad inattese riduzioni degli approvvigionamenti di gas naturale - la copertura del fabbisogno previsto, il MISE ha aggiornato i vigenti Piano di azione preventiva e Piano di emergenza (emanati ai sensi dell’articolo 8, comma 1, del D.Lgs. n. 93/2011, in conformità con le disposizioni del Regolamento (UE) n. 994/2010, che ora il Regolamento (UE) 2017/1938 ha abrogato), con l’emanazione del D.M. 18 ottobre 2017, contenente il Piano di Azione Preventiva del sistema italiano del gas naturale (All. 1), nonché il Piano di Emergenza del sistema italiano del gas naturale (All. 2).

 

b) individuazione delle modalità tecniche e finanziarie per l’applicazione delle misure di solidarietà in caso di emergenza del sistema del gas naturale ai sensi dell’articolo 13 del regolamento (UE) 2017/1938, anche al fine di prevedere che determinati compiti, nell’espletamento del meccanismo di solidarietà, siano affidati ai gestori del sistema di trasporto e agli operatori del gas interessati;

Si ricorda in proposito che l’art. 13 prevede, in caso di richiesta, da parte di uno Stato membro, di applicazione di una misura di solidarietà, che lo Stato membro direttamente connesso allo Stato membro richiedente o, se questo lo prevede, la sua autorità competente oppure il gestore di sistemi di trasporto o di distribuzione adotti, per quanto possibile senza creare situazioni pericolose, le misure necessarie per garantire che l'approvvigionamento di gas ai clienti diversi dai clienti protetti nel quadro della solidarietà nel suo territorio sia ridotta o interrotta nella misura necessaria e fintantoché non sia assicurato l'approvvigionamento di gas ai clienti protetti nel quadro della solidarietà nello Stato membro richiedente. Lo Stato membro richiedente assicura che il volume di gas in questione sia effettivamente fornito ai clienti protetti nel quadro della solidarietà nel proprio territorio.

 

c) individuazione dei criteri per la determinazione delle compensazioni economiche per le attività connesse all'attuazione dell’articolo 13 del regolamento (UE) 2017/1938, anche sulla base delle indicazioni fornite dall’Autorità di regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) per gli aspetti di competenza;

Si ricorda, infatti, che, ai sensi del citato art. 13 del Regolamento, la solidarietà è prestata sulla base della compensazione. Lo Stato membro richiedente solidarietà versa tempestivamente o assicura il tempestivo versamento di un'equa compensazione allo Stato membro che presta solidarietà. Tale equa compensazione copre almeno: a) il gas distribuito nel territorio dello Stato membro richiedente; b) tutti gli altri costi pertinenti e ragionevoli sostenuti nel prestare solidarietà, compresi, se del caso, i costi di tali misure eventualmente stabiliti in precedenza; c) il versamento di eventuali compensazioni derivanti da procedimenti giudiziari, procedimenti arbitrali o analoghi e conciliazioni, nonché delle relative spese giudiziali che interessano lo Stato membro che presta solidarietà nei confronti dei soggetti coinvolti in tale prestazione di solidarietà.

 

d) previsione di sanzioni amministrative effettive, proporzionate e dissuasive applicabili in caso di mancato rispetto delle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1938, nei limiti di cui all’articolo 32 della legge n. 234 del 2012 (per i quali si rinvia al commento relativo all’art. 1 del provvedimento).

 

Il comma 4 reca la clausola di invarianza finanziaria, disponendo che dall'attuazione dell’articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti ivi previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

 

Si ricorda infine che rientrano proprio tra gli obiettivi al 2030 della nuova Strategia energetica nazionale 2017(SEN)[28], in coerenza con il Regolamento (UE) 2017/1938:

-    la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, attraverso l’ottimizzazione dell’uso delle infrastrutture esistenti e con lo sviluppo di nuove infrastrutture di importazione, sia via gasdotto, che GNL, realizzate da soggetti privati;

-    il miglioramento della flessibilità del sistema nazionale rispetto alle fonti di approvvigionamento;

-    il miglioramento del margine di sicurezza in caso di elevati picchi di domanda;

-    il coordinamento dei piani di emergenza nazionali con quelli degli altri Paesi che sono collegati al medesimo corridoio di approvvigionamento fisico, come previsto dal nuovo regolamento europeo sulla sicurezza del sistema del gas, stabilendo anche possibili misure di solidarietà tra Stati Membri.

 

Il medesimo documento richiama il Regolamento (UE) 2017/1938 anche con riferimento alle misure relative alla solidarietà tra gli Stati Membri in caso di gravi problemi di approvvigionamento, le quali si dovranno basare su un efficiente sistema di trasporto del gas anche al fine di far transitare volumi provenienti da differenti rotte di approvvigionamento verso i mercati europei in crisi. L’Italia ha l’opportunità - si evidenzia nel documento – di:

-    differenziare la provenienza degli approvvigionamenti al sistema nazionale ai fini della propria sicurezza e di quella degli altri mercati europei, che potranno usufruire, non soltanto in caso di crisi, di altre fonti;

-   ottenere benefici economici dalla possibilità che il gas possa transitare verso altri Paesi europei, siano essi dovuti alla crescente liquidità, alle tariffe di transito verso altri hub oppure agli accordi economici stipulati per fornire solidarietà ad altri Stati Membri.


 

Articolo 25
(Principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/692 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, che modifica la direttiva 2009/73/CE relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale)

 

L'articolo in esame è stato inserito dal Senato.

 

Il comma 1 delega il Governo ad attuare la direttiva (UE) 2019/692 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, che modifica la direttiva 2009/73/CE relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale.

Nell'esercizio della delega il Governo, oltre a seguire i princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 1, comma 1 (alla cui scheda di lettura si rinvia), definisce le deroghe previste all'articolo 14 e all'articolo 49 bis della direttiva modificata, nei limiti stabiliti dalla stessa direttiva, con riferimento ai gasdotti di trasporto tra uno Stato membro e un paese terzo completati prima del 23 maggio 2019 per le sezioni dei gasdotti di trasporto situate sul territorio nazionale e nelle acque territoriali italiane.

 

In sintesi, l'articolo 14 della direttiva 2009/73/CE individua le condizioni al cui ricorrere gli Stati membri possono decidere di non applicare il principio che impone - a decorrere dal 3 marzo 2012 la separazione tra attività di produzione e fornitura e controllo e gestione di sistemi di trasporto - previsto dall’articolo 9, paragrafo 1 - e designare un gestore di sistemi indipendente su proposta del proprietario del sistema di trasporto. Tale designazione è soggetta all’approvazione della Commissione.

La direttiva (UE) 2019/692 introduce l'articolo 49-bis nella direttiva 2009/73/CE.

La nuova disposizione prevede che, per quanto riguarda i gasdotti di trasporto tra uno Stato membro e un paese terzo completati prima del 23 maggio 2019, lo Stato membro in cui è situato il primo punto di connessione di tale gasdotto di trasporto con la rete di uno Stato membro può decidere di derogare ad alcune previsioni dettate nella direttiva 2009/73/CE (si tratta degli articoli 9, 10, 11 e 32 e dell'articolo 41, paragrafi 6, 8 e 10), per le sezioni del gasdotto di trasporto situati sul suo territorio e nelle sue acque territoriali, per motivi oggettivi quali consentire il recupero dell'investimento effettuato o per motivi legati alla sicurezza dell'approvvigionamento, a patto che la deroga non abbia ripercussioni negative sulla concorrenza, sull'efficace funzionamento del mercato interno del gas naturale o sulla sicurezza dell'approvvigionamento nell'Unione.

Le disposizioni oggetto di deroga riguardano:

·         la separazione dei sistemi di trasporto e dei gestori dei sistemi di trasporto (articolo 9);

·         la designazione e certificazione dei gestori dei sistemi di trasporto (articolo 10);

·         la certificazione in relazione ai paesi terzi (articolo 11);

·         l'accesso dei terzi (articolo 32);

·         le metodologie fissate dalle autorità di regolamentazione per: a) la connessione e l’accesso alle reti nazionali, comprese le tariffe di trasporto e distribuzione e le modalità, le condizioni e le tariffe per l’accesso agli impianti di GNL, b) la prestazione di servizi di bilanciamento, c) l’accesso alle infrastrutture transfrontaliere, comprese le procedure di assegnazione delle capacità e di gestione della congestione (articolo 41, § 6);

·         gli incentivi, sia a breve che a lungo termine, per migliorare l’efficienza, promuovere l’integrazione del mercato e la sicurezza dell’approvvigionamento e sostenere le attività di ricerca correlate, che le autorità di regolamentazione - in sede di fissazione o approvazione delle tariffe o delle metodologie e dei servizi di bilanciamento - devono provvedere siano offerti ai gestori del sistema di trasporto e di distribuzione (articolo 41, § 8);

·         le modifiche - che le autorità di regolamentazione sono abilitate a chiedere ai gestori dei sistemi di trasporto, di stoccaggio, di GNL e di distribuzione, se necessarie - relative alle condizioni e alle modalità, comprese le tariffe e le metodologie di calcolo, in modo che queste siano proporzionate e che siano applicate in modo non discriminatorio (articolo 41, § 10).

La deroga è limitata nel tempo fino a un massimo di 20 anni sulla base di una motivazione oggettiva, è rinnovabile in casi giustificati e può essere subordinata a condizioni che contribuiscano alla realizzazione delle condizioni summenzionate.

Tali deroghe non si applicano ai gasdotti di trasporto tra uno Stato membro e un paese terzo che ha l'obbligo di recepire la presente direttiva e che abbia attuato efficacemente la presente direttiva in virtù di un accordo concluso con l'Unione.

Se il gasdotto di trasporto interessato è situato nel territorio di più di uno Stato membro, lo Stato membro nel cui territorio è situato il primo punto di connessione con la rete degli Stati membri decide se concedere una deroga a detto gasdotto di trasporto dopo avere consultato tutti gli Stati membri interessati.

Su richiesta degli Stati membri interessati, la Commissione può decidere di agire da osservatrice nella consultazione tra lo Stato membro nel cui territorio è situato il primo punto di connessione e il paese terzo per quanto riguarda l'applicazione coerente della presente direttiva nel territorio e nelle acque territoriali dello Stato membro in cui è situato il primo punto di interconnessione, inclusa la concessione di deroghe per tali linee di trasporto.

Le decisioni riguardanti le deroghe sono adottate entro il 24 maggio 2020. Gli Stati membri notificano siffatte decisioni alla Commissione e le rendono pubbliche.

 

In base al comma 2, i decreti legislativi sono adottati su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale, della giustizia e dell'economia e delle finanze.

A sensi del comma 3, dall'attuazione dell'articolo in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti di cui al presente articolo con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Articolo 26
(Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2017/159, recante attuazione dell’accordo relativo all’attuazione della Convenzione sul lavoro nel settore della pesca del 2007 dell’Organizzazione internazionale del lavoro)

 

L'articolo 26 conferisce al Governo la delega per l'attuazione della direttiva (UE) 2017/159 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 dicembre 2016.

Il Governo è tenuto a seguire, oltre i prìncipi e i criteri direttivi generali di cui all'articolo 1, comma 1, anche i seguenti principi e criteri direttivi specifici:

·      assicurare che le norme introdotte garantiscano adeguate condizioni di lavoro e adeguati standard di salute e sicurezza per i lavoratori nel settore della pesca;

·      promuovere, nel rispetto delle disposizioni dell'Unione europea, azioni volte al raggiungimento della parità salariale tra uomo e donna, contrastando ogni forma di discriminazione.

 

La direttiva oggetto di recepimento attua a livello unionale l'accordo europeo tra le parti sociali concernente l'attuazione della Convenzione C-188[29] del 2007 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) nel settore della pesca, ai fini del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro a bordo delle navi e dei pescherecci adibiti alla pesca. In particolare, l'accordo interviene su: il lavoro a bordo e le condizioni di servizio; l'alloggio; l'alimentazione; la sicurezza sul lavoro; la tutela della salute e le cure mediche.

 

1) Accordi conclusi tra le parti sociali

La figura dell' "Accordo europeo tra le parti sociali" è contemplato nell'articolo 155 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), inserito all'interno della Parte terza ("Politiche e azioni interne dell'Unione"), Titolo X ("Politica sociale"). Il par. 1 dell'articolo 155 stabilisce che "il dialogo fra le parti sociali a livello dell'Unione può condurre, se queste lo desiderano, a relazioni contrattuali, ivi compresi accordi". Ai sensi del par. 2, tali accordi, qualora concernano i settori elencati nell'art. 153 (tra i quali il miglioramento dell'ambiente di lavoro, "per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori", e in generale le condizioni di lavoro) e sempre che vi sia una "richiesta congiunta delle parti firmatarie, sono attuati "in base ad una decisione del Consiglio su proposta della Commissione". Il Parlamento europeo deve esserne informato.

In particolar modo, il 21 maggio 2012, Cogeca, Federazione europea dei lavoratori dei trasporti ed Europêche hanno concluso un accordo finalizzato alla creazione di condizioni di parità per il settore della pesca marittima attraverso l'attuazione della citata Convenzione C-188[30] dell'OIL.

 

2) La direttiva

L'articolo 1 specifica la natura della direttiva, che intende dare attuazione all'accordo tra le parti sociali. Ai sensi dell'articolo 2, quest'ultimo stabilisce livelli di tutela minimi, essendo fatta salva la facoltà degli Stati membri di "mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli ai lavoratori". Per espressa previsione dell'articolo 2, inoltre, "l'attuazione della presente direttiva non costituisce (...) motivo sufficiente per giustificare una riduzione del livello generale della protezione dei lavoratori nei settori disciplinati dalla presente direttiva", fermo restando "il diritto degli Stati membri e delle parti sociali di stabilire, alla luce dell'evolversi della situazione, disposizioni legislative, regolamentari o contrattuali diverse da quelle vigenti al momento dell'adozione della presente direttiva, a condizione che le prescrizioni minime previste da quest'ultima siano sempre rispettate".

Le sanzioni applicabili, in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate, sono di competenza degli Stati membri; devono essere "effettive, proporzionate e dissuasive" (articolo 3).

Ai sensi dell'articolo 5, la Commissione europea elabora, entro cinque anni dall'entrata in vigore della direttiva, una relazione sull'attuazione, l'applicazione e la valutazione della stessa.

Il termine per il recepimento è fissato al 15 novembre 2019 (articolo 4) mentre l'entrata in vigore dell'atto giuridico ha coinciso con il giorno di entrata in vigore della Convenzione OIL a cui esso fa riferimento.

 

3) L'accordo tra le parti sociali

Nell'Accordo tra le parti sociali, pubblicato in allegato alla direttiva, queste ultime rivolgono agli Stati membri l'invito a:

- ratificare la Convenzione C-188;

elaborare il documento uniforme - previsto dall'articolo 41 della Convenzione - di cui devono essere dotati i pescherecci che rimangano più di tre giorni in mare e che attesti il rispetto delle condizioni di vita e di lavoro a bordo stabilite dalla Convenzione medesima;

- sviluppare una strategia armonizzata in materia di controllo da parte dello Stato di approdo dei pescherecci soggetti alla Convenzione.

 

Le parti sociali hanno inoltre chiesto, congiuntamente ed in maniera espressa, che l'Accordo fosse attuato per mezzo di una direttiva del Consiglio.

Con specifico riferimento alle condizioni del lavoro nel settore della pesca, l'accordo riprende l'impostazione della citata Convenzione OIL C-188 del 2007, disciplinando preliminarmente (art. 5) la responsabilità generale dell'armatore del peschereccio (il quale deve "garantire che il comandante disponga delle risorse e dei mezzi necessari per rispettare gli obblighi" che derivano dall'accordo) e le responsabilità del comandante per la sicurezza dei pescatori a bordo, della navigazione e dell'esercizio dell'imbarcazione. I pescatori, a loro volta, devono conformarsi agli ordini legittimi del comandante e alle misure vigenti in materia di sicurezza e salute.

L'età minima per lavorare a bordo di un peschereccio è stabilita dall'articolo 6 in 16 anni, "a condizione che l'interessato non sia più soggetto all'obbligo scolastico a tempo pieno", ovvero in 18 anni per attività che possano "compromettere la salute, la sicurezza, lo sviluppo fisico, mentale o sociale, l'istruzione o la moralità" e per il lavoro notturno; l'autorità competente può autorizzare al lavoro a bordo i soggetti che abbiano almeno 15 anni, non siano più soggetti all'obbligo scolastico e seguano una formazione professionale nel settore della pesca.

Per il lavoro a bordo di un peschereccio si richiede un certificato medico, in corso di validità, che attesti l'idoneità all'esercizio delle mansioni (articoli da 7 a 9).

Riguardo alle condizioni di servizio, l'articolo 10 stabilisce l'obbligo, per gli armatori, di garantire che i pescherecci siano provvisti di equipaggio sufficiente e adeguato, sotto il profilo della sicurezza per la navigazione, e che il comando sia affidato a persona competente. Le ore di lavoro e di riposo sono oggetto dell'articolo 11.

Viene stabilito l'obbligo di predisporre un "ruolo dell'equipaggio" (articolo 12).

Gli articoli da 13 a 18 concernono il contratto di lavoro, uno schema riassuntivo del quale è pubblicato nell'Allegato I. La disciplina dettagliata delle informazioni minime da inserire nel contratto, delle procedure per garantire che i lavoratori abbiano la possibilità di esaminarne le condizioni e di chiedere assistenza in merito (prima della firma), della tenuta dei registri dell'attività lavorativa e dei mezzi di risoluzione delle controversie è demandata allo Stato membro.

L'articolo 19 disciplina il diritto al rimpatrio del pescatore da un porto straniero, in casi specifici di cessazione del rapporto di lavoro.

L'articolo 20 reca alcune disposizioni sulle agenzie per il lavoro.

Gli articoli da 21 a 36 concernono gli aspetti relativi alla salute e sicurezza (alimentazione e alloggio, tutela della salute e cure mediche, sicurezza e salute sul lavoro e prevenzione degli infortuni). Tra tali norme si segnalano il diritto di ricevere prestazioni di tutela della salute e cure mediche anche a bordo (articolo 26), a titolo gratuito "nella misura in cui ciò è compatibile con il diritto e la pratica nazionale dello Stato membro" (articolo 29). L'Allegato II dell'accordo contiene dettagli sugli alloggi a bordo dei pescherecci.

L'art. 37 prevede che le parti firmatarie dell'accordo possano richiederne il riesame in caso di modifica delle disposizioni della citata Convenzione C-188 (par. 1) o della normativa europea rilevante (par. 2).

La direttiva deriva dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 235[31].

 


 

Direttiva (UE) 2017/159
del Parlamento europeo e del Consiglio 19 dicembre 2016, recante attuazione dell'accordo relativo all'attuazione della Convenzione sul lavoro nel settore della pesca del 2007 dell'Organizzazione internazionale del lavoro, concluso il 21 maggio 2012, tra la Confederazione generale delle cooperative agricole nell'Unione europea (Cogeca), la Federazione europea dei lavoratori dei trasporti e l'Associazione delle organizzazioni nazionali delle imprese di pesca dell'Unione europea (Europêche)

 

Il provvedimento in titolo attua al livello dell'Unione l'accordo europeo tra le parti sociali concernente l'attuazione della Convenzione C-188[32] del 2007 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) nel settore della pesca, ai fini del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro a bordo delle navi e dei pescherecci adibiti alla pesca. In particolare, l'accordo interviene su: il lavoro a bordo e le condizioni di servizio; l'alloggio; l'alimentazione; la sicurezza sul lavoro; la tutela della salute e le cure mediche.

 

1) Accordi conclusi tra le parti sociali

La figura dell' "Accordo europeo tra le parti sociali" è contemplato nell'articolo 155 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), inserito all'interno della Parte terza ("Politiche e azioni interne dell'Unione"), Titolo X ("Politica sociale"). Il par. 1 dell'articolo 155 stabilisce che "il dialogo fra le parti sociali a livello dell'Unione può condurre, se queste lo desiderano, a relazioni contrattuali, ivi compresi accordi". Ai sensi del par. 2, tali accordi, qualora concernano i settori elencati nell'art. 153 (tra i quali il miglioramento dell'ambiente di lavoro, "per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori", e in generale le condizioni di lavoro) e sempre che vi sia una "richiesta congiunta delle parti firmatarie, sono attuati "in base ad una decisione del Consiglio su proposta della Commissione". Il Parlamento europeo deve esserne informato.

In particolar modo, il 21 maggio 2012 Cogeca, Federazione europea dei lavoratori dei trasporti ed Europêche hanno concluso un accordo finalizzato alla creazione di condizioni di parità per il settore della pesca marittima attraverso l'attuazione della citata Convenzione C-188[33] dell'OIL.

 

 

2) La direttiva

L'articolo 1 specifica la natura della direttiva, che intende dare attuazione all'accordo tra le parti sociali. Ai sensi dell'articolo 2, quest'ultimo stabilisce livelli di tutela minimi, essendo fatta salva la facoltà degli Stati membri di "mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli ai lavoratori". Per espressa previsione dell'articolo 2, inoltre, "l'attuazione della presente direttiva non costituisce (...) motivo sufficiente per giustificare una riduzione del livello generale della protezione dei lavoratori nei settori disciplinati dalla presente direttiva", fermo restando "il diritto degli Stati membri e delle parti sociali di stabilire, alla luce dell'evolversi della situazione, disposizioni legislative, regolamentari o contrattuali diverse da quelle vigenti al momento dell'adozione della presente direttiva, a condizione che le prescrizioni minime previste da quest'ultima siano sempre rispettate".

Le sanzioni applicabili, in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate, sono di competenza degli Stati membri; devono essere "effettive, proporzionate e dissuasive" (articolo 3).

Ai sensi dell'articolo 5, la Commissione europea elabora, entro cinque anni dall'entrata in vigore della direttiva, una relazione sull'attuazione, l'applicazione e la valutazione della stessa.

Il termine per il recepimento è fissato al 15 novembre 2019 (articolo 4) mentre l'entrata in vigore dell'atto giuridico ha coinciso con il giorno di entrata in vigore della Convenzione OIL a cui esso fa riferimento.

 

3) L'accordo tra le parti sociali

Nell'Accordo tra le parti sociali, pubblicato in allegato alla direttiva, queste ultime rivolgono agli Stati membri l'invito a:

1)   ratificare la Convenzione C-188;

2)   elaborare il documento uniforme - previsto dall'articolo 41 della Convenzione - di cui devono essere dotati i pescherecci che rimangano più di tre giorni in mare e che attesti il rispetto delle condizioni di vita e di lavoro a bordo stabilite dalla Convenzione medesima;

3)   sviluppare una strategia armonizzata in materia di controllo da parte dello Stato di approdo dei pescherecci soggetti alla Convenzione.

 

Le parti sociali hanno inoltre chiesto, congiuntamente ed in maniera espressa, che l'Accordo fosse attuato per mezzo di una direttiva del Consiglio.

Con specifico riferimento alle condizioni del lavoro nel settore della pesca, l'accordo riprende l'impostazione della citata Convenzione OIL C-188 del 2007, disciplinando preliminarmente (art. 5) la responsabilità generale dell'armatore del peschereccio (il quale deve "garantire che il comandante disponga delle risorse e dei mezzi necessari per rispettare gli obblighi" che derivano dall'accordo) e le responsabilità del comandante per la sicurezza dei pescatori a bordo, della navigazione e dell'esercizio dell'imbarcazione. I pescatori, a loro volta, devono


conformarsi agli ordini legittimi del comandante e alle misure vigenti in materia di sicurezza e salute.

L'età minima per lavorare a bordo di un peschereccio è stabilita dall'articolo 6 in 16 anni, "a condizione che l'interessato non sia più soggetto all'obbligo scolastico a tempo pieno", ovvero in 18 anni per attività che possano "compromettere la salute, la sicurezza, lo sviluppo fisico, mentale o sociale, l'istruzione o la moralità" e per il lavoro notturno; l'autorità competente può autorizzare al lavoro a bordo i soggetti che abbiano almeno 15 anni, non siano più soggetti all'obbligo scolastico e seguano una formazione professionale nel settore della pesca.

Per il lavoro a bordo di un peschereccio si richiede un certificato medico, in corso di validità, che attesti l'idoneità all'esercizio delle mansioni (articoli da 7 a 9).

Riguardo alle condizioni di servizio, l'articolo 10 stabilisce l'obbligo, per gli armatori, di garantire che i pescherecci siano provvisti di equipaggio sufficiente e adeguato, sotto il profilo della sicurezza per la navigazione, e che il comando sia affidato a persona competente. Le ore di lavoro e di riposo sono oggetto dell'articolo 11.

Viene stabilito l'obbligo di predisporre un "ruolo dell'equipaggio" (articolo 12).

Gli articoli da 13 a 18 concernono il contratto di lavoro, uno schema riassuntivo del quale è pubblicato nell'Allegato I. La disciplina dettagliata delle informazioni minime da inserire nel contratto, delle procedure per garantire che i lavoratori abbiano la possibilità di esaminarne le condizioni e di chiedere assistenza in merito (prima della firma), della tenuta dei registri dell'attività lavorativa e dei mezzi di risoluzione delle controversie è demandata allo Stato membro.

L'articolo 19 disciplina il diritto al rimpatrio del pescatore da un porto straniero, in casi specifici di cessazione del rapporto di lavoro.

L'articolo 20 reca alcune disposizioni sulle agenzie per il lavoro.

Gli articoli da 21 a 36 concernono gli aspetti relativi alla salute e sicurezza (alimentazione e alloggio, tutela della salute e cure mediche, sicurezza e salute sul lavoro e prevenzione degli infortuni). Tra tali norme si segnalano il diritto di ricevere prestazioni di tutela della salute e cure mediche anche a bordo (articolo 26), a titolo gratuito "nella misura in cui ciò è compatibile con il diritto e la pratica nazionale dello Stato membro" (articolo 29). L'Allegato II dell'accordo contiene dettagli sugli alloggi a bordo dei pescherecci.

L'art. 37 prevede che le parti firmatarie dell'accordo possano richiederne il riesame in caso di modifica delle disposizioni della citata Convenzione C-188 (par. 1) o della normativa europea rilevante (par. 2).

 

La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 235[34].

Per il resto, v. supra la scheda sull’art. 26.

 


 

Direttiva (UE) 2017/828
del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 maggio 2017 che modifica la direttiva 2007/36/CE per quanto riguarda l'incoraggiamento dell'impegno a lungo termine degli azionisti

 

In realtà (come si è accennato nella scheda sull’art. 7, v. supra) - con il decreto legislativo n. 49 del 2019 - la direttiva (UE) 2017/828 in parola, che modifica la direttiva 2007/36/CE per quanto riguarda l'incoraggiamento dell'impegno a lungo termine degli azionisti - è stata recepita nell’ordinamento interno.

 

In ottemperanza alle norme UE e sulla base della delega contenuta nella legge n. 163 del 2017 (all. A, n. 27), il decreto legislativo n. 49 del 2019 ha affidato alla Consob l'individuazione di alcuni aspetti di dettaglio in materia di operazioni con parti correlate.

Circa il tema della gestione accentrata di strumenti finanziari, contenuta nel Testo Unico Finanziario – TUF (D.Lgs. n. 58 del 1998) sono stati disciplinati i compiti degli intermediari in relazione:

-          all’identificazione degli azionisti;

-          alla trasmissione delle informazioni rilevanti;

-          all’agevolazione dell’esercizio dei diritti dei soci, nonché i costi connessi a tali servizi.

L’identificazione degli azionisti è stata circoscritta ai titolari di una partecipazione superiore allo 0,5 per cento del capitale sociale, con diritto di voto. Il provvedimento è intervenuto anche sulla relazione sulla politica di remunerazione, introducendovi la sezione dedicata alla trasparenza degli investitori istituzionali, dei gestori di attivi e dei consulenti in materia di voto.

Ha infine novellato la disciplina sanzionatoria del TUF, in ottemperanza alle norme della direttiva che richiedono agli Stati membri di stabilire misure e sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della medesima direttiva.

Il decreto legislativo è entrato in vigore il 19 giugno 2019.

Per ulteriori informazioni sui principi di delega si rinvia alla scheda sull’art. 7 (supra).

 

Si rinvia al relativo dossier per ulteriori informazioni.

 

In particolare, la direttiva (UE) 2017/828 stabilisce obblighi specifici al fine di promuovere l'impegno degli azionisti nelle grandi imprese europee, in particolare nel lungo periodo: sono introdotte modifiche alla direttiva 2007/36/CE, che stabilisce i requisiti relativi all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti conferiti da azioni con diritto di voto in relazione alle assemblee di società che hanno la loro sede legale in uno Stato membro e le cui azioni sono ammesse alla negoziazione su un mercato regolamentato situato o operante all’interno di uno Stato membro.

 

L'introduzione di tali norme si è resa necessaria a seguito della recente crisi finanziaria, che ha messo in luce come, in molti casi, gli azionisti hanno sostenuto l'assunzione di rischi eccessivi a breve termine da parte dei dirigenti. In generale, l'esperienza ha dimostrato come le società partecipate siano caratterizzate da un'attenzione molto incentrata sui rendimenti a breve termine[35].

Le modifiche riguardano:

1)     l'identificazione degli azionisti (nuovo articolo 3-bis). Spetta agli Stati membri assicurare che le società abbiano il diritto di identificare i propri azionisti. A tal fine, su richiesta della società o di un soggetto terzo da essa nominato, gli intermediari sono tenuti a comunicare tempestivamente alla società l'identità degli azionisti (paragrafo 2);

2)     la trasmissione delle informazioni (nuovo articolo 3-ter). Si prevede l'obbligo, per gli intermediari, di trasmettere senza ritardo agli azionisti le informazioni necessarie per l'esercizio dei diritti conferiti dalle azioni, destinate a tutti i detentori di azioni della stessa categoria (paragrafo 1, let. a). In alternativa, gli intermediari possono trasmettere una comunicazione che indichi dove tali informazioni sono disponibili sul sito Internet della società (paragrafo 1, let. b). Di converso, il paragrafo 4 impone altresì agli intermediari di "trasmettere alla società, senza indugio e conformemente alle istruzioni ricevute dagli azionisti, le informazioni ricevute dagli azionisti connesse all'esercizio dei diritti conferiti dalle loro azioni";

3)     l'agevolazione dell'esercizio dei diritti degli azionisti (nuovo articolo 3-quater) da parte degli intermediari. Questi, anche con riferimento alla partecipazione e votazione in occasione di assemblee generali, dovranno:

a)      adottare le misure necessarie affinché l'azionista o il terzo nominato dall'azionista possano esercitare i diritti;

b)     esercitare essi stessi i diritti conferiti dalle azioni, su esplicita autorizzazione e istruzione dell'azionista e nell'interesse di quest'ultimo.

In caso di votazione elettronica, la persona che ha espresso il voto deve ricevere una conferma di ricezione, anch'essa in formato elettronico. In particolare dopo l'assemblea generale, l'azionista deve poter ricevere, almeno su richiesta ed entro tre mesi dalla data del voto, la conferma del fatto che il proprio voto sia stato validamente registrato e conteggiato dalla società (paragrafo 2).

Il nuovo articolo 3-quinquies impone agli intermediari, anche originari di paesi terzi (articolo 3-sexies), di comunicare al pubblico ogni onere applicabile per i loro servizi. L'onere, ai sensi del par. 2 dell'articolo 3-quinquies, deve essere "non discriminatorio e proporzionato in relazione ai costi effettivi sostenuti per l'erogazione dei servizi";

4)     la trasparenza degli investitori istituzionali[36], dei gestori di attivi[37] e dei consulenti in materia di voto (nuovo capitolo I-ter, articoli 3-octies - 3-duodecies). Si prevede l'obbligo per:

a)   gli investitori istituzionali e gestori di attivi di sviluppare e comunicare al pubblico sia una politica di impegno che descriva le modalità con cui integrano l'impegno degli azionisti nella loro strategia di investimento sia le modalità di attuazione di tale politica (nuovo articolo 3-octies);

b)   gli investitori istituzionali di comunicare al pubblico sia in che modo gli elementi principali della loro strategia di investimento azionario siano coerenti con il profilo e la durata delle loro passività - e in che modo contribuiscano al rendimento a medio e lungo termine dei loro attivi - sia specifiche informazioni relative ad accordi eventualmente conclusi con gestori di attivi (nuovo articolo 3-nonies);

c)   i gestori di attivi che hanno concluso accordi con investitori istituzionali di comunicare a tali investitori, su base annuale, in che modo la strategia d'investimento e la relativa attuazione rispettano l'accordo e contribuiscono al rendimento a medio e lungo termine degli attivi dell'investitore istituzionale o del fondo (nuovo articolo 3-decies);

d)   i consulenti in materia di voto di fare pubblicamente riferimento al codice di condotta applicato e riferire in merito alla sua applicazione. In caso di mancata applicazione di alcun codice, occorre illustrarne le ragioni in maniera chiara e motivata (nuovo articolo 3-undecies).

5)     la remunerazione dei dirigenti (articoli 9-bis - 9-ter). Ai sensi del nuovo articolo 9-bis le società devono elaborare una politica di remunerazione degli amministratori, sulla quale agli azionisti deve essere assicurato un diritto di voto vincolante in sede di assemblea generale[38]. Tale politica, ai sensi del paragrafo 6, "contribuisce alla strategia aziendale, agli interessi a lungo termine e alla sostenibilità della società e illustra il modo in cui fornisce tale contributo". Deve inoltre essere chiara e comprensibile e descrivere le diverse componenti della remunerazione (fissa e variabile), compresi tutti i bonus e altri benefici in qualsiasi forma. Dopo la votazione in assemblea, la politica di remunerazione viene condivisa con il pubblico mediante la pubblicazione sul sito Internet della società, rimanendo accessibile gratuitamente almeno per tutto il periodo di applicabilità (paragrafo 7).

Sulla base di tale politica, deve essere redatta una "relazione sulla remunerazione, chiara e comprensibile, che fornisca un quadro completo della remunerazione, compresi tutti i benefici in qualsiasi forma, riconosciuta o dovuta nel corso dell'ultimo esercizio ai singoli amministratori" (articolo 9-ter). L'assemblea generale deve poter "esprimere un voto di natura consultiva" sulla relazione relativa all'ultimo esercizio. Dei seguiti dati a tale voto si dà conto nelle successive relazioni;

6)     le operazioni con parti correlate (articolo 9-quater)[39], che devono essere rese note al pubblico dalle società al più tardi entro la loro conclusione con un'informativa regolata dal par 2. Le operazioni con parti collegate di natura "rilevante", oltre ad essere rese note al pubblico, devono essere approvate dall'assemblea generale o dall'organo di amministrazione o vigilanza della società, con "procedure che impediscono alla parte correlata di trarre vantaggio dalla sua posizione e che tutelano in modo adeguato gli interessi della società e degli azionisti che non sono una parte correlata, compresi gli azionisti di minoranza (paragrafo 4). Agli Stati membri è riconosciuta la facoltà di esentare dai predetti obblighi specifiche tipologie di operazioni.

Agli Stati membri spetta stabilire le norme relative alle misure e sanzioni ("efficaci, proporzionate e dissuasive") applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della direttiva in esame (articolo 14-ter).

Il termine per il recepimento era fissato al 10 giugno 2019, data entro la quale dovevano essere altresì comunicate le norme sanzionatorie approvate.

 

La direttiva deriva dalla proposta della Commissione europea COM(2014) 213.

 


 

Direttiva (UE) 2017/1371
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale

 

La Direttiva 2017/1371 ha per oggetto la fissazione di «norme minime riguardo alla definizione di reati e di sanzioni in materia di lotta contro la frode e altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, al fine di rafforzare la protezione contro reati che ledono tali interessi finanziari».

 

Per completi ragguagli si v. supra la scheda sull’art. 3.


 

Direttiva (UE) 2017/1852
del Consiglio, del 10 ottobre 2017, sui meccanismi di risoluzione delle controversie in materia fiscale nell'Unione europea

 

La Direttiva 2017/1852 è volta a garantire l'effettiva risoluzione delle controversie relative all'interpretazione e all'applicazione delle convenzioni fiscali bilaterali e della convenzione sull'arbitrato dell'Unione, con particolare riferimento alle doppie imposizioni.

 

Le norme ivi contenute intendono costituire un quadro normativo efficace ed efficiente, che garantisca la certezza del diritto e un ambiente favorevole alle imprese per gli investimenti, al fine di realizzare sistemi fiscali equi ed efficienti all'interno dell'Unione.

 

La direttiva si pone in linea con gli obiettivi perseguiti nell’ambito del Progetto BEPSBase Erosion and Profits Sharing dell’OCSE (e del G20), volto a contrastare le politiche di pianificazione fiscale aggressiva ed evitare lo spostamento di base imponibile dai Paesi ad alta fiscalità verso altri con pressione fiscale bassa o nulla da parte delle imprese multinazionali, mediante la fissazione di regole uniche e trasparenti condivise a livello internazionale.

Per ulteriori informazioni sul BEPS, si veda qui (sito OCSE dedicato al Progetto).

In particolare, l’Azione 14 del BEPS intende rendere più efficaci i meccanismi per la risoluzione delle controversie già previsti nei trattati bilaterali contro le doppie imposizioni, nonché nella Convenzione multilaterale per l’attuazione di misure relative alle convenzioni fiscali finalizzate a prevenire l’erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti, firmata a Parigi il 7 giugno 2017, destinata a modificare le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia secondo il minimum standard previsto dalle Azioni del predetto BEPS.

 

La composizione delle controversie internazionali in materia di doppia imposizione avviene tramite lo strumento della “procedura amichevole” (Mutual Agreement Procedure): un meccanismo di consultazione diretta tra Amministrazioni fiscali di Paesi diversi, che dialogano attraverso le rispettive Autorità competenti al fine di pervenire ad un accordo sulle rispettive pretese impositive volto ad eliminare la doppia imposizione internazionale. Detta procedura è disciplinata nei Trattati fiscali bilaterali sottoscritti dagli Stati sulla base del Modello di Convenzione elaborato dall'OCSE, nonché nella Convenzione europea n. 90/436/CEE del 23 luglio 1990, specificamente dedicata all’eliminazione della doppia imposizione derivante da rettifiche degli utili di imprese associate con sede in Stati membri diversi.

La Commissione europea, ad esito di un’analisi sul funzionamento della Convenzione n. 90/436/CEE, ha rilevato talune criticità in tema di accesso alla procedura da parte dei contribuenti; eccessiva durata della procedura stessa; scarso ricorso all’arbitrato; ambito di applicazione limitato.

Nel merito, la direttiva in esame ripropone la struttura generale della citata Convenzione n. 90/436/CEE, ovverosia:

i)                   presentazione dell’istanza da parte del contribuente;

ii)                 valutazione delle Autorità competenti sull’ammissibilità dell’istanza;

iii)               raggiungimento entro due anni dell’accordo amichevole volto ad eliminare la doppia imposizione;

iv)               in mancanza di accordo, previsione di un arbitrato obbligatorio attraverso l’istituzione di una commissione consultiva con il compito di emanare un parere sulle modalità di risoluzione del caso.

Rispetto all’impianto della Convenzione n. 90/436/CEE, vengono introdotti i seguenti elementi di novità:

·        ampliamento del campo di applicazione, non più limitato alla materia dei prezzi di trasferimento e di attribuzione degli utili alle stabili organizzazioni, ma esteso alle ulteriori fattispecie contemplate nei Trattati bilaterali contro le doppie imposizioni (articolo 1 della Direttiva);

·        introduzione di ulteriori meccanismi di natura arbitrale e di ricorso alle competenti corti giurisdizionali nazionali attivabili dal contribuente ogni qualvolta si presenti la necessità di superare l’inerzia delle Autorità competenti coinvolte, dirimere disaccordi tra dette Autorità, contrastare dinieghi di queste ultime al passaggio alle fasi successive della procedura. In particolare si introduce: i) in caso di disaccordo tra gli Stati interessati circa l’instaurazione della procedura, la possibilità di adire una commissione consultiva competente ad esprimersi sull’ammissibilità del caso; ii) in caso di diniego di accesso alla procedura amichevole e/o di mancata istituzione della commissione consultiva, la possibilità per il contribuente di ricorrere agli organi giurisdizionali domestici (articolo 5 della Direttiva);

·        previsione, in caso di mancato raggiungimento dell’accordo da parte delle Autorità competenti degli Stati membri coinvolti nella procedura, della possibilità per il contribuente di richiedere l’istituzione di una commissione consultiva e quindi di passare alla fase arbitrale (articolo 6).

 

Più in particolare, la direttiva (articolo 1) istituisce un meccanismo volto a risolvere le controversie che emergono dall'interpretazione e applicazione di accordi e convenzioni che prevedono l'eliminazione della doppia imposizione del reddito e, ove applicabile, del capitale. Stabilisce inoltre i diritti e gli obblighi dei soggetti interessati quando emergono tali controversie. L’articolo 2 contiene le definizioni rilevanti.

 

All’articolo 3 è disciplinata la procedura di reclamo.

I soggetti interessati possono presentare reclamo relativo a una questione controversa a ciascuna autorità competente di ciascuno degli Stati membri interessati, chiedendone la risoluzione. Il termine di presentazione è di tre anni dal ricevimento della prima notifica dell'azione che ha comportato o comporterà la questione controversa.

L’autorità competente investita del reclamo deve accusare ricevuta del medesimo entro due mesi dal suo ricevimento. Lo stesso termine è fissato per comunicare il ricevimento del reclamo anche alle autorità competenti degli altri Stati membri interessati.

Per l’accettazione del reclamo è necessario che esso indichi tutti gli elementi informativi richiesti dalla legge e, in particolare, dall’articolo 3, paragrafo 3 della direttiva. Tra questi, si ricorda in questa sede che il reclamo deve recare le informazioni particolareggiate per illustrare i fatti e le circostanze del caso; il riferimento alle norme nazionali applicabili e all'accordo o convenzione la cui interpretazione è controversa; una copia della decisione finale dell'amministrazione fiscale nella forma di un avviso di accertamento, del verbale di constatazione fiscale o di altro documento equivalente, da cui risulti la questione controversa. Le autorità competenti decidono se accogliere o rigettare il reclamo entro sei mesi dal ricevimento dello stesso o, se posteriore, entro sei mesi dal ricevimento delle ulteriori informazioni richieste.

Entro sei mesi dal ricevimento di un reclamo o, se posteriore, entro sei mesi dal ricevimento delle informazioni ulteriori eventualmente richieste, una autorità competente può decidere di risolvere la questione controversa su base unilaterale, senza coinvolgere le altre autorità competenti degli Stati membri interessati. In tal caso dà immediata notifica ai soggetti interessati e alle altre autorità competenti degli Stati membri interessati ponendo così termine alle procedure di cui alla presente direttiva.

 

Le autorità competenti, ove accettino il reclamo, si adoperano in prima battuta per risolvere la controversia con una (articolo 5) procedura amichevole.

Raggiunto un accordo in merito, infatti, l'autorità competente di ciascuno degli Stati membri interessati notifica l'accordo al soggetto interessato in una decisione vincolante per l'autorità e applicabile dal soggetto interessato, a condizione che quest'ultimo accetti la decisione e rinunci al diritto ad altri mezzi di impugnazione.

Se non viene raggiunto un accordo entro il predetto termine di due anni, l'autorità competente informa il soggetto interessato indicando i motivi generali del mancato raggiungimento dell'accordo.

 

L’articolo 6 enumera le ipotesi in cui il reclamo è rigettato dall’autorità competente, se:

a)      il reclamo non riporta le informazioni richieste a norma della direttiva;

b)     non vi è alcuna questione controversa;

c)      il reclamo non è stato presentato in termini.

Il rigetto del reclamo deve essere motivato. Si stabilisce il generale principio del silenzio-assenso: se la decisione in merito all'accettazione o al rigetto del reclamo non è adottata entro sei mesi dal ricevimento dello stesso (o delle ulteriori informazioni richieste), esso si ritiene accolto.

E’ possibile ricorrere avverso la decisione delle autorità competenti degli Stati membri interessati, nel caso in cui tutte le autorità competenti abbiano rigettato il reclamo, nei termini ed alle condizioni previsti dalla Direttiva.

 

Gli articoli da 7 a 9 disciplinano l’istituzione di una commissione consultiva, su richiesta presentata dal soggetto interessato, da parte delle autorità competenti. Essa si costituisce nei seguenti casi:

-         nel caso di reclamo rigettato da almeno una autorità competente;

-         nel caso in cui le autorità competenti abbiano accolto il reclamo presentato dal soggetto interessato, ma non siano riuscite a raggiungere un accordo su come risolvere la questione controversa mediante procedura amichevole.

La richiesta è scritta e sono previsti specifici termini per la sua formulazione; la commissione consultiva è istituita entro 120 giorni dal ricevimento della richiesta e, una volta istituita, il suo presidente ne informa senza indugio il soggetto interessato.

Compito della costituita commissione consultiva, nella prima ipotesi (rigetto del reclamo da parte di alcune autorità), è di adottare una decisione sull'accettazione del reclamo. Ove si accerti la soddisfazione di tutti i requisiti relativi al reclamo (di cui all'articolo 3 della direttiva), su richiesta di una delle autorità competenti è avviata la procedura amichevole. L'autorità competente interessata comunica la richiesta alla commissione consultiva, alle altre autorità competenti interessate e al soggetto interessato. Se nessuna delle autorità competenti ha chiesto l'avvio della procedura amichevole entro 60 giorni dalla data della notifica della decisione della commissione consultiva, quest'ultima fornisce un parere su come risolvere la questione controversa.

Se invece la commissione consultiva è costituita in quanto non è stata raggiunta una soluzione amichevole alla controversia, la commissione esprime un parere su come risolvere la questione controversa.

La direttiva consente agli interessati di adire i tribunali nazionali per l’ipotesi di omissione di costituzione di una commissione consultiva, ovvero nel caso in cui vi siano mancanze - da parte dell’autorità competente - nella nomina dei componenti la commissione (articolo 7). 

 

L’articolo 8 delinea la composizione della commissione consultiva, costituita da un presidente, un rappresentante di ciascuna autorità competente interessata, una personalità indipendente nominata da ciascuna autorità competente degli Stati membri interessati. Sono previste alcune cause di incompatibilità con l’assunzione di tale funzione (personalità indipendente) entro la commissione consultiva.

L’elenco delle personalità indipendenti è disciplinato dall’articolo 9.

 

Ai sensi dell’articolo 10, le autorità competenti degli Stati membri interessati possono concordare di istituire una commissione per la risoluzione alternativa delle controversie, per esprimere un parere su come risolvere la questione controversa. Essa può assumere forma di comitato di natura permanente. La commissione per la risoluzione alternativa delle controversie può applicare, se del caso, procedure o tecniche di risoluzione delle controversie per risolvere la questione controversa in modo vincolante.

In alternativa al tipo di procedura di risoluzione delle controversie applicato dalla commissione consultiva, vale a dire la procedura con parere indipendente, qualsiasi altro tipo di procedura di risoluzione delle controversie, compresa la procedura arbitrale con offerta finale (altrimenti nota come arbitrato sulla “migliore ultima offerta”), può essere concordato dalle autorità competenti degli Stati membri interessati e applicato dalla commissione per la risoluzione alternativa delle controversie.

 

L’articolo 11 reca le procedure con le quali gli Stati membri, e le relative autorità competenti, disciplinano il funzionamento degli organi costituiti per la risoluzione delle controversie.

In particolare, le norme di funzionamento sono concordate tra le autorità competenti degli Stati membri coinvolti nella controversia; si affida alla Commissione UE il compito di stabilire norme di funzionamento standard, che si applicano nei casi in cui le norme di funzionamento sono incomplete o non sono notificate ai soggetti interessati.

L’articolo 12 disciplina il riparto dei costi della procedura di risoluzione delle controversie, mentre l’articolo 13 reca gli aspetti procedurali relativi a informazioni, prove e udienze degli organi di risoluzione.

 

Nell’articolo 14 è contenuta la disciplina per l’emanazione del parere della commissione consultiva o della commissione per la risoluzione alternativa delle controversie. Esso è reso entro sei mesi dalla data in cui è stata istituita, prorogabile di tre mesi. Il parere è fondato sulle disposizioni del relativo accordo o convenzione di cui si chiede l’applicazione, nonché sulle eventuali norme nazionali rilevanti. L’adozione del parere avviene a maggioranza semplice dei propri membri. Se non può essere raggiunta una maggioranza, il voto del presidente determina il parere definitivo.

 

L’articolo 15 disciplina la decisione finale delle autorità competenti interessate, che deve essere comunicato entro sei mesi dalla notifica del parere della commissione consultiva, ovvero della commissione per la risoluzione alternativa delle controversie.

Le autorità possono conformarsi o meno dal parere delle commissioni; se non raggiungono un accordo su come risolvere la questione controversa, esse sono vincolate da tale parere.

La decisione finale, pur vincolante per gli Stati membri interessati, non costituisce un precedente. La decisione finale è attuata a condizione che i soggetti interessati accettino la decisione finale e rinuncino al diritto ai mezzi di impugnazione interni entro 60 giorni dalla data della notifica della decisione finale, ove applicabile.

 

L’articolo 16 della Direttiva DRM detta il principio secondo il quale spetta ai singoli Stati membri regolamentare le interazioni tra le decisioni dei giudici nazionali e la percorribilità della procedura.

Esso contiene inoltre disposizioni volte a disciplinare ordinatamente l’interazione del meccanismo risolutivo con procedimenti e deroghe nazionali; in particolare, le procedure di risoluzione della direttiva possono essere esperite anche se l'azione di uno Stato membro che ha dato luogo alla questione controversa è diventata definitiva.

Al contempo, la presentazione della questione controversa nell'ambito della procedura amichevole o della procedura di risoluzione delle controversie non impedisce a uno Stato membro di avviare o di continuare procedimenti giudiziari o procedimenti per sanzioni amministrative e penali in relazione alle stesse questioni.

E’ possibile rifiutare l’accesso alla procedura arbitrale nei casi di frode fiscale, dolo e negligenza grave (articolo 16, paragrafo 6). L’accesso all’arbitrato può essere inoltre rifiutato se la questione controversa non comporta doppie imposizioni (articolo 16, paragrafo 7).

 

L’articolo 17 reca disposizioni speciali per privati e imprese più piccole. Ove rivesta tale qualifica, il soggetto interessato può presentare i reclami, le risposte a una richiesta di informazioni supplementari, i ritiri e le richieste previste dalla direttiva esclusivamente all'autorità competente dello Stato membro in cui il soggetto interessato risiede.

 

Ai sensi dell’articolo 22, i termini di recepimento sono fissati al 30 giugno 2019.

 

La direttiva si applica a qualsiasi reclamo presentato a decorrere dal 1° luglio 2019, sulle questioni controverse riguardanti il reddito o il capitale percepito in un esercizio fiscale che ha inizio il 1o gennaio 2018 o in data successiva. Le autorità competenti degli Stati membri interessati possono tuttavia convenire di applicare la presente direttiva in relazione a un reclamo presentato prima di tale data o di esercizi fiscali precedenti.

 

Per il resto, si rinvia alla scheda sull’art. 8, supra.


 

Direttiva (UE) 2017/2102
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2017, recante modifica della direttiva 2011/65/UE sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche

 

La direttiva (UE) 2017/2102 del 15 novembre 2017, entrata in vigore l’11 dicembre 2017, è composta di quattro articoli e apporta modifiche alla Direttiva 2011/65/UE che reca norme sulla restrizione dell’uso di determinate sostanze pericolose nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE).

 

Lo scopo del provvedimento legislativo è adeguare il testo della Direttiva 2011/65/UE (cd. Direttiva RoHS II) al quadro legislativo disciplinante l’immissione sul mercato unico dei prodotti.

 

Le principali novità introdotte dalla Direttiva 2017/2102/UE sono le seguenti:

 

viene chiarito che la Direttiva 2011/65/UE si applica a tutte le AEE, inizialmente escluse dall’ambito di applicazione della Prima Direttiva sulla restrizione dell’uso di sostanze pericolose, Direttiva 2002/95/CE (cd. Direttiva RoHs I) e immesse sul mercato a decorrere dal 22 luglio 2019.

In suo luogo, viene previsto che fino al 22 luglio 2019, la Direttiva 2011/65/UE non si applichi ai cavi o ai pezzi di ricambio destinati alla riparazione, al riutilizzo, all’aggiornamento delle funzionalità o al potenziamento della capacità di tutte le altre AEE che non rientravano nell'ambito di applicazione della direttiva 2002/95/CE e che sono immesse sul mercato prima del 22 luglio 2019 (abrogazione dell’articolo 2, par. 2 e modifiche all’articolo 4, par. 3 e 4 della Direttiva 2011/65/UE);

 

viene inoltre previsto che Direttiva 2011/65/UE non si applichi al cd. mercato secondario, cioè quello del riutilizzo dei pezzi di ricambio recuperati da tutte le AEE che non rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva 2002/95/CE e che sono immesse sul mercato anteriormente al 22 luglio 2019 e utilizzati nelle AEE immesse sul mercato prima del 22 luglio 2029. Tale riutilizzo è consentito purché esso avvenga in sistemi controllabili di restituzione a circuito chiuso da impresa a impresa e che la presenza di parti di ricambio sia comunicata al consumatore. Il riutilizzo viene mantenuto anche per i dispositivi medici, medico diagnostici e di monitoraggio e controllo, ma vengono fissate per tali casistiche delle date limite (modifiche all’articolo 4 della Direttiva 2011/65/UE);

 

si introduce poi una nuova definizione di “macchine mobili non stradali” (modifica all'articolo 3, par. 28, della Direttiva 2011/65/UE).

vengono espunti dall’ambito di applicazione della direttiva 2011/65/UE i cosiddetti “organi a canne”. Tali organi sono costruiti utilizzando un tipo specifico di lega a base di piombo, per la quale finora non sono state trovate alternative. La maggior parte degli organi a canne rimane nello stesso luogo per vari secoli e il loro tasso di sostituzione è irrisorio (considerando n. 4 della Direttiva 2017/2102/UE, che a tal fine integra l’articolo 2, par. 4, della 2011/65/UE);

 

infine si introduce la previsione per cui la Commissione - entro un mese dal ricevimento di una domanda di concessione, di rinnovo o di revoca di un’esenzione dall’applicazione della Direttiva 2011/65/UE (per i casi ivi contemplati) - invia al richiedente, agli Stati membri e al Parlamento europeo un calendario per l'adozione della sua decisione sulla domanda (l’articolo 4, par. 4 e 5, della 2011/65/UE)

 

La direttiva 2017/2102/UE deve essere recepita dagli Stati membri entro il 12 giugno 2019.

 


 

Direttiva (UE) 2017/2108
del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 novembre 2017 che modifica la direttiva 2009/45/CE, relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri

 

Mediante una serie di modifiche alla direttiva 2009/45/CE[40] e in un'ottica di semplificazione, la Direttiva (UE) 2017/2108 stabilisce nuove regole e norme di sicurezza per le navi da passeggeri in materia di costruzione, stabilità e protezione contro gli incendi.

 

In particolare, si sottraggono dal campo di applicazione della direttiva 2009/45/CE alcuni tipi specifici di navi, ovvero principalmente:

1)     le navi da passeggeri di lunghezza inferiore a 24 metri;

2)     le imbarcazioni di servizio, utilizzate per trasferire più di dodici passeggeri da una nave passeggeri ferma alla terraferma e vice versa;

3)     le navi che trasportano, ad esempio negli impianti off shore, personale qualificato non impiegato a bordo per i servizi della nave;

4)     le navi da passeggeri senza mezzi di propulsione meccanica.

Ancora, la direttiva divide le zone marine in differenti categorie (tratto A, B, C e D sulla base della distanza dalla linea di costa corrispondente all'altezza media della marea), a ciascuna delle quali corrisponde un'analoga classificazione per le navi da passeggeri adibite ad operarvi (nuovo articolo 4 della direttiva 2009/45/CE). I requisiti di sicurezza per ciascuna di esse sono stabiliti nell'articolo 6 ed ulteriormente dettagliati nel voluminoso Allegato I. Il testo in esame innova, in particolar modo, con riferimento alle navi costruite in alluminio prima del 20 dicembre 2017. Queste dovranno rispettare i requisiti della direttiva al più tardi al partire dal 22 dicembre 2025. Eccezioni sono previste per gli Stati membri che abbiano più di 60 navi passeggeri costruite in lega di alluminio battenti la propria bandiera (nuovo articolo 6, par. 6 e seguenti, della direttiva 2009/45/CE).

Qualora gli Stati membri ritengano di introdurre requisiti supplementari di sicurezza, misure che consentano equivalenze o esenzioni, si prevede un obbligo di notifica alla Commissione europea tramite una banca dati. Quest'ultima è istituita e mantenuta dalla Commissione stessa, la quale rende le misure adottate disponibili al pubblico su un Sito Internet (articolo 9, par. 4, della direttiva 2009/45/CE).

É, infine, prevista la possibilità per la Commissione europea di adottare atti delegati per modificare il contenuto della direttiva al fine di tenere conto dell'evoluzione della normativa a livello internazionale, particolarmente in ambito IMO (Organizzazione marittima internazionale). La Commissione è autorizzata all'adozione di atti delegati anche al fine di non applicare la normativa internazionale ma solo "ove debitamente giustificato da un'adeguata analisi da parte della Commissione e allo scopo di evitare una minaccia grave e inaccettabile alla sicurezza marittima, alla salute, alle condizioni di vita e di lavoro a bordo o all'ambiente marino, ovvero di evitare l'incompatibilità con la legislazione marittima dell'Unione" (nuovo articolo 10 della direttiva 2009/45/CE). Ai sensi dell'articolo 10-bis, la relativa delega di potere è conferita per un periodo di sette anni ed è tacitamente prorogata per periodi di identica durata, salva opposizione del Parlamento europeo o del Consiglio.

Ai sensi del nuovo articolo 13 della direttiva 2009/45/CE, "tutte le navi da passeggeri nuove ed esistenti che soddisfino i requisiti della presente direttiva devono essere in possesso di un certificato di sicurezza delle navi da passeggeri" conforme a quello riportato nell'Allegato II.

Una valutazione dell'attuazione della direttiva in esame è prevista ad opera della Commissione europea entro il 22 dicembre 2026.

Il termine per il recepimento è, invece, stabilito per il 21 dicembre 2019.

 

La direttiva in esame genera dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 369 del 6 giugno 2016.

Nella XVII Legislatura l'8a Commissione permanente del Senato della Repubblica ha adottato una risoluzione favorevole (Doc XVIII, n. 139), rilevando l'opportunità di:

1)     prevedere che gli Stati membri possano mantenere i più rigorosi sistemi e dispositivi di prevenzione degli incidenti eventualmente stabiliti dalle normative nazionali;

2)     non estendere l'obbligo di adeguamento alla normativa in via di adozione alle navi costruite in alluminio prima dell'entrata in vigore del testo in esame o prevedere un periodo più ampio per l'adeguamento.

La Commissione europea ha inviato una risposta il 3 novembre 2016.

 

 


 

Direttiva (UE) 2017/2109
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2017, che modifica la direttiva 98/41/CE del Consiglio, relativa alla registrazione delle persone a bordo delle navi da passeggeri che effettuano viaggi da e verso i porti degli Stati membri della Comunità, e la direttiva 2010/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo e/o in partenza da porti degli Stati membri

 

La Direttiva (UE) 2017/2109 modifica la legislazione in vigore dell'Unione al fine di rendere più efficaci eventuali operazioni di ricerca e salvataggio in mare in caso di incidente. Una valutazione REFIT[41] ha infatti rivelato che le informazioni sulle persone presenti a bordo non sempre sono facilmente accessibili alle autorità competenti in caso di bisogno ed ha indicato la strada della digitalizzazione come possibile soluzione.

A questo fine vengono apportate modifiche alla direttiva 98/41/CE[42], volte ad istituire l'obbligo per le navi da passeggeri, prima della partenza, da un lato di comunicare al comandante della nave il numero delle persone a bordo e dall'altro di dichiarare questo medesimo dato "con mezzi tecnici adeguati" nell'interfaccia unica istituita dall'articolo 5 della direttiva 2010/65/UE[43] del Parlamento europeo e del Consiglio (nuovo articolo 4, par. 2, della direttiva 98/41/CE).

 

La direttiva 2010/65/UE ha lo scopo di semplificare e armonizzare le procedure amministrative applicate ai trasporti marittimi attraverso l’uso generalizzato della trasmissione elettronica delle informazioni e la razionalizzazione delle formalità di dichiarazione. Si applica alle formalità di dichiarazione applicabili al trasporto marittimo per le navi in arrivo o in partenza da porti situati negli Stati membri (articolo 1). L'articolo 5 prevede espressamente che gli Stati membri debbano accettare l’adempimento delle formalità di dichiarazione in formato elettronico e la loro trasmissione attraverso un’interfaccia unica, la quale "rappresenta il luogo dove (...) tutte le informazioni sono dichiarate una volta e messe a disposizione delle varie autorità competenti e degli Stati membri". L'interfaccia unica collega SafeSeaNet, il sistema dell’Unione per lo scambio di dati marittimi, con la dogana elettronica ed altri sistemi elettronici.

 

In alternativa, lo Stato membro può decidere che il numero delle persone a bordo sia comunicato all'autorità designata per mezzo del sistema di identificazione automatica (nuovo articolo 4, par. 2, della direttiva 98/41/CE). E' previsto, comunque, un periodo transitorio di sei anni a decorrere dal 20 dicembre 2017, in cui gli Stati membri possono continuare a consentire che l'informazione sia comunicata all'addetto alla registrazione dei passeggeri o al sistema a terra della società di gestione.

Il nuovo articolo 5 della direttiva 98/41/CE elenca puntualmente le informazioni che le navi passeggeri in partenza da un porto situato in uno Stato membro devono dichiarare all'interfaccia unica entro 15 minuti della partenza.

 

Anche in questo caso è previsto (nuovo articolo 5, par. 3) un periodo transitorio di sei anni dal 20 dicembre 2017, durante il quale gli Stati membri possono continuare a consentire che le informazioni siano comunicate all'addetto alla registrazione dei passeggeri o al sistema a terra della società di gestione.

 

L'obbligo vige per tutte le navi che effettuino viaggi la cui distanza dal punto di partenza al porto di scalo successivo superi venti miglia, fatte salve eventuali esenzioni concesse dagli Stati membri ai sensi del nuovo articolo 9 della direttiva 98/41/CE. Tali esenzioni devono essere comunicate e motivate "senza indugio" alla Commissione europea tramite un'apposita banca dati. Entro sei mesi la Commissione medesima, dopo averne valutato la compatibilità con il regime unionale di concorrenza, può chiedere allo Stato membro di modificare o revocare la propria decisione.

Agli Stati membri spetta anche assicurare (nuovo articolo 10) che le società di gestione dispongano di una procedura di registrazione dei dati che garantisca la dichiarazione "precisa e tempestiva" delle informazioni richieste. A tal fine ogni Stato deve designare un'autorità che abbia accesso alle informazioni, in maniera immediata in caso di emergenza o a seguito di incidente. In ogni caso - specifica il nuovo articolo 11 - "i dati richiesti sono raccolti e registrati in modo da non ritardare indebitamente l'imbarco o lo sbarco dei passeggeri", evitando la presenza di più raccolte di dati sulla stessa rotta o rotte analoghe.

Il nuovo articolo 11-bis determina il regime del trattamento dei dati personali, che deve essere conforme alla legislazione UE in vigore.

I nuovi articoli 12 e 12-bis conferiscono una delega di potere alla Commissione europea per l'adozione di atti delegati in virtù dei quali la Commissione medesima - in casi eccezionali e debitamente giustificati, "al fine di evitare una minaccia grave e inaccettabile alla sicurezza della navigazione o l'incompatibilità con il diritto marittimo dell'Unione" - può impedire l'applicazione di modifiche degli strumenti internazionali in materia di sicurezza nei mari citati nell'articolo 2 della direttiva 98/41/CE.

 

Si tratta del «Codice ISM» (Codice internazionale di gestione della sicurezza delle navi), adottato dall'Organizzazione marittima internazionale (IMO) il 4 novembre 1993) e della Regola 1 del capitolo X della Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare (Convenzione SOLAS) del 1974.

 

La delega ha una durata settennale ed è "tacitamente prorogata per periodi di identica durata" salvo opposizione del Parlamento europeo o del Consiglio.

Si prevede (nuovo articolo 14-bis) un costante monitoraggio dell'attuazione della direttiva, in particolare mediante una relazione intermedia (da predisporre ad opera della Commissione europea entro il 22 dicembre 2022) ed una successiva relazione finale (entro il 22 dicembre 2026).

Il termine per il recepimento fissato dall'articolo 3 dell'atto in esame è il 21 dicembre 2019. L'applicazione è prevista a partire dalla medesima data.

 

La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2017) 406.

 


 

Direttiva (UE) 2017/2110
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2017 relativa a un sistema di ispezioni per l'esercizio in condizioni di sicurezza di navi ro-ro da passeggeri adibite a servizi di linea e che modifica la direttiva 2009/16/CE e abroga la direttiva 1999/35/CE del Consiglio

 

La Direttiva (UE) 2017/2110 aggiorna la normativa dell'Unione relativa ad un sistema di visite obbligatorie per l'esercizio in condizioni di sicurezza di navi ro-ro passeggeri e di unità veloci da passeggeri adibite a servizi di linea.

L'articolo 2, par. 1), del testo in esame definisce la "nave ro-ro da passeggeri" come una nave avente dispositivi che consentono di caricare e scaricare veicoli stradali o ferroviari e che trasporta più di dodici passeggeri.

L'articolo 3 disciplina le ispezioni pre-avvio, da effettuarsi prima dell'avvio delle attività delle navi, con le eccezioni stabilite dall'articolo 4. Devono essere seguite da ulteriori ispezioni, tenute ad intervalli regolari, comunque a periodi non inferiori a dodici mesi (articolo 5). In ogni caso, navi ro-ro ed unità veloci vengono sottoposte ad ulteriori ispezioni ogni volta che subiscano riparazioni, alterazioni o modificazioni di rilievo oppure intervenga un cambiamento di gestione o un passaggio di classe (articolo 5, par. 3).

A seguito di ogni ispezione, viene redatto un rapporto (articolo 6), il cui esito viene condiviso su una banca dati elaborata, mantenuta ed aggiornata dalla Commissione europea (articolo 10). Qualora le ispezioni mettano in luce delle carenze, spetta agli Stati membri accertarsi che queste vengano corrette nei termini previsti dall'articolo 7. In caso di carenze che rappresentano un evidente pericolo per la salute o la sicurezza o costituiscono un rischio immediato per la salute o la vita o per la nave, l'equipaggio e i passeggeri, l'Autorità competente dello Stato membro adotta un "provvedimento di fermo", che impedisce la partenza delle navi e non può essere revocato finché la carenza non sia stata corretta o il pericolo eliminato "in modo soddisfacente". L'articolo 8 disciplina il diritto di ricorso della compagnia, che ai sensi del paragrafo 1 non ha effetto sospensivo a meno che il diritto nazionale non preveda misure provvisorie.

Si segnala la previsione (articolo 9) in base alla quale qualora le ispezioni confermino o rivelino carenze che giustificano un provvedimento di fermo, tutte le spese connesse alle ispezioni sono a carico della compagnia.

I requisiti specifici per le navi in servizio di linea e le procedure per le ispezioni sono regolate rispettivamente dagli Allegati I e II, per la modifica dei quali l'articolo 12 conferisce alla Commissione europea una delega per l'adozione di atti delegati "al fine di tener conto degli sviluppi del diritto internazionale, in particolare in seno all'IMO, e di migliorare le specifiche tecniche alla luce dell'esperienza maturata". Solo in circostanze eccezionali - "ove debitamente giustificato da un'adeguata analisi da parte della Commissione e allo scopo di evitare una minaccia grave e inaccettabile alla sicurezza marittima, alla salute, alle condizioni di vita e di lavoro a bordo o all'ambiente marino, o di evitare l'incompatibilità con la legislazione marittima dell'Unione" - il potere di delega può essere esercitato al fine di non applicare una modifica dei seguenti strumenti internazionali:

1)     il Codice internazionale di sicurezza per le unità veloci, adottato dall'IMO;

2)     la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita in mare (Convenzione SOLAS) del 1974;

3)     gli orientamenti dell'IMO per le ispezioni nell'ambito del sistema armonizzato di visite e certificazioni (HSSC);

4)     il Codice ISM» (Codice internazionale di gestione della sicurezza delle navi).

 

La delega è conferita per sette anni ed è tacitamente prorogata per periodi di identica durata, salvo opposizione del Parlamento europeo o del Consiglio (articolo 13).

Ai sensi dell'articolo 11, l'identificazione delle sanzioni ("effettive, proporzionate e dissuasive") applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione del testo in esame spetta agli Stati membri.

L'articolo 14 apporta modifiche alla direttiva 2009/16/CE[44], finalizzate ad armonizzarne il testo con quello in esame. La modifica più rilevante consiste nell'introduzione di un Allegato XVII, rubricato "Ispezione delle navi ro-ro da passeggeri e delle unità veloci da passeggeri in servizio di linea". L'Allegato ribadisce l'obbligo, per gli Stati membri, di effettuare un'ispezione prima dell'avvio di una nave ro-ro da passeggeri o di un'unità veloce da passeggeri in un servizio di linea. E' prevista, in particolare, la possibilità (paragrafo 1.2) che uno Stato membro tenga conto delle ispezioni effettuate da altri Stati membri negli ultimi otto mesi "a condizione che (...) lo Stato membro sia soddisfatto della pertinenza di tali ispezioni precedenti per le nuove condizioni operative". E' disciplinata anche l'ipotesi di necessità urgente - a seguito di circostanze impreviste - di utilizzare una nave al fine di assicurare la continuità del servizio (paragrafo 1.3).

Viene anche introdotto un articolo 14-bis alla direttiva 2009/16/CE per introdurre la possibilità di sottoporre le navi ro-ro da passeggeri e le unità veloci da passeggeri ad ispezioni in conformità alla tempistica ed agli altri requisiti stabiliti appunto dall'Allegato XVII.

L'articolo 15 del testo in esame procede quindi all'abrogazione esplicita della direttiva 1999/35/CE[45] mentre l'articolo 16 incarica la Commissione europea di valutare l'attuazione della presente direttiva, presentandone i risultati a Parlamento europeo e Consiglio entro il 21 dicembre 2026.

Il termine per il recepimento è fissato per il 21 dicembre 2019.

 

La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 371 del 6 giugno 2016, sulla quale nella XVII Legislatura l'8a Commissione permanente del Senato della Repubblica ha adottato una risoluzione favorevole (Doc XVIII, n. 141).

La Commissione europea ha risposto al Senato il 3 novembre 2016.

 


 

Direttiva (UE) 2017/2397
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali nel settore della navigazione interna e che abroga le direttive 91/672/CEE e 96/50/CE del Consiglio

 

La direttiva (UE) 2017/2397 ha l’obiettivo di istituire un quadro comune europeo in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali minime per la navigazione interna, stabilendo le condizioni e le procedure per la certificazione delle qualifiche ed il loro riconoscimento negli Stati membri.

Il termine per il recepimento della direttiva è fissato al 17 gennaio 2022, ma per gli Stati, come l’Italia, in cui le vie navigabili interne non hanno un collegamento transfrontaliero è consentito di recepire solo alcune disposizioni della direttiva (vedi sub).

 

La direttiva 2017/2397 prevede l’istituzione di un certificato di qualifica dell’Unione per consentire ai titolari di qualifiche professionali nel settore della navigazione interna di esercitare la loro professione su tutte le vie navigabili interne dell’Ue. L’obiettivo è che i certificati di qualifica, i libretti di navigazione e i giornali di bordo rispettino norme minime, richieste sulla base di criteri armonizzati definiti nella direttiva, in modo che gli Stati membri possano riconoscere le qualifiche professionali così certificate.

La direttiva si applica (art. 2) ai membri del personale di coperta, agli esperti di gas naturale liquefatto e agli esperti di navigazione passeggeri delle seguenti tipologie di imbarcazioni sulle vie navigabili interne:

a)  navi di lunghezza pari o superiore a 20 metri;

b)  navi per le quali il prodotto fra lunghezza, larghezza e immersione è pari o superiore in volume a 100 metri cubi;

c)  rimorchiatori e spintori destinati a:

i)     rimorchiare o spingere navi di cui alle lettere a) e b);

ii)    rimorchiare o spingere galleggianti speciali;

iii)   spostare navi di cui alle lettere a) e b) o galleggianti speciali;

d) navi passeggeri;

e)  navi per le quali è richiesto un certificato di approvazione ai sensi della direttiva 2008/68/CE del Parlamento europeo e del Consiglio;

f)  galleggianti speciali.

 

Per gli Stati, come l’Italia, in cui non vi sono attività transfrontaliere sulle vie navigabili interne nazionali, al fine di ridurre i costi, è prevista la possibilità di non rendere obbligatori i certificati di qualifica dell’Unione su tali vie navigabili interne nazionali. Tuttavia, i certificati dell’Unione devono essere riconosciuti, cioè consentire l’accesso alle attività di navigazione su tali vie navigabili non collegate.

L’art. 39, par. 3 della direttiva pertanto consente agli Stati membri interessati di recepire soltanto le disposizioni minime necessarie al riconoscimento dei certificati professionali previsti dalla direttiva in quanto l’onere amministrativo dovrebbe essere proporzionale e strumenti per l’attuazione come le banche dati e i registri comporterebbero un onere amministrativo eccessivo senza offrire un vantaggio reale. Si stabilisce che gli Stati membri in cui tutto il personale (personale di coperta, esperti di navigazione passeggeri ed esperti di gas naturale liquefatto nonché conduttori di navi) operi esclusivamente su vie navigabili interne nazionali non collegate alla rete navigabile di un altro Stato membro sono tenuti a recepire, sempre entro il 17 gennaio 2022, solo le disposizioni riassunte nella tabella seguente:

 

Articoli della direttiva 2017/2397 che l’Italia deve recepire

Oggetto

Articoli 7 e 8 

Esenzioni per i canali non transfrontalieri e classificazione delle vie navigabili interne a carattere marittimo

Articolo 10

Riconoscimento dei certificati di qualifica e del libretto di navigazione in tutta l’Unione europea

articolo 14, paragrafi 2 e 3

Sospensione temporanea di un certificato per motivi di sicurezza o di ordine pubblico e registrazione delle sospensioni e delle revoche

articolo 22, paragrafo 1, secondo comma

Registrazioni di dati sul libretto di navigazione su richiesta dei conduttori di navi

articolo 22, paragrafo 2

Convalida nel libretto di navigazione dei dati riguardanti il tempo di navigazione e i viaggi effettuati, su richiesta di un membro dell’equipaggio

articolo 26, paragrafo 1, lettera d), se del caso

Designazione delle autorità competenti che rilasciano, rinnovano, sospendono o revocano i certificati e rilasciano le autorizzazioni specifiche, nonché libretti di navigazione e i giornali di bordo

articolo 26, paragrafo 1, lettere e) e h);

Designazione delle autorità competenti che convalidano il tempo di navigazione e che individuano e contrastano le frodi e altre pratiche illecite

articolo 26, paragrafo 2

Notifica alla Commissione UE di tutte le autorità competenti designate

articolo 29

Prevenzione delle frodi concernenti i certificati di qualifica dell’Unione, i libretti di navigazione, i giornali di bordo, i certificati medici e i registri

articolo 30

Sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali

articolo 38, escl. par. 2

Disposizioni transitorie

In particolare, tra le norme che dovranno essere recepite, l’art.10 prevede la validità su tutte le vie navigabili interne dell’Unione dei certificati di qualifica dell’Unione, dei libretti di navigazione e dei giornali di bordo.

 

L’art. 39, par. 3 della direttiva tiene inoltre conto del fatto che in diversi Stati membri la navigazione interna è un’attività sporadica di interesse meramente locale o stagionale su vie navigabili senza collegamenti ad altri Stati membri. La direttiva (art. 2, par.3) non si applica alle persone che navigano negli Stati membri in cui non vi sono vie navigabili interne transfrontaliere e che effettuano esclusivamente:

a) percorsi entro una zona geografica limitata di interesse locale, se la distanza dal punto di partenza non supera mai i dieci chilometri; o

b) percorsi su base stagionale.

 

Si ricorda che con le direttive 91/672/CEE e 96/50/CE sono stati compiuti i primi passi compiuti verso l’armonizzazione e il riconoscimento delle qualifiche professionali dei membri d’equipaggio nel settore della navigazione interna, in particolare per i conduttori di nave. Con la successiva direttiva 2005/36/CE è stato previsto il riconoscimento reciproco di diplomi e certificati per le professioni del settore della navigazione interna diverse da conduttore di nave; tale riconoscimento peraltro non è risultato pienamente adeguato alle regolari e frequenti attività transfrontaliere delle professioni del settore della navigazione interna, esistenti in particolare nelle vie navigabili interne collegate a vie navigabili interne di un altro Stato membro.

Si ricorda altresì che l’armonizzazione della legislazione nel settore delle qualifiche professionali nella navigazione interna in Europa è agevolata dalla stretta collaborazione tra l’Unione e la Commissione centrale per la navigazione del Reno (CCNR) e dallo sviluppo delle norme CESNI (Comitato europeo per l’elaborazione di norme per la navigazione interna). Il CESNI, aperto a esperti di tutti gli Stati membri, elabora norme nel settore della navigazione interna, anche norme relative alle qualifiche professionali.

 

A livello nazionale la disciplina del personale della navigazione interna è stabilita dal Codice della navigazione (artt. 128-135), dal decreto del Presidente della repubblica n. 631 del 1949 contenente il regolamento di attuazione del codice della navigazione (navigazione interna), in particolare dagli articoli 41-61, e da diversi decreti ministeriali attuativi delle sopra ricordate disposizioni. Inoltre con il decreto ministeriale 5 agosto 1993, n. 368 è stato disciplinato, in attuazione della direttiva n. 87/540/CEE del 9 novembre 1987, l'accesso alla professione di trasportatore di merci per via navigabile.

 

Si segnala che nel settembre 2018 la Commissione europea ha presentato una proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione che dovrà essere assunta, a nome dell'Unione europea, nel Comitato europeo per l'elaborazione di norme per la navigazione interna e nella Commissione centrale per la navigazione sul Reno sull'adozione di norme relative alle qualifiche professionali nel settore della navigazione interna (COM(2018) 642).

 


 

Direttiva (UE) 2017/2398
del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2017 che modifica la direttiva 2004/37/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro

 

La Direttiva (UE) 2017/2398 modifica la vigente direttiva 2004/37/CE, che cerca di garantire ai lavoratori un livello coerente di protezione contro i rischi derivanti da agenti cancerogeni o mutageni, e definisce i limiti di esposizione professionale a sostanze pericolose.

Vengono inseriti i valori limite per l’esposizione professionale sia per la polvere di silice cristallina respirabile sia per altri agenti cancerogeni (composti di cromo VI, fibre ceramiche refrattarie, ossido di etilene, 1,2-epossipropano, acrilammide, 2-nitropropano, o-toluidina, 1,3-butadiene, idrazina, bromoetilene). Vengono inoltre modificati i valori limite per le polveri di legno duro e il cloruro di vinile monomero alla luce dei dati scientifici più recenti.

L'articolo 1, paragrafo 3, del testo in argomento (che introduce un articolo 18-bis alla direttiva (UE) 2017/2398), oltre a prevedere un riesame del limite relativo alla polvere di silice cristallina respirabile, incarica altresì la Commissione europea di valutare la possibilità di modificare l'ambito di applicazione della direttiva per includervi sostanze tossiche per la riproduzione.

Si introduce inoltre la necessità di assicurare un'adeguata sorveglianza sanitaria dei lavoratori a rischio, che può proseguire anche oltre il termine dell'esposizione sulla base di una decisione del medico o dell'autorità responsabile per la sorveglianza (articolo 1, paragrafo 2, lettera a).

E' inoltre specificato che "tutti i casi di cancro che (...) risultino essere stati causati dall'esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante l'attività lavorativa, devono essere notificati all'autorità responsabile" (articolo 1, paragrafo 2, lettera b).

Il termine per il recepimento è fissato per il 17 gennaio 2020 (articolo 2).

 

La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 248 del 13 maggio 2016[46].

Nella XVII Legislatura l'11a Commissione permanente del Senato della Repubblica ha adottato una risoluzione favorevole (Doc XVIII, n. 135) su tale documento. Ha però anche raccomandato, al contempo, un approfondimento sulla reale necessità di conservare la documentazione sanitaria per un periodo di almeno 40 anni, così come indicato dall'art. 15 della direttiva 2004/37/CE, su cui la proposta stessa incide.

Nei propri rilievi, la 12a Commissione permanente ha evidenziato:

1)     la necessità di inserire nella direttiva il divieto di utilizzo degli agenti cancerogeni e mutageni sul posto di lavoro, entro un determinato periodo di tempo o comunque quando le condizioni tecnico-scientifiche consentiranno di ridurre ulteriormente o eliminare il rischio per i lavoratori;

2)     la valutazione dell'opportunità di definire limiti di esposizione professionale specifici per settore, industria o utilizzo.

La Commissione europea ha risposto al Senato il 3 novembre 2016.

 

Nella Comunicazione "Lavoro più sicuro e sano per tutti" del 10 gennaio 2017 (COM(2017) 12) la Commissione europea ha preannunciato ulteriori aggiornamenti della direttiva 2004/37/CE.

Due ulteriori proposte di modifica sono state quindi presentate, rispettivamente nel 2017 (COM(2017) 11) e nel 2018 (COM(2018) 171). L'iter di approvazione di entrambe le proposte è ancora in corso.

Sulla prima l'11a Commissione permanente del Senato ha approvato, il 7 marzo 2017, una risoluzione favorevole (Doc XVIII, n. 192), che ha ricevuto risposta dalla Commissione europea il 9 giugno 2017.

 


 

Direttiva (UE) 2017/2455
del Consiglio, del 5 dicembre 2017, che modifica la direttiva 2006/112/CE e la direttiva 2009/132/CE per quanto riguarda taluni obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto per le prestazioni di servizi e le vendite a distanza di beni

 

La direttiva 2017/2455, composta da 6 articoli, reca modifiche alla direttiva 2006/112/CE, che istituisce il sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (IVA), e alla direttiva 2009/132/CE, che prevede un'esenzione dall'IVA di talune importazioni definitive di beni.

In particolare, la direttiva in esame modifica la porzione della direttiva 2006/112/CE che istituisce regimi speciali IVA per i soggetti non stabiliti che prestano servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione o per via elettronica, nonché la porzione della direttiva 2009/132/CE che riguarda l'esenzione IVA per le importazioni di piccole spedizioni di valore trascurabile.

 

La direttiva in esame trae origine dalla proposta della Commissione europea COM(2016)757, la quale rientra nel pacchetto di proposte legislative relative alla Strategia per il mercato unico digitale in Europa e al Piano d'azione sull'IVA. Quest'ultimo è stato adottato dalla Commissione europea il 7 aprile 2016 con la finalità di creare un'area unica IVA europea in grado di promuovere investimenti, occupazione e crescita attraverso la semplificazione, l'utilizzo delle tecnologie più moderne e il miglioramento dei rapporti tra amministrazioni fiscali e operatori economici.

 

Nei considerando della direttiva vengono fornite alcune motivazioni basate sulla valutazione dei risultati dei regimi speciali IVA avviata il 1° gennaio 2015. In particolare si cita la necessità di ridurre l'onere di adempiere agli obblighi IVA gravante sulle microimprese che prestano servizi occasionalmente; ridurre l'onere di rispettare le normative in materia di fatturazione per le imprese; consentire ai soggetti passivi non stabiliti nella Comunità, ma registrati ai fini IVA in uno Stato membro, di avvalersi del regime speciale; estendere il termine per la presentazione della dichiarazione IVA e per eventuali correzioni per i soggetti passivi che effettuano prestazioni attraverso una rete di telecomunicazioni, un'interfaccia o un portale; evitare che i soggetti passivi che prestano servizi diversi dai servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione o dai servizi forniti per via elettronica a persone che non sono soggetti passivi debbano essere identificati ai fini dell'IVA in ogni Stato membro in cui tali servizi sono soggetti all'IVA; adattare la disciplina IVA alle esigenze determinate dalla crescita esplosiva del commercio elettronico e, di conseguenza, delle vendite a distanza di beni, forniti da uno Stato membro all'altro e da territori o paesi terzi; coinvolgere i soggetti passivi che facilitano le vendite a distanza di beni tramite l'uso di un'interfaccia elettronica nella riscossione dell'IVA al fine di assicurare una riscossione effettiva ed efficace riducendo l'onere amministrativo per i venditori, le amministrazioni fiscali e i consumatori; ridurre gli oneri di emissione delle fatture per le imprese che si avvalgono del regime speciale per le vendite di beni; evitare distorsioni della concorrenza tra fornitori all'interno e all'esterno della Comunità.

 

Il termine per il recepimento dell'articolo 1 (modifiche della direttiva 2006/112/CE) è previsto per il 31 dicembre 2018, mentre il termine di decorrenza è il 1° gennaio 2019. Il termine per il recepimento dell'articolo 2 (ulteriori modifiche della direttiva 2006/112/CE) e dell'articolo 3 (modifiche della direttiva 2009/132 CE) è, invece, previsto per il 31 dicembre 2018, mentre il termine di decorrenza è il 1° gennaio 2021.

 

Sono indicate di seguito, in estrema sintesi, le principali modifiche recate dalla direttiva.

Modifiche della direttiva 2006/112/CE con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2019

La direttiva prevede la semplificazione e l'estensione dell'operatività del regime speciale c.d. MOSS (Mini One Stop Shop) o Mini Sportello Unico.

 

Il MOSS è un regime di tassazione IVA opzionale relativo alle prestazioni di servizi elettronici e di telecomunicazione e teleradiodiffusione (TTE) a favore di consumatori finali europei (Business to consumer - B2C). In base alla disciplina europea dell'IVA, la tassazione IVA di tali prestazioni di servizi avviene nello Stato membro del consumatore finale (Stato membro di consumo) e non in quello del prestatore (Stato membro di identificazione). Optando per il regime MOSS, il soggetto passivo (fornitore dei servizi) evita di doversi identificare presso ogni Stato membro di consumo per effettuare gli adempimenti richiesti (dichiarazione e versamento dell'IVA), mentre trasmette telematicamente le dichiarazioni IVA trimestrali ed effettua i versamenti, attraverso un apposito portale elettronico, esclusivamente nel proprio Stato membro di identificazione, limitatamente alle operazioni rese a consumatori finali residenti o domiciliati in altri Stati membri di consumo. Le dichiarazioni e i versamenti così acquisiti dallo Stato membro di identificazione sono quindi trasmesse ai rispettivi Stati membri di consumo mediante una rete di comunicazione sicura.

In Italia il portale elettronico MOSS è gestito dall'Agenzia delle entrate.

 

In termini di semplificazione del regime MOSS, la direttiva in esame introduce una soglia di 10.000 euro al di sotto della quale le prestazioni sono soggette ad IVA nello Stato membro di identificazione del soggetto passivo, a meno che questo non opti per l'applicazione dell'imposta nello Stato membro di consumo. Sono semplificate le procedure di emissione delle fatture. Si autorizzano inoltre i soggetti passivi ad applicare le norme dello Stato membro di identificazione in materia di fatturazione e tenuta dei registri. La direttiva introduce inoltre misure di semplificazione a favore delle piccole start up operanti nel settore del commercio elettronico e norme semplificate per l'identificazione degli acquirenti e dei destinatari. Si introduce inoltre un regime semplificato di dichiarazione e versamento dell'IVA all'importazione per le tipologie di prestazioni e vendite per le quali l'IVA non è versata tramite il regime MOSS.

In termini di estensione del regime MOSS, la direttiva reca l'estensione del regime speciale anche ai soggetti passivi non stabiliti nell'Unione europea ma registrati ai fini IVA in uno o più paesi membri, nonché alla vendita di beni materiali e di servizi diversi da quelli elettronici. Si estende l'applicazione del MOSS alle piccole spedizioni di valore non superiore a 150 euro. Nel caso di beni di valore superiore è richiesta una dichiarazione doganale completa al momento dell'importazione. La direttiva prevede che il soggetto passivo che facilita le vendite a distanza tramite l'uso di interfaccia elettronica venga coinvolto nella riscossione dell'IVA. Tale soggetto passivo è inoltre obbligato a conservare, per un periodo di dieci anni, la documentazione relativa a tale cessione o prestazione, facendo in modo che sia sufficientemente dettagliata da consentire alle amministrazioni fiscali degli Stati membri interessati di controllare che sia contabilizzata in modo corretto.

Modifiche della direttiva 2009/132/CE con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2021

L'articolo 3 della direttiva in esame reca la soppressione del titolo IV della direttiva 2009/132/CE, il quale prevede l'ammissibilità in esenzione delle importazioni di beni di valore totale non superiore a 10 euro, nonché la possibilità per gli Stati membri di ammettere in esenzione le importazioni di beni di valore totale compreso fra 10 e 22 euro.

 

Si segnala che in tema di disciplina dell'IVA comunitaria, sono stati altresì pubblicati:

il Regolamento (UE) 2017/2454 del Consiglio, del 5 dicembre 2017, che modifica il regolamento (UE) n. 904/2010 relativo alla cooperazione amministrativa e alla lotta contro la frode in materia d'imposta sul valore aggiunto, che tiene conto dell'estensione del regime speciale MOSS alle vendite a distanza di beni nei confronti dei privati. Il regolamento si applica a partire dal 1° gennaio 2021.

Il Regolamento di esecuzione (UE) 2017/2459 del Consiglio, del 5 dicembre 2017, che modifica il regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011 recante disposizioni di applicazione della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto. Tale regolamento incide sulla disciplina per la determinazione del luogo di effettuazione dei servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elettronici resi a privati consumatori prevedendo semplificazioni delle modalità per provare il luogo di stabilimento del destinatario. Tali disposizioni sono complementari a quelle introdotte dalla direttiva in esame. Il regolamento si applica a partire dal 1° gennaio 2019.

 

Per il mancato recepimento risulta avviata contro l'Italia la procedura di infrazione 2019_0055, rispetto alla quale il 30 gennaio 2019 è stata comunicata all'Italia la messa in mora formale.

 


 

Direttiva (UE) 2018/131
del Consiglio del 23 gennaio 2018 recante attuazione dell'Accordo concluso dall'Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF), volto a modificare la direttiva 2009/13/CE conformemente alle modifiche del 2014 alla convenzione sul lavoro marittimo del 2006, approvate dalla Conferenza internazionale del lavoro l'11 giugno 2014

 

La Direttiva (UE) 2018/131 attua, al livello dell'Unione, l'accordo europeo tra le parti sociali[47] intervenuto il 5 dicembre 2016 e finalizzato ad introdurre nell'ordinamento UE le modifiche alla Convenzione sul lavoro marittimo (CLM) del 2006, concordate in sede di Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) nel 2014.

 

La Convenzione sul lavoro marittimo è stata conclusa il 23 febbraio 2006 e disciplina: i requisiti minimi per l'impiego di marinai su una nave; le condizioni di impiego; l'alloggio, le strutture ricreative, l'alimentazione ed il servizio mensa; la tutela sanitaria, le cure mediche, la protezione del benessere e della protezione sociale; la conformità ed applicazione delle disposizioni. Oltre alle modifiche concordate nel 2014, oggetto del testo in esame, nuovi emendamenti sono stati approvati nel 2016 e nel 2018. Per maggiori dettagli, si rinvia al sito Internet dell'Organizzazione internazionale del lavoro.

La Convenzione del 2006 era, a sua volta, già stata oggetto di un precedente accordo tra le parti sociali, concluso nel 2008, a cui si era dato attuazione tramite la direttiva 2009/13/CE[48], che viene appunto modificata dal testo in esame. E' stata ratificata dall'Italia con legge 23 settembre 2013, n. 113. La situazione delle ratifiche da parte italiana delle modifiche successivamente approvate è disponibile sul sito Internet dell'OIL.

 

 

 

1) La direttiva

L'articolo 1 specifica la natura della direttiva, che intende dare attuazione all'accordo concluso il 5 dicembre 2016 tra l'Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e la Federazione europea lavoratori dei trasporti (ETF) "conformemente alle modifiche del 2014 alla CLM".

L'articolo 2 chiarisce che l'accordo intervenuto tra ECSA ed ETF sulla Convenzione del 2006 - che figura in Allegato della direttiva 2009/13/CE - viene modificato conformemente al nuovo Accordo.

Ai sensi dell'articolo 3, il termine per il recepimento è fissato al 16 febbraio 2020. E' altresì prevista la possibilità (paragrafo 3) che gli Stati membri affidino alle parti sociali l'attuazione della direttiva, a condizione che esse lo richiedano congiuntamente e che gli Stati membri "adottino tutte le misure necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti dalla presente direttiva".

 

2) L'accordo tra le parti sociali

L'accordo - pubblicato in Allegato al testo in esame - riprende il contenuto delle disposizioni obbligatorie delle modifiche del 2014 alla Convenzione sul lavoro marittimo, che sono relative a:

1)     l'istituzione di un sistema di garanzia finanziaria in caso di abbandono del marittimo[49]. E' richiesto agli Stati membri di garantire, per le navi battenti la propria bandiera, un sistema - che può assumere la forma di un regime di sicurezza sociale, di un'assicurazione, di un fondo nazionale o di altri strumenti analoghi - che fornisca una copertura sufficiente ed un'assistenza finanziaria rapida ad ogni marittimo abbandonato. L'assistenza deve comprendere cibo, alloggio, approvvigionamento di acqua potabile e carburante, cure mediche. Certificazione giustificativa della garanzia finanziaria deve essere conservata a bordo di tutte le navi battenti bandiera degli Stati membri;

2)     l'individuazione di prescrizioni minime che - ai sensi della legislazione nazionale - deve rispettare il sistema di garanzia finanziaria fornita dall'armatore a copertura dell'indennizzo in caso di decesso o disabilità a lungo termine del marittimo derivante da infortunio sul lavoro, malattia o rischio professionale. Tra tali prescrizioni, si ricordano: il divieto di esercitare pressione ad accettare pagamenti per importi inferiori a quanto stabilito per contratto; la corresponsione di uno o più pagamenti intermedi qualora la natura della disabilità a lungo termine renda difficile valutare l'indennizzo integrale; la possibilità che la richiesta di indennizzo contrattuale sia presentata dal diretto interessato ma anche da un parente prossimo, un rappresentante o un beneficiario designato. Gli Stati membri dispongono che a bordo delle navi che battono la propria bandiera sia conservata certificazione giustificativa della garanzia finanziaria.

 

Si segnala che risulta pendente una procedura di infrazione contro l'Italia per il mancato recepimento di alcuni obblighi derivanti da un'altra direttiva (la direttiva 2009/13/CE del Consiglio del 16 febbraio 2009) recante attuazione dell’accordo concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) sulla convenzione sul lavoro marittimo del 2006. Si tratta della procedura di infrazione 2014/515, in relazione alla quale la Commissione europea ha emesso il parere motivato ex articolo 258 del TFUE in data 7 dicembre 2017.

 

La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea COM(2017) 406 del 27 luglio 2017.

 


 

Direttiva (UE) 2018/410
del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 marzo 2018, che modifica la direttiva 2003/87/CE per sostenere una riduzione delle emissioni più efficace sotto il profilo dei costi e promuovere investimenti a favore di basse emissioni di carbonio e la decisione (UE) 2015/1814

 

La Direttiva 2018/410, entrata in vigore l’8 aprile 2018 e composta di sei articoli e due Allegati, attraverso, principalmente, una serie di modifiche alla direttiva 2003/87, che ha disciplinato a partire dal 2005 il sistema europeo di scambio di quote d'emissione (EU Emission Trading System - EU ETS), per gli impianti industriali, per il settore della produzione di energia elettrica e termica e per gli operatori aerei, propone di regolare il funzionamento dell'EU-ETS nel periodo 2021-2030. Il termine per il recepimento della direttiva 2018/410 è il 9 ottobre 2019.

In tale ambito si ricorda che il Quadro per il clima e l’energia 2030 prevede l'obiettivo vincolante di ridurre entro il 2030 le emissioni nel territorio dell’Unione Europea di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990, mentre i settori interessati dal sistema ETS dovranno ridurre le emissioni del 43%, rispetto al 2005, comportando una necessaria riforma dell’EU-ETS per poter adempiere agli impegni assunti nell'ambito dell'Accordo di Parigi.

 

Tra le principali novità della direttiva 2018/410/UE si segnala:

l'innalzamento del cd. "fattore di riduzione lineare", al fine di determinare una riduzione annuale del volume totale di emissioni del 2,2%;

la riscrittura delle modalità di assegnazione gratuita delle quote e il raddoppio temporaneo (fino al 2023) del numero di quote da immettere nella riserva stabilizzatrice del mercato;

la modifica delle regole per gli impianti "nuovi entranti" e per la concessione di finanziamenti da parte dell'UE.

Per ulteriori approfondimenti sulla materia in esame, vedi la scheda del Servizio studi sui “Cambiamenti climatici”.

Di seguito sono descritte le principali modifiche recate agli articoli della direttiva 2003/87 da parte della direttiva 2018/410.

 

Coordinamento con la direttiva 2010/75/UE (art. 8 sostituito dall’art. 1, par. 1, punto 11)

 

Il nuovo art. 8 prevede che gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari affinché, nel caso di impianti industriali che esercitano attività di cui all'allegato I della direttiva 2010/75/UE (relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento), le condizioni e la procedura per il rilascio di un'autorizzazione a emettere gas a effetto serra siano coordinate con quelle per il rilascio di un'autorizzazione prevista da tale direttiva.

Quantitativo comunitario di quote (art. 9 modificato dall’art. 1, par. 1, punto 12)

L’art. 9 stabilisce che, per accelerare il ritmo delle riduzioni delle emissioni, a partire dal 2021, la quantità complessiva di quote di emissione diminuirà a un tasso annuo del 2,2% rispetto all’attuale 1,74% (fattore lineare).

Messa all'asta delle quote (artt. 10 e 10-bis modificati dall'art. 1, par. 1, punti 13 e 14)

L’art. 10 prevede in particolare che a decorrere dal 2021, e fatta salva una possibile riduzione ai sensi dell'articolo 10 bis, paragrafo 5 bis della direttiva 2003/87, la percentuale di quote destinate a essere messe all'asta rimane del 57 %.

L’art. 10-bis, par. 5-bis, prevede infatti la possibilità di una percentuale aggiuntiva fino al 3% (fattore di correzione transettoriale uniforme) del quantitativo totale di quote da mettere all’asta, utilizzata, nella misura necessaria, per aumentare la quantità massima di quote a titolo gratuito disponibile.

Viene previsto, inoltre, nell’art. 10 che il 2 % del quantitativo totale di quote tra il 2021 e il 2030 è messo all'asta per istituire un fondo finalizzato a una migliore efficienza energetica e alla modernizzazione dei sistemi energetici di determinati Stati membri, come previsto all'articolo 10-quinquies (vedi infra, Fondo per la modernizzazione).

Con l’art. 10-bis, par. 6, si prevede, inoltre, l’introduzione di un massimale, seppur non obbligatorio, per le compensazioni alle industrie più energivore dei costi ‘indiretti’ derivanti dalla applicazione dell’EU-ETS (cd. carbon leakage indiretto) che consente l’utilizzo dei proventi d’asta, in misura pari al 25%, in linea comunque con le regole comunitarie sugli aiuti di Stato.

E’ prevista, inoltre, la costituzione della riserva per i nuovi entranti attraverso le quote inutilizzate nel periodo 2013-2020, unitamente a 200 milioni di quote della riserva stabilizzatrice del mercato, a norma dell'articolo 1, paragrafo 3, della decisione (UE) 2015/1814.

Settori a elevata intensità energetica (art. 10-ter modificato dall’art. 1, par. 1, punto 15)

Nell’ambito delle misure di sostegno transitorie a favore di determinate industrie a elevata intensità energetica nell'eventualità di una rilocalizzazione delle emissioni di carbonio (cd. carbon leakage diretto), disciplinate dall’art. 10-ter, si conferma l’assegnazione totalmente gratuita ai settori rientranti nella nuova lista del “carbon leakage” diretto ossia esposti ad un elevato rischio di rilocalizzazione delle emissioni, mentre per gli altri settori la percentuale dell’assegnazione viene fissata al 30%, con la graduale riduzione fino all’eliminazione a partire dal 2026, ad eccezione del teleriscaldamento.

Fondo per la modernizzazione (art. 10-quinquies introdotto dall’art. 1, par. 1, punto 16)

Al fine di sostenere gli investimenti proposti dagli Stati membri beneficiari, compreso il finanziamento di progetti d'investimento su scala ridotta, per modernizzare i sistemi energetici e migliorare l'efficienza energetica negli Stati membri con un PIL pro capite, a prezzi di mercato, inferiore al 60% della media dell'Unione nel 2013, è istituito il Fondo per la modernizzazione, per il periodo dal 2021 al 2030. Il Fondo per la modernizzazione è finanziato tramite la vendita all'asta delle quote di cui all'articolo 10.

Fondo per l’innovazione (art. 10-bis, par.8, modificato dall’art. 1, par. 1, punto 14)

Viene istituito il Fondo per l’innovazione a favore di progetti dimostrativi di tecnologie innovative anche a innovazioni industriali pionieristiche. I progetti sono selezionati sulla base di criteri oggettivi e trasparenti, tenendo conto, ove pertinente, della misura in cui essi contribuiscono a conseguire riduzioni di emissioni ben al di sotto dei valori di riferimento. I progetti finanziati dal Fondo devono poter essere applicati in modo diffuso o consentire di ridurre considerevolmente i costi della transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio nei settori interessati.

Modifiche relative alla decisione 2015/1814 (art. 2 della direttiva 2018/410)

L'articolo 1 della decisione 2015/1814 viene modificato al fine di consentire il temporaneo raddoppio, fino alla fine del 2023, del numero di quote da immettere nella riserva stabilizzatrice del mercato e la cancellazione, a partire dal 2023, delle quote presenti nella riserva al di sopra del numero di quote messe all’asta nell’anno precedente, fatta salva la revisione della medesima decisione /2015/1814.

Termini di recepimento (art. 3 della direttiva 2018/410)

Si prevede il recepimento della direttiva in commento entro il 9 ottobre 2019; in deroga al termine indicato, si stabilisce che entro il 31 dicembre 2018, gli Stati membri si conformino agli obblighi di pubblicazione e di comunicazione, previsti all'articolo 1, punto 14), lettera f), della medesima direttiva 2018/410, con cui si introduce l'articolo 10-bis, paragrafo 6, nella direttiva 2003/87/CE, in merito alle politiche di sostegno finanziario per talune industrie ad alta intensità energetica che potrebbero essere oggetto di una rilocalizzazione delle emissioni di carbonio (vedi supra).  

Norma transitoria (art. 4 della direttiva 2018/410)

Fino al 31 dicembre 2020 si continua ad applicare la legislazione nazionale di recepimento dell'articolo 10 bis, paragrafi da 4 a 7, dell'articolo 10 bis, paragrafo 8, primo e secondo comma, dell'articolo 10 bis, paragrafi da 12 a 18, dell'articolo 10 quater e dell'articolo 11 bis, paragrafi 8 e 9, della direttiva 2003/87/, nonché degli allegati II bis e II ter di tale direttiva, in vigore il 19 marzo 2018.

L'elenco riportato nell'allegato della decisione 2014/746 continua ad applicarsi fino al 31 dicembre 2020.

Allegati I e II della direttiva 2018/410

L’allegato I sostituisce l'allegato II ter della direttiva 2003/87, relativo alla distribuzione dei finanziamenti del Fondo per la modernizzazione fino al 31 dicembre 2030, e l’allegato II modifica l'allegato IV, parte A, della direttiva 2003/87/CE, in merito al controllo delle emissioni di altri gas a effetto serra.

 

 


 

Direttiva (UE) 2018/645
del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 aprile 2018 che modifica la direttiva 2003/59/CE sulla qualificazione iniziale e formazione periodica dei conducenti di taluni veicoli stradali adibiti al trasporto di merci o passeggeri e la direttiva 2006/126/CE concernente la patente di guida

 

La Direttiva (UE) 2018/645 modifica la direttiva 2003/59/CE sulla qualificazione iniziale e formazione periodica dei conducenti di taluni veicoli stradali adibiti al trasporto di merci o passeggeri al fine di superare una serie di carenze che riguardano: difficoltà e incertezze giuridiche nell'interpretazione delle regole; contenuti dei corsi di formazione, che sono risultati solo in parte corrispondere alle esigenze dei conducenti; difficoltà per i conducenti di vedersi riconosciute attività di formazione svolte in un altro Stato membro; mancanza di coerenza per quanto concerne le prescrizioni sull'età minima fra la direttiva 2003/59/CE e la direttiva 2006/126/CE concernente la patente di guida. La direttiva (UE) 2018/645/CE interviene poi anche su quest'ultima al fine di riflettere le modifiche apportate alla direttiva 2003/59/CE e facilitare l'uso di veicoli alimentati con combustibili alternativi.

 

Di seguito si illustrano le principali modifiche alla direttiva 2003/59/CE apportate dall'articolo 1 della presente direttiva.

Ambito di applicazione (articolo 1) 

L'articolo viene riformulato al fine di modificare il riferimento alla direttiva 1991/439/CE sulle patenti di guida, non più in vigore, con quello alla direttiva 2016/126/UE che ne aveva disposto l'abrogazione.

La direttiva si applica: ai cittadini degli Stati membri e ai cittadini dei paesi terzi impiegati o dipendenti di un'impresa stabilita in uno Stato membro, che svolgono attività di guida per mezzo di veicoli per cui sono necessarie determinate tipologie di patente di guida, come definite dalla direttiva 2006/126/UE.

Viene inserito il rimando, per alcune categorie di patenti di guida, all'Allegato III, inserito ex novo dalla presente direttiva, contenente una tavola di concordanza tra la direttiva 2009/53/CE e la direttiva 2006/126/CE.

Deroghe (articolo 2)

Sono apportate alcune modifiche al regime di deroghe relative al campo di applicazione della direttiva 2003/59/CE al fine di assicurare coerenza con altri atti dell'Unione (in particolare il regolamento (CE) n. 561/2006 relativo all'armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada). In base alle nuove disposizioni la direttiva 2003/59/CE non si applicherà in situazioni in cui la guida non è l'attività principale del conducente e pertanto l'obbligo di conformarsi ad essa imporrebbe un onere sproporzionato. Si tratta in particolare dei casi in cui ricorrano le seguenti circostanze: i conducenti operano in zone rurali per approvvigionare la propria impresa; non offrono servizi di traporto; gli Stati membri ritengono che il trasporto è occasione e non lesivo della sicurezza stradale.

Essa non si applicherà neanche ai conducenti di veicoli utilizzati o noleggiati senza conducente, da imprese agricole, orticole, forestali, di allevamento, o di pesca per il trasporto di merci nell'ambito della loro attività di impresa. Al tal riguardo, viene lasciata agli Stati membri la possibilità di stabilire, nel loro diritto nazionale, le distanze massime consentite ai fini dell'applicazione della suddetta deroga.

Ulteriori deroghe si applicano ai conducenti di veicoli:

1)     che richiedono patente D e D1 guidati senza passeggeri dal personale di manutenzione verso il centro di manutenzione a condizione che la guida del veicolo non costituisca attività principale del conducente;

2)     usati per lezioni o esami di guida per ottenere la patente o un certificato di idoneità professionale (CAP) e quando i conducenti frequentano una formazione supplementare nell'ambito dell'apprendimento sul lavoro a condizione che siano accompagnati da un'altra persona titolare di un CAP, o da un istruttore di guida.

Formazione periodica (articolo 7)

L'articolo viene sostituito da nuove disposizioni che stabiliscono innanzitutto che la formazione periodica si dovrà concentrare sulla sicurezza stradale, sulla salute e sicurezza sul lavoro e sulla riduzione dell'impatto ambientale della guida. La formazione dovrà prevedere almeno una materia connessa alla sicurezza stradale e dovrà tenere conto, per quanto possibile, delle esigenze specifiche del conducente. Le materie oggetto di formazione sono contenute nell'Allegato I della direttiva 2003/59/CE, che viene modificato al fine di approfondire i temi legati alla sicurezza stradale, quali la percezione del pericolo, la guida in condizioni meteorologiche estreme o in caso di trasporto di carico eccezionale, la guida in caso di comportamenti pericolosi nel traffico, la tutela di utenti di strada vulnerabili, quali i pedoni, i ciclisti e persone con limitata mobilità, l'ottimizzazione del carburante. La formazione avverrà mediante insegnamento in aula, prove pratiche e, se disponibili, mediante l'uso delle tecnologie di informazione e comunicazione (TIC) (e-learning). In caso di trasferimento di un conducente presso un'altra impresa, si dovrà tenere conto della formazione periodica già effettuata dallo stesso.

Codice dell'Unione (articolo 10)

La nuova formulazione dell'articolo prevede che sulla base del certificato di idoneità professionale (CAP) attestante la qualificazione iniziale o la formazione professionale, le autorità nazionali appongano un codice armonizzato ("95"), come previsto dalla direttiva 2016/126/CE (Allegato I). Tale codice sarà apposto sulla patente di guida oppure sulla carta di qualificazione del conducente, elaborata secondo un modello standard (di cui all'Allegato II, come modificato dalla presente direttiva). Qualora non sia possibile apporre il codice dell'Unione sulle patenti di guida, le autorità degli Stati membri sono tenute a rilasciare una carta di qualificazione del conducente, che gli Stati membri dovranno riconoscere reciprocamente.

Gli attestati al conducente in corso di validità, privi del codice dell'Unione "95" e rilasciati prima del recepimento delle disposizioni modificate dalla direttiva (UE) 2018/645 sono riconosciuti fino alla loro data di scadenza.

Rete per l'applicazione delle disposizioni (articolo 10-bis) (nuovo)

Viene inserito l'articolo 10-bis che prevede lo scambio elettronico di informazioni tra gli Stati membri sui CAP rilasciati o revocati. A tale fine è previsto, in collaborazione con la Commissione europea, lo sviluppo di un'apposita rete oppure l'estensione di una rete esistente, il cui accesso sarà autorizzato solo alle autorità competenti. Il trattamento dei dati personali dovrà avvenire nel rispetto della pertinente normativa Ue.

 

 Le modifiche alla direttiva 2016/126/CE apportate dall'articolo 2 della direttiva (UE) 2018/645 riguardano:

Categorie, definizioni ed età minima (articolo 4)

L'articolo viene modificato al fine di prevedere una deroga relativa ai requisiti anagrafici che stabilisce che per alcune tipologie di veicoli la patente di guida può essere rilasciata alle età minime previste dalla direttiva 2003/59/CE all'articolo 5.

Graduazione ed equivalenze tra categorie (articolo 6)

Viene aggiunto un paragrafo che concede agli Stati membri la possibilità di autorizzare i titolari di patente di guida di categoria B a guidare nel loro territorio determinati tipi di veicoli alimentati con combustibili alternativi la cui massa massima autorizzata è superiore a 3.500 kg (ma non superiore a 4.250 kg). Tale possibilità è subordinata al fatto che la massa aggiuntiva sia dovuta esclusivamente all'eccesso di massa derivante dai sistemi di propulsione alternativi.

Assistenza reciproca (articolo 15)

L'articolo viene riformulato al fine di disciplinare più dettagliatamente le disposizioni riguardanti lo scambio elettronico di informazioni sull'attuazione della direttiva e sulle patenti di guida (rilasciate, cambiate, sostituite, rinnovate o revocate). Lo scambio avverrà mediante un'apposita rete istituita a tal fine, non appena essa diventerà operativa. In particolare, le nuove disposizioni sanciscono il fatto che tale rete è protetta e che vi potranno avere accesso solo le autorità competenti degli Stati membri responsabili per il controllo della conformità con la direttiva 2016/126/Ue, la direttiva 2003/59/CE e la direttiva (UE) 2015/413 relativa allo scambio transfrontaliero di informazioni sulle infrazioni stradali. Infine, contengono un passaggio sul trattamento dei dati personali, che dovrà avvenire nel rispetto della pertinente normativa Ue.

 

Il termine per il recepimento della presente direttiva è fissato al 23 maggio 2020, ad eccezione delle disposizioni relative al nuovo articolo 10-bis della direttiva 2003/59/CE il cui recepimento è posticipato al 23 maggio 2021.

 

La direttiva trae origine dalla proposta della Commissione europea COM(2017)47.


 

Direttiva (UE) 2018/822
del Consiglio, del 25 maggio 2018, recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale relativamente ai meccanismi transfrontalieri soggetti all'obbligo di notifica

 

La direttiva (UE) 2018/822 reca modifiche alla direttiva 2011/16/UE in tema di procedure di cooperazione amministrativa tra Stati membri nel settore fiscale, prevedendo uno scambio di informazioni automatico tra gli Stati (sulla base delle informazioni disponibili) con riferimento a specifiche categorie di reddito e di capitale.

 

Si ricorda che la direttiva 2011/16/UE, relativa alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale, ha subito diverse modifiche nel corso del tempo: la direttiva 2014/107/UE ha introdotto lo standard comune di comunicazione di informazioni (Common Reporting Standard - «CRS») elaborato dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) per informazioni sui conti finanziari all'interno dell'Unione. Il CRS prevede lo scambio automatico di informazioni sui conti finanziari di cui sono titolari persone fiscalmente non residenti e stabilisce un quadro per tale scambio a livello mondiale. La direttiva (UE) 2015/2376 ha disposto lo scambio automatico di informazioni sui ruling preventivi transfrontalieri, mentre la direttiva (UE) 2016/881 ha stabilito lo scambio automatico obbligatorio di informazioni in materia di rendicontazione paese per paese delle imprese multinazionali tra le autorità fiscali. Alla luce dell'utilità che le informazioni in materia di antiriciclaggio possono avere per le autorità fiscali, la direttiva (UE) 2016/2258 ha disposto l'obbligo per gli Stati membri di fornire alle autorità fiscali l'accesso alle procedure di adeguata verifica della clientela applicate dalle istituzioni finanziarie ai sensi della direttiva (UE) 2015/849.

 

La direttiva in parola prevede l'introduzione dell'obbligo per gli intermediari di informare le autorità fiscali sui meccanismi transfrontalieri potenzialmente utilizzabili per attuare ipotesi di pianificazione fiscale aggressiva.

Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie per imporre agli intermediari la comunicazione alle autorità competenti di informazioni sui meccanismi transfrontalieri di cui sono a conoscenza, che sono in loro possesso o di cui hanno il controllo.

Al fine di garantire la massima efficacia delle misure proposte, data la dimensione transfrontaliera dei meccanismi da dichiarare, le informazioni comunicate vengono scambiate automaticamente tra le autorità fiscali nazionali.

 

Sotto un primo profilo, viene novellata la definizione di scambio automatico e sono introdotti alcuni nuovi istituti: meccanismo transfrontaliero, meccanismo transfrontaliero soggetto all'obbligo di notifica, elemento distintivo, intermediario, contribuente pertinente, impresa associata, meccanismo commerciabile e meccanismo su misura.

 

In particolare:

-          per meccanismo transfrontaliero si intende un meccanismo che interessa più Stati membri o uno Stato membro e un paese terzo, laddove almeno una delle condizioni seguenti sia soddisfatta: a) non tutti i partecipanti al meccanismo sono residenti a fini fiscali nella stessa giurisdizione; b) uno o più partecipanti al meccanismo è simultaneamente residenti a fini fiscali in più di una giurisdizione; c) uno o più partecipanti svolge un'attività d'impresa in un'altra giurisdizione tramite una stabile organizzazione situata in tale giurisdizione e il meccanismo fa parte dell'attività d'impresa o costituisce l'intera attività d'impresa della è stabile organizzazione; d) uno o più è partecipanti svolge un'attività in un'altra giurisdizione senza essere residente a fini fiscali né costituire una stabile organizzazione è in tale giurisdizione; e) tale meccanismo ha un possibile impatto sullo scambio automatico di informazioni o sull'identificazione del titolare effettivo. Un meccanismo include anche una serie di meccanismi e può comprendere più di una fase o parte;

-          per meccanismo transfrontaliero soggetto all'obbligo di notifica si intende  qualunque meccanismo transfrontaliero che contenga almeno uno degli elementi distintivi indicati dagli allegati alla medesima direttiva;

-          per elemento distintivo si intende una caratteristica o peculiarità di un meccanismo transfrontaliero che presenti un'indicazione di potenziale rischio di elusione fiscale, come elencato nei menzionati allegati;

-          è intermediario: qualunque persona che elabori, commercializzi, organizzi o metta a disposizione a fini di attuazione o gestisca l'attuazione di un meccanismo transfrontaliero soggetto all'obbligo di notifica. Indica altresì qualunque persona che, in considerazione dei fatti e delle circostanze pertinenti e sulla base delle informazioni disponibili e delle pertinenti competenze e comprensione necessarie per fornire tali servizi, sia a conoscenza, o si possa ragionevolmente presumere che sia a conoscenza, del fatto che si è impegnata a fornire, direttamente o attraverso altre persone, aiuto, assistenza o consulenza riguardo all'elaborazione, commercializzazione, organizzazione, messa a disposizione a fini di attuazione o gestione dell'attuazione di un meccanismo transfrontaliero soggetto all'obbligo di notifica. Qualunque persona ha il diritto di fornire elementi a prova del fatto che non fosse a conoscenza, e non si potesse ragionevolmente presumere che fosse a conoscenza, del proprio coinvolgimento in un meccanismo transfrontaliero soggetto all'obbligo di notifica. A tal fine, tale persona può fare riferimento a tutti i fatti e a tutte le circostanze pertinenti, come pure alle informazioni disponibili e alle sue pertinenti competenze e comprensione. Per potersi qualificare come intermediario, è necessario che la persona soddisfi almeno una delle condizioni seguenti: a) essere residente a fini fiscali in uno Stato membro; b) disporre di una stabile organizzazione in uno Stato membro attraverso la quale sono forniti i servizi con riguardo al meccanismo; c) essere costituita in uno Stato membro o essere disciplinata dal diritto di uno Stato membro; d) essere registrata presso un'associazione professionale di servizi in ambito legale, fiscale o di consulenza in uno Stato membro;

-          è contribuente pertinente qualunque persona a disposizione della quale è messo, a fini di attuazione, un meccanismo transfrontaliero soggetto all'obbligo di notifica o che è pronta ad attuare un meccanismo transfrontaliero soggetto all'obbligo di notifica o che ha attuato la prima fase di un tale meccanismo;

-          per impresa associata si intende una persona che è legata a un'altra persona se partecipa alla gestione di un'altra persona essendo nella posizione di esercitare un'influenza significativa sull'altra persona;

-          si intende “meccanismo commerciabile” un meccanismo transfrontaliero elaborato, commercializzato, approntato per l'attuazione o messo a disposizione a fini di attuazione e che non necessita di personalizzazioni sostanziali.

-          per “meccanismo su misura” si intende ogni meccanismo transfrontaliero diverso da un meccanismo commerciabile.

 

La direttiva anzitutto prevede che ciascuno Stato membro imponga agli intermediari la comunicazione alle autorità competenti di informazioni sui meccanismi transfrontalieri soggetti all'obbligo di notifica di cui sono a conoscenza, che sono in loro possesso o di cui hanno controllo.

Ciascuno Stato membro adotta, inoltre, le misure necessarie per imporre che, laddove non vi sia un intermediario o l'intermediario notifichi al contribuente pertinente o a un altro intermediario l'applicazione di un'esenzione, l'obbligo di comunicare informazioni su un meccanismo transfrontaliero soggetto all'obbligo di notifica spetti all'altro intermediario notificato o, in sua assenza, al contribuente pertinente.

Se l’obbligo di comunicazione coinvolge le autorità competenti di più di uno Stato membro, l’intermediario o il contribuente pertinente sono tenuti a comunicare le informazioni soltanto a uno Stato membro.

Si stabilisce successivamente che ciascuno Stato membro può adottare le misure necessarie per concedere agli intermediari il diritto all'esenzione dalla comunicazione di informazioni quando l'obbligo di comunicazione violerebbe il segreto professionale sulla base del diritto nazionale. Vengono, altresì, disciplinati gli ulteriori casi di esenzione per l’intermediario o per il contribuente pertinente.

Infine, l'autorità competente di uno Stato membro cui l'informazione è stata comunicata è tenuta a trasmettere le informazioni attraverso lo scambio automatico alle autorità competenti di tutti gli Stati membri, secondo le modalità e i termini indicati nello stesso articolo, nonché quelle che verranno ulteriormente adottate dalla Commissione.

 

La Commissione deve istituire un registro centrale sicuro per gli Stati membri relativo alla cooperazione amministrativa nel settore fiscale, in cui sono registrate le informazioni che devono essere comunicate nell’ambito di applicazione e condizioni dello scambio automatico obbligatorio di informazioni sui ruling preventivi transfrontalieri e sugli accordi preventivi sui prezzi di trasferimento nonché sui meccanismi transfrontalieri soggetti all'obbligo di notifica.

Le autorità competenti di tutti gli Stati membri hanno accesso alle informazioni registrate.

 

Gli Stati membri stabiliscono inoltre le norme relative alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate in attuazione della direttiva e adottano tutte le misure necessarie per garantirne l'applicazione. Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.

 

L’allegato IV alla direttiva individua il cd. “criterio del vantaggio principale”, soddisfatto ove sia possibile stabilire che il principale vantaggio o uno dei principali vantaggi che una persona, tenuto conto di tutti i fatti e le circostanze pertinenti, si può ragionevolmente attendere da un meccanismo è di tipo fiscale. Sono inoltre individuati gli elementi distintivi generici e specifici collegati a tale criterio, gli elementi distintivi specifici collegati alle operazioni transfrontaliere, gli elementi distintivi specifici riguardanti lo scambio automatico di informazioni e la titolarità effettiva e gli elementi distintivi specifici relativi ai prezzi di trasferimento.

 

Il termine per il recepimento della direttiva è previsto per il 31 dicembre 2019.

 


 

Direttiva (UE) 2018/843
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica le direttive 2009/138/CE e 2013/36/UE

 

Si segnala preliminarmente che presso le competenti Commissioni parlamentari è in corso di esame l’Atto del Governo n. 95, recante lo schema di decreto legislativo volto – tra l’altro - ad attuare nell’ordinamento la direttiva (UE) 2018/843 sulla base dell’art. 31, comma 5, della legge n. 234 del 2012.

 

Si rinvia al relativo dossier per ulteriori informazioni.

 

La direttiva 2018/843, entrata in vigore il 9 luglio 2018, è composta da 6 articoli e modifica le direttive (UE) 2015/849, 2009/138/CE e 2013/36/UE in materia di antiriciclaggio, allo scopo di ostacolare le attività criminali senza limitare il normale funzionamento dei sistemi di pagamento.

Essa è parte del piano d'azione lanciato dopo l'ondata di attentati terroristici che ha investito l'Europa nel 2016.

Essa  amplia il novero dei soggetti sottoposti agli obblighi antiriciclaggio, istituisce dei registri centrali per consentire l’identificazione tempestiva di qualsiasi persona fisica o giuridica che detenga o controlli conti di pagamento, ovvero conti bancari identificati dall’IBAN; dispone che le autorità competenti abbiano accesso alle informazioni che consentono l’identificazione tempestiva di qualsiasi persona fisica o giuridica che detenga beni immobili; prevede l’accesso pubblico alle informazioni sulla titolarità effettiva; prescrive che nei rapporti d’affari o nelle operazioni che coinvolgono paesi terzi ad alto rischio i soggetti obbligati applichino misure rafforzate; riduce la soglia per l’identificazione dei titolari di carte prepagate; garantisce protezione agli informatori che segnalano casi di riciclaggio, compreso il diritto all’anonimato e istituisce l’obbligo di registrazione per i prestatori di servizi di cambio tra valute virtuali e valute legali, e i prestatori di servizi di portafoglio digitale.

Il termine per il recepimento è previsto per il 10 gennaio 2020.

 

Tra le principali novità si segnalano:

§  un maggiore accesso alle informazioni sui titolari effettivi, in modo da migliorare la trasparenza sulla titolarità delle società e dei trust;

§  l'attenzione ai rischi connessi alle carte prepagate e alle valute virtuali;

§  la cooperazione tra le unità di informazione finanziaria;

§  il potenziamento dei controlli sulle operazioni che coinvolgono paesi terzi ad alto rischio.

 

In primo luogo la V direttiva introduce, tra i soggetti che devono sottostare agli obblighi antiriciclaggio, anche i prestatori di servizi di cambio tra valute virtuali e valute legali, nonché i prestatori di servizi di portafoglio digitale. Sono inoltre ricompresi in tale novero anche i soggetti che commerciano opere d’arte o che agiscono in qualità di intermediari, anche quando tale attività è effettuata da gallerie d’arte e case d’aste, se il valore dell’operazione o di una serie di operazioni legate tra loro è pari o superiore a 10.000 euro (articolo 1, par. 1, lettera c) della direttiva).

 

In tema di carte prepagate, la direttiva riduce (articolo 12) la soglia per l’identificazione dei titolari di carte prepagate da 250 a 150 euro.

 Gli Stati membri possono inoltre decidere di non accettare sul proprio territorio i pagamenti effettuati utilizzando carte prepagate anonime.

 

Sono potenziati e aumentati gli strumenti con cui è possibile adempiere agli obblighi di adeguata verifica della clientela (mezzi di identificazione elettronica e servizi fiduciari): inoltre, ove il titolare effettivo individuato sia un dirigente di alto livello, i soggetti obbligati devono adottare misure ragionevoli necessarie al fine di verificare l’identità della persona fisica che occupa una posizione dirigenziale di alto livello e conservano registrazioni delle misure adottate, nonché delle eventuali difficoltà incontrate durante la procedura di verifica.

Sono altresì rinforzati i controlli nel caso di rapporti d’affari ovvero operazioni riguardanti i Paesi terzi ad alto rischio (nuovo articolo 18-bis della IV direttiva antiriciclaggio, introdotto dall’articolo 1, par. 1, n. 11), per i quali sono previste misure rafforzate di adeguata verifica della clientela. E’ in particolare possibile, tra l’altro, ottenere informazioni supplementari sul cliente e sul titolare effettivo, sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto d’affari, sull’origine dei fondi e del patrimonio del cliente e del titolare effettivo, sulle motivazioni delle operazioni previste o eseguite.

 

Le nuove disposizioni in tema di persone politicamente esposte (nuovo articolo 20-bis della IV direttiva, introdotto dall’articolo 1, par. 1, n. 13 della V direttiva) obbligano gli Stati membri a pubblicare e aggiornare un elenco indicante esattamente le funzioni che, in base alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative nazionali, sono considerate importanti cariche pubbliche ai fini dell’individuazione della categoria delle persone politicamente esposte. Gli Stati membri richiedono a ciascuna organizzazione internazionale accreditata nel loro territorio di pubblicare e aggiornare un elenco delle importanti cariche pubbliche presso tali organizzazioni internazionali. Tali elenchi sono inviati alla Commissione UE e possono essere resi pubblici.

 

Documenti all’esame delle istituzioni dell’UE

 

Il 12 settembre 2018, la Commissione europea ha presentato una proposta di regolamento COM(2018)646 diretta a concentrare le competenze in materia di antiriciclaggio in relazione al settore finanziario in seno all'Autorità bancaria europea e a rafforzarne il mandato per garantire una vigilanza efficace e coerente sui rischi di riciclaggio di denaro da parte di tutte le autorità pertinenti e la cooperazione e lo scambio di informazioni.

La proposta di regolamento mira a modificare parzialmente alcune delle disposizioni della direttiva 2015/849 già riformate con la direttiva in esame 2018/843. In particolare, sono proposte modifiche agli articoli 6, paragrafo 3 e 7, paragrafo 5 (in materia di valutazione del rischio), all’articolo 45, paragrafo 4 (in materia di procedure interne, formazione e riscontro di informazioni), e all’articolo 48, paragrafo 1-bis (in materia di vigilanza), al fine di sostituire i riferimenti alle “autorità europee di vigilanza (AEV)” con quelli all’"Autorità bancaria europea (ABE)".

 


 

Direttiva (UE) 2018/844
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia e la direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica

 

La Direttiva (UE) 2018/844 entrata in vigore il 9 luglio 2018 e composta di 5 articoli – si pone come obiettivo generale quello di promuovere una maggiore diffusione dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili negli edifici, al fine di ottenere riduzioni delle emissioni di gas serra e contribuire al tempo stesso ad aumentare la sicurezza dell'approvvigionamento energetico. Il termine di recepimento è il 10 marzo 2020.

 

In particolare, nei considerando della Direttiva viene evidenziato l’impegno dell'Unione di ridurre ulteriormente le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 40 % entro il 2030 rispetto al 1990. L'Unione si è altresì impegnata a elaborare un sistema energetico decarbonizzato e ad alta efficienza entro il 2050 e al parco immobiliare è riconducibile circa il 36 % di tutte le emissioni di CO2 nell'Unione.

In tale prospettiva, si provvede ad un riesame delle disposizioni fondamentali contenute nella Direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica e della Direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell'edilizia.

Peraltro, la Direttiva in esame interviene anche in ragione del fatto che la Direttiva 2010/31/UE ha prescritto alla Commissione di procedere a una revisione della stessa entro il 1° gennaio 2017, alla luce dell'esperienza acquisita e dei progressi compiuti nel corso della sua applicazione.

 

L’articolo 1 della Direttiva qui in commento modifica ed integra dunque in più punti la Direttiva 2010/31/UE.

In primis, la Direttiva trasferisce le disposizioni sulle strategie di ristrutturazione a lungo termine- per fronteggiare rischi di incendi e attività sismica e migliorare l’efficienza energetica - previste nella Direttiva 2012/27/UE all’interno della Direttiva 2010/31/UE, nella quale si inseriscono con maggiore coerenza.

A tal fine, introduce nella Direttiva 2010/31/CE un nuovo articolo 2-bis che disciplina la strategia di ristrutturazione a lungo termine. L’articolo sostituisce la disciplina in materia già contenuta nell’articolo 4 della Direttiva 2012/27/UE, che viene quindi contestualmente modificato dall’articolo 2 della Direttiva in commento. In particolare, le azioni per la realizzazione della strategia di ristrutturazione a lungo termine già contenute nell’articolo 4 della Direttiva 2012/27/UE vengono ora trasposte, estese e precisate nel nuovo articolo 2-bis della Direttiva 2010/31/CE.

La finalità della Strategia è ottenere un parco immobiliare decarbonizzato e ad alta efficienza energetica entro il 2050, facilitando la trasformazione in termini di costi degli edifici esistenti in edifici a energia quasi zero.

Le azioni che devono essere comprese nelle strategie nazionali di ristrutturazione a lungo termine comprendono, in base alla Direttiva 2012/27/UE, politiche e azioni volte a stimolare ristrutturazioni degli edifici profonde ed efficaci in termini di costi, comprese le ristrutturazioni profonde ottenibili per fasi. La nuova Direttiva integra tale disposto, stabilendo, tra l’altro, che all’interno delle Strategie nazionali possa essere contemplata l'introduzione di un sistema facoltativo di "passaporto" di ristrutturazione degli edifici.

Nella strategia ogni Stato membro deve fissare una tabella di marcia in vista dell'obiettivo di lungo termine per il 2050 di ridurre le emissioni di gas a effetto serra nell'Unione dell'80-95 % rispetto al 1990. La tabella deve includere tappe indicative, con misure e indicatori di progresso misurabili, per il 2030, il 2040 e il 2050 in relazione al conseguimento degli obiettivi di efficienza energetica dell'Unione.

 

Il nuovo articolo 2-bis impone altresì agli Stati membri di facilitare l’accesso a meccanismi appropriati di sostegno agli investimenti nelle ristrutturazioni, tra i quali l’aggregazione di progetti, anche mediante piattaforme o gruppi di investimento e mediante consorzi di PMI; l’uso di fondi pubblici per stimolare investimenti privati supplementari o reagire a specifici fallimenti del mercato; fornire strumenti di consulenza accessibili e trasparenti, come sportelli unici per i consumatori, denominati "one-stop-shop” .

Nel considerando n. 16) della Direttiva, si afferma che gli SM dovrebbero, in particolare, incoraggiare la concessione di prestiti ipotecari rivolti all'efficienza energetica per ristrutturazioni immobiliari la cui efficienza energetica è certificata, promuovere partenariati pubblico-privato o contratti facoltativi di rendimento energetico.

 

La Commissione ha il compito di raccogliere e diffondere, almeno alle autorità pubbliche, le migliori prassi riguardanti sistemi efficaci di finanziamento pubblico e privato per le ristrutturazioni efficienti.

Ogni Stato membro deve effettuare una consultazione pubblica sulla Strategia in questione prima della sua presentazione alla Commissione UE e può ricorrere alla propria Strategia per far fronte ai rischi connessi all'intensa attività sismica e agli incendi che interessano le ristrutturazioni destinate a migliorare l'efficienza energetica e la durata degli edifici.

Inoltre, l’articolo 1 della Direttiva in esame interviene sulla disciplina, contenuta nell’articolo 6 della Direttiva 2010/31/UE, il quale prescrive, al par. 1, il principio per cui gli edifici di nuova costruzione devono rispettare determinati requisiti minimi di prestazione energetica, ivi introducendovi la previsione che gli Stati membri debbono altresì garantire che, prima dell'inizio dei lavori di costruzione, si tenga conto della fattibilità tecnica, ambientale ed economica dei sistemi alternativi ad alta efficienza, se disponibili.

I sistemi alternativi ad alta efficienza vengono ora genericamente richiamati e non recano più una indicazione tassativa e vincolante come nel testo originario della Direttiva 2010/31/UE.

 

Parimenti, per quanto concerne gli edifici destinati ad una ristrutturazione importante, l’articolo 1 della Direttiva qui in esame, attraverso una novella all’articolo 7 della Direttiva 2010/31/UE, prescrive che gli Stati membri incoraggino sistemi alternativi ad alta efficienza, nella misura in cui è tecnicamente, funzionalmente ed economicamente fattibile, e prendano in considerazione le questioni del benessere termo-igrometrico degli ambienti interni, della sicurezza in caso di incendi e dei rischi connessi all'intensa attività sismica.

 

Anche l’articolo 8 della Direttiva 2010/31/UE, concernente l’ottimizzazione del consumo energetico nei sistemi tecnici per l’edilizia, viene integrato dall’articolo 1 della Direttiva in esame con nuove previsioni:

in primis, gli Stati membri debbono introdurre l’obbligo di installare laddove tecnicamente ed economicamente fattibile, nei nuovi edifici, dispositivi autoregolanti che controllino separatamente la temperatura in ogni vano o, quando giustificato, in una determinata zona riscaldata dell'unità immobiliare. Negli edifici esistenti l'installazione dei dispositivi autoregolanti è richiesta al momento della sostituzione dei generatori di calore, sempre laddove tecnicamente ed economicamente fattibile;

in via generale, per ciò che concerne la mobilità elettrica e l'installazione di punti di ricarica negli edifici residenziali e non residenziali nuovi ed esistenti, gli Stati membri devono prevedere semplificazioni anche amministrativo-autorizzatorie all'installazione di tali punti di ricarica;

in via specifica, negli edifici non residenziali di nuova costruzione e negli edifici non residenziali sottoposti a ristrutturazioni importanti, con più di dieci posti auto, la Direttiva prevede che gli Stati membri provvedano all'installazione di almeno un punto di ricarica e di infrastrutture di canalizzazione, per cavi elettrici, per almeno un posto auto su cinque, per consentire in una fase successiva di installare punti di ricarica per veicoli elettrici. La previsione opera laddove il parcheggio sia situato all'interno dell'edificio o ne sia adiacente e, nel caso di ristrutturazioni importanti, la ristrutturazione riguardi il parcheggio o le infrastrutture elettriche dell'edificio o del parcheggio. Gli SM devono inoltre stabilire i requisiti per l'installazione di un numero minimo di punti di ricarica per tutti gli edifici non residenziali con più di venti posti auto entro il 1° gennaio 2025.

Gli Stati membri possono escludere dalle previsioni sopra indicate gli edifici di proprietà di piccole e medie imprese, da esse occupati.

Per quanto riguarda gli edifici residenziali di nuova costruzione e gli edifici residenziali sottoposti a ristrutturazioni importanti con più di dieci posti auto, gli Stati membri devono assicurare l'installazione, in ogni posto auto, di infrastrutture di canalizzazione, per cavi elettrici, per consentire l'installazione in una fase successiva di punti di ricarica per i veicoli elettrici. La previsione opera laddove il parcheggio sia situato all'interno dell'edificio o ne sia adiacente e, nel caso di ristrutturazioni importanti, la ristrutturazione riguardi il parcheggio o le infrastrutture elettriche dell'edificio o del parcheggio.

Sono indicate casistiche specifiche di esclusione dalle previsioni di cui al punto in esame, tra le quali la presentazione di domande di licenza edilizia o domande equivalenti entro il 10 marzo 2021, o laddove il costo delle installazioni di ricarica e di canalizzazione superi il 7 % del costo totale della ristrutturazione importante dell'edificio;

per ciò che concerne l’automazione degli edifici, la Commissione viene delegata ad adottare, entro il 31 dicembre 2019 ,un atto delegato integrativo della Direttiva in esame ed istitutivo di un sistema comune facoltativo a livello di Unione per valutare la predisposizione degli edifici all'intelligenza, con la definizione di un indicatore di predisposizione degli edifici all'intelligenza e una metodologia con la quale esso dev'essere calcolato , in conformità dell'allegato I-bis della Direttiva in esame che fissa il “quadro generale comune per la valutazione della predisposizione degli edifici all'intelligenza”.

L’obiettivo dell’indicatore è quello di “sensibilizzare i proprietari e gli occupanti sul valore dell’automazione degli edifici e del monitoraggio elettronico dei sistemi tecnici per l’edilizia e dovrebbe rassicurare gli occupanti circa i risparmi reali di tali nuove funzionalità migliorate” (considerando n. 30).

 

L’articolo 10, paragrafo 6, della Direttiva 2010/31/UE, concernente gli incentivi finanziari destinati a migliorare l’efficienza energetica, viene modificato al fine di introdurvi specifici criteri in base ai quali Stati membri debbono ancorare le rispettive misure finanziarie in occasione della ristrutturazione degli edifici ai risparmi energetici perseguiti o conseguiti.

Viene altresì introdotta la previsione per cui le banche dati degli attestati di prestazione energetica consentono la raccolta di dati relativi al consumo di energia, misurato o calcolato, degli edifici contemplati, compresi almeno gli edifici pubblici (nuovo paragrafo 6 e 6 bis dell’articolo 10 della Direttiva 2010/31/UE).

 

L’articolo 1 della Direttiva in esame modifica poi la disciplina dell’ispezione degli impianti di riscaldamento e degli impianti di condizionamento dell'aria di cui, rispettivamente, all’articolo 14 e all’articolo 15 della Direttiva 2010/31/UE.

Gli SM devono prevedere, in particolare, ispezioni periodiche degli impianti di riscaldamento e degli impianti di condizionamento d'aria, anche laddove tali impianti siano combinati con impianti di ventilazione di ambienti con potenza nominale utile superiore a 70 KW.

Viene altresì introdotto l’obbligo per gli SM di stabilire i requisiti affinché, laddove tecnicamente ed economicamente fattibile, gli edifici non residenziali con una potenza nominale utile superiore a 290 kW per gli impianti di riscaldamento e per gli impianti di condizionamento dell’aria anche combinati con impianti di ventilazione siano dotati di sistemi di automazione e controllo entro il 2025. Gli Stati membri sono poi facoltizzati a stabilire i requisiti affinché gli edifici residenziali siano attrezzati con: a) la funzionalità di monitoraggio elettronico continuo, che misura l'efficienza dei sistemi e informa i proprietari o gli amministratori dei cali significativi di efficienza e della necessità di manutenzione; b) funzionalità di regolazione efficaci ai fini della generazione, della distribuzione, dello stoccaggio e del consumo ottimali dell'energia.

Gli edifici non residenziali dotati di sistemi di automazione e controllo e gli edifici residenziali dotati delle funzionalità di monitoraggio continuo e di regolazione, di cui sopra, sono esentati dalle ispezioni periodiche.

 

Con una novella all’articolo 19, all’articolo 23 e all’articolo 26 della testé citata Direttiva, si prevede poi che la Commissione – assistita da un Comitato (come consentito dal Reg. UE n. 182/2011) – valuti la Direttiva 2010/31/UE entro il 1° gennaio 2026, alla luce dell'esperienza maturata e dei progressi compiuti durante la sua applicazione e, se necessario, presenta proposte a riguardo, Alla Commissione viene demandato in particolare il compito di valutare la necessità di migliorare ulteriormente gli attestati di prestazione energetica. La Commissione ha il potere di adottare atti delegati di cui agli art. 5 e 8(calcolo dei livelli ottimali di prestazione energetica in funzione dei costi e adozione di sistema comune facoltativo di predisposizione degli edifici all’intelligenza), e 22 (adeguamento al progresso tecnico dei criteri di calcolo della prestazione energetica degli edifici) della Direttiva del 2010. In proposito vengono soppressi gli articoli 24 e 25 della Direttiva del 2010 sulla revoca della delega e sulle obiezioni agli atti delegati.

 

Con l’introduzione di un nuovo articolo 19-bis all’interno della Direttiva del 2010 si prevede la conclusione, da parte della Commissione, prima del 2020, di uno studio di fattibilità in cui illustra possibilità e tempistiche per introdurre l'ispezione di impianti autonomi di ventilazione e un passaporto facoltativo di ristrutturazione degli edifici complementare agli attestati di prestazione energetica.

 

Viene novellato l’articolo 20, paragrafo 2 della Direttiva del 2010, relativo alle informazioni che gli Stati membri devono fornire ai proprietari o locatari di edifici sugli attestati di prestazione energetica. Si specifica ora che gli Stati membri forniscono tali informazioni mediante strumenti di consulenza accessibili e trasparenti, come le consulenze in materia di ristrutturazione e gli sportelli unici (one-stop-shop) e che le informazioni che debbono includere ora anche quelle sulla sostituzione delle caldaie a combustibile fossile con alternative più sostenibili

 

Ai sensi dell’articolo 3 della Direttiva, il termine per il recepimento è il 10 marzo 2020.

Ai sensi dell’articolo 4, la Direttiva è entrata in vigore il 9 luglio 2018 (ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione in G.U.U.E).

Ai sensi dell’articolo 5, gli Stati membri sono i destinatari della stessa Direttiva.

 

Infine, viene modificato l’Allegato I della Direttiva del 2010/31/UE concernente i criteri e la metodologia di calcolo della prestazione energetica di un edificio. Essa è determinata sulla base del consumo di energia calcolato o effettivo e riflette l'uso normale di energia dell'edificio per tutte le seguenti attività: riscaldamento degli ambienti, rinfrescamento degli ambienti, produzione di acqua calda per uso domestico, ventilazione, l'illuminazione incorporata e altri sistemi tecnici per l'edilizia. Nel testo originario si faceva riferimento al solo riscaldamento e il rinfrescamento (energia necessaria per evitare un surriscaldamento).

 


 

Direttiva (UE) 2018/849
del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 che modifica le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche

 

La direttiva (UE) 2018/849 interviene sulle direttive 2000/53/CE, 2006/66/CE e 2012/19/UE al fine di semplificare alcuni obblighi previsti, rendere più affidabile la comunicazione dei dati relativi alla gestione di questa tipologia di rifiuti, nonché di conferire alla Commissione europea potere di delega per modificare e adeguare i contenuti delle direttive agli obiettivi della direttiva 2008/98/CE, in materia di rifiuti, come modificata dalla direttiva (ue) 2018/851.

La presente direttiva fa parte di un pacchetto di misure sull'economia circolare pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 4 giugno 2018 e che comprendono la direttiva (UE) 2018/850 sulle discariche dei rifiuti, la direttiva (UE) 2018/851 sui rifiuti e la direttiva (UE) 2018/852 sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio.

 

I principali elementi di novità introdotti dalla direttiva (UE) 2018/849 riguardano innanzitutto l'eliminazione di alcuni obblighi obsoleti e il miglioramento della qualità, affidabilità e comparabilità dei dati trasmessi dagli Stati membri. In particolare, è abolito l'obbligo per gli Stati membri di presentare ogni tre anni le relazioni sullo stato di attuazione, che secondo la Commissione non si sono rivelati strumenti efficaci per verificare la conformità e garantire la corretta attuazione della normativa, generando oltretutto inutili oneri amministrativi.  Le nuove norme prevedono invece la trasmissione di dati sull'attuazione, riferiti ad ogni anno civile, che saranno comunicati entro 18 mesi dalla fine dell'anno per il quale sono raccolti. Per quanto riguarda le direttive 2000/53/CE e 2012/53/CE è previsto che la trasmissione sia accompagnata da una relazione di controllo della qualità. La Commissione europea dovrà esaminare i dati raccolti e redigere, con cadenza quadriennale, una relazione che valuta l'organizzazione della raccolta dei dati, le fonti di dati e la metodologia utilizzata negli Stati membri nonché completezza, affidabilità, tempestività e coerenza dei dati. La valutazione potrà includere raccomandazioni specifiche di miglioramento (si vedano gli articoli 9 della direttiva 2000/53/CE e 16 della direttiva 2012/53/CE come modificati dalla presente direttiva).

Altre modifiche riguardano l'inserimento di incentivi per favorire l'applicazione della gerarchia dei rifiuti, parallelamente a quanto previsto dalla direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti. Tate modifica riguarda in particolare le direttive 2006/66/CE e 2012/19/UE con l'inserimento rispettivamente degli articoli 22-bis e 16-bis.

     La direttiva (UE) 2018/849, introducendo l'articolo 9-bis alla direttiva 200/53/CE conferisce inoltre alla Commissione europea il potere di adottare atti delegati al fine di modificarne e integrarne alcune parti (che riguardano l'adeguamento al progresso scientifico e tecnico, lo scambio di certificati di rottamazione, la codifica dei componenti e dei materiali).

Per quanto riguarda la modifica della direttiva 2000/53/CE ai fini dell'adeguamento al progresso scientifico e tecnico, si precisa che essa riguarda l'Allegato II, che contiene un elenco di materiali e componenti dei veicoli cui non si applica il divieto di uso del piombo, del mercurio, del cadmio e del cromo esavalente previsto dall'articolo 4, lettera a) della stessa. L'Allegato II è stato modificato di recente dalla direttiva (UE) 2017/2096 al fine di disciplinare il riesame delle esenzioni relative all'uso del piombo fissando date differenziate a seconda del progresso nello sviluppo di sostituti di esso. Si segnala al riguardo che nei confronti dell'Italia è stata avviata una procedura di infrazione (n. 2018/0190) per mancato recepimento della direttiva (ue) 2017/2096.

Analoghi poteri di delega sono conferiti alla Commissione europea anche per la modifica della direttiva 2012/19/UE ai fini dell'adeguamento al progresso scientifico e tecnico di alcuni allegati (si veda al riguardo l'articolo 19 della direttiva 2012/19/Ue, come modificato dalla presente direttiva).

Si segnala che relativamente alla direttiva 2012/19/UE la Commissione europea ha evidenziato alcune carenze nella normativa italiana di recepimento (caso EU-pilot 8718/16 ENVI). Al fine di superare i rilievi formulati dalla Commissione europea l'articolo 11 del disegno di legge europea 2018 (A.S. 822) apporta alcune modifiche al decreto legislativo 14 marzo 2014, n. 49, recante attuazione della direttiva.

 

Il termine fissato per il recepimento della direttiva (UE) 2018/849 da parte degli Stati membri è il 5 luglio 2020.

 

La direttiva trae origine dalla proposta della Commissione europea  COM(2015)593.

 


 

Direttiva (UE) 2018/850
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti

 

La direttiva 2018/850, entrata in vigore il 4 luglio 2018 e composta da 4 articoli e un allegato, modifica la direttiva 1999/31, in materia di discariche di rifiuti, al fine di sostenere la transizione dei Paesi membri dell’Unione verso una economia circolare e rispettare quanto previsto dalla direttiva 2008/98 in materia di rifiuti.

 

Il termine per il recepimento della direttiva 2018/850 è previsto il 5 luglio 2020

 

Di seguito sono descritte le principali modifiche recate agli articoli della direttiva 1999/31 da parte della direttiva 2018/850.

Obiettivo generale (art. 1 modificato dall’art. 1, par. 1, punto 1)

L’intervento è finalizzato a precisare che lo scopo della direttiva è garantire una progressiva riduzione del collocamento in discarica dei rifiuti, in particolare, per i rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo, e prevedere, mediante rigidi requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le discariche, misure, procedure e orientamenti volti a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente, in particolare l'inquinamento delle acque superficiali, delle acque di falda, del suolo e dell'aria, e sull'ambiente globale, compreso l'effetto serra, nonché i rischi per la salute umana risultanti dalle discariche di rifiuti, durante l'intero ciclo di vita della discarica.

Definizioni (art. 2 modificato dall’art. 1, par. 2, punto 2)

In merito alle definizioni di "rifiuto", "rifiuto urbano", "rifiuto non pericoloso", "rifiuto pericoloso", "produttore di rifiuti", "detentore di rifiuti", "gestione dei rifiuti", "raccolta differenziata", "recupero", "preparazione per il riutilizzo" "riciclaggio" e "smaltimento", è necessario riferirsi alla direttiva "madre" 2008/98, come modificata dalla direttiva 2018/851, sopprimendo di conseguenza le analoghe definizioni della direttiva del 1999/31.

Viene inoltre consentito nelle regioni ultraperiferiche, ai sensi dell'articolo 349 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (cioè regioni soggette alla sovranità degli Stati membri ma caratterizzate da determinate condizioni geografiche e sociali, come distanza, insularità, superficie ridotta, clima difficile), l’applicazione della seguente definizione "insediamento isolato": 

-         un insediamento di non più di 2.000 abitanti per insediamento e con una densità non superiore a cinque abitanti per chilometro quadrato, o con un numero di abitanti compreso tra 2.000 e 5.000 per insediamento e con una densità non superiore a cinque abitanti per chilometro quadrato e la cui produzione di rifiuti non superi le 3.000 tonnellate all'anno;

-         e un insediamento distante almeno 100 km dal più vicino centro urbano che conti almeno 250 abitanti per chilometro quadrato, e privo di accesso stradale.

 

Ambito di applicazione (art. 3 modificato dall’art. 1, par.1, punto 3)

La prima modifica riguarda le fattispecie elencate nell'ambito di esclusione dall'applicazione della direttiva 1999/31, da cui viene escluso "il deposito di terra non inquinata o di rifiuti inerti non pericolosi ricavati dalla prospezione ed estrazione, dal trattamento e dallo stoccaggio di minerali, nonché dall'esercizio di cave".

La seconda modifica interviene sul paragrafo 3, che viene sostituito, al fine di escludere la gestione dei rifiuti provenienti dalle industrie estrattive sulla terraferma (vale a dire i rifiuti derivanti dalle attività di prospezione, estrazione, compresa la fase di sviluppo pre-produzione, trattamento e stoccaggio di minerali, e dallo sfruttamento delle cave)  dall'ambito di applicazione della presente direttiva, laddove rientri nell'ambito di applicazione di altri atti legislativi dell'Unione.

Conseguentemente, nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/31, testé modificata, rimane compreso il deposito dei rifiuti delle industrie estrattive, che non rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva 2006/21/CE, relativa alla gestione dei rifiuti delle industrie estrattive (vedi art. 2 della direttiva 2006/21che ne disciplina l’ambito di applicazione). 

Rifiuti e trattamenti non ammissibili in una discarica (art. 5 modificato dall’art. 1, par. 1, punto 4)

In primo luogo, viene soppresso l'obbligo del Consiglio di riesaminare ed eventualmente modificare, entro il 16 luglio 2014, l'obiettivo di riduzione dei rifiuti biodegradabili in discarica (cd. "Rub") che gli Stati membri avrebbero dovuto raggiungere entro il 16 luglio 2016 (-35% in peso rispetto al 1995).

Viene inoltre stabilito il divieto di ammissione in discarica dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata e destinati alla preparazione al riutilizzo e al riciclaggio, ad eccezione degli scarti derivanti da successive operazioni di trattamento dei rifiuti da raccolta differenziata per i quali il collocamento in discarica produca il miglior risultato ambientale.

Entro il 2030, è previsto che tutti i rifiuti idonei al riciclaggio o al recupero di altro tipo, in particolare i rifiuti urbani, non siano ammessi in discarica, a eccezione dei rifiuti per i quali il collocamento in discarica produca il miglior risultato ambientale.

Entro il 2035, la quantità di rifiuti urbani collocati in discarica sia ridotta al 10%, o a una percentuale inferiore, del totale dei rifiuti urbani prodotti (per peso).

Sono previste deroghe all'obiettivo previsto entro il 2035, fino ad un massimo di 5 anni a determinate condizioni, fissate in un Piano di attuazione per il raggiungimento degli obiettivi da presentare alla Commissione.

Entro il 31 dicembre 2024, la Commissione riesamina l'obiettivo previsto entro il 2035, al fine di mantenerlo o, qualora opportuno, ridurlo, di prendere in considerazione obiettivi quantitativi pro capite in materia di collocamento in discarica e di introdurre restrizioni al collocamento in discarica dei rifiuti non pericolosi diversi da quelli urbani. A tal fine, la Commissione trasmette al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione corredata, se del caso, di una proposta legislativa.

Regole per calcolare il conseguimento degli obiettivi (art. 5-bis introdotto dall’art. 1, par. 1, punto 5)

L’articolo 5-bis, introdotto nella direttiva 1999/31, individua le regole per calcolare il conseguimento degli obiettivi fissati dall'articolo 5 della direttiva 1999/31, relativamente alle misure necessarie per assicurare che entro il 2035 la quantità di rifiuti urbani collocati in discarica sia ridotta al 10 % e alle deroghe previste.

Al fine di applicare correttamente il metodo di calcolo per il raggiungimento degli obiettivi, gli Stati membri stabiliscono un efficace sistema di controllo della qualità e di tracciabilità dei rifiuti urbani.

Ai fini del calcolo per il raggiungimento degli obiettivi, se i rifiuti urbani sono spediti in un altro Stato membro o esportati al di fuori dell'Unione ai fini del collocamento in discarica, tali rifiuti sono contabilizzati ai fini del calcolo della quantità di rifiuti collocati in discarica, dallo Stato membro in cui sono stati raccolti.

Al fine di assicurare condizioni uniformi di applicazione del presente articolo, la Commissione adotta, entro il 31 marzo 2019, atti di esecuzione che stabiliscono le regole per il calcolo, la verifica e la comunicazione dei dati.

Segnalazione preventiva (Early warning report) e Scambio di informazioni e migliori prassi (art. 5-ter e art. 5-quater introdotti dall’art. 1, par. 1, punto 5)

Gli articoli 5-ter e 5-quater, introdotti nella direttiva 1999/31, disciplinano, rispettivamente, la presentazione di un rapporto, redatto dalla Commissione, in collaborazione con l’Agenzia europea dell’ambiente, sui risultati conseguiti, relativamente al nuovo obiettivo vincolante di riduzione dei rifiuti urbani in discarica, e lo scambio di informazioni e migliori prassi sull'attuazione pratica delle disposizioni della presente direttiva. Nello specifico, l’art. 5-ter prevede la presentazione del rapporto tre anni prima della scadenza in questione.

Rifiuti ammissibili nelle varie categorie di discariche (art. 6 modificato dall’art. 1, par. 1, punto 6)

Viene introdotta una condizione nell'applicazione delle deroghe al principio di divieto di collocare in discarica rifiuti non trattati (art. 6, comma 1, lettera a della direttiva 1999/31), per cui l’applicazione della misura prevista non deve pregiudicare gli obiettivi di riciclaggio previsti dalla direttiva rifiuti 2008/98 (come modificata dalla direttiva 2018/851), in particolare il rispetto della gerarchia dei rifiuti e l'aumento della preparazione per il riutilizzo e del riciclaggio.

Procedure di ammissione dei rifiuti (art. 11 modificato dall’art. 1, par. 1, punto 7)

Viene soppresso il paragrafo 2, comma 2 dell'articolo 11 della direttiva 1999/31, relativo alle informazioni sul tipo di rifiuti destinati alle discariche esonerate dal rispetto delle disposizioni della medesima direttiva 1999/31.

Comunicazione (art. 15 modificato dall’art. 1, par. 1, punto 8)

Viene sostituito integralmente l'articolo 15 della direttiva 1999/31, al fine di modificare le modalità e i tempi di comunicazione tra Stati membri e Commissione (in precedenza effettuati in base a rapporti triennali).

Con la modifica in commento, si prendono a riferimento esclusivamente gli obiettivi di riduzione stabiliti dall'articolo 5 (compreso il nuovo obiettivo per il 2035), e i rapporti diventano annuali, da trasmettersi entro 18 mesi dalla fine del periodo preso a riferimento.

La Commissione deve inoltre pubblicare un rapporto sul quadro complessivo della situazione a livello europeo ogni 4 anni.

Strumenti per promuovere il passaggio verso un'economia più circolare (art. 15-bis introdotto dall’art. 1, par. 1, punto 9)

L'articolo 15-bis obbliga gli Stati membri a ricorrere a strumenti economici adeguati e adottare altre misure per incentivare l'applicazione della gerarchia dei rifiuti e conseguire gli obiettivi della direttiva 1999/31. Tali misure possono includere quelle individuate dall’allegato IV-bis della direttiva sui rifiuti 2008/98, inserito dalla direttiva 2018/851, che raccoglie esempi di strumenti economici e altre misure per incentivare l'applicazione della gerarchia dei rifiuti, come prevista dall'articolo 4, paragrafo 1 della direttiva 2008/98.

 

Determinazione del coefficiente di permeabilità delle discariche e criterio per il campionamento dei rifiuti (articoli 15-ter e 15-quater introdotti dall’art. 1, par. 1, punto 9)

Gli articoli 15-ter e 15-quater prevedono l’adozione da parte della Commissione di atti di esecuzione per stabilire, rispettivamente, il metodo da utilizzare per determinare, in loco e per tutta l'estensione dell'area, il coefficiente di permeabilità delle discariche, e per sviluppare un criterio per il campionamento dei rifiuti, prevedendosi, nel caso dell’art. 15-quater, in attesa dell’adozione di tali atti, l’applicazione dei criteri e delle procedure nazionali.

 

Da ultimo, la direttiva 2018/850 modifica (art. 1, par. 1 punti 12-15) l'allegato I, in cui viene soppresso il punto 3.5, in coerenza con l’inserimento dell’art. 15-ter sul coefficiente di permeabilità delle discariche; l'allegato II, in cui è soppresso il punto 5 sul campionamento dei rifiuti per coerenza con l’art. 15-quater; l'allegato III, punto 2, in cui il primo comma è soppresso relativamente all’obbligo di fornire dati sui metodi di raccolta relativi ai dati meteorologici; e infine viene aggiunto l'allegato IV che individua le regole sul Piano di attuazione da presentare alla Commissione per fruire della deroga al raggiungimento degli obiettivi da presentare a norma dell'articolo 5, paragrafo 6 della direttiva 1999/31, aggiunto dalla direttiva in esame.

 


 

Direttiva (UE) 2018/851
del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti

 

La direttiva (UE) 2018/851 aggiorna le norme sulla gestione dei rifiuti contenute nella direttiva 2008/98/CE al fine di facilitare la transizione verso l'economia circolare, ossia il nuovo modello economico volto a valorizzare ogni fase della catena del valore e in cui i rifiuti sono ridotti al minimo e si utilizzano quanto meno risorse possibili.

La direttiva fa parte di un pacchetto di misure sull'economia circolare pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 4 giugno 2018 e che comprendono la direttiva (UE) 2018/850 sulle discariche dei rifiuti, la direttiva (UE) 2018/852 sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio e la direttiva (UE) 2018/849 sui veicoli fuori uso.

Si riportano di seguito i principali elementi di novità introdotti dalla direttiva in esame rispetto alla direttiva 2008/98/CE.

Oggetto e ambito di applicazione (articolo 1 della direttiva 2008/98/CE)

L'articolo viene riscritto al fine di sottolineare come la riduzione dell'uso delle risorse e il miglioramento della loro efficienza rappresentino elementi fondamentali per garantire il passaggio ad un'economia circolare e per assicurare la competitività a lungo termine dell'Unione.

Definizioni (articolo 3 della direttiva 2008/98/CE)

Vengono inserite nuove definizioni tra cui quelle di "rifiuto non pericoloso", "rifiuti urbani", "rifiuti da costruzione e demolizione", "rifiuti organici", "rifiuti alimentari", "gestione dei rifiuti", "recupero di materia", "riempimento" e "regime di responsabilità estesa del produttore". In particolare, quest'ultimo è inteso come insieme di misure adottate dagli Stati membri per assicurare che ai produttori spetti la responsabilità finanziaria e organizzativa della gestione della fase del ciclo di vita in cui il prodotto diventa rifiuto.

Gerarchia dei rifiuti (articolo 4 della direttiva 2008/98/CE)

Viene inserito un passaggio relativo all'obbligo per gli Stati membri di incentivare l'applicazione della gerarchia dei rifiuti, mediante una serie di strumenti economici e altre misure specificate nell'Allegato IV-bis inserito ex novo (ad esempio tasse e restrizioni per il collocamento in discarica, regimi di tariffe puntuali in base alla quantità di rifiuti prodotti, incentivi fiscali per la donazione di prodotti, specialmente alimentari).

 

Responsabilità estesa del produttore (articolo 8 della direttiva 2008/98/CE)

Viene inserito il rimando ai requisiti generali minimi che i regimi di responsabilità estesa del produttore istituiti dagli Stati membri dovranno rispettare (vedi, articolo 8-bis). Altre modifiche riguardano l'inserimento della possibilità per gli Stati membri di adottare misure che incoraggino lo sviluppo, la produzione, la commercializzazione e l'impiego di prodotti e componenti adatti all'uso multiplo, contenenti materiali riciclati, durevoli e facilmente riparabili, che, dopo essere diventati rifiuti sono adatti ai fini del riutilizzo e del riciclo ai fini di una corretta attuazione della gerarchia dei rifiuti. E' inoltre inserito il riferimento allo scambio di migliori pratiche in materia di regimi di responsabilità estesa del produttore.

Requisiti generali minimi in materia di responsabilità estesa del produttore (articolo 8-bis) (nuovo)

Viene inserito l'articolo 8-bis che definisce i requisiti generali in materia di regimi di responsabilità estesa del produttore al fine di superare le differenze tra gli Stati membri. Nell'adottare i suddetti regimi gli Stati membri dovranno:

ü  definire chiaramente ruoli e responsabilità;

ü  definire obiettivi misurabili di gestione dei rifiuti conformi alla gerarchia dei rifiuti;

ü  prevedere o un sistema di comunicazione delle informazioni volto a raccogliere dati sui prodotti immessi sul mercato e, una volta divenuti rifiuti, sul loro trattamento e sui relativi flussi.

Gli Stati membri dovranno poi assicurare che ai detentori di rifiuti interessati dai regimi di responsabilità dei produttori sia fornita un'adeguata informazione sui sistemi esistenti di raccolta dei rifiuti, sui centri di riutilizzo, sui sistemi di ritiro e raccolta e sulla prevenzione della dispersione dei rifiuti. L'articolo prevede poi che gli Stati membri garantiscano che i produttori o le organizzazioni create per attuare gli obblighi derivanti dalle responsabilità dei produttori: 

ü  definiscano in modo chiaro la zona geografica (senza limitare la zona alle aree in cui la raccolta e la gestione dei rifiuti sono più redditizie), i prodotti e i materiali contemplati;

ü   dispongano dei mezzi operativi e finanziari per lo svolgimento di tali obblighi;

ü   istituiscano un meccanismo di autosorveglianza con verifiche periodiche;

ü   rendano pubbliche le informazioni sulla proprietà e i membri, sui contributi finanziari versati dai produttori e sulla procedura di selezione dei gestori dei rifiuti.

Gli Stati membri dovranno poi assicurare che i contributi finanziari versati dai produttori in adempimento agli obblighi derivanti dal regime di responsabilità estesa del produttore coprano totalmente i costi di gestione dei rifiuti, di informazione e comunicazione. E' previsto, tuttavia, in alcuni precisi casi che i produttori sostengano tali costi in modo parziale.

Gli Stati membri dovranno inoltre: garantire un adeguato quadro di controllo dell'attuazione delle misure adottate che preveda l'istituzione di un organismo indipendente, qualora vi siano più organizzazioni che attuano gli obblighi in materia di responsabilità estesa del produttore; assicurare il dialogo regolare tra i soggetti coinvolti; assicurare che i regimi istituiti entro il 4 luglio 2018 siano conformi con le nuove disposizioni entro il 5 gennaio 2023.

Prevenzione dei rifiuti (articolo 9 della direttiva 2008/98/CE)

L'articolo viene interamente sostituito. La nuova formulazione definisce le misure che gli Stati membri devono adottare al fine di evitare la produzione di rifiuti. Esse saranno volte, tra l'altro, a:

incoraggiare l'uso di prodotti efficienti sotto il profilo delle risorse

 promuovere attività di riutilizzo, soprattutto per le apparecchiature elettriche, elettroniche, i tessili e i mobili;

ridurre la produzione di rifiuti nei processi industriali, nell'estrazione di minerali, nella costruzione e nella demolizione;

ridurre la generazione di rifiuti alimentari in tutte le fasi, dalla produzione primaria ai nuclei domestici, in linea con l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni unite, con l'obiettivo di giungere ad una riduzione del 30% entro il 2025 e del 50% entro il 2030;

ridurre la il contenuto di sostanze pericolose in materiali e prodotti;

ridurre la produzione di rifiuti marini.

Al fine di valutare l'attuazione delle misure di prevenzione dei rifiuti gli Stati membri dovranno utilizzare indicatori e obiettivi qualitativi e quantitativi adeguati. La misurazione dei rifiuti alimentari dovrà avvenire in conformità con la metodologia messa a punto dalla Commissione europea. L'articolo reca inoltre disposizioni in materia di comunicazione dei dati relativi alle sostanze chimiche e ai rifiuti alimentari.

Recupero (articolo 10 della direttiva 2008/98/CE)

L'articolo viene completamente sostituito da disposizioni più dettagliate che prevedono, tra l'altro, il ricorso alla raccolta differenziata dei rifiuti al fine di facilitare o migliorare la preparazione per il riutilizzo. L'articolo prevede poi alcune deroghe alla raccolta differenziata nel caso in cui siano soddisfatte determinate condizioni.

Preparazione per il riutilizzo e riciclaggio (articolo 11 della direttiva 2008/98/CE)

Tra le modifiche apportate all'articolo, che viene completamente riscritto, vi è l'inserimento di nuovi obiettivi di riutilizzo e riciclaggio per i rifiuti urbani al 2025, al 2030 e al 2035. In particolare, tali obiettivi prevedono la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio:

ü  di almeno il 55% in peso dei rifiuti urbani entro il 2025;

ü  del 60% entro il 2030 e del 65% entro il 2035.

Gli Stati membri che nel 2013 hanno riciclato meno del 20% dei rifiuti urbani possono chiedere alla Commissione europea di ritardare il raggiungimento di tali obiettivi per un massimo di 5 anni, previa presentazione di un piano di attuazione di cui all'Allegato IV-ter.

Regole per calcolare il conseguimento degli obiettivi (articolo 11-bis) (nuovo)

Viene inserito l'articolo 11-bis che fissa le regole per calcolare il conseguimento degli obiettivi. Per determinare se gli obiettivi siano stati raggiunti gli Stati membri dovranno calcolare il peso dei rifiuti urbani prodotti e preparati per il riutilizzo e riciclati per anno civile. Viene precisato che il peso dei rifiuti urbani preparati per il riutilizzo è inteso come il peso dei prodotti e dei componenti diventati rifiuti sottoposti a tutte le necessarie operazioni (controllo, pulizia o riparazione) per consentirne il riutilizzo e che il peso dei rifiuti urbani riciclati è inteso come peso rifiuti urbani che al netto delle necessarie operazioni (controllo, cernita e scarto) sono immessi nell'operazione di riciclaggio. Il peso dei rifiuti urbani riciclati di norma è misurato all'atto di immissione degli stessi all'operazione di riciclaggio. Tuttavia, in deroga a tale regola può essere misurato in uscita se sono rispettate alcune condizioni (successivo riciclo degli stessi, esclusione dal peso dei rifiuti comunicati come riciclati dei materiali o sostanze rimosse in precedenza e che non vengono successivamente riciclati). L'articolo 11-bis prevede poi che gli Stati membri stabiliscano un efficace sistema di controllo della qualità e della tracciabilità dei rifiuti da imballaggio (mediante, ad esempio, registri elettronici, specifiche tecniche per i requisiti di qualità o fissazione di tassi di scarto medio per i rifiuti cerniti). Al fine del calcolo del conseguimento degli obiettivi vengono inserite alcune specifiche relative a quando un rifiuto urbano può considerarsi riciclato e a come considerare i rifiuti urbani inviati in altro Stato membro o esportati al di fuori dell'Unione europea.

Segnalazione preventiva (articolo 11-ter) (nuovo)

Viene inserito un nuovo articolo, l'11­-ter, in base al quale l'Agenzia europea per l'ambiente, entro tre anni dal termine per il raggiungimento degli obiettivi, elabora una relazione contenente la stima del conseguimento degli stessi da parte degli Stati membri e l'elenco degli Stati che rischiano di non conseguirli, corredato da opportune raccomandazioni, nonché esempi delle migliori pratiche utilizzate in tutta l'Unione europea.

Rifiuti domestici pericolosi (articolo 20 della direttiva 2008/98/CE)

L'articolo viene sostituito da nuove disposizioni che prevedono che entro il 1 gennaio 2025 gli Stati membri dispongano la raccolta differenziata dei rifiuti domestici pericolosi.

Rifiuti organici (articolo 22 della direttiva 2008/98/CE)

In base alla nuova formulazione dell'articolo, entro il 31 dicembre 2023 gli Stati membri provvedono affinché i rifiuti organici siano differenziati e riciclati alla fonte o raccolti in modo differenziato.

Relazioni e riesame (articolo 37 della direttiva 2008/98/CE)

L'articolo viene riscritto, a cominciare dalla rubrica modificata in "Comunicazione". Le nuove disposizioni prevedono che gli Stati membri trasmettano per ogni anno civile alla Commissione europea i dati relativi alle   operazioni di preparazione per riutilizzo e riciclaggio, di prevenzione degli sprechi alimentari nonché quelli sulla raccolta di oli industriali immessi sul mercato e di altri tipi di oli. Oltre a tali dati dovranno inviare anche una relazione di controllo della qualità degli stessi e una relazione relativa all'istituzione del sistema di controllo della qualità di cui all'articolo 11-bis.  I dati dovranno essere trasmessi per via elettronica entro 18 mesi dalla fine dell'anno di riferimento, secondo un formato che sarà successivamente stabilito dalla Commissione europea.  La Commissione europea esaminerà i dati comunicati e redigerà una relazione.

Interpretazione e adeguamento al progresso tecnico (articolo 38 della direttiva 2008/98/CE)

Viene innanzitutto modificata la rubrica dell'articolo in "Scambio di informazioni e condivisione delle migliori pratiche, interpretazione e adeguamento al progresso tecnico". L'articolo viene quindi sostituito da una nuova formulazione che prevede l'organizzazione, da parte della Commissione europea, di uno scambio di informazioni e condivisione delle migliori pratiche tra gli Stati membri, ivi comprese, se del caso, le autorità regionali e locali, circa l'attuazione e l'applicazione delle disposizioni della direttiva.

Esercizio della delega (articolo 38-bis) (nuovo)

Viene inserito l'articolo 38-bis che regolamenta l'esercizio del potere di delega da parte della Commissione europea al fine di integrare alcune parti della direttiva.

 

Il termine fissato per il recepimento della direttiva (UE) 2018/851 da parte degli Stati membri è il 5 luglio 2020.

 

La direttiva trae origine dalla proposta della Commissione europea COM(2015)595.

 


 

Direttiva (UE) 2018/852
del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio

 

Intervenendo sulla direttiva quadro sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio (direttiva 94/62/CE), la direttiva (UE) 2018/852 intende evitare o ridurre l'impatto negativo sull'ambiente da parte di questo tipo di rifiuti, fornendo un elevato livello di tutela ambientale. Essa innalza pertanto gli obiettivi fissati dalla direttiva 94/62/UE affinché riflettano più incisivamente l'ambizione dell'Unione europea di passare ad un'economia circolare.

La direttiva fa parte di un pacchetto di misure sull'economia circolare pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 4 giugno 2018 e che comprendono la direttiva (UE) 2018/850 sulle discariche dei rifiuti, la direttiva (UE) 2018/851 sui rifiuti e direttiva (UE) 2018/849 sui veicoli fuori uso.

 

Di seguito i principali elementi di modifica alla direttiva 94/62/CE apportati dalla direttiva (Ue) 2018/852.

Fine (articolo 1 della direttiva 94/62/CE)

Viene inserito il riferimento al fatto che le misure contenute nella direttiva, intese a prevenire la produzione di rifiuti, a favorire il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggio, hanno lo scopo di contribuire alla transizione verso l'economia circolare.

Definizioni (articolo 3 della direttiva 94/62/CE)

Le definizioni vengono allineate con quelle contenute nella direttiva quadro sui rifiuti (direttiva (Ue) 2008/98) (ad esempio "rifiuti di imballaggio"). Vengono inserite inoltre nuove definizioni ("imballaggio riutilizzabile", "imballaggio composito").

Riutilizzo (articolo 5 della direttiva 94/62/CE)

L'articolo sul riutilizzo viene completamente riscritto. Le nuove più dettagliate disposizioni prevedono l'obbligo per gli Stati membri di adottare misure volte ad aumentare l'immissione sul mercato di imballaggi riutilizzabili e dei sistemi di riutilizzo rispettosi dell'igiene degli alimenti e della sicurezza dei consumatori. Le misure previste a tal fine possono includere sistemi di restituzione con cauzione, fissazione di obiettivi qualitativi e quantitativi, incentivi economici, fissazione di una percentuale minima di imballaggi riutilizzabili in un anno.  Il nuovo articolo 5 consente poi a ciascuno Stato di conseguire un livello rettificato degli obiettivi di recupero e riciclaggio di cui all'articolo 6, fornendo specifiche sul relativo calcolo. La Commissione europea dovrà, entro il 31 marzo 2019, stabilire le regole per il calcolo, la verifica e la comunicazione dei dati, al fine di garantire condizioni uniformi di applicazione delle suddette disposizioni. Entro il 31 dicembre 2024 dovrà poi esaminare i dati ricevuti dagli Stati membri per poi trasmettere una relazione ed una eventuale proposta legislativa al Parlamento europeo e al Consiglio.

Recupero e riciclaggio (articolo 6 della direttiva 94/62/CE)

Le modifiche all'articolo stabiliscono nuovi obiettivi di recupero e riciclaggio dei rifiuti da imballaggio al 2025 e al 2030. In particolare, le nuove disposizioni prevedono che sia riciclato:

ü  almeno il 65% in peso di tutti i rifiuti entro il 2025;

ü  il 70% in peso di tutti i rifiuti entro il 2030.

Sono fissati inoltre obiettivi diversificati per la plastica, il legno, i materiali ferrosi, l'alluminio, il vetro, la carta e il cartone.

Agli Stati membri è concessa la possibilità di posticipare i termini per il raggiungimento degli obiettivi, fino ad un massimo di 5 anni, nel rispetto di alcune condizioni che prevedono, tra l'altro, la presentazione di un piano di attuazione di cui all'Allegato IV inserito ex novo.

Regole per calcolare il conseguimento degli obiettivi (nuovo)

Viene inserito l'articolo 6-bis che fissa le regole per calcolare il conseguimento degli obiettivi. Per determinare se gli obiettivi siano stati raggiunti gli Stati membri dovranno calcolare il peso dei rifiuti di imballaggio prodotti e riciclati per anno civile. Viene precisato che il peso dei rifiuti di imballaggio riciclati è inteso come il peso degli imballaggi diventati rifiuti che, al netto dei una serie di operazioni (controllo, cernita e scarto), sono immessi nelle operazioni di riciclaggio. Il peso dei rifiuti di imballaggio riciclati di norma è misurato all'atto di immissione degli stessi alle suddette operazioni. Tuttavia, in deroga a tale regola può essere misurato in uscita se sono rispettate alcune condizioni (successivo riciclo degli stessi, esclusione dal peso dei rifiuti comunicati come riciclati dei materiali o sostanze rimosse in precedenza e che non vengono successivamente riciclati). L'articolo 6-bis prevede poi che gli Stati membri stabiliscano un efficace sistema di controllo della qualità e della tracciabilità dei rifiuti da imballaggio (mediante, ad esempio, registri elettronici, specifiche tecniche per i requisiti di qualità o fissazione di tassi di scarto medio per i rifiuti cerniti). Al fine del calcolo del conseguimento degli obiettivi vengono inserite alcune specifiche relative a quando un rifiuto di imballaggio può considerarsi riciclato e a come considerare i rifiuti di imballaggi inviati in altro Stato membro o esportati al di fuori dell'Unione europea.

Segnalazione preventiva (nuovo)

Viene inserito l'articolo 6-ter in base al quale l'Agenzia europea per l'ambiente, entro tre anni dal termine per il raggiungimento degli obiettivi, elabora una relazione contenente la stima del conseguimento degli stessi da parte degli Stati membri e l'elenco degli Stati che rischiano di non conseguirli, corredato da opportune raccomandazioni, nonché esempi delle migliori pratiche utilizzate in tutta l'Unione europea

Sistemi di restituzione, raccolta e recupero (articolo 7 della direttiva 94/62/CE)

L'articolo viene sostituito da nuove disposizioni che inseriscono l'obbligo per gli Stati membri di stabilire entro il 2024 regimi di responsabilità estesa del produttore, conformemente alla direttiva 2008/98/CE, di promuovere il riciclaggio di elevata qualità dei rifiuti di imballaggio e di soddisfare i necessari criteri qualitativi per i pertinenti settori di riciclaggio. Anche in questo caso viene inserito il rimando alla direttiva 2008/98/CE.

Sistemi di informazione (articolo 12 della direttiva 94/62/CE)

La rubrica dell'articolo viene modificata in "Sistemi di informazione e comunicazione". L'articolo viene inoltre modificato al fine di determinare nuovi obblighi per gli Stati membri, sopprimendo quelli obsoleti. Tra gli adempimenti previsti, quello di trasmettere per ogni anno civile alla Commissione europea, oltre ai dati relativi al conseguimento degli obiettivi, anche una relazione di controllo della qualità degli stessi e una relazione relativa all'istituzione del sistema di controllo della qualità di cui all'articolo 6-bis. I dati dovranno essere trasmessi per via elettronica entro 18 mesi dalla fine dell'anno di riferimento, secondo un formato stabilito (Allegato III). La Commissione europea esaminerà i dati comunicati e redigerà una relazione.

Misure specifiche ed esercizio della delega (articolo 20 della direttiva 94/62/CE)

L'articolo viene riscritto al fine di conferire alla Commissione europea potere di adottare atti delegati per integrare la presente direttiva, secondo la procedura stabilita dall'articolo 21-bis.

Allegati

All'Allegato II, che reca i requisiti essenziali per la composizione, la riutilizzabilità e la riciclabilità degli imballaggi viene inserito il riferimento agli imballaggi recuperabili sotto forma di compost e a quelli biodegradabili. L'Allegato III, relativo ai dati da includere nelle banche dati degli Stati membri viene modificato al fine di includere le dizioni "metalli ferrosi" e "alluminio" e altre dizioni.

Viene inserito l'Allegato IV che reca specifiche sul piano di attuazione che gli Stati membri devono presentare per giustificare l'intenzione di posticipare la scadenza dei termini per il conseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 6.

 

Il termine fissato per il recepimento della direttiva (UE) 2018/852 da parte degli Stati membri è il 5 luglio 2020.

 

La direttiva trae origine dalla proposta della Commissione europea COM(2015)596.

Direttiva (UE) 2018/957
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2018, recante modifica della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi

 

La direttiva (UE) 2018/957 modifica la direttiva 96/71/CE, relativa al distacco dei lavoratori, da parte del proprio datore di lavoro e nell'ambito di una prestazione di servizi, in uno Stato membro diverso da quello in cui il lavoro sia abitualmente svolto.

La disciplina in esame concerne sia i distacchi in un'unità del datore di lavoro o in un'impresa appartenente al medesimo gruppo sia quelli operati nell'ambito di un contratto concluso tra il datore di lavoro e il destinatario della prestazione di servizi, ivi compresi i contratti di fornitura di lavoro temporaneo stipulati tra un'impresa fornitrice ed una utilizzatrice.

Riguardo a quest'ultima fattispecie, le novelle operate - da parte dell'articolo 1 della nuova direttiva - all'articolo 1 della direttiva 96/71/CE recano alcune modifiche terminologiche e specificano che l'ambito della disciplina in esame comprende anche i casi in cui l'impresa utilizzatrice, a sua volta, distacchi il lavoratore in un altro Stato membro, diverso da quello in cui il lavoratore abitualmente operi (presso l'impresa utilizzatrice). Si prevede, inoltre, che, in tal caso, l'impresa utilizzatrice informi, prima dell'inizio del distacco, il soggetto fornitore.

In base alle successive novelle di cui all'articolo 1 della direttiva in esame, operate all'articolo 3 della direttiva 96/71/CE:

1)     si sostituisce il riferimento alle "tariffe minime salariali" con il principio di riconoscimento della "retribuzione", composta da tutti gli elementi resi obbligatori da disposizioni legislative, regolamentari, amministrative o da contratti collettivi o arbitrati di applicazione generale o comunque eventualmente applicabili in uno Stato membro ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 8, della direttiva 96/71/CE, e successive modificazioni[50]. Si osserva che, in base al testo - non oggetto di modifiche - dei paragrafi 3, 4 e 5 del citato art. 3 della direttiva 96/71/CE, gli Stati membri possono prevedere deroghe a tale principio per alcune fattispecie (costituite, in linea di massima, da alcuni distacchi di durata non superiore ad un mese);

2)     si estende dal settore edilizio a tutti gli altri settori l'obbligo di rispettare, nell'ambito dei distacchi, le previsioni delle norme interne o dei summenzionati contratti collettivi o arbitrati, con riferimento all'orario di lavoro, ai periodi minimi di riposo, alle ferie retribuite, alle condizioni di fornitura dei lavoratori, alla sicurezza, salute e igiene sul lavoro, alle clausole di tutela inerenti alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o puerpere, bambini e giovani, alle clausole concernenti la parità di trattamento fra uomo e donna nonché alle altre clausole in materia di non discriminazione;

3)     gli obblighi di applicazione delle eventuali norme interne o clausole dei summenzionati contratti collettivi o arbitrati sono inoltre estesi con riferimento a quelle relative alle condizioni di alloggio dei lavoratori (qualora quest'ultimo sia fornito dal datore di lavoro ai lavoratori lontani dal loro abituale luogo di lavoro) ed alle indennità o rimborsi a copertura delle spese di viaggio, vitto e alloggio per i lavoratori lontani da casa per motivi professionali;

4)     si prevede altresì che, per i distacchi la cui durata effettiva superi i 12 mesi, gli obblighi di applicazione delle norme interne e dei summenzionati contratti collettivi o arbitrati concerna anche le altre condizioni di lavoro, ad esclusione delle procedure, formalità e condizioni per la conclusione e la cessazione del contratto di lavoro e dei regimi pensionistici integrativi di categoria. Qualora il datore di lavoro prestatore di servizi presenti una notifica motivata, lo Stato membro in cui è prestato il servizio estende il periodo suddetto a 18 mesi. Nelle ipotesi di sostituzione di un lavoratore distaccato con un altro, si considera, ai fini del computo in oggetto, la durata complessiva dei periodi di distacco;

5)     si richiede che gli Stati membri pubblichino su Internet le informazioni (rilevanti ai fini del rispetto degli obblighi summenzionati) sulle condizioni di lavoro e di occupazione, ivi comprese quelle inerenti agli elementi costitutivi della retribuzione;

6)     si pone l'obbligo per l'ordinamento degli Stati membri - anziché la facoltà per gli stessi, come previsto dal testo previgente - di garantire ai lavoratori distaccati da parte delle imprese di fornitura di lavoro l'applicazione del principio di tutela di cui all'art. 5 della direttiva 2008/104/CE[51], già vigente per i lavoratori oggetto di somministrazione di lavoro da parte di soggetti fornitori stabiliti nello stesso Stato membro (in cui il lavoro è svolto presso il soggetto utilizzatore). In base a tale principio, per tutta la durata della missione presso un’impresa utilizzatrice, le condizioni di base di lavoro e d’occupazione dei lavoratori sono almeno identiche a quelle che si applicherebbero loro se fossero lavoratori dipendenti della stessa impresa utilizzatrice.

Altre novelle operate al suddetto articolo 3 della direttiva 96/71/CE recano precisazioni e norme finali.

Le novelle - operate da parte del medesimo articolo 1 della direttiva (UE) 2018/957 - agli articoli 4 e 5 della direttiva 96/71/CE concernono, rispettivamente, la cooperazione tra gli Stati membri e le garanzie sull'effettiva attuazione e rispetto della disciplina in esame in ogni Stato membro.

Il successivo articolo 2 della direttiva (UE) 2018/957 prevede una procedura specifica di riesame, da parte della Commissione europea, dell'applicazione ed attuazione della medesima direttiva, anche ai fini della valutazione di ipotesi di modifica e, in particolare, dell'eventuale esigenza di introdurre le misure specifiche prospettate nel paragrafo 2 del medesimo articolo 2.

 

Il termine per il recepimento della direttiva (UE) 2018/957 da parte degli Stati membri scade il 30 luglio 2020.

 

 

La direttiva ha origine dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 128. Su tale proposta quattordici Parlamenti nazionali hanno espresso un parere motivato sul mancato rispetto del principio di sussidiarietà ai sensi dell'art. 7, par. 3, del Protocollo n. 2, del Trattato di Lisbona ("qualora i pareri motivati sul mancato rispetto del principio di sussidiarietà da parte di un progetto di atto legislativo rappresentino almeno un terzo dell'insieme dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali (...), il progetto deve essere riesaminato").

Ad esito di tale riesame, la Commissione europea ha espresso la propria volontà di mantenere inalterata la proposta (COM(2016) 505).

L’11a Commissione permanente del Senato (Lavoro, previdenza sociale) ha adottato il 3 maggio 2016 un parere favorevole sulla proposta di direttiva, con specifiche e puntuali osservazioni (doc XVIII, n. 125).

L'XI Commissione della Camera dei deputati ha a sua volta concluso l’esame adottando un documento finale con valutazione positiva (doc XVIII n. 41).

 


 

Direttiva (UE) 2018/958
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 giugno 2018, relativa a un test della proporzionalità prima dell'adozione di una nuova regolamentazione delle professioni

 

La direttiva (UE) 2018/958 impone agli Stati membri di valutare preliminarmente la proporzionalità delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative che limitino l'accesso alle professioni regolamentate o il loro esercizio. Tale "test di proporzionalità" dovrebbe essere posto in essere sia per nuove norme in via di introduzione sia per modifiche della normativa esistente; la sua portata è "proporzionata alla natura, al contenuto e all'impatto della disposizione" (articolo 4, par. 2).

Ai sensi dell'articolo 4, le disposizioni in via di approvazione devono essere accompagnate da una spiegazione dettagliata che consenta di valutare il rispetto del principio di proporzionalità (par. 3) e l'eventuale esito positivo del test è motivato ricorrendo a "elementi qualitativi e, ove possibile e pertinente, quantitativi" (par. 4). Tali motivazioni devono essere comunicate alla Commissione europea, registrate nella banca dati delle professioni regolamentate e messe a disposizione del pubblico assieme alle disposizioni a cui si riferiscono (articolo 11).

 

La banca dati delle professioni regolamentate è stata istituita ai sensi dell'articolo 59 della direttiva 2005/36/CE e contiene l'elenco delle professioni regolamentate degli Stati membri, specificando le attività che rientrano in ogni professione.

 

La valutazione della proporzionalità - che, ai sensi del par. 5 dell'articolo 4 deve essere condotta "in modo obiettivo e indipendente" - prosegue anche dopo l'avvenuta approvazione (par. 6), "tenendo in debito conto eventuali sviluppi sopravvenuti".

La finalità perseguita è garantire il corretto funzionamento del mercato interno e semplificare l'accesso alle professioni garantendo, al tempo stesso, la protezione dei consumatori. Non viene peraltro - per espressa disposizione dell'articolo 1 - pregiudicata "la competenza, in assenza di armonizzazione, e il margine di discrezionalità degli Stati membri nel decidere se e come regolamentare una professione entro i limiti dei principi di non discriminazione e proporzionalità".

Prima dell'introduzione di nuove disposizioni - o della modifica di quelle esistenti - gli Stati membri devono attenersi ad alcuni principi generali (non discriminazione sulla base della nazionalità o della residenza, articolo 5, e giustificazione sulla base dell'interesse generale, articolo 6).

In merito ai criteri da prendere in considerazione al fine di assicurare il rispetto della proporzionalità, l'articolo 7 richiede che le nuove norme siano "idonee a garantire il perseguimento dello scopo perseguito e non vadano oltre quanto necessario per il raggiungimento di tale scopo". Il paragrafo 2 elenca gli elementi da prendere necessariamente in considerazione; il paragrafo 3 invece quelli rilevanti solo "ove pertinenti alla natura e al contenuto della disposizione che si sta introducendo o modificando". Requisiti specifici sono previsti dal paragrafo 4 per la prestazione temporanea ed occasionale di servizi.

L'informazione ai cittadini ed agli altri portatori di interessi è disciplinata dall'articolo 8, ai sensi del quale nel procedimento di introduzione di nuove disposizioni legislative tutte le parti interessate devono essere coinvolte ed avere la possibilità di esprimere la loro opinione, anche tramite consultazioni pubbliche (par. 2).

Ai sensi dell'articolo 9 spetta agli Stati membri predisporre mezzi di ricorso effettivo.

L'articolo 12 prevede relazioni quinquennali della Commissione europea sull'applicazione ed i risultati della direttiva a partire dal 18 gennaio 2024.

Il termine per il recepimento della direttiva (UE) 2018/958 da parte degli Stati membri scade il 30 luglio 2020.

 

 

La direttiva ha origine dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 822.

 


 

Direttiva (UE) 2018/2002
del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2018 che modifica la direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica

 

La direttiva (UE) 2018/2002 è stata inserita nell’allegato A durante l’esame in Senato e stabilisce un quadro comune di misure per promuovere l'efficienza energetica nell'Unione. Si propone di rimuovere gli ostacoli sul mercato dell'energia e di superare carenze del mercato che frenano l'efficienza nella fornitura e nell'uso dell'energia. Prevede inoltre la fissazione di obiettivi e contributi nazionali indicativi in materia di efficienza energetica per il 2020 e il 2030.

A tal fine persegue, al livello UE, il conseguimento degli obiettivi principali dell'Unione in materia di efficienza energetica: 20 per cento entro il 2020 e almeno il 32,5 per cento entro il 2030 (nuovo articolo 1, par. 1 della direttiva 2012/27/UE). Tale ultimo obiettivo sarà oggetto di ulteriore valutazione da parte della Commissione europea entro il 2023 e sarà rivisto al rialzo in caso di significative riduzioni dei costi o in attuazione degli obblighi internazionali dell'Unione (articolo 3, par. 6).

Al livello nazionale, invece, ogni Stato membro dovrà stabilire i propri contributi nazionali indicativi di efficienza energetica agli obiettivi dell'Unione per il 2030. Nel fare ciò, si dovrà tenere conto del fatto che "nel 2030 il consumo energetico dell'Unione non deve superare 1 273 Mtoe[52] di energia primaria e/o 956 Mtoe di energia finale" (articolo 3, par. 5).

L'articolo 7 stabilisce in dettaglio le modalità di calcolo e gli obblighi di realizzazione cumulativa di risparmio energetico nell'uso finale che gli Stati membri devono realizzare, definiti come segue:

1)     dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2020 nuovi risparmi annui pari all'1,5 per cento in volume delle vendite medie annue di energia ai clienti finali, realizzate nel triennio precedente il 1° gennaio 2013. Le vendite di energia utilizzata nei trasporti possono essere escluse dal calcolo;

2)     dal 1° gennaio 2021 al 31 dicembre 2030 nuovi risparmi annui pari allo 0,8 per cento del consumo energetico annuo finale medio realizzato nel triennio precedente il 1° gennaio 2019. Tali percentuali non si applicano a Cipro e Malta.

Risparmi annui dovranno essere realizzati anche per periodi decennali successivi al 2030 a meno che la Commissione - sulla base di esami effettuati entro il 2027 e successivamente ogni 10 anni - concluda che non è necessario "per conseguire gli obiettivi a lungo termine dell'Unione in materia di energia e clima per il 2050" (articolo 7, par. 1, c. 2).

 

Al fine di realizzare i risparmi energetici, gli Stati membri possono ricorrere a:

1)     regimi obbligatori di efficienza energetica (articolo 7-bis), tramite i quali gli obblighi di risparmio gravano cumulativamente su operatori di mercato (distributori di energia, società di vendita di energia al dettaglio, distributori o commercianti al dettaglio di carburante per trasporto), designati "sulla base di criteri oggettivi e non discriminatori";

2)     misure politiche alternative (articolo 7-ter) con cui realizzare il risparmio presso i clienti finali.

 

Vengono quindi introdotte una serie di norme di tutela del diritto dei consumatori a disporre di informazioni accurate, tempestive, affidabili e chiare sui propri consumi energetici. Rilevano in questo senso gli articoli:

1)     9, rubricato ex novo "Misurazione del gas e dell'energia elettrica";

2)     9-bis ("Contabilizzazione per il riscaldamento, il raffreddamento e l'acqua calda per uso domestico");

3)     9-ter ("Ripartizione delle spese in base alle misurazioni e ripartizione dei costi per il riscaldamento, il raffreddamento e l'acqua calda per uso domestico");

4)      9-quater ("Obbligo di lettura da remoto");

5)     10 (rubricato ex novo "Informazioni di fatturazione per il gas e l'energia elettrica");

6)     10-bis ("Informazioni di fatturazione e consumo per il riscaldamento, il raffreddamento e l'acqua calda per uso domestico");

7)     11 ("Costi dell'accesso alle informazioni sulla misurazione e sulla fatturazione dell'energia elettrica e del gas");

8)     11-bis ("Costi dell'accesso alle informazioni di misurazione, fatturazione e consumo per il riscaldamento, il raffreddamento e l'acqua calda per uso domestico").

 

La direttiva prevede infine azioni della Commissione europea per:

1)     definire una metodologia comune, previa consultazione delle parti interessate, per incoraggiare gli operatori di rete a ridurre le perdite, attuare un programma efficiente di investimenti nelle infrastrutture ed a tenere in considerazione l'efficienza energetica e la flessibilità della rete (articolo 15, nuovo par. 2-bis);

2)     mobilitare finanziamenti privati per le misure di efficienza energetica e le ristrutturazioni energetiche tramite un dialogo con istituti finanziari pubblici e privati (articolo 20, par. 3-bis - 3-quater);

3)     l'adozione di atti delegati sulla base di una delega quinquennale "per modificare la presente direttiva adattando al progresso tecnico i valori, i metodi di calcolo, i coefficienti di base per l'energia primaria ed i requisiti" contenuti negli Allegati (articolo 22, par. 2 e 23, par. 2).

 

Il termine fissato per il recepimento della direttiva (UE) 2018/2002 è il 25 giugno 2020. Fanno eccezione le disposizioni (contenute sia nell'articolato che negli Allegati) di tutela dei consumatori, per le quali invece è fissato il termine del 25 ottobre 2020.

 

La direttiva trae origine dalla proposta della Commissione europea COM(2016) 761.

Su tale proposta la 10a Commissione permanente del Senato della Repubblica ha adottato, il 17 maggio 2017, un'articolata risoluzione, che conteneva un parere favorevole con osservazioni (Doc XVIII, n. 203 della XVII Legislatura).

 

La 10a Commissione aveva presentato i seguenti rilievi:

1)      in relazione ai regimi obbligatori di efficienza energetica, opportunità di considerare margini di flessibilità in considerazione della situazione non uniforme degli Stati membri in ordine al livello di intensità energetica raggiunto;

2)      rilevanza, con riferimento alle opportunità di efficientamento, del sostegno alla mobilità sostenibile;

3)      necessità di garantire una procedura chiara e trasparente di contabilizzazione dei risparmi energetici realizzati;

4)      opportunità di chiarire dettagliatamente l'ambito di applicazione dell'obbligo di audit energetico per le imprese ai fini della pubblicazione dei risparmi realizzati su base annuale ad opera degli Stati membri;

5)      in relazione alle misure previste in materia di misure e fatturazione, opportunità di ripristinare il riferimento alla "misurazione dei consumi elettrici";

6)      proposta della sostituzione progressiva dei contabilizzatori non dotati di capacità di lettura a distanza.

 

Con riferimento al quadro degli obiettivi previsti si è affermato:

1)      che l'obiettivo globale di miglioramento dell'efficienza energetica nel 2030 potrebbe essere reso più ambizioso, con un target al 40 per cento ed eventuali criteri di premialità;

2)      l'opportunità di valutare, in sede di definizione della politica di efficienza energetica a livello europeo, la possibile adozione di misure per la tassazione al consumo dei prodotti in relazione al contenuto di carbonio degli stessi. Occorre dunque individuare misure a livello di Stati membri che agiscano come leva di fiscalità ambientale tramite la modulazione delle aliquote IVA;

3)      la necessità di individuare gli strumenti più idonei per un'effettiva politica di decarbonizzazione, atteso che il sistema di scambio di quote di emissione CO2 ETS si è rivelato finora non del tutto idoneo al perseguimento degli obiettivi di riduzione delle produzioni climalteranti. Accanto ad un sistema di fiscalità ambientale si rende dunque necessario attuare la riforma dell'ETS con un sistema più dinamico di assegnazione delle quote, anche con l'istituzione di un fondo per l'innovazione e la modernizzazione tecnologica;

4)      la necessità di continuare a sostenere forme che incentivino l'efficienza energetica, quali il meccanismo - attualmente in uso in Italia ed alcuni Paesi europei - dei "certificati bianchi".

 

Con riferimento all'efficienza energetica degli edifici:

1)      si evidenziano alcune criticità in merito ai punti di ricarica delle auto elettriche. In particolare, si invita a valutare l'innalzamento della percentuale prevista per gli edifici non residenziali al 20 per cento, prevedendo il sistema di precablaggio anche a prescindere dal numero dei posti auto;

2)      si afferma la necessità di incentivare forme di ricarica dei veicoli elettrici attraverso energia da fonte rinnovabile prodotta in sito o in aree limitrofe;

3)      si evidenziano possibili criticità derivanti da una valutazione del risparmio energetico basata sul mero confronto tra gli attestati di prestazione energetica precedenti e successivi agli interventi di ristrutturazione in virtù di metodi di calcolo e valutazione alternativi;

4)      si afferma l'opportunità di estendere la quota del 3 per cento quale superficie coperta utile totale degli edifici riscaldati o raffreddati da ristrutturare ogni anno a tutti gli immobili della pubblica amministrazione;

5)      si afferma altresì l'opportunità di promuovere strumenti quali contratti di rendimento energetico (EPC - Energy Performance Contract) e garantire obblighi minimi di efficienza per gli edifici;

6)      si afferma, infine, la necessità di incentivare l'utilizzo di risorse per misure su interi edifici e di valutare con attenzione il tema del collegamento delle risorse finanziarie ai risparmi energetici calcolati attraverso l'APE.

 

La Commissione europea ha risposto alla risoluzione del Senato il 28 luglio 2017.

La X Commissione permanente della Camera dei deputati ha approvato una risoluzione , a cui la Commissione europea ha risposto il 22 agosto 2017.

 


 

Direttiva (UE) 2019/692
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, che modifica la direttiva 2009/73/CE relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale

 

La direttiva (UE) 2019/692 è stata inserita nell’allegato A durante l’esame in Senato. (V. supra la scheda sull’art. 25).

 

Essa intende assicurare che le norme applicabili ai gasdotti di trasporto che collegano due o più Stati membri - con particolare riferimento alle norme relative all'accesso alla rete, alla fissazione delle tariffe, alla separazione della proprietà ed ai requisiti di trasparenza - siano applicabili all'interno dell'Unione anche ai gasdotti di trasporto che collegano l'Unione con paesi terzi.

Si vuole così assicurare coerenza al quadro giuridico interno dell'UE, evitando di distorcere la concorrenza nel mercato interno dell'energia e di determinare ripercussioni negative sull'approvvigionamento.

Si prevede la possibilità di concedere deroghe ai gasdotti esistenti. Queste devono essere valutate caso per caso e hanno una durata di regola non superiore a venti anni. Devono essere basate su motivi oggettivi, ad esempio consentire di recuperare l'investimento effettuato o garantire la sicurezza dell'approvvigionamento. In ogni caso, la deroga non deve compromettere la concorrenza, il funzionamento efficace del mercato interno del gas naturale e la sicurezza della fornitura (nuovo articolo 49-bis della direttiva 2009/73/CE).

Gli Stati membri mantengono la facoltà, previa autorizzazione della Commissione europea, di modificare, prorogare, adattare, rinnovare o concludere un accordo relativo all'esercizio di un gasdotto di trasporto con un Paese terzo su questioni che rientrano nell'ambito di applicazione della direttiva. La procedura autorizzativa è descritta nel dettaglio nel nuovo articolo 49-ter della direttiva 2009/73/CE.

Il nuovo articolo 48-bis della direttiva 2009/73/CE lascia impregiudicata la facoltà, per i gestori dei sistemi di trasporto o altri operatori economici, di mantenere in vigore o concludere accordi tecnici su questioni relative all'esercizio delle linee di trasporto tra uno Stato membro e un paese terzo. L'unica condizione prevista è che tali accordi siano "compatibili con il diritto dell'Unione e con le pertinenti decisioni delle autorità nazionali di regolazione degli Stati membri interessati".

 

Il termine per il recepimento è fissato al 24 febbraio 2020.

 

La direttiva trae origine dalla proposta della Commissione europea COM(2017) 660.

Direttiva 2013/59/EURATOM
del Consiglio del 5 dicembre 2013 che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall'esposizione alle radiazioni ionizzanti, e che abroga le direttive 89/618/EURATOM, 90/641/EURATOM, 96/29/EURATOM, 97/43 EURATOM e 2003/122/EURATOM

 

Il documento in esame definisce norme di sicurezza uniformi per la protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori contro le radiazioni ionizzanti; introduce quindi norme minime di tutela e soglie specifiche applicabili all'esposizione in ambito professionale (Capo VI, articoli 31-54), in ambito sanitario (Capo VII, articoli 55-64) e della restante popolazione (Capo VIII, articoli 65-75).

Agli Stati membri viene richiesto di fissare un appropriato controllo regolamentare che, per tutte le situazioni di esposizione, rifletta un sistema di radioprotezione (articolo 5), basato sui principi di:

1)   giustificazione: le decisioni che introducono una pratica devono essere adottate al fine di garantire che il beneficio derivante per i singoli individui o per la collettività sia preponderante rispetto al detrimento sanitario che potrebbe derivarne;

2)   ottimizzazione: la ratio, per la popolazione generale ed i lavoratori, è quella di mantenere al minimo ragionevolmente possibile l'ordine di grandezza delle dosi individuali, la probabilità dell'esposizione e il numero di individui esposti. Per l'esposizione medica, l'ottimizzazione si calcola in relazione al fine medico perseguito;

3)   limitazione delle dosi: nelle situazioni di esposizione pianificata, la somma delle dosi a cui è esposto un individuo non deve superare quelli fissati per l'esposizione professionale o della popolazione.

 

Norme specifiche vietano o limitano al massimo, in particolare, l'esposizione di lavoratori minori di 18 anni, di donne in gravidanza o in allattamento e di apprendisti e studenti.

Disposizioni specifiche vengono inoltre dettate in tema di:

1)     informazione e formazione (capo IV, articoli 14-18). Agli Stati membri spetta predisporre un quadro legislativo ed amministrativo che garantisca adeguata formazione ed informazione a tutti i soggetti la cui funzione richieda competenze specifiche in questo campo (non solo i lavoratori esposti direttamente ma anche gli addetti all'emergenza ed il personale medico);

2)     giustificazione e controllo regolamentare delle pratiche (capo V, articoli 19-30). Gli Stati membri sono tenuti a vietare, o a sottoporre a regime specifico di controllo, le pratiche che presentano rischi di radiazioni ionizzanti.

Al livello nazionale, gli Stati membri dovranno individuare un'Autorità competente a svolgere i compiti della direttiva in oggetto (Capo IX, articoli 76-105). Tale ente dovrà essere funzionalmente separato da ogni altro organismo o organizzazione coinvolto nella promozione o utilizzazione di pratiche disciplinate dal documento in esame ed avere i poteri giudici - oltre che disporre delle risorse umane e finanziarie - necessari per adempiere ai propri obblighi. Obblighi di trasparenza - applicabili purché non pregiudichino "altri interessi, tra cui in particolare la sicurezza" - sono disciplinati dall'articolo 77.

Gli articoli 79-84 sono dedicati a specifici servizi, esperti e specialisti che gli Stati membri dovranno riconoscere e disciplinare: i servizi di medicina del lavoro e di dosimetria, l'esperto in materia di protezione contro le radiazioni, lo specialista in fisica medica, l'addetto incaricato della radioprotezione.

Il controllo delle sorgenti radioattive (sigillate e non sigillate, orfane, derivanti da situazioni di emergenza) è oggetto degli articoli 85-105.

Tra le disposizioni riguardanti le situazioni di esposizione esistenti (articoli 100-103), si segnala la norma in base alla quale gli Stati membri sono chiamati a definire un piano d'azione nazionale che affronti i rischi di lungo termine dovuti alle esposizioni al radon nelle abitazioni, negli edifici pubblici e nei luoghi di lavoro.

Agli Stati membri spetta anche il compito di predisporre uno o più sistemi di ispezione "al fine di far rispettare le norme adottate in conformità della presente direttiva e di promuovere le misure di sorveglianza e di intervento correttivo che si rivelino necessarie" (articolo 104).

Pur entrata in vigore nel febbraio 2014, il termine per il recepimento della direttiva è fissato dall'articolo 106 per il 6 febbraio 2018.

Il termine per il recepimento della direttiva è scaduto il 6 febbraio 2018; contro l'Italia risulta avviata la procedura di infrazione 2018/2044, che ha portato la Commissione europea a comunicare, il 17 maggio 2018, la messa in mora formale, ad inviare, il 24 gennaio 2019, un parere motivato chiedendo il recepimento della richiamata direttiva, ed infine, il 25 luglio 2019, a deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell'UE per mancato recepimento in quanto, come si legge nel comunicato, alla data del 25 luglio 2019 “le autorità italiane non hanno adottato alcuna legge di recepimento della direttiva, o comunque non la hanno notificata alla Commissione”.

 

La direttiva genera dalla proposta della Commissione europea di cui al COM(2011) 593 del 29 settembre 2011.


 

 



[1]     Il disegno di legge europea 2018 (A.S. 822) è stato presentato al Senato della Repubblica il 26 settembre 2018, approvato con modificazioni dalla Camera dei deputati il 12 marzo 2019 (A.C. 1432) ed approvato definitivamente dal Senato il 16 aprile 2019 (A.S. 822-B, legge n. 37 del 3 maggio 2019).

[2]     Per maggiori dettagli sui criteri generali di delega (art. 32, legge n. 234/2012), si veda la scheda di lettura relativa all'articolo 1.

[3]     Le informazioni fornite nella relazione illustrativa contengono dati aggiornati al 31 dicembre 2017. Con riguardo alle procedure d’infrazione aperte nei confronti dell’Italia, la relazione presenta altresì un aggiornamento alla data del 25 luglio 2018. Quanto alle direttive europee, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea negli anni 2016 e 2017, da attuare con decreto ministeriale e non ancora attuate, sono forniti dati ulteriori, aggiornati al 31 dicembre 2017.

[4]     Il 17 maggio 2018 la Commissione europea ha aperto la procedura di infrazione 2018/2044, contro l’Italia, per il mancato recepimento della Direttiva 2013/59/EURATOM, il cui termine di recepimento è scaduto il 6 febbraio 2018. La procedura è nella fase di costituzione in mora.

[5]     L’articolo 4 della direttiva (UE) 2017/2455 prevede che gli Stati recepiscano, entro il 31 dicembre 2018, le disposizioni contenute all'articolo 1 ed entro il 31 dicembre 2020 le disposizioni contenute agli articoli 2 e 3. In relazione al mancato recepimento della direttiva entro il termine previsto, la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione contro l'Italia, con messa in mora datata 30 gennaio 2019 (procedura di infrazione 55/2019).

[6]     L’articolo 3 della direttiva (UE) 2018/410 prevede che, in deroga al termine generale di recepimento, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi agli obblighi di pubblicazione e di comunicazione di cui all'articolo 1, punto 14), lettera f), della direttiva concernente l'articolo 10 bis, paragrafo 6, della direttiva 2003/87/CE entro il 31 dicembre 2018. L’articolo 4 della direttiva dispone inoltre che gli Stati membri facciano sì che la loro legislazione nazionale di recepimento dell'articolo 10, dell'articolo 10 bis, paragrafi da 4 a 7, dell'articolo 10bis, paragrafo 8, primo e secondo comma, dell'articolo 10 bis, paragrafi da 12 a 18, dell'articolo 10 quater e dell'articolo 11 bis, paragrafi 8 e 9, della direttiva 2003/87/CE, nonché degli allegati II bis e II ter di tale direttiva, in vigore il 19 marzo 2018, continui ad applicarsi fino al 31 dicembre 2020. L'elenco di cui all'allegato della decisione 2014/746/UE si applica fino al 31 dicembre 2020.

[7]     L’articolo 3 della direttiva (UE) 2018/645 prevede che gli Stati membri operino il recepimento entro il 23 maggio 2020, escluse le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi all'articolo 1, punto 6, in vigore entro il 23 maggio 2021.

[8]     Il termine è stato esteso da due a quattro mesi dall’articolo 29 della legge n. 115 del 2015 (legge europea 2014).

[9]     L'articolo 14 della legge n. 400/1988 ("Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri") contiene la disciplina di riferimento per i decreti legislativi. Questi sono emanati dal Presidente della Repubblica (comma 1) entro il termine fissato dalla legge di delegazione (comma 2). Se la delega legislativa si riferisce ad una pluralità di oggetti distinti suscettibili di separata disciplina, il Governo può esercitarla mediante più atti successivi per uno o più degli oggetti predetti; il Governo informa inoltre periodicamente le Camere sui criteri che segue nell'organizzazione dell'esercizio della delega (comma 3). Si evidenzia la norma di cui al comma 4, secondo il quale "qualora il termine previsto per l'esercizio della delega ecceda i due anni, il Governo è tenuto a richiedere il parere delle Camere sugli schemi dei decreti delegati. Il parere è espresso dalle Commissioni permanenti delle due Camere competenti per materia entro sessanta giorni, indicando specificamente le eventuali disposizioni non ritenute corrispondenti alle direttive della legge di delegazione. Il Governo, nei trenta giorni successivi, esaminato il parere, ritrasmette, con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, i testi alle Commissioni per il parere definitivo che deve essere espresso entro trenta giorni".

[10]   Rubricato “Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri delle Corti internazionali o degli organi delle Comunità europee o di assemblee parlamentari internazionali o di organizzazioni internazionali e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri”.

[11]   Il motivo di rifiuto di cui al n. 2 dell'articolo 3 della decisione quadro riguarda il mancato rispetto del ne bis in idem, se da informazioni in possesso dell'autorità giudiziaria dell'esecuzione risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno Stato membro, a condizione che, nel caso di condanna, "la sanzione sia stata applicata o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro della condanna"

[12]   Sulla giurisprudenza nazionale relativa alle nozioni di "dimora" e "residenza" si rinvia al commento relativo al comma 5 dell'articolo.

[13]   Con riguardo alla lettera p) dell'articolo 18 è opportuno ricordare che la Corte di cassazione (Cass., VI sez, Sentenza 13 giugno 2018, n. 27992) ha escluso che essa sia in contrasto con l'articolo 4 n. 7 della decisione quadro. Ha inoltre precisato che quando la richiesta di consegna riguarda fatti commessi in parte nel territorio dello Stato, il motivo obbligatorio di rifiuto della consegna previsto dalla lettera p) è ravvisabile solo quando sussiste non un potenziale interesse dell'ordinamento interno ad affermare la giurisdizione, ma una situazione oggettiva, dimostrata dalla presenza di indagini sul fatto oggetto del mandato di arresto, sintomatica della effettiva volontà dello Stato di affermare la propria giurisdizione.

[14]   L'articolo 3 della decisione quadro indica i motivi di rifiuto obbligatori.

[15]   La lettera è identica alla lett. a) dell'articolo 18-bis. Il motivo in esame da motivo di rifiuto obbligatorio è diventato motivo di rifiuto facoltativo.

[16]   La lettera è identica alla lett. b) dell'articolo 18-bis. Il motivo in esame da motivo di rifiuto obbligatorio è diventato motivo di rifiuto facoltativo.

[17]   Si veda la lett. c) dell'articolo 18-bis. Il motivo in esame da motivo di rifiuto obbligatorio è diventato motivo di rifiuto facoltativo. La lett. c) prevede che la Corte d'appello può rifiutare la consegna "se il mandato d'arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell'Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno.".

 

[18]   Acronimo dell’inglese Extended Producer Responsibility.

[19]   La direttiva (UE) 2017/2108 ha modificato la direttiva 2009/45/CE, relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri, che ha codificato e ha provveduto alla rifusione della precedente direttiva 98/18/CE relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri, recepita con decreto legislativo 4 febbraio 2000, n. 45.

[20]   Il codice MMSI è un numero di 9 cifre che identifica univocamente l'imbarcazione nelle trasmissioni radio di bordo.

[21]   Secondo le definizioni fornite dalla recependa direttiva con "nave ro-ro da passeggeri" si intende una nave avente dispositivi che consentono di caricare e scaricare veicoli stradali o ferroviari e che trasporta più di dodici passeggeri; mentre con "unità veloce da passeggeri" si intende un'unità, quale definita alla regola 1 del capitolo X della SOLAS 74 (Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare), che trasporti più di dodici passeggeri.

[22]     7 ottobre 2010, 8 marzo 2011, 5 luglio 2011, 26 febbraio 2014.

[23]   In attuazione di tale disposizione è stato emanato il DM 25 giugno 2004, Approvazione della procedura di emergenza per fronteggiare la mancanza di copertura del fabbisogno di gas naturale, in caso di eventi climatici sfavorevoli, denominata “Procedura di emergenza climatica”

[24]   In attuazione di tale disposizione sono stati emanati: il D.M. 26 settembre 2001, “Modalità di determinazione e di erogazione dello stoccaggio strategico, disposizioni per la gestione di eventuali emergenze durante il funzionamento del sistema del gas, e direttive transitorie per assicurare l'avvio della fase di erogazione 2001-2002 degli stoccaggi nazionali di gas” e il D.M. 12 dicembre 2005, Aggiornamento della procedura di emergenza per far fronte alla mancanza di copertura del fabbisogno di gas naturale, in caso di eventi climatici sfavorevoli.

[25]   In attuazione di tale disposizione sono stati emanati il D.M. 29 settembre 2006 (con il quale sono state adottate le misure transitorie a tutela della sicurezza dell'approvvigionamento di gas naturale ai clienti finali con consumi inferiori a 200.000 metri cubi all'anno) e il D.M. 7 gennaio 2009, Disposizioni per la massimizzazione delle importazioni di gas.

[26]   In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.M. 18 ottobre 2013, Termini e condizioni per un servizio di peak shaving, durante il periodo invernale dell'anno termico 2013-2014.

[27]   In attuazione di tale disposizione è stato emanato il D.M. 19 aprile 2013, Piano di azione preventivo e Piano di emergenza per fronteggiare eventi sfavorevoli per il sistema del gas naturale. Il successivo D.M. 13 settembre 2013 ha introdotto la possibilità di ricorrere all'apporto delle infrastrutture di rigassificazione del GNL per far fronte ad eventuali situazioni di emergenza del sistema nazionale del gas naturale. In particolare, tra le misure non di mercato attivabili in caso di emergenza, mediante l'utilizzo di stoccaggi di GNL con funzione di «peak shaving», ossia come sostegno alla capacità di punta massima giornaliera richiesta dal sistema nazionale del gas in condizioni di freddo eccezionali.

[28]   La Strategia energetica nazionale rappresenta lo strumento di indirizzo e programmazione a carattere generale della politica energetica nazionale, adottata dal Governo nel mese di novembre 2017.

[29]   La Convenzione è entrata in vigore il 16 novembre 2017, avendo raggiunto il prescritto numero di ratifiche. Per maggiori dettagli sul suo contenuto, si rinvia al Dossier n. 582 del Servizio studi della Camera dei deputati, XVII Legislatura. Per maggiori dettagli sullo stato delle ratifiche, si rinvia al sito dell'Organizzazione internazionale del lavoro. Per la ratifica della Convenzione da parte italiana, disegni di legge di iniziativa parlamentare sono stati presentati alla Camera dei deputati nella XVII Legislatura (A.C. 3537) e di nuovo nella XVIII (A.C. 941).

[30]   Si rinvia, per maggiori dettagli, al comunicato stampa divulgato dalla Commissione europea in occasione della firma dell'accordo.

[31]   Per maggiori dettagli sulla proposta di direttiva, si rinvia alla nota su atti dell'Unione europea n. 56 del Servizio studi del Senato della Repubblica (XVII Legislatura).

[32]   La Convenzione è entrata in vigore il 16 novembre 2017, avendo raggiunto il prescritto numero di ratifiche. Per maggiori dettagli sul suo contenuto, si rinvia al Dossier n. 582 del Servizio studi della Camera dei deputati, XVII Legislatura. Per maggiori dettagli sullo stato delle ratifiche, si rinvia al sito dell'Organizzazione internazionale del lavoro. Per la ratifica della Convenzione da parte italiana, disegni di legge di iniziativa parlamentare sono stati presentati alla Camera dei deputati nella XVII Legislatura (A.C. 3537) e di nuovo nella XVIII (A.C. 941).

[33]   Si rinvia, per maggiori dettagli, al Comunicato stampa divulgato dalla Commissione europea in occasione della firma dell'accordo.

[34]   Per maggiori dettagli sulla proposta di direttiva, si rinvia alla nota su atti dell'Unione europea n. 56 del Servizio studi del Senato della Repubblica (XVII Legislatura).

[35]   Tale tendenza era già stata rilevata nel dicembre 2012 nella Comunicazione della Commissione europea "Piano d'azione su diritto europeo delle società e governo societario" (COM(2012) 740), alla quale si rinvia per maggiori dettagli.

[36]   L'articolo 2, let. a), della direttiva 2007/36/CE definisce gli investitori istituzionali come enti pensionistici o assicurativi del ramo vita.

[37]   Le tipologie di enti che possono essere qualificati come "gestori di attivi" sono elencate nell'articolo 2, let. f), della direttiva 2007/36/CE. Tra questi si ricordano le imprese di investimento che prestano servizi di gestione del portafoglio agli investitori e le società di gestione.

[38]   Ai sensi dell'articolo 9-bis, par. 3, gli Stati membri hanno la facoltà di stabilire la natura consultiva di tale voto.

[39]   Con l'espressione "parti correlate" si intendono, in generale, tutti i soggetti che sono in grado di esercitare un'influenza su una società che ha la sua sede legale in uno Stato membro e le cui azioni sono ammesse alla negoziazione su un mercato regolamentato situato o operante all’interno di uno Stato membro. 

[40] Direttiva 2009/45/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 maggio 2009relativa alle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri.

[41]    REFIT è il programma sull'adeguatezza e sull'efficacia della regolamentazione dell'Unione europea per maggiori dettagli si rinvia al sito Internet della Commissione europea.

[42]    Direttiva 98/41/CE del Consiglio del 18 giugno 1998 relativa alla registrazione delle persone a bordo delle navi da passeggeri che effettuano viaggi da e verso i porti degli Stati membri della Comunità.

[43]    Direttiva 2010/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, relativa alle formalità di dichiarazione delle navi in arrivo o in partenza da porti degli Stati membri e che abroga la direttiva 2002/6/CE.

[44]   Direttiva 2009/16/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 relativa al controllo da parte dello Stato di approdo.

[45]   Direttiva 1999/35/CE del Consiglio del 29 aprile 1999 relativa a un sistema di visite obbligatorie per l'esercizio in condizioni di sicurezza di traghetti roll-on/roll-off e di unità veloci da passeggeri adibiti a servizi di linea.

[46]   Per maggiori dettagli sulla proposta di direttiva, si rinvia alla Nota su atti dell'Unione europea n. 52 della XVII Legislatura, predisposta dal Servizio studi del Senato. 

[47]   Si ricorda che il par. 1 dell'articolo 155 del TFUE stabilisce che "il dialogo fra le parti sociali a livello dell'Unione può condurre, se queste lo desiderano, a relazioni contrattuali, ivi compresi accordi". Ai sensi del par. 2, tali accordi, qualora concernano i settori elencati nell'art. 153 (tra i quali il miglioramento dell'ambiente di lavoro, "per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori", e in generale le condizioni di lavoro) e sempre che vi sia una "richiesta congiunta delle parti firmatarie, sono attuati "in base ad una decisione del Consiglio su proposta della Commissione". Il Parlamento europeo deve esserne informato.

[48]   Direttiva 2009/13/CE del Consiglio del 16 febbraio 2009 recante attuazione dell’accordo concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) sulla convenzione sul lavoro marittimo del 2006 e modifica della direttiva 1999/63/CE.

[49]   Un marittimo è considerato abbandonato quando l'armatore non ne sostiene il costo del rimpatrio, lo abbia lasciato senza assistenza o mezzi di sostentamento o abbia altrimenti estinto in modo unilaterale il rapporto di lavoro, ad esempio non corrispondendogli salari per un periodo minimo di due mesi.

[50]   Il paragrafo 8 dell'articolo 3 della direttiva 96/71/CE specifica che “per contratti collettivi o arbitrati, dichiarati di applicazione generale, si intendono quelli che devono essere rispettati da tutte le imprese situate nell'ambito di applicazione territoriale e nella categoria professionale o industriale interessate”. In mancanza o - come specificato dalla nuova direttiva in esame - a complemento, il medesimo paragrafo 8 consente agli Stati membri di ricorrere ai contratti collettivi o arbitrati che siano in genere applicabili a tutte le imprese simili nell'ambito di applicazione territoriale e nella categoria professionale o industriale interessati e/o ai contratti collettivi conclusi dalle organizzazioni delle parti sociali più rappresentative sul piano nazionale e che siano applicati in tutto il territorio nazionale.

[51]   Direttiva 2008/104/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa al lavoro tramite agenzia interinale.

[52] Il Toe (in italiano "Tep", tonnellate equivalenti di petrolio) è un'unità di misura energetica pari all’energia termica ottenibile dalla combustione di 1 t di petrolio. Il Mtoe è un suo multiplo, pari a 106 toe, ovvero un milione di tonnellate equivalenti di petrolio. Si veda, per maggiori dettagli, il "Dizionario delle unità scientifiche e tecniche", disponibile sul sito della enciclopedia Treccani.