Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Finanze |
Titolo: | La tassazione in Italia: lo stato dell'arte - Le proposte degli auditi |
Serie: | Documentazione e ricerche Numero: 124/2 |
Data: | 21/06/2021 |
Organi della Camera: | VI Finanze, COMMISSIONE PARLAMENTARE DI VIGILANZA SULL'ANAGRAFE TRIBUTARIA |
Le proposte degli auditi
(aggiornato al 9 giugno 2021)
Servizio Studi
Ufficio per le ricerche nei settori economico e finanziario
Tel. 06 6706-2451 - * - studi1@senato.it - @SR_Studi
Dossier n. 351/2
Servizio Studi
Dipartimento Finanze
Tel. 06 6760-2233 - * - st_finanze@camera.it - @CD_finanze
Documentazione e ricerche n. 124/2
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INDICE
§ Le caratteristiche attuali dell’Irpef
§ Le principali criticità del sistema
§ Base imponibile (allargamento e fenomeni erosivi)
§ I riflessi dello Smart working sulla base imponibile Irpef
§ Struttura dell’imposta, aliquote marginali e flat tax
§ Tax expenditures e bonus economy
§ Invarianza di gettito e ricomposizione del prelievo (tax shift)
La tassazione dei redditi finanziari
La tassazione dei redditi d’impresa
§ Tassazione dei servizi digitali
Accertamento, riscossione, compliance, trasparenza e semplificazione degli adempimenti
Semplificazione e riordino dei testi normativi. Certezza del diritto
Le proposte degli auditi
L’attuale assetto dell’imposta personale sul reddito in Italia è basato su un sistema progressivo ad aliquote crescenti per scaglioni di reddito.
Tale sistema è anzitutto integrato da detrazioni di imposta specifiche per le principali tipologie di contribuenti (dipendenti, pensionati, autonomi) decrescenti al crescere del reddito, che contribuiscono a definire il grado di progressività complessivo del sistema e garantiscono l’esenzione dall’imposta dei redditi più bassi.
Al predetto schema si affianca poi un sistema di detrazioni di imposta per carichi familiari, anch’esse decrescenti al crescere del reddito, che possono essere considerate parte integrante della struttura dell’Irpef, e un ampio ventaglio di detrazioni e deduzioni con diverse finalità che vanno dal ristabilire la capacità contributiva dell’individuo, a sostenere l’effettuazione di spese meritorie, a fornire incentivi a migliorare l’assetto degli immobili esistenti o di tipo settoriale e, in taluni casi, a contrastare l’evasione fiscale. La percentuale di detraibilità e i limiti massimi sono peraltro differenziati tra loro. L’applicazione di queste detrazioni, abbattendo l’imposta lorda, modifica ulteriormente l’aliquota media effettiva dell’imposta.
Dal 2007 il sistema presenta cinque scaglioni di reddito e altrettante aliquote, dal 23 al 43%.
Con riferimento alla base imponibile, da essa sono attualmente escluse alcune fonti di reddito, tra cui in particolare i redditi di natura finanziaria (con l'eccezione dei dividendi derivanti da una partecipazione qualificata detenuta da un titolare di reddito di impresa, inclusi nel regime Irpef), i redditi e le plusvalenze immobiliari (sottoposti a tassazione sostitutiva e al regime opzionale della cd. cedolare secca), anche di natura figurativa (con l’esenzione delle rendite catastali dell’abitazione principale dal 2001). Non sono sottoposti a Irpef ma godono di una tassazione sostitutiva agevolata le persone fisiche esercenti attività professionale o d’impresa al di sotto di specifiche soglie di ricavi (cd. forfetari).
Per ulteriori approfondimenti sulla normativa vigente si rinvia al dossier dei Servizi Studi Senato e Camera La tassazione in Italia: lo stato dell’arte.
In linea generale, nell'indagine è emerso che le principali criticità dell’attuale tassazione personale dei redditi in Italia riguardano:
§ la complessità e scarsa trasparenza delle modalità di calcolo dell'imposta e dei relativi adempimenti;
§ la presenza di aliquote marginali effettive che raggiungono livelli molto elevati creando disincentivi all'offerta di lavoro e che danno alla progressività dell'imposta un andamento irregolare;
§ la complessità del sistema di deduzioni e detrazioni caratterizzate da finalità differenziate, riconosciute a platee variabili di contribuenti e stratificate nel tempo;
§ l'esclusione dalla base imponibile di alcune fonti di reddito e l'applicazione di regimi sostitutivi che rischiano di alterare in modo sproporzionato l'equità orizzontale dell'imposta;
§ la non neutralità fiscale della tassazione d’impresa, in particolare svolta da soggetti teoricamente sottoposti a Irpef (persone fisiche, società di persone, imprese familiari);
§ l'evasione fiscale;
§ lo scarso coordinamento fra le imposte relative a diversi livelli di governo;
§ lo sviluppo, accanto all’Irpef, della funzione sociale dell’INPS (esenzioni contributive, sussidi vari, etc.) e di altri strumenti di intervento sociale.
Da più parti è stata rilevata la necessità di un approccio organico, inserendo la riforma dell’Irpef in seno a una riforma più generale, coordinata con interventi su altri tributi e sul sistema di welfare. È stato osservato come la moltiplicazione di micro?interventi abbia reso il sistema molto complesso e quasi incomprensibile, tale da disincentivare l’obbedienza fiscale e ridurre la capacità di controllo da parte della amministrazione (Bordignon, Corte dei Conti, Rossi, Confindustria, Melis). Una riforma organica potrebbe incontrare meno resistenze di interventi marginali e, nella fase post?pandemica, anche minore resistenza da parte dei cittadini. Inoltre, la sospensione delle regole fiscali europee rende il vincolo di bilancio meno stringente (Bordignon). Nel contesto di una riforma organica, si potrebbe considerare lo spostamento del carico fiscale da una fonte di reddito a un'altra: dal reddito prodotto a quello ereditato o donato, o verso una tassazione degli immobili, principale fonte di finanziamento degli enti locali nei paesi avanzati (Cottarelli, OCSE). Secondo le statistiche ufficiali, in Italia la tassazione sui redditi è più elevata della media europea, mentre quella ordinaria sui consumi e sul patrimonio si attesta su valori inferiori, suggerendo di rimodulare i carichi impositivi aumentandoli su questi ultimi elementi per finanziare una riduzione delle imposte su famiglie e imprese (Assonime). È stato segnalato che per molti anni l'imposizione sul capitale è stata più favorevole rispetto a quella sul lavoro ma ciò ha creato degli squilibri che la comunità internazionale sta considerando di ridurre, riavvicinando il livello di imposizione sul capitale, che potrebbe essere aumentato, e quello sul lavoro, che potrebbe essere ridotto (OCSE).
Alcuni auditi hanno tuttavia suggerito cautela nell’ipotizzare lo spostamento della tassazione dal lavoro alle cose o semplicemente ai consumi, per via del rischio che i benefici derivanti dalla riduzione delle imposte sul reddito, siano compensati dall’incremento delle altre imposte (CISL).
La riforma dovrebbe essere fondata su una chiara definizione degli obiettivi che con tale imposta si vogliono raggiungere e, conseguentemente, dalla scelta di un modello di riferimento (Corte dei Conti).
Per quanto riguarda la scelta degli obiettivi da perseguire con la riforma, nelle relazioni degli auditi è emersa l'opportunità di:
? rendere il prelievo più equo, semplice ed efficiente (Baldini, Cottarelli, Confapi, UIL, CISL, ANCOT, Fiorio, Assogestioni, Assonime, AssoSoftware), garantendo la necessaria elementarità dell’imposta (Tremonti), rafforzando l’equità orizzontale e verticale (Cottarelli, CGIL, Lapet, ANCOT) e omogenizzando il trattamento fiscale dei redditi indipendentemente dalla loro fonte (Arachi);
? ripensare la base imponibile e rivedere il sistema di aliquote, scaglioni e detrazioni; rimodulare le spese fiscali, nel rispetto dei principi di sostenibilità sociale ed ambientale (Organizzazioni sindacali);
? rendere l’imposta meno distorsiva rispetto alle scelte economiche delle persone fisiche (Cottarelli);
? ridurre la pressione fiscale sulle categorie oggi maggiormente penalizzate, anche attraverso una revisione delle aliquote, per garantire maggiore trasparenza, efficienza ed equità del prelievo (Guardia di finanza, ATI, INT, Assosoftware);
? ridurre il cuneo fiscale (Confapi), anche per incrementare in modo significativo il tasso di occupazione di soggetti impegnati nell’attiva ricerca di lavoro (Confesercenti), nonché per finanziare un investimento concreto sulla formazione dei lavoratori (Ordine dei consulenti del lavoro); detassare gli aumenti contrattuali (Organizzazioni sindacali); più in generale, ridurre il carico fiscale sul lavoro (Gentiloni);
? perseguire la valorizzazione del nucleo familiare, il sostegno alla natalità e alla cura dell’infanzia e dell’adolescenza, le persone con disabilità o non autosufficienza, la fonte principale di reddito (UGL) e introdurre un assegno familiare universale, improntato ai principi di equità, universalità, semplificazione e potenziamento del sostegno ai figli (Organizzazioni sindacali);
? costruire un fisco orientato alla crescita (Rossi, Melis, Bankitalia, UPB, Bordignon, Cottarelli, Stevanato, CNA, Confesercenti, CISL, Profeta, Savorana);
? rilanciare i consumi (Confapi) incrementando le quote di deducibilità dei beni strumentali di cui si intende incentivare l'acquisto (CNF);
? far rientrare nel circuito produttivo una quota dei risparmi, anche a sostegno degli investimenti pianificati nel Recovery Plan, prevedendo specifici incentivi per l’investimento in attività produttive (CISL);
? ridurre l’evasione fiscale, anche attraverso l’impegno sul piano internazionale per evitare pratiche elusive (Cottarelli, Organizzazioni sindacali, ANCOT, Assonime, Gentiloni);
? garantire la legalità, l’uguaglianza dei cittadini nel rapporto diritti/doveri con la pubblica amministrazione e la sostenibilità economica e sociale (Organizzazioni sindacali);
? contribuire all’incremento della domanda aggregata, assicurando il gettito necessario all’operatore pubblico per adempiere al suo ruolo (Profeta) e aumentare il reddito netto per le categorie più fragili e colpite negli ultimi decenni, quindi i redditi bassi e medi (CGIL).
In ogni caso, nel formulare una riforma dell’Irpef dovrebbe essere preventivamente e seriamente valutato lo scenario economico e sociale che si presenterà nel paese al termine della pandemia (Tremonti).
Il sostegno alla crescita e la riduzione della pressione fiscale
Diversi contributi hanno sottolineato che la riforma dovrebbe sostenere la crescita della nostra economia, incentivando l’offerta di lavoro e l’attività d’impresa, evitando di aumentare il livello complessivo del prelievo fiscale, già elevato nel confronto internazionale (Bankitalia, Bordignon, CISL). Altri hanno sottolineato anche la necessità di garantire comunque un gettito adeguato, nel rispetto di obiettivi di efficienza, equità, fattibilità (Profeta).
Tale risultato potrebbe essere perseguito riducendo le imposte sui fattori produttivi (Bankitalia, Ufficio parlamentare di bilancio – UPB, Bordignon, Cottarelli). Il progetto di riforma dell'Irpef dovrebbe tendere alla ricerca di un nuovo punto di equilibrio tra pressione fiscale ed equità redistributiva del prelievo, anche in forma integrata con altre fonti di entrata di livello nazionale e locale, riducendo la pressione tributaria e contributiva sul lavoro con l'obiettivo di allinearla alla media UE (Stevanato, CNA, Confesercenti). In tal senso, la riforma fiscale andrebbe coordinata con una riforma contributiva, mediante la riduzione degli oneri contributivi per tutti i lavoratori dipendenti, aumentata in caso di assunzioni a tempo indeterminato, nonché l’esonero per i datori di lavoro dal versamento del contributo Naspi dell’1,61% e del contributo del 2,75% per la disoccupazione agricola sui contratti a tempo indeterminato (Confapi).
Altri auditi sostengono che per affiancare il Piano nazionale di ripresa e resilienza la riforma dovrebbe puntare a una riduzione delle aliquote effettive sui redditi da lavoro, da intendere nell’accezione più ampia (lavoro dipendente, autonomo, d’impresa), senza incremento delle imposte indirette, al fine di non comprimere i consumi, e senza fare ricorso ad imposte patrimoniali fuori contesto che finirebbero per deprimere la ripresa, e tenendo conto degli effetti positivi legati all’introduzione dell’imposta sui servizi digitali di cui si auspica una armonizzazione a livello sovranazionale. (Confcommercio, UGL).
La definizione delle aliquote, della base imponibile, del trattamento fiscale a livello di nucleo familiare, delle agevolazioni e degli adempimenti dovrebbe tenere conto degli effetti che l'imposta può avere sul mercato del lavoro e sugli investimenti (Agenzia Entrate).
È stato rilevato che l’attuale impostazione culturale vedrebbe nell'architettura del prelievo fiscale il canale di redistribuzione del reddito, mentre la spesa pubblica rappresenterebbe il canale principale per sostenere la crescita economica. Tale impostazione avrebbe condotto a risultati deludenti e, pertanto, è stato suggerito di utilizzare la spesa pubblica come strumento principale di redistribuzione e costruire un fisco orientato alla crescita (Rossi, Melis).
Ciò implicherebbe un intervento sull’Ires, per consentire agli investimenti privati di essere il principale canale di innovazione e di crescita, passando alla tassazione degli utili distribuiti spostando nel tempo la tassazione degli utili aziendali (Rossi).
Alcuni auditi hanno obiettato tuttavia che la scelta di orientare l’Irpef alla sola finalità di crescita andrebbe valutata alla luce del dettato costituzionale, ricordando che la progressività del sistema tributario prevista dall’articolo 53 della Carta fondamentale è oggi garantita principalmente dall’imposta personale sul reddito (Pellegrino).
Il ruolo redistributivo
Il sistema fiscale italiano svolge un ruolo redistributivo superiore rispetto alla media degli altri Paesi Ocse, con circa tre quinti della riduzione della disparità di reddito disponibile ascritti ai trasferimenti e due quinti dovuti all’Irpef, rispetto ai tre quarti e un quarto, rispettivamente, nei Paesi Ocse (Ocse).
Diversi auditi hanno sottolineato la necessità di chiarire se l’imposta personale debba svolgere un ruolo rilevante anche nelle politiche di contrasto alla povertà e di sostegno alla famiglia, o se invece sia più opportuno demandare tali compiti ad altri strumenti, quali ad esempio l’assegno unico, che andranno adeguatamente raccordati con l’Irpef. (Bankitalia, Agenzia Entrate, Unione Giudici Tributari-UGT, Baldini, Ordine dei consulenti del lavoro). Idealmente, per valutarne il ruolo redistributivo, l'Irpef andrebbe vista congiuntamente all'insieme delle misure, sia dal lato della spesa sia dal lato dell'imposizione, che costituiscono il sistema imposte-benefici di un paese (Fondo monetario internazionale).
La riforma dell’Irpef rappresenterebbe un'opportunità per intervenire sul versante dell’assistenza (Rossi), ad esempio prevedendo un assegno universale che assorba le detrazioni (anche quella per il coniuge) e gli assegni familiari (Visco, Carpentieri).
Con riferimento all'assegno unico è stato proposto che: venga disegnato in modo da non penalizzare coloro che già oggi ricevono l’assegno al nucleo familiare; sia finanziato equamente da tutte le categorie di potenziali percettori; sia rivolto prevalentemente alle famiglie con minori e, in misura ridotta, a quelle con figli maggiorenni che seguono percorsi di studio o formativi; venga commisurato al reddito dell’intero nucleo familiare, con una componente ridotta universale costante ed una più sostanziale che decresca all’aumentare del reddito; venga potenziato per i nuclei con componenti con disabilità (CISL).
Si chiede inoltre che sia riconosciuto un assegno unico per i figli, così come lo sono ora gli assegni familiari, come un contributo dello Stato alla crescita dei figli sganciato dalla fiscalità, affermando il valore dei figli come bene “comune” fondamentale per il futuro e la crescita del Paese. Si suggerisce anche l’introduzione di una no tax area per il costo di mantenimento di un figlio fino a 18 anni, o a 26 anni se a carico, indipendentemente dal reddito (Associazione nazionale famiglie numerose).
Altri auditi ritengono insufficiente la funzione dell’assegno unico attualmente assegnata dalla legge delega n. 46 del 2021 (AS 1892); si suggerisce di rimandarne l’introduzione, anche al fine di valutare la necessità di questo strumento alla luce della riforma fiscale complessiva, ovvero la revisione di tale strumento nel senso di sostituire tutte le attuali detrazioni per famiglia dall’assegno (Pellegrino). Altri ancora ritengono che la forma dell’assegno unico debba essere quella del credito di imposta (Anti).
In termini generali, è stato osservato che qualsiasi modifica organica dovrebbe essere fondata sulla necessaria, stabile e coerente definizione della base imponibile, che dovrebbe limitare l’opportunità di interventi isolati e scoordinati (Liberati). In questo senso, si sottolinea la necessità di un’imposta "pulita", cioè liberata dalle molte detrazioni, dai bonus, dalle esenzioni, che oggi la rendono opaca e che si ritiene perdano efficacia man mano che si moltiplicano (Carpentieri).
Alcuni auditi hanno sottolineato l’opportunità di allargare le basi imponibili, in quanto un’Irpef più progressiva - anche se incrementasse l’ultima aliquota e tassasse di più i top income - finirebbe per ridursi ad una riorganizzazione interna al mondo dei lavoratori e dei pensionati (CGIL).
E’ stato anche osservato che la capacità contributiva andrebbe valutata come effettiva disponibilità di liquidità superiore al minimo vitale, tenendo conto di eventuali difficoltà, quali, ad esempio: la difficoltà di vendere beni o servizi, di incassare crediti in via spontanea o in via giudiziale, di liquidare attività più o meno avviate, di ricorrere al credito bancario o di ottenere capitale di rischio. Tale impostazione avrebbe effetti anche su coloro che dispongono di liquidità eccessiva, perché potrebbero investirla senza temere il rischio di dover pagare imposte anche su indici di capacità contributiva meramente potenziali o economicamente maturi, ma illiquidi (Versiglioni).
La base imponibile risente in misura significativa dell’incidenza dell’economia sommersa e dell’evasione, che si traduce in una pressione fiscale effettiva troppo elevata per quanti rispettano pienamente le regole (Bankitalia, Bordignon, CISL).
Alle radici dell’evasione ci sono svariati fattori, inclusa la struttura frammentata del sistema economico, che rende difficili i controlli. Rilevano però anche il disegno molto articolato delle imposte, un impianto sanzionatorio poco efficace, le difficoltà per l’amministrazione finanziaria di utilizzare appieno i dati disponibili. (Bankitalia). Dalla Relazione sull’economia non osservata allegata alla NADEF 2020 – che riguarda i contributi sociali e la quasi totalità delle imposte – emerge che nel 2018 il gettito evaso (tax gap) è stimato in 104,6 miliardi (107,8 nel 2017), di cui poco più di 92 derivanti dalle entrate tributarie.
Quanto all’erosione della base imponibile dell’Irpef, essa è stata determinata essenzialmente da tre processi: per l'introduzione di regimi sostitutivi, ossia con la tassazione separata e proporzionale di alcune tipologie di redditi; per la continua introduzione delle cosiddette spese fiscali (tax expenditures), sotto forma di esenzioni, deduzioni e detrazioni; per obsolescenza dei valori tassati, come nel caso del mancato aggiornamento dei valori catastali. Questi fenomeni hanno allontanato il sistema fiscale italiano dal modello teorico dell'imposta progressiva sul reddito complessivo (comprehensive income tax) cui tendevano i fondamentali principi ispiratori - della progressività, dell'equità orizzontale e della personalità dell'imposta - che avevano accompagnato l'introduzione dell'Irpef nel 1973 (Stevanato, Bordignon, UPB). La tendenza all’esclusione dei redditi da capitale finanziario e dei dividendi dall’imposta progressiva è comune ai principali Paesi, in cui prevalgono forme di tassazione sostitutiva. In alcuni di essi, come ad esempio Germania e Francia, l’inclusione nella tassazione personale è opzionale e si consente ai percettori di redditi bassi di applicare le aliquote inferiori dell’imposta personale, generalmente più contenute delle aliquote sostitutive (UPB).
Nel corso dell’indagine è emersa, tra l’altro, la concentrazione del prelievo Irpef su poche categorie di reddito, accompagnata dalla circostanza che, rispetto ai tempi della riforma, si riscontra il sostanziale declino della quota dei redditi da lavoro sul prodotto nazionale (62% nel 1970, 52,2% nel 2020 secondo i dati della Commissione europea). A fronte di questo trend - piuttosto generale, che appare però più marcato se confrontato con quello di altri Paesi dell’Unione Europea - si pone dunque, più che altrove e in termini più cogenti, il problema della “rappresentatività” dell’Irpef come forma di prelievo generale sui redditi (Corte dei Conti; Bordignon). Per una valutazione dell’entità del fenomeno di svuotamento della base imponibile Irpef e di quello, collegato, dell’evasione basta considerare che la base imponibile dichiarata ai fini Irpef risulta compresa tra gli 800 e i 900 miliardi, mentre il reddito nazionale netto, che può essere preso come base di riferimento, si colloca tra i 1.500 e i 1.600 miliardi (Visco).
Per intervenire sulla base imponibile è stato proposto di:
· riavvicinare il concetto di reddito fiscale al reddito in senso economico, circoscrivendo le ipotesi di esenzione o agevolazione, con tassazione in linea tendenziale del reddito effettivo al netto dei costi e delle spese di produzione; (Stevanato, Baldini)
· estendere il principio della tassazione al netto dei costi a tutte le categorie di reddito (UNCAT);
· ridurre e ripensare i regimi di tassazione cedolare e sostitutiva, attraverso meccanismi di esenzione alla base e richiesta di disapplicazione della ritenuta, con possibilità di optare per la tassazione in dichiarazione se più favorevole; introdurre elementi di differenziazione dell’aliquota del prelievo a seconda dell’ammontare dei restanti redditi dell’individuo (Stevanato, Assonime, Ghiselli);
· omogeneizzare le aliquote dei diversi regimi di tassazione sostitutiva (Stevanato, Rossi);
· scorporare dall’Irpef le funzioni di supporto ai lavoratori (ad es. il welfare aziendale), alle famiglie e ai disabili, nonché le esigenze di efficientamento e rinnovamento del patrimonio immobiliare (Fiorio);
· ridurre i contributi sociali e aumentare il prelievo su altre basi imponibili (Baldini);
· elevare le aliquote sostitutive e attribuire ai percettori poveri l’opzione di inserimento in Irpef anche dei redditi finanziari (Lupi).
Con riferimento alla necessità di evitare fenomeni di erosione della base imponibile e disincentivare la detenzione o l'occultamento di beni e altre disponibilità finanziarie in paesi non collaborativi, si propone un prelievo aggiuntivo sulle disponibilità finanziarie detenute presso le giurisdizioni non collaborative inserite nelle liste periodicamente aggiornate dell'Unione europea (Guardia di finanza).
Sempre in ottica di una riforma organica, è stato anche proposto un intervento complessivo che, mantenendo il contesto di progressività per scaglioni e detrazioni, riduca il livello delle aliquote e rimoduli l’andamento delle detrazioni, ampliando la base imponibile e stanziando opportune risorse, anche mediante l’aumento delle aliquote più elevate, per esigenze di gettito, ovvero con l’aumento di altre imposte (Pellegrino).
Tra i fenomeni di erosione della base imponibile, con particolare riferimento ai redditi da lavoro dipendente e pensione (premi di produttività, docenti e ricercatori, impatriati, neo-residenti, redditi di fonte estera dei pensionati) è emerso che, dal punto di vista della coerenza complessiva dell’Irpef, questi regimi agevolativi contribuiscono a complicare il sistema aggiungendo eccezioni, riducono la portata redistributiva dell’Irpef e restano discutibili sul piano dell’equità orizzontale in quanto soggetti con livelli di reddito uguali sono tassati ad aliquote differenti (Dipartimento finanze MEF).
La scelta della tipologia di reddito di riferimento
Nel corso delle audizioni sono emersi diversi concetti di "reddito", fra i quali sarebbe opportuno identificare con chiarezza quello al quale si intende fare riferimento:
- il redditoentrata, che sottopone a tassazione tutte le fonti di reddito, inteso come ammontare massimo di risorse che si possono consumare in un periodo senza ridurre il proprio patrimonio, e quindi anche le plusvalenze maturate in quanto potenzialmente trasformabili in denaro (Agenzia delle entrate); questa condizione garantirebbe la fondamentale equità verticale e orizzontale (Ghiselli);
- il sistema attuale, che si avvicina al modello di reddito-prodotto, che sottopone a tassazione tutti i redditi ottenuti come corrispettivo della partecipazione a un’attività produttiva, ad esclusione dei redditi e delle perdite derivanti da variazioni nel patrimonio, con le dovute esclusioni di alcuni tipologie reddituali;
- il reddito-spesa o reddito consumato, che corrisponde alla differenza tra reddito complessivo e risparmio, in cui le plusvalenze sono tassate solo se si traducono in consumo e che tassa gli individui solo per le risorse che essi sottraggono alla collettività (Melis, UGT, Savorana).
Secondo alcune impostazioni, l’attuale sistema dell’imposizione reddituale si caratterizza quale sistema chiuso, che sottopone a tassazione le sole fattispecie reddituali analiticamente individuate senza corrispondere unicamente ad alcuno dei concetti di reddito sopra menzionati. Non sembra dunque opportuno intervenire sulla nozione di reddito. (Melis)
La scelta del modello d’imposta
Ai fini della definizione della base imponibile, occorre scegliere tra il modello di comprehensive income tax - CIT, che prevede l’inclusione di tutti i redditi nella base imponibile sottoposta a tassazione progressiva (sostanzialmente coincidente con il modello reddito-entrata, Arachi), e il dual income tax – DIT, o modello duale, che prevede l’esclusione dalla base imponibile (soggetta a imposizione progressiva) di alcune tipologie di redditi (finanziari, da locazione, ecc.) sottoposte a imposizione proporzionale.
Attualmente il sistema italiano si colloca sostanzialmente nel modello duale (Bankitalia, Bordignon, Corte dei Conti, Cottarelli), sebbene altri auditi abbiano evidenziato come l’ordinamento italiano sembri invece, ormai da anni, aver imboccato la via di un sistema non "duale" ma "plurale", con una molteplicità di trattamenti fiscali differenziati soggetti ad aliquota proporzionale e tutti diversi tra loro, accanto ad un’imposta speciale progressiva sui redditi di lavoro (soprattutto dipendente) e sulle pensioni (Stevanato).
I modelli differiscono fra loro per il trattamento del reddito derivante dall’impiego del risparmio: tassato in maniera progressiva nell’ambito del modello comprehensive e in modo proporzionale nel modello della dual income tax.
Alcuni auditi ritengono che la coesistenza delle due modalità di imposizione, progressiva e proporzionale (o cedolare), snaturi di fatto il perseguimento dell'equità orizzontale, viste le differenze esistenti fra categorie di redditi (UTG), con una discriminazione qualitativa tra redditi penalizzante per chi svolge attività di lavoro o impresa (UNCAT). In tal senso, è stato proposto di optare per una base imponibile Irpef il più possibile omnicomprensiva (comprehensive income tax), includendo anche i redditi da investimento, mobiliare e immobiliare (Agenzia Entrate).
Secondo altri, tuttavia, la tassazione proporzionale dei redditi delle attività finanziarie, che ha caratterizzato il nostro sistema di tassazione diretta fin dall’introduzione dell’Irpef, è una scelta che va confermata (Assogestioni) in particolare realizzando un modello di tassazione duale che preveda la tassazione proporzionale dei redditi derivanti dall’impiego del risparmio e la tassazione progressiva di tutti gli altri redditi (Arachi, Assonime).
Nell'esprimere una preferenza per il sistema duale, è stata anche proposta un’aliquota unica per tutti i redditi diversi dal lavoro, indipendentemente dalla veste giuridica (Rossi).
Altri contributi hanno suggerito l'eliminazione dei regimi sostitutivi, realizzando un sistema di tassazione progressiva dei redditi da lavoro e da pensione, assumendo come reddito di lavoro anche quello dell’imprenditore individuale nella propria azienda, e di tassazione proporzionale dei redditi derivanti dall’impiego del capitale, intendendo per tale non solo quello finanziario, ma anche quello investito nell’azienda (Assonime). In tal senso, è stato anche evidenziato che l'esistenza di regimi sostitutivi applicabili a diverse tipologie di lavoro pone un problema nel momento in cui diviene più complesso l'inquadramento di alcune tipologie di lavoratori in una categoria, ad esempio dei dipendenti, o in un'altra, ad esempio degli autonomi (OCSE).
Nel corso delle audizioni è stato altresì rilevato che la soluzione da dare al profilo della progressività dell’Irpef dipende sia dal modo in cui la base imponibile è definita, sia dagli obiettivi assegnati all’imposta personale. In particolare, l’adozione di un sistema duale indebolirebbe il carattere implicito del prelievo progressivo come “prezzo differenziale” dei beni e servizi pubblici pagati da contribuenti con differenti livelli di capacità contributiva, in favore di un prelievo in cui il grado di partecipazione al finanziamento della spesa pubblica sarebbe modulato prevalentemente in ragione della tipologia di reddito percepita (Corte dei Conti).
È stato sottolineato che l’aliquota applicata sui redditi che derivano dal possesso di attività finanziarie (di capitale e diversi), è pari al 26%, l’aliquota dell’imposta sulle società è pari al 24%, e la prima aliquota Irpef è il 23%. Inoltre, all’interno dei redditi da capitale, permane una differenziazione di aliquota per gli interessi sui titoli del debito pubblico (12,5 per cento), e un trattamento diverso per i dividendi percepiti da imprenditori persone fisiche, inclusi nella base imponibile Irpef per il 58,14% (Corte dei Conti).
Altri auditi hanno rilevato invece che, laddove si guardi al carico fiscale complessivo di imposizione reddituale e patrimoniale, non sembrerebbe indispensabile armonizzare le aliquote dei regimi sostitutivi e speciali, ciascuno avendo una propria e distinta ratio in funzione del mix tra imposizioni che viene a realizzarsi (Melis).
Si propone di assicurare il passaggio dal reddito lordo al reddito netto, dal reddito netto alla capacità contributiva e dalla capacità contributiva al calcolo dell'imposta (AssoHolding).
Si propone inoltre di optare per il reddito duale per i redditi d'impresa e di lavoro autonomo studiando correttivi di attenuazione di alcune distorsioni ma tenendo conto che il lavoro autonomo (così come quello di impresa) genera redditi variegati i quali se inseriti in un contesto di forfettizzazione anche dei costi rendono più semplice la loro gestione (AssoHolding).
Ulteriori forme con cui è possibile attuare un modello di tassazione duale prevedono:
- l’assoggettamento di tutti i redditi di lavoro, incluso il contributo lavorativo dei titolari di impresa individuale, a un prelievo progressivo, mentre per tutti gli altri redditi, compresi i fitti e i redditi imputati dei fabbricati valutati in base a un catasto riformato, oltre ai redditi da capitale, profitti e plusvalenze inclusi, andrebbe applicata un’aliquota sostitutiva pari a quella base dell’Irpef progressiva, più un prelievo patrimoniale del 2 per mille o poco più da destinare agli enti locali, oppure
- un prelievo progressivo sui soli redditi di lavoro (con un’aliquota massima non superiore al 50%), affiancata da un’imposta personale progressiva sul rendimento figurativo del patrimonio reale e finanziario posseduto (Visco).
Si tratta della soluzione applicata in Olanda per la tassazione dei redditi di capitale, che avrebbe il vantaggio rispetto alla DIT di poter escludere, grazie ad un minimo imponibile modesto, i contribuenti minori che possiedono solo una casa di proprietà di ridotto valore e depositi bancari (che sarebbero invece colpiti dalla DIT), e di inserire nel sistema un meccanismo incentivante in quanto i rendimenti più elevati, che riflettono anche l’assunzione di maggiori rischi, sarebbero agevolati, e quelli inferiori al rendimento ordinario penalizzati. Anche in questo caso una quota del gettito dell’imposta andrebbe devoluta agli enti locali (Visco).
E’ stato osservato che il ritorno alla comprehensive income tax, in conformità ai principi ispiratori della legge delega n. 825/1971, andrebbe attentamente valutato, stante il decorso del tempo e nell’ottica di un sistema tributario “flessibile”, idoneo ad adattarsi alle nuove esigenze imposte dalla concorrenza fiscale e dalla globalizzazione (Melis).
Con riferimento al trattamento di specifiche tipologie di fonti di reddito, è stato suggerito di riunificare le categorie dei redditi di impresa minore e di lavoro autonomo come “redditi di lavoro indipendente”, quindi con un’unica base imponibile, determinata in base al principio misto di cassa/competenza esistente per le imprese minori. Questa unificazione porterebbe a una semplificazione del sistema, unificando due forme di reddito molto simili (Cottarelli).
In alternativa, è stato proposto di ripensare il regime forfettario sostituendolo con un regime generalizzato per le attività effettivamente marginali per le quali gli oneri di adempimento dei regimi ordinari sarebbero sproporzionati rispetto al reddito generato (Corte dei conti, Arachi), ovvero per i soli soggetti privi di organizzazione autonoma, mentre in mancanza di tali presupposti scatterebbe l’imposizione progressiva secondo gli ordinari scaglioni Irpef (Anti). Ancora, è stato suggerito che la soglia del regime forfettario non dovrebbe corrispondere a un limite quantitativo di ricavi bensì a parametri temporali (3 o 5 anni), per agevolare lo sviluppo del reddito da lavoro autonomo nei primi anni di attività, "addolcendo" il passaggio al regime ordinario Irpef (ANASF).
È stato anche suggerito di reintrodurre un prelievo simile all’imposta sul reddito imprenditoriale - IRI (approvata nel 2018 e abolita nel 2019), cioè enucleando nel reddito delle imprese la componente lavoro (da tassare via Irpef) da quella capitale (da tassare via imposta sostitutiva proporzionale) (Corte dei Conti, Confcommercio, ANASF), anche allo scopo di garantire neutralità fiscale nella pianificazione aziendale da parte dell’imprenditore.
Al riguardo è stato osservato che l’obiettivo di garantire la neutralità del prelievo rispetto alla forma giuridica prescelta per l’esercizio dell’attività di impresa sarebbe effettivamente conseguito solo da un regime obbligatorio. Tuttavia, l’ipotesi di un ritorno all’IRI come regime obbligatorio dovrebbe misurarsi con una serie di criticità. Per le imprese in contabilità semplificata il passaggio al regime IRI costituirebbe un aggravio significativo in termini di adempimenti contabili e le priverebbe della possibilità di determinare il reddito secondo il criterio di cassa ai sensi dell’art. 66 del Tuir. Inoltre, il regime sarebbe difficilmente appetibile per le imprese individuali di ridotte dimensioni che possono fruire del regime forfetario che, oltre a una tassazione di favore ai fini dell’Irpef, nonché alla esclusione da Irap e adempimenti Iva, ha previsto l’eliminazione di tutti gli adempimenti contabili a eccezione della mera conservazione dei documenti di acquisto e vendita (Dipartimento finanze MEF).
Di segno opposto la proposta di rafforzare l’attuale regime forfettario, elevando le soglie per il mantenimento del regime, negoziando i coefficienti di redditività ed eliminando alcuni degli attuali vincoli legali, estendendo contestualmente ai forfettari l’obbligo di fatturazione elettronica (Lapet). In termini quantitativi, è stato evidenziato che rispetto all’intera platea delle partite IVA solo il 28,20% ha optato per i regimi di vantaggio o forfetario (ANCOT).
Alcuni stakeholders propongono un meccanismo in base al quale il reddito derivante dall’attività d’impresa verrebbe tassato con aliquota unica al 24% (come l’Ires, cui sono soggette le società di capitali), mentre la remunerazione del professionista o dell’imprenditore verrebbe assoggettata a tassazione progressiva (UPB). All’aliquota al 24% (Casartigiani) potrebbero essere assoggettati i canoni di locazione degli immobili e di affitto dei terreni (come remunerazione di un capitale investito), ogni altra attività finanziaria e i redditi diversi. In tutti i casi, anche nel caso di adozione di un modello duale, i medesimi auditi hanno espresso una preferenza per alcune forme di recupero degli imponibili sottratti alla base imponibile Irpef, anche per evitare effetti distorsivi dell’imposta su efficienza e crescita economica (Bordignon) ovvero per ragioni di equità (Corte dei Conti).
Da alcuni auditi è stato rappresentato che il modello duale di tassazione rappresenta un punto di compromesso da cui difficilmente è possibile tornare indietro (CNEL); al contempo, sarebbe necessario aprire un’approfondita riflessione sull’opportunità di continuare a tassare il reddito da lavoro (dipendente, di impresa familiare e da lavoro professionale) ad aliquote progressive ovvero, cambiando paradigma, valutare se non sia preferibile prevedere una tassazione proporzionale dell’intero reddito complessivo (indipendentemente dalle fonti di produzione) e garantendo progressività attraverso un sistema di deduzioni e detrazioni e l’esenzione del reddito minimo vitale (Confartigianato).
Individuo e famiglia come unità impositiva
Con riferimento all’unità impositiva, l’opzione legislativa contempla l’individuo, come nel modello italiano dell’Irpef, ovvero la famiglia, come avviene in alcune esperienze straniere.
La tassazione su base familiare, che sul piano dell’equità consentirebbe di tenere conto delle economie nel consumo realizzabili tra conviventi, sul piano dell’efficienza accentuerebbe il problema della bassa partecipazione al mercato del lavoro, alzando l’aliquota marginale effettiva del secondo percettore di reddito della famiglia (Bankitalia, Profeta, Dipartimento finanze MEF, Fondo monetario internazionale).
Al riguardo gli auditi hanno rammentato che la risoluzione del Parlamento Europeo su uguaglianza di genere e politiche fiscali del 15 gennaio 2019 ribadisce che la tassazione individuale sia da preferire a qualsiasi alternativa su base familiare per la sua caratteristica di neutralità nei confronti dell’offerta di lavoro del secondo percettore di reddito. Il Parlamento Europeo incentiva gli stati membri che non hanno questo sistema a un passaggio graduale (Profeta).
Si osserva una tendenza generale a considerare quale unità impositiva l'individuo anziché la famiglia nella maggior parte dei paesi avanzati (Fondo monetario internazionale).
Occorre inoltre ricordare che già la sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1976, nel porre fine al cumulo reddituale in capo al marito ed alla conseguente negazione di soggettività passiva d’imposta della moglie, ha sancito definitivamente il carattere individuale del prelievo, affermando che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro personale capacita? contributiva (Liberati, Ordine dei consulenti del lavoro).
Allo stesso tempo, è stato evidenziato che anche la base individuale può creare situazioni distorsive in quanto, a parità di reddito complessivo, penalizza le famiglie monoreddito e quelle con forte differenziale retributivo tra i coniugi, rispetto alle famiglie in cui entrambi i coniugi lavorano o percepiscono redditi simili (Istat, Stevanato, ANASF).
Nel 1983, la Corte costituzionale ha invitato il legislatore a introdurre, alternativamente, o un sistema opzionale, facoltativo, per la tassazione separata (rispetto a quella congiunta), ovvero a ristrutturare gli oneri deducibili e le detrazioni soggettive dall’imposta al fine di evitare sperequazioni tra famiglie monoreddito e plurireddito. La revisione delle detrazioni per i figli a carico, nel senso di un loro deciso incremento affinché possa assumere un significato di corrispondenza con la realtà dei costi sostenuti, sarebbe la conditio sine qua non qualora si volesse optare per il sistema tedesco dello splitting, atteso che la detrazione per il coniuge a carico sarebbe assorbita dal divisore familiare (Ghiselli).
Più in particolare, è stato osservato che il modello di tassazione su base familiare cd. splitting utilizzato, ad esempio, in Germania, con il cumulo dei redditi dei coniugi, la divisione per due dell’importo cumulato e l’applicazione sul totale del reddito dell’aliquota applicabile al risultato della divisione, aumenterebbe, rispetto all’attuale regime di tassazione separata, l’aliquota marginale in caso di entrata nel mondo del lavoro del secondo percettore di reddito, sfavorendone quindi la partecipazione, già scoraggiata dall’esistenza di una detrazione per familiare a carico. Al contrario, è stato proposto di valutare l’introduzione di una minore tassazione, su base temporanea, del secondo percettore di reddito, giustificata peraltro dal fatto che l’elasticità dell’offerta di lavoro di tale percettore risulta solitamente elevata (Cottarelli). In particolare, è stata suggerita una riduzione della tassazione per le donne che rientrano al lavoro dopo la maternità obbligatoria almeno pari al 30% del salario, cioè quanto riceverebbero durante il congedo parentale (Profeta).
D'altra parte, l'introduzione di meccanismi di perequazione nella tassazione dei redditi familiari, attraverso il citato metodo dello splitting, quozienti familiari, o una differenziazione della personal allowance (vale a dire la quota di reddito non imponibile) legata a status e condizioni dei membri della famiglia, consentirebbe di favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro evitando al contempo gli effetti distorsivi della tassazione individuale in ambito familiare (Stevanato, ANASF, Dipartimento finanze MEF). Inoltre, il sistema di tassazione su base familiare dovrebbe essere coordinato con altri strumenti come il reddito di cittadinanza o l’Assegno unico universale la cui legge delega è stata recentemente approvata dal Parlamento (Dipartimento finanze MEF).
È stato anche evidenziato che il passaggio dalla tassazione individuale a quella familiare potrebbe aumentare la complessità nella gestione dell’imposta per le imprese in qualità di sostituti (Confindustria).
È stato comunque osservato che, pur non rappresentando l'unità impositiva, la famiglia gioca comunque un ruolo nell'architettura del prelievo fiscale e, da questo punto di vista, è stato suggerito di sostituire, ai fini impositivi, il concetto di famiglia fiscale (coniuge e familiari a carico, escludendo, ad esempio, qualsiasi pensionato convivente o giovane lavoratore) con conseguente privilegio per redditi di lavoro dipendente rispetto alla componente economica complessiva (impresa e lavoro autonomo), con la famiglia economica che è da considerarsi come il vero centro di consumo e di benessere economico (Confesercenti, Confcommercio). In relazione al corretto inquadramento dei carichi familiari, ad esempio, nell’ottica di una riforma sistematica dell’Irpef e delle agevolazioni per la famiglia, è stato chiesto di dare un giusto peso ai carichi familiari nell’applicazione dell’imposta sul reddito, eventualmente applicando una scala di equivalenza che non penalizzi le famiglie con figli, da utilizzare anche per il calcolo della no tax area (Forum associazioni familiari); è stata inoltre evidenziata la sperequazione dovuta al mancato riconoscimento della detrazione del mantenimento dei figli da parte del coniuge separato che non ha l’affidamento (Casartigiani).
Ancora, è stato proposto di introdurre una no tax area family e scaglioni differenziati, con importi diversi a seconda del contesto familiare del contribuente e, in particolare, del numero dei componenti del suo nucleo (Ordine dei consulenti del lavoro).
La progressività
Da più parti è stato sottolineato che l’Irpef non avrebbe un problema di scarsa progressività nel suo complesso e ciò sarebbe dimostrato dal suo importante contributo alla riduzione dell’indice di concentrazione del reddito (indice di Gini). La principale criticità risiederebbe invece nell'andamento “erratico” delle aliquote marginali, derivante - tra l’altro - dal forte salto di aliquota tra il secondo e il terzo scaglione, dall’andamento decrescente delle detrazioni all’aumento del reddito, che comporta anche la perdita dei trasferimenti (ad esempio, gli assegni familiari), dall’applicazione delle addizionali su tutto il reddito, dalla diversa tassazione di alcune tipologie di reddito e dal bonus di 100 euro (Melis, CIDA).
Nel corso delle audizioni è stato suggerito di eliminare e sostituire il sistema di detrazioni e deduzioni, accentuare l'effetto di progressività (UIL sulla progressività) mediante la modifica delle aliquote marginali e degli scaglioni previsti, lasciando ad altri strumenti il compito di tutelare il nucleo ed il carico familiare, al fine di correggere l'imposta netta e sostenere in modo totale i conviventi, per tutelare l'equità orizzontale (UGT).
Altri auditi, concordando sull'idea che la progressività dovrebbe essere garantita esclusivamente da aliquote e scaglioni, di cui potrebbe essere conseguentemente necessaria una maggiore articolazione, hanno proposto di riconoscere a tutte le famiglie un reddito minimo esente (Ghiselli), variabile in base alla composizione della famiglia, sul modello dell’Irpef spagnola e ragguagliato al reddito minimo di sussistenza, da coordinare con l’introduzione di un assegno unico per i figli (Agenzia Entrate, Anti, INT).
Alcuni contributi non si sono spinti sino a ipotizzare la completa eliminazione del complesso sistema di deduzioni e detrazioni, ma ne hanno auspicato la riduzione a poche eccezioni. Questo intervento potrebbe essere associato a una semplificazione del sistema delle aliquote, riducendo il numero di scaglioni e l’aliquota marginale, prioritariamente per i redditi medio-bassi (Istituto Bruno Leoni-IBL, Confesercenti, anche CISL).
Per salvaguardia delle fasce di reddito più basse è stato proposto di (Stevanato):
? introdurre una vera e propria fascia esente universale, indipendente dal tipo di reddito posseduto, realizzando così la tutela costituzionale del "minimo vitale";
? incrementare l'importo della fascia esente o minimo vitale (personal allowance), oggi sancita in via indiretta solo ai titolari di alcuni redditi, avvicinandola a quella in media prevista da altri Paesi occidentali;
? prevedere minimi esenti anche all’interno dei microcosmi reddituali assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva (sempre che, naturalmente, non si preferisca riassorbire la tassazione di tali redditi all’interno dell’Irpef progressiva).
Per ricalibrare l’equità verticale sulle fasce più basse, è stato suggerito di:
§ eliminare la discontinuità al momento esistente tra i percettori del sostegno minimo al reddito (reddito di cittadinanza), coloro che pur non percependolo ricadono nella no tax area e coloro che ricevono il bonus “100 euro”;
§ omogeneizzare la no tax area per lavoratori dipendenti, pensionati e autonomi, senza ampliarla al di sopra del livello attualmente più elevato (CISL, anche Anti); più in generale, la no tax area (esenzione minimo vitale) dovrebbe essere concessa a tutti senza distinzioni corporative (Melis)
§ ridurre la progressività per i redditi fino a 55.000 euro, accentuandola per le fasce più elevate, in combinato disposto a un’azione antievasione decisa;
§ estendere i benefici fiscali recentemente concessi ai lavoratori dipendenti anche ai pensionati, per evitare che il peso dell’imposta risulti oltremodo sbilanciato a danno di questi ultimi (CISL).
È stato anche evidenziato che la scelta di un modello di riferimento per la determinazione della base imponibile di tipo duale, richiede di valutare il grado di progressività dell'Irpef in relazione all'equità orizzontale connessa all'applicazione di regimi sostitutivi proporzionali su altre tipologie di redditi. In tal senso, è stato suggerito che la riforma dovrebbe ridurre il più possibile il numero di scaglioni e aliquote, contenendo il grado di progressività applicata solo sui redditi da lavoro, e prevedere meccanismi compensativi per recuperare la capacità redistributiva persa con l’esclusione di altri redditi dalla progressività (Rossi).
Per alcuni auditi non sarebbe invece auspicabile modificare significativamente il grado di progressività dell’Irpef, in quanto:
§ il compito principale delle imposte dovrebbe essere quello di raccogliere gettito, non tanto di modificare la distribuzione del reddito e delle opportunità, un obiettivo che dovrebbe essere svolto dalla spesa pubblica, in denaro o servizi;
§ un aumento della progressività potrebbe determinare effetti negativi sugli incentivi a produrre e dichiarare reddito, un rischio da considerare soprattutto in una fase in cui è necessario garantire che il sistema di tax-benefit sia di aiuto alla ripresa economica (Baldini).
Per altro verso, non sarebbe auspicabile neanche un significativo indebolimento della progressività dell’Irpef, sia per le recenti crisi economiche, che hanno aumentato l’area del disagio economico e spinto parti della classe media verso la povertà; sia con riferimento alle conseguenze sulla necessità di reperire gettito per finanziare la spesa pubblica (per potenziare la sanità e per sostenere i redditi delle famiglie e delle imprese in difficoltà), funzione svolta dall’innalzamento del prelievo fiscale specie sui redditi medio-alti (Baldini).
Si segnala complessivamente il progressivo impoverimento della classe media, cioè di quel ceto produttivo composto da professionisti, manager, insegnanti, impiegati, piccoli imprenditori, ecc. che ha rappresentato storicamente il fulcro della democrazia rappresentativa e della crescita inclusiva; tali contribuenti dovrebbero beneficiare di una riduzione della progressività, in quanto oggi pagano il 60,24% di tutta l’Irpef, sopportando la progressività più esasperata del sistema tributario (Ghiselli, CIDA).
L’imposta negativa
In alcuni contributi è stato proposto di introdurre un’imposta negativa analoga all’earned income tax credit del sistema USA, rivolta a soggetti attivi ma titolari di redditi modesti e, quindi, complementare ad altre forme di sostegno per soggetti privi di reddito. Si tratta di un meccanismo attraverso il quale ai cittadini vengono riconosciuti – anche attraverso trasferimenti diretti – tutti i benefici fiscali potenzialmente disponibili ma concretamente non fruiti a causa proprio della scarsa capienza fiscale (Agenzia Entrate, Rossi, IBL, Ghiselli).
L’imposta negativa creerebbe un incentivo al lavoro: al di sotto di un certo livello di reddito, l’imposta cambierebbe segno e diventerebbe un trasferimento. Una delle proposte formulate è stata legata alla trasformazione dell’attuale bonus Irpef attraverso:
§ lo spostamento verso una più bassa fascia di reddito, con estensione agli incapienti, a partire dal primo euro di reddito da lavoro, dipendente o autonomo;
§ l’annullamento dell’imposta negativa quando il debito d’imposta comincia a diventare positivo, per risolvere il problema dell’aumento dell’aliquota marginale effettiva che ora il bonus produce tra 25.000 e 40.000 euro;
§ per i redditi medi, il recupero del bonus con un intervento sulle aliquote e sull’ampiezza degli scaglioni;
§ il disegno del beneficio come una percentuale decrescente del reddito da lavoro, fino ad annullarsi ad un certo livello di reddito (come la prime d’activité francese), eventualmente con una separazione formale dall’imposta sul reddito.
Tale disegno, oltre ad incoraggiare il lavoro poco retribuito, potrebbe avere l’effetto di rendere conveniente l’emersione dall’economia sommersa. Al contempo, si suggerisce di sistematizzare le già vigenti componenti di imposta negativa oggi presenti, rafforzando tale schema per favorire il lavoro (Baldini).
Altri auditi hanno auspicato di introdurre la facoltà di ricevere il bonus, in luogo del vigente obbligo; esso potrebbe venir recuperato in sede di dichiarazione dei redditi (Pellegrino).
Per altro verso, è stato rilevato che nell’ottica di una revisione del prelievo Irpef non appare condivisibile assegnare all’Irpef il ruolo di provvedere all’erogazione di trasferimenti monetari attraverso il recupero delle detrazioni (Liberati, Assonime). L’obiettivo principale delle detrazioni è quello di correggere la capacità contributiva di individui in specifiche situazioni, ed è lecito assumere che la correzione di tale capacità – poiché rivolta a determinare la capacità di contribuire al finanziamento della spesa pubblica – possa avvenire fino a concorrenza dell’imposta, e quindi non procedere oltre l’azzeramento della stessa. Al contrario, i trasferimenti monetari sono in genere erogati per far fronte a specifiche situazioni di bisogno con il compito di integrare le risorse mancanti. In questo senso il rimborso delle detrazioni non fruite si configurerebbe come una forma di spesa fiscale. L’esito di strumenti di questo tipo avrebbe l’effetto di trasformare le no tax areas in subsidy areas, confondendo le funzioni dello strumento tributario e degli strumenti di spesa (Liberati).
In relazione alla base imponibile, alcuni auditi hanno rilevato come storicamente le imprese abbiano assunto personale nella stessa giurisdizione dove hanno una stabile organizzazione ai fini dell’imposta sul reddito. Più di recente, grazie ai processi di digitalizzazione (accelerati dalla pandemia), stiamo assistendo sempre più a casi di separazione tra il paese che impone l’imposta sul reddito del personale ed il paese che impone l’imposta sul reddito delle imprese (soprattutto grandi multinazionali) che assumono per posizioni da remoto, senza nessun vincolo territoriale.
Una delle conseguenze di tale fenomeno è che l’azienda residente non è più sostituto d’imposta (a parte per la ritenuta d’acconto) e il contribuente deve provvedere agli adempimenti fiscali direttamente: la base imponibile Irpef ritenuta relativamente immobile comincia a diventare mobile.
È stato osservato, a tale proposito, che quando la base imponibile diventa mobile, aumentare le aliquote o tenerle alte diventa costoso (rischio di perdere attività economica e base imponibile), soprattutto per un paese come l’Italia che aderisce all’Unione Europea fondata sul principio di libero movimento (e residenza) delle persone (Giorgia Maffini).
Pertanto, una semplificazione del sistema potrebbe diventare un elemento di attrazione (con aliquote medie e marginali non troppo elevate rispetto ai paesi della stessa area economica) specialmente se il pagamento dell’imposta non è più responsabilità della grande impresa ma del singolo lavoratore (Giorgia Maffini).
La combinazione dei vari elementi di definizione della base imponibile e dell’imposta personale, del sistema dei contributi sociali e delle regole di erogazione dei trasferimenti determina il livello e l’andamento delle aliquote medie effettive (incidenza del prelievo sul reddito complessivo) e delle aliquote marginali effettive (prelievo sulle unità di reddito aggiuntivo). Esse rivestono una particolare importanza poiché influiscono sull’offerta di lavoro, sull’evasione e sul lavoro irregolare. In diverse audizioni è stato suggerito che la riforma dovrebbe ridurre le irregolarità nell’andamento delle aliquote marginali, anche per ridurre i disincentivi all’offerta di lavoro.
La tassazione ottimale del reddito richiederebbe, in termini di teoria economica, una forma ad U dell'andamento delle aliquote marginali effettive in relazione all'aumentare del reddito imponibile. Idealmente, infatti, la struttura delle aliquote marginali effettive dovrebbe essere tale da determinare basse aliquote per le fasce di reddito medio, dove si concentrano la maggior parte dei contribuenti e dove, pertanto, gli effetti distorsivi della tassazione sono più inefficienti. Le aliquote marginali dovrebbero salire per le fasce di reddito più alte in modo da supportare la redistribuzione con il minimo livello di distorsione delle scelte individuali data la scarsa numerosità di questi contribuenti. Per quanto riguarda le fasce di reddito più basse, la teoria economica della tassazione prevede idealmente elevate aliquote marginali dovute non già all'elevato prelievo bensì al graduale venir meno delle forme di sostegno previste dal sistema. Per questi contribuenti, in corrispondenza di elevate aliquote marginali il carattere equo del sistema di tassazione sarebbe garantito da basse aliquote medie. A causa delle alte aliquote marginali effettive, tuttavia, i contribuenti delle fasce di reddito più basse potrebbero ritrovarsi nella c.d. "trappola della povertà". Un possibile rimedio può essere rappresentato da specifiche detrazioni per lavoratori a basso reddito. Tali detrazioni, via via più diffuse a livello internazionale, fanno parte di una struttura ottimale della tassazione e consentirebbero di ridurre il costo del lavoro e di creare posti di lavoro per i lavoratori meno qualificati (Fondo monetario internazionale).
Qualora si decidesse di mantenere l’attuale struttura dell’imposta, sarebbe comunque opportuna una riorganizzazione unitaria del sistema di detrazioni e bonus, frutto di interventi successivi non coerenti tra loro, anche alla luce dell’interazione con scaglioni e aliquote legali (Bankitalia, Stevanato, Rossi, CNEL).
E’ stato sottolineato che il sistema (con cinque scaglioni e aliquote marginali) presenta due fondamentali criticità: fino a circa 28.000 euro vi sono differenze tra contribuenti con reddito dello stesso importo, ma di tipologia differente (lavoro dipendente, autonomo, da pensione) (Ancit), mentre col superamento dei 28.000 euro, l’aliquota media cresce molto rapidamente, a causa del salto di ben 11 punti percentuali dell’aliquota marginale tra il secondo e il terzo scaglione e della progressiva decrescita delle detrazioni per redditi da lavoro e pensione (UPB, Pellegrino, Ancit, Anti, CNF).
Per affrontare tali criticità è stato proposto di eliminare l’andamento irregolare delle aliquote marginali effettive dei lavoratori dipendenti e i conseguenti effetti distorsivi, ad esempio, rendendo meno ripido il profilo di riduzione del complesso delle detrazioni da lavoro e del bonus Irpef rispetto al reddito (decalage lineare e soglia di reddito massimo spostata in avanti di 20.000 euro) e riducendo il differenziale di aliquota tra il secondo e il terzo scaglione (UPB, Confindustria, UIL, Confedilizia). La progressività dovrebbe essere rettificata non solo per l’andamento "erratico" delle aliquote ma anche per le percentuali di partenza mentre quella marginale non dovrebbe essere aumentata (AssoHolding).
Soluzioni in parte analoghe prevedono:
- l’eliminazione del cd. scalone per le aliquote intermedie, ovvero l’eliminazione dell’aliquota del 38 per cento (redditi tra i 28.000 e i 55.000 euro), con contestuale estensione a tali redditi dell’attuale misura del 27 per cento (Leone) e, dall’altro lato, con accorpamento delle ultime due aliquote d’imposta (41 e 43 per cento) in una misura intermedia. Tale sistema a tre aliquote dovrebbe essere combinato dalla cd. flat tax incrementale, con tassazione piatta sui redditi incrementali e destinazione del maggior gettito generato da tale misura alla ulteriore riduzione delle tre aliquote standard (Leo, Leone, Lupi); o
- la divisione del terzo scaglione in due distinti scaglioni: il primo, da 28.000 euro a 40.000 euro, con un’aliquota marginale del 32 per cento; il secondo, da 40.000 euro a 55.000 euro, con un’aliquota marginale del 38 per cento. Ciò consentirebbe di evitare che col superamento dei 28.000 euro, l’aliquota marginale salti di ben 11 punti percentuali. Se si procedesse con la spaccatura del terzo scaglione come suggerito, non sembrerebbe quindi necessario un passaggio al modello tedesco di progressività continua (Cottarelli, Confartigianato Casartigiani, CN, anche Profeta);
- il mantenimento dell’attuale regime forfettario (flat tax) sui redditi di lavoro autonomo inglobandolo nel generale meccanismo dell’Irpef. Conservando l’attuale no tax area per ciascuna tipologia di reddito, si dovrebbe creare un primo scaglione nel quale potrebbero confluire i redditi fino ad un certo importo (intorno ai 55.000 euro). Al di sopra del primo scaglione, si applicherebbero le aliquote attualmente previste. Tale intervento è inteso a realizzare un allineamento impositivo all’interno di tutti i redditi da lavoro, consentendo la deduzione dei contributi anche in sede di determinazione del reddito di lavoro autonomo (analogamente a quanto avviene per il lavoro dipendente) e attuando una revisione organica delle c.d. tax expenditures (Leo);
- la conservazione della flat tax già in vigore per le partite IVA con fatturato entro i 65.000 euro, riconoscendo in chiave perequativa un bonus anche ai lavoratori dipendenti e ai pensionati (per i pensionati: anche CGIL), fino ai 55.000 euro di reddito, in misura tale che l’aliquota effettiva di tali soggetti non sia superiore al 15 per cento previsto per gli autonomi (Leo).
Altri stakeholders hanno proposto un disegno organico di riforma, di cui dovrebbero beneficiare soprattutto le famiglie a basso e medio reddito, ipotizzando il passaggio a quattro scaglioni, l’abbassamento dell'aliquota sulla prima fascia di reddito imponibile al 9% (dal 23%), conservando la seconda fascia al 27%, aumentando l'aliquota sulla terza fascia al 41% (dal 38%) e fondendo le ultime due ultime fasce in un'unica fascia per i redditi superiori a 55.000 al 44%.
Il reddito disponibile delle famiglie tra il terzo e il settimo decile di reddito (con redditi tra 20.000-40.000) aumenterebbe di circa il 5,5%, il doppio del beneficio per le famiglie più ricche. Tutte le famiglie pagherebbero tasse più basse, con i gruppi a reddito medio che otterrebbero la più alta riduzione dell’Irpef. Il costo netto di tale proposta è stimato a circa 36 miliardi di euro (2% del PIL) (Confapi).
Sempre con riferimento alla struttura dell’imposta, è stato suggerito di introdurre:
- una no tax area fino a 10.000 euro (Lapet) o fino a 9.000 euro, modulabili in base alle caratteristiche familiari (INT);
- la riduzione a tre scaglioni d’imposta invece dei cinque attuali;
- la suddivisione degli scaglioni principali in sottoscaglioni, ognuno del valore di mille euro, in modo tale che entro ciascuno scaglione vi siano tante aliquote marginali, corrispondenti al rapporto fra la differenza tra l’aliquota marginale applicata all’interno dello scaglione e l’aliquota relativa allo scaglione precedente, e il numero dei sottoscaglioni (Lapet).
A parere di altri auditi, il numero delle aliquote sarebbe un problema secondario, dal momento che oggi l’Irpef presenterebbe di fatto due aliquote marginali effettive (tre se si considera l’aliquota 0 per i redditi bassi): attorno al 25-30% - includendo anche le addizionali locali - fino a 28mila euro, e 40-45% oltre. Se da un lato appare semplice ridurre il gap tra queste due aliquote, dall’altro lato appare utile soprattutto considerare l’ampliamento degli scaglioni più bassi, se si vuole ridurre il carico sulla classe media (Baldini).
La flat tax potrebbe essere una soluzione di estrema trasparenza e semplicità se abbracciasse tutti i redditi su una base imponibile il più possibile ampia e riconducesse gran parte delle deduzioni, detrazioni, crediti e bonus a un solo minimo esente; essa, inoltre, risolverebbe il problema dei redditi d’impresa e societari, se l’aliquota fosse fissata allo stesso livello dell’IRES (Agenzia Entrate, UNCAT).
Una riforma che si pone come obiettivo quello di semplificare il sistema fiscale potrebbe sopprimere l’Imu (o, in alternativa, l’Irap) unificando nell’Irpef tutti i redditi (non solo da lavoro, ma anche da reddito immobiliare o da rendita finanziaria). La nuova imposta potrebbe basarsi su due sole componenti:
§ un’Irpef flat con aliquota unica al 15% (con quota esente a 10.000 euro) con soppressione della maggior parte deduzioni e detrazioni;
§ un’imposta progressiva sui consumi, basata sul tenore di vita (rilevabile anche attraverso il ritiro dei contanti), con aliquote dal 6 al 22%, nella quale sono contabilizzate le spese per tutti i consumi, compresi quelli di beni durevoli (Vegas).
Per altro verso, alcuni auditi hanno espresso perplessità sul mantenimento del regime forfettario per i titolari di partita IVA con ricavi fino a 65.000 euro, in quanto tale regime non si configurerebbe come un’agevolazione a soggetti con attività professionale o di impresa marginale e non strutturata, ma come una vera e propria detassazione che riguarda (potenzialmente) circa il 60 per cento dei lavoratori autonomi e imprenditori individuali, creando iniquità nel sistema, frenando la crescita dimensionale delle imprese e incentivando la sottofatturazione dei ricavi. Il differenziale di carico fiscale con i lavoratori dipendenti, i pensionati e gli altri contribuenti non coinvolti - a parità di reddito - è stato valutato come eccessivamente ampio e crescente con il reddito stesso (è stato rappresentato l'esempio di un lavoratore dipendente con 40.000 euro di reddito che paga circa 5.000 euro di imposte sul reddito in più di un autonomo in regime forfettario; il differenziale passerebbe a circa 10.000 euro in corrispondenza di un imponibile di 60.000 euro). La coesistenza di questi due regimi non appare coerente con i principi di equità orizzontale del prelievo (UPB, Carpentieri). Inoltre, il regime forfettario risulterebbe eccessivamente esteso, soprattutto considerando la differenza di trattamento rispetto alle imprese a regime ordinario, che ricadono nella piena progressività dell’Irpef (CNEL).
Altri auditi che hanno di correggere il regime forfettario rideterminando i limiti di reddito sul quale applicare la tassazione flat a valori congrui rispetto alle eventuali nuove aliquote Irpef e rendendo possibile dedurre a monte alcuni costi – tra cui la formazione professionale – che attualmente richiedono di essere prima concretamente effettuati (Ancit).
Pur considerando il fatto che il regime forfetario sottrae base imponibile alla progressività dell’imposta ed è quindi assai discutibile sul piano dell’equità orizzontale, occorre rilevare che il regime è stato introdotto principalmente al fine di incentivare l’attività imprenditoriale mediante la semplificazione degli adempimenti fiscali, tenendo conto che assorbe anche Irap, Iva e addizionali Irpef. Qualora si volesse salvaguardare la semplificazione degli adempimenti prevista dal regime ma ricondurlo al sistema di dual income tax “imperfetto” vigente in Italia, un disegno coerente dell’imposta dovrebbe suggerire, anche in questo caso, di fissare l’aliquota dell’imposta sostitutiva al livello della prima aliquota dell’Irpef in luogo dell’attuale aliquota pari al 15% (5% per i primi anni di attività). In ogni caso, sarebbe opportuna una revisione dei coefficienti di redditività che non sono stati modificati in seguito all’innalzamento della soglia di ricavi o compensi per l’accesso al regime forfetario (da 25.000 euro a 65.000 euro) e non sono coerenti con la struttura dei costi di imprese di dimensioni meno contenute (Dipartimento finanze MEF).
Secondo alcuni, non è possibile fornire alcuna valutazione aprioristica sull’effettiva convenienza del regime forfetario in considerazione delle percentuali di costi deducibili, dei contributi previdenziali, della perdita di deduzioni e detrazioni, dell’impossibilità di compensare le perdite, dell’indetraibilità dell’IVA (Melis).
È stato, altresì, rilevato che per chi svolge l’attività professionale in forma associata o l’attività d’impresa con una società di persone è negato l’accesso al regime forfetario; tale preclusione si trasforma in un incentivo implicito alla disgregazione delle attività produttive, in un contesto economico nazionale ed internazionale che invece richiederebbe l’introduzione di incentivi per favorire le aggregazioni di imprese individuali e studi professionali, al fine di aumentarne la loro competitività e quella dell’intero sistema produttivo del Paese (Ordine dei consulenti del lavoro).
Al fine di equiparare i soggetti che usufruiscono del regime forfettario alle piccole imprese in contabilità semplificata, alcuni auditi hanno proposto di introdurre, in analogia a quanto avviene per l’Irap, una deduzione forfettaria pari a 18.000 euro in favore dei soggetti con reddito fino a 45.000 euro (Casartigiani).
Sempre in un’ottica di equità orizzontale, si ritiene che dovrebbe essere consentita la tassazione dei redditi di impresa e lavoro autonomo prodotti in forma associata secondo modalità analoghe a quelli prodotti dalle società di capitali, con applicazione di una aliquota flat parificata a quella dell’IRES e successiva “tassazione a saldo” in occasione della distribuzione dei redditi agli associati (CNDCEC).
Altri hanno sottolineato che nel regime forfettario la tassazione ha natura sostitutiva (perché al reddito imponibile si applica un’aliquota del 15%) e presuntiva (perché il calcolo del reddito imponibile avviene applicando ai ricavi e ai compensi un coefficiente di redditività variabile per categoria economica, dall’86% nel settore costruzioni al 40% nel settore della ristorazione e del commercio). Ove si mantenesse l’impianto duale del sistema, si porrebbe un duplice problema: trattandosi di lavoro autonomo in cui è presumibile che l’apporto principale sia quello di lavoro, la coerenza richiederebbe la reintroduzione di questi redditi nel campo della progressività. Qualora invece si volesse procedere alla determinazione del reddito imputabile all’apporto di capitale, da tassare in via sostitutiva, appare necessario valutare l’adeguamento dell’aliquota a quello degli altri redditi da capitale. Il problema potrebbe essere risolto riportando a tassazione progressiva redditi che sono prevalentemente di lavoro o introducendo eccezioni alla tassazione progressiva del lavoro utilizzando una forma di tassazione sostitutiva sui ricavi. Sarebbe comunque opportuno uniformare l’aliquota dei regimi sostitutivi e cedolari a un livello almeno pari a quello del primo scaglione dell’Irpef, ovvero all’aliquota dell’imposta sostitutiva sulle rendite finanziarie, anche per evitare distorsioni sulle scelte individuali rispetto a diverse forme di investimento (UPB, Confindustria).
La flat tax viola la previsione della teoria economica di una forma ad U dell'andamento delle aliquote marginali effettive in relazione all'aumentare del reddito imponibile (si veda sopra tra le indicazioni del FMI) in quanto il carico fiscale ne risulta spostato dai redditi elevati verso quelli medi, con effetti distorsivi maggiori sulle scelte individuali. I paesi che hanno introdotto regimi di flat tax (principalmente i paesi con mercati emergenti dell'Europa orientale e dell'Asia centrale) tendono a controbilanciarne gli effetti redistributivi negativi introducendo esenzioni IVA, che rappresentano modalità inefficienti di redistribuzione. (Fondo monetario internazionale).
Distinzione del reddito derivante dall’impiego del capitale da quello derivante dall’impiego del lavoro
In termini più organici, è stato osservato che la realizzazione di un sistema di tassazione duale richiede di distinguere, nell’ambito del valore aggiunto prodotto da un’attività di impresa, il reddito derivante dall’impiego del capitale da quello derivante dall’impiego del lavoro (Anti, Arachi).
Questa distinzione appare problematica in tutti i casi in cui uno stesso contribuente partecipi ad un’attività d’impresa sia attraverso il proprio impegno personale che con il proprio risparmio, come accade di spesso per i lavoratori autonomi e di norma per gli imprenditori individuali e le società a ristretta base azionaria con soci che partecipano alle attività d’impresa. In questi casi la categorizzazione dei redditi avviene sulla base della forma giuridica delle transazioni, che tuttavia incentiva i contribuenti a manipolare le decisioni aziendali a fini elusivi.
Nel corso dell’indagine è stato evidenziato da alcuni auditi che l'istituto dell'ACE (Allowance for Corporate Equity) potrebbe rappresentare la modalità alternativa per separare il reddito derivante dall’impegno personale da quello derivante dall’impiego del risparmio senza introdurre distorsioni nella classificazione dei redditi.
Nell’ambito di un sistema duale occorrerebbe assicurare che il reddito ACE, che rappresenta il rendimento del capitale investito, fosse assoggettato ad un’imposizione proporzionale con la stessa aliquota applicata sui rendimenti delle attività finanziarie, mentre il reddito residuale (che rappresenta il reddito riconducibile all’impegno diretto dell’imprenditore o del socio oltre ad eventuali rendite o alla compensazione per il rischio) fosse soggetto al prelievo progressivo. Per raggiungere questo obiettivo si ritiene necessario modificare l’attuale tassazione del rendimento ordinario nell’ambito dell’Irpef e coordinare le aliquote Irpef e le aliquote Ires.
Completerebbe tale disegno, per una tassazione proporzionale del reddito di capitale indipendentemente dall’attività economica che lo ha generato, l’estensione del meccanismo ACE anche ai lavoratori autonomi (per ottenere in prospettiva, con l'uniformazione delle aliquote, un superamento della distinzione tra reddito da lavoro autonomo e reddito d'impresa).
Parallelamente occorrerebbe modificare l’attuale modalità di tassazione del reddito ACE prevedendo la sua deducibilità dal reddito d’impresa, nonché e l’applicazione di un’imposta sostitutiva con aliquota pari a quella applicata sulle attività finanziarie.
Al contempo è stato sottolineato da alcuni auditi che la tassazione del reddito delle società di capitali è già oggi coerente con l’approccio duale: infatti il reddito d’impresa che eccede il rendimento ordinario del capitale investito riceve un trattamento differente a seconda della forma giuridica scelta. Il prelievo sull’imprenditore individuale e sul socio di una società di persone dipende dall’aliquota marginale e quindi dal reddito complessivo Irpef. Il socio di una società di capitali si vede sempre applicata un’aliquota più elevata dell’aliquota massima Irpef indipendentemente dal reddito complessivo (Arachi).
Occorrerebbe coordinare le aliquote allo scopo di evitare che siano fittiziamente alterate le remunerazioni dei soci per ridurre il carico fiscale complessivo. In particolare, nelle società a ristretta base azionaria con soci che partecipano all’attività d’impresa l’aliquota complessiva sugli utili distribuiti non dovrebbe essere inferiore a quella applicata sui redditi del socio inseriti nell’imposta personale. Questo risultato si ottiene quando l’aliquota complessiva sugli utili distribuiti è pari alla massima aliquota dell’Irpef.
Partendo dall’aliquota Ires del 24%, le attuali aliquote del 43% per l’Irpef e del 26% per le attività finanziarie appaiono ragionevoli, con un margine di eventuale riduzione dell’Ires di un punto percentuale. Un ulteriore punto di riduzione dell’Ires richiederebbe un aumento dell’aliquota dell’imposta sostitutiva al 27% o una riduzione di un punto dell’aliquota massima Irpef (Arachi).
La separazione tra redditi da lavoro e altri redditi dovrebbe essere accompagnata dalla consistente riduzione dei livelli di evasione da parte di quelle stesse categorie, allo scopo di evitare che il sistema duale si trasformi in un sistema a “doppio vantaggio”. Per certi versi, inoltre, il passaggio ad un sistema duale potrebbe limitare il ruolo dell’Irpef in termini di rappresentatività del prelievo sui redditi, riducendone sia il grado di personalità, sia la capacità redistributiva a causa della ristretta base imponibile di riferimento. Inoltre, dal sistema duale non è prevedibile attendersi una soluzione radicale allo squilibrio che ormai da molti anni si manifesta osservando le aliquote implicite di tassazione; nel nostro Paese, l’onere fiscale a carico del lavoro risulta costantemente superiore a quello sopportato dai consumi e dal capitale. Si auspica dunque un coordinamento tra la revisione dell’Irpef e l’organizzazione di altre forme di prelievo (Corte dei Conti, Confapi).
Il modello tedesco con aliquota continua
In alternativa, si può moltiplicare il numero di scaglioni fino ad averne infiniti (con una funzione matematica continua in grado di indicare l’aliquota media da applicare al reddito imponibile), ma in tal caso occorre far sì che la base imponibile Irpef sia onnicomprensiva. Questa soluzione è già stata adottata in Italia con l’imposta complementare ed è da sempre in funzione in Germania (Rossi, Visco, AssoHolding, Ghiselli). Alcuni auditi hanno espresso un chiaro orientamento favorevole all'utilizzo del modello tedesco come riferimento per la struttura dell'imposta (Corasaniti) o comunque ad una moltiplicazione degli scaglioni, in modo da rendere quasi aderenti le differenti fasce di reddito e far sì che l’aliquota nominale cresca in modo armonioso insieme al reddito, evitando salti improvvisi (ANASF). È stato peraltro segnalato che in tal caso l’aliquota marginale sarebbe opaca e difficile da calcolare (Rossi). D'altra parte, è stato osservato che l'introduzione di un meccanismo di progressività mutuato dal modello tedesco di funzione continua potrebbe comportare una soluzione condivisibile se coniugato anche ad una eliminazione degli effetti derivanti dai carichi familiari, in modo da restituire un'immagine più nitida delle componenti di tax and benefit. In particolare, per quanto attiene alla struttura della curva in presenza di coniuge a carico, appare conveniente valutare un separato intervento di sostegno al nucleo nell’ambito dell’assegno unico, al fine di non alterare la progressività del prelievo e preservare la separazione tra il profilo fiscale e altri elementi di natura prevalentemente assistenziale (Confcommercio).
Secondo alcuni intervenuti il modello tedesco dovrebbe prevedere un’aliquota pari a zero fino a 8.170 euro (in Germania è nulla fino a 9.408 euro), che si sviluppi in modo parallelo all’attuale curva della progressività tedesca, mantenendo 2 punti percentuali di aliquota effettiva in più in corrispondenza di ciascun livello di reddito imponibile. Questa ipotesi presenta un costo di circa 8-10 miliardi. Laddove la scelta sia quella di permanere nell’attuale schema della progressività italiana, con aliquote “lorde” uniche per tutti, ma curve della progressività differenziate per tipologia di contribuente, mediante appositi fattori di correzione “differenziati”, si ritiene prioritario agire sul terzo scaglione di reddito imponibile, suddividendolo in due:
- il primo, da 28.000 a 40.000 euro, con aliquota marginale del 32%;
- il secondo, da 40.000 a 55.000 euro, con aliquota marginale del 38% (CNDCEC).
E’ stata peraltro rilevata la necessità di garantire l’elementarità dell’imposta. In tal senso non si condivide l’ipotesi di sostituire l’attuale curva dell’imposizione personale con l’algoritmo continuo applicato in Germania (e in Israele), in quanto sarebbe difficile da far comprendere alla maggioranza degli italiani (Tremonti).
Di segno contrario l’osservazione che il sistema tedesco e i modelli ad esso ispirati, hanno il grande pregio della “trasparenza”: il contribuente individua immediatamente sia la sua aliquota marginale effettiva sia la sua aliquota media. Ciò è possibile in vari modi: in base all’applicazione di una formula; più semplicemente, immettendo pochi parametri in un’applicazione appositamente dedicata; derivando le aliquote medie direttamente da una tabella molto articolata analoga a quelle che sono attualmente previste per gli assegni familiari. Ciò che rileva per il contribuente è la possibilità di disporre di uno strumento semplice che indichi in modo chiaro e trasparente l’aliquota dell’imposta effettivamente dovuta per ogni livello di reddito.
Con una riforma di questo tipo si potrebbero perseguire tre principali obiettivi: i) migliorare la “percezione” dell’aliquota media; ii) disegnare il prelievo in funzione di pochi e semplici parametri volti a perseguire gli obiettivi redistributivi desiderabili; iii) semplificare la struttura della progressività, abolendo ogni tipo di detrazione e trattamento integrativo, e regolarizzare l’andamento delle aliquote medie, eliminando picchi e discontinuità (Dipartimento finanze MEF).
Regolarizzazione delle aliquote marginali effettive
Per ciò che concerne la regolarizzazione delle aliquote marginali effettive, alcuni auditi hanno tuttavia ritenuto che la progressività continua (modello tedesco) non appare necessaria; si ritiene sufficiente riconsiderare il ruolo delle detrazioni per fonte di reddito e per carichi familiari, recuperando la loro funzione di garantire un’adeguata misurazione della capacità contributiva e la realizzazione del criterio di discriminazione qualitativa del reddito; per il caso del lavoro dipendente, a tale obiettivo si aggiunge l’opportunità di riconoscere in via forfettaria spese di produzione del reddito che non trovano espressione in una contabilità analitica dei costi, come nel caso del lavoro autonomo e del reddito di impresa (Corte dei Conti).
È stato inoltre proposto, nell’ottica di ridisegno delle aliquote, che venga abolito e riattribuito il cd. bonus Irpef, se necessario incrementando la no tax area per i lavoratori dipendenti e rafforzando altri strumenti di integrazione reddito, anche attraverso il re?disegno delle aliquote (Bordignon). Sarebbe inoltre necessario disegnare una struttura di incentivi in grado di avvicinare le donne ed i giovani al mercato del lavoro. Ad esempio, introducendo il genere o l’età come un fattore su cui basare la tassazione (Rossi, UTG).
Per quanto riguarda l’equità orizzontale all’interno del perimetro dei redditi da lavoro, si è suggerito il superamento delle attuali detrazioni decrescenti, differenziate per redditi da lavoro dipendente, da pensione e da lavoro autonomo. La curva della progressività deve essere, il più possibile, unica per tutti i contribuenti titolari di redditi da lavoro. A monte dell’unica curva della progressività, sarebbe però corretto prevedere per i lavoratori dipendenti un meccanismo forfetario che consenta di tenere conto delle spese per la produzione del reddito (che non esistono per i pensionati) visto che tali lavoratori non hanno la possibilità di deduzione analitica dal reddito (come i lavoratori autonomi) (Dipartimento finanze MEF). Per semplificare il sistema sarebbe utile rimpiazzare il bonus dei 100 euro con un beneficio all’incirca equivalente attraverso appropriate modifiche delle aliquote effettive sui redditi da lavoro. Lo stesso trattamento dovrebbe essere previsto per lavoratori dipendenti ed autonomi; se così fosse sarebbe a quel punto ingiustificata, in termini di equità orizzontale, il mantenimento di una flat tax delle partite IVA individuali (Cottarelli, Pellegrino, CNDCEC). Altre proposte suggeriscono di ricondurlo alla struttura dell’Irpef (Pellegrino).
Si potrebbe estendere a pensionati e lavoratori autonomi la detrazione decrescente che si applica ai lavoratori dipendenti, per circoscrivere le differenze nella curva sostanziale della progressività al solo bonus 100 euro, ove spettante (Commercialisti). Altri auditi hanno sottolineato la necessità di rendere le detrazioni fisse anziché decrescenti (Melis, Anti, Assonime).
Con riferimento, in linea generale, all’andamento delle detrazioni, si suggerisce di evitare inclinazioni troppo pronunciate delle medesime agevolazioni, perché si ritiene che influiscano sull’intensità delle aliquote marginali effettive; analogamente, andrebbero evitati gli eccessivi cambi di inclinazione delle detrazioni e i valori di reddito scelti per i cambi di inclinazione dovrebbero coincidere coi limiti superiori degli scaglioni. Prevedere valori differenziati, come avviene oggi per la detrazione per il coniuge, per i figli e per altri familiari a carico contribuirebbe ad aumentare il numero (e non solo l’intensità) delle aliquote marginali effettive (Pellegrino).
Si propone l’elevazione delle soglie reddituali per le quali si è considerati a carico, in quanto l’attuale limite di 4.000 euro appare non più attuale (Pellegrino, Organizzazioni sindacali).
Nell’ultimo decennio il legislatore ha perseguito gli obiettivi di politica economica soprattutto attraverso la leva fiscale, stante la scarsa manovrabilità della spesa pubblica derivante dalle conseguenze delle crisi economico finanziarie di inizio secolo. Il trend è stato confermato e acuito dall’emergenza economico sanitaria. Nonostante i numerosi tentativi di analisi e razionalizzazione del sistema, tal fattori hanno determinato una progressiva espansione delle spese fiscali e di bonus non strettamente di natura tributaria (cd. bonus economy), su cui si sono soffermati in modo specifico gli auditi.
La teoria economica mette in guardia in termini generali rispetto ad un uso eccessivo delle tax expenditures, sebbene alcune tipologie potrebbero essere giustificate per tener conto dei costi di produzione (ad esempio nel caso delle spese di istruzione). Alcune forme di spese fiscali possono creare delle distorsioni, come nel caso delle spese per interessi sui mutui. In ogni caso, l'introduzione o il mantenimento delle spese fiscali va valutato caso per caso anche in relazione agli effetti prodotti (Fondo monetario internazionale).
Diversi auditi hanno manifestato l'essenziale esigenza che le forme di tax expenditures siano razionalizzate (Corte dei Conti, Cottarelli, Pellegrino, INT, ANCOT, Carpentieri, Assonime, ANASF, Lupi, OCSE, ANCE), anche per concentrare le risorse sugli strumenti non solo più efficaci, ma di un’efficacia passibile di valutazione ex post (Confindustria): infatti, una delle condizioni previste dal Next Generation EU per il versamento degli aiuti è dimostrare “il soddisfacente conseguimento dei pertinenti target intermedi e finali” (Agenzia Entrate). Uno sfoltimento significativo delle spese fiscali sarebbe inoltre favorevole alla crescita (Rossi). Tale sfoltimento dovrebbe essere permeato da un’attenta cautela ad oneri caratterizzati da una forte valenza sociale, sanitaria e patrimoniale in quanto diretti sia alla salute della persona sia all’accrescimento o alla salvaguardia del proprio patrimonio personale di natura immobiliare, destinato alla costituzione di una rendita pensionistica o di natura assistenziale, anche al fine di evitare una doppia tassazione (Confcommercio). Si rileva comunque che, al fine di un’efficacia razionalizzazione delle spese fiscali, sarebbe utile distinguere le spese fiscali con finalità di incentivo, le spese fiscali collegate a correzioni di capacità contributiva, le spese fiscali con finalità di sostegno al consumo di beni o servizi ritenuti meritori, e le spese fiscali che sostituiscono interventi di spesa pubblica di carattere sociale (Liberati). Si segnala, tuttavia, che sarebbe illusorio attendersi, nell’immediato, significativi recuperi di gettito dalla riduzione e dal riordino delle spese fiscali (CNEL). Andrebbero comunque salvaguardate le detrazioni e deduzioni legate al welfare contrattuale (previdenza e sanità integrative), e al welfare aziendale, strumenti efficaci di riduzione del cuneo fiscale, che contribuiscono alla sostenibilità dei rispettivi sistemi pubblici (CIDA), nonché quelle su lavoro, pensione, carichi familiari, istruzione, tutela della famiglia (Ghiselli).
L'utilizzo dell'imposizione per finalità extra fiscali di incentivo di attività meritorie andrebbe rafforzata secondo alcuni. (UNCAT)
Si potrebbe ipotizzare una revisione o comunque un riordino delle detrazioni d’imposta e delle deduzioni dal reddito complessivo anche per rendere possibile la totale gestione di tali agevolazioni nella dichiarazione precompilata, semplificando così l'azione di controllo. (Agenzia Entrate, Guardia di finanza).
La riforma potrebbe essere l’occasione per una riduzione e razionalizzazione delle spese fiscali (le detrazioni dall’imposta, escludendo quelle per tipologia di lavoro, il bonus Irpef e quelle per carichi familiari, ammontano a circa 15 miliardi e tra queste prevalgono le detrazioni connesse a politiche di incentivazione delle ristrutturazioni edilizie che costituiscono oltre il 58 per cento del totale, circa 8,7 miliardi di detrazioni potenziali) (UPB, Vegas, Rossi, IBL, Confindustria, Casartigiani, Confcommercio, Anti). In tale ambito occorrerebbe privilegiare la complessiva semplificazione del sistema con una particolare attenzione alla corretta gestione della family area e dei redditi minimi, i cd. incapienti (Confesercenti).
Gli effetti finanziari positivi conseguenti alla eliminazione delle singole agevolazioni sarebbero compensati attraverso una rimodulazione delle aliquote Irpef corrispondenti al primo scaglione di reddito (intervento stimabile in circa 35 miliardi di euro) e per la restante parte attraverso interventi di sostegno mirati (in forma di erogazione diretta del mancato risparmio d’imposta (Confesercenti).
Alcuni auditi hanno proposto di eliminare le vigenti detrazioni e/o deduzioni d’imposta, che dovrebbero essere sostituite da un credito d’imposta spendibile già all’atto del pagamento. Si potrebbe dunque ridurre la misura del 19% per la maggioranza delle spese detraibili, sostituendola con un credito d’imposta nella misura del 10%, a condizione che le spese siano sostenute con modalità tracciabili. Si propone inoltre che alcune detrazioni e/o deduzioni varino in base all’aumentare del reddito dichiarato. In subordine viene proposto di eliminare alcune detrazioni e di rivedere le franchigie previste per spese sanitarie, veterinarie, e affini, le quali potrebbero subire delle riduzioni all’aumentare del reddito (Ancit).
È stato anche proposto di trasformare le spese familiari da detrazioni dall’imposta a deduzioni dal reddito imponibile dei costi effettivamente sostenuti dalla famiglia, individuando alcune tipologie di spesa meritevoli di essere interamente deducibili dal reddito complessivo del contribuente (Ordine dei consulenti del lavoro).
Ai fini della revisione, si potrebbero distinguere le agevolazioni in base alla loro natura. Da un lato, le misure rivolte a procurare un trattamento tributario differenziato per specifiche categorie di reddito. Dall’altro, le spese fiscali la cui fruizione non dipende dalla tipologia di reddito percepito; da un diverso punto di vista, la revisione delle spese fiscali potrebbe essere effettuata alla luce della convenienza e opportunità di mantenere in vita agevolazioni trasversali alle singole tipologie di reddito. In questo contesto, a parere degli auditi, si collocano ormai numerose misure di dubbia giustificazione sotto il profilo dell’equità, con deboli giustificazioni dal lato della possibilità che a tali trattamenti faccia riscontro l’emersione di base imponibile che altrimenti rimarrebbe occulta, in particolare nella misura in cui la fruizione di alcune di esse sia limitata ad un esiguo numero di contribuenti. (Corte dei Conti).
Con riferimento alle agevolazioni fiscali, è stata inoltre evidenziata la necessità che gli incentivi introdotti per sostenere l’economia o per far emergere la base imponibile siano di carattere temporaneo (UPB, Visco, Pellegrino). In particolare, riguardo al cd. superbonus, si è sottolineato come esso sia un intervento destinato a creare esternalità positive per la collettività (sotto forma di riqualificazione complessiva del patrimonio edilizio) e specifici vantaggi per i privati (più elevato valore dell’immobile). La misura dell’incentivo dovrebbe essere tale da sussidiare l’esternalità positiva e non, in via strutturale, il vantaggio del soggetto privato (UPB, Baldini).
Alcuni auditi hanno proposto l’istituzione di un organismo tecnico per predisporre un taglio delle tax expenditures, che porti ad una predeterminata riduzione (potrebbe essere del 20 per cento) delle attuali agevolazioni sulla base di specifici criteri direttivi (Leo, Leone).
Alcuni auditi hanno ricordato come l’originario intento del legislatore, con riferimento alle detrazioni Irpef al 19 per cento, fosse quello di ancorare tale soglia alla prima aliquota (anche Pellegrino), la quale è stata successivamente elevata senza che siano state corrispondentemente innalzate le percentuali dell’agevolazione. Il sistema delle detrazioni ha operato dunque nel tempo un drenaggio fiscale. Si chiede dunque che la percentuale di detrazione sia coerentemente adeguata, ovvero che le detrazioni siano trasformate in deduzioni e, dunque, siano scorporate dall’imponibile (in luogo dell’imposta). Tale trasformazione potrebbe essere accompagnata da una limitazione dell’eventuale deduzione, per i redditi alti o molto alti (Casartigiani).
E’ stato suggerito di integrare l’articolo 53 della Costituzione, prevedendo che il sistema tributario sia informato non solo a “criteri di progressività (equità verticale), ma anche “di generalità e uniformità del prelievo per contribuenti con la stessa capacità contributiva” (equità orizzontale), in modo da rendere chiaro che eventuali abbattimenti, detrazioni, ecc. si giustificano se servono ad integrare la progressività o a promuovere la parità di trattamento dei contribuenti, e che gli incentivi fiscali si possono utilizzare solo per finalità ben definite, meritevoli, e possibilmente temporanee (Visco). La scelta relativa alla definizione della base imponibile, in particolare, è il fattore da cui dipende il grado di equità orizzontale del prelievo (Corte dei Conti).
Va osservato che la maggior parte di queste spese fiscali va a beneficio di contribuenti con redditi medi o elevati, e che spesso riguardano pochi contribuenti e perdite di gettito ridotte, per cui la loro eliminazione sarebbe indolore. Una possibile soluzione del problema, oltre alla razionalizzazione dell’intero comparto, potrebbe essere quella di stabilire un limite massimo per l’utilizzazione delle detrazioni, lasciando al contribuente la scelta di quali privilegiare e garantendo un consistente recupero di gettito per l’erario (Visco).
Il processo di semplificazione del sistema di deduzioni e detrazioni potrebbe essere agevolato dalla decisione di destinare il ricavato interamente alla riduzione delle aliquote Irpef (Basilavecchia), soprattutto per i redditi medio bassi, con l’obiettivo di stabilire quali detrazioni potrebbero essere mantenute dopo l’iniziale tabula rasa. Dovrebbero essere mantenute solo le agevolazioni principali considerate indispensabili (Cottarelli, UGT, ANCOT).
Tenendo conto della funzione di equità verticale, svolta prevalentemente dal profilo delle aliquote, e di quella di equità orizzontale, svolta prevalentemente dalle detrazioni-assegni per carichi familiari e situazioni personali, la possibilità di dedurre integralmente determinate spese personali, al fine di esentare soglie di reddito minimo, permetterebbe di superare eventuali dubbi e preferenze applicative, stante il recupero fiscale a tutto vantaggio delle fasce più deboli, senza intaccare la progressività delle aliquote marginali rispetto ai redditi maggiori, che restano fisse ed applicate in assenza dei vantaggi previsti per legge. Ciò permetterebbe di superare anche la questione legata all'incapienza fiscale. (UGT).
Altri auditi hanno proposto di consentire la deduzione di tutti i costi di qualsiasi natura ed importo attraverso l’emissione di scontrini “parlanti” attraverso la tessera sanitaria, per le persone fisiche; di uniformare a tale criterio anche la tassazione di lavoro autonomo e di impresa; di consentire l’utilizzo dei crediti di imposta, in caso di incapienza, nelle dichiarazioni dei redditi dell’anno successivo (Ati). Altri auditi propongono di eliminare le detrazioni minori e di trasformare alcune detrazioni in crediti Irpef, usufruibili dunque anche in caso di incapienza. Nell’ambito di una semplificazione e riordino delle detrazioni esistenti, si propone di riorganizzare alcune detrazioni esistenti sotto l’unica denominazione di “welfare familiare”, con un adeguato coordinamento con le spese con finalità similari (Profeta).
Nella revisione delle tax expenditures è stato chiesto un confronto con le parti sociali (UGL, CGIL). Si ritiene che un assegno universale per i minori non possa derivare dall’unificazione delle detrazioni con l’assegno familiare, ma che debba presentare elementi innovativi, sia sotto il profilo normativo che economico. Si ritiene necessario garantire un sistema di agevolazioni fiscali per le famiglie volto a favorire l’innovazione tecnologica e facilitare il dialogo del cittadino con la Pubblica Amministrazione, anche diffondendo un unico sistema di firma elettronica certificato anche con la Carta di Identità elettronica (UGL).
In senso parzialmente opposto, di suggerisce di riconoscere a tutti i contribuenti quelle deduzioni e detrazioni per gli oneri che hanno carattere inevitabile e necessitato indipendentemente dal livello di reddito (Melis).
Alla luce di ciò non sembrerebbe possibile tagliare le agevolazioni con criteri trasversali, quali ad esempio il numero esiguo di contribuenti interessati – si pensi alle dimore storiche – o perché presentino elementi di regressività – si pensi alle agevolazioni ai lavori di ristrutturazione. Né, tantomeno, ciò dovrebbe avvenire in ragione dell’entità del reddito del contribuente, poiché, come più volte illustrato, tutti i contribuenti hanno diritto ad un’imposta personale, non potendosi, pertanto, legittimare la prassi di detrazioni decrescenti al crescere del reddito fino addirittura al loro azzeramento oltre un certo reddito (Melis).
Si propone di razionalizzare la spesa assistenziale, attraverso: 1) l’anagrafe dell'assistenza, comprensiva di tutti i sussidi, sgravi e agevolazioni di ciascun percettore e delle relative famiglie, con l'obiettivo d'indirizzare meglio la spesa, dando priorità ai casi più critici 2) nel medio termine, maggiori controlli fiscali e una “prova dei mezzi” (come nel sistema tedesco) comprensiva non solo del reddito dichiarato ma anche dei motivi per i quali si è in quella situazione. I provvedimenti di sostegno potrebbero perciò essere finalizzati allo sviluppo o al recupero della capacità lavorativa oppure all'attribuzione di contributi figurativi equiparati a quelli effettivi e utilizzabili in modo omogeneo al momento del pensionamento (CIDA).
Il processo di riforma dell’Irpef non dovrebbe prescindere dal riordino del fisco locale (Organizzazioni sindacali) e degli istituti a essa collegati (come i trasferimenti sociali e le addizionali regionali e locali), che andrebbe realizzato in maniera organica e coordinata (Bankitalia, Stevanato, Rossi, CNEL).
Per le addizionali si suggerisce una drastica semplificazione della loro struttura e la possibilità per le regioni e i comuni di fissare un’aliquota di addizionale costante per tutti i livelli di reddito all’interno di un range prefissato a livello centrale (UPB, Casartigiani, Ghiselli). Alcuni auditi hanno proposto l’eliminazione dell’addizionale comunale, da sostituire con una sovraimposta, ritenuta meno distorsiva (Bordignon, Dipartimento finanze MEF). La scelta di introdurre sovraimposte comunali e regionali all’Irpef rispetto a quella di modificare le addizionali in mere compartecipazioni comunali e regionali al gettito dell’Irpef appare più coerente con le istanze del federalismo fiscale, in quanto non si tradurrebbe in una passiva attribuzione di una quota del gettito dell’Irpef, ma potrebbe essere accompagnata da un intervento diretto dell’ente territoriale nella determinazione del tributo. Il ricorso a sovraimposte comunali e regionali all’Irpef ha, inoltre, il pregio di garantire la neutralità dell’imposizione rispetto alla struttura di progressività dell’imposta erariale che negli anni è stata minata dalle politiche degli enti territoriali, determinando differenziazioni difficilmente giustificabili in termini di equità verticale e orizzontale. Questa soluzione consentirebbe inoltre di semplificare gli adempimenti per i contribuenti. Tra le criticità va segnalata la necessità di individuare delle fonti alternative di finanziamento del servizio sanitario nazionale, attualmente finanziato in gran parte anche dal gettito delle addizionali (Dipartimento finanze MEF).
Più in generale, nell’ipotesi di coordinamento con la finanza e le entrate locali, si auspica da un lato di evitare doppie imposizioni; dall’altro lato, occorre tenere conto delle esigenze di finanziamento dei Comuni, valutando il positivo effetto che la tassazione immobiliare potrebbe esercitare nel rafforzamento di un sistema di separazione delle fonti tra governo centrale e locale, limitando le interferenze che derivano dalle ricadute di decisioni centrali su specifici tributi (Corte dei Conti).
È stato anche suggerito di trasformare l’Imu in un’imposta sui servizi per il finanziamento degli enti locali da affiancare alla Tari. L’imposta dovrebbe gravare sui soggetti che hanno la disponibilità dell’immobile (proprietari o affittuari) in modo da ridurre proporzionalmente i trasferimenti agli enti locali, che si finanzierebbero in parte con le entrate dagli immobili. Si stabilirebbe così un nesso tra chi fruisce dei servizi locali e chi ne sostiene il costo (Assonime).
Alcuni auditi hanno rilevato come dall’attuazione del federalismo fiscale sia scaturito un continuo e sproporzionato aumento di pressione fiscale locale, senza nessuna sostanziale riduzione di quella erariale che avrebbe dovuto bilanciare tale incremento (Confesercenti).
Occorrerebbe evitare che l’autonomia comunale possa esercitarsi sul grado di progressività del tributo determinando differenziazioni territoriali difficilmente giustificabili in termini di equità verticale e orizzontale. Pertanto sarebbe opportuno sostituire l’attuale sistema basato su un’addizionale con una sovraimposta, limitando l’autonomia comunale alla sola facoltà di fissare l’aliquota (Arachi).
Inoltre è stato rilevato che tale sistema è caratterizzato ancora oggi da una salda ed eccessiva direzione a livello centrale delle entrate degli enti territoriali (Basilavecchia).
L’entità delle risorse destinate alla riforma appaiono insufficienti a finanziare gli obiettivi indicati nei documenti ufficiali (Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2020 e proposta di Piano nazionale di ripresa e resilienza trasmessa al Parlamento il 15 gennaio 2020) (UPB, Bankitalia, Tremonti). Si suggerisce di destinare al ridisegno dell’Irpef risorse derivanti:
§ da una riallocazione del carico fiscale all’interno dell’Irpef, attraverso un aumento del prelievo sui redditi più elevati per compensare le perdite di gettito conseguenti alla riduzione del prelievo sui redditi bassi e medio-bassi;
§ da un ripensamento dell’entità del prelievo sui redditi fuoriusciti nel tempo dalla base imponibile dell’Irpef riconducendoli nell’alveo della tassazione progressiva (così anche Pellegrino);
§ da una revisione del catasto, dallo sfoltimento delle spese fiscali e da un efficace contrasto dell’evasione fiscale (UPB, Bordignon, Rossi, Cottarelli, UIL)
Altri auditi hanno sottolineato l’opportunità di aprire un ampio dibattito su specifiche forme di imposta, ad esempio su eredità, consumi, multinazionali e attività inquinanti (Baldini).
Per altro verso, alcuni auditi hanno rilevato come le recenti scelte di finanza pubblica impongano una riforma a costo zero o quasi, segnalando che quanto più la riforma sarà complessiva tanto più si potrà autofinanziare (Rossi).
Una ricomposizione del prelievo dai redditi da lavoro ai consumi potrebbe essere ottenuta, oltre che con un rafforzamento degli strumenti di contrasto all’evasione dell’IVA, riducendo l’erosione dell’imposta. Un intervento sul policy gap, a fronte di possibili vantaggi sul piano dell’efficienza, può comportare effetti distributivi avversi, visto il profilo regressivo dell’IVA rispetto al reddito. Questi effetti potrebbero essere contenuti rivedendo appropriatamente la struttura delle aliquote e l’allocazione di beni e servizi tra le stesse. Nel valutare la portata di tali effetti, va comunque considerato anche il potenziamento del sistema dei trasferimenti sociali a favore delle famiglie appartenenti ai decili di reddito più bassi, avviato in anni recenti prima con il Reddito di inclusione e poi con il Reddito di cittadinanza. (Bankitalia)
Una riduzione del carico fiscale sul lavoro potrebbe essere attuata con un aumento dell’imposizione sulla ricchezza. In tale ambito, si potrebbero rivedere le attuali imposte reali sulla ricchezza immobiliare e finanziaria. Dati i vincoli di bilancio, un maggiore prelievo sul possesso di immobili per finanziare un minor carico sui fattori produttivi potrebbe rappresentare un’opzione di riforma favorevole alla crescita. Alcune recenti simulazioni mostrano come sia possibile disegnare interventi congiunti di riduzione delle imposte sul lavoro e di revisione della tassazione immobiliare che nel loro insieme consentano di ottenere contestualmente un impatto economico positivo ed effetti redistributivi non avversi (Bankitalia, Rossi, Lapet, Assonime).
Alcuni auditi, pur condividendo tale approccio, hanno tuttavia osservato come in Italia l’aliquota ordinaria IVA sia già molto elevata e il tax gap IVA ancora troppo pronunciato. Si ritiene al riguardo che l’applicazione consistente di un diverso mix fiscale non sia sufficientemente capace di sostenere la crescita senza penalizzare troppo l’equità; viene ritenuto prioritario ridurre prima in modo considerevole la propensione all’evasione dei lavoratori autonomi, in particolare riducendo in modo drastico il limite all’utilizzo del contante e promuovendo contemporaneamente l’utilizzo dei pagamenti elettronici (Pellegrino).
La riforma andrebbe accompagnati da una serie di interventi non strettamente legati all’Irpef e, in particolare, dalla revisione e dal rafforzamento delle imposte sul patrimonio, non mediante un’imposta patrimoniale personale (poco praticabile, v. anche Corte dei Conti), bensì tramite la revisione delle imposte patrimoniali immobiliari e innanzitutto la revisione del catasto (v. anche Casartigiani, Assonime), con ripristino del prelievo fiscale sulla prima casa (anche Pellegrino, Carpentieri, Assonime).
Analogamente, andrebbero riviste le imposte sul trasferimento della proprietà, per armonizzarle e rafforzare le imposte di successione. Per analogia andrebbe razionalizzato il trattamento delle società tassate in sede Irpef, assoggettando a tale imposta solo i redditi da lavoro (Corte dei Conti).
E’ stato osservato come secondo l’Fmi e l’Ocse la disuguaglianza danneggia la crescita economica, così come la danneggia la trasmissione inter-generazionale della disuguaglianza associata a un’alta e sperequata differenziazione dei redditi. L’imposta sulle successioni e donazioni potrebbe costituire uno degli strumenti volti a tassare la ricchezza che si trasferisce e perpetua in colui che la riceve senza alcun merito proprio, se non quello di essere un discendente o un donatario di colui che l’ha creata. Essa dovrebbe essere rivista, perché l’attuale configurazione – sia per il livello troppo basso delle aliquote (4%,6% e 8%), sia per la dimensione eccessiva della franchigia personale (pari a 1 milione di euro) – non garantisce una tassazione equa e proporzionata al livello della ricchezza trasferita. (Ghiselli).
Con riferimento alle altre forme di prelievo si propone una rimodulazione dell’IVA e la riduzione (o detassazione, CGIL) del prelievo sugli incrementi contrattuali (UIL).
Sono assoggettate a IRPEF anche le cd. rendite finanziarie, che nella disciplina del TUIR sono riconducibili alle due categorie dei redditi di capitale (ovvero che derivano dall’investimento in capitali: dividendi, interessi e altri proventi analoghi) e dei redditi diversi (plusvalenze e minusvalenze derivanti da transazioni su azioni, su titoli rappresentativi di capitale d’impresa e altri prodotti).
La teoria economica è concorde nel ritenere che i rendimenti del capitale superiori a un livello "normale" vadano tassati. Per quanto riguarda i rendimenti "normali", invece, nei decenni precedenti si riteneva che dovessero essere esentati al fine di evitare effetti distorsivi sulle scelte economiche di investimento e risparmio. Secondo alcuni economisti tuttavia la tassazione dei rendimenti "normali" ha il merito di condurre a maggiore equità data la concentrazione del capitale nei contribuenti appartenenti alle fasce di reddito più alte. Le difficoltà legate alla considerazione dei redditi da capitale nell'ambito dei redditi individuali complessivi ha portato la gran parte dei paesi ad adottare sistemi di Dual Income Tax, con aliquote in genere basse sui redditi da capitale (Fondo monetario internazionale).
In linea generale, l’aliquota dell’imposizione su tali redditi è unica (flat) ed è pari al 26% (al 12,5% in caso di titoli di Stato, risparmio postale e project bond). Secondo il tipo di reddito oggetto di imposizione, si applica la ritenuta a titolo di imposta o l’imposta sostitutiva.
Per l’imposta di bollo, l’applicazione in somma fissa per alcune attività e proporzionale per altre può comportare distorsioni nelle scelte di investimento. L’applicazione del bollo sulle attività finanziarie implica un prelievo fiscale complessivo sul reddito che aumenta al diminuire dei rendimenti: ai tassi attuali, anche senza considerare l’inflazione, può arrivare a livelli superiori all’aliquota marginale dell’Irpef del 43 per cento.
Per realizzare compiutamente il modello di tassazione duale, diversi auditi hanno sottolineato l'opportunità di assoggettare i redditi derivanti da investimenti finanziari a un’unica aliquota, allineata a quella prevista per i redditi d’impresa. Ulteriori proposte di riforma suggeriscono di eliminare la distinzione dei redditi finanziari nelle due categorie di capitale e redditi diversi, uniformare il prelievo sui proventi realizzati e sui risultati maturati, coordinare i diversi livelli di prelievo sugli investimenti nel capitale di rischio (redditi della società, redditi e patrimonio del socio) per evitare effetti negativi sul costo del capitale (Bankitalia, Leo, Visco, Cottarelli, Confindustria, Corasaniti).
Altri hanno proposto che gli incrementi del valore patrimoniale dei beni, ossia le plusvalenze sia di tipo finanziario che immobiliare, oggi comprese tra i redditi diversi nel Tuir e spesso non imponibili, dovrebbero essere tassate al momento del realizzo al netto delle perdite allo stesso modo realizzate, con un’imposta separata di tipo progressivo in funzione diretta dell’ammontare netto conseguito (Ghiselli).
Rispetto all'impostazione del prelievo è stata sottolineata la semplicità amministrativa delle imposte sui redditi finanziari, basato prevalentemente su ritenute alla fonte che risultano meno onerose da gestire e controllare rispetto a un sistema dichiarativo. Una ulteriore semplificazione delle regole fiscali sugli investimenti potrebbe essere attuata eliminando la distinzione tra redditi di capitale (interessi e dividendi) e plusvalenze (redditi diversi), puntando alla loro unificazione. Tale distinzione avrebbe comportato effetti distorsivi, dovuti essenzialmente al divieto di compensare i redditi di capitale con le minusvalenze o le perdite conseguite, così come comportamenti elusivi, finalizzati essenzialmente a riclassificare i redditi nell’una o nell’altra categoria a seconda della convenienza fiscale. Del tutto peculiare è la situazione dei proventi derivanti dalla partecipazione a fondi comuni di investimento che, se positivi, sono qualificati come redditi di capitale e, se negativi, costituiscono delle minusvalenze. Ciò comporta, in pratica, che un investitore che detenga esclusivamente quote di fondi comuni non possa mai compensare eventuali perdite realizzate con i relativi proventi. Per superare tali criticità, nel corso delle audizioni è stato proposto di creare un'unica categoria che accolga tutti i redditi di natura finanziaria (CNEL, Carpentieri, Assogestioni, Assonime, Melis, Dipartimento finanze MEF, Fondo monetario internazionale). È stato per altri versi segnalato che la riunificazione dei redditi finanziari potrebbe limitarsi, peraltro, all’ammissione delle minusvalenze in diminuzione delle componenti positive di reddito (Lupi).
Secondo alcuni intervenuti sarebbe necessario intervenire, come già anticipato, anche sulla tassazione degli utili societari, in quanto sarebbero caratterizzati da una doppia imposizione economica e da una equiparazione nella tassazione tra soci qualificati e non qualificati che è stata ritenuta non ragionevole (Melis).
Con il medesimo fine di uniformare il prelievo è stato proposto di applicare un'imposta sostitutiva con aliquota fissata al 26% sulla somma delle diverse componenti reddituali finanziarie derivanti dal risparmio investito (interessi, dividendi, altri proventi, plusvalenze e minusvalenze) percepite e realizzate nell’anno (Cottarelli). Altri auditi hanno suggerito che il livello dell'aliquota venga coordinato con la tassazione dei redditi da lavoro e, in particolare allineato all’aliquota del primo scaglione Irpef al 23% per evitare effetti regressivi nei confronti dei contribuenti a basso reddito che detengono anche strumenti finanziari, in quanto l’imposta proporzionale risulterebbe eccessivamente superiore all'aliquota marginale loro applicata sui redditi che rientrano nella base imponibile Irpef (Confindustria, Carpentieri, Assogestioni). La tassazione ordinaria andrebbe estesa anche agli interessi dei titoli di Stato partendo da quelli di nuova emissione, eliminando un incentivo anacronistico e poco giustificato all’indebitamento pubblico rappresentato dall'aliquota ridotta del 12,5% (Visco, Baldini, Assogestioni, Assonime) che, quantomeno, si potrebbe avvicinare a quella applicata sugli altri redditi da capitale (Liberati).
È stato invece suggerito che, in un eventuale riordino del sistema impositivo dei redditi di natura finanziaria, sia mantenuto il regime fiscale di favore dei Piani individuali di risparmio - PIR. Sui PIR, è stato inoltre proposto di elevare dal 10 al 20% (al 33% per i PIR alternativi) il cd. limite di concentrazione, in base al quale non più del 10% (20% per i PIR Alternativi) delle somme o valori destinati nel Piano può essere investito in strumenti finanziari emessi o stipulati con lo stesso soggetto o con altra società appartenente al medesimo gruppo, nonché di elevare il cd. limite di composizione, in base al quale almeno il 70% delle risorse conferite nel Piano deve essere destinato agli investimenti c.d. “qualificati”. (AssoHolding).
Inoltre, per valutare il carico impositivo effettivo sui redditi di natura finanziaria è stata evidenziata la necessità di tenere conto dell’incidenza delle imposte patrimoniali (imposta di bollo per gli investimenti finanziari detenuti in Italia o imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero - IVAFE) e, relativamente agli investimenti nel capitale di rischio, dell’impatto dell’imposta sulle transazioni finanziarie. Considerando anche queste imposte, l’imposizione complessiva sui redditi finanziari risulta, secondo alcuni auditi, piuttosto elevata e controproducente per le disponibilità finanziare delle imprese (Assogestioni, Assonime).
Diversamente da chi ha suggerito di rafforzare il sistema duale e prevedere un prelievo proporzionale uniforme all'interno della categoria dei redditi di capitale, alcuni auditi hanno proposto di includerli nella base imponibile dell’Irpef (Ancit) ovvero di introdurre un sistema progressivo, con un massimo di tre scaglioni ed un'aliquota massima del 30 %, al fine di colpire il risparmio concentrato nei grandi capitali (ANCOT).
Rispetto alla necessità di un raccordo con l’imposta sul reddito delle società e l’imposta personale progressiva, e con i redditi di impresa percepiti da persone fisiche è stata segnalata la necessità di specifici approfondimenti sulla tassazione dei dividendi (Liberati).
Con riferimento al metodo di determinazione delle componenti positive e negative di redditi finanziari, il sistema prevedeva sia l'individuazione dei redditi per cassa, al momento del realizzo, sia quella di risultati "maturati" di gestione, soggetti a imposta sostitutiva su base annuale. Successivamente, il sistema individuando dunque nel realizzo dei proventi il momento impositivo rilevante per la tassazione dei redditi di natura finanziaria. Continuano a esistere, tuttavia, forme di tassazione per maturazione per le gestioni individuali di portafogli e per il risparmio previdenziale (nonché per i rendimenti realizzati dalla gestione patrimoniale delle casse previdenziali private). Allo scopo di ripristinare la neutralità del sistema è stato suggerito, nell’ambito di un riassetto complessivo della disciplina fiscale dei redditi di natura finanziaria, di eliminare i regimi di tassazione per maturazione ancora presenti. Tale modalità rappresenta una peculiarità italiana per quanto riguarda il risparmio previdenziale, poiché i fondi pensione esteri sono generalmente sottoposti a tassazione esclusivamente nella fase di erogazione delle prestazioni (Assogestioni, Assofondipensione).
È stato tuttavia osservato che la tassazione in base al principio del realizzato può assicurare una sostanziale neutralità solo se corretta da uno strumento che ponga in condizioni di equivalenza finanziaria il prelievo sui flussi reddituali periodici e quello sui flussi reddituali di lungo periodo (Dipartimento finanze MEF).
Con riferimento alla deducibilità dal reddito imponibile per i contributi destinati alla previdenza complementare, infine, è stato suggerito di aumentare il limite massimo annuale di 5.164,57 euro e prevedere una soglia di deducibilità specifica per i soggetti che versano contributi nell’interesse di persone fiscalmente a carico (Assogestioni, Assofondipensione). Altri hanno proposto di ridurre la tassazione sui rendimenti nella previdenza complementare e incentivare lo strumento dei fondi sanitari contrattuali (UGL).
Complessivamente, è stato rilevato come l’imposta sul patrimonio ha un’evidente funzione redistributiva: si tassano i patrimoni rilevanti in misura progressiva perché la capacità contributiva non smette di crescere per divenire costante una volta raggiunto un determinato livello di ricchezza, ma continua ad aumenta in parallelo con l’incremento di questa (Ghiselli).
Secondo la Commissione europea, le imposte patrimoniali ricorrenti sarebbero quelle ritenute “meno penalizzanti per la crescita” rispetto ad altre fonti di entrata.
Si ricorda preliminarmente che la componente diretta del prelievo sugli immobili in Italia - imposte sui redditi e patrimoniali – colpisce il reddito effettivo e figurativo, nonché il valore patrimoniale derivato dalle rendite catastali, mentre la componente di imposizione indiretta ha come presupposto una transazione economica. Un ruolo di rilievo è svolto in tale panorama dall’Imposta municipale propria – Imu, che costituisce di fatto il principale prelievo patrimoniale sugli immobili, il cui gettito è prevalentemente destinato agli enti locali.
Il livello di imposizione è diverso sia in funzione della natura degli immobili (terreni, fabbricati a uso abitativo, industriale o commerciale) sia dei soggetti passivi (da un lato, imprese e professionisti; dall’altro, soggetti che non esercitano attività di impresa e di lavoro autonomo). Nel sistema tributario italiano esiste, inoltre, un’importante distinzione tra l’abitazione principale, destinata a soddisfare l’esigenza abitativa e le altre unità immobiliari possedute a scopo produttivo, d’investimento o tenute a disposizione.
Il regime di tassazione degli investimenti immobiliari è misto: una tassazione proporzionale al 21 per cento (cosiddetta cedolare secca, ridotta al 10 per cento in alcuni casi) si può applicare sui canoni di locazione degli immobili residenziali; i redditi da locazione degli immobili ad uso commerciale sono soggetti ad Irpef (per i contratti conclusi nel 2019 è possibile optare per la cedolare secca); i redditi figurativi degli immobili non locati sono esclusi dall’imposta sui redditi, ad eccezione dei redditi figurativi degli immobili non locati siti nello stesso comune di quello dell’abitazione principale, soggetti a Irpef per la metà del reddito determinato catastalmente.
Su tale ultimo punto alcuni auditi propongono di assoggettare al medesimo trattamento anche gli immobili non locati situati in un Comune diverso (Pellegrino).
La tassazione sui redditi immobiliari e la cd. cedolare secca
Nel corso delle audizioni sono stati evidenziati alcuni meccanismi di applicazione della tassazione che contribuiscono a rendere poco conveniente l’investimento in immobili da parte delle persone fisiche e che incentivano la dismissione degli stessi con conseguente riduzione dei relativi valori di mercato. Si tratta delle previsioni normative che impongono la tassazione di redditi figurativi, a fronte dei quali non corrisponde una reale entrata di cassa per il proprietario, in primo luogo il possesso di immobili non locati in ragione della rendita catastale rivalutata e la tassazione dei canoni non percepiti per immobili locati (Assoimmobiliare).
Si propone che l’esclusione dalla tassazione reddituale degli immobili non locati sia estesa a tutte le possibili fattispecie, riconducendo tutto a una equilibrata e trasparente tassazione patrimoniale. Analogamente va estesa a tutte le tipologie di immobili l’esclusione da imposizione dei canoni non percepiti per i quali siano iniziate azioni legali per il recupero (intimazione di sfatto o ingiunzione di pagamento) nonché la piena deducibilità dell’IMU pagata (Assoimmobiliare).
Al fine di incoraggiare l'emersione di base imponibile il legislatore ha progressivamente ampliato l’operatività della cd. cedolare secca sui redditi derivanti dalle locazioni immobiliari, che consente di optare per un'imposta sostitutiva ad aliquota unica (flat), in luogo delle ordinarie regole Irpef (con scaglioni e aliquote differenziate).
Con riferimento alla cd. cedolare secca sui redditi da locazione, alcuni auditi hanno evidenziato l’opportunità di abolire (Ati, Corasaniti, Baldini) o rivedere tale misura, elevando l’aliquota ordinaria al 26 per cento, in modo da allinearla alla tassazione dei redditi di capitale e finanziari (UPB, Cottarelli, Arachi, Corasaniti), ovvero a quella del primo scaglione Irpef (23%) e considerare vincoli all’utilizzo, ad esempio, sul numero di locazioni (Confindustria).
È stato altresì rilevato che le aliquote della cedolare secca, attualmente inferiori sia alla prima aliquota marginale dell’Irpef, sia all’aliquota ordinaria prevista per le attività finanziarie (oggi il 26 per cento), hanno causato un importante fenomeno di erosione della base imponibile dell’Irpef, e la conseguente esclusione di questi redditi dal principio di progressività ha determinato conseguenze in termini di equità orizzontale e verticale (a vantaggio dei contribuenti più abbienti e riducendo il potere redistributivo dell’Irpef), con risultati in termini di contrasto all’evasione solo parziali (CNEL, Fiorio, Carpentieri).
Nel caso degli affitti di immobili abitativi a canone concordato, l'aliquota della cedolare potrebbe essere equiparata a quella prevista per la tassazione dei titoli di Stato, innalzandola dal 10 al 12,5% (Cottarelli).
Si rileva come se da una parte l’introduzione della cedolare secca sembrerebbe aver prodotto un’emersione di base imponibile (il Dipartimento delle finanze MEF stima un recupero di evasione compreso tra 1 e 1,5 miliardi per l’anno 2013, mentre la Relazione sull’economia non osservata negli anni ha evidenziato una riduzione del tax gap sulle locazioni dovuto a un cambiamento nei comportamenti dei contribuenti, orientato verso una maggiore compliance fiscale), dall’altra il recupero di evasione non ha comportato un vantaggio netto per il bilancio dello Stato: l’effetto positivo dell’introduzione della cedolare è più che compensato dagli effetti negativi riconducibili alla riduzione delle aliquote Irpef, alla mancata applicazione delle addizionali locali e all’esenzione dal pagamento delle imposte di bollo e di registro. La reintroduzione dei redditi da locazioni (oggi sottoposti alla cedolare) nella base imponibile dell’imposta personale comporterebbe, senza considerare possibili mutamenti nelle scelte dei contribuenti, un recupero di gettito di circa 2,5 miliardi di euro, prevalentemente a carico dei contribuenti con reddito più elevato, dato che i redditi da locazione si concentrano maggiormente nella parte alta della distribuzione del reddito (UPB, CNDCEC).
Altri stakeholders hanno formulato richieste di senso opposto, ritenendo necessario mantenere l’attuale regime di tassazione sostitutiva (cedolare secca) per le locazioni abitative, in quanto ritenuto un regime che favorisce la compliance fiscale (Confedilizia) e contribuisce a ripristinare un minimo di redditività degli investimenti immobiliari conducendo la tassazione complessiva a un livello accettabile (Melis, AssoHolding).
Nel solco di tale impostazione è stata anche proposta la tassazione per cassa dei redditi da locazione di fabbricati, per evitare la tassazione di somme non percepite per morosità degli inquilini, e l’estensione della cedolare secca alle locazioni commerciali in via strutturale (Leo, Confedilizia, ANCE). Altri auditi hanno sottolineato, al contrario, che l’eventuale estensione di questa misura agli immobili commerciali appare discutibile tenendo conto del fatto che il tasso di evasione del reddito per tale tipologia di immobili è assai ridotto (Fiorio).
Occorrerebbe inoltre intervenire nella fase di esecuzione degli investimenti, eliminando l’incidenza delle imposte sugli oneri finanziari, escludendo da tassazione gli interessi passivi connessi ai finanziamenti contratti per la costruzione o ristrutturazione degli immobili da destinare alla vendita, come stabilito fino al 2018 (ANCE).
Sotto un altro profilo, è stato rilevato come la fiscalità immobiliare debba essere orientata all’ambiente e allo sviluppo sostenibile e diventare uno strumento fondamentale per la realizzazione dell’interesse pubblico alla rigenerazione urbana, all’efficienza energetica e alla messa in sicurezza del patrimonio edilizio. Emblematico in tal senso è l’incentivo cardine su cui oggi si fonda la politica di rigenerazione urbana: il Superbonus al 110%, che riveste un’importanza cruciale, non solo per rimettere in moto l’economia del Paese, ma anche per il rinnovamento e la riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente. Si suggerisce quindi di destinare le risorse principalmente ad una proroga pluriennale della disciplina (ANCE).
In tale ambito si propone un’esenzione da IMU per tutto il periodo in cui sono in corso lavori di ristrutturazione edilizia ovvero una riduzione del 50% dell’imponibile della medesima imposta fino alla conclusione del terzo periodo d’imposta successivo, eventualmente collegando tali agevolazioni al miglioramento della classe energetica (Assoimmobiliare).
Tali agevolazioni andrebbero estese ai soggetti che istituzionalmente investono in immobili come gli organismi di investimento collettivo del risparmio immobiliari (fondi immobiliari e Sicaf) e le società di investimento immobiliare quotate (Siiq). Andrebbe, inoltre, riconsiderata l’impostazione secondo cui gli immobili a destinazione abitativa non possono costituire beni strumentali delle imprese (anche individuali) con conseguente importante limitazione alla deduzione analitica dei costi. (Assoimmobiliare).
L’imposta municipale propria - IMU
Alcuni auditi hanno considerato inspiegabile l'esclusione del valore dell'abitazione principale dal prelievo patrimoniale e, nella specie, dall’applicazione dell’Imu, nonostante anche tali immobili beneficino dei servizi pubblici che richiederebbero un concorso alle relative spese (Assonime). Un’ulteriore criticità risiede nel mancato aggiornamento dei valori catastali (che determinano l’imposta effettiva) ai valori di mercato (Bankitalia, Pellegrino, CNEL).
Livelli elevati di prelievo si hanno nel caso di immobili locati, dato che l’Imu si somma all’imposizione sostitutiva mediante cedolare secca o a quella progressiva sui redditi (Bankitalia). Più in generale, il sistema delle imposte patrimoniali ordinarie, in particolare l’Imu, andrebbe riesaminato anche nell’ottica del coordinamento con le imposte sui trasferimenti di ricchezza: imposte di registro, ipotecarie e catastali, sulle successioni e donazioni (CNEL).
Alcuni auditi, viceversa, hanno sostenuto l’opportunità di mantenere l’esenzione Imu prima casa (Confedilizia).
È stato anche proposto di eliminare l'Imu sugli immobili strumentali adibiti alle attività produttive, come già accaduto per il settore agricolo, per ottenere una maggiore equità e semplicità del sistema (CNA).
È stata proposta una riforma della tassazione immobiliare coerente con il sistema di imposizione duale e con l'ACE. (Arachi) La tassazione degli immobili, al di fuori dell’attività d’impresa, infatti, solleva problemi particolari. L’immobile può essere contemporaneamente considerato come un bene di consumo durevole e come una forma di impiego del risparmio. Da questa seconda prospettiva il reddito degli immobili, nell’ambito di un approccio duale, dovrebbe essere suddiviso fra rendimento ordinario del capitale investito, a cui si dovrebbe applicare l’aliquota del 26%, e reddito residuale da ricondurre nell’ambito dell’Irpef, utilizzando lo schema ACE. (Arachi) Nel caso delle abitazioni locate, il canone di locazione al netto del reddito ACE dovrebbe quindi confluire nel reddito complessivo Irpef. Per gli immobili non locati e le abitazioni principali rientrerebbe nel reddito complessivo Irpef la differenza fra il reddito figurativo, individuato attraverso la rendita catastale, ed il reddito ACE (Arachi).
Da altre parti è emersa anche l'esigenza di un ridimensionamento dell’Imu, ed eventualmente da un suo ridisegno secondo un modello di service tax, che consentirebbe di conferire maggiore verticalità al Fondo di solidarietà comunale (Arachi).
E’ stato rilevato come occorra particolare cautela nell’imposizione sulle cosiddette seconde case: in un paese che ha avuto grandi migrazioni dal Mezzogiorno al nord e dagli Appennini alla pianura, la seconda casa è spesso la prima (Tremonti).
Più in generale, è stato suggerito un intervento complessivo con un’imposta che gravi sugli immobili solo qualora si registri un aumento di valore in un determinato lasso temporale (es un decennio), anche al fine di attrarre gli investitori, anche esteri, nel comparto immobiliare (ANCE).
La riforma del catasto
È stato sottolineato in merito che una riforma catastale sarebbe senz’altro utile ma anche lunga, complessa e costosa da realizzare. Richiederebbe un’opera capillare sul territorio di aggiornamento delle tariffe di estimo (ferme ai valori stabiliti nel 1988 per i terreni e al 1990 per i fabbricati) con tempi stimati non inferiori a 5 anni. Le riflessioni su una tassazione immobiliare non devono, tuttavia, cedere alla tentazione di un nuovo aggiornamento automatico dei valori catastali (attraverso la modifica dei coefficienti moltiplicativi), che perpetrerebbe le iniquità esistenti. Come segnalato anche dall’Agenzia delle Entrate, i processi di rivalutazione automatici del passato, effettuati peraltro in congiunzione con contrazioni economiche (e cadute del PIL inferiori a quella corrente), hanno contribuito a deprimere il mercato immobiliare in maniera significativa (Confindustria).
Altri, invece, hanno affermato che una riforma generalizzata, per via normativa, del catasto non appare necessaria né opportuna, in quanto si ritiene che il sistema catastale sia articolato in modo da consentire all’amministrazione finanziaria centrale e locale di intervenire in qualsiasi momento a rettificare situazioni non rispondenti alla realtà (Confedilizia).
Nella stessa direzione si muovono diversi auditi secondo cui le riforme degli ultimi anni consentono di disporre di una base dati più attendibili delle compravendite e delle locazioni (soprattutto per merito dello sviluppo dell'Osservatorio del mercato immobiliare - OMI). Pertanto, il problema del catasto certamente esiste tuttora, ma è molto meno grave rispetto al passato. Sembra pertanto più utile proseguire su interventi “puntuali”, intervenendo sia su quei Comuni, anche piccoli, dove si registra una abnorme sproporzione tra valori di mercato e valori catastali; sia su quelle microzone, per lo più periferiche, in cui il confronto tra valori OMI e valori catastali evidenzi una sopravvalutazione di questi ultimi. Una revisione complessiva ed aggiornamento del sistema deve considerare che il problema resta pur sempre quello del carico fiscale sostenibile nel suo complesso, di talché all’aumento generalizzato delle rendite che un siffatto aggiornamento determinerebbe deve necessariamente corrispondere una diminuzione delle aliquote. (Melis)
Una soluzione potrebbe essere quella di introdurre, nella determinazione della rendita catastale, un coefficiente che tenga conto della prestazione energetica dell’immobile, agendo in senso inversamente proporzionale sulla rendita e sul valore catastale “tassato”, proprio alla luce del minor impatto ambientale (e sociale) del fabbricato (ANCE, Assoimmobiliare).
È, inoltre, auspicabile che vengano previsti meccanismi di aggiornamento periodico tali da cogliere e registrare tempestivamente le modifiche del territorio e del mercato che si traducono non solo in incrementi, ma anche in decrementi dei valori degli immobili (Assoimmobiliare).
La tassazione sui trasferimenti immobiliari e sulle plusvalenze immobiliari
Attualmente la misura delle imposte di registro, ipotecaria e catastale relative ai trasferimenti immobiliari si applica ad aliquota unica pari al 9 per cento per tutti i trasferimenti immobiliari ad eccezione della casa adibita ad abitazione principale non di lusso, che invece sconta le predette imposte con aliquota agevolata al 2 per cento. E’ pari a 200 euro l'importo di ciascuna delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in tutti quei casi in cui esso sia stabilito in misura fissa.
Il prelievo sui trasferimenti di immobili a titolo oneroso, di entità proporzionale al valore delle transazioni, incide sull’efficiente allocazione delle risorse. In quest’ambito, potrebbe essere ribilanciato il peso relativo della tassazione applicata sulle transazioni inter vivos e quello dell’imposta sulle successioni e donazioni (Basilavecchia), il cui gettito è complessivamente contenuto (inferiore al miliardo) per l’effetto combinato di franchigie, aliquote e mancata revisione dei valori catastali (Bankitalia, Assonime, Assoimmobiliare).
Occorre anche ripensare il trattamento delle plusvalenze immobiliari realizzate dopo il quinquennio dall’atto di acquisto o di costruzione che non sono attualmente imponibili ai fini Irpef. I capital gains da beni mobiliari sono invece tassati sempre. Si potrebbe, in proposito, introdurre un prelievo sostitutivo per le plusvalenze ultra-quinquennali, con un’aliquota ad esempio del 12,50 per cento (Cottarelli, Pellegrino).
Si propone inoltre di consentire permute tra privati solo sul differenziale di valore tra gli immobili permutati e con l’aliquota più bassa (se immobili diversi), senza dover sostenere il peso dell’imposta di registro sul valore del bene che dà luogo all’applicazione della maggior imposta (Assoimmobiliare).
Più in generale, occorrerebbe una più ampia riforma della tassazione del settore immobiliare, a partire dalla revisione del catasto (Cottarelli, Pellegrino), anche attraverso una più efficace valorizzazione dei dati e delle informazioni di cui dispone l’Amministrazione finanziaria (Confcommercio).
In linea generale, secondo la teoria economica e le migliori pratiche internazionali, il sistema di tassazione dei redditi d'impresa dovrebbe essere improntato a un principio di neutralità al fine di non distorcere le scelte individuali tra lavoro e investimento e tra diverse forme giuridiche d'impresa. I regimi di tassazione semplificati per le piccole e medie imprese possono migliorare la tax compliance ma non dovrebbero essere preferenziali per evitare distorsioni (Fondo monetario internazionale).
La tassazione Irpef del reddito d’impresa dovrebbe essere coordinata con quanto previsto dall’imposta sulle società. Andrebbero superate le attuali differenziazioni basate unicamente sulla forma giuridica assunta dall’impresa, in modo da equiparare il trattamento fiscale tra soggetti similari sotto il profilo dimensionale e reddituale, per evitare che scelte organizzative non efficienti siano dettate da motivazioni fiscali. Andrebbero uniformate sia le regole di determinazione della base imponibile, sia le modalità e le misure del prelievo. Sotto il primo aspetto, le differenze riguardano gli interessi passivi, le plusvalenze e i dividendi derivanti da partecipazioni in società. Per quanto riguarda il prelievo, andrebbero distinti il reddito d’impresa - da assoggettare alla stessa aliquota di tassazione a prescindere dalla forma prescelta (impresa individuale, società di persone, società di capitali) - da quello attribuibile all’imprenditore o al socio (Bankitalia). Si potrebbe ipotizzare in particolare, per attenuare il problema dell'elusione relativa alla ricerca di forme alternative di monetizzazione degli utili, di ridurre l'aliquota su dividendi e capital gains (Stevanato) ovvero di detassare gli utili legati a nuove assunzioni (AssoSoftware).
Per quanto riguarda il reddito d’impresa, alcune specifiche proposte degli auditi comprendono:
- l’eliminazione del vigente limite di riportabilità delle perdite e l’introduzione nel nostro ordinamento riporto all’indietro delle perdite (cosiddetto carry back), che consente di riliquidare l’imposta degli esercizi precedenti a quello di realizzo della perdita, ottenendo il rimborso delle somme già versate (Confindustria, Carpentieri, AssoHolding), nonché la trasformazione delle DTA (imposte differite attive) in crediti d’imposta come già consentito al sistema bancario e ricalcando la norma del decreto “Cura Italia” che, fino al 31 dicembre 2020 ha consentito di trasformare in crediti d’imposta le imposte differite derivanti da perdite fiscali anche se non iscritte in bilancio (AssoHolding);
- l’innalzamento della deducibilità e più in generale la riforma degli interessi passivi corrisposti da imprese soggette all’Ires (Leo, Savorana);
- l’abolizione della disciplina delle società in perdita sistemica. (Leo);
- la reintroduzione dello strumento dell'iperammortamento al 250% per favorire gli investimenti nei beni strumentali ad alto contenuto digitale (Loconte);
- l'introduzione di un superbonus 110% per le sole aziende destinato a finanziare gli interventi per il risparmio energetico e l'uso di energie rinnovabili (Loconte).
È stata, altresì, prospettata l’introduzione di una tassazione proporzionale sul reddito d’impresa alla stessa aliquota prevista per l’Ires (24%) per la quota di utile non prelevata. Il reddito d’impresa di tali soggetti non concorrerebbe più, ai fini Irpef, alla formazione del reddito complessivo ma sarebbe assoggettato a tassazione separata con applicazione della medesima aliquota prevista ai fini Ires, mentre le somme che l’imprenditore (o i soci della società di persone) ritrae dall’impresa verrebbero tassate, ai fini Irpef, come reddito ordinario soggetto alla progressività propria di questo tributo. Al contempo, tali somme dovrebbero essere deducibili dal reddito d’impresa (Confartigianato). Si potrebbe riduzione l’aliquota al 15 per le società che non distribuiscono utili e sicuramente per le Benefit Corporation (AssoHolding).
Più in generale, andrebbe previsto il superamento dell’attuale regime di «segregazione» delle perdite realizzate nell’ambito dei redditi di categoria, a favore di una compensazione orizzontale senza limiti, eventualmente surrogata dalla trasformazione di perdite realizzate all’interno di regimi cedolari in crediti di imposta (calcolati alla stessa aliquota) utilizzabili a scomputo dell’Irpef ordinaria. (CNA, Stevanato). Alcuni auditi propongono la compensazione dei crediti e debiti Irpef (AssoSoftware) anche nell'ambito dei componenti lo stesso nucleo familiare (INT). Per minimizzare i tempi di rientro della liquidità, lo strumento della compensazione dovrebbe estendersi, non solo ai crediti d’imposta, ma anche a tutti i crediti di natura commerciale che gli operatori economici vantano nei confronti delle Pubbliche amministrazioni, ossia quelli derivanti da forniture, somministrazioni e appalti (ANCE).
Al fine di garantire la neutralità della tassazione indipendentemente dalla forma giuridica dell’impresa alcuni auditi hanno proposto l’abolizione della tassazione degli utili reinvestiti in azienda e la reintroduzione dell’IRI (ANASF). In tal modo sarebbe incentivata la capitalizzazione delle imprese e superato il problema della doppia tassazione prima in capo alla società e poi in capo alla persona fisica.
Non sfugge tuttavia che, sul piano dell’attuazione concreta dell’IRI, si sono registrate questioni di rilevante complessità tecnica, tra cui l’accurato monitoraggio dei flussi reddituali tra impresa e individuo, e, in particolare, della stratificazione dei prelievi. (Melis)
Altri hanno suggerito l’introduzione di una tassazione mensile basata sull’imposta pagata l’anno precedente, con abolizione della ritenuta d’acconto (Confesercenti, Ati, INT). Si veda anche il paragrafo relativo alla tassazione per cassa.
Per quanto riguarda le imprese personali (imprese individuali e società di persone), occorre modificare radicalmente il criterio di tassazione del reddito prodotto assoggettando la parte di reddito d’impresa prelevato dall’imprenditore all’aliquota progressiva dell’Irpef, con le medesime detrazioni previste per gli altri redditi da lavoro e tassando con una aliquota separata la parte che resta in azienda (CNA). In particolare, è stato suggerito che il reddito d’impresa prodotto dall’imprenditore individuale sia assoggettato ad una tassazione pari a quella dei soggetti Ires (24%), tenendo distinto il regime d’impresa dalle spese di vita quotidiana. Ogni qual volta l’imprenditore individuale dovesse prelevare o disporre di tutto o parte del suo reddito di impresa, è stato proposto che tali somme subiscano una seconda tassazione che potrebbe essere analoga ai dividendi che il socio di società riceve, oggi tassati con aliquota del 26% (ANASF).
Si propone una ridefinizione dell’impianto impositivo relativo ai piccoli imprenditori. prevedendo un sistema di tassazione premiale per le c.d. “differenze incrementali” in dichiarazione dei redditi, per le micro e piccole imprese/professionisti, con riferimento alle medie evidenziate dagli ISA al verificarsi di determinati parametri, attraverso un’aliquota agevolativa sul delta dichiarato per i soggetti con alto punteggio ISA (Confesercenti, Confcommercio, Ancit).
Specifica attenzione è stata prestata da alcuni auditi all’eventuale revisione della disciplina fiscale del reddito di lavoro autonomo. Si richiede, in sintesi, l’equiparazione del regime fiscale degli immobili di imprese e professionisti; la riduzione dal 20 al 10 per cento della ritenuta a titolo di acconto Irpef per i lavoratori autonomi; la revisione della disciplina fiscale dei rimborsi spese; l’estensione del regime forfetario dei contribuenti minimi ai professionisti che svolgono l’attività di lavoro autonomo in forma associata; la deducibilità dei contributi previdenziali e assistenziali obbligatori dal reddito di lavoro autonomo; l’introduzione di una specifica disciplina, ai fini delle imposte sui redditi, delle operazioni di aggregazione e riorganizzazione degli studi professionali, che sancisca esplicitamente la neutralità fiscale delle stesse (Leo).
Alcuni auditi hanno espresso considerazioni di ordine ancora più generale nel notare che, ad esempio, per un reddito pari a 12 mila euro l’imprenditore individuale in contabilità semplificata e i professionisti subiscono una tassazione Irpef più alta di 15,1 punti percentuali rispetto ai lavoratori dipendenti; differenza che diventa di 23 punti percentuali se si e? in contabilità ordinaria. Si argomenta che la tassazione dei redditi prodotti dalle persone fisiche non può essere diversa a seconda della differente modalità con cui si genera il reddito. Il principio di capacita? contributiva sancito dall’articolo 53 della Costituzione italiana non può avere un peso diverso in funzione della tipologia di contribuente che produce il reddito tassato. Pertanto, la prima misura da adottare al fine di riequilibrare la tassazione tra le diverse categorie di reddito da lavoro sarebbe la progressiva estensione agli imprenditori individuali ed ai professionisti delle detrazioni previste per i lavoratori dipendenti (CNA, ANCOT).
Alcuni auditi suggeriscono che si intervenga sulla definizione della base imponibile Ires rendendola più semplice nella sua computazione e l’introduzione di una aliquota al 15% che premi gli utili reinvestiti in investimenti, in particolare quelli green e digitali, e in nuove assunzioni (CNA, Confapi). Ancora, nell'ottica della semplificazione è stato suggerito di ancorare la tassazione del reddito d’impresa al bilancio civilistico, circoscrivendo per quanto possibile l'introduzione di trattamenti fiscali temporanei (Assonime, Rossi, Savorana). In tal senso, si potrebbe anche prendere spunto dalla proposta di Direttiva per una base imponibile comune per l’imposta sulle società, che consente di semplificare il calcolo della base imponibile e garantisce una maggiore deducibilità per i costi in ricerca e sviluppo (Savorana). In merito, sarebbe auspicabile estendere il principio di derivazione rafforzata, oggi contemplata solo per le imprese che adottano gli Ias, anche alle imprese che adottano i principi contabili nazionali (AssoHolding).
È stata da alcune parti proposta l’abolizione dell’Irap (Bordignon, Assonime, Savorana, AssoHolding), da compensare in termini di gettito mediante introduzione di una addizionale regionale all’Ires, con aliquote determinate da ciascuna regione in funzione dell’obiettivo di invarianza di gettito; un prelievo regionale da applicarsi ai partecipanti di società personali che tassano i propri redditi per trasparenza; un prelievo regionale sui soggetti Irpef attualmente obbligati a pagare l’Irap, con reddito lordo annuo superiore a 100.000 euro (Leo, CNA, Confapi).
Al fine di collegare la riduzione della tassazione delle imprese all’occupazione, oltre all’abolizione dell’Irap, occorrerebbe garantire la completa deducibilità degli oneri legati al welfare dei lavoratori e introdurre misure di superdeduzione per incentivare ad es. la riqualificazione o per consentire l’aumento delle retribuzioni (CIDA).
Poiché la componente soggetta a tassazione ai fini Irap risulta essere il reddito d’impresa i cui presupposti impositivi sono simili a quelli degli altri tributi diretti alla tassazione della ricchezza prodotta, in una logica di semplificazione si potrebbe prevedere il superamento dell’Irap contestualmente all’introduzione di una addizionale al reddito d’impresa dalla quale andrebbero esentate le imprese non dotate di autonoma organizzazione ora escluse dalla tassazione Irap.
L’abrogazione definitiva dell’Irap produrrebbe indiscutibilmente vantaggi su molti fronti, tra cui quello della semplificazione e dell’attrattività del Paese per nuovi investimenti (CNA, Confindustria, CNDCEC, CNF).
Del resto, è stato notato che la modifica della base imponibile dell’Irap prodotta dall’evoluzione normativa, secondo unanime dottrina, ha ridotto l’Irap a una sorta di addizionale all’Ires e all’Irpef e, pertanto, da più parti è stato suggerito di sostituire il tributo con altre fonti di gettito che avessero come presupposto impositivo i redditi (Dipartimento finanze MEF).
In alternativa, al fine di rendere superabili le attuali criticità dell’IRAP, si potrebbe inserire il risultato del Rendiconto Finanziario all’interno di un coefficiente che rettifichi la base imponibile (Assoholding).
Complessivamente, è stata sottolineata la necessità di evitare l’introduzione di nuovi o maggiori oneri per le imprese anche in riferimento all’abbondanza di nuove imposte che rischiano di scaricarsi sul tessuto produttivo come ad esempio la plastic tax,la sugar tax e l’imposta sui servizi digitali (Confindustria).
È stato anche evidenziato che l'imposizione sulle imprese risente di una concorrenza al ribasso su base internazionale che riduce il gettito a vantaggio di alcuni Paesi che adottano aliquote particolarmente basse. Per questo, a livello internazionale si sta lavorando per introdurre un'imposta minima globale sulle società che ponga un freno a tale dinamica che genera squilibri a livello mondiale (OCSE).
Solo mediante un sistema fiscale europeo si ritiene possibile superare le asimmetrie dovute ai differenti regimi impostivi perseguendo allo stesso tempo obiettivi di equità fiscale; mentre l’attività di prevenzione dell’evasione ed elusione fiscale dovrebbe via via concentrarsi più sulle doppie detrazioni o doppie non inclusioni di componenti negativi e positivi di reddito che non sullo sfruttamento di aliquote basse o comunque concorrenziali. Un presupposto di imposta europea potrebbe essere attribuito alle imposte ambientali (Assoholding).
È opportuno ricordare, infine, in ambito internazionale sono stati aviati dei negoziati per l'individuazione di una base imponibile minima comune per l'applicazione delle imposte sulle società (Gentiloni).
Per favorire la crescita economica, si propone di consentire l’immediata deducibilità degli investimenti, in luogo di quella rateizzata mediante gli ammortamenti, come ulteriore passo verso l’adozione di un sistema di tassazione per cassa, dopo la legge di bilancio per il 2017, che ha introdotto, per le imprese minori, un regime “misto” di cassa e competenza. Tale processo potrebbe continuare, risalendo gradualmente la scala dimensionale d’impresa: alcuni operatori con strutture di impresa elementari potrebbero vedere convergere le basi imponibili IVA e Irpef, con la cancellazione anche delle restanti poste calcolate per competenza e l’introduzione di un meccanismo che segnali automaticamente pagamento e incasso delle fatture; un adeguato sfruttamento dei dati derivanti da altri adempimenti (ad esempio, quelli di sostituto d’imposta per il costo del lavoro) o di altre banche dati (ad esempio, per gli interessi bancari passivi) potrebbe consentire di saldare le due basi anche per operatori con strutture più articolate. La conclusione di questo processo potrebbe essere un sistema che abbini ai pagamenti mensili o trimestrali dell’IVA anche quelli dell’Irpef, superando il sistema della ritenuta d’acconto per i professionisti e quello di acconti e saldi per le imprese, e consenta di estendere la dichiarazione dei redditi precompilata anche a un certo numero di partite IVA (Agenzia Entrate, ANASF, Lupi, Dipartimento finanze MEF).
Tale misura andrebbe tuttavia affiancata alla non deducibilità degli interessi sul debito utilizzato per finanziare tale investimento. Questa riforma garantirebbe la neutralità tra diverse forme di finanziamento dell’investimento (Cottarelli).
Si propone che le persone fisiche titolari di partita IVA, le imprese individuali e le società di persone determinino il reddito in base a un criterio di cassa puro (abbandonando il criterio della competenza). Per i predetti soggetti sarebbe, al contempo, utile introdurre un sistema di liquidazione mensile o trimestrale delle imposte in base alle somme effettivamente incassate, abbandonando definitivamente il criterio attuale fondato sul pagamento degli acconti previsionali e dei saldi, incluse le relative ritenute d’acconto (Confesercenti, CNDCEC).
Il criterio di cassa potrebbe sostituire la determinazione del reddito delle micro imprese con volumi di affari contenuti e rappresentate oltre che dai lavoratori autonomi, anche sotto forma di associazioni tra professionisti, e dalle società di persone; ne rimarrebbero escluse le società di capitali, che dovrebbero pertanto continuare a determinare l’imponibile con il criterio della competenza (Assoholding).
La tassazione sulla base del cash flow avrebbe il vantaggio di incentivare il pagamento da parte dei fornitori posto che, in mancanza del pagamento, gli stessi non potrebbero dedurre il relativo costo (Melis).
Di segno contrario è l’opinione di chi ha rilevato come la proposta di determinare il reddito d’impresa con un criterio di cassa anziché di competenza sia piuttosto problematica, in quanto tale criterio non appare pienamente coerente con un sistema progressivo di imposizione, poiché la possibilità di ripartire nel tempo i flussi di entrata e di uscita rende il prelievo dipendente non solo dalla tempistica dei flussi stessi, ma anche dalla loro entità. Un’ulteriore criticità deriverebbe dalla pratica di utilizzare i redditi annuali delle persone fisiche (inclusi quindi i redditi di impresa) come meccanismo di accesso a molte prestazioni sociali; da questo punto di vista, ogni norma che incentivi tecniche di pianificazione fiscale per l’accesso alla spesa pubblica dovrebbe essere evitata (Liberati).
Altri auditi hanno ritenuto che la determinazione del reddito per cassa possa modificare radicalmente il sistema impositivo, producendo l’effetto di ridurre la tassazione in un contesto di regole inevitabilmente articolate e complesse. Una estensione generalizzata del criterio di cassa accentuerebbe le complessità connesse con la distribuzione del reddito nei vari periodi d’imposta; esso potrebbe dare luogo a ripartizioni del reddito irregolari nel tempo (Ordine dei consulenti del lavoro), che mal si conciliano con la progressività dell’imposizione, comportando un ulteriore vulnus all’art. 53 Cost., nonché introdurre ulteriori adempimenti che possono essere rappresentati dalla necessità di operare 12 o 4 liquidazioni e versamenti provvisori d’imposta con conguaglio annuale, in luogo di un solo adempimento oggi connesso alla dichiarazione dei redditi (in questo senso Confartigianato e CNDCEC). Si ritiene inoltre che gli effetti anomali del criterio di cassa si accentuino, se riferiti a spese pluriennali e, in genere, a componenti di importo molto elevato che verrebbero a concentrarsi in un solo periodo d’imposta anziché distribuirsi per competenza su più anni. La determinazione discontinua del reddito annuale porrebbe comunque il problema di disciplinare le ricorrenti perdite che verosimilmente emergerebbero negli anni interessati dal sostenimento delle spese pluriennali. L’intero sistema verrebbe a basarsi sulla rilevazione dei flussi di cassa attivi e passivi, mentre la rilevanza dei fatti economici – e, in particolare, di quelli attivi ai fini della determinazione degli imponibili fiscali – verrebbe a svilirsi. Avrebbe rilievo il solo movimento finanziario, con la conseguenza che un suo occultamento (tutt’altro che impensabile, soprattutto per le attività che si rivolgono al consumatore finale) renderebbe ancora più difficili i controlli. Si ritiene che ciò rischi di incentivare l’evasione conseguente al pagamento di fatture relative all’acquisto di beni strumentali inesistenti o, comunque, non inerenti all’attività (consumi privati e familiari). Tra i vari inconvenienti, vi sarebbe anche il venir meno del valore segnaletico del reddito annuale, cui numerose disposizioni fanno riferimento per il riconoscimento di benefici fiscali ed extrafiscali (si pensi alle detrazioni per familiari a carico, al calcolo ISEE, ecc.). Sotto questo aspetto la riforma si presterebbe a manovre elusive. L’ipotesi di estendere, in un secondo momento, la ipotizzata riforma a tutte le imprese individuali comporterebbe una ulteriore discriminazione rispetto al trattamento dei soggetti Ires, rilevante sul piano della alterazione della libera concorrenza (Corte dei Conti).
Si ritiene urgente condividere in modo equo e trasparente, almeno in sede europea, l’introduzione di un sistema di tassazione delle imprese digitali (Confcommercio, Assonime, AssoHolding). Primi timidi tentativi di norme unitarie a livello europeo, in materia di web tax, sembrano emergere dalla nuova proposta di Direttiva Europea la c.d. DAC7, che garantirà in maniera coerente a livello europeo ed a carico di tutti i gestori delle piattaforme digitali gli stessi obblighi di comunicazione (AssoHolding).
La Commissione europea sta negoziando, a livello internazionale, l'introduzione di un sistema di tassazione sui servizi digitali che abbia come base imponibile il fatturato registrato nei paesi di vendita, anziché di produzione, dei servizi medesimi (Gentiloni).
Al contrario, altri auditi suggeriscono di abrogare l’imposta sui servizi digitali (Confesercenti) e, contestualmente, di applicare la disciplina della stabile organizzazione con l’inversione dell’onere della prova: la stabile organizzazione diventerebbe oggetto di presunzione relativa, indipendentemente dalla sussistenza di qualunque consistenza fisica nel territorio dello Stato. Eventuale prova contraria andrebbe proposta con interpello all’Agenzia delle Entrate (Leo).
Al riguardo, si chiede un intervento legislativo volto a individuare in maniera più concreta i presupposti applicativi dell'istituto della stabile organizzazione digitale, anche con riferimento alle modalità di determinazione dei redditi, perché in assenza di parametri normativi certi si rischia di limitarne fortemente la portata applicativa (Guardia di finanza). Si tratta di applicare un principio fondamentale: quello di far pagare le tasse laddove le imprese effettivamente svolgono l’attività economica, evitando il trasferimento degli utili verso paesi con regimi fiscali molto favorevoli (CIDA).
Fermo restando che un’eventuale modifica della normativa interna deve sempre misurarsi con la corrispondente definizione contenuta nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni, atteso che le norme pattizie prevalgono sul diritto interno, potrebbe risultare utile un intervento normativo volto a dare maggiore concretezza all’attuale definizione di “stabile organizzazione virtuale”:
- definendo in modo più preciso i parametri in presenza dei quali la disposizione opera, anche individuando delle soglie (in termini di ricavi, clienti, operazioni poste in essere, ecc.);
- introducendo, in aggiunta, una specifica norma antiabuso in base alla quale, al superamento dei parametri stabiliti, la presenza dell’operatore estero nel mercato nazionale è considerata significativa al punto da fare presumere che la sua presenza integri una stabile organizzazione, fatta salva la possibilità di prova contraria, al pari di quanto già avviene nel settore della raccolta delle scommesse da parte di imprese estere tramite un gestore residente;
- prevedendo, in tale situazione, l’obbligo per il contribuente di instaurare un contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria al fine di verificare se, in concreto, le modalità di svolgimento dell’attività imprenditoriale possa essere considerata produttiva di reddito imponibile in Italia, anche alla luce delle eventuali disposizioni convenzionali vigenti e, in caso di esito positivo, di determinare la base imponibile (Guardia di finanza).
È stato evidenziato che l'imposta sui servizi digitali non consentirà enormi entrate alle finanze pubbliche ma rappresenta il simbolo di una migliore imposizione, che correggerà alcune distorsioni riportando risorse ai Paesi dove effettivamente le vendite digitali hanno luogo. La speranza sarebbe quella di pervenire a un accordo entro la fine dell'anno (OCSE).
Alcuni auditi hanno rilevato come l’imposta rischi di essere poco più di un’addizionale IVA, da scaricare sui consumatori, producendo l’effetto negativo di non promuovere la digitalizzazione die processi produttivi (IBL).
Per altro verso, è stato segnalato come la questione si sia spostata a livello europeo (Rossi).
Alcuni auditi ritengono necessario intervenire con misure strutturali che evitino trattamenti sperequativi tra i diversi soggetti economici, prevedendo politiche temporanee d’ingresso favorevoli, che agevolino per i soggetti dell’economia tradizionale il processo di adattamento ambientale all’economia digitale (Confesercenti).
I tentativi di prevedere web tax nazionali o europee, transitoriamente destinate a colpire i ricavi derivanti da particolari operazioni condotte sul mercato digitale – senza un coordinamento comune e la condivisione di un più ampio disegno di armonizzazione delle legislazioni fiscali di livello sovranazionale – rischiano di fallire. Ciò posto, è evidente quanto sia indispensabile che gli sforzi dei Governi convergano verso un’azione comune tesa ad evitare che l’eccessiva frammentazione presente a livello ordinamentale crei la possibilità per i contribuenti di scegliere quello più conveniente, indirizzando i profitti nei Paesi a fiscalità privilegiata a svantaggio delle casse erariali dei singoli Stati, nonché a detrimento delle piccole e medie imprese.
La riduzione dell’Irpef potrebbe essere finanziata attraverso un aumento delle imposte sui consumi (IBL). La scelta di aumentare l’IVA sarebbe in linea con quanto suggerito da diversi anni sia dalle istituzioni europee sia dal Fondo monetario internazionale (Assonime).
Si potrebbe introdurre un’imposta progressiva sui consumi, basata sul tenore di vita (rilevabile anche attraverso il ritiro dei contanti), con aliquote dal 6 al 22%, nella quale sono contabilizzate le spese per tutti i consumi, compresi quelli di beni durevoli (Vegas).
E’ stato ricordato che un’indagine dell’Istat (effettuata sui consumi del triennio 2011-2013) ha messo in evidenza un risultato di sicuro rilievo in termini di potenziale redistributivo degli aumenti delle diverse aliquote d’imposta. Dall’analisi (che suddivide i soggetti per classi di spesa) è emerso che mentre le famiglie meno abbienti destinano oltre il 38% della spesa nell’acquisto di beni e servizi soggetti alle aliquote del 4 e del 10% (per il 1° quintile, ma oltre il 35% per il 2° quintile), per quelle più abbienti il rapporto, dapprima si equivale (per il 4° quintile) e poi si inverte (5° quintile), con i beni e servizi soggetti all’aliquota del 22% che pesano per oltre il 39% della spesa (rispetto a ca. il 32% per quelli soggetti alle aliquote agevolate). Pertanto, un aumento dell’aliquota ordinaria inciderebbe maggiormente sulle famiglie con redditi più elevati e sui beni d’importazione, mentre un aumento delle aliquote ridotte, applicate su beni e servizi essenziali, inciderebbe significativamente di più sulle famiglie in condizioni economiche meno favorevoli (Ghiselli).
Nel corso delle audizioni è stato proposto di razionalizzare le aliquote IVA eliminando quella super ridotta del 4%, consentita solo come deroga alla vigente disciplina europea, e aumentando l’aliquota intermedia al 12%. Le aliquote diventerebbero a questo punto tre: il 5%, il 12% e il 22%. Per determinare i beni e i servizi da assoggettare ad ogni aliquota sarebbe opportuno, in un’ottica di semplificazione e modernizzazione del sistema, effettuare una revisione dell’elenco vigente delle operazioni assoggettabili ad aliquote ridotte, risalente agli anni ‘80 e non più attuale. In particolare, beni e servizi simili dovrebbero condividere la medesima aliquota, e dovrebbero godere dell’aliquota agevolata i beni e i servizi inerenti alla salute e all’ambiente (Assonime).
Si propone un adeguamento al ribasso dell’IVA sull’intero settore turistico, anche solo per un tempo predeterminato, ad esempio 3 anni (Confesercenti).
Si propone una rimodulazione delle aliquote IVA premiante per i beni di prima necessità e quelli di uso esteso per le famiglie, da ricondurre all'utilizzo dei pagamenti elettronici con finalità antievasione (Organizzazioni sindacali).
Alcuni auditi hanno espresso la propria contrarietà a ogni aumento indiscriminato e non selettivo di IVA e accise (UGL).
È stata evidenziata la necessità di razionalizzare la misura e il numero delle aliquote vigenti, nei termini imposti dalla direttiva Iva, o rivedere i beni e i servizi assoggettati alle aliquote ridotte, individuati tra quelli previsti dall’allegato III della stessa direttiva Iva. In particolare potrebbero ipotizzarsi interventi per la riduzione del numero delle aliquote, ipotizzando misure intermedie rispetto a quelle vigenti, o la ridefinizione degli attuali panieri di beni e servizi assoggettati alle diverse aliquote, anche al fine di rendere più facile la loro individuazione evitando così errori o elusioni nell’applicazione dell’imposta (Dipartimento finanze MEF).
Altri interventi in materia di IVA dovrebbero riguardare: la riduzione delle esenzioni e il riordino delle aliquote agevolate e della tipologia dei beni (e dei servizi) sui quali si applicano, secondo i seguenti indirizzi generali e di massima:
• prevedere due sole aliquote ridotte, quella del 5% e quella del 10%, eliminando quella “super ridotta” del 4%;
• applicare l’aliquota del 5% a tutti i prodotti alimentari, oggi soggetti confusamente alle aliquote del 4, 5 e 10%,
• applicare l’aliquota del 10% al settore dell’edilizia, con esclusione delle abitazioni di lusso, ai servizi di trasporto (esclusi taxi e Ncc), ai beni e servizi per la salute, ai servizi di fornitura per l’abitazione, ai libri, giornali e periodici, e ai servizi legati al turismo;
• applicare l’aliquota ordinaria a tutti gli altri beni e servizi.
Occorrerebbe inoltre migliorare le politiche di compliance per ridurre il tax gap (Ghiselli).
È stato in primo luogo osservato come la tendenza all’evasione stia lasciando spazio al fenomeno crescente dell'elusione fiscale, che denota una tendenza a sfruttare i vari appigli interpretativi che le tante, troppe leggi, decreti, circolari in materia tributaria spesso contrastanti tra loro, forniscono al cittadino contribuente per veder ridotto il proprio carico fiscale (UGT).
L’azione di contrasto all’evasione fiscale può essere più efficacemente attuata se perseguita attraverso un piano organico basato sulla semplificazione delle regole e degli adempimenti, nonché su una rinnovata alleanza tra contribuenti e Amministrazione finanziaria. Occorre costruire un nuovo assetto teso a considerare non solo i benefici derivanti dalla lotta all’evasione, ma anche i costi che devono sostenere le imprese. Solo a queste condizioni e con queste premesse la riduzione degli oneri amministrativi diventa una realtà concreta e soprattutto che dura nel tempo (Casartigiani, Confesercenti). Occorrerebbe inoltre utilizzare l’ampio patrimonio informativo offerto dalle banche dati a disposizione dell’Agenzia delle Entrate, con una complessiva strategia di sviluppo di tecniche di analisi sui cosiddetti big data e con approcci innovativi e diversificati. La realizzazione di una totale interoperabilità tra sistema informatico pubblico e quello privato può rappresentare la più grande semplificazione del sistema. Occorre inoltre coinvolgere pienamente gli operatori del settore e le software house (AssoSoftware).
Agendo contemporaneamente sulle due leve a disposizione – politiche mirate ed efficientamento delle prestazioni dell’Amministrazione finanziaria - sarà possibile un’ulteriore riduzione del tax gap (Agenzia Entrate, Rossi, ANASF); potenziare le attività di analisi con specifici sistemi di analisi e valutazione del rischio di evasione e/o di elusione, tenendo conto delle peculiarità che connotano ciascuna realtà economica e territoriale, nonché gli strumenti di cooperazione rafforzata tra Fisco e contribuente sia attraverso il potenziamento dei servizi telematici e degli strumenti di messa a disposizione dei dati finalizzati a facilitare e razionalizzare gli adempimenti per evitare successivi accertamenti e sia attraverso l’intensificazione del dialogo collaborativo con i contribuenti per supportarli sia nel momento dichiarativo sia nel pagamento dei tributi (Associazione nazionale magistrati-AMT, ANASF), con particolare riferimento all’ampliamento dell’istituto dell’adempimento collaborativo, anche dal punto di vista premiale (Anti, ANCOT).
Altri auditi hanno indicato specifici strumenti antievasione e, in particolare suggeriscono che:
· i dati tempestivamente raccolti con la fatturazione elettronica divengano la base sulla quale predisporre, ad opera dell’amministrazione, dichiarazioni e versamenti, supportando al meglio il contribuente nell’adempimento spontaneo;
· le prescrizioni in materia di fatturazione elettronica siano armonizzate, in particolare includendovi i soggetti in regime forfettario;
· vi sia una ulteriore riduzione nell’uso del contante, accompagnato dall’estensione dello strumento della ritenuta d’acconto ad opera dell’operatore finanziario che gestisce la transazione. Al riguardo viene suggerito di considerare l’introduzione, per le operazioni superiori ad una determinata soglia (p.e. 500 euro), dell’obbligo di pagamento tracciato negli scambi tra soggetti Iva (c.d. operazioni B2B) con correlata effettuazione di una ritenuta d’acconto a cura della banca. Si ritiene che ciò consentirebbe di raccordare sul piano temporale buona parte del versamento dell’imposta al momento di effettiva percezione delle componenti positive del reddito, in analogia a quanto avviene per i redditi da lavoro dipendente;
· sia realizzato un diverso modello di relazione nel rapporto che l’amministrazione intrattiene con i contribuenti nella fase dell’adempimento (Corte dei Conti);
· sia rimpiazzata ove possibile l’autodichiarazione con il sostituto d’imposta, per eliminare le opportunità di dichiarare il falso. A tale proposito, si sottolinea che l’evasione è stata eliminata per i redditi da capitali, perché le imposte sono pagate dagli intermediari fiscali ed è sostanzialmente scomparsa sui trasferimenti immobiliari (imposte di registro, ipotecaria e catastale) da quando si pagano le imposte sulla base della rendita catastale e liquidate dal notaio (Fiorio);
· estensione massima possibile del meccanismo della ritenuta, specialmente dove più fattibile, cioè per i redditi da capitale (Fondo monetario internazionale);
· uso di informazioni di terze parti, sempre più fattibile in relazione alla diffusione internazionale degli scambi automatici di informazione (Fondo monetario internazionale);
· introduzione a regime della voluntary disclosure per favorire la riduzione strutturale dei capitali detenuti illecitamente all'estero (Loconte);
· introduzione a regime di una misura finalizzata alla regolarizzazione del contante, ad esempio mediante l'introduzione di un'imposta sostitutiva, assicurando tale copertura esclusivamente al contante frutto di evasione e non anche a quello collegato ad altre fattispecie di reato (Loconte).
La valorizzazione del patrimonio informativo che può essere acquisito dall'amministrazione finanziaria attraverso la fatturazione elettronica e la trasmissione telematica dei corrispettivi, anche in vista di un progressivo ampliamento del sistema di precompilazione delle dichiarazioni ai titolari di redditi d'impresa e di lavoro autonomo, agevolerebbe una vasta platea di contribuenti nell'assolvimento degli adempimenti dichiarativi, con effetti sicuramente positivi in termini di stimolo alla compliance. Ciò permetterebbe agli organi di controllo di concentrare la propria azione, in modo sempre più mirato, sulle posizioni che decidono di permanere nell'illegalità (Guardia di finanza, Assonime).
È necessario, se si vuole un’Amministrazione efficiente, un corollario normativo e operativo alla riforma dell’Irpef che riordini e colleghi le banche dati e fornisca una chiara e definitiva regolamentazione per l’accesso ai dati e l’uso degli stessi, contemperando il diritto individuale alla riservatezza con l’interesse collettivo, sancito dalla Costituzione, a che tutti contribuiscano alle spese pubbliche (Agenzia Entrate, Confesercenti).
In questo senso, è stato sottolineato che nessuna riforma del sistema fiscale può essere attuata se non viene preceduta da una riforma dell’amministrazione finanziaria, intesa come miglioramento non solo delle capacità professionali ma anche dei mezzi tecnici a disposizione adesso anche l’intelligenza artificiale (Carpentieri).
È stata sottolineata l’opportunità di rivedere o abolire alcuni meccanismi introdotti negli anni per una legittima finalità antifrode, che hanno sottratto cospicua liquidità alle imprese, ritenuti ormai ridondanti a seguito dell’introduzione della fatturazione elettronica. In particolare si suggerisce di abrogare lo split payment, il reverse charge, nonché ridurre dall’8% al 2% la ritenuta applicata sui bonifici che danno diritto alle detrazioni d’imposta nell’edilizia (CNA, Confartigianato, ANCE).
Alcuni auditi hanno altresì proposto di revisionare, in ottica antievasione, la disciplina degli illeciti amministrativi tributari, anche allo scopo di coordinarli con gli illeciti penali (Anti).
Con riferimento ad una riforma che viene spesso suggerita come strumento per la lotta all’evasione, ossia consentire la detraibilità o deducibilità delle spese sostenute per certi servizi tipicamente offerti da lavoratori autonomi, i cui redditi sono spesso non dichiarati, si è osservato che non è certo che tale riforma porti a risultati sostanziali (vedi, ad esempio, UGL e CNF). Infatti, finché esiste un gettito fiscale per lo Stato, consumatore e venditore possono comunque trovare un accordo sul prezzo in nero dell’operazione che sia conveniente per entrambi e migliore di quello che ci sarebbe se l’operazione fosse tassata. L’unico modo per escludere qualunque accordo collusivo tra acquirente e venditore sarebbe quindi quello di offrire una detrazione talmente alta da eliminare un gettito netto per lo Stato. Ma ciò equivarrebbe alla totale abolizione delle imposte (Cottarelli, Melis).
In ogni caso, un’azione più efficace di contrasto all’evasione fiscale non può derivare tuttavia da un aumento indiscriminato degli oneri amministrativi per i contribuenti. È molto più semplice mirare a un uso efficace degli strumenti digitali aumentando l’automazione negli adempimenti ed eliminando sacche di inefficienza e di manualità che oggi generano ritardi inaccettabili per la dinamicità del mondo produttivo (AssoSoftware).
Sempre con riferimento alla lotta all’evasione, specifiche proposte sono state formulate da alcuni rappresentanti sindacali che ritengono necessario, in particolare:
? l’istituzione di istituita un’authority nazionale antievasione;
? rendere più efficaci e mirati gli accertamenti, per evitare che il sistema fiscale sottoponga ad accertamenti contribuenti falliti o finti nullatenenti;
? l’incrocio tutte le banche dati della pubblica amministrazione;
? l’ampliamento del contrasto di interessi per i servizi alle famiglie;
? la tracciabilità di tutti i pagamenti, un efficace piano cashless, peraltro recentemente varato, attraverso l’utilizzo e l’incentivo della moneta elettronica (anche CGIL);
? la trasmissione automatica di tutte le transazioni all’anagrafe fiscale;
? l’estensione del sistema della ritenuta alla fonte anche per i redditi da lavoro autonomo, implementando strumenti che consentano il versamento diretto dell’Iva;
? stabilire che tutti i redditi dichiarati siano controllati almeno una volta ogni 5 anni;
? valorizzare e rafforzare il ruolo dei centri di assistenza fiscale come strumenti innovativi del sistema e di semplificazione per il cittadino e contribuente;
? elevare a rango costituzionale lo Statuto dei diritti del contribuente (Organizzazioni sindacali, Lapet, INT, UNCAT);
? previsione di un contributo aggiuntivo da applicarsi agli accertamenti definitivi, da calcolare sulla base degli imponibili evasi (INT);
? incentivare il contrasto di interessi attraverso una detrazione del 25% sino a 5.000 euro relativo alle spese della quotidianità pagate con sistemi tracciati e certificati da fattura o scontrino parlante (INT);
? stimolare il contributo alla lotta all’evasione da parte degli enti locali, Regioni e Comuni (Ghiselli).
In questa direzione, si auspica un ulteriore impulso all'introduzione di obblighi e incentivi alla digitalizzazione dei pagamenti (Guardia di finanza).
Con specifico riferimento all’azione antievasione, si propone di introdurre un third party reporting, in capo a diversi soggetti, affinché i dati della dichiarazione fiscale non siano esclusivamente autodichiarati, ma confrontati in automatico con i dati comunicati da terze parti (clienti, fornitori, intermediari finanziari), ipotizzando ritenute (anche parziali) alla fonte, ad esempio in collaborazione con il sistema bancario (CGIL).
Con riguardo all’accertamento, si propone un’estensione dell’obbligo del contraddittorio preventivo tramite invito a comparire da parte dell’Amministrazione finanziaria anche agli avvisi di accertamento parziale e ai procedimenti riguardanti le imposte di registro, sulle successioni e donazioni ed ipotecarie e catastali. Si rileva inoltre l’opportunità di sancire, con norma di legge, la possibilità di prestare parziale acquiescenza agli avvisi di accertamento. Occorre inoltre definire termini perentori entro cui l’Amministrazione finanziaria è tenuta a rispondere alle istanze di autotutela presentate dai contribuenti (Leo).
Si auspica inoltre una adeguata professionalizzazione dell’apparato amministrativo, che sia aperto all’innovazione e fortemente orientato all’incremento della compliance, in grado di sviluppare il dialogo con i contribuenti quantomeno nei tempi che precedono l’effettuazione degli adempimenti periodici. Si auspica inoltre, nell’ottica di controllo ex post delle posizioni fiscali, il potenziamento e la qualificazione degli apparati preposti all’accertamento e alla riscossione, da dotare di strumenti normativi meno macchinosi e complessi, in modo tale da rendere efficace ed effettiva la reazione cogente dello Stato nei confronti di coloro che deliberatamente si sottraggono all’obbligo fiscale (Corte dei Conti).
Con riferimento ai controlli, è stato osservato che la polarizzazione sul regime di ricchezza registrata rappresenta una gestione “alla rovescia” rispetto a quella che si dovrebbe avere con controlli valutativi diffusi volti a far avvertire la presenza del fisco sul territorio (Lupi).
Si propone una revisione della riscossione coattiva con riguardo ai seguenti aspetti:
- riduzione del cd. magazzino, che contiene cartelle di pagamento riferite a ruoli affidati dagli enti creditori dal 2000 al 2020, di cui una rilevante parte riguarda crediti risalenti nel tempo e ormai non più riscuotibili (Confesercenti, Lapet);
- determinazione dell’aggio pagato all’Agente della riscossione, che potrebbe essere posto a carico della fiscalità generale anziché del debitore;
- armonizzazione degli interessi;
- ampliamento (Assosoftware) e razionalizzazione delle diverse forme di rateizzazione (Agenzia Entrate, Leo);
- maggiore elasticità negli istituti rilevanti nei momenti precedenti all’iscrizione a ruolo, quali gli avvisi bonari ed al termine di pagamento rateizzato degli stessi (Leo);
- una qualificazione legislativa del ruolo come titolo esecutivo autoprodotto, espressamente equiparabile agli altri titoli esecutivi previsti nel nostro ordinamento (Leo);
- l’incentivazione delle nuove forme digitali di comunicazione digitale, ai fini di notifica;
- con riferimento alle cartelle, la possibilità di rateizzare quanto dovuto già dal momento della notifica delle stesse (Leo);
- l’eliminazione della riscossione provvisoria in pendenza di giudizio fino all’esito del primo grado (Leo).
Si segnala infine che, con riguardo alla documentazione fiscale, l’uso della documentazione contabile per determinare i presupposti d’imposta (redditi, consumi, patrimonio) appare efficiente in caso di documentazione pre-esistente. Viceversa, l’introduzione della contabilità fiscale nelle imprese di minori dimensioni (piccolo commercio, artigianato, organizzazioni a gestione padronale) non sembra aver risolto il problema della determinazione dei presupposti d’imposta non altrimenti determinabili. Ciò ha comportato la creazione di regimi fiscali sostitutivi e la esternalizzazione dell’imposizione su terzi strutturati (sostituti d’imposta, banche, grande distribuzione, professionisti), con conseguenti complicazioni a fini antievasivi (Lupi).
Secondo alcuni auditi andrebbe comunque, e in primo luogo, ristabilito un adeguato livello di tax morale nei contribuenti, tenendo conto del fatto che il contribuente adempie essenzialmente in quanto intende contribuire alla collettività di cui fa parte, ma lo fa nel presupposto che quel suo contributo sia effettivamente destinato alla collettività in modo efficace ed efficiente. Si segnala, tuttavia, che il costo degli strumenti più moderni per combattere l’evasione – dichiarazioni telematiche, pagamenti telematici, fatturazione elettronica, compilazione di modelli informativi di ogni genere e tipo – è stato sistematicamente posto a carico, anche economico, del contribuente e dei professionisti, sempre più ausiliari del Fisco e sempre meno dediti a quello che dovrebbe essere il loro compito naturale di assistere l’impresa nel suo percorso gestionale ed organizzativo (Melis).
Appare fondamentale semplificare e razionalizzare il quadro normativo, per garantire certezza nell’applicazione delle norme e coerenza dell’impianto impositivo, nonché per assicurare che il sistema tributario sia percepito come equo, affidabile e trasparente e, infine, per ridurre l’elevato contenzioso in materia di Irpef, che rappresenta oltre un quinto del totale (Bankitalia, Agenzia Entrate, Corte dei Conti, AMT, UGT, Rossi, Confcommercio, Organizzazioni sindacali, CNF, ANCOT, Corasaniti, Assonime, ANCE, Forum associazioni familiari).
Anche per rendere efficace la lotta all’evasione, si suggerisce di introdurre misure volte a favorire la semplificazione del sistema, correlato ad una necessaria chiarezza, comprensibilità e stabilità normativa nel tempo, attraverso misure all’interno delle quali il Legislatore possa attuare le diverse politiche economiche senza la necessità di modificare con estrema frequenza le regole fiscali per i cittadini e le imprese, anche per evitare che gli operatori del settore debbano costantemente adattarsi alle continue modifiche dei perimetri normativi (Agenzia Entrate, AMT, UPB, UGT, Confesercenti, ANCE).
In particolare, si auspica che le norme modificative contengano la nuova versione del testo risultante, evitando il frequente richiamo ad altre disposizioni, a volte non circostanziato mediante il ricorso alla formula "ove compatibili" riferita alla loro applicabilità. Appare inoltre necessario evitare di affidare all'amministrazione finanziaria il compito di interpretare norme tributarie, in quanto solo con testi chiari e comprensibili è possibile ridurre la difficoltà interpretativa e il contenzioso (CNF, Confesercenti, Assonime).
Per garantire la certezza del diritto occorre inoltre evitare le violazioni dello Statuto dei diritti del contribuente e delle imprese, a partire dalla retroattività di alcune norme tributarie, nonché le modifiche di sistema introdotte nella legge di bilancio soprattutto attraverso norme ordinamentali (Confesercenti, Assonime, Basilavecchia, Savorana);
A tal fine occorrerebbe predisporre un unico codice tributario (Leo, Confartigianato, CNDCEC, ANCOT, AssoHolding)., composto idealmente da tre libri: il primo dedicato agli schemi generali di applicazione di tutti i tributi (controlli, accertamento, riscossione, sanzioni) (Leo), in cui far confluire anche lo Statuto dei diritti del contribuente; il secondo riservato agli aspetti sostanziali dei singoli tributi, il terzo relativo al processo tributario. Si propone il riordino di tutte le disposizioni fiscali per tipologia di soggetto, nonché l’accorpamento dei tributi che fanno riferimento alla medesima base imponibile (Confesercenti). Il consolidamento, vale a dire il mero riordino in testi unici compilativi delle norme esistenti, senza modifiche sostanziali, avrebbe un effetto positivo in termini di certezza e chiarezza; esso potrebbe fornire anche indicazioni per la riforma del sistema, mettendo in evidenza incoerenze e duplicazioni di regole e istituti e ponendo le basi per una razionalizzazione delle disposizioni esistenti (Bankitalia).
La codificazione della normativa esistente migliorerebbe sensibilmente il rapporto fisco-contribuente e ridurrebbe in modo significativo i costi di compliance. (Guardia di finanza)
Occorre riordinare anche i testi legislativi che regolano la riscossione, definendo, in maniera puntuale, quelli che attengono alla riscossione volontaria e quelli che si riferiscono, viceversa, a quella a mezzo ruolo e coattiva (Leo).
Si propone inoltre di elevare a norma costituzionale lo Statuto del contribuente e lo Statuto delle imprese, nonché a garantire la concreta irretroattività delle disposizioni tributarie (Bankitalia, Rossi, Leo, Confartigianato, Lapet, ANCOT, Assonime, Savorana).
Occorre ridurre il moltiplicarsi di norme che disciplinano le imposte sui redditi, ma che non sono contenute nel TUIR, quali, ad esempio, le norme concernenti le detrazioni per ristrutturazione/riqualificazione energetica, la cedolare secca sugli affitti, le locazioni brevi, la tassazione dei redditi di capitale, le addizionali comunali e regionali, i crediti di imposta commissioni POS e, più in generale, tutte le agevolazioni inserite in testi normativi che si aggiungono, in quanto norme speciali o comunque complementari, al TUIR. L’asistematicità dell’ordinamento fiscale è una delle principali cause delle condotte antigiuridiche (Agenzia delle entrate).
La qualità della legislazione tributaria presenta profili di criticità non solo in relazione alla produzione delle norme, ma anche per il loro stato attuale. La nostra Costituzione contiene un limite alla legislazione tributaria ed è l’esclusione da referendum delle questioni tributarie. A livello di norme ordinarie vi è poi l’articolo 4 dello Statuto del contribuente, che vieta di usare il decreto legge per istituire nuovi tributi o per estendere tributi esistenti ad altri soggetti passivi. Tale divieto potrebbe essere esteso a tutti i casi in cui risulti necessaria una più approfondita elaborazione e discussione delle proposte di modifica del sistema (Bankitalia).
Il sistema fiscale dovrebbe essere un insieme coerente di istituti, prescrizioni e procedure, basato su principi economici chiari, e costruito al fine di ottenere il gettito desiderato nella maniera più efficiente possibile, cercando di minimizzare i costi amministrativi e le distorsioni economiche ed evitando ogni discriminazione ingiustificata tra contribuenti (Visco).
Al riguardo è stato rilevato come, sul versante della semplificazione degli adempimenti per il contribuente, l’introduzione della dichiarazione precompilata stia progressivamente consentendo un significativo snellimento delle procedure. Il numero delle dichiarazioni precompilate presentate è passato da 1,4 milioni nel 2015 a 3,9 milioni del 2020. La disponibilità di informazioni precaricate anche per alcune spese detraibili ha consentito a oltre il 20 per cento dei contribuenti di inviare il modello senza effettuare modifiche (UPB).
Di segno opposto è stata l’opinione di altri auditi, i quali ritengono che il 730 precompilato non abbia sortito i desiderati effetti di semplificazione, richiedendo nella stragrande maggioranza dei casi l’intervento di professionisti o di Caf (Lapet).
In ogni caso, anche se si decidesse di non semplificare il sistema, sarebbe opportuna la predisposizione di un Testo unico sull'Irpef col fine, per lo meno, di facilitare la consultazione normativa, attualmente molto complessa (Cottarelli, Carpentieri, Ordine dei consulenti del lavoro). Alcuni auditi propongono, al di là della riforma in sé e in generale, di sburocratizzare e alleggerire gli adempimenti fiscali sia a carico delle persone fisiche sia a carico degli imprenditori (CNA, Confapi). Ciò consentirebbe anche di ridurre il peso di quella anomalia, crescente negli ultimi anni, consistente nell'accollare ai contribuenti l'onere di adempimenti formali propedeutici all'attività di controllo dell'Amministrazione finanziaria. In particolare sarebbe opportuno eliminare gli obblighi di comunicazione dei dati all'Agenzia delle entrate finalizzati ai controlli (CNA).
Il modello esistente non sembra del tutto adeguato all’importanza che la giustizia tributaria ha per il funzionamento del sistema economico, oltre che fiscale, e all’evoluzione dell’ordinamento tributario verso regole di compliance sempre più imperniate sulla collaborazione e sulla parità tra fisco e contribuente. Esso può generare incertezza sull’applicazione delle regole fiscali, riducendo la propensione agli investimenti delle imprese e condizionandone le scelte di localizzazione in Italia. Nel quadro di una possibile riforma della giustizia tributaria, alcuni tratti del modello attuale non presentano criticità (ad esempio, la giurisdizione delle Commissioni tributarie, quali organi dedicati, per la natura di “massa” e l’elevata specializzazione tecnica del contenzioso tributario); altri aspetti dovrebbero invece essere oggetto di riflessione: tra questi, l’organico e i processi di selezione dei giudici. (Banca d’Italia, UNCAT).
È auspicabile una riforma della giustizia tributaria, per orientarne l’organizzazione e l’attività non solo alla risoluzione delle numerose liti, ma anche alla prevenzione delle stesse mediante una giurisprudenza qualificata, omogenea e costante, che potrebbe essere favorita anche dalla professionalizzazione dei giudici tributari. (Agenzia Entrate, Leo, Confindustria, UIL, Anti, Lapet, UNCAT, Dipartimento finanze MEF). La auspicabile riforma della giustizia tributaria dovrebbe garantire l’indipendenza del giudice tributario mediante la sua trasformazione da giudice speciale a giudice a tempo pieno, professionalmente competente, non più dipendente dal MEF (Leone, Corasaniti, Assonime, ANASF).
La riduzione del contenzioso fiscale potrebbe avvenire in più fasi, con una fase iniziale di vera e propria tregua fiscale e una successiva revisione dei meccanismi amministrativi e giudiziari di risoluzione delle liti (UGL).
Tra le proposte più specifiche si evidenziano le seguenti (Leo):
§ affidamento delle controversie tributarie di valore non superiore 50.000 euro, nonché le liti catastali al giudice tributario in composizione monocratica;
§ revisione dell’istituto del reclamo-mediazione affidando la mediazione a strutture autonome rispetto a quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili, mantenendo le valutazioni in capo all’Amministrazione finanziaria; si auspica l’individuazione di un organo super partes, come avviene nel processo civile;
§ potenziamento dell’istituto della conciliazione giudiziale, da rendere esperibile anche nel giudizio pendente innanzi alla Corte di Cassazione, con finalità deflative del contezioso;
§ eliminazione della norma che permette l’esclusione dalla partecipazione a gare d’appalto in presenza di obblighi di pagamento non definitivamente accertati, con soglia di irregolarità fissata in 5.000 euro;
§ ridimensionamento delle presunzioni tributarie che fissano un elemento della fattispecie erariale che si consolida a condizione che il contribuente non fornisca la prova di un fatto o una circostanza incompatibile con l'elemento presunto. Vi sarebbero in particolare alcune presunzioni che addebitano al contribuente la dimostrazione negativa di un fatto attraverso una prova estremamente difficile (CNF);
§ introduzione della prova testimoniale nel processo tributario (CNF);
§ rinforzo del sistema di mediazione e affidamento a giudici tributari o a una "parte terza" (ANCOT) piuttosto che alla stessa amministrazione finanziaria (CNF).
§ rivedere la disciplina dei termini processuali ordinatori e perentori, al fine di rafforzare la parità delle parti in un giudizio impugnatorio come quello tributario ove è sempre il contribuente ad avere l’onere di proporre il ricorso in primo grado avverso l’atto impo-esattivo. Inoltre, al pari di quanto di quanto già previsto nell’ambito del codice del processo amministrativo, si potrebbe valutare, limitatamente a casi specifici, l’ipotesi di ammettere la prova testimoniale nel giudizio tributario (Dipartimento finanze MEF).
Con riferimento alla rappresentanza in giudizio, è stato richiesto di estendere anche ai consulenti tributari e ai tributaristi la rappresentanza del contribuente presso le commissioni tributarie (Ancit, ANCOT).
Con specifico riferimento al versante sanzionatorio, andrebbe valutato un intervento di riordino volto a dare maggiore coerenza sistematica alle numerose modifiche normative succedutesi nel tempio, sia sul piano amministrativo sia su quello penale. Si segnalano in particolare le seguenti criticità: (Guardi di finanza)
§ in materia di sanzioni amministrative, la convivenza tra il modello "personalistico" e quello "risarcitorio";
§ principio del ne bis in idem, che le Corti europee hanno concordemente ricollocato sul piano della necessaria proporzionalità del trattamento punitivo risultante in seguito all'applicazione delle sanzioni penali e amministrative;
§ necessità di estendere anche al comparto dell'imposizione diretta delle misure recentemente introdotte, limitatamente ai reati in materia di IVA, con il recepimento della direttiva sulla tutela degli interessi finanziari dell'Unione (c.d. "direttiva PIF");
§ problematico rapporto tra i reati dichiarativi e il sistema di tassazione per trasparenza.
§ Alcuni auditi hanno sottolineato la necessità di un inasprimento delle sanzioni per gli evasori (Ati).