Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Finanze
Titolo: Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112, recante revisione della disciplina in materia di impresa sociale
Riferimenti: SCH.DEC N.19/XVIII
Serie: Atti del Governo   Numero: 19
Data: 19/04/2018
Organi della Camera: COMMISSIONE SPECIALE PER L'ESAME DEL DOCUMENTO DI ECONOMIA E FINANZA E DI ALTRI ATTI URGENTI DEL GOVERNO


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Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112, recante revisione della disciplina in materia di impresa sociale

19 aprile 2018
Atti del Governo


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Nel maggio 2014 il Governo ha predisposto le Linee guida per la riforma del Terzo settore formulando i criteri per una revisione organica della legislazione riguardante il volontariato, la cooperazione sociale, l'associazionismo non-profit, le fondazioni e le imprese sociali.

Con la legge 6 giugno 2016, n. 106 è stata conferita una delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale. La riforma è stata attuata con l'emanazione dei seguenti decreti:

Lo schema in esame reca disposizione integrative e correttive del decreto legislativo n. 112 del 2017, in tema di impresa sociale, ai sensi dell'articolo 1, comma 7, della legge delega n. 106 del 2016, il quale prevede la possibilità di adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive, nel rispetto dei principi e criteri direttivi e della procedura previsti per l'esercizio della delega.

L'esigenza di apportare correzioni alla nuova normativa sulla impresa sociale è emersa nel corso di incontri del Governo con attori istituzionali (Commissione politiche sociali della Conferenza Stato – Regioni, Amministrazione finanziaria, rappresentanti del Notariato) e a seguito di riunioni con il Consiglio nazionale del Terzo settore. Le questioni emerse, oggetto dell'intervento in esame, riguardano:

  • l'aggiornamento del calcolo della quota di lavoratori qualificati come "molto svantaggiati" dipendenti dell'impresa sociale;
  • l'esplicitazione della disciplina applicabile in materia di cooperative, con specifico riguardo ai ristorni ed alle operazioni straordinarie;
  • il rapporto tra imprese sociali e pubbliche amministrazioni: il divieto per queste ultime di assumere la direzione, il coordinamento o il controllo di un'impresa sociale potrebbe risultare impeditivo dell'acquisto della qualifica di impresa sociale per quegli enti privati (ex IPAB) per i quali la preposizione alla presidenza dell'organo di amministrazione di un rappresentante della P.A. non è associata ad un effettivo potere di direzione;
  • l'adeguamento degli statuti delle imprese sociali alle novità legislative con la maggioranza prevista per l'assemblea ordinaria, che non dovrebbe essere utilizzata per approvare ulteriori modifiche non richieste;
  • la previsione di forme di collaborazione tra le diverse amministrazioni competenti in materia di controlli sulle imprese sociali;
  • la previsione di un limite temporale volto a circoscrivere le agevolazioni fiscali sugli investimenti a favore delle imprese sociali, unitamente al ridotto limite temporale di mantenimento dell'investimento.

La normativa vigente

Il decreto legislativo n. 112 del 2017 ha operato la revisione della disciplina dell'impresa sociale, ente del Terzo settore, a cui si applicano anche le norme, se compatibili, del Codice del Terzo settore (decreto legislativo n. 117 del 2017), nonché, per gli aspetti che rimangono ancora non disciplinati, le disposizioni del Codice civile concernenti la forma giuridica in cui l'impresa sociale è costituita (art. 1, comma 5, del decreto legislativo n. 112 del 2017). Si segnala il relativo Dossier predisposto dal Servizio Studi.

Nella nuova disciplina, che ha sostituito la precedente contemplata dal decreto legislativo n. 155 del 2006, si prevede che possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutti gli enti privati che esercitano in via stabile e principale un'attività d'impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, adottando modalità di gestione responsabili e trasparenti e favorendo il più ampio coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e di altri soggetti interessati alle loro attività. Non possono acquisire la qualifica di impresa sociale le società costituite da un unico socio persona fisica, le amministrazioni pubbliche (incluse le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni e gli enti locali e loro consorzi e associazioni, tutti gli enti pubblici non economici, nazionali regionali locali), e gli enti i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l'erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci o associati. Agli enti religiosi civilmente riconosciuti le norme del decreto legislativo n. 112 del 2017 si applicano a particolari condizioni, mentre non si applicano alle fondazioni di origine bancaria. Le cooperative sociali e i loro consorzi acquisiscono di diritto la qualifica di imprese sociali: ad esse le disposizioni del decreto si applicano nel rispetto della normativa specifica delle cooperative ed in quanto compatibili (articolo 1).

Rispetto alla previgente disciplina dell'impresa sociale è stato allargato il perimetro dei settori di attività dell'impresa sociale. Di nuova introduzione sono, fra le altre, le attività ascrivibili a: ricerca scientifica di particolare interesse sociale; organizzazione e gestione di attività culturali, turistiche o ricreative di particolare interesse sociale; riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata; alloggio sociale; microcredito; agricoltura sociale (articolo 2).

Quale ente del Terzo settore, l'impresa sociale non può avere come scopo principale quello di distribuire ai propri soci, amministratori e dipendenti gli utili ed avanzi di gestione, i quali devono essere destinati allo svolgimento dell'attività statutaria o ad incremento del patrimonio. In deroga al generale divieto, il decreto legislativo n. 112 del 2017  (articolo 3) - innovando rispetto alla disciplina previgente - consente la distribuzione di una quota degli utili e degli avanzi di gestione annuali. Tale quota deve comunque essere inferiore al cinquanta per cento degli utili e avanzi complessivi, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti. La distribuzione è ammessa per le imprese sociali costituite in forma di società solo nelle seguenti modalità:

  • aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato dai soci, nei limiti delle variazioni dell'indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati, calcolate dall'ISTAT per il periodo corrispondente a quello dell'esercizio sociale in cui gli utili e gli avanzi di gestione sono stati prodotti;
  • distribuzione di dividendi ai soci, anche mediante aumento gratuito del capitale sociale o l'emissione di strumenti finanziari, in misura comunque non superiore all'interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato.

Per quanto riguarda le scritture contabili (articolo 9), le imprese sociali hanno l'obbligo di:

  • tenere il libro giornale e il libro degli inventari;
  • redigere e depositare presso il registro delle imprese il bilancio di esercizio redatto, a seconda dei casi, anche in forma abbreviata;
  • depositare presso il registro delle imprese e pubblicare nel proprio sito internet il bilancio sociale.

Il decreto prevede disposizioni dirette a favorire il coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e degli stakeholders di riferimento (articolo 11). Tali disposizioni non si applicano alle cooperative a mutualità prevalente e agli enti ecclesiastici. Il coinvolgimento si attua attraverso strumenti di consultazione o partecipazione, onde esercitare un'influenza sulle decisioni dell'impresa sociale, con specifico, ma non esclusivo, riguardo alle condizioni di lavoro ed alla qualità dei beni e servizi prodotti o scambiati.

Per quanto riguarda la disciplina del lavoro, il decreto ribadisce il principio della non inferiorità del trattamento economico e normativo dei lavoratori dell'impresa sociale rispetto a quanto previsto dai contratti collettivi. Tra i lavoratori dipendenti dell'impresa sociale non vi può essere un divario salariale superiore al rapporto di uno ad otto, calcolato sulla retribuzione annuale lorda. È ribadita l'ammissione della prestazione di attività di volontariato all'interno dell'impresa sociale, ma il numero dei volontari non può superare il numero dei lavoratori (articolo 13).

Le imprese sociali possono destinare una quota non superiore al tre per cento degli utili netti annuali, dedotte eventuali perdite maturate negli esercizi precedenti, a fondi istituiti dagli enti e dalle associazioni (anche enti associativi riconosciuti), nonché dalla Fondazione Italia Sociale, specificamente ed esclusivamente destinati alla promozione e allo sviluppo delle imprese sociali attraverso azioni ed iniziative di varia natura, quali il finanziamento di progetti di studio e di ricerca in tema di impresa sociale o di attività di formazione dei lavoratori dell'impresa sociale, la promozione della costituzione di imprese sociali o di loro enti associativi, o il finanziamento di specifici programmi di sviluppo di imprese sociali o di loro enti associativi (articolo 16).

Per quanto riguarda le disposizioni fiscali (articolo 18), al fine di promuovere lo sviluppo delle imprese sociali, sono previste:

  • la defiscalizzazione degli utili se investiti per intero nell'attività dell'impresa sociale;
  • la detrazione IRPEF del 30 per cento delle somme investite dai privati (fino ad un milione di euro) in imprese sociali costituite da non più di tre anni e mantenute per un limite di tre anni;
  • la deduzione IRES del 30 per cento sulle somme investite da imprese (nel limite di 1,8 milioni di euro) in imprese sociali costituite da non più di tre anni e mantenute per almeno tre anni.

Si evidenzia che l'efficacia delle misure previste dagli articoli 16 e 18, in quanto possibili aiuti di Stato, è subordinata all'autorizzazione della Commissione europea ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'UE (articolo 18, comma 9). Al momento non risulta pervenuta l'autorizzazione da parte della Commissione.

Con una modifica al Testo unico dell'intermediazione finanziaria (TUF, decreto legislativo n. 58 del 1998) è stato inoltre prevista la possibilità per le imprese sociali di accedere alla raccolta di capitali di rischio tramite portale on-line (c.d. equitycrowdfunding).

 

Lo schema di decreto

L'articolo 1 dello schema di decreto precisa che il decreto legislativo n. 112 del 2017, recante revisione della disciplina in materia di impresa sociale, è modificato e integrato dalle disposizioni del provvedimento in esame e che, per quanto non disciplinato dal decreto, restano ferme le disposizioni già vigenti.

L'articolo 2, modificando l'articolo 2, comma 5, del decreto legislativo n. 112 del 2017, dispone l'aggiornamento del calcolo della quota di lavoratori qualificati come molto svantaggiati dipendenti dell'impresa sociale.

La norma vigente prevede che, ai fini della possibilità di acquisire la qualifica di impresa sociale, si considera comunque di interesse generale l'impresa che impiega alle sue dipendenze una percentuale non inferiore al 30 per cento di lavoratori molto svantaggiati e di persone svantaggiate o con disabilità, beneficiarie di protezione internazionale e persone senza fissa dimora iscritte nell'apposito registro dell'anagrafe. Ai fini del computo della percentuale del 30 per cento i lavoratori molto svantaggiati non possono essere considerati per più di un terzo.

Con la modifica in esame si aggiunge che, ai fini del computo della percentuale, i lavoratori molto svantaggiati non possono essere valutati come tali per più di 24 mesi dall'assunzione.

Nella relazione governativa si motiva questa limitazione nel fatto che la loro situazione di svantaggio non è permanente, sicché, in assenza del suddetto termine finale, l'impresa sociale di inserimento lavorativo sarebbe stata tale una volta e per tutte, pur non avendo più alle sue dipendenze lavoratori che potessero considerarsi svantaggiati, in ragione della permanenza del rapporto di lavoro da più di 2 anni. L'appartenenza alla categoria dei lavoratori molto svantaggiati, infatti, è correlata alla mancanza da almeno 24 mesi di un impiego regolarmente retribuito oppure da almeno 12 mesi per specifiche categorie.  

L'articolo 3 prevede che non costituiscono distribuzione vietata di utili i ristorni assegnati ai soci di una impresa sociale costituita in forma di società cooperativa. La norma (nuovo comma 2-bis dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 112 del 2017) fa riferimento all'articolo 2545-sexies c.c. il quale demanda all'atto costitutivo della società cooperativa la determinazione dei criteri di ripartizione dei ristorni ai soci proporzionalmente alla quantità e qualità degli scambi mutualistici.

I ristorni, disciplinati con la riforma del diritto societario del 2003, si differenziano dai dividendi (distribuiti in funzione del capitale conferito), in quanto costituiscono uno strumento per attribuire ai soci il vantaggio mutualistico derivante dai rapporti di scambio intrattenuti con la cooperativa, sotto forma di restituzione di una parte del prezzo dei beni e dei servizi dagli stessi acquistati o di maggiore compenso per i conferimenti effettuati.

L'articolo 4 integra il comma 3, dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 112 del 2017, al fine di consentire alle ex IPAB privatizzate la possibilità di esercitare attività di direzione e coordinamento o detenere il controllo di un'impresa sociale. In particolare la norma esclude dal divieto di direzione o controllo di imprese sociali (previsto per i soggetti aventi scopo di lucro e le amministrazioni pubbliche) le associazioni o fondazioni di diritto privato derivanti dai processi di trasformazione delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB), ai sensi del D.P.C.M. 16 febbraio 1990 e del decreto legislativo n. 207 del 2001.

Si ricorda che la Corte costituzionale con la sentenza n. 161/2012 si è pronunciata sulla natura delle IPAB, e conseguentemente delle Aziende pubbliche di servizi alla persona (ASP, costituite a seguito di trasformazione delle IPAB). La Corte ha affermato la peculiarità di tali enti caratterizzati dall'intrecciarsi di un'intensa disciplina pubblicistica con una notevole permanenza di elementi privatistici, il che conferisce ad esse una impronta assai peculiare rispetto ad altre istituzioni pubbliche.

La relazione governativa sottolinea che la nomina da parte della pubblica amministrazione degli amministratori degli enti privatizzati trova la sua ragione nelle scelte originariamente effettuate dai fondatori dei singoli enti, volta ad enfatizzare la rappresentanza della comunità territoriale, ma il rapporto che viene ad instaurarsi tra soggetto nominante e soggetto nominato si configura come mera designazione e non come mandato fiduciario con rappresentanza sicché i componenti dell'organo di amministrazione rappresentano la comunità territoriale e non il Comune quale ente pubblico istituzionale. L'insussistenza del rapporto di strumentalità tra la pubblica amministrazione e il soggetto ex IPAB privatizzato trova ulteriore conferma nell'assenza, al di là del potere di nomina, di ulteriori indici pubblicistici (revoca degli amministratori, sottoposizione del bilancio all'approvazione della P.A.).

L'articolo 5 integra l'articolo 12, comma l, del decreto legislativo n. 112 del 2017, in tema di trasformazione, fusione, scissione, cessione d'azienda e devoluzione del patrimonio, con l'inserimento di una clausola di salvaguardia della disciplina in tema di società cooperative, che già contiene alcune disposizioni (articoli 2545-decies e seguenti c.c.) dirette a garantire che le operazioni straordinarie avvengano nel rispetto delle finalità tipiche e dell'identità specifica dell'impresa sociale in forma cooperativa.

L'articolo 6 modifica l'articolo 13 del decreto legislativo n. 112 del 2017, in tema di rapporti di lavoro nell'impresa sociale. In primo luogo nella disposizione che vieta un divario salariale superiore al rapporto di uno ad otto tra i lavoratori si fa salvo quanto previsto dall'articolo 3, comma 2, lett. b). Tale disposizione considera una distribuzione indiretta di utili, in quanto tale vietata, la corresponsione di retribuzioni o compensi superiori del quaranta per cento rispetto a quelli previsti per le stesse qualifiche dai contratti collettivi, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale concernenti interventi e prestazioni sanitarie, formazione universitaria e post-universitaria, ricerca scientifica di particolare interesse sociale (richiamate lettere b), g) e h) dell'articolo 2). Pertanto per i lavoratori con specifiche competenze impiegati nelle richiamate attività non si applica il limite della differenza salariale non superiore al rapporto di uno ad otto.

Con il nuovo comma 2-bis dell'articolo 13, in analogia a quanto previsto dall'articolo 2, comma 5, della legge n. 381 del 1991 (disciplina delle cooperative sociali), si chiarisce che nelle imprese sociali l'azione dei volontari può essere utilizzata in misura complementare e non sostitutiva di quella dei lavoratori impiegati. Le prestazioni di attività di volontariato non concorrono alla determinazione dei costi di servizio, ad eccezione che per gli oneri connessi agli obblighi assicurativi.

L'articolo 7 eleva da 12 a 18 mesi il termine, dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 112 del 2017, entro il quale le imprese sociali già costituite devono adeguarsi alla nuova disciplina. In tal modo il termine viene allineato a quello previsto per gli altri enti del Terzo settore dall'articolo 101, comma 2, del decreto legislativo n. 117 del 2017.

La norma vigente consente alle imprese sociali, entro il suddetto termine, di modificare il proprio statuto con le modalità e le maggioranze previste per le deliberazioni dell'assemblea ordinaria. Con una modifica a tale disposizione si limita tale facoltà al solo fine di adeguare lo statuto alle nuove disposizioni inderogabili o di introdurre clausole che escludono l'applicazione di nuove disposizioni, derogabili mediante specifica clausola statutaria.

La relazione governativa afferma che tale delimitazione è finalizzata ad evitare che con delibera di assemblea ordinaria e con le relative maggioranze si possa approfittare degli adeguamenti alla nuova disciplina a scapito delle minoranze per approvare modifiche statutarie che la nuova normativa in realtà né impone né richiede, con il rischio, pertanto, di esporre la norma, se non modificata, al rischio di censure di incostituzionalità. L'integrazione in esame riprende analoga formulazione contenuta nell'articolo 223-bis delle disposizioni di attuazione del codice civile. Pertanto, le opzioni di modifica consentite riguardano, in caso di disposizioni inderogabili, il loro recepimento nello statuto e, in caso di disposizioni derogabili, l'introduzione della specifica clausola che ne esclude l'applicazione.

L'articolo 8 modifica l'articolo 18 del decreto legislativo n. 112 del 2017, il quale prevede misure fiscali e di sostegno economico.

Con la lettera a) sono sostituiti i primi due commi che prevedono, nella formulazione vigente, la non imponibilità degli utili e avanzi di gestione destinati a riserva indivisibile ed effettivamente destinati, entro due anni, allo svolgimento dell'attività statutaria, ad incremento del patrimonio e al versamento del contributo per l'attività ispettiva (comma 1). L'imponibilità è esclusa anche in caso di impiego degli utili o avanzi di gestione per l'aumento gratuito del capitale nei limiti delle variazioni ISTAT; rimangono sottoposte a tassazione le somme distribuite ai soci oltre il suddetto limite e le erogazioni eseguite a favore di altri enti del Terzo settore (comma 2).

Il nuovo comma 1 prevede la non imponibilità delle somme destinate al versamento del contributo per l'attività ispettiva e delle somme destinate a riserva. Si ricorda che, in base all'articolo 3, commi l e 2, del decreto legislativo n. 112 del 2017, le imprese sociali sono tenute, in generale, a destinare i propri utili o avanzi di gestione allo svolgimento dell'attività statutaria o all'incremento del patrimonio. Si prevede inoltre che l'utilizzazione delle riserve a copertura di perdite è consentita e non comporta la decadenza dal beneficio, sempre che non si dia luogo a distribuzione di utili fino a quando le riserve non siano state ricostituite (analogamente a quanto previsto dall'articolo 3, della legge n. 28 del 1999 per le società cooperative).

La precedente versione stabilisce che gli utili e avanzi di gestione non costituiscono reddito imponibile ai fini delle imposte dirette, a condizione che essi vadano a confluire in un'apposita riserva in sospensione d'imposta e che siano destinati, entro il secondo periodo d'imposta successivo a quello in cui sono conseguiti, all'attività statutaria o all'incremento del patrimonio. Tale destinazione deve risultare dalle scritture contabili. Un'altra ipotesi di detassazione è prevista per gli aumenti gratuiti di capitale sociale sottoscritto e versato dai soci entro i limiti delle variazioni dell'indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e di impiegati, calcolate dall'ISTAT per il periodo corrispondente a quello dell'esercizio sociale in cui gli utili e gli avanzi di gestione sono stati prodotti.

La relazione governativa sottolinea che con la nuova formulazione si evita di duplicare all'interno dell'articolo 18 il concetto di imputazione a riserva già desumibile dall'articolo 3, che si occupa di regolare l'assenza dello scopo di lucro nelle imprese sociali. Inoltre con la nuova formulazione risulta imponibile qualsiasi distribuzione di utili ai soci, anche qualora ciò avvenga sotto forma di aumento gratuito del capitale nei limiti delle variazioni ISTAT.

Il nuovo comma 2 esclude che le imposte sui redditi riferibili alle variazioni fiscali effettuate ai sensi dell'articolo 83 del TUIR possano, a loro volta, concorrere a formare il reddito imponibile per le imprese sociali (c.d. effetto "imposte su imposte", per cui le imposte sui redditi danno luogo a variazioni in aumento del reddito imponibile, in quanto non sono ammesse in deduzione ai sensi dell'articolo 99, comma 1, del TUIR, e, pertanto, rientrano nella base di calcolo dell'imposta sui redditi). Tale norma è applicabile solo se determina un utile o un maggior utile da destinare a incremento del patrimonio (non distribuibile ai soci).

Il reddito imponibile d'impresa viene determinato a partire dal risultato economico dell'esercizio (utile o perdita derivante dal bilancio "civilistico"), al quale vengono sommate o sottratte componenti che nella disciplina fiscale (art. 83 e seguenti del TUIR) hanno un diverso trattamento, per cui danno luogo a variazioni in aumento (vengono sommate) o in diminuzione (vengono sottratte) all'utile risultante dal conto economico. Fra le componenti che determinano variazioni in aumento vi sono le imposte sui redditi che, ai sensi dell'art. 99 del TUIR, non sono ammesse in deduzione. Pertanto esse concorrono a determinare il reddito complessivo (per questo si parla di imposte sulle imposte). La disposizione in esame esclude tale effetto disponendo che le imposte pagate sui redditi non diano luogo a variazione in aumento, condizionando tale beneficio al fatto che il conseguente utile sia destinato a incrementare il patrimonio piuttosto che ad essere distribuito fra i soci. La relazione governativa afferma che mediante questa clausola si intende dunque prevenire ogni possibile contestazione o dubbio interpretativo, evitando che l'importo dovuto a titolo di IRES in seguito a variazioni fiscali possa essere, a sua volta, tassato quale costo non ammesso in deduzione ed oggetto di ripresa in aumento.

Le lettere da b) a f) del comma 1 modificano la disciplina degli investimenti nel capitale delle imprese sociali (detrazione IRPEF e deduzione IRES). In particolare è precisato che:

  • gli investimenti agevolabili devono essere effettuati dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 112 del 2017;
  • la qualifica di impresa sociale deve essere acquisita da non più di cinque anni; in tal modo è inserito un limite temporale all'utilizzo delle agevolazioni fiscali sugli investimenti nelle imprese sociali;

la disciplina viene così allineata a quanto previsto dagli articoli 25-32 del decreto-legge n. 179 del 2012 sulle start-up innovative, misura già approvata da parte della Commissione europea.

La norma vigente prevede invece il vincolo della costituzione dell'impresa sociale nell'arco di trentasei mesi dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 112 del 2017: tale formulazione permetterebbe la fruizione dell'agevolazione sugli investimenti senza alcun limite temporale successivamente al decorso dei trentasei mesi previsti.

Si rammenta che gli articoli 16 (Fondo per la promozione e lo sviluppo delle imprese sociali) e 18 non sono ancora efficaci in quanto in attesa dell'autorizzazione della Commissione europea ai sensi della norma sugli aiuti di Stato (art. 108, par. 3, del TFUE);

  • il periodo minimo di detenzione dell'investimento per beneficiare delle agevolazioni (detrazione o deduzione) è elevato da tre a cinque anni, al fine di rafforzarne la stabilità nel tempo.

La lettera g) apporta una modifica di coordinamento legislativo. Alle imprese sociali non si applicano gli indici sintetici di affidabilità fiscale, disciplinati ora non più dall'articolo 7-bis del decreto-legge n. 193 del 2016, ma dall'articolo 9-bis del decreto-legge n. 50 del 2017, come modificato dalla legge n. 205 del 2017.

La lettera h) aggiunge due nuovi commi all'articolo 18. Il nuovo comma 8-bis disciplina lo scambio delle informazioni circa gli esiti dei controlli fiscali e civilistici, di competenza, rispettivamente, dell'amministrazione finanziaria e delle amministrazioni vigilanti (Ministero del lavoro e delle politiche sociale e Ministero dello sviluppo economico). Si prevede che, ai fini dell'applicazione dell'articolo 18, le amministrazioni vigilanti trasmettono all'amministrazione finanziaria gli esiti dei controlli di competenza, ai fini dell'eventuale assunzione dei conseguenti provvedimenti A seguito della propria attività di controllo, l'amministrazione finanziaria trasmette alle amministrazioni vigilanti ogni elemento utile ai fini della valutazione in merito all'eventuale perdita della qualifica di impresa sociale.

Il nuovo comma 8-ter precisa che la violazione delle norme contenute nell'articolo 18 comporta la decadenza delle agevolazioni e l'eventuale sottoposizione dell'impresa sociale alla gestione commissariale (disciplinata per le società cooperative dall'articolo 2545-sexiesdecies c.c.).

L'articolo 9 contiene la clausola di invarianza finanziaria: dall'attuazione del decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

L'articolo 10 dispone l'entrata in vigore delle norme il giorno successivo alla pubblicazione del decreto nella Gazzetta ufficiale.