Proposta di direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali 21 febbraio 2022 |
Indice |
|Finalità/Motivazione|Contesto|Contenuto|Base giuridica|Esame presso le Istituzioni dell'UE|Esame presso altri Parlamenti nazionali| |
Finalità/Motivazione
Il quadro normativo delineato dalla
proposta di direttiva è volto a garantire il
miglioramento della condizione giuridica, economica e sociale di quanti nell'UE prestino attività lavorativa attraverso piattaforme digitali (c.d.
platform workers), le quali intermediano e organizzano l'attività svolta da lavoratori subordinati o autonomi in favore di clienti terzi (imprese o consumatori).
L'esigenza di una razionalizzazione del fenomeno appare evidente ove si consideri la
crescente rilevanza in termini economici della cosiddetta "
economia delle piattaforme" (anche detta "economia collaborativa" o "
gig economy"). La Commissione europea stima che nell'UE siano
attive
oltre 500 piattaforme digitali, da cui dipendano
28,3 milioni di occupati (destinati a raggiungere la soglia dei 43 milioni entro il 2025), per lo più appartenenti alle
giovani generazioni, a fronte di ricavi pari a circa
20,3 miliardi di euro (quintuplicati nel quinquennio 2016-2020).
Si tratta peraltro di un fenomeno connotato da forte disomogeneità per quanto riguarda: la struttura societaria di tali piattaforme, che spaziano dalle grandi società operanti sui mercati internazionali alle piccole start-up locali; i settori economici interessati; le modalità di erogazione delle prestazioni lavorative, che può essere "
in loco" (es. consegna di prodotti alimentari, trasporto a chiamata) od
online (es. codifica di dati, servizi di traduzione).
Talune piattaforme digitali operano inoltre a livello
transfrontaliero. Sono spesso stabilite in un Paese, ma operano ricorrendo a persone stabilite altrove. Il 59% di tutte le persone che lavorano mediante piattaforme digitali nell'UE interagisce con clienti stabiliti in un altro Paese.
L'obiettivo perseguito dalla proposta si giustifica, inoltre, alla luce delle caratteristiche che connotano la
condizione di molti dei lavoratori operanti mediante piattaforme digitali: basti pensare che, secondo le stime della Commissione, il 55% percepisce una retribuzione netta inferiore al salario minimo orario previsto dalla legislazione del Paese ove svolga la propria attività lavorativa. In media, i
platform workers trascorrono 8,9 ore alla settimana svolgendo compiti non retribuiti (ad es. ricerca di compiti, attesa di incarichi) rispetto alle 12,6 ore che trascorrono svolgendo compiti retribuiti.
Tali criticità paiono ricollegabili, tra l'altro, all'
errata classificazione della situazione giuridica dei lavoratori operanti mediante piattaforme digitali. Oltre il 90% è considerato "lavoratore autonomo", ma non sempre lo è nei fatti.
Nell'analisi della Commissione, il rischio di errata classificazione è principalmente determinato dalla
mancanza di chiarezza normativa. Nessuno Stato membro ha finora affrontato completamente tale rischio e solo alcuni Stati membri (come Italia -
vedi infra, Spagna e Francia) hanno optato per una legislazione settoriale, concentrandosi sulle piattaforme di trasporto a chiamata e di consegna.
La mancanza di chiarezza normativa - continua l'analisi della Commissione - è aggravata dalla
giurisprudenza non consolidata in materia: vi sono state più di 100 sentenze e 15 decisioni amministrative in tutta l'Unione su casi di presunta errata classificazione nel lavoro tramite piattaforma, con esiti spesso contraddittori.
Tutto ciò considerato, secondo la prospettiva prescelta dalla Commissione europea, il raggiungimento dell'obiettivo di migliorare la condizione giuridica, economica e sociale dei
platform workers non può quindi prescindere:
Quanto al
primo aspetto, la proposta impone agli
Stati membri di
definire procedure che, guardando alle caratteristiche sostanziali della fattispecie (c.d.
principio del primato dei fatti), consentano di pervenire alla
corretta qualificazione della condizione giuridica del lavoratore come lavoratore subordinato o autonomo.
Del resto, il corretto inquadramento del rapporto che lega il lavoratore al "datore-piattaforma digitale" produce
conseguenze rilevanti quanto ai diritti e alle tutele previdenziali e assistenziali assicurate, ben più rilevanti in ipotesi di lavoro subordinato che in caso di lavoro autonomo.
Proprio in quest'ottica, si comprende
l'introduzione di una presunzione legale
iuris tantum in base alla quale, al ricorrere delle condizioni previste dalla direttiva, sintomatiche dell'esistenza di una forma di "controllo", il rapporto di lavoro si presume subordinato.
A tale presunzione,
operante in qualunque procedimento giudiziario o amministrativo nazionale, corrisponde
l'inversione dell'onere della prova: sarà il "datore-piattaforma digitale" a dover dimostrare l'insussistenza di una relazione di dipendenza ovvero a dover prestare assistenza al lavoratore che contesti la sussunzione entro la categoria del lavoro subordinato della propria condizione occupazionale.
Si prevede che, in applicazione di tali previsioni normative, da 1,72 a 4,1 milioni di persone potrebbero essere riqualificate come lavoratori subordinati.
A ciò potrebbe conseguire un miglioramento del trattamento giuridico, salariale e previdenziale riservato a questi ultimi ma, allo stesso tempo, un
incremento dei costi gravanti sulle piattaforme digitali (stimato in un incremento annuo fino a 4,5 miliardi di euro). Costi che potrebbero scaricarsi, almeno in parte, sulle imprese e i consumatori che fruiscono dei servizi forniti dalle piattaforme digitali ovvero tradursi in una compressione dei salari corrisposti dalle stesse, almeno lì dove i livelli retributivi superino il salario minimo.
A beneficiare dell'introduzione di un meccanismo volto alla corretta qualificazione della condizione occupazionale dovrebbero essere, peraltro, non solo i lavoratori legati da un rapporto di controllo-subordinazione con la "piattaforma-datore", ma anche i lavoratori realmente "autonomi"; ciò in quanto l'esigenza di scongiurare i rischi di riqualificazione dovrebbe indurre le piattaforme digitali ad adeguare le proprie prassi, con ricadute positive in termini di autonomia ed indipendenza dei lavoratori.
Il
secondo fronte su cui la proposta di direttiva intende intervenire è quello della "
gestione algoritmica". Le piattaforme di lavoro digitali si basano, difatti, su tecnologie che consentono una gestione automatizzata del lavoro, tanto ai fini dell'abbinamento della domanda e dell'offerta quanto del monitoraggio e della valutazione della prestazione, e che incidono in modo determinante sulla condizione del singolo lavoratore. L'obiettivo di garantire un effettivo miglioramento di tale condizione è perseguito, nella proposta della Commissione, attraverso tra l'altro:
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Contesto
Prima di entrare nel dettaglio dei contenuti della proposta, si riportano informazioni sintetiche sulle iniziative che hanno preceduto la sua presentazione, sul pertinente quadro normativo dell'UE e degli Stati membri e sulle dimensioni dell'economia delle piattaforme nell'UE. Per un approfondimento su queste tematiche, si veda la relazione sulla valutazione d'impatto (
SWD(2021)396) della Commissione, che accompagna la proposta di direttiva in oggetto, nonché uno studio, sempre a cura della Commissione europea, collegato alla valutazione.
La presentazione della proposta di direttiva è stata preceduta da una
consultazione, in due fasi (
prima e
seconda fase),
delle parti sociali europee che, nonostante una generale adesione alle finalità della direttiva, ha fatto emergere tuttavia posizioni diverse in merito alla necessità di un'azione concreta a livello dell'UE. I sindacati hanno chiesto un intervento di armonizzazione dell'Unione contenente misure ambiziose, mentre le organizzazioni datoriali hanno rilevato la necessità di intervenire a livello nazionale, caso per caso e nel quadro dei diversi sistemi nazionali di relazioni sociali e industriali.
Il
Parlamento europeo, circa tre mesi prima della presentazione della proposta, il 16 settembre 2021, ha approvato una
risoluzione (con 524 voti a favore, 39 contro e 124 astensioni) su condizioni di lavoro eque, diritti e protezione sociale per i lavoratori delle piattaforme.
Per affrontare la mancanza di certezza giuridica, la risoluzione
chiede un'inversione dell'onere della prova, con i datori di lavoro a dover dimostrare che non c'è un rapporto di lavoro. La risoluzione si oppone, tuttavia, a una classificazione automatica di tutti i lavoratori delle piattaforme: coloro che sono veramente lavoratori autonomi dovrebbero essere autorizzati a rimanere in tale posizione.
La risoluzione chiede anche un quadro europeo per garantire che i
platform workers abbiano lo stesso livello di protezione sociale dei lavoratori tradizionali della stessa categoria ed esprime preoccupazione per le cattive condizioni di lavoro che essi spesso affrontano che comporta maggiori rischi per la salute e la sicurezza, come incidenti stradali o lesioni causate da macchinari.
La risoluzione chiede infine
algoritmi trasparenti, non discriminatori ed etici, le cui decisioni possano essere contestate dai lavoratori e i cui processi siano sempre soggetti a supervisione umana.
Il
Governo italiano ha
accolto positivamente l'iniziativa della Commissione. Attraverso un
comunicato stampa, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha affermato che essa rappresenta un passo molto importante e una priorità che il Governo italiano è impegnato a promuovere a livello nazionale e in sede europea. Nello specifico, il comunicato osserva che la proposta
accoglie e dà supporto a due richieste italiane: 1) chiarire lo status dei lavoratori delle piattaforme, orientandosi a favore del riconoscimento di un rapporto dipendente; 2) dare centralità al tema dell'utilizzo di algoritmi e sistemi di intelligenza artificiale.
Occorre, altresì, ricordare come, già a fine novembre 2021, il Ministro del lavoro, unitamente ai rispettivi ministri di Belgio, Germania, Portogallo e Spagna e a diversi parlamentari europei e rappresentanti della Confederazione Europea dei Sindacati, aveva inviato una
lettera alla Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, per chiedere
un'ambiziosa iniziativa legislativa europea sul miglioramento delle condizioni dei lavoratori delle piattaforme digitali.
Nel richiedere tale ambiziosa iniziativa, in direzione di un lavoro tramite piattaforma digitale sostenibile, fondato su posti di lavoro di qualità e rispettoso dei diritti del lavoro, la lettera affermava tra l'altro che "i lavoratori delle piattaforme digitali non guadagnano nemmeno il salario minimo, o non sono coperti da contratti collettivi, non hanno ferie retribuite, sono esposti a rischi per la salute e la sicurezza, non hanno diritto a congedi per malattia retribuiti o ad alcuna protezione sociale".
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Il quadro normativo
La proposta di direttiva rappresenta
una delle iniziative
chiave del
piano d'azione sul Pilastro europeo dei diritti sociali. Si inserisce inoltre in un articolato pacchetto di misure, presentato contestualmente dalla Commissione europea, composto anche da:
Tali misure, unitamente alle iniziative legislative assunte dalla Commissione in materia di intelligenza artificiale e competenze digitali, dovrebbero contribuire alla sostenibilità dello
sviluppo di un'economia digitale,
evitando il rischio che quest'ultimo si traduca in un
peggioramento delle garanzie e dei diritti sociali e quindi proteggendo l'economia sociale di mercato europea.
L'acquis dell'UE in materia sociale e di lavoro
La Commissione ricorda che la
Carta dei diritti fondamentali dell'UE tutela e promuove un'ampia gamma di diritti del lavoro, tra cui il diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione all'interno dell'impresa (art. 27), il diritto alla contrattazione collettiva e a ricorrere ad azioni collettive per la difesa dei propri interessi, compreso lo sciopero (art. 28), la tutela in caso di licenziamento ingiustificato (art. 30) e il diritto a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose (art.31).
La Commissione ricorda, inoltre, che l'Unione ha creato una
base minima di diritti del lavoro che si applicano ai lavoratori in tutti gli Stati membri. Diversi strumenti giuridici dell'UE disciplinano le condizioni di lavoro, ad esempio sulle limitazioni all'orario di lavoro, sui rischi per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro e sulla mancanza di prevedibilità e trasparenza delle condizioni di lavoro, nonché sull'accesso alla protezione sociale. Tuttavia,
la maggior parte di essi riguarda
solo persone classificate come lavoratori subordinati, il che non è il caso di molti
platform workers. Inoltre, tali norme
non coprono le sfide specifiche connesse alla
gestione algoritmica nel contesto del lavoro tramite piattaforme digitali.
L'acquis dell'UE per il mercato interno
La Commissione ricorda, altresì, che l'acquis dell'UE per il mercato interno comprende leggi pertinenti per l'economia delle piattaforme, come il
regolamento generale (UE) 2016/679 sulla protezione dei dati e il
regolamento (UE) 2019/1150 sulle relazioni piattaforme/imprese. La Commissione europea ricorda di aver anche avanzato nuove proposte legislative di rilievo, come il pacchetto sul digitale, la
legge sui servizi digitali (
Digital Services Act), e la citata proposta di regolamento sull'intelligenza artificiale. Tuttavia, a giudizio della Commissione, non tutte le sfide individuate nel lavoro mediante piattaforme digitali sono affrontate in misura sufficiente da tali strumenti giuridici. Se da un lato affrontano la gestione algoritmica sotto alcuni aspetti, dall'altro gli strumenti non si concentrano in modo specifico sulla prospettiva dei lavoratori, le peculiarità del mercato del lavoro e i diritti collettivi dei lavoratori.
Per approfondimenti, si veda il
dossier di documentazione predisposto dall'Ufficio Rapporti con l'UE della Camera dei deputati sulla proposta di legge sui servizi digitali. Si ricorda, inoltre, che la IX Commissione (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni) della Camera dei deputati ha esaminato tale proposta, adottando, il 23 giugno 2021, un
documento conclusivo.
Iniziative nazionali
La Commissione si sofferma brevemente anche sulle
diverse iniziative nazionali adottate in materia, tra loro
non uniformi. Alcuni Stati membri (Grecia, Spagna, Francia, Italia e Portogallo) hanno adottato una legislazione interna mirata specificamente al miglioramento delle condizioni di lavoro e/o all'accesso alla protezione sociale nel lavoro tramite piattaforma. Tale legislazione ha comunque regolamentato principalmente alcuni settori specifici, ad es. i settori dei servizi di mobilità e
food delivery.
In altri Stati membri (Austria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Ungheria, Croazia, Lussemburgo, Romania, Slovacchia e Slovenia), i
platform workers potrebbero essere indirettamente interessati da una legislazione più ampia, non specificamente diretta a regolamentare la loro condizione. In altri (Germania, Lituania e Paesi Bassi) è in corso di discussione un intervento legislativo.
Inoltre, negli Stati membri sono state osservate oltre
100 decisioni giudiziarie e 15 decisioni amministrative riguardanti la situazione occupazionale dei
platform workers, con
esiti diversi, ma prevalentemente a favore della loro riclassificazione come lavoratori subordinati (per approfondimenti, si veda il
report "ECE,
Case Law on the Classification of Platform Workers: Cross-European Comparative Analysis and Tentative Conclusions, 2021").
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La normativa italiana (A cura del Servizio Studi)
Con particolare riferimento alla normativa italiana attualmente vigente, il D.L. n. 101/2019, modificando il D.Lgs. n. 81/2015, ha introdotto
norme specifiche a tutela del lavoro svolto mediante piattaforme digitali e, in particolare, dei lavoratori "dotati di mezzi propri di locomozione, che ricevono istruzioni su cosa e dove consegnare attraverso piattaforme digitali" (c.d.
riders).
La qualificazione del rapporto di lavoro di tali lavoratori - non potendosi individuare una soluzione
ex lege con valenza generale - è effettuata in funzione delle
caratteristiche e delle
modalità effettive di svolgimento del rapporto.
In dettaglio, la normativa riconosce
tutele differenziate a seconda che l'attività sia riconducibile alla nozione generale di
etero-organizzazione (ossia una prestazione "le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente") o a quella di
lavoro autonomo, ferma restando la possibilità che l'attività sia invece qualificabile quale prestazione di
lavoro subordinato ai sensi dell'art. 2094 del codice civile, qualora il lavoratore sia soggetto al potere direttivo, disciplinare e organizzativo della piattaforma.
L'ambito applicativo dei diversi regimi - l'etero organizzazione (art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015 ) oppure il lavoro autonomo (art. 47-
bis del medesimo D.Lgs.) - è delineato anche dalla circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
n. 17/2020 e dalla circolare dell'Ispettorato nazionale del lavoro
n. 7/2020.
Più in particolare, rientrano tra le
collaborazioni etero-organizzate alle quali si applica la c.d. presunzione di subordinazione (art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015) i rapporti di collaborazione che si concretizzano in prestazioni di lavoro
prevalentemente personali,
continuative e le cui
modalità esecutive siano
organizzate dal committente, anche mediante piattaforme digitali. In tale fattispecie, ai
riders
si estende la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, salvo che esistano accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale che prevedano discipline specifiche sul trattamento economico e normativo.
Qualora, invece, i
riders svolgano una
prestazione di carattere occasionale priva del carattere di continuità richiesto dall'art. 2, la disciplina di riferimento è quella relativa al
lavoro autonomo. Il citato D.L. n. 101/2019 ha, infatti, dettato una disciplina specifica per i
lavoratori autonomi che "svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l'ausilio di velocipedi o veicoli a motore, attraverso piattaforme anche digitali", inserita nel capo V-
bis del D.Lgs. n. 81/2015, dedicato alla "tutela del lavoro tramite piattaforme digitali".
Sulla base di tale disciplina, è riconosciuto al collaboratore un maggiore grado di autonomia decisionale in ordine alle modalità esecutive delle prestazioni.
A tali lavoratori il D.Lgs. n. 81/2015 riconosce un
pacchetto minimo di tutele, limitandosi a valorizzare taluni
indici ritenuti significativi (personalità, continuità, etero-organizzazione) sufficienti a giustificare l'applicazione della disciplina dettata per il rapporto di lavoro subordinato, esonerando da ogni ulteriore indagine il giudice che ravvisi la concorrenza di tali elementi.
A tale proposito, la Corte di cassazione, nella
sentenza n. 1663/2020, ha precisato che tale equiparazione risulta funzionale anche ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoratore subordinato, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di debolezza economica, operanti in una "zona grigia" tra autonomia e subordinazione, consentendo l'applicazione della normativa in tema di lavoro subordinato (si fa riferimento, tra le altre tutele, alla disciplina antidiscriminatoria, alla tutela delle libertà e della dignità, alla tutela assicurativa contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali).
Il livello minimo della tutela delineato nel D.Lgs. n. 81/2015, in particolare, concerne:
Si segnala che presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è stato istituito un
Osservatorio permanente in materia di tutela del lavoro tramite piattaforme digitali, presieduto dal Ministro o da un suo delegato e composto da rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori designati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale (
cfr.
D.M. 131/2020
ex art. 47-
octies).
Si segnala, inoltre, che il D.L. n. 152/2021 ha introdotto all'art. 9-
bis del D.L. n. 510/1996 l'obbligo di eseguire
comunicazioni obbligatorie anche con riferimento ai
riders.
È stato inoltre firmato, il
24 marzo 2021, il
Protocollo Quadro sperimentale per la legalità contro il caporalato, l'intermediazione illecita e lo sfruttamento lavorativo nel settore del
food delivery (
Prot. 24 marzo 2021) e, al fine di sottoporre a particolare attenzione l'implementazione del Protocollo Quadro sperimentale, è stato istituito un
Tavolo di Governance e Monitoraggio a cui partecipano i rappresentanti delle Parti che hanno sottoscritto il Protocollo.
Si segnala anche che presso l'XI Commissione (Lavoro) della Camera dei deputati è in corso di svolgimento un'
indagine conoscitiva
sui lavoratori che svolgono attività di creazione di contenuti digitali. L'indagine - nel corso della quale sono state svolte audizioni di numerosi soggetti istituzionali e di operatori del settore - è finalizzata a delineare le caratteristiche e a circoscrivere l'inquadramento giuridico e le forme di tutela dei creatori di contenuti digitali, la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro intercorrente tra creatori di contenuti e le piattaforme digitali tramite le quali tale tipologia di lavoro può essere svolta.
Si segnala, infine, che sono in corso di discussione, presso la medesima Commissione, le
risoluzioni 7-
00106 Costanzo,
7-00224 Invidia e
7-00236 Serracchiani
-
Iniziative per la regolazione del rapporto di lavoro tramite piattaforma (gig working), che impegnano il Governo, tra l'altro, ad adottare iniziative idonee a individuare una specifica forma di regolazione del rapporto di lavoro tramite piattaforma, al fine di applicare ai dipendenti delle piattaforme digitali o ai lavoratori della
Gig Economy adeguati standard uniformi, in relazione sia alla protezione sociale, sia al rispetto delle condizioni di lavoro e orarie, sia alla corresponsione di un'adeguata retribuzione.
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La dimensione dell'economia delle piattaforme nell'UE
L'economia delle piattaforme sta acquisendo un
crescente protagonismo nel
mercato del lavoro
europeo, pur rappresentandone ancora una
quota minoritaria. La capillare digitalizzazione della società e dell'economia implica il fatto che un numero sempre più ampio di servizi divenga accessibile mediante canali informatici. Ciò induce a ritenere verosimile la
futura crescita della quota di mercato occupata dalle piattaforme digitali e, conseguentemente, del
numero di platform workers.
Le piattaforme digitali attive nell'UE
Una stima molto prudente, riportata dalla Commissione europea, ha rilevato che, a
marzo 2021, erano
attive nell'Unione
516 piattaforme (figura sottostante), la maggior parte delle quali "in loco". Circa 361 PMI, contro 155 imprese più grandi. La maggior parte di esse ha iniziato l'attività dal 2014 e il loro numero complessivo è cresciuto soprattutto nel periodo 2014-2016.
Tra le principali piattaforme di lavoro digitali attive nell'UE, che la Commissione ha contattato nella fase di predisposizione della proposta in oggetto, vi sono: Bolt, Wolt, Uber, DeliveryHero, Deliveroo, Heetch, Scribeur, Testbirds, Workis, Glovo, Zenjob, Voocali, JustEat TakeAway, Care.com International, Pozamiatane.pl, TaskHero, TaskRabbit, Jovoto, MelaScrivi, ClickWorker, Wirk, Freelancer, Solved.fi, Didaxis, Hlidacky, FreeNow, Upwork e Stuart.
Per approfondimenti, si veda il
report
"Digital labour platforms in the EU - Mapping and business models" della Commissione europea, che riporta anche un elenco delle piattaforme digitali attive nell'Unione e un'indicazione del Paese di origine.
Tutti i grafici del presente paragrafo sono ripresi dalla citata relazione sulla valutazione d'impatto (
SWD(2021)396
) della Commissione.
Le piattaforme risultano
per lo più concentrate negli Stati occidentali e meridionali (Germania, Spagna, Francia, Italia e Paesi Bassi) e, sebbene in misura minore, in alcuni Stati dell'Europa centrale e orientale.
La
maggioranza delle piattaforme attive nell'UE è di
origine europea (77%), come evidenzia il grafico seguente (al secondo posto, per numero, quelle di origine statunitense e poi quelle originarie dal Regno Unito).
Lo Stato membro da cui provengono più piattaforme attive è la Francia (89), seguita da Belgio (49), Spagna (44), Germania (41), Paesi Bassi (38) e Italia (26) (grafico sottostante).
Il numero dei platform workers
Sono circa
28,3 milioni i
platform workers nell'Unione (6 milioni circa nelle piattaforme "in loco" e 22 milioni circa nelle piattaforme online), suddivisi tra lavoratori che svolgono tale lavoro come
attività̀ principale (circa 7 milioni),
secondaria (circa 14,2 milioni) o
occasionale (circa 7 milioni).
Per approfondimenti sui rischi di precarizzazione del lavoro tramite piattaforme digitali si veda anche lo
studio
"The platform economy and precarious work" a cura dei servizi di ricerca e documentazione del Parlamento europeo.
La tabella sottostante riporta il loro numero anche per Stato membro.
L'Italia avrebbe il
maggior numero di
platform workers con
circa 4,13 milioni (di cui circa
1,1 milioni svolgono tale attività in via principale), più della Spagna (4,01 milioni), della Germania (3,84 milioni) e della Francia (3,09 milioni).
Si prevede che
entro il 2025 il numero dei
platform workers
aumenti di 1,5 volte, per poi rallentare (grafico seguente). La percentuale maggiore di incremento riguarda i lavoratori che svolgono tale attività in via secondaria.
La grande maggioranza dei servizi offerti dalle piattaforme digitali nell'UE richiede
competenze basse e, in misura minore, medie, raramente alte. Le competenze medio-basse rappresentano quasi il 90% del lavoro intermedio in termini di guadagni aggregati dei
platform workers (le competenze elevate solo il 6%) (grafico seguente).
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Contenuto
La proposta di direttiva consta di
24 articoli suddivisi in
sei Capi.
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Disposizioni generali
Il
I Capo, composto dei primi due articoli, è dedicato alle disposizioni generali.
L'
articolo 1 enuncia la
finalità dell'intervento normativo di
migliorare la condizione lavorativa di coloro che si avvalgono, per l'esercizio della propria attività, di piattaforme digitali, individuando
tre direttrici di fondo, strumentali a tal fine:
Tale articolo delimita, altresì, l'
ambito soggettivo di applicazione della direttiva.
In particolare, viene stabilito che i diritti minimi riconosciuti dalla direttiva si applicano a tutti coloro che, nell'ambito dell'Unione, svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali e che hanno instaurato con le stesse, in via di fatto o di diritto, un
contratto o un rapporto di lavoro quali definiti dal diritto, dai contratti collettivi o dalle prassi in vigore negli Stati membri, tenuto conto della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'UE. Tale approccio, secondo quanto precisato dalla Commissione, è inteso a includere casi in cui la situazione occupazionale della persona che svolge un lavoro mediante piattaforme digitali non è chiara, compresi i casi di lavoro autonomo fittizio, in modo da consentire una corretta determinazione di tale situazione.
Per quanto riguarda i veri
lavoratori autonomi, invece, la direttiva si applica nei loro confronti limitatamente alle sole disposizioni concernenti il trattamento dei dati personali nel contesto della gestione algoritmica. La disposizione fa riferimento a tutte le persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali nell'Unione e che non hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro. La relazione del Governo specifica che, oltre ai veri lavoratori autonomi, sarebbero ricomprese le persone con un altro status lavorativo (in tale ambito potrebbero rientrare ad esempio le fattispecie delle collaborazioni cc.dd. etero organizzate, ex art. 2, D. lgs. 81/2015 laddove sia intervenuto un accordo collettivo ai sensi del comma 2).
Infine, con riferimento alle piattaforme di lavoro digitali, la disciplina di cui alla presente proposta opera nei confronti di quelle che organizzano il lavoro ovunque svolto nel territorio dell'Unione, indipendentemente dal luogo di stabilimento e dal diritto altrimenti applicabile.
L'
ambito oggettivo di applicazione della direttiva, dunque, è determinato in base al
luogo in cui si svolge il lavoro mediante piattaforme digitali, essendo del tutto ininfluente il luogo in cui sono stabilite o in cui il servizio è offerto o fornito al destinatario.
L'
articolo 2 reca un elenco di
definizioni rilevanti ai fini della direttiva.
In particolare, si ricorda che si intende per:
La relazione del Governo, trasmessa al Parlamento ai sensi dell'articolo 6, comma 5, della legge n. 234 del 2012 (di seguito "relazione del Governo") evidenzia che la direttiva presenta un ambito applicativo più ampio rispetto alle disposizioni nazionali attualmente vigenti in materia e rinvenibili, come osservato precedentemente, negli articoli 2 e 47-bis del decreto legislativo n. 81 del 2015. Segnala, inoltre, che la proposta
opera in tre ambiti non specificamente disciplinati a livello nazionale, quali: il corretto inquadramento occupazionale; i nuovi diritti derivanti dall'uso degli algoritmi; i nuovi obblighi per le piattaforme.
Sul punto, sembra opportuno acquisire ulteriori elementi di valutazione in ordine all'estensione dell'ambito di applicazione, atteso che l'art. 1, paragrafo 2, opera un rinvio alla disciplina nazionale e alla pertinente giurisprudenza europea ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro. Con riferimento alla condizione dei lavoratori autonomi, per i quali la direttiva sembra presentare un ambito soggettivo di operatività più ampio rispetto a quello stabilito dall'art. 47-bis del citato decreto legislativo - rivolgendosi a tutti i lavoratori autonomi indipendentemente dal tipo di servizio reso -, si ricorda che la normativa interna contempla, a favore dei cd. riders
che siano lavoratori autonomi effettivi, tutta una serie di garanzie che non sono previste dalla proposta di direttiva.
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Situazione occupazionale
Il
II Capo della proposta (articoli da 3 a 5) riguarda la
situazione occupazionale.
Nello specifico, l'
articolo 3 rinvia agli
Stati membri la definizione di
procedure atte a verificare e garantire il
corretto inquadramento giuridico del rapporto di lavoro svolto mediante piattaforme digitali, al fine di accertare la sussistenza o meno di una relazione di subordinazione che, se riscontrata, determina l'applicazione consequenziale di tutte le tutele giuslavoristiche previste sia dalla legislazione interna che da quella europea.
Detto inquadramento, peraltro, deve avvenire dando preminente rilievo al concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro, prescindendo dunque dalla sua formale classificazione. Si tratta di una prescrizione conforme al principio, più volte affermato dalla giurisprudenza europea, del
primato dei fatti, in virtù del quale, indipendentemente dal
nomen juris utilizzato, la
sostanza fattuale del rapporto lavoristico prevale sulla forma giuridica.
In via complementare a questa previsione, l'
articolo 4 introduce una
presunzione legale
di subordinazione, destinata ad operare tanto nei procedimenti amministrativi quanto in quelli giudiziari, allorché il rapporto di lavoro presenti
almeno due degli
elementi puntualmente indicati:
Secondo la relazione del Governo, l'inserimento di una presunzione di subordinazione rappresenta l'elemento più innovativo della proposta. Si specifica che la disposizione è anche più incisiva di quella dell'art. 11 della direttiva (UE) 2019/1152, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili, che non prende esplicita posizione sulla qualificazione del rapporto, limitandosi ad una presunzione (confutabile) di garanzia minima di ore di lavoro in favore dei lavoratori a chiamata.
L'articolo in esame, inoltre, rimanda ai singoli
Stati membri l'adozione di
misure volte all'efficace attuazione della presunzione legale, tenendo conto dell'impatto sulle start-up, evitando di applicarla ai veri lavoratori autonomi e favorendo la crescita sostenibile delle piattaforme di lavoro digitali. In particolare essi provvedono anche ad una corretta informazione circa l'applicabilità della presunzione legale e a rafforzare i controlli e le ispezioni garantendo che essi siano proporzionati e non discriminatori.
Con riferimento all'
applicazione temporale della presunzione legale, è stabilito che la stessa possa operare nei rapporti instaurati prima dello scadere del termine di recepimento della direttiva solo rispetto al tratto di rapporto che svolge successivamente a tale data.
L'
articolo 5 riconosce, a ciascuna parte del rapporto, la possibilità di
confutare la presunzione legale di cui al precedente articolo, chiarendo, in definitiva, la natura relativa della presunzione che ammette pertanto la prova contraria.
L'onere della prova dell'assenza di rapporto di lavoro incomberà alla
piattaforma di lavoro digitale se è quest'ultima a sostenere che il rapporto contrattuale in questione non è in realtà un "rapporto di lavoro". In tal caso, il procedimento non prevede un effetto sospensivo sull'applicazione della presunzione legale.
La triade di disposizioni, collocate nell'alveo del II Capo, presenta alcuni profili che appare opportuno approfondire, anche al fine di valutare compiutamente il concreto impatto dell'intervento nell' ordinamento nazionale.
Sembrerebbero infatti emergere dal dettato normativo due indicazioni: una che rimanda all'autonomia dei singoli ordinamenti la determinazione dei caratteri tipologici del rapporto di subordinazione (art. 3 par. 1), l'altra, più dettagliata, che individua gli indici caratteristici della relazione di dipendenza ai fini dell'operatività della presunzione legale (art. 4).
Appare utile, quindi, chiarire la portata definitoria del rapporto di subordinazione degli indici sintomatici elencati dal legislatore europeo. E ciò soprattutto al fine di valutare e coordinare l'intervento normativo europeo con l'attuale assetto interno della disciplina giuslavoristica.
Un secondo aspetto da analizzare concerne la prescrizione contenuta nell'articolo 5, ove viene stabilito che i procedimenti instaurati per fornire la prova dell'assenza del rapporto di subordinazione "non hanno effetto sospensivo sull'applicazione della presunzione legale".
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Gestione algoritmica
Il
III Capo (articoli da 6 a 10) concerne la
gestione algoritmica.
La relazione del Governo
segnala che le disposizioni del presente capo potrebbero essere destinate a sovrapporsi a quelle previste dalla proposta di regolamento sull'intelligenza artificiale (IA).
La relazione ricorda che la proposta di regolamento sull'IA - che potrebbe comunque subire modifiche nell'iter negoziale - menziona esplicitamente anche i lavoratori autonomi e i lavoratori su piattaforma (indipendentemente dal loro status lavorativo) fra i destinatari della nuova disciplina sul controllo dei sistemi di IA utilizzati nel contesto del lavoro. Questi ultimi, pur classificati come "a rischio elevato", sono soggetti a procedure di validazione da parte del solo produttore, o in alcuni casi di un organismo terzo, il cd "organismo notificato". L'allegato III si riferisce a "sistemi di IA destinati all'assunzione o alla selezione di persone fisiche, in particolare per la pubblicità di offerte di lavoro, lo screening o il filtraggio delle domande, la valutazione dei candidati nel corso di colloqui o prove" e a "sistemi di IA destinati ad essere utilizzati per prendere decisioni in materia di promozione e cessazione dei rapporti contrattuali connessi al lavoro, per l'assegnazione delle attività e per il monitoraggio e la valutazione delle prestazioni e del comportamento delle persone in tali relazioni".
Su tale profilo appare opportuno un approfondimento, anche tenuto conto di quanto dispone la proposta di direttiva relativamente all'utilizzo dei sistemi automatizzati (si veda, tra l'altro, il disposto dell'articolo 7 della proposta).
La proposta di regolamento sull'intelligenza artificiale è all'esame delle Commissioni riunite IX e X. Per approfondimenti sulla proposta si veda il
bollettino relativo all'atto.
L'
articolo 6, rubricato "Trasparenza e uso dei sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati", stabilisce che, salvi gli obblighi e i diritti derivanti dalla direttiva (UE) 2019/1152 - sulle condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell'UE- gli
Stati membri devono
imporre alle
piattaforme di lavoro digitali di
informare, mediante un documento anche in formato elettronico, e in forma concisa, trasparente, intelligibile e facilmente accessibile, utilizzando un linguaggio semplice e chiaro, i
lavoratori che vi operano in ordine ai seguenti:
Dette informazioni devono inoltre essere fornite, qualora richieste, anche alle autorità nazionali competenti e ai rappresentanti dei lavoratori.
Il paragrafo 5 dell'articolo in esame reca, nei confronti delle piattaforme digitali, una serie di
divieti al
trattamento dei dati personali dei lavoratori. In particolare, le piattaforme digitali:
La disposizione in esame presenta un ambito di applicazione interferente con il regolamento (UE) 2016/679, cui peraltro rinvia l'art. 47-sexies del decreto legislativo 81/2015 proprio con riferimento al trattamento dei dati personali dei lavoratori che operano mediante piattaforme digitali. Sul punto, appare opportuno richiamare l'attenzione sul fatto che il paragrafo 5 introduce una disciplina sul trattamento dei dati personali speciale sotto il versante soggettivo, in quanto riferibile ai soli lavoratori mediante piattaforme digitali e, alla lettera b), contenutisticamente più ristretta rispetto alla normativa generale posta dal regolamento (UE) 2016/679. Infatti, l'articolo 9 del citato regolamento non consente, salvi i casi indicati dal paragrafo 2, il trattamento di quei dati che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona. Di contro, l'art. 6, paragrafo 5, lettera b), prende in considerazione, per escluderne il trattamento, solo i dati inerenti alla salute. Sarebbe pertanto opportuno un approfondimento in relazione al rapporto tra le due discipline.
L'
articolo 7, relativo al
monitoraggio umano dei sistemi automatizzati, pone in capo agli Stati membri l'obbligo di provvedere affinché le piattaforme digitali monitorino e valutino periodicamente l'impatto delle decisioni individuali assunte con sistemi automatizzati.
A tal fine, le piattaforme digitali sono tenute a:
valutare i rischi dei sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati per la
salute e la
sicurezza dei lavoratori delle piattaforme digitali, in particolare per quanto riguarda i possibili rischi di infortuni sul lavoro e i possibili rischi psicosociali ed ergonomici; verificare che le garanzie di tali sistemi siano adeguate ai rischi individuati e, infine,
introdurre misure di prevenzione e protezione. Le piattaforme devono inoltre garantire risorse umane adeguate allo svolgimento dei compiti di monitoraggio in questione e prevedere, nei confronti delle persone incaricate dello svolgimento di queste funzioni, forme di protezione contro il licenziamento o altre misure disciplinari o sfavorevoli per non aver accolto le decisioni automatizzate.
Al secondo comma del secondo paragrafo, viene introdotto il
divieto per le piattaforme digitali di utilizzare i sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati in modo tale da
mettere sotto pressione i lavoratori che operano sulle piattaforme ovvero da pregiudicarne la salute mentale e fisica.
L'
articolo 8, concernente il
riesame umano di decisioni significative, richiede che gli Stati membri provvedano affinché sia garantito ai lavoratori il diritto di ottenere dalla piattaforma digitale una
spiegazione che giustifichi la decisione assunta da un sistema automatizzato, la quale incida significativamente sulle sue condizioni di lavoro; specificando, altresì, che le piattaforme digitali sono tenute a consentire ai lavoratori la possibilità di rivolgersi ad una persona incaricata dalla piattaforma per instaurare un confronto in merito alla decisione adottata. I lavoratori hanno altresì diritto a ricevere una
motivazione scritta per qualsiasi decisione presa o sostenuta da un sistema decisionale automatizzato di limitare, sospendere o chiudere l'account del lavoratore, di non retribuire il lavoro o in merito alla situazione contrattuale.
Il secondo paragrafo dell'articolo in esame riconosce inoltre ai lavoratori delle piattaforme digitali il diritto di richiedere un
riesame della decisione adottata con sistemi automatizzati, al quale deve essere dato riscontro, senza indebito ritardo e comunque entro una settimana dal ricevimento della richiesta (due settimane nel caso di piattaforme digitali che sono microimprese, piccole o medie imprese), con una
risposta motivata.
A completamento della procedura di riesame delineata nel presente articolo, viene stabilito che, qualora la decisione assunta con modalità automatizzate violi i diritti del lavoratore, le piattaforme devono provvedere alla
rettifica della stessa o, qualora la stessa non sia possibile, ad offrire al lavoratore una adeguata
compensazione per il pregiudizio patito.
Occorre evidenziare, da ultimo, che in base al paragrafo 4 del presente articolo restano impregiudicate le procedure di licenziamento previste dal diritto nazionale.
Attesa la complessità della materia in cui la presente direttiva è destinata ad intervenire, potrebbe essere opportuno chiarire le possibili interferenze tra la disciplina che si intende introdurre e quella nazionale sulle procedure di licenziamento, specie con riferimento all'art. 6, paragrafo 1, lettera b), sulla possibilità di adottare una decisione di chiusura definitiva dell'account del lavoratore.
L'
articolo 9 reca l'obbligo per gli Stati membri di assicurare
l'informazione e la consultazione dei rappresentanti dei lavoratori delle piattaforme digitali o, in loro mancanza, dei lavoratori stessi per ciò che concerne l'introduzione o la modifica sostanziale di utilizzo dei sistemi automatizzati di monitoraggio e decisione.
L'obiettivo di questa disposizione, a detta della Commissione, è promuovere il dialogo sociale sulla gestione algoritmica. Data la complessità dell'argomento, i rappresentanti o i lavoratori delle piattaforme digitali interessati possono essere assistiti da un esperto di loro scelta (se una piattaforma conta più di 500 lavoratori in uno Stato membro, le spese per l'esperto sono a suo carico, a condizione che siano proporzionate).
La relazione del Governo segnala che la disposizione di cui al presente articolo sembra ampliare il complesso delle procedure di consultazione e informazione dei lavoratori di cui al decreto legislativo 6 febbraio 2007, n.25, e pertanto se ne dovrà tenere conto in sede di recepimento.
L'
articolo 10 presenta, al paragrafo 1, una clausola di estensione dell'ambito soggettivo di operatività delle disposizioni in materia di trasparenza, monitoraggio umano e riesame di cui agli articoli 6, 7, paragrafi 1 e 3, e 8, che si applicano anche anche alle persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali e che non hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro.
Non sono quindi comprese le disposizioni in materia di salute e sicurezza durante il lavoro.
Il paragrafo 2, invece, detta un regime di risoluzione delle antinomie. In particolare, stabilisce che, qualora vi sia un contrasto tra la presente direttiva e il regolamento (UE) 2019/1150, in relazione agli utenti commerciali, la disposizione regolamentare prevale su quella della direttiva e, risolvendo a monte il possibile contrasto, che l'articolo 8 di quest'ultima non si applica agli utenti commerciali.
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Trasparenza in merito al lavoro mediante piattaforme digitali
Il
Capo IV (articoli da 11 a 12) concerne la
trasparenza in merito al lavoro mediante piattaforme digitali.
L'
articolo 11 prevede che gli
Stati membri sono tenuti ad
imporre alle piattaforme di lavoro digitali, qualificabili come
datori di lavoro, di
dichiarare alle autorità competenti dello Stato membro in cui il lavoro viene svolto
l'attività lavorativa prestata e i pertinenti dati, conformemente alle norme e alle procedure stabilite dalla legislazione degli Stati membri.
L'
articolo 12
specifica più nel dettaglio gli obblighi informativi indicati nell'articolo precedente, stabilendo che le piattaforme digitali devono rendere alle autorità statali competenti ovvero ai rappresentanti dei lavoratori le seguenti informazioni:
Alle piattaforme di lavoro digitali che sono microimprese, piccole o medie imprese può essere concessa la facoltà di aggiornare le suddette informazioni una volta l'anno.
Il paragrafo 3 stabilisce altresì che le autorità competenti e i rappresentanti dei lavoratori delle piattaforme digitali possono chiedere alle piattaforme di lavoro digitali ulteriori chiarimenti e informazioni in merito a qualsiasi dato fornito; in tal caso, queste ultime devono rispondere entro un periodo di tempo ragionevole fornendo una risposta motivata.
Circa il capo IV della proposta, la relazione del Governo segnala la necessità di valutare le competenze in materia anche degli enti previdenziali (INPS, INAIL).
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Mezzi di ricorso e applicazione
Il
Capo V (articoli da 13 a 19) attiene ai
mezzi di ricorso e all'
applicazione.
L'
articolo 13 stabilisce che gli Stati membri garantiscano ai lavoratori delle piattaforme digitali l'accesso ad una risoluzione efficace e imparziale delle controversie e il diritto ad esperire un
ricorso, oltre al riconoscimento di una
compensazione adeguata in caso di violazione dei diritti loro attribuiti dalla direttiva.
Tale previsione fa salvi gli articoli 79 e 82 del regolamento (UE) 2016/679, relativi rispettivamente al diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo nei confronti del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento e al diritto al risarcimento e responsabilità.
L'articolo 82, paragrafo 2, del regolamento (UE)2016/679 stabilisce che un responsabile del trattamento risponde per il danno causato dal trattamento solo se non ha adempiuto gli obblighi del presente regolamento specificatamente diretti ai responsabili del trattamento o ha agito in modo difforme o contrario rispetto alle legittime istruzioni del titolare del trattamento.
L'
articolo 14 prevede l'obbligo in capo agli Stati membri di consentire ai
rappresentanti dei lavoratori mediante piattaforme digitali ovvero ad
altri enti esponenziali di
instaurare procedimenti giudiziari o amministrativi per far valere i diritti e gli obblighi derivanti dalla presente direttiva. Tali soggetti, inoltre, possono agire per conto o a sostegno di uno più lavoratori mediante piattaforme digitali, con l'approvazione dell'interessato o degli interessati.
Potrebbe risultare utile un approfondimento sui caratteri e la natura delle azioni delineate da tale articolo, atteso che la disposizione sembra configurare non solo una sostituzione processuale dei rappresentanti dei lavoratori al singolo lavoratore (laddove è prevista la possibilità di agire per conto del lavoratore), ma anche specifiche ulteriori forme di tutela.
L'
articolo 15 prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per garantire che le piattaforme digitali creino la possibilità per le persone che vi svolgono il proprio lavoro di entrare in contatto tra di loro e con i rappresentanti. Si tratta di una disposizione volta a superare gli ostacoli strutturali che un'attività svolta su piattaforme digitali, quindi a distanza, potrebbe frapporre all'aggregazione tra persone.
L'
articolo 16 prevede l'obbligo per gli Stati membri di assicurare che, nell'ambito dei ricorsi riguardanti la non corretta qualificazione della situazione professionale di un soggetto, gli organi giurisdizionali o le autorità competenti possano
ottenere dalla piattaforma digitale qualsiasi prova pertinente che rientri nel suo controllo. Il paragrafo 2 chiarisce, inoltre, che gli organi giurisdizionali possono ordinare l'ostensione delle prove anche qualora contengano informazioni riservate, ove le ritengano pertinenti ai fini del ricorso, purché dispongano misure efficaci alla loro protezione.
L'articolo specifica infine che gli Stati membri possono mantenere o introdurre norme più favorevoli alle persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali.
L'
articolo 17 reca nei confronti degli Stati membri l'indicazione generale di adottare misure atte a proteggere le persone che svolgono la loro attività lavorativa mediante piattaforme digitali, nonché i loro rappresentanti, da trattamenti sfavorevoli derivanti dall'esperimento degli strumenti di tutela individuati dalla direttiva.
L'
articolo 18 prescrive agli Stati membri di prevedere
misure necessarie a vietare licenziamenti o misure equivalenti determinati dall'esercizio dei diritti previsti dalla direttiva. Viene altresì stabilito che il lavoratore che ritenga di essere stato licenziato per tale ragione può chiedere alla piattaforma digitale di indicare
per iscritto i motivi del provvedimento adottato.
In base al paragrafo 3, inoltre, nel caso in cui il lavoratore mediante piattaforme digitali agisca innanzi ad un organo giurisdizionale o ad altra autorità adducendo fatti dai quali è possibile presumere che il suo licenziamento (o misura equivalente) sia stato determinato dall'esercizio di diritti attribuiti dalla direttiva, incombe sulla piattaforma fornire la prova che il licenziamento si fondi su ragioni diverse.
Viene inoltre precisato che tale regime probatorio non esclude la possibilità per lo Stato membro di introdurre una disciplina di maggior favore a beneficio dei lavoratori.
Il paragrafo 4 chiarisce, infine, la facoltatività del regime probatorio sopra indicato qualora l'attività istruttoria debba essere compiuta d'ufficio dal giudice ovvero da altra autorità competente.
L'
articolo 19, relativo a
controllo e sanzioni, indica le autorità di controllo incaricate di verificare la corretta applicazione del regolamento (UE) 2016/679 come responsabili dell'accertamento dell'osservanza degli articoli 6, 7, paragrafi 1 e 3, 8 e 10 della proposta di direttiva, in conformità a quanto previsto dai capi VI, VII e VII del citato regolamento. Le stesse autorità, inoltre, sono competenti ad infliggere sanzioni amministrative pecuniarie fino all'importo determinato dall'articolo 83, paragrafo 5, del regolamento (e cioè fino a 20 milioni di euro, o per le imprese, fino al 4% del fatturato mondiale totale annuo dell'esercizio precedente).
La disposizione, inoltre, rinvia agli
Stati membri il compito di stabilire
sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive applicabili alle violazioni delle norme nazionali che saranno adottate in sede di attuazione delle disposizioni della direttiva diverse da quelle precedentemente indicate.
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Disposizioni finali
Il
Capo VI (articoli da 20 a 23) reca le
disposizioni finali.
L'
articolo 20 prevede la
clausola di non regresso, in virtù della quale la presente direttiva non costituisce motivo valido per ridurre il livello generale di protezione di cui godono i lavoratori degli Stati membri. È inoltre chiarito che la direttiva in esame lascia impregiudicata la prerogativa degli Stati membri di introdurre regimi più favorevoli per i lavoratori delle piattaforme digitali. Tale previsione, però, se riferita a soggetti che non hanno un rapporto di lavoro con la piattaforma digitale, è applicabile solo nel caso in cui la normativa nazionale più favorevole sia compatibile con le norme relative al funzionamento del mercato interno.
L'
articolo 21 stabilisce il termine entro il quale gli Stati membri sono tenuti all'
attuazione della direttiva, che è fissato in
due anni a decorrere
dalla data di entrata in vigore della direttiva stessa.
L'
articolo 22 reca la clausola di
riesame dell'attuazione della direttiva
cinque anni dopo la sua entrata in vigore, al fine di valutare la necessità di rivederla e aggiornarla.
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Base giuridica
La proposta si basa sull'articolo 153, paragrafo 1, lettera b), del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), che conferisce all'
Unione il potere di
sostenere e completare l'azione degli Stati membri con l'obiettivo di
migliorare le condizioni di lavoro.
In questo settore l'articolo 153, paragrafo 2, lettera b), del TFUE consente al Parlamento europeo e al Consiglio di adottare, secondo la procedura legislativa ordinaria, direttive che stabiliscono
prescrizioni minime applicabili progressivamente, tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti in ciascuno Stato membro.
La proposta si basa anche sull'articolo 16, paragrafo 2, del TFUE nella misura in cui affronta la situazione delle persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali in relazione alla protezione dei loro dati personali trattati mediante sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati. Tale articolo conferisce al Parlamento europeo e al Consiglio il potere di stabilire norme relative alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati di carattere personale.
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Esame presso le Istituzioni dell'UE
La proposta è stata assegnata alla Commissione Occupazione e affari sociali (EMPL) del Parlamento europeo, con il parere della Commissione per i trasporti e il turismo (TRAN).
La relatrice per la Commissione EMPL è Elisabetta Gualmini (Gruppo dell'Alleanza progressista di Socialisti e Democratici - Italia).
Nel programma della Presidenza francese del Consiglio dell'UE (1° gennaio 2022 -30 giugno 2022) si segnala che durante il semestre si svolgeranno le discussioni sulla proposta di direttiva.
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Esame presso altri Parlamenti nazionali
Sulla base dei dati forniti dal
sito IPEX, l'esame dell'atto risulta avviato da parte di: Danimarca, Finlandia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Svezia.
L'esame della proposta è stato
avviato anche dall'11ª Commissione permanente (Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) del Senato della Repubblica, con il parere delle Commissioni 8ª (Lavori pubblici, comunicazioni) e 14ª (Politiche dell'Unione europea).
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