Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: RUE - Ufficio SG - Ufficio Rapporti con l'Unione europea
Titolo: Sentenza della Corte di giustizia dell'UE in materia di subappalto
Serie: Documentazione per le Commissioni - Esame di atti e documenti dell'UE   Numero: 31
Data: 12/12/2019
Organi della Camera: VIII Ambiente, XIV Unione Europea


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Sentenza della Corte di giustizia dell'UE in materia di subappalto

12 dicembre 2019


Indice

|La disciplina europea|La normativa italiana: il divieto di subappaltare una quota superiore al 30 per cento dell'importo contrattuale (a cura del Servizio Studi)|Il procedimento principale e la questione pregiudiziale|Ulteriori procedure di contenzioso (a cura del Servizio Studi)|Prospettive di riforma: le proposte dell'Autorità nazionale anticorruzione|La disciplina del subappalto in Francia e Germania (a cura del Servizio Biblioteca)|


Con sentenza del 26 settembre 2019 nella causa C-63/18, la Corte di giustizia dell'UE è intervenuta per chiarire la portata del diritto dell'UE in materia di appalti pubblici, con particolare riferimento al regime del subappalto.
La decisione, in sostanza, individua profili di incompatibilità di tale regime con l'ordinamento italiano relativamente alla norma nazionale, contenuta nel Codice dei contratti pubblici, che prevede un limite quantitativo al subappalto.
Il giudizio si è svolto a seguito della domanda di pronuncia pregiudiziale, ai sensi dell'articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'UE (TFUE), da parte del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, presentata nell'ambito di una controversia tra la Vitali SpA e l'Autostrade per l'Italia SpA in merito alla decisione adottata da quest'ultima, in qualità di amministrazione aggiudicatrice, di escludere la prima da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico.
Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 267 del TFUE, la Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale, tra l'altro sulla validità e l' interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione. La medesima disposizione prevede che quando una questione del genere è sollevata dinanzi ad una giurisdizione di uno degli Stati membri, tale giurisdizione può, qualora reputi necessaria per emanare la sua sentenza una decisione su questo punto, domandare alla Corte di pronunciarsi sulla questione.
Analoghi profili di incompatibilità messi in evidenza nella decisione sono stati successivamente ribaditi dalla stessa Corte nella sentenza del 27 novembre 2019 nella causa C‑402/18, nonché dalla Commissione europea in sede di procedura di infrazione n. 2018/2273 nei confronti dell'Italia, recante una serie di contestazioni circa la violazione da parte dell'ordinamento italiano delle direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE in materia di appalti pubblici e 2014/23/UE in materia di concessioni. Tra gli addebiti rilevati dalla Commissione europea si rinviene il regime del limite del subappalto, come definito nel Codice dei contratti pubblici, in violazione della direttiva dell'UE sugli appalti pubblici. Tale ultima procedura di contenzioso potrebbe prefigurare il ricorso da parte della Commissione europea innanzi alla Corte di giustizia dell'UE, in primo luogo, al fine di far accertare l'inadempimento da parte dell'Italia degli obblighi previsti dal diritto unionale, e in definitiva, ove quest'ultima non adottasse gli opportuni provvedimenti (a seguito di un secondo giudizio) la condanna del nostro Paese ad una sanzione  pecuniaria.

La disciplina europea

La sentenza richiama una serie di principi e norme europee riconducibili alla libera circolazione dei servizi e al recentemente riformato regime degli appalti pubblici.
Con riguardo al diritto primario dell'UE, si tratta in particolare dei seguenti articoli del Trattato sul funzionamento dell'UE:
  • l'articolo 49, recante il divieto di restrizioni al diritto di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, che si estende altresì alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro;
  • l'articolo 56, concernente il divieto di restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno dell'Unione nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione.

 

Circa il diritto derivato dell'UE, ai fini della soluzione della controversia viene richiamata la direttiva 2014/24/UE  in materia di appalti pubblici, regime che deve inserirsi in un disegno complessivo di riforma dell'intero mercato degli appalti e delle concessioni, di cui fanno altresì parte altresì la direttiva 2014/25/UE sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell' acqua, dell' energia, dei trasporti e dei servizi postali, e la direttiva 2014/23/UE sull'aggiudicazione dei contratti di concessione.
La direttiva 2014/24 ribadisce i principi del diritto primario sopra richiamati, stabilendo che quando le autorità nazionali si servono degli appalti pubblici per invitare gli offerenti a prestare lavori, forniture o servizi, devono trattare tutti i candidati su un piano di parità e in modo non discriminatorio; esse devono inoltre agire in maniera trasparente.
Disposizioni della direttiva, al fine di facilitare la partecipazione delle piccole imprese, incoraggiano le autorità pubbliche a suddividere i grandi appalti in singoli lotti.  I Paesi dell'UE sono obbligati ad assicurarsi che gli operatori economici e i loro subappaltatori soddisfino tutti gli obblighi applicabili — a livello nazionale e a livello dell'UE — per quanto riguarda i requisiti in materia ambientale, sociale e di lavoro, gli accordi collettivi e qualsiasi altro obbligo internazionale pertinente.
Nella decisione della Corte sono anzitutto ricordati una serie di considerando della direttiva citata (il preambolo dell'articolato), elementi che contribuiscono essenzialmente a orientare la corretta interpretazione delle singole disposizioni. In sintesi, tali considerando sottolineano la necessità che l'aggiudicazione degli appalti pubblici rispetti principi della parità di trattamento, della non discriminazione, del mutuo riconoscimento, della proporzionalità e della trasparenza (considerando 1), nonché l'opportunità che gli appalti pubblici siano adeguati alle necessità delle piccole e medie imprese (considerando 78); tale ultimo considerando richiama l'obiettivo di facilitare la partecipazione delle PMI al mercato degli appalti pubblici attraverso una serie di  indicazioni volte a favorire la divisione di uno stesso appalto in lotti piccoli.
Il preambolo della direttiva contiene, peraltro, una serie di indicazioni volte a lasciare agli Stati membri la possibilità di applicare misure necessarie alla tutela dell' ordine, della moralità e della sicurezza pubblica (a condizione che tali misure siano conformi al Trattato) (considerando 78), e in particolare a garantire che sia evitata l' aggiudicazione degli appalti pubblici ad operatori economici che abbiano partecipato ad organizzazioni criminali, o che si sono resi colpevoli di una serie di reati quali corruzione, frode a danno degli interessi dell'Unione, terrorismo, riciclaggio di proventi da illecito o di finanziamento di terrorismo (considerando 100).
Circa l'articolato della direttiva, la sentenza, oltre a richiamare il principio generale per cui le amministrazioni aggiudicatrici devono trattare gli operatori economici su un piano di parità, e in modo non discriminatorio, nonché agire in modo trasparente e proporzionato (articolo 18), si sofferma in particolare sulle disposizioni in materia di:
  • esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d'appalto in caso di condanna in via definitiva per una serie di reati (articolo 57);
  • facoltà concessa agli operatori economici di fare affidamento sulle capacità di altri soggetti, a prescindere dalla natura giuridica dei legami con questi ultimi (articolo 58).
La principale disposizione di riferimento, ai fini della decisione della Corte in esame, è l' articolo 71 della direttiva citata recante il regime del subappalto. Tale disposizione stabilisce, tra l'altro: l'obbligo per le autorità nazionali di garantire che i subappaltatori rispettino gli obblighi applicabili in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dal diritto dell'Unione, dal diritto nazionale, da contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro elencate cui sono vincolati gli operatori economici che devono eseguire l'opera (paragrafo 1); la previsione per cui nei documenti di gara l'amministrazione aggiudicatrice può chiedere o può essere obbligata da uno Stato membro a chiedere all'offerente di indicare, nella sua offerta, le eventuali parti dell'appalto che intende subappaltare a terzi, nonché i subappaltatori proposti (paragrafo 2) .
L'articolo 71 testé citato non contempla limitazioni quantitative al subappalto.


La normativa italiana: il divieto di subappaltare una quota superiore al 30 per cento dell'importo contrattuale (a cura del Servizio Studi)


La disciplina nazionale vigente fino al 18 aprile 2019

La disciplina del subappalto è contenuta nell'art. 105 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) che, al comma 1, precisa che "i soggetti affidatari dei contratti di cui al presente codice eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto" e che "è ammesso il subappalto secondo le disposizioni del presente articolo".
In base al comma 2 dell'articolo 105 il subappalto è definito come "il contratto con il quale l'appaltatore affida a terzi l'esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto. Costituisce, comunque, subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l'impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell'importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 euro e qualora l'incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell'importo del contratto da affidare".
Lo stesso comma stabilisce che l'eventuale subappalto non può superare la quota del 30% dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.
Lo stesso limite del 30 per cento per il subappalto è stabilito anche con riferimento alle opere per le quali siano necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti e opere speciali (tale subappalto non può essere, senza ragioni obiettive, suddiviso).
Si ricorda che il citato limite del 30 per cento era previsto già nel Codice antecedente a quello del 2016, ma solamente per forniture e servizi; il Codice del 2016 ha esteso tale limite anche ai lavori.

La nuova disciplina nazionale transitoria applicabile fino al 31 dicembre 2020

Il decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (c.d. sblocca cantieri), come modificato dalla legge di conversione 14 giugno 2019, n. 55, ha introdotto una disciplina transitoria del subappalto, applicabile fino al 31 dicembre 2020. Tale disciplina (comma 18, dell'articolo 1 del testo convertito) – dettata nelle more di una complessiva revisione del Codice dei contratti pubblici – prevede, innanzitutto, che il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40% dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.
La stessa disposizione precisa che la nuova disciplina è posta in deroga all'articolo 105, comma 2, del medesimo Codice ma fatto salvo quanto previsto dal comma 5 del medesimo articolo 105. In altre parole resta valido il limite del 30% per le opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti e opere speciali.
Fino alla medesima data del 31 dicembre 2020 è altresì sospesa, dalla norma in questione, l'applicazione:
  • del comma 6 dell'art. 105 del Codice;
    Tale norma prevede, in particolare, l'indicazione obbligatoria della terna di subappaltatori in sede di offerta. Anche tale disposizione, così come quelle recate dai commi 2 e 5 del medesimo articolo 105, risulta oggetto di censura nell'ambito della procedura di infrazione europea n. 2018/2273.
  • del comma 2 dell'art. 174 del Codice, il quale prevede che gli operatori economici indichino in sede di offerta le parti del contratto di concessione che intendono subappaltare a terzi e individua i casi in cui è obbligatoria l'indicazione di una terna di subappaltatori;
    Nel dettaglio, il citato comma 2 prevede che, in sede di offerta, gli operatori economici, che non siano microimprese, piccole e medie imprese, per le concessioni di lavori, servizi e forniture di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea, indicano una terna di nominativi di sub-appaltatori nei seguenti casi:
    a) concessione di lavori, servizi e forniture per i quali non sia necessaria una particolare specializzazione;
    b) concessione di lavori, servizi e forniture per i quali risulti possibile reperire sul mercato una terna di nominativi di subappaltatori da indicare, atteso l'elevato numero di operatori che svolgono dette prestazioni.
  • delle verifiche in sede di gara previste, per il subappaltatore, dall'art. 80 del Codice.
    Si tratta delle verifiche relative all'assenza di motivi di esclusione dalla procedura d'appalto inerenti, ad esempio, a precedenti condanne penali, interdittive antimafia o carenza dei requisiti di integrità o affidabilità.Si fa notare che la sospensione di tali verifiche opera limitatamente alla fase della gara. Resta infatti in vigore e pienamente efficace il comma 7 dell'art. 105 del Codice, in base al quale "L'affidatario deposita il contratto di subappalto presso la stazione appaltante almeno venti giorni prima della data di effettivo inizio dell'esecuzione delle relative prestazioni. Al momento del deposito del contratto di subappalto presso la stazione appaltante l'affidatario trasmette altresì la certificazione attestante il possesso da parte del subappaltatore dei requisiti di qualificazione prescritti dal presente codice in relazione alla prestazione subappaltata e la dichiarazione del subappaltatore attestante l'assenza in capo ai subappaltatori dei motivi di esclusione di cui all'articolo 80".

Il procedimento principale e la questione pregiudiziale

La controversia nasce dal fatto che la società Autostrade per l'Italia spa, dopo aver indetto una procedura ristretta per l'affidamento mediante gara di lavori di ampliamento di una tratta dell'autostrada A8, ha escluso la Vitali spa dalla gara per avere superato il limite del 30 per cento previsto in materia di subappalto dal richiamato articolo 105, paragrafo 2 del decreto legislativo n. 50 del 2016. A seguito del ricorso da parte della società esclusa avverso tale decisione, il giudice del rinvio (Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia) ha respinto tutti i motivi dedotti dal ricorrente a sostegno del ricorso tranne quello secondo il quale il limite del 30 per cento in materia di subappalti previsto dal diritto italiano non sarebbe conforme al diritto dell'UE. Con ordinanza del 13 dicembre 2017, il Tar Lombardia, sospendendo il procedimento principale, ha domandato alla Corte se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli articoli 49 e 56 del TFUE, l' articolo 71 della direttiva 2014/24, il quale non contempla limitazioni quantitative al subappalto, e il principio di diritto dell'Unione europea di proporzionalità, ostino all'applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell'articolo 105, comma 2, terzo periodo, del decreto legislativo n. 50/2016, secondo la quale il subappalto n on può superare la quota del 30 per cento dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.
 
La Corte di giustizia dell'UE ha accolto la questione pregiudiziale sollevata.
La Corte rileva che l'articolo 71 reca la possibilità per l'amministrazione aggiudicatrice di chiedere o di essere obbligata dallo Stato membro a chiedere all'offerente di informarla sulle intenzioni di quest'ultimo in materia di subappalto e a verificare se sussistano motivi di esclusione dei subappaltatori previsti dalla direttiva stessa (tra gli altri, la partecipazione a un'organizzazione criminale, alla corruzione o alla frode). La Corte ricorda, in particolare, che, secondo una giurisprudenza costante, e come risulta dal considerando 78 della direttiva, in materia di appalti pubblici, è interesse dell'Unione che l'apertura di un bando di gara alla concorrenza sia la più ampia possibile; precisa, quindi, che il ricorso al subappalto, che può favorire l'accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici, contribuisce al perseguimento di tale obiettivo. La Corte ritiene, inoltre, che dalla volontà del legislatore dell'Unione di disciplinare in maniera più specifica, mediante l'adozione di siffatte norme, le situazioni in cui l'offerente fa ricorso al subappalto, non si può dedurre che gli Stati membri dispongano della facoltà di limitare tale ricorso a una parte dell'appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, al pari del limite imposto dalla normativa di cui trattasi nel procedimento principale.
La Corte rileva, altresì, come la criticità del limite quantitativo del ricorso al subappalto si ricolleghi alla sua applicazione indipendentemente dal settore economico interessato, dall'appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall'identità dei subappaltatori, e al fatto che la disciplina italiana non lascia spazi a valutazioni caso per caso da parte della stazione appaltante, e ciò anche qualora questa sia in grado di verificare l'identità dei subappaltatori interessati e ove accerti che il limite non sia necessario al fine di contrastare le infiltrazioni criminali nell'ambito dell'appalto in questione.
La Corte, da un lato, ricorda di aver già dichiarato che il contrasto al fenomeno dell'infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell'ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici (in tal senso, la sentenza del 22 ottobre 2015, Impresa Edilux e SICEF nella causa C‑425/14); dall'altro –prosegue la Corte - anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella di cui trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo.
A tal proposito, la Corte precisa che misure meno restrittive sarebbero idonee a raggiungere l'obiettivo perseguito dal legislatore italiano, al pari di quelle previste dall'articolo 71 della direttiva 2014/24, come ad esempio gli obblighi informativi (la Corte richiama il diritto italiano ove prevede numerose attività interdittive espressamente finalizzate ad impedire l'accesso alle gare pubbliche alle imprese sospettate di condizionamento mafioso o comunque collegate a interessi riconducibili alle principali organizzazioni criminali operanti nel Paese).
In sostanza, la Corte contesta all'Italia di aver istituito un meccanismo (volto a tutelare interessi generali della sostenibilità sociale, dell'ordine e della sicurezza pubblica, in particolare, ai fini del contrasto di eventuali infiltrazioni criminali nel sistema degli appalti), che,  avendo una portata generale che  prescinde dal contesto economico, dalla specificità della prestazione e in definitiva dalla valutazione caso per caso da parte delle stazioni appaltanti, risulterebbe sproporzionato rispetto all'obiettivo prefisso. Si tratterebbe, secondo la Corte, di uno strumento non conforme al principio di proporzionalità, che si interpreta normalmente come l'obbligo di rapportare il contenuto e la forma di un'azione alla finalità perseguita, e di non andare oltre tale obiettivo.   
 
Considerati tali argomenti, la Corte ha statuito che la direttiva 2014/24/UE deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30 per cento la parte dell'appalto che l'offerente è autorizzato a subappaltare a terzi.

Ulteriori procedure di contenzioso (a cura del Servizio Studi)

Quanto statuito dalla citata sentenza circa il contrasto con la normativa europea del divieto nazionale di subappalto oltre la quota del 30%, è stato ribadito con la successiva sentenza del 27 novembre 2019 nella causa C‑402/18 (Tedeschi Srl e Consorzio Stabile Istant Service contro C.M. Service Srl e Università degli Studi di Roma La Sapienza) avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato con ordinanza del 10 maggio 2018. In tale quadro si sono inoltre innestati gli addebiti all'Italia mosse dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione n. 2018/2273 con la quale si è contestata all'Italia la violazione di alcune disposizioni delle direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE in materia di appalti pubblici e 2014/23/UE in materia di concessioni. In esito ad un controllo di conformità volto a verificare che le norme nazionali di recepimento fossero conformi alle suddette direttive, il 24 gennaio 2019 la Commissione europea ha inviato una lettera di costituzione in mora all'Italia in cui, tra l'altro, si profila l'illegittimità del divieto di subappaltare più del 30% di un appalto, previsto dai succitati commi 2 e 5 dell'art. 105 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016).
Si segnala che con la citata procedura di infrazione, la Commissione europea ha altresì contestato all'Italia la violazione del diritto dell'UE con riferimento all'articolo 105, comma 19 del decreto legislativo n. 50 del 2016, recante il divieto generale per i subappaltatori di fare ricorso a loro volta ad altri subappaltatori.
In sostanza, la Commissione europea sottolinea che il diritto dell'UE non ammette un divieto generale e universale di subappalto a cascata, come quello stabilito dalla norma nazionale citata.

Prospettive di riforma: le proposte dell'Autorità nazionale anticorruzione

Con atto di segnalazione n. 8 del 13 novembre 2019 l'Autorità nazionale anticorruzione ha esaminato le questioni approfondite dalla Corte nell'ambito della sentenza in esame, tra l'altro, elaborando una serie di proposte volte a riportare la normativa nazionale in materia di subappalto in sintonia con i principi stabiliti dal legislatore e dal giudice europeo, in particolare, regolando tale istituto mediante un'opportuna compensazione tra i diritti di libertà riconosciuti a livello europeo e le esigenze di sostenibilità sociale, ordine e sicurezza pubblica, alla base delle limitazioni all'utilizzo del subappalto.
L'Autorità parte dal presupposto per cui la sentenza in esame, pur stabilendo la non conformità al diritto dell'UE del limite quantitativo al subappalto, non sembra aver sancito la possibilità per gli offerenti di ricorrervi illimitatamente.
Tale argomento troverebbe – secondo l'Autorità - conferma in quella sezione dell'articolo 71 della direttiva sugli appalti pubblici in cui si fa riferimento a " parti" dell'appalto da subappaltare a terzi. Secondo l'Autorità ciò lascerebbe intravedere che la regola generale cui attenersi è quella del subappalto di una porzione e non dell'intera commessa.In tal senso, l'Autorità segnala pertanto al legislatore di valutare il mantenimento del divieto (formale o sostanziale) di subappalto dell' intera commessa o di una sua parte rilevante.
Inoltre, secondo l'Autorità, una possibile soluzione per superare i rilievi della Corte di Giustizia potrebbe essere quella di prevedere la regola generale dell' ammissibilità del subappalto, richiedendo alla stazione appaltante l'obbligo di motivare adeguatamente un eventuale limite al subappalto in relazione allo specifico contesto di gara, evitando di restringere ingiustificatamente la concorrenza.
A tal proposito, alcuni dei criteri potrebbero individuarsi a partire da quelli indicati dalla Corte nella sentenza, cioè il settore economico o merceologico di riferimento, la natura (principale o accessoria) della prestazione, specifiche esigenze che richiedono di non parcellizzare l'appalto, con finalità di carattere preventivo rispetto a fenomeni di corruzione, spartizioni o di rischio di infiltrazioni criminali e mafiose, ma anche di carattere organizzativo, per una più efficiente e veloce esecuzione delle prestazioni; in tal senso, potrebbe essere oggetto di valutazione altresì il criterio del valore e la complessità del contratto, al fine di consentire maggiore libertà per appalti di particolare rilevanza che suggeriscono di accordare più flessibilità nella fase realizzativa. Riguardo al criterio del settore economico menzionato dalla Corte di Giustizia, alcune restrizioni potrebbero essere motivate in ragione del limitato numero di operatori economici qualificati o dei possibili partecipanti, proprio al fine di promuovere la più ampia concorrenza, atteso che la presenza di uno o più subappaltatori potrebbe favorire accordi spartitori in fase di gara. Secondo l'Autorità altra possibilità, nell'affidamento dei lavori pubblici, è quella di far valere eventuali ragioni di sicurezza alla luce delle specificità del cantiere, laddove la presenza di molteplici addetti appartenenti a più operatori potrebbe aumentare i rischi di scarso coordinamento e attuazione delle misure di tutela del lavoro.
Inoltre, l'Autorità segnala al legislatore la possibilità di stabilire l'obbligo di indicare i subappaltatori già in fase di gara al fine di consentire alla stazione appaltante di conoscere preventivamente i soggetti incaricati, e di effettuare le opportune verifiche (da tenere distinte da quelle ulteriori in fase esecutiva propedeutiche all'autorizzazione al subappalto di cui all'art. 105, comma 4, del Codice).
In sostanza, secondo l'Autorità, in caso di limiti al subappalto adeguatamente motivati ma entro determinate soglie, si potrebbe confermare l'attuale sistema della mera indicazione della intenzione di subappaltare alcune parti del contratto e di verificare il subappaltatore in fase di autorizzazione; oltre determinate soglie, invece, si potrebbe prevedere la verifica obbligatoria dei subappaltatori anche in fase di gara. In tale secondo caso, l'autorità considera la possibilità di concedere al concorrente la facoltà (non l'obbligo) di indicare un elenco di subappaltatori potenziali entro un determinato (e limitato) numero; l'Autorità sottolinea quindi che tale limitazione, oltre a ridurre i rischi poc'anzi evidenziati, consentirebbe di contenere adempimenti e oneri dichiarativi per imprese e stazioni appaltanti
Infine l'Autorità si sofferma sulla necessità che un più ampio ricorso al subappalto non si traduca in maggiori incentivi all' elusione della disciplina antimafia, precisando che  poiché l'informazione antimafia è richiesta per i subcontratti, cessioni o cottimi di importo superiore a 150.000 euro, un massiccio ricorso al subappalto, in astratto finalizzato a promuovere l'efficienza esecutiva anche tramite il coinvolgimento delle PMI, potrebbe nascondere finalità elusive della normativa antimafia, ad esempio mediante l'impiego di molteplici subappaltatori con quote di attività inferiori alla soglia prevista per i controlli antimafia.
Da ultimo, l'Autorità osserva che le possibilità di verifica e controllo dei subappaltatori e la bontà dei controlli stessi dipendono dalle effettive capacità, risorse e mezzi della stazione appaltante, non sempre adeguati soprattutto per i committenti di minori dimensioni, rilevando in conclusione l'opportunità dell'introduzione di misure che promuovano un' adeguata capacità amministrativa nelle attività di verifica e di autorizzazione dei subappalti da parte delle stazioni appaltanti
L'Autorità rileva che la sentenza in esame riguarda l'affidamento di lavori sopra soglia comunitaria, concludendo, altresì, che non è chiaro se la pronuncia abbia effetto anche relativamente agli appalti sotto tale soglia. Sul punto, l'Autorità rimette al legislatore la scelta di valutare, alla luce della piena compatibilità con il diritto europeo e di quanto stabilito dalla Corte nella sentenza, l'eventuale previsione di un limite al subappalto per i contratti di importo inferiore alle soglie comunitarie, anche se tale limite non sembrerebbe potersi imporre per i casi di appalti aventi interesse transfrontaliero.
In conclusione, l'Autorità segnala al Governo e al Parlamento la necessità di un intervento normativo urgente per allineare la normativa nazionale alle indicazioni della Corte prendendo in considerazione le argomentazioni sopra richiamate.
Alla luce degli argomenti sopra descritti, appare opportuno valutare se la previsione di limiti quantitativi al subappalto nel contesto dell'aggiudicazione degli appalti pubblici (ancorché più ampi anche di quelli previsti dalla disciplina nazionale transitoria testé richiamata) sia sufficiente a superare i rilievi critici espressi dalla Corte e ribaditi dalla Commissione europea nei procedimenti di contenzioso citati. Allo stesso tempo, si tratta di valutare se la previsione in via normativa, tramite legge, di parametri puntuali volti a vincolare i soggetti aggiudicatori quanto al ricorso al subappalto, comportando una compressione della discrezionalità amministrativa, potrebbe risultare incompatibile con il principio espresso nella sentenza della Corte circa l'opportunità di lasciare alle stazioni appaltanti la facoltà di valutare caso per caso (con riferimento al contesto ambientale, al settore economico interessato, alla tipologia della prestazione oggetto dell'appalto, etc.) l'ammissibilità del ricorso a tale istituto.

La disciplina del subappalto in Francia e Germania (a cura del Servizio Biblioteca)


Francia

La disciplina del subappalto è contenuta, per la parte legislativa, negli artt. L. 2193-1 – L. 2193-14 (disposizioni generali) e L. 2393-1 – L. 2393-15 (appalti nei settori della difesa o della sicurezza), per la parte regolamentare, negli artt. R. 2193-1 – R. 2193-22 (disposizioni generali) e R. 2393-1 – R. 2393-44 (appalti nei settori della difesa o della sicurezza) del Code de la commande publique.
Il soggetto affidatario di un appalto pubblico ha piena facoltà, in linea di principio, di fare ricorso a uno o più subappaltatori. In altre parole, il committente non può limitare tale diritto.
Tale principio è sancito nel primo comma dell'art. L. 2193-3, secondo il quale per gli appalti di lavori, servizi e forniture l'appaltatore può, sotto la propria responsabilità, subappaltare l'esecuzione di parti delle prestazioni oggetto dell'appalto. Non può quindi essere subappaltata la totalità delle prestazioni oggetto dell'appalto, ma parimenti non è stabilita una soglia massima per il subappalto, diversamente da quanto prevede la normativa italiana.
Per contro, ai sensi del secondo comma della succitata norma e dell'art. L. 2393-7 (disposizione riguardante gli appalti nei settori della difesa o della sicurezza), il committente può richiedere che alcuni compiti essenziali ( tâches essentielles) dell'appalto siano svolti direttamente dall'aggiudicatario dell'appalto, soprattutto per motivi legati alla "sicurezza degli approvvigionamenti o delle informazioni".
Sempre in relazione agli appalti nei settori della difesa o della sicurezza, il punto n. 2 dell'art. L. 2393-3 prevede che il committente possa imporre all'appaltatore di subappaltare una parte delle prestazioni previste dall'appalto, anche attraverso - come stabilito al punto n. 1 della medesima norma - lo svolgimento di una procedura concorrenziale ad hoc per la scelta dei subappaltatori.
La stessa disposizione precisa, peraltro, che gli operatori economici legati all'appaltatore non possono essere considerati subappaltatori. Ai sensi dell'art. R. 2393-2 del Code de la commande publique, un operatore economico è considerato legato all'appaltatore quando uno dei due esercita sull'altro, direttamente o indirettamente, un' influenza dominante.

Germania

La direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici è stata recepita nell'ordinamento giuridico tedesco con la Legge sulla modernizzazione della normativa in materia di appalti ( Gesetz zur Modernisierung des Vergaberechts) del 17 febbraio 2016, in vigore dal 18 aprile 2016. La necessità di adeguarsi alle normative europee ha imposto al legislatore un riordino del sistema e la creazione di una disciplina più semplice, più flessibile e più facilmente applicabile. Il fulcro della nuova normativa ( art. 1), che riguarda in particolare gli appalti sopra la soglia comunitaria, è rappresentato dalla novella della parte quarta della Legge contro le restrizioni alla concorrenza ( Gesetz gegen Wettbewerbsbeschränkungen - GWB).
Alla trasposizione della direttiva comunitaria n. 24 del 2014 ha concorso anche l'art. 1 del Regolamento sulla modernizzazione della normativa in materia di appalti pubblici del 12 aprile 2016 ( Verordnung zur Modernisierung des Vergaberechts), emanato dal Governo federale, con il consenso del Bundesrat, sulla base dell'autorizzazione prevista dal § 113 e dal § 114, comma 2, quarto periodo della Legge contro le restrizioni alla concorrenza. Nello specifico, l'art. 1 contiene il Regolamento sull'aggiudicazione degli appalti pubblici ( Verordnung über die Vergabe öffentlicher AufträgeVergabeverordnung, VgV), il cui § 36 reca le seguenti disposizioni sull' istituto del subappalto ( Unterauftrag):
(1) Il committente pubblico può imporre alle imprese, nel bando di gara o nella documentazione di gara, di indicare al momento della presentazione dell'offerta le parti del contratto che intendono subappaltare a terzi e, se ciò è ragionevole, di designare le imprese subappaltatrici previste. Prima dell'aggiudicazione dell'appalto il committente pubblico può richiedere agli offerenti, le cui offerte sono state selezionate, di designare le imprese subappaltatrici e di dimostrare di disporre delle risorse necessarie di tali subappaltatori. Se un candidato o un offerente intende assegnare una parte dell'appalto ad un terzo e allo stesso tempo fa affidamento sulle sue capacità ai sensi dei §§ 45 e 46, si applica anche il § 47;
(2) La responsabilità dell'appaltatore principale resta invariata dal comma 1;
(3) Nell'aggiudicazione di appalti di servizi, che devono essere eseguiti in una struttura del committente pubblico sotto la sua diretta supervisione, il committente pubblico prescrive nelle condizioni contrattuali che l'appaltatore comunichi entro l'inizio dell'esecuzione del contratto i nomi, i dati di contatto e i rappresentanti legali dei suoi subappaltatori, e che debba essere comunicata ogni modifica a livello di subappaltatore che si verifichi nell'ambito dell'esecuzione del contratto. Il committente pubblico può prevedere gli obblighi di notifica sopra indicati anche come condizioni contrattuali nell'aggiudicazione di altri appalti di servizi o di forniture. Inoltre gli obblighi di notifica possono essere estesi anche ai fornitori coinvolti in contratti di servizio, nonché ad altre fasi della catena di subappaltatori;
(4) Alle imprese subappaltatrici di tutti i livelli si applica il § 128, comma 1, della Legge contro le restrizioni alla concorrenza;
(5) Prima dell'aggiudicazione dell'appalto il committente pubblico verifica la sussistenza di motivi per l'esclusione dell'impresa subappaltatrice. In presenza di motivi obbligatori di esclusione, il committente pubblico richiede la sostituzione dell'impresa subappaltatrice. In caso di motivi facoltativi di esclusione il committente pubblico può richiederne la sostituzione. A tal fine il committente pubblico può fissare un termine di scadenza per il candidato o l'offerente.
Particolarmente interessante è l' evoluzione normativa della disciplina relativa al subappalto. L'art. 4, n. 8 del VOB/B, quando era ancora vigente la direttiva 93/37/CEE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, prevedeva che l'autorizzazione al subappalto di opere per le quali l'impresa dell'appaltatore era attrezzata potesse essere concessa soltanto ai fini di un'esecuzione più razionale o tecnicamente migliore di parti dell'opera. In tale logica, la normativa dell'epoca giungeva a far dipendere l'idoneità degli offerenti anche dall'entità delle opere non specialistiche subappaltate. Di fatto, accadeva spesso che l'ente aggiudicatore affidasse il 20-30% del lavoro complessivo a subappaltatori, normalmente imprese di minori dimensioni oppure specializzate in determinate lavorazioni. Il principio cardine della legislazione e della prassi in materia era quindi quello dell'autorizzazione al subappalto se poteva convenire anche al committente pubblico.
In tal senso la Circolare ministeriale sul § 25 – VOB/A – 1.3.3: "L'idoneità dell'offerente dipende anche dall'entità delle opere che intende trasferire a subappaltatori" ( Die Eignung des Bieters hängt auch davon ab, in welchem Umfang er Leistungen an Nachunternehmer übertragen will).
Questa impostazione è stata successivamente capovolta con gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza della C0rte di giustizia  dell'UE, in particolare con la sentenza Siemens AG-Arge Telekom (C-314-01) del 18 marzo 2004.
Già a partire dal recepimento della direttiva 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi avviene l'adeguamento normativo che elimina ogni limite al subappalto. Tale orientamento risulta confermato anche dalla disciplina vigente di recepimento della direttiva 2014/24/UE. Pertanto, con riferimento al contratto di subappalto, nessun limite quantitativo e nessun vincolo è previsto oltre quanto indicato dal diritto dell'Unione.