Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Bilancio
Titolo: Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) - Sintesi delle audizioni
Riferimenti: DOC N.18
Serie: Documentazione di Finanza Pubblica   Numero: 25/1
Data: 24/03/2021
Organi della Camera: V Bilancio

Piano nazionale di ripresa
e resilienza - (PNRR)

 

Doc. XXVII, n. 18

Sinstesi delle audizioni svolte
in V Commissione Bilancio

24 marzo 2021

 

 

Servizio Studi - Ufficio per le ricerche nei settori economico e finanziario

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La redazione del presente dossier è stata curata dal Servizio Studi della Camera dei deputati

 

 

 

Documentazione di finanza pubblica n. 25/1

 

 

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DFP25b.docx

 


INDICE

 

Alleanza cooperative italiane. 5

CGIL.. 5

CISL.. 6

UIL.. 7

UGL.. 8

Confapi 9

Confimprese. 10

Confcommercio. 10

Confartigianato. 11

Confesercenti 12

Casartigiani 13

CNA.. 14

Banca d’Italia. 15

Ufficio parlamentare di bilancio (UPB). 16

Assoporti 19

Rete Ferroviaria Italiana (RFI). 20

Forum disuguagliane e diversità. 21

Save the children. 22

Consiglio nazionale dei giovani (CNG). 24

InGenere. 24

Ladynomics. 25

Il Giusto Mezzo. 26

Commissario Straordinazio Ricostruzione Sisma 2016, dottor Legnini 27

Re Mind filiera immobiliare. 28

Confedilizia. 28

Utilitalia. 28

Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE). 29

Ing. Ercole Incalza. 30

Coldiretti 31

Agrinsieme. 31

CIA – Agricoltori Italiani 32

Confagricoltura. 32

Corte dei conti 33

Confindustria. 36

SVIMEZ.. 39

Conferenza delle regioni e delle province autonome. 40

ANCI 40

Unione delle province italiane (UPI). 40

Unione Nazionale dei Comuni Montani e delle Comunità degli Enti Montani (UNCEM)  41

ISTAT.. 41

CNEL.. 42

Agenzia per l’Italia digitale (AGID). 44

Giampaolo Arachi, Presidente Commissione tecnica per i fabbisogni standard  44

Prof. Giovannini (ASVISS). 45

Centro Studi Regione Mezzogiorno (Regione Mediterranea EUMED). 46

Associazione Tortuga. 46

Sbilanciamoci 47

Minima Moralia. 48

UnoNonBasta. 49

Domenico Lombardi 50

Prof. Carlo Cottarelli 50

Prof. Mauro Magatti 52

Prof. Alessandro Natalini 52

Prof. Pierpaolo Limone. 53

Leonardo S.p.A. 53

Corte dei Conti europea. 54

Banca Europea degli Investimenti (BEI). 55

Commissario europeo Paolo Gentiloni 57

Sindaca di Roma, Virginia Raggi 58

Ministro dell’economia e delle finanze Daniele Franco. 60

Sottosegretario agli Affari europei, Vincenzo Amendola. 62

Ministra per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti 64

Ministra per il Sud e la coesione territoriale, Mara Carfagna. 67

 

 


PROPOSTA DI PIANO NAZIONALE
DI RIPRESA E RESILIENZA (PNRR)

 

Sintesi delle audizioni svolte in V Commissione Bilancio

 

L’Alleanza cooperative italiane, dopo aver espresso un giudizio complessivamente positivo rispetto al PNRR, apprezza la suddivisione tra progetti in essere e progetti nuovi in vista della sostenibilità del debito.

Tra le criticità evidenzia, in particolare: la mancanza di indicazioni precise sulle ricadute occupazionali, anche in vista dello sblocco dei licenziamenti; una carente individuazione delle risorse stanziate per le misure di politica attiva, che andrebbero comunque migliorate e rafforzate; l’individuazione di un unico interlocutore in tema di infrastrutture, con un coinvolgimento marginale delle medie imprese a vantaggio delle grandi; uno scarso coinvolgimento delle parti sociali nella governance del Piano.

Auspica, inoltre, un maggior coinvolgimento di Alleanza delle cooperative italiane, considerando che la stessa potrebbe offrire un supporto non solo per la cooperazione sociale, ma anche nella distribuzione, produzione e trasformazione nei settori agroalimentare e industriale.

 

La CGIL individua tra le positività del Piano l’enucleazione degli interventi in funzione dell’impatto su economia e lavoro, l’inversione della proporzione tra investimenti/incentivi e bonus, nonché la trasversalità attribuita a tre obiettivi strategici fondamentali (giovani, donne e Sud).

Vengono evidenziate diverse criticità, con riferimento sia al Piano nel suo complesso, sia alle singole Riforme.

Con riferimento al Piano sottolinea, in particolare: l’assenza della definizione della governance, malgrado la Commissione europea ne abbia indicato gli elementi costitutivi; un’incidenza degli incentivi e dei bonus ancora molto alta, circa il 30% (oltre 90 mld di euro calcolati per difetto); la mancanza di una definizione degli strumenti per molta parte delle misure; con riferimento agli obiettivi trasversali, la mancanza di un’adeguata analisi del contesto e delle necessità di intervento; un’eccessiva frammentazione, in quanto per buona parte delle missioni manca la descrizione dei singoli progetti, degli obiettivi e dei traguardi intermedi; la mancanza di concretezza degli obiettivi sul versante del lavoro, sia in termini quantitativi che qualitativi, anche con riferimento al contrasto della precarietà; la visione del ruolo dello Stato nell’ambito delle politiche industriali, che continua ad essere di sostegno al mercato e alla libera impresa, invece che di indirizzo; il poco peso delle componenti relative alla transizione ecologica e alla digitalizzazione, che dovrebbero vincolare almeno, rispettivamente, il 37 ed il 20 per cento degli stanziamenti del RRF; la sovrapposizione tra parità di genere e politiche per la famiglia e la configurazione del lavoro agile come misura di conciliazione vita-lavoro.

Tra le criticità riferite alle singole Riforme, si evidenzia in particolare: l’insufficienza della riforma della giustizia nell'affrontare i ritardi e le lungaggini presenti nel processo penale; la eccessiva generalità della riforma fiscale che non sarà complessiva, ma legata alla revisione dell’Irpef finalizzata ad una riduzione delle aliquote effettive sui redditi da lavoro; la mancata definizione puntuale dei programmi attuativi della riforma degli ammortizzatori sociali.

Vengono dunque proposti alcuni interventi e priorità.

Per quanto concerne la governance, si auspica la costituzione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri di una struttura leggera di coordinamento e raccordo che dovrà interfacciarsi con i livelli regionali;

Si chiede un maggiore coinvolgimento delle parti sociali, che dovrebbero essere chiamate ad un confronto rafforzato sulle scelte del PNRR (sia di investimento a partire dalle priorità trasversali che di riforma). Su tale ultimo aspetto, la vicepresidente generale sottolinea che tale ruolo deve essere sancito dal punto di vista normativo nella legislazione sulla governance.

Si sottolinea, inoltre, la necessità: di un piano di assunzioni straordinario nella pubblica amministrazione; dell’integrazione della descrizione della parità di genere con riferimenti al contrasto alle discriminazioni, alla precarietà e alle forme di marginalizzazione del lavoro femminile; del rafforzamento di talune riforme necessarie per l’attuazione del Piano - quali quelle fiscale, della P.A., del sistema di istruzione, del sistema universale degli ammortizzatori e degli investimenti sulle politiche attive – e degli strumenti di sostegno alla contrattazione collettiva e di contrasto al lavoro nero e alla precarietà; dell’introduzione di una legge sulla rappresentanza e sulla definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni.

 

La CISL riconosce la coerenza complessiva del Piano, ma evidenzia alcune criticità, tra cui, in particolare: l’assenza di un quadro operativo dettagliato; l’assenza di una governance del Piano, nell’ambito della quale chiede un maggior coinvolgimento delle parti sociali, soprattutto nella fase di monitoraggio dei risultati legati agli obiettivi trasversali (giovani, donne e Sud); l’utilizzo di solo una parte delle risorse di NGEU; una carenza nella declinazione delle linee di investimento; la mancata individuazione dei ritorni attesi, che ostacola, tra l’altro, il monitoraggio dei risultati degli investimenti; una debolezza nella declinazione degli obiettivi generali, anche di quello relativo alla transizione ecologica.

Per quanto riguarda il lavoro, dopo aver manifestato la condivisione degli obiettivi enunciati nel Piano, si sottolinea l’insufficienza di alcune azioni, perché carenti nella definizione della relativa operatività, e la necessità di stanziare ulteriori risorse, in particolare per il rifinanziamento della cassa integrazione, per il rafforzamento delle politiche attive e per la misura costituita dall’assegno di ricollocazione, per la previsione di incentivi a favore delle imprese che introducono misure di conciliazione vita-lavoro, nonché per incentivare il lavoro agile.

In materia di sanità, si sottolinea che le risorse stanziate non appaiono sufficienti a fronteggiare i tagli degli ultimi decenni, mentre si rileva l’esigenza di maggiori risorse per rafforzare i servizi sociali sul territorio.

Per quanto concerne la digitalizzazione, si evidenzia che questa deve accompagnarsi ad una revisione dei modelli organizzativi, nonché ad una valorizzazione della ricerca pubblica.

 

La UIL prende atto dei miglioramenti che ci sono stati rispetto alle bozze precedenti, in particolare in materia di sanità, istruzione e ricerca, turismo, cultura e infrastrutture, ma non giudica ancora il Piano pienamente soddisfacente in quanto mancano indicazioni esplicite su importanti capitoli per la crescita economica, sociale e occupazionale del Paese.

Valuta positivamente la trasversalità contenuta nel Piano in merito alle priorità su giovani, donne e Sud, il fatto che si investa più del 34 per cento delle risorse nel Mezzogiorno, ma evidenzia la necessità di una loro migliore declinazione nelle singole componenti del Piano stesso.

Tra gli elementi di maggiore criticità evidenzia: la poca chiarezza riguardo la ripartizione tra i diversi obiettivi delle risorse relative sia a NGEU, sia alla coesione europea 2021-2027, sia al fondo sviluppo e coesione nazionale; lo scarso coinvolgimento delle parti sociali, soprattutto con riferimento al monitoraggio dei risultati; il mancato approfondimento della questione di genere, soprattutto sul versante dell’occupazione femminile, che, sottolinea, è cosa diversa dall’inclusione sociale femminile; la mancata specificazione dei diversi passaggi che dovrebbero portare alla trasformazione dell’attuale modello economico; la mancanza di un cronoprogramma chiaro con riferimento alle diverse riforme, nonché di criteri per la misurazione degli obiettivi; la mancanza di una riforma fiscale complessiva; la mancanza di un piano di rigenerazione amministrativa, demandata solo allo stanziamento di risorse per il capitale umano e il rafforzamento delle competenze; la debolezza degli interventi in materia di politica industriale collegata al tema della ricerca ed innovazione; la mancanza di una strategia climatica a lungo termine; l’insufficienza delle risorse per l’istruzione e le politiche attive; la mancanza di un ragionamento più ampio sulla non autosufficienza, a proposito del quale si ribadisce la necessità di una legge quadro nazionale che definisca servizi e sostegni adeguati e uniformi.

Con riferimento alla digitalizzazione, evidenzia la mancanza di un piano di alfabetizzazione della popolazione digitale soprattutto la più anziana.

Infine, valuta positivamente la promozione del lavoro agile, ma ritiene necessario che la stessa sia ulteriormente declinata perché potrebbe essere controproducente per le donne e la parità di genere. Infine, non ritiene che la legge sulla rappresentanza sindacale possa influire sulla produttività.

 

L’UGL evidenzia diverse necessità che dovrebbero essere maggiormente considerate dal Piano, tra cui, in particolare, un grande progetto di rigenerazione urbana e sociale, la riqualificazione del lavoro dipendente, il potenziamento delle infrastrutture materiali e immateriali, una maggiore equità fiscale intergenerazionale, la riqualificazione delle aree dismesse e dell’edilizia popolare per garantire l’accesso al bene casa, nonché un rafforzamento della transizione energetica.

Sottolinea l’insufficienza dello strumento del credito d’imposta che negli anni ha ormai esaurito il suo potenziale e la necessità di sostituirlo con investimenti di denaro pubblico a sostegno dell’iniziativa privata e degli enti locali.

In tema di lavoro considera positivamente l’istituzione del Fondo nuove competenze, ma ritiene necessario investire maggiormente sulla formazione anche del lavoro autonomo e non solo di quello dipendente.

Evidenzia la necessità di una riduzione strutturale del costo del lavoro e di una riforma degli ammortizzatori sociali, anche attraverso l’utilizzo integrato del part time.

Reputa necessario il potenziamento delle misure di accompagnamento al pensionamento per favorire il ricambio generazionale e auspica relazioni industriali improntate al criterio della partecipazione, con conseguente attuazione dell’art. 46 della Costituzione.

Considera, inoltre, fondamentali la previsione di maggiori incentivi per la produttività, la programmazione di nuove assunzioni nel pubblico a partire dagli enti locali ed il potenziamento delle infrastrutture e della digitalizzazione per favorire la qualità del lavoro e rilanciare la parte relativa all’edilizia scolastica, sanitaria e socio-assistenziale.

A proposito della discrepanza tra le informazioni che arrivano dalla commissione europea e le cifre presenti nel Piano, propone tre diverse possibilità: un taglio dei progetti, un ulteriore scostamento di bilancio o un accesso ai prestiti comunitari maggiore rispetto a quanto preventivato.

 

Confapi sottolinea alcune criticità per l’attuazione delle riforme previste nel Piano.  Per quanto riguarda la riforma della pubblica amministrazione, un problema rilevante è l’età elevata della classe impiegatizia, per cui occorre una strategia volta ad attrarre i giovani, altrimenti la digitalizzazione sarà complicata. Per la riforma della giustizia, occorre segnare dei reali passi in avanti, andando oltre le mere dichiarazioni di intenti. Sul sistema del welfare, che incide anche sul sistema pensionistico, viene evidenziata la necessità di misure idonee a fronteggiare gli scarsi indici di natalità. Con 2,6 miliardi di investimento sui potrebbe intervenire sui servizi nei comuni, tipo asili nido, e ottenere 300 mila posti di lavoro, in special modo femminile.

Altre criticità derivano dalla diminuzione – nel passaggio dalle linee di indirizzo di settembre al Piano di gennaio - degli investimenti previsti nel settore energetico e per gli incentivi all’industria. Si passa nel primo caso da 43 a 35 miliardi e nel secondo da 35,5 a 26,7 miliardi.

Un tema importante è dato dai possibili investimenti nelle centrali idroelettriche, cui non viene dato spazio. Nell’arco alpino questi investimenti concilierebbero lavoro e sviluppo sostenibile.

Un’altra area di intervento riguarda il progetto Innovazione 4.0, che allo stato avvantaggia la grande industria, dato che per le imprese più piccole sono necessarie costose consulenze professionali.

Con riferimento ai lavori pubblici, si sottolinea la necessità di pensare non solo ai grandi progetti, ma anche agli investimenti sul territorio (scuole e strade comunali).

Nel campo del diritto del lavoro ci vuole flessibilità, senza preconcetti ideologici; molto si otterrebbe in modo indiretto riducendo i tempi di pagamento della grande impresa, pari a 180 giorni.

Al fine di incidere sulla bassa capitalizzazione delle imprese si potrebbe defiscalizzare gli utili che vengono reinvestiti in capitale.

La vita delle imprese viene spesso pregiudicata nei passaggi di generazione, per cui sarebbe necessarioauna politica di formazione di una valida classe manageriale.

Nel campo della ricerca, sarebbe necessaria una strategia che crei un sistema, con punti di eccellenza. Trattandosi di un investimento che riguarda quasi sempre i giovani, occorre fornire loro non solo incentivi alle attività, ma anche reali possibilità economiche, collegando le imprese con le università, i ricercatori e i centri di ricerca.

Sul piano vaccinale, viene avanzata la proposta di fare i vaccini in azienda, con i medici del lavoro, il che alleggerirebbe il carico sulle Asl.

Da ultimo, per quanto riguarda la governance del piano di ripresa, occorre coinvolgere industriali e produttori, anche in forma gratuita.

 

 

Confimprese ritiene prioritario partire da un rilancio dei consumi, che valgono 1.100 miliardi di euro (di cui 445 miliardi per il retail), coinvolgono 1.290.000 imprese e occupano 3,4 milioni di lavoratori. Si tratta del motore dell’economia e di un serbatoio occupazionale decisivo.

Per realizzare le apprezzabili finalità del Piano, serviranno una capacità e un livello di efficienza sconosciute in passato.

Per le politiche del lavoro occorre basarsi sulla flessibilità, superando il pregiudizio verso i contratti a termine, perché le imprese hanno bisogno di un serbatoio di flessibilità.

Si potrebbe poi pensare a forme di part time generazionale, secondo un patto sociale che trasferisca il lavoro dai lavoratori più anziani a quelli più giovani.

Nei rapporti tra datore e dipendenti potrebbero essere importanti i flexible benefits (mezzi di trasporto collettivo, buoni acquisto, corsi di formazione, polizze sanitarie, previdenza complementare, interessi agevolati su mutui e prestiti, asili nido, borse di studio, agevolazioni culturali, ecc.). Oggi come oggi sono strumenti molto complessi da porre in essere, con un eccessivo livello di burocrazia.

Con riferimento alla trasformazione digitale, viene sottolineato che occorre attuarla in forme che prevengano la desertificazione commerciale, già nota nei paesi europei del nord, dato che i negozi hanno anche funzione sociale e urbana.

Con specifico riferimento alla Missione 1, si rileva che il commercio al dettaglio (retail) e la ristorazione sono parte dell’attrattività turistica di un territorio, per cui servirebbero misure dedicate.

 

Confcommercio ritiene che il confronto tra Parlamento e forze economiche potrà portare a un progetto più chiaro. Anche con riferimento alla governance, è decisiva la partecipazione delle parti sociali per trovare - nell’ambito delle priorità condivise con l’Unione europea - un punto di equilibrio tra crescita e debito pubblico per riuscire ad utilizzare tutte le risorse disponibili in modo fruttuoso.

Come spesso avviene, nel Piano il maggior impatto finanziario è fornito da investimenti pubblici. Occorre però anche un rilancio degli investimenti privati, che erano previsti nel piano Colao. Il codice degli appalti va rivisto, poichè attualmente crea inefficienze del sistema produttivo.

La realizzazione delle riforme (PA, giustizia, fisco) può portare ad un miglioramento di un punto percentuale sul PIL. Anche il miglioramento delle competenze e del funzionamento del mercato del lavoro potranno portare a un incremento di un ulteriore punto percentuale di PIL. Senza riforme l’impatto della spesa sulla crescita sarà sensibilmente inferiore.

Nel Piano sembra mancare un’idea sulla distribuzione integrata con la rivitalizzazione urbana. Gli stanziamenti risentono di una logica assistenziale, senza un progetto di economia urbana.

Invita alla modernizzazione dei sistemi agroalimentari, che potrebbero svolgere il ruolo di piattaforme logistiche.

Un altro punto importante sarebbe una visione integrata tra turismo e sostenibilità, compreso il tema dei trasporti e della mobilità in generale.

Sulla digitalizzazione e la rivoluzione verde, con particolare riferimento all’obiettivo della decarbonizzazione, si richiede la previsione di incentivi adeguati.

Sul tema del lavoro mancano i dettagli sui contenuti degli interventi, così come mancano strategie di coordinamento fra Stato e regioni e adeguate azioni sul tema dell’occupazione giovanile e femminile.

Altri temi di rilievo, non sufficientemente trattati nel Piano, sono l’accesso al credito e la valorizzazione del Made in Italy.

 

Confartigianato sottolinea che il Piano può partire da progetti già avviati, come il superbonus 110 per cento e il programma Transizione 4.0.

Pur esprimendo pieno sostegno al Piano, ritiene preoccupante che tornino affermazioni sulla ridotta dimensioni delle imprese, osservando che la resilienza è invece assicurata dall’agilità del sistema produttivo.

Le piccole imprese sono un valore, le PMI a conduzione familiare hanno un futuro, in termini ambientali, di efficacia e di successo dei prodotti. Non a caso l’Italia è la seconda manifattura europea e molte esigenze di recupero competitivo passano attraverso le piccole imprese. Le micro e piccole imprese rappresentano inoltre un primario canale di ingresso nel mercato del lavoro per i giovani.

Il riutilizzo dei prodotti, la trasformazione dei rifiuti in risorse, l’efficientamento energetico, il ricorso alle fonti rinnovabili, la valorizzazione del bello, l’attitudine alla formazione ed alla trasmissione delle competenze ai giovani, sono temi connaturati ai modi di fare dell’artigianato e delle piccole imprese. Ritiene che per favorire un duraturo sviluppo economico sia necessaria un’opera di valorizzazione delle comunità territoriali. Anche la normativa comunitaria sugli appalti prevede forme di valorizzazione delle imprese a KM 0.

La vera sfida da affrontare sarà data dalla capacità della macchina amministrativa di scaricare a terra le potenzialità del Piano.

La governance sarà importante, con un costante confronto con le forze sociali, in modo da evitare di insistere su progetti poco costruttivi e costruiti solo sulla carta.

Ritiene centrale la scommessa sulle riforme strutturali (fisco, PA, giustizia). Le riforme devono portare ad un sostegno attivo all’occupazione, rafforzando le competenze, comprese quelle digitali; ad assicurare liquidità all’economia reale senza ritardi nei pagamenti; a ridurre la durata dei processi civili e penali; a snellire la Pubblica Amministrazione; a garantire, nel medio periodo, la sostenibilità del debito, incrementando gli investimenti produttivi.

Sulla questione dell’innovazione digitale, adeguate misure di sostegno potranno accompagnare le imprese verso la sostenibilità. Il digitale può spostare gli attuali confini competitivi dell’impresa artigiana.

Occorre anche una nuova normativa delle imprese artigiane, innalzando gli attuali limiti fino a 50 dipendenti.

Segnala la centralità - per il mondo produttivo - dei cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, con la crescente necessità di competenze professionali più evolute, soprattutto nel digitale. Spesso si assiste al paradosso per cui l’occupazione è bassa ma non si trovano lavoratori qualificati. Occorre quindi una formazione adeguata, rilanciando il modello dell’apprendistato. Per quanto riguarda gli ITS, annuncia che è in fase di pubblicazione uno studio di Confartigianato per analizzare le potenzialità di questo canale di formazione. In ogni caso, occorrono fondi ad hoc per la formazione, soprattutto per l’ingresso nel mondo del lavoro delle donne.

 

 

Confesercenti segnala che l’attuale versione del Piano ha ridotto al 21 % la quota di incentivi destinati alle imprese. La parte relativa al settore privato è stata ridimensionata, mentre sono state incrementate le risorse per gli investimenti pubblici.

Con la pandemia, nei settori del commercio e del turismo e nelle filiere ricreative e culturali, si è verificato un crollo verticale del valore aggiunto, trattandosi di comparti legati all’eccezionale caduta dei consumi delle famiglie, ridottisi di 105 miliardi (-10,5%).

Senza normalizzazione dei consumi non ci sarà rilancio. Ogni mese di ritardo determina una permanente distruzione del potenziale produttivo: un mese di ritardo determina 4,7 miliardi di mancato recupero dei consumi e una corrispondente perdita di Pil dello 0,3%, per cui è inevitabile che molte imprese non avranno la forza di rimanere sul mercato.

I consumi valgono il 60% del PIL. L’online ha registrato un grosso incremento, ma ha operato per lunghi periodi quasi in regime di monopolio, per cui si può affermare che nel 2020 la concorrenza non è stata leale.

Nel Piano manca un progetto generale di rilancio del commercio di vicinato.

La significativa perdita del valore di avviamento delle imprese, nei settori del commercio e dell’accoglienza turistica, dà la misura della gravità di questo fenomeno di crisi.

Il Governo ha avviato una miriade di bonus, disperdendo le risorse. Anche i 5 miliardi destinati al cash back potevano essere meglio finalizzati.

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, ritiene che con la fine del blocco dei licenziamenti si registreranno grandi difficoltà. Sarà necessaria una revisione complessiva degli strumenti contrattuali del mercato del lavoro.

Le dimensioni delle imprese vanno consolidate e ne va migliorata la produttività attraverso la digitalizzazione.

Il Piano deve essere assistito da un rafforzamento della collaborazione tra Governo e parti sociali. Quando non è stato fatto si sono registrati errori. Si pensi ai sostegni attraverso i codici ATECO: si è generato un sistema non corretto, come ora viene ampiamente riconosciuto.

Nel settore del turismo occorre sostenere le imprese e preparare la ripresa, attraverso un piano di rilancio specifico.

Sottolinea poi la necessità di riqualificazione professionale, anche per assicurare il mantenimento dei livelli occupazionali, superando i ritardi degli investimenti in formazione delle competenze e nell’innovazione digitale. In questo gli ITS possono avere un ruolo fondamentale.

Nel Piano non emerge il legame decisivo tra innovazione e micro, piccole e medie imprese, anche se il 20% delle risorse dei Piani Nazionali dovrà essere destinato ad alimentare il pilastro della digitalizzazione dell’economia. Il Piano deve contenere o indicare progetti dell’innovazione digitale dedicati specificamente alle imprese più piccole, sempre coinvolgendo le parti sociali.

Da ultimo, sulla concorrenza dei “giganti del web”, ritiene che sia una realtà di cui non si può non tenere conto, a cui occorrerebbe reagire con piattaforme di commercio online autoctone..

 

Casartigiani evidenzia che il Piano dovrà essere solido e credibile per rispondere ad una duplice esigenza: rapidità degli interventi e soluzione dei nodi strutturali che rallentano da decenni il Paese.

Primi obiettivi di contesto devono essere le riforma fiscale e la riforma della giustizia. Se le risorse non verranno sfruttate in modo efficace, il peso economico del debito che viene contratto potrebbe gravare molto pesantemente sulle future generazioni.

Impresa e artigianato richiedono interventi mirati. In alcuni casi sembra che la dimensione media del sistema produttivo sia considerato un problema da risolvere. La realtà del sistema produttivo italiano è che molte imprese sono sotto i 10 addetti, per cui è inutile proporre modalità di sviluppo che non tengano conto di questo. Il Piano deve piuttosto affrontare le limitazioni di contesto che affliggono le piccole e medie imprese.

Sarà poi importante porre in essere un piano di interventi largamente condivisi, in modo da garantire che siano portati avanti anche nel lungo periodo. In questo senso sarà fondamentale il coinvolgimento permanente delle parti sociali, con una cabina di regia.

Le proposte attuali vanno nella giusta direzione. Il Piano appare più bilanciato nell’ultima versione, con maggiore attenzione a cultura e turismo, settori per i quali le risorse salgono da 3 a 8 miliardi.

Ritiene che siano da condividere misure come il superbonus al 100 per cento e il progetto Transizione 4.0. Per il superbonus occorrerebbe prorogare l’incentivo fino al 2023, per consentire di programmare gli interventi.

È poi importante lo sviluppo delle reti infrastrutturali, soprattutto al Sud. Sarebbe opportuno un piano Marshall per le costruzioni, per rimettere in moto le piccole imprese nel territorio.

L’obiettivo deve essere quello di assicurare risposte concrete, con rapida disponibilità delle risorse, cancellando inutili passaggi burocratici negli appalti pubblici.

Auspica una proroga degli incentivi per l’acquisto di beni strumentali nuovi.

Sarà necessario puntare a rafforzare i presidi sui mercati esteri, con un supporto qualificato e specializzato.

Apprezzabile è l’obiettivo di migliorare i tempi di accesso al credito. Le banche non sempre sono all’altezza. I progetti del Piano potrebbero trovare una buona percentuale di realizzazione facendo leva sui Confidi. In ogni caso si deve pensare ad un intermediario bancario qualificato, in grado di dialogare con le imprese tenendo conto delle esigenze specifiche di ciascuna di esse.

 

CNA ritiene che il Piano debba segnare una chiara discontinuità rispetto al passato. È un’occasione irripetibile per una ripresa solida e duratura. Altrimenti il debito che esso genera si tramuterà in un macigno sulle prossime generazioni. Ora non ci sono più alibi legati alla mancanza di risorse. Bisogna evitare di ripetere gli errori fatti sui fondi strutturali, dispersi senza risultati.

L’economia italiana vede si caratterizza per una grande frammentazione delle imprese. Non è detto che debba essere un elemento di debolezza. L’Italia è questa, per cui bisogna evitare interventi “a taglia unica”, ma pensare a misure specifiche per le PMI.

Il secondo grande presupposto è avere una idea sul futuro del Paese. Innovazione, digitalizzazione e inclusione sociale vanno bene, ma occorre che portino a centri abitati vivibili e moderni, sfruttando la vocazione produttiva dei territori, che è figlia della storia e della cultura delle singole aree.

Una debolezza cronica del Paese è il tema delle riforme. Occorrono misure sulla giustizia, sul fisco, contro la burocrazia e a favore di politiche attive sul lavoro, oltre probabilmente a un intervento sulle pensioni. Un obiettivo da perseguire con forza è la modernizzazione della PA.

È sbagliato che il Piano non parli della governance. Ci vorrebbe invece una cabina di regia permanente. Più che pensare a modificare il Piano, sarà importante curare a dovere la realizzazione delle fasi successive, con interventi adattati alle esigenze delle PMI.

Ritiene che le misure che fanno capo al capitolo Transizione 4.0 non siano sufficientemente tagliate su misura per le PMI.

Sul tema della formazione, dell’innovazione e della ricerca, occorre valorizzare il ruolo degli ITS, assicurando che gli studenti siano in grado di entrare nel mondo del lavoro con facilità, perché occorre manodopera specializzata. Anche l’esperienza delle scuole professionali si è rivelata molto utile. 

Per quanto riguarda la normativa sugli appalti, probabilmente occorrerebbe attuare quello che è già previsto, senza continue riforme, ad esempio facendo maggiore leva sulla suddivisione in lotti delle gare.

 

La Banca d’Italia ha osservato, in via generale, che lo scenario definito nella bozza del PNRR è molto impegnativo in termini di capacità di progettazione e di esecuzione. Gli effetti moltiplicativi degli interventi, valutati fino a 2 punti percentuali di PIL entro il biennio 2023-2024, saranno tanto maggiori quanto più sarà efficiente l’impiego delle risorse, ciò che richiede una netta discontinuità con il passato e una struttura di governo degli interventi adeguata alla complessità dell’impresa. Le maggiori risorse rese disponibili dal programma europeo a condizioni vantaggiose andranno comunque restituite, per cui se non saranno impiegate in maniera produttiva i problemi del Paese non saranno alleviati, ma accresciuti dal maggiore indebitamento. L’attuazione del Piano va collocata nella prospettiva di una strategia di progressiva riduzione del peso del debito pubblico sul PIL. Il solo aumento della spesa pubblica non è sufficiente a fornire il necessario incentivo a un aumento duraturo dell’accumulazione privata. La massima attenzione andrà posta, quindi, alla definizione puntuale degli interventi e alla gestione della loro realizzazione.

Occorre inoltre dare corso a un insieme di riforme che possa sostenere il processo di sviluppo oltre il breve termine, migliorando l’efficacia dell’azione pubblica, l’ambiente in cui si svolge l’attività di impresa, il funzionamento del mercato del lavoro. Tuttavia, con l’eccezione delle misure sulla giustizia, gli interventi di riforma preannunciati nel Piano, pur coprendo aree coerenti con le raccomandazioni della Commissione, non sembrano ancora sufficientemente articolati, il che ostacola una valutazione del loro potenziale impatto. In particolare appaiono poco sviluppate le linee di azione per promuovere la concorrenza e i dettagli degli interventi volti a favorire una maggiore efficienza della pubblica amministrazione.

Pur prevedendo un deciso investimento nella digitalizzazione e un miglioramento della selezione del personale pubblico, il Piano non delinea ancora una strategia per favorire una ricomposizione delle risorse umane che assecondi il cambiamento tecnologico, né offre indicazioni sufficientemente dettagliate sulla revisione delle procedure amministrative e sugli interventi di semplificazione. Tali interventi sono tanto più importanti per il Mezzogiorno, dove la spesa in conto capitale pro capite assorbita nell’ultimo decennio è stata sistematicamente inferiore a quella destinata alle altre aree.

Infine, per quanto riguarda l’efficacia degli interventi previsti per le politiche attive del lavoro molto dipenderà dalla possibilità di superare gli ostacoli posti dal riparto delle competenze tra Stato e Regioni.

 

L’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) ha evidenziato, innanzitutto, che alcune indicazioni sul quadro finanziario del Piano necessitano di essere completate, con riferimento a parziali incongruenze numeriche (sia interne al Piano, sia nei confronti di quanto esposto in documenti precedenti) e alla dettagliata esposizione degli interventi e del loro profilo temporale, necessari ai fini di una valutazione complessiva dell’utilizzo delle risorse e dei suoi effetti sul sistema economico.

Aspetti poco chiari attengono sia agli utilizzi aggiuntivi (per 14,4 miliardi), sia alle risorse (per 21,2 miliardi) che riguardano l’anticipazione del Fondo sviluppo e coesione (FSC) per il 2021-27.

Rispetto ai primi il Piano fa riferimento a un possibile “effetto leva” e all’esigenza di costituire “margini di sicurezza” qualora alcuni progetti dovessero non essere ritenuti ammissibili dalla Commissione europea. Andrebbe pertanto fornita una distinzione quantitativa tra risorse NGEU, risorse private attratte tramite l’“effetto leva”, risorse costituite come margine di sicurezza. Sembra potersi ritenere che questi prestiti, pur determinando – nell’esposizione attuale del PNRR – un aumento di 14,4 miliardi delle risorse complessive del programma NGEU, non dovrebbero essere considerati come aggiuntivi in quanto destinati a riassorbirsi nella versione finale del PNRR. Qualora si trattasse di risorse private, attivate tramite “effetto leva”, l’impatto sul quadro macroeconomico potrebbe risultare ampliato, ma non attraverso il canale pubblico.

Andrebbero chiariti, inoltre, gli aspetti relativi all’anticipo e al successivo reintegro del Fondo sviluppo e coesione (FSC), preannunciato nel documento. Sembrerebbe di poter riscontrare la volontà di accelerare sulla realizzazione della spesa relativa al FSC, a valere su progetti che rientrano nell’ambito delle finalità del Fondo stesso e si presentano in uno stato più avanzato di definizione. L’anticipo di 21,2 miliardi del FSC dovrebbe essere operato (verosimilmente a partire dalla prossima legge di bilancio in base a quanto sarà programmato nel DEF 2021) a valere sulle risorse già previste nei tendenziali di finanza pubblica e, in tal senso, può essere finanziato tramite prestiti sostitutivi di NGEU, non implicando un aumento in valore assoluto del debito pubblico ma una sua diversa distribuzione temporale, che riflette l’anticipo di deficit. Tali evoluzioni, i loro impatti sul quadro macroeconomico e gli eventuali effetti di retroazione fiscale, come anche i profili temporali di reintegro delle risorse del FSC anticipate, saranno illustrati verosimilmente nel DEF 2021.

Per quanto concerne l’impatto macroeconomico del Piano, è necessario che nella sua versione definitiva venga presentata una distribuzione temporale dell’utilizzo delle risorse nei singoli anni del periodo 2021-26, con un approccio bottom up a partire dalla tempistica di realizzazione dei singoli progetti, dalla cui aggregazione risalire alla tempistica di attuazione del Piano. In assenza di tali informazioni l’UPB, attraverso il modello macroeconomico MeMo-It, ha condotto una simulazione preliminare per individuare l’ordine di grandezza dell’impatto del PNRR sull’economia italiana.

Lo sviluppo temporale di sovvenzioni, prestiti aggiuntivi e risorse del programma React EU è stato considerato secondo la scansione prevista nella NADEF, considerando il 70% destinato a investimenti e la restante parte a contributi agli investimenti. Si tratta di ipotesi eroiche, sia sulla dinamica temporale delle componenti aggiuntive, sia rispetto alla composizione di bilancio; inoltre, la ripartizione delle risorse tra prestiti aggiuntivi e sostitutivi e sovvenzioni contribuisce a rendere opaco il quadro alla base della stima dell’impatto macroeconomico.

Dalla simulazione si ricava che l’effetto espansivo sarebbe pressoché uniformemente distribuito nel periodo considerato, raggiungendo oltre un punto percentuale di PIL entro i primi tre anni (2021-23), analogamente a quanto previsto nel PNRR, e un incremento ulteriore di simile entità nel successivo triennio, per giungere nel 2026 a un innalzamento del PIL dell’Italia di circa 2,5 punti percentuali, contro circa 3 punti nel PNRR. Il moltiplicatore di bilancio medio sarebbe superiore all’unità in quanto lo stimolo esogeno si concentra sugli investimenti pubblici, che tipicamente hanno un elevato potere di attivazione nei modelli macroeconometrici.

Le ragioni dello scostamento tra le stime UPB e quelle del PNRR possono essere molteplici. La valutazione del PNRR si basa sul modello Quest che considera anche gli effetti sul lato dell’offerta, mentre il modello utilizzato dall’UPB coglie solo il lato della domanda. Tale differenza è cruciale per un piano che punta a innalzare la capacità produttiva del Paese. L’ipotesi implicitamente adottata dal PNRR, che la spesa sia di qualità ed efficienza elevate, in modo da innalzare strutturalmente la produttività e quindi il potenziale di crescita nel medio-lungo periodo, non è valutabile allo stadio attuale di definizione del Piano.

Per quanto concerne gli assi di intervento del PNRR e le riforme connesse, l’UPB evidenzia una serie di criticità. Innanzitutto la frammentazione delle iniziative che emerge dal PNRR appare eccessiva e rischia di diluire la potenzialità del Piano di incidere in modo strutturale sulla realtà del Paese, con una dispersione di risorse che potrebbe non consentire di realizzare gli obiettivi di policy dichiarati.

Il documento, poi, è disomogeneo nella identificazione dei criteri per l’allocazione delle risorse ai singoli progetti. La cantierabilità rischia di entrare in conflitto con l’obiettivo di favorire un riequilibrio dei divari territoriali del Paese. Il criterio della cantierabilità andrebbe pertanto affiancato da un adeguato supporto progettuale ai soggetti attuatori, tale da consentire di accedere ai finanziamenti anche ai soggetti storicamente in ritardo nella programmazione e nell’utilizzo delle risorse.

La bozza di regolamento UE richiede una accurata esplicitazione di investimenti e riforme, identificate in sintonia con le Raccomandazioni specifiche al Paese da parte dell’Unione. Nello svolgimento di questo binomio il Piano appare debole e le indicazioni appaiono generiche anche in relazione agli eventuali costi associati alla realizzazione delle riforme stesse, come invece previsto dalla bozza di regolamento europeo.

Tenuto conto dell’esigenza di accelerare le procedure di appalto ed esecuzione delle opere, anche in deroga alle ordinarie procedure, comprese quelle destinate a limitare pratiche illecite, il PNRR non sembra dedicare adeguata attenzione a quali nuovi strumenti possano essere adottati per contrastare efficacemente infiltrazioni criminali, frodi ed episodi corruttivi nella gestione dei progetti finanziati dal Piano. In particolare, come richiesto dalla bozza di regolamento, è necessario introdurre un sistema di raccolta, organizzazione e analisi di categorie standardizzate di dati al fine di rilevare e correggere irregolarità gravi, come anche rafforzare la capacità di recupero delle risorse indebitamente erogate.

Nel PNRR mancano (presumibilmente in quanto ancora in fase di elaborazione) le informazioni relative al cronoprogramma degli interventi, agli indicatori sullo stato di avanzamento, agli obiettivi qualitativi e quantitativi che si vogliono raggiungere e ai criteri di monitoraggio. La completezza e la trasparenza degli elementi informativi, metodologici e quantitativi, è una precondizione per informare il Parlamento e consentire al mondo della ricerca di operare valutazioni di impatto indipendenti.

Per quasi tutte le linee di intervento elencate nel PNRR vi sono politiche di bilancio ordinarie, che fanno capo a strutture amministrative dedicate. I tempi ristretti per il completamento delle procedure di spesa spingerebbero a privilegiare l’adozione di strumenti straordinari, ma dovrebbe anche essere l’occasione per l’internalizzazione e la valorizzazione di un nuovo modo di disegnare le politiche pubbliche, basata sulla identificazione delle priorità, la selezione dei progetti che meglio soddisfano quelle priorità, la misurazione e controllo dei risultati attesi. Obiettivo prioritario è certamente quello di spendere bene ogni euro di risorsa assegnata, ma il contributo di NGEU sarà ancora maggiore se condurrà a una diversa prospettiva amministrativa, a una migliore capacità di attuazione delle politiche pubbliche.

 

Assoporti ha sottolineato come il Recovery sia fondamentale per la portualità e la logistica italiana evidenziando alcune criticità che rendono più difficile il raggiungimento degli obiettivi di crescita della nostra portualità che potrebbero essere superate anche grazie alle risorse del Recovery. Preliminarmente è stata sottolineata l’esigenza di una razionalizzazione delle funzioni delle amministrazioni che intervengono nelle procedure della portualità italiana. L’associazione ritiene necessario un punto di riferimento per le AdSP che coordini la Conferenza nazionale dei presidenti (ad esempio un Ministero del mare, oppure un sottosegretario o viceministro all’interno del MIT), le cui competenze peraltro dovrebbero essere messe a regime con poteri veri di programmazione e coordinamento, e un generale rafforzamento delle direzioni e degli uffici del MIT dedicati alle materie della portualità, del mare e della logistica. Oltre ad una semplificazione del codice degli appalti (o in alternativa il ricorso ai commissariamenti, considerato dall’associazione un second best), l’associazione sottolinea l’esigenza di puntare alla piena digitalizzazione dei processi e della logistica con risorse mirate per la fluidificazione dell’entrata e soprattutto dell’uscita dei porti delle merci. A tale scopo Assoporti propone di trasferire le competenze di UIRNET a RAM S.p.a (Rete Autostrade Mediterranee), attribuendo un ruolo di regia a RAM. Un ulteriore richiesta di semplificazione normativa concerne i dragaggi che rappresentano un elemento fondamentale per la competitività dei porti. Un ulteriore profilo riguarda l’incremento delle risorse per gli investimenti nei porti con specifico riferimento alle connessioni ferroviarie di ultimo miglio (come previsto a pag. 109 del PNRR) e per la transizione energetica. La priorità per Assoporti è quindi quella di sviluppare i collegamenti intermodali dei porti con il territorio. Ulteriori iniziative richieste concernono la semplificazione della normativa sulle ZES e ZLS creando un’autorizzazione unica ed utilizzando ampiamente il principio del silenzio-assenso in modo da superare la frammentazione dei pareri cui attualmente sono ancora assoggettati gli operatori economici in tali zone; l’attribuzione di maggiori risorse per i ristori alle imprese per la riduzione dei traffici portuali in relazione al COVID; un chiarimento del ruolo dell’ART che dovrebbe limitarsi ad essere un regolatore di pubblica utilità, mentre tutte le altre competenze dovrebbero essere riportate nell’ambito delle ADSP e infine la risoluzione del problema dei costi della TARI, che si sono sommati all’attuale congiuntura negativa. Per lo sviluppo dei porti, oltre al rispetto della vocazione territoriale, l’associazione segnala come i porti possono contribuire ad incrementare il PIL generato delle economie locali ma non sono, essi stessi, in grado di costruire ricchezza indipendentemente dallo sviluppo dei territori.

 

Rete Ferroviaria Italiana (RFI) ha preliminarmente descritto il contesto nel quale opera, caratterizzato da una forte crescita della domanda di mobilità e dallo squilibrio tra trasporto pubblico e privato, da un gap di connettività ferroviaria in termini di integrazione tra i diversi sistemi di mobilità e di disomogeneità nei livelli prestazionali delle linee e delle reti ferroviarie nelle diverse aree del Paese, con particolare attenzione alla sicurezza, dall’accresciuto ruolo che hanno le tecnologie nel trasporto e dalla strutturale fragilità del territorio nazionale. In tale contesto il Recovery plan, innestandosi sul Piano investimenti di Rete ferroviaria italiana, può contribuire a superare queste problematiche. All’interno dei 223,9 miliardi di euro del PNNR italiano vi sono 26,5 miliardi di euro per le infrastrutture ferroviarie di cui 23,83 miliardi per la rete oggetto di concessione a RFI e 2,67 miliardi per le ferrovie regionali. Con il Recovery plan RFI destinerà il 45% delle risorse sopra indicate al Sud e in particolare ai progetti di alta velocità, tra cui la Salerno-Reggio Calabria, (14, 8 miliardi di euro); poco più di 5 miliardi per upgrading linee e per lo sviluppo nodi; 2,96 miliardi per il sistema ERTMS; 700 milioni euro per le stazioni; più di 200 milioni per progetti di resilienza. Con riferimento alle ferrovie regionali 940 milioni di euro saranno destinati all’adeguamento delle infrastrutture delle ferrovie regionali che potenzialmente potrebbero trasferire la gestione della rete a RFI come già accaduto per le ferrovie dell’Umbria. Oltre alle risorse del Recovery sono attribuiti allo sviluppo della rete ferroviaria anche 8,1 miliardi di euro di risorse statali già stanziate da norme di legge nazionali (legge di Bilancio, etc.) pianificate insieme alle risorse del Recovery ma aggiuntive rispetto a queste ultime. In relazione alla selezione degli investimenti eleggibili per il PNRR, RFI ha distinto gli interventi in 5 gruppi distinguendo le opere finanziabili con il Fondo entro il 2026 e quelle per le quali saranno necessarie anche risorse nazionali oltre questo orizzonte temporale. Rete ferroviaria ha inoltre indicato gli strumenti per rispettare i tempi di realizzazione del Piano di investimenti descritto, ritenendo necessaria la seguente serie di azioni: finalizzare il DPCM di riparto delle risorse stanziate dalla Legge di Bilancio 2020 e gli atti amministrativi per il riparto delle risorse del Recovery Fund e del Fondo Sviluppo e Coesione con una norma che ne preveda l’immediata efficacia attivando inoltre l’istruttoria per il riparto delle risorse stanziate dalla Legge di Bilancio 2021; prevedere un iter accelerato per l’operatività e/o contrattualizzazione delle diverse tipologie di risorse finanziarie nell’aggiornamento 2020/2021 del contratto di programma parte investimenti, in modo da renderle operative nel 1° trimestre 2021 in diversi step o con un unico atto contrattuale; prevedere un Atto Integrativo al contratto di programma parte servizi per la contrattualizzazione delle risorse per la manutenzione straordinaria annualità 2021 e con un atto ponte per l’annualità 2022. Rete ferroviaria ha anche richiesto di individuare soluzioni di accompagnamento per i futuri fabbisogni finanziari a completamento del Piano indicando anche il rilevantissimo sforzo organizzativo in capo all’azienda per realizzare opere con un livello pari al doppio della produzione rispetto all’anno 2019.

 

Il Forum disuguaglianze e diversità ha innanzitutto formulato un rilievo sull’impianto del PNRR, all’interno del quale i risultati attesi sono spesso confusi con le realizzazioni, invece di essere individuati nei cambiamenti/miglioramenti che si intendono produrre. Infatti, soltanto attraverso i risultati attesi, si può evincere un criterio per la valutazione dei progetti, sottoponendo la loro selezione al filtro dell’efficacia. Criterio tanto più importante in quanto oltre il 60% delle azioni è affidata agli enti territoriali che dovranno avere dei principi cardine in base ai quali allocare risorse ed attuare interventi adeguati alla natura delle diverse realtà territoriali. In tal senso, diviene fondamentale un collegamento tra investimenti e programmazione e l’istituzione di un organo di controllo e monitoraggio del PNRR simile a quello previsto dalla programmazione dei Fondi strutturali europei. Passando alle proposte di merito, e nello specifico alle politiche abitative, il Forum sottolinea l’importanza di un piano di medio-lungo termine, in grado di rilanciare l’offerta di edilizia pubblica, e in cui far confluire le risorse comunitarie e nazionali. Si ritiene inoltre necessaria una diversa modulazione degli interventi di housing sociale, anch’essi da sottoporre a valutazione della loro efficacia, ed una riconfigurazione del superbonus per l’edilizia privata, che appare ora sbilanciato in favore dei ceti più abbienti. Da un punto di vista più generale, si ritiene importante collegare il tema dell’abitare con i temi relativi alla rigenerazione urbana e alle aree deboli e marginalizzate del nostro paese, ricompattando così i vari filoni ad essi dedicati nelle varie Missioni, almeno dal punto di vista della concezione strategica, avviando in tal modo il superamento di quella modalità di attuazione ancor oggi ancorata al ricorso a bandi occasionali gestiti da soggetti diversi e senza nessun coordinamento tra loro. In tal senso, si propone anche di chiarire come possono essere integrati i piani dedicati alle aree interne e ai borghi. Considerato infine che il Piano interviene in maniera significativa e articolata sulle aree sismiche, si ritiene che debba essere messo a punto un programma che indirizzi e regoli stabilmente le ricostruzioni che seguono le catastrofi naturali o gli eventi sismici. Per quanto riguarda la pubblica amministrazione, il Forum rinvia alla proposta pubblica predisposta con Associazione Movimenta e Forum PA, sottolineando che occorre guardare alle Missioni del Piano come una leva potente per motivare i funzionari pubblici sui risultati attesi ma anche per individuare le filiere amministrative coinvolte dal Piano (dal centro alla periferia) ed indirizzarle al rinnovamento generazionale. Si rinvia inoltre all’importanza della formazione e alla promozione di una forma di amministrazione associativa e partecipativa con le imprese, le parti sociali e le associazioni di cittadinanza, in linea con il Codice europeo di condotta sul partenariato, che suggerisce di dotarsi di strumenti stabili di interlocuzione.

Passando all’istruzione, il Forum, ritiene che l’investimento previsto per gli asili nido sia inferiore a quanto necessario per arrivare alla copertura territoriale del 33%. Sono stati infatti previsti circa 3,6 miliardi di euro mentre ne servirebbero 4,5 per coprire i divari territoriali e altri 4 per la gestione corrente necessaria per il funzionamento dei nidi. Ancora, si osserva che nel Piano, più che rilevare scarsi investimenti dedicati all’istruzione, si rileva una scarsa consapevolezza del fatto che investire in istruzione equivale ad investire nel futuro. Per la sanità, si ritiene centrale riportare la salute nei territori con una diversa integrazione, in ambito sanitario e sociale, del pubblico con il privato, abbandonando i rapporti finora instaurati nei quali il pubblico pianifica e progetta e il privato viene utilizzato come uno strumento attuativo e non come coattore delle politiche pubbliche. Per le fragilità, si ricorda l’importanza di un approccio integrato, che guardi la persona nel suo complesso, dalla salute, all’educazione, al lavoro e alle condizioni abitative.

 

Save the children in premessa osserva che le risorse del PNRR devono essere prioritariamente indirizzate ai minori. In questo senso, diviene fondamentale superare la storica frammentazione delle politiche rivolte all’infanzia e all’adolescenza con un Piano straordinario di risposta alla crisi (così come anche richiesto dall’intergruppo parlamentare Infanzia e adolescenza) che inserisca in un quadro organico le misure del PNRR. A questo proposito, si ritiene che tale Piano straordinario debba essere corredato da dati, poiché una delle prime emergenze a cui far fronte è la mancanza di dati su povertà educativa, abbandono e dispersione scolastica.

Passando alle proposte di merito, viene apprezzata la centralità che il Piano assegna agli asili nido nella componente Istruzione (non più Inclusione sociale), ma le risorse, seppur significative, sono ritenute insufficienti per arrivare alla copertura prefissata dal Piano. Secondo Save the children, servirebbero infatti almeno 4,8 miliardi di euro per le spese strutturali necessarie a raggiungere la copertura del 33% (la stima dei costi fa riferimento ad un documento dell’Ufficio valutazioni del Senato in cui vengono indicate le risorse necessarie per la costruzione o l’ammodernamento di un posto in asilo nido). Si teme pertanto che tale disallineamento possa essere stato generato dall’aver considerato come costo di riferimento non quello di un servizio educativo, bensì il costo di un servizio di accudimento non qualificato (voucher o servizi di babysitting). Per queste ragioni, viene richiesta la condivisione puntuale dei criteri utilizzati per la stima dei costi, coordinando l’investimento strutturale con l’investimento di spesa corrente, e di indicare su base regionale (e non nazionale) la percentuale dei beneficiari attesi. Di uguale importanza è ritenuta la costruzione di una road map con investimenti ed interventi in partenza dai territori con il più alto livello di povertà educativa e, per incrementare la domanda, la piena gratuità del servizio. Si richiede infine che venga prevista una governance unitaria che coinvolga tutti gli attori in campo (Ministero istruzione, Enti locali, Regioni) con riconoscimento delle rispettive responsabilità.

Allargando lo sguardo alle scuole di ogni ordine e grado, si ritiene molto positivo il richiamo inserito nel Piano al tempo pieno, di cui si auspica l’utilizzo dai 3 ai 14 anni. Si lamenta invece l’assenza di qualunque indicazione specifica relativa alle mense scolastiche, sempre molto importanti, ma fondamentali in un momento di povertà alimentare come quello che stiamo attraversando. Creare cucine all’interno delle scuole, rappresenterebbe inoltre un volano per l’occupazione ma anche una garanzia di sana alimentazione per i minori. Si propone pertanto di trattare questo argomento all’interno del tempo pieno, poiché il diritto alle mense scolastiche incide sull’allargamento dell’utilizzo del tempo pieno. In materia di edilizia scolastica, si ricorda che Save the children, insieme a Cittadinanzattiva, ha proposto un disegno di legge, sottoscritto da tutte le forze politiche, sulla sicurezza nelle scuole, che sarebbe importante approvare per inserire in una cornice legislativa tutte le azioni in tal senso previste dal Piano. Infine, si apprezza molto che il gender gap sia un tema trasversale. Molti dei fattori di diseguaglianza delle giovani pongono le loro radici nell’infanzia e nella scuola che, proprio per questo, deve promuovere percorsi di studio qualificati (percorsi STEM) per le ragazze.

 

Il Consiglio nazionale dei giovani (CNG) ha in prima istanza sottolineato che l’ammontare delle risorse complessive del PNRR previste per gli under 35 per il periodo 2021-26, sono pari a 4,53 miliardi di euro (2% del complesso di quelle previste nel Piano e con la seguente composizione: 3,6 miliardi Next Generation EU; 0,93 miliardi ReactEU - Studio commissionato dal CNG alla Fondazione Bruno Visentini), a fronte delle risorse francesi di 6 miliardi di euro concentrate in un unico pilastro. Rispetto all’impianto del Piano, il CNG ritiene che occorra definire in un unico pilastro le misure sui giovani, in linea con gli obiettivi di Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, con l’obiettivo centrale di ridurre il numero dei Neet. Inoltre, si osserva che la strategia per l’occupazione giovanile non può essere un obiettivo trasversale poiché proprio le giovani generazioni stanno sopportando il carico asimmetrico degli effetti della crisi pandemica e su di loro graverà l’elevato indebitamento pubblico. Inoltre, si ritiene necessaria una valutazione socio-economica dell’impatto delle misure di ogni singolo pilastro. Per quanto riguarda le proposte di merito, si richiedono risorse specifiche dedicate a misure utili a contrastare le disuguaglianze e la povertà educativa, nonché il divario nord-sud e la contemporanea definizione di progetti per l’occupabilità giovanile, istituendo percorsi di formazione nei periodi di assenza o sospensione dell’attività lavorativa, dunque sostegno non solo al reddito ma anche all’occupazione e alla formazione con una regolamentazione uniforme delle forme contrattuali riferibili agli stage e ai tirocini e l’inserimento nel Piano di strumenti di politica attiva e di sostegno, quale Garanzia Giovani.

 

InGenere valuta positivamente l’impianto trasversale del PNRR in cui  tutti i progetti vengono valutati nell’ottica della riduzione del gender gap e dell’efficacia e capacità di colmare tale divario, ma sottolinea allo stesso tempo che la trasversalità può essere ottenuta anche attraverso la riconversione di specifiche politiche.  L’impostazione attuale è tuttavia ritenuta positiva, poiché in tal modo le politiche di genere sono uscite da un piccolo ghetto (Inclusione). Sarebbe dunque paradossale se la governance del Piano non fosse paritaria (50% donne-50%uomini). Si lamenta invece la mancanza di una quantificazione degli obiettivi e degli strumenti del Piano, nonché delle loro interrelazioni e l’assenza di un obiettivo relativo al raggiungimento di un tasso di occupazione femminile, che, si stima, potrebbe essere fissato al 60% nel 2030. Si osserva, inoltre, che la riduzione del gender gap risulta un traguardo poco compatibile con la scelta di impegnare il volume maggiore delle risorse su due missioni (Green e Digitale), che rappresentano settori occupazionali poco attrattivi per le donne. In tal senso si valuta più opportuno un maggior investimento sulle infrastrutture sociali, settore ad alta occupazione femminile, in grado di assorbire e liberare occupazione femminile. In particolare, potrebbe essere ripensato il servizio di cura degli anziani, ora purtroppo connotato da bassa produttività, da servizi scadenti, spesso in nero, e con tutte le carenze drammatiche evidenziate dalla pandemia. La cura degli anziani, se ridisegnata con un altissimo tasso di tecnologia (robotica, telemedicina, messa in rete degli operatori), può invece divenire un volano per lo sviluppo di politiche industriali. Date queste premesse, la rappresentante di In Genere sottolinea che la trasversalità è appunto questa: rendere le politiche di cura anche politiche industriali. Un ulteriore nodo sensibile deriva dal fatto che, nel Piano, la riduzione del gender gap è sempre legata all’offerta, mentre dovrebbe essere legata anche alla domanda.  A titolo di esempio viene citata la decontribuzione a favore delle donne; se la decontribuzione è fatta a parità di livello di domanda diviene concorrenza tra lavoratori. In ultimo, rispetto agli asili nido, si concorda con quanto detto dalla rappresentante di Save the children, circa la necessità di misurare gli obiettivi di copertura territoriale a livello regionale e non nazionale. Rispetto ai costi, si rinvia ad uno studio di InGenere che, con una simulazione, ha quantificato i costi di nidi per l’infanzia a tempo pieno e/o con orari flessibili.

 

Ladynomics lamenta l’assenza di una visione di insieme che leghi tutte le azioni del PNRR. Il Piano affronta infatti tutti i nodi problematici che hanno dato origine alla crisi attuale, senza però ben bilanciarli, mentre, a parere di Ladynomics, dovrebbe essere messa al centro del Piano “l’attività di cura”, che fra l’altro costituisce il tratto identitario del nostro paese, ed è l’elemento che può darci maggior chiarezza nella scelta delle priorità e dei progetti. All’interno di questa visione di insieme il contributo delle donne è tutto da scoprire. Il gender mainstreaming è una ottima indicazione, è stato inserito in tutti i documenti di programmazione delle politiche europee sulla parità di genere, ma richiede dei cambiamenti culturali, di approccio e degli spostamenti economici importanti ed è per questo che si ritiene fondamentale che  l’azione di gender mainstreaming abbia un supporto concreto, non passi solo per la valutazione di impatto di genere, ma ponga anche degli obiettivi. In tal senso, si registra che il Piano è molto sbilanciato in favore dell’occupazione maschile (digitale e transizione ecologica). Si ritiene che si possa contare poco sulla formazione e la successiva immissione delle donne in questi settori; negli ultimi 10 anni, in Italia, lo spostamento dell’occupazione femminile in settori tradizionalmente ad elevata presenza maschile è stato infatti dello 0,4 per cento. Si sottolinea che se dunque la valutazione di genere è molto importante per monitorare il progetto di sviluppo di ogni stadio del Piano, occorrono degli strumenti compensativi per cercare di aprire questi settori occupazionali alle donne. Fra questi vengono citati il gender procurement, ovvero degli indicatori di genere nell’assegnazione dei progetti. Tali strumenti vengono però ritenuti residuali in quanto presuppongono un lavoro politico ma anche un diverso approccio culturale, e soprattutto, nonostante la formazione e i progetti STEM, le donne occupabili in questi settori risultano in numero non rilevante. Per questo, si sottolinea, torna vincente la strategia compensativa, ovvero la valorizzazione e il sostegno dei settori in cui le donne lavorano di più, come i servizi di cura (sanità, sociale, istruzione, etc. in cui l’occupazione femminile supera il 70%). Si ricorda inoltre che il lavoro di cura, quando non è al nero, è comunque pagato con retribuzioni orarie molto lontane da quelle corrisposte per i lavori legati all’economia e alla produzione, questi ultimi con retribuzioni pari a circa 30 euro, rispetto ai 10-15 euro l’ora con cui sono retribuiti i servizi di cura. In questa ottica, aumentare il valore del lavoro di cura diviene una scelta sociale che ridefinisce anche lo Stato. Pertanto, insieme al gender mainstreaming si ritiene che debba essere inserita, nel Piano, una sezione dedicata alle pari opportunità, ovvero iniziative rivolte esclusivamente alle donne, quindi all’imprenditoria femminile, all’accesso al credito, al rafforzamento dei servizi sociali dedicati alle donne (fra questi quelli per contrasto della violenza di genere). Si ritiene inoltre indispensabile proporre un Patto di cittadinanza per sconfiggere l’evasione fiscale e l’economia sommersa, poiché risulta impensabile fare investimenti di questa portata senza un processo di moralizzazione ormai irrimandabile: tale risultato è ritenuto raggiungibile con una trasparenza totale nei dati e nei processi del Piano. Viene infine sottolineata l’importanza di una governance paritaria del PNRR e si ricorda che oltre alle riforme è molto importante ben utilizzare l’impianto legislativo esistente con il concorso di tutti gli attori istituzionali.

 

Il Giusto Mezzo ritiene indispensabile, perché il Piano sia efficace, il raggiungimento di tre obiettivi: occupazione femminile pari a quella maschile con il superamento dei modelli culturali di discriminazione (passaggio dal modello del breadwinner a quello del double earner); rafforzamento delle infrastrutture sociali; superamento del gender gap relativamente a funzioni, salario, tipologie di contratto e riconoscimenti e pari presenza delle donne nelle decisioni della policy pubblica. A sua volta, per raggiungere questi obiettivi si considera indispensabile l’offerta diffusa di nidi e tempo pieno e un investimento strutturale nell’istruzione. Ugualmente indispensabili sono considerati strumenti della valutazione di impatto di genere (VIG) ex ante ed ex post di tutti gli investimenti. Queste in sintesi le proposte di merito: 4 miliardi in più per gli asili nido; rafforzamento dei servizi di cura e assistenza per disabili e anziani per  liberare la forza lavoro femminile dalle attività non retribuite; legge sulla parità salariale; allargamento delle tutele della maternità a lavoratrici e lavoratori autonome/i; accesso a credito e finanziamenti alle imprese femminili per le quali devono essere previste forme di decontribuzione fino ad un anno; appalti trasparenti a chi garantisce la parità di genere; 5 mesi di congedo di paternità obbligatorio.

 

Il Commissario Straordinario Ricostruzione Sisma 2016, dottor Legnini, sottolinea che gli interventi relativi alle aree terremotate previsti dal PNRR non possono che essere considerati aggiuntivi e complementari sia rispetto a quelli relativi alla ricostruzione privata e pubblica (che sono già finanziati con le risorse stanziate sul bilancio dello Stato, da ultimo con la legge di bilancio 2021) che rispetto alle misure di carattere generale del piano, poiché, in caso contrario, le risorse previste risulterebbero chiaramente insufficienti.

Al fine di assicurare la massima convergenza tra le diverse misure occorre prevedere eventuali quote di riserva o criteri di priorità per le aree del sisma di una parte dei fondi destinati a finanziare le misure di carattere generale previste dal piano su tutto il territorio nazionale. In particolare, le misure in questione che appaiono rilevanti per la promozione e l’implementazione delle azioni di ricostruzione e rigenerazione delle aree del terremoto e che motivano una specifica attribuzione di risorse od una estensione della relativa misura con la previsione di eventuali quote di riserva o criteri di priorità nell’assegnazione dei fondi per le aree colpite dai terremoti sono: la rigenerazione urbana e l’adeguamento sismico ed energetico degli edifici (anche attraverso l’estensione agli edifici destinati ad attività produttive degli incentivi fiscali per l’efficientamento energetico e sismico ed estensione temporale dei bonus al 2026 nelle aree del sisma con la reintroduzione dell’obbligo di miglioramento sismico degli edifici); interventi per lo sviluppo socioeconomico ed il rafforzamento delle infrastrutture; l’adozione di un’azione di sistema ed integrata che necessita di una governance adeguata, una riforma della governance (attraverso la creazione di un “Dipartimento per le ricostruzioni” incardinato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con compiti di indirizzo, coordinamento e raccordo tra i diversi soggetti istituzionali interessati a vario titolo nei processi di ricostruzione) e una riforma della legislazione per garantire una gestione efficace dei processi di ricostruzione (per addivenire a un “Codice delle Ricostruzioni”).

 

Re Mind filiera immobiliare ha segnalato la necessità di un potenziamento del Superbonus 110%, mediante la sua proroga a periodi successivi a quelli attualmente previsti e la sua estensione alle strutture ricettive e, per il settore degli immobili condominiali, l’esigenza di procedere ad una semplificazione delle procedure amministrative degli enti locali, anche alla luce del fatto che la documentazione amministrativa per gli interventi nelle zone “A” dei centri urbani risulta complessa, in particolare per i passaggi alle varie classi di efficienza energetiche dell’immobile. Re Mind ha, inoltre, richiamato l’attenzione sulla necessità di una digitalizzazione delle procedure amministrative degli enti locali e di una compiuta codificazione della normativa in materia edilizia.

 

Confedilizia, richiamata l’esigenza di una semplificazione e digitalizzazione dei procedimenti amministrativi per il settore immobiliare, ha sottolineato l’opportunità che le politiche di rigenerazione urbana intervengano sui borghi al fine di evitare il loro spopolamento, rimuovendo le imposizioni di natura patrimoniale per le eredità di determinati immobili. Ha, inoltre, richiamato la necessità di estendere e rafforzare il Superbonus 110%, di articolare meglio gli interventi fiscali distinguendoli per specifiche aree urbane (centri storici, periferie, etc), di migliorare la gestione dell’edilizia residenziale pubblica e di ripensare il sistema della fiscalità immobiliare, riducendo la già elevata imposizione fiscale sugli immobili in Italia e prevedendo sgravi fiscali per gli immobili indisponibili per il proprietario.

 

Utilitalia ritiene che il PNRR rappresenta un’opportunità importante per incrementare sensibilmente gli investimenti anche nel settore delle Utilities. I progetti candidabili ad essere inclusi nel prossimo PNRR, individuati e stimati da Utilitalia in circa 25 miliardi di euro (ed aventi un impatto occupazionale potenziale pari a 285.000 nuovi posti di lavoro), si sovrappongono solo in parte con quanto programmato dalle aziende e costituiscono pertanto investimenti in parte addizionali per circa 50 miliardi di euro in cinque anni o la cui attuazione può essere accelerata grazie ai fondi europei.

Secondo Utilitalia, inoltre, i ricavi provenienti da tariffa non sono da soli sufficienti a garantire il finanziamento degli investimenti necessari a colmare il fabbisogno reale delle utilities e alle risorse previste dal PNRR andrebbero affiancate risorse aggiuntive e specifiche riforme.

Le proposte di riforma avanzate da Utilitalia riguardano: l’attuazione della riforma del servizio idrico anche al Sud (anche rivedendo, eventualmente, l’attuale delimitazione degli ambiti territoriali ottimali); il Virginia

ungimento dell’autosufficienza nazionale e regionale nel ciclo dei rifiuti, attraverso l’adeguamento della pianificazione regionale alle reali necessità impiantistiche; la semplificazione dei procedimenti autorizzativi connessi alla realizzazione di nuovi impianti o alle modifiche di quelli esistenti; la creazione di un canale prioritario (sia in termini di risorse che di procedure) per gli investimenti per l’aria pulita nelle città; la disapplicazione, per le società efficienti, dei vincoli gestionali introdotti dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (D.Lgs. 175/2016); la promozione delle aggregazioni fra imprese anche tramite agevolazioni fiscali e regolatorie, al fine di superare la frammentazione gestionale.

 

L’Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE) ritiene che la proposta di piano elaborata dal Governo non appare in grado di delineare un progetto strutturale e organico di trasformazione e di rilancio del Paese, poiché si limita ad elencare una serie di linee di intervento, alle quali vengono assegnate somme più o meno importanti, ma senza individuare un metodo di lavoro e i passaggi per arrivare alle riforme strutturali necessarie per il Paese. Secondo l’ANCE il piano è infatti una raccolta di idee e di programmi non coordinati tra loro che difficilmente potranno innescare quel percorso di crescita e benessere di cui il Paese ha bisogno.

L’ANCE evidenzia che se è vero che al settore delle costruzioni vengono destinate circa la metà delle risorse complessive previste dal Piano, occorre anche considerare che con le regole e il modello decisionale attualmente in vigore e con le carenze professionali e progettuali della pubblica amministrazione, meno del 50% del Piano potrà essere realizzato entro i termini previsti  (fine 2026).

Per non correre il rischio evidenziato, secondo l’ANCE è necessario agire su tre fronti. In primo luogo si rende necessaria la creazione di una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri composta dalle istituzioni competenti con pieni poteri decisionali, che dovrà consentire l’efficace coordinamento degli staff ministeriali e dei centri decisionali sparsi nelle istituzioni nazionali e locali e sostituire quindi le numerose sovrastrutture create negli ultimi anni, nonché verificare lo stato di attuazione del Piano.

Occorre, poi, ricondurre ad un’unica procedura i molteplici programmi di spesa previsti nel piano e destinati agli enti locali, che preveda l’assegnazione delle risorse entro un tempo limitato e certo e l’avvio dell’opera entro un termine perentorio pena la perdita dei finanziamenti, sulla scorta del modello già sperimentato recentemente con successo per gli investimenti dei comuni.

Per quanto riguarda gli interventi di livello nazionale, occorre semplificare e soprattutto accelerare i procedimenti e, in particolare, la fase dell’approvazione dei progetti rafforzando e implementando la disciplina della conferenza di servizi in modalità semplificata (per avere una sede unica, rapida e permanente di raccordo, per superare le criticità legate alla frammentazione di competenze e procedimenti) e introducendo termini perentori (massimo 120 giorni) e il meccanismo del silenzio-assenso.

Benché il piano richiami le riforme introdotte dal “D.L. Semplificazioni”, secondo l’ANCE le stesse sono in gran parte temporanee e non consentono in ogni caso di superare tutte le criticità esistenti nel percorso di realizzazione delle opere pubbliche, per cui occorre adottare un sistema di regole snello, chiaro ed efficace, con un nuovo regolamento espressamente dedicato ai lavori pubblici, e distinto da quello per i servizi e le forniture.

Infine, dopo aver stabilito il metodo di governance e le procedure, bisogna avere ben chiare le priorità di investimento, che devono essere: un grande piano di rigenerazione urbana, con un programma strategico governato da una Cabina di regia a livello centrale, che eviti la dispersione della spesa e rimuova tutti gli ostacoli normativi che oggi impediscono gli interventi; un vero piano di messa in sicurezza del territorio e delle infrastrutture, con maggiori risorse rispetto a quelle previste nella proposta di Piano (meno di 2 miliardi di euro di nuove risorse); la proroga del c.d. superbonus del 110%, che rappresenta una grande opportunità per la riqualificazione in chiave di sostenibilità del patrimonio edilizio esistente; e la digitalizzazione, quale importante strumento per agevolare e supportare le imprese.

Infine, l’ANCE evidenzia due priorità di carattere sistemico: la riforma della giustizia e, più in generale, una riforma della P.A. che preveda, tra l’altro, una riforma strutturale del processo decisionale della P.A. e l’ingresso di nuovo capitale umano di elevate competenze.

 

Ing. Ercole Incalza, ingegnere esperto del comparto trasporti, ha ricordato le criticità che nel prossimo futuro, quindi anche con l’ausilio del PNRR, bisognerà superare, a partire dal “blocco” delle infrastrutture (sia in termini di procedure che di spesa) che ha caratterizzato il nostro Paese in questi ultimi sei anni e che ha penalizzato soprattutto il centro-sud.

Incalza ha inoltre ricordato che il “blocco” della spesa per infrastrutture è stato anche causato dal mancato utilizzo dei fondi della precedente programmazione comunitaria, per cui diventa fondamentale spendere le risorse dei PON e dei POR.

Al fine di garantire l’effettiva operatività del PNRR occorre una definizione della governance del Piano che ridefinisca i ruoli dei Ministeri delle infrastrutture, dell’economia e dell’ambiente, al fine di accentrare in un'unica sede la valutazione dei progetti e di consentire l’approvazione degli stessi entro 60 giorni. Inoltre, sarebbe opportuno laffidamento alla Banca Europea degli Investimenti (BEI) della gestione di tutte le risorse (sia dei fondi delle programmazioni 2014-2020 e 2021-2027 delle politiche di coesione, che di quelli del Recovery fund) destinate alle infrastrutture nel Mezzogiorno.

 

Coldiretti chiede maggiore centralità nel PNRR per il settore agroalimentare, la cui importanza strategica si è ancor più manifestata nel periodo di crisi determinato dalla pandemia da Covid-19, segnalando l’importanza dell’innovazione e della digitalizzazione in tale ambito.

Condivide il richiamo nel Piano ai temi della logistica e delle infrastrutture, rilevando il ritardo infrastrutturale che caratterizza il nostro Paese, con particolare riferimento agli interporti, alla rete autostradale e agli aeroporti.

Sottolinea l’importanza di sviluppare le infrastrutture idriche, indispensabili in un periodo di significativi cambiamenti climatici, riducendo lo spreco dell’acqua.

È a favore dello sviluppo dell’energia derivante da impianti fotovoltaici, purché tali impianti non siano collocati sul terreno - utilizzabile magari per uso agricolo - bensì su altre superfici, come i tetti degli edifici e delle costruzioni rurali.

È altresì favorevole alla cosiddetta economia circolare - promuovendo fonti di energia rinnovabile come il biogas e il biometano in particolare - e all’utilizzo della cosiddetta “chimica verde”.

Nell’ottica della sostenibilità ambientale degli interventi, auspica il rinnovamento del vetusto parco delle macchine agricole, anche con specifici crediti d’imposta.

Manifesta preoccupazione per il rispetto della tempistica relativa al suddetto Piano e chiede di sapere quali saranno le procedure utilizzate, come si spenderanno le risorse e chi sarà il titolare di tali procedure, auspicando che si prediligano i progetti innovativi.

Ritiene altresì necessaria una riforma della pubblica amministrazione che porti all’efficacia della spesa, e chiede un chiarimento dei rapporti tra Stato e regioni e dei percorsi di spesa, con l’indicazione delle relative competenze.

 

Agrinsieme ritiene necessarie maggiori risorse per il comparto agricolo rispetto a quelle attualmente previste nel PNNR (2,5 miliardi di euro sotto la voce “Agricoltura sostenibile”), giudicate assolutamente insufficienti. Ciò, in particolare, nell’ottica di raggiungere nel nostro Paese - in un periodo di pandemia - una “sovranità alimentare”, riducendo la dipendenza dall’estero, rilevando invece che, attualmente, la produzione nazionale soddisfa solo il 75 per cento del fabbisogno agricolo dell’Italia.

L’aumento di finanziamenti per il comparto agricolo gli appare ancor più necessario alla luce della riduzione, di circa del 10 per cento, delle risorse destinate alla Politica agricola comune nel periodo di programmazione 2021-2027, in un’ottica di sostenibilità anche reddituale per gli agricoltori.

Promuove la ricerca scientifica, le nuove tecnologie, la digitalizzazione delle campagne e la formazione degli agricoltori e dei tecnici addetti al settore.

Nell’ottica di sostenibilità ambientale, ritiene siano essenziali interventi specifici per la forestazione e la tutela dei boschi, per lo sviluppo della meccanizzazione agricola, tramite, ad esempio, bonus per la rottamazione delle macchine agricole obsolete, e interventi a sostegno della pesca e dell’acquacoltura. Reputa altresì necessario intervenire per realizzare invasi nelle aree interne e, in generale, infrastrutture irrigue, al fine di risparmiare la risorsa idrica.

Chiede che si semplifichino le procedure burocratiche nel trasferimento delle risorse, auspicando che si riescano a spendere tutti gli stanziamenti che saranno a disposizione dell’Italia, a seguito della definizione puntuale dei progetti, considerato che, ad esempio, gli risulta che la Francia abbia già predisposto il suo piano, con l’indicazione precisa – a livello geografico – dell’ubicazione dei relativi interventi.

 

La CIA – Agricoltori Italiani sottolinea l’importanza del ricambio tecnologico delle macchine agricole (che hanno un’età media di oltre 25 anni) tramite la “rottamazione” di quelle più antiquate, che hanno anche maggiori consumi di combustibile. Rileva, poi, la crescente importanza della digitalizzazione del settore, tramite, ad esempio, la gestione dei dati delle lavorazioni. Promuove inoltre l’economia circolare, che riutilizza gli “scarti” di taluni processi produttivi, in un’ottica di sostenibilità ambientale. Ricorda poi l’importanza di preservare le risorse idriche con specifici interventi, essenziali nei periodi di siccità. Rileva infine la necessità di intervenire in maniera strutturale nel settore.

 

Confagricoltura ricorda il significativo impatto che ha sul PIL dell’Italia il settore agroalimentare, che va quindi preservato e valorizzato, tenuto anche conto della riduzione delle risorse destinate alla PAC. Vanno, in particolare, intraprese politiche di filiera che promuovano i nostri prodotti che sono di alto valore e qualità. Ricorda, a titolo esemplificativo, le filiere dell’olio, della pasta e del latte.

Ritiene inoltre necessario che si realizzino infrastrutture tecnologiche, e che si sviluppino porti, aeroporti, reti ferroviarie e stradali, migliorando l’attuale sistema di trasporti e di logistica. Va perseguita una maggiore produttività e competitività del settore agroalimentare, anche tramite un potenziamento della ricerca applicata, promuovendo maggiormente l’export agroalimentare.

 

La Corte dei conti ha innanzitutto rilevato, con riferimento alla composizione della spesa, che non è dato comprendere, attesa la genericità del Piano, quanta parte del previsto incremento di spesa avrà natura in conto capitale e quanta parte avrà invece natura corrente. L’impressione è che quest’ultima possa debordare da quella quota del 30 per cento ipotizzata nelle valutazioni di impatto macroeconomico presentate nel documento. Anche per la spesa corrente, in ogni caso, sarà cruciale la sua qualità.

Sarebbe stato opportuno, poi, che già il documento trasmesso al Parlamento evidenziasse, pur con inevitabili margini di approssimazione, i risvolti del PNRR sulle macrovoci del conto consolidato della PA, per ciascuno dei singoli anni del triennio 2021-23.

Con un’ottica di medio-lungo termine, per promuovere effetti di offerta, sarebbe opportuno concentrare gli sforzi su un numero limitato di progetti medio e medio-grandi.

La realizzazione di tutte le iniziative nei tempi previsti richiederà un’adeguata ed efficiente governance del Piano, che riconosca, ferme restando le responsabilità delle Amministrazioni coinvolte, i caratteri di straordinarietà del PNRR, promuovendo anche adeguate interconnessioni tra pubblica amministrazione e settore privato.

In particolare, con riferimento al ruolo degli enti locali nell’attuazione del Piano, la Corte evidenzia che i Comuni potrebbero essere responsabili dell’utilizzo di un ammontare complessivo di risorse per circa 48 miliardi, di cui poco meno di 19 miliardi già scontati nei tendenziali, nella valorizzazione del patrimonio e del territorio, nelle infrastrutture sociali e nei servizi essenziali per le collettività, con spese di investimento e incrementi di spesa corrente. In diversi casi le azioni rappresentano una prosecuzione o un restyling di linee progettuali precedenti, alcuni dei quali appaiono contrassegnati da ritardi e sospensioni non strettamente riconducibili alla scarsità delle risorse. Questi ultimi andranno riprogrammati attraverso una chiara identificazione delle responsabilità, della tempistica con target intermedi e finali credibili e con azioni di supporto volte a sostenere le capacità progettuali degli enti locali al fine di compensare con la numerosità e la diffusione delle iniziative le ridotte dimensioni delle stesse; migliorare ed accelerare la fase di coordinamento centrale degli investimenti; migliorare e dare continuità alle attività di manutenzione e monitoraggio degli interventi, introducendo eventualmente anche meccanismi sanzionatori/premianti idonei a rafforzare il livello di responsabilità dei soggetti attuatori.

Per quanto concerne l’utilizzo di strumenti finanziari a leva con coinvolgimento negli investimenti di capitali privati o fondi pubblici sotto forma di garanzie, si tratta di una modalità di intervento che richiede un selezionato portafoglio di progetti e appropriate forme di controllo e monitoraggio, affinché non aumentino i rischi connessi ad un aumento del debito implicito.

La Corte ha poi formulato una serie di puntuali osservazioni in merito ai principali interventi previsti nelle sei missioni del Piano.

Per quanto riguarda la Missione 1, la digitalizzazione con si intende accelerare il percorso delle riforme della PA, ma essa non appare idonea di per sé a modificare l’impianto amministrativo se non accompagnata da una riflessione organizzativa e dalla reingegnerizzazione dei procedimenti amministrativi, nell’ottica di ridurre i red tape per i privati. Particolare rilevanza assumerebbe la previsione di forme di supporto alle amministrazioni, attraverso pool di esperti multidisciplinari. In materia di giustizia appare essenziale la tempestività nell’attuazione sia negli interventi di carattere regolatorio, concernenti le riforme processuali civile e penale, sia quelli di carattere organizzativo, con la digitalizzazione dei processi, lo sviluppo dell’Ufficio del processo a supporto dei magistrati e l’innesto di figure professionali per lo smaltimento dell’arretrato. Il Piano non raccoglie la spinta all’investimento in edilizia penitenziaria, nonostante la condanna dell’Italia nel 2013 innanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo per sovraffollamento delle carceri e benché le misure meramente regolatorie, volte allo svuotamento degli istituti di detenzione con il ricorso a misure alternative alla reclusione, non siano sufficienti (a maggior ragione a fronte del pericolo di contagio da coronavirus).

Per lo sviluppo del settore produttivo il PNRR non prevede, nella sostanza, interventi innovativi, ma opera nella direzione di potenziare le misure già esistenti. Non viene affrontato il tema della promozione della concorrenza sotto il profilo delle riforme strutturali, fatto salvo il riferimento generale ad una revisione della disciplina delle concessioni statali. Al riguardo, le raccomandazioni del Consiglio europeo del 2019 richiedevano interventi normativi per rimuovere gli ostacoli all’accesso al mercato, in particolare nel settore del commercio al dettaglio e dei servizi alle imprese. L’intervento principale è rappresentato dal potenziamento su base biennale dei crediti di imposta del programma Transizione 4.0, che ha già trovato attuazione normativa con le disposizioni della legge di bilancio per il 2021. Al riguardo, la Corte auspicando una stabilizzazione pluriennale degli incentivi alle tecnologie 4.0, evidenzia che una quota rilevante delle risorse è assorbito dal credito d’imposta per gli investimenti in beni strumentali ordinari (circa 7 miliardi).

Per quanto attiene alla Missione 2, le due linee di intervento (efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico e privato e rilancio dell’edilizia in chiave di sostenibilità ambientale e performance antisismica) sono accompagnate nel Piano da poche stime che rinviano a successive valutazioni. Dovrà essere attentamente monitorato l’impatto sul gettito delle agevolazioni e quello sulle bollette energetiche, considerando, contestualmente, il volume del gettito fiscale e contributivo positivo che dovrebbe derivare dagli operatori economici coinvolti (imprese edili, installatori, tecnici, professionisti).

Con riferimento alle risorse idriche si dovrebbe accompagnare il sostegno degli investimenti con misure che consentano di accorciare i tempi di realizzazione, specie nel Mezzogiorno, superare le procedure di infrazione comunitarie in materia di collettamento e depurazione delle acque reflue, completare il riassetto della governance e l’approdo alla gestione unica d’ambito, prevedere adeguati interventi a sostegno della progettazione e realizzazione delle opere.

Per la gestione dei rifiuti manca un riferimento al Programma nazionale di gestione dei rifiuti che dovrebbe indicare le scelte per superare le criticità (mancanza di impianti, soprattutto al centro-sud, export dei rifiuti che cresce).

Per quanto riguarda il trasporto locale gli interventi risultano fortemente frammentati, ancorché riconducibili ad una riduzione dell’impatto sull’ambiente. Per l’attuazione è pertanto necessario un coordinamento con le iniziative ministeriali esplicitate nel DEF 2020 e nel Piano strategico nazionale per la mobilità sostenibile del 2019 e con i piani urbani della mobilità sostenibile.

Circa la capacità realizzativa a livello locale, si ricordano le criticità emerse, ai fini dell’assegnazione dei contributi, in fase di valutazione di progetti da parte del MIT, dove carenze progettuali o documentali hanno spesso dato luogo a slittamenti delle procedure. Restano aperte le questioni riguardanti gli aspetti organizzativi, strutturali e di governance del settore, le cui criticità e inadeguatezze sono state rese più evidenti durante la crisi sanitaria.

In relazione alle Missione 3 la Corte osserva che il PNRR sceglie di finanziare principalmente l’infrastruttura ferroviaria, ma non chiarisce le modalità con le quali saranno gestite le risorse: se sarà direttamente il gestore RFI, ovvero se, per taluni di questi interventi, si farà ricorso all’istituto del commissariamento. Questa scelta andrebbe incontro all’esigenza di impegnare le risorse previste dal Piano entro il 2023, effettuando i pagamenti entro il 2026. Per il settore stradale e autostradale il documento allegato al DEF 2020 (“Italiaveloce”) aveva riportato un fabbisogno finanziario di circa 9 miliardi, a fronte dei quali nel PNRR prevede nuove risorse insufficienti, pari a 1,6 miliardi.

In relazione alla Missione 4 la Corte osserva che i miglioramenti nella performance della ricerca non trovano adeguata valorizzazione nel campo dell’impresa (brevetti, accordi commerciali, creazione di imprese innovative). Si sottolinea la necessità di approfondire le cause del mancato raggiungimento dei risultati attesi nei programmi già sperimentati, al fine di rimuovere i nodi irrisolti.

Con riferimento alla Missione 5 si evidenzia che il ritardo dell’Italia nelle politiche attive per il lavoro si riflette in una forte segmentazione a danno delle donne, dei giovani e dei disoccupati di lungo corso. Obiettivo del PNRR è rafforzare i servizi per il lavoro e potenziare dei Centri per l’impiego i cui risultati, a distanza ormai di due anni dal rilancio, appaiono insoddisfacenti. Sotto questo aspetto sarà opportuno che i necessari interventi regionali si esplichino in una logica unitaria e nazionale.

Gli interventi del PNNR in tema di politiche del lavoro e di protezione sociale, sebbene finanziati limitatamente alla loro fase di avvio, porteranno anche nel lungo periodo ad una crescita strutturale della spesa corrente, cui si dovrà far fronte con le maggiori risorse derivanti dalla crescita economica conseguente al complesso delle iniziative del PNRR.

Con riferimento alla Missione 6 la Corte evidenzia che sulla realizzabilità degli interventi pesa la recente esperienza delle Unità sanitarie di continuità assistenziale (Usca) che, previste nella fase dell’emergenza sanitaria, hanno incontrato difficoltà di attuazione in molte realtà territoriali, per la volontarietà dell’adesione dei medici e la difficoltà di disporre di adeguate attrezzature. Anche per le strutture previste dal Piano si porranno problemi di personale e dei connessi oneri correnti e continuativi.

Con riferimento all’istituzione degli Ospedali di comunità, con 753 strutture e oltre 36.000 posti letto, oltre agli investimenti andrà considerata la necessaria individuazione di personale sanitario, il cui costo non sembra considerato nella spesa (indicata come investimento) e che, comunque, si riverbererà sui costi di gestione regionale a regime. In materia di edilizia sanitaria si dovrà incidere sulla capacità progettuale delle amministrazioni, considerando la spesa inferiore alle attese nell’ultimo biennio.

Infine, quanto all’obbligo, per gli Stati membri, di dotarsi di sistemi di controllo, soggetti alla valutazione (rating) della Commissione europea, al fine di prevenire, individuare e contrastare corruzione, frodi, conflitti di interesse, nell’uso dei fondi messi a disposizione dall’Unione, la Corte è pronta ad esercitare il proprio ruolo.

 

Confindustria ha evidenziato, innanzitutto, come l’efficacia del PNRR dipenda da una strategia complessiva, fondata su poche, chiare priorità ed efficaci riforme su P.A., giustizia, lavoro, fisco. Si tratta di superare gli storici “colli di bottiglia”, che da decenni impediscono al Paese di incamminarsi su un sentiero di convergenza verso i principali competitor e la cui rimozione può dare un forte impulso alla crescita.

In proposito, apprezzabili le misure in tema di giustizia che, oltre a interventi sulla disciplina del processo civile e penale, prefigurano un’azione decisa anche sul versante organizzativo. Tuttavia, dovrebbero assumere più intenso rilievo le iniziative per una maggiore specializzazione dei giudici, specie in ambiti come quello fiscale e concorsuale.

Frammentari e parziali sono invece gli indirizzi di riforma fiscale, mancando riferimenti alle azioni necessarie per restituire equità, semplicità e coerenza al sistema di prelievo, coordinando la tassazione del lavoro con quella del capitale e sui redditi di impresa, modernizzando la base imponibile IRES e riducendone l’aliquota nominale per attrarre nuovi investimenti. Mancano riferimenti, poi, a quel virtuoso processo di digitalizzazione degli adempimenti che, in sinergia con investimenti in un’amministrazione fiscale solida, è determinante anche nel contrasto all’evasione.

Per quanto riguarda la governance, occorre valorizzare il sincronismo istituzionale, superando contrapposizioni e frammentazioni nel rapporto fra centro e periferia, tra mondo pubblico e attori privati. In termini operativi, questo sincronismo potrebbe concretizzarsi, in fase di esecuzione del Piano, attraverso l’individuazione, per ciascun intervento, di un unico responsabile, con il compito di coordinare un team dedicato, composto dalle migliori professionalità selezionate nelle amministrazioni (centrali e locali) coinvolte nella realizzazione dei progetti, al fine di evitare veti incrociati sui temi decisivi per il rilancio del Paese, come lo sviluppo delle reti infrastrutturali, energetiche e di telecomunicazione. A livello centrale, l’eventuale costituzione di una Cabina di regia politica presso la Presidenza del Consiglio dovrebbe essere coadiuvata da una struttura tecnica, composta da esperti nominati dalle più alte cariche istituzionali, con compiti di coordinamento e monitoraggio dei team ed eventuale attivazione di poteri sostitutivi, in caso di inerzie. Al contempo, il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi del Piano richiede un sistematico (e non episodico) coinvolgimento degli attori sociali, condividendo dati e informazioni e ingaggiando in itinere le parti sociali nella valutazione d’impatto dei progetti, oltre che nel monitoraggio degli effetti prodotti.

Per quanto concerne il capitale umano, occorre rafforzare le Missioni dedicate a istruzione e inclusione creando STEAM Space in tutte le 7.239 scuole medie italiane, anello debole del sistema scolastico, per garantire l’efficacia dell’orientamento e della formazione 4.0 degli insegnanti; rafforzare, nelle scuole superiori, la filiera alternanza-apprendistato attraverso la semplificazione dell’istituto dell’apprendistato di primo livello e la creazione di rapporti stabili tra scuole e imprese; potenziare le dotazioni tecnologiche degli ITS, per un loro sviluppo coerente con la necessaria riforma, da progettare con le università, della filiera terziaria professionalizzante, strategica per la riduzione dello skill mismatch.

Si evidenzia, poi, la mancanza nel Piano di un capitolo dedicato alla definizione di misure per la patrimonializzazione delle imprese e il loro accesso ai mercati finanziari e dei capitali, fondamentali per sfruttare appieno le leve di politica economica e industriale indicate dal Piano stesso.

Occorre definire nel Piano una strategia di ampio respiro per favorire lo sviluppo dei canali Fintech, così da consentire a un numero sempre maggiore di imprese di accedere a fonti finanziarie alternative.

Rispetto ai temi energetici, non emergono dal Piano specifiche indicazioni sullo sviluppo dell’autoproduzione di energia da fonte rinnovabile nel settore industriale, attraverso appositi fondi che potrebbero essere utilizzati per attenuare il rischio prezzo con riferimento ai contratti a lungo termine e favorire investimenti consortili all’interno dei distretti industriali (industrial energy community).

Riguardo all'idrogeno, mancano nel Piano indicazioni sul c.d. idrogeno blue, ottenuto con steam reforming del gas naturale, il quale consente di generare importanti economie di scala, con lo sviluppo complementare delle soluzioni tecnologiche per cattura e stoccaggio del carbonio.

In tema di infrastrutture e trasporti, al netto dei vincoli posti a livello europeo sui comparti stradale e aereo, la pur condivisibile concentrazione di investimenti pubblici per la mobilità sostenibile sul comparto ferroviario evidenzia però una limitata attenzione al comparto marittimo-portuale e alle opportunità di sviluppo del Mezzogiorno offerte dall’economia del mare, rispetto alla quale sarebbe auspicabile una reale attivazione e messa in rete delle ZES.

Riguardo agli obiettivi di miglioramento del mercato del lavoro, rivestono un ruolo determinante la riforma degli ammortizzatori sociali (alla quale il Piano dedica solo brevi cenni), aprendo al coinvolgimento delle Agenzie private per il lavoro, nonchè la valorizzazione dell’assegno di ricollocazione e del contratto di espansione, il cui ambito di applicazione andrebbe esteso anche alle piccole imprese.

Insufficienti paiono anche gli interventi per lo sviluppo dell’internazionalizzazione, in quanto mancano misure di sostegno dell’export e alla promozione del Made in Italy e, più in generale, alla definizione di una strategia rispetto alle aree in cui l’Italia dovrebbe posizionarsi come player di sviluppo sostenibile, anche valorizzando il patrimonio fieristico.

Infine, poichè molti degli interventi previsti, anche quelli di infrastrutturazione pubblica, potrebbero qualificarsi come aiuti di Stato (e, pertanto, essere sottoposti ai limiti e alle condizioni imposte dalla relativa normativa europea), Confindustria evidenzia la necessità di avviare quanto prima un confronto con la Commissione europea.

 

La SVIMEZ ritiene condivisibile la prevista anticipazione di risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC), finalizzata all’accelerazione della spesa del Fondo (considerati i forti ritardi nella programmazione del FSC). L’inserimento della leva nazionale della politica di coesione all’interno del PNRR, tuttavia, richiederà grande chiarezza nella definizione dei profili temporali di reintegro delle risorse dell’FSC anticipate nel PNRR. Ove ciò non dovesse accadere il FSC finirebbe per svolgere un ruolo sostitutivo, venendo meno al principio dell’aggiuntività e contraddicendo la finalità della coesione territoriale che è uno dei pilastri del Next Generation EU. Pertanto appare decisivo per la coerenza del Piano esplicitare chiaramente l’impegno del Governo a garantire nel Documento di economia e finanza 2021 il pieno reintegro delle risorse con il relativo profilo temporale.

Evidenzia, poi, la necessità di orientare le risorse aggiuntive del Piano alla coesione territoriale (andando oltre la quota del 34% relativa al peso del Mezzogiorno in termini di popolazione), esplicitando meglio come tale obiettivo trasversale venga perseguito all’interno di ciascuna missione. Quanto all’impatto macroeconomico delle misure, le simulazioni della SVIMEZ evidenziano come, assumendo una destinazione al Mezzogiorno del 50% delle risorse di Next Generatione EU in termini di investimenti, l’effetto aggiuntivo complessivo sulla crescita del PIL nazionale sarebbe pari a circa 8 punti percentuali.

Occorre, poi, che le zone economiche speciali (ZES) vengano messe in grado funzionare, ricordando, in particolare, come “Southern Range”, nuovo organico sistema logistico-produttivo, fa del Sud un principale ingresso per l’intera Unione Europea, ed ha come pilastri le sei ZES (il ”Quadrilatero” continentale Napoli, Bari, Taranto, Gioia Tauro e le due isolane di Catania/Augusta e Palermo ) unite nell“Esagono” della “Portualità di Sistema del Sud d’Italia”.

Progetti essenziali per il recupero del gap infrastrutturale del Sud sono il corridoio Napoli-Bari, l’integrazione nord-sud sull’Alta Velocità e la realizzazione del Ponte sullo Stretto, particolarmente necessario per dare coesione al sistema nel quadro di una strategia euro-mediterranea.

 

In rappresentanza delle autonomie territoriali sono intervenuti la Conferenza delle regioni e delle province autonome, l’ANCI, l’UPI e l’UNCEM.

La Conferenza delle regioni e delle province autonome evidenzia innanzitutto la necessità di un maggiore confronto tra i livelli istituzionali, a partire dal pieno coinvolgimento (in sede politica e tecnica) delle regioni nella Cabina di regia nazionale. Gli ambiti di competenze regionali riguardano molti dei settori su cui verranno indirizzati gli investimenti previsti dal Piano, per cui le regioni possono svolgere un ruolo essenziale di coordinamento e di raccordo tra livello statale e locale, ponendosi come catalizzatore per la realizzazione dei progetti condivisi ai vari livelli.

Di fondamentale importanza sarà, in tale quadro, la programmazione 2021-2027 dei fondi strutturali europei, che richiederà un approccio di stretta interazione tra Stato e Regioni.

Al fine di assicurare la massima capacità di spesa si propone, poi, almeno per alcuni programmi di investimento già previsti a legislazione vigente, di rimodulare gli stanziamenti previsti anticipando quelli previsti per le ultime annualità dell’impegno di spesa, nonché la creazione di un fondo rotativo per la progettazione.

 

L’ANCI evidenzia la necessità che il PNRR faccia perno sul sistema dei Comuni, principali investitori pubblici (il 25% degli investimenti nel 2020 sono stati effettuati dai Comuni), anche considerando che i settori strategici individuati dall’UE riguardano proprio le competenze degli enti locali. I Comuni dovrebbero essere beneficiari di finanziamenti diretti, con una significativa riduzione degli adempimenti burocratici. Con riferimento agli interventi previsti nel Piano, rispetto al quale viene richiamata l’esigenza di tenere conto delle azioni già definite nel Piano Città Italia, si evidenzia che nelle missioni 5 (Inclusione e coesione) e 6 (Salute) il coinvolgimento dei comuni nelle politiche sociali e socio-assistenziali dovrebbe essere esplicitato in modo più coerente, anche considerando che sono i Comuni a detenere il patrimonio informativo necessario alla efficace implementazione delle politiche.

Infine, viene rilevato il sottodimensionamento delle risorse per il trasporto rapido di massa e sollecitata l’autorizzazione ad assumere in via straordinaria, a tempo determinato, personale con specifiche competenze professionali in materia di investimenti, al fine di rafforzare la capacità progettuale e di spesa degli enti.

 

L’Unione delle province italiane (UPI) evidenzia come l’ente provinciale può svolgere un ruolo essenziale per implementare la capacità progettuale e di spesa dei comuni più piccoli, che dovrà essere in ogni caso supportata da un piano straordinario di assunzioni. Fondamentale sarà la semplificazione amministrativa (per cui è necessaria la riforma del Testo unico degli enti locali) e in materia di appalti, in particolare valorizzando il ruolo della stazione unica appaltante.

Occorre prevedere interventi per la creazione di poli territoriali provinciali per il supporto dei comuni per la progettazione, la realizzazione di 100 nuove scuole su tutto il territorio, il rafforzamento delle misure per il contrasto al dissesto idrogeologico, il monitoraggio degli oltre 30.000 ponti, viadotti e gallerie che insistono sulla rete viaria secondaria provinciale.

 

L’Unione Nazionale dei Comuni Montani e delle Comunità degli Enti Montani (UNCEM), rileva la necessità di prevedere nel Piano azioni volte al riequilibrio demografico, favorendo la residenza nei comuni montani e interni, attraverso un sistema di servizi territoriali volti a contrastare lo spopolamento, l’infrastrutturazione fisica e digitale, un piano per l’istruzione destinato alle aree rurali e montane, il recupero del patrimonio edilizio, l’incentivazione dei flussi turistici. Per favorire gli investimenti un ruolo cruciale devono avere le grandi imprese di Stato, le fondazioni bancarie e il settore privato, indirizzando le risorse prioritariamente su progetti già cantierabili. Sul versante delle riforme, l’UNCEM ritiene necessarie modifiche al Codice degli appalti per incentivare acquisti verdi da parte della P.A., la riforma del TUEL, la riforma del catasto, l’introduzione di norme per la ricomposizione fondiaria e l’agevolazione fiscale delle imprese localizzate nei territori montani.

 

ISTAT formula innanzitutto una stima dell’impatto macroeconomico del PNRR (comprensivo delle risorse di React-Eu), rilevando che l’effetto sarebbe pari a 2,5 punti di PIL nel 2025 e a 3,0 punti nel 2026, a condizione che oltre il 70% dei fondi NGEU addizionali sia destinato al finanziamento di investimenti pubblici e che i fondi disponibili siano utilizzati pienamente e senza inefficienze, con una distribuzione della spesa uniforme nel quinquennio 2021-2025. Nel 2025 l’aumento del Pil sarebbe associato a un miglioramento dell’occupazione pari a circa 275.000 occupati e a una riduzione della disoccupazione pari a 0,7 punti percentuali. L’aumento degli investimenti determinerebbe sia il rialzo della loro quota sul Pil, che tornerebbe sopra il 19%, sia una loro ricomposizione a favore di quelli in beni intangibili, con positivi effetti sulla produttività del lavoro.

Preso atto che nella versione attuale del PNRR mancano indicatori specifici da utilizzare per il monitoraggio delle misure, ISTAT sottolinea quindi la necessità che si proceda rapidamente alla implementazione di disegno strutturato di monitoraggio dell’intero PNRR. Considerazioni su temi specifici legati alla realizzazione delle linee progettuali.

Per quanto riguarda gli stimoli al sistema delle imprese, l’efficacia del PNRR si giocherà soprattutto sulla capacità di premiare le aziende, di tutte le dimensioni e settori, che manifestano strategie e comportamenti effettivamente orientati alla modernizzazione, all’innovazione, al dinamismo sostenibile e all’inclusione.

Per quanto riguarda il Piano Transizione 4.0., si sottolinea la necessità di un rafforzamento del monitoraggio dei benefici delle agevolazioni, con l’obiettivo di favorire una più veloce transizione verso gli investimenti in beni intangibili e a favore delle imprese e dei settori più dinamici, sulla base di una attenta e continua valutazione dell’efficacia dei provvedimenti.

Gli interventi nel settore del turismo dovranno orientarsi in modo strategico per sostenere i segmenti che rischiano di essere marginalizzati dai nuovi comportamenti turistici (le grandi città, gli esercizi alberghieri, l’offerta rivolta al turismo inbound, ecc.) e allo stesso tempo rafforzare i segmenti emergenti (i piccoli centri, i borghi, il turismo extra-alberghiero, le mete culturali), premiando le scelte di sostenibilità e innovazione e compensando gli squilibri che hanno accompagnato la crescita tumultuosa del settore negli scorsi anni. Occorre potenziare l’innovazione tecnologica dei musei, anche per promuovere gli altri servizi culturali da essi forniti, nel quadro di una maggiore integrazione strategica delle politiche culturali e turistiche per la piena valorizzazione dall’enorme potenziale dei territori.

Di grande rilievo è anche l’uso efficiente della risorsa idrica, considerando che le perdite totali in distribuzione (ottenute come differenza tra volumi immessi in rete e volumi erogati) sono ancora cospicue (pari a 3,4 miliardi di metri cubi nel 2018, il 42,0% dell’acqua immessa), nonché l’implementazione di un sistema efficiente di raccolta e trattamento delle acque reflue urbane, finalizzato a incrementare il servizio di depurazione.

Occorre aumentare gli asili nido, considerando che l’offerta complessiva (inclusa, cioè, quella privata) per i bambini residenti fino a 2 anni compiuti si attesta al 25,5%, a fronte della quota minima del 33% stabilita dall’Unione Europea per il 2010, colmando gli ampi divari territoriali tra nord e sud.

 

Il CNEL rileva in primo luogo l’importanza delle riforme che dovranno accompagnare l’attuazione del Piano, su cui non si sta procedendo con la celerità e la chiarezza di intenti che sarebbe necessaria.

Per la migliore implementazione del Piano occorre un sistema di governance condiviso ed efficace, attraverso una catena di comando ben definita. A tal fine il CNEL propone, innanzitutto, che la partecipazione delle parti sociali alla cabina di regia incardinata nella Presidenza del Consiglio venga strutturata e procedimentalizzata; inoltre, andrebbero definiti poteri straordinari, anche sostitutivi, e andrebbe realizzata una mappatura degli uffici da potenziare.

Occorre poi definire un sistema di monitoraggio degli stati di avanzamento, prevedendo la pubblicità in tutte le fasi, dalla progettazione alla implementazione, mentre la indispensabile valutazione dei progetti non dovrebbe essere svolta solo ex post, ma anche ex ante, al fine di valutare comparativamente gli investimenti più utili.

Riguardo alla formazione è apprezzabile l’aumento delle risorse, ma vanno utilizzate non tanto nella riqualificazione degli edifici, quanto nella didattica, ovvero nel reclutamento e nelle carriere dei docenti. Le politiche del lavoro vanno rinnovate, promuovendo l’assegno di ricollocazione, il contratto di espansione, il Piano nuove competenze e la riforma dell’apprendistato. Inoltre, ogni intervento previsto in tale ambito dovrebbe essere corredato da una previsione del relativo impatto sull’occupazione, che deve essere l’obiettivo al centro della strategia e soggetto a puntuale verifica.

La digitalizzazione necessita di una seria operazione sul capitale umano in servizio e nuovo (su tali tematiche il CNEL ha fornito Osservazioni e Proposte il 2 luglio 2020 in merito alle strategie per una burocrazia più efficiente). Rispetto al tema del Turismo e Cultura 4.0 il CNEL sottolinea l’importanza della raccolta e dell’elaborazione omogenea di dati statistici, oltre all’istituzione di una piattaforma nazionale (Destination Manager System) per la gestione e la commercializzazione dell’offerta turistica mediante un database unico. Gli interventi sull’edilizia dovrebbero essere finalizzati all’abbattimento delle emissioni di CO2, sulla base di una stretta interrelazione misurabile mediante rigidi indicatori quantitativi. Le iniziative per lotta contro la povertà educativa, il piano asili nido e il Fondo per il tempo pieno vanno concentrate nelle aree meno coperte dal servizio (Mezzogiorno, periferie urbane, zone interne a rischio spopolamento). In merito alle competenze STEM, gli interventi sono generici e non corredati da obiettivi definiti e misurabili. La riforma del sistema di reclutamento dei docenti non specifica le procedure per superare le attuali farragginose procedure concorsuali e il massiccio ricorso al precariato, mentre per la formazione permanente occorre promuovere il sistema degli ITS (i cui utenti andrebbero decuplicati: oggi sono appena 5.000), evitando sovrapposizioni con le lauree professionalizzanti previste nel Piano. Il CNEL valuta insufficienti le risorse allocate per i servizi sociali e per la famiglia a fronte della radicalizzazione di situazioni di povertà accresciute dalla pandemia. Va assunto l’impegno a strutturare e riequilibrare (e non solo a rafforzare) la rete dei servizi sul territorio nazionale, che si rivela fragile e disomogenea. Per il settore del lavoro autonomo, duramente colpito dalla crisi, occorre incrementare l’indennità di maternità e paternità, prevedere contribuzioni figurative in caso di malattie gravi, introdurre un ammortizzatore sociale generale e detrazioni fiscali per le spese sostenute dai professionisti.

 

Agenzia per l’Italia digitale (AGID) evidenzia la necessità di implementare, nel rispetto della privacy dei cittadini, l’integrazione dei sistemi informativi delle pubbliche amministrazione. I grandi progetti informatici (come lo SPID) richiedono molti anni e molte risorse, ma portano grandi frutti. Rileva, quindi, che il finanziamento del processo di digitalizzazione, che il PNRR quantifica in 8 miliardi, è assorbito per 5 miliardi dalle iniziative per il cashless già in corso, per cui meno di 3 miliardi sono le risorse effettivamente disponibili per la digitalizzazione. Quanto all’impiego di tali risorse, è auspicabile utilizzarle non tanto per acquistare software sul mercato, bensì per remunerare il personale dedicato alla creazione di un software libero. L’attuazione di un grande programma di trasformazione digitale richiede competenze tecniche sia nel personale di base che in quello dirigenziale. Si propone, pertanto, di ripensare il sistema di reclutamento dirigenziale, orientandolo verso figure capaci di accompagnare il rinnovamento digitale, nonché di creare un albo di figure professionali che spendano un periodo di tempo di formazione professionale all’interno dell’agenzia, per poi rientrare nell’amministrazione di appartenenza con il ruolo di responsabile della transizione digitale.

 

Giampaolo Arachi, Presidente Commissione tecnica per i fabbisogni standard, osserva, innanzitutto, che il tema della mancata attuazione dei LEP su tutto il territorio nazionale costituisce una delle principali emergenze del nostro Paese. Il PNRR potrebbe costituire un passaggio fondamentale per il recupero dei divari nella fornitura di servizi pubblici che mettono a rischio il pieno esercizio dei diritti civili e sociali. Il PNRR può dare sia un contributo diretto, mettendo finalmente a disposizione le risorse necessarie per l’infrastrutturazione delle aree in ritardo, sia indiretto, favorendo la definizione dei LEP e un graduale percorso di convergenza assicurato da efficaci meccanismi di monitoraggio.

Dopo oltre un decennio i principi della legge 42/2009 restano in gran parte inattuati. La riforma del finanziamento delle Amministrazioni locali, orientata alla copertura dei fabbisogni dei LEP e delle funzioni fondamentali, si è realizzata, seppur con significative differenze dallo schema della legge 42/2009, solo per il comparto comunale.

L’urgenza del potenziamento delle prestazioni per il raggiungimento di standard minimi uniformi è particolarmente pressante per i servizi resi delle Amministrazioni locali nell’ambito delle funzioni fondamentali. A queste funzioni il PNRR dedica risorse significative, in particolare negli ambiti dell’istruzione e dell’assistenza sociale, ma lascia in gran parte indefiniti gli aspetti legati all’articolazione territoriale degli interventi e al coordinamento fra diversi interventi e fra amministrazioni coinvolte, che saranno determinanti per assicurare che gli interventi proposti si traducano effettivamente in un rafforzamento dei servizi nelle aree in essi sono più carenti. In particolare, i risultati del Piano dipenderanno dalle risposte che verranno date a tre questioni fondamentali: i criteri con cui verranno allocate le risorse agli Enti territoriali; il coordinamento fra i diversi interventi e fra i diversi livelli di governo; il coordinamento fra i progetti di investimento e i meccanismi di finanziamento della spesa corrente. Da chiarire è inoltre il coordinamento fra il PNRR e il fondo per la perequazione infrastrutturale già previsto dalla legge 42/2009 e che la legge di Bilancio 2021 ha modificato e finanziato con una dotazione complessiva di 4,6 mld di euro per gli anni dal 2022 al 2033, di cui 1,3 mld fra il 2022 e il 2026.

 

Il prof. Giovannini (ASVISS) evidenzia, in primo luogo, la necessità di assicurare un collegamento del Piano con l’Agenda 2030, riferimento delle politiche della Commissione europea, individuando per ciascuna missione obiettivi quantificabili ad essa riferiti. Serve una chiara indicazione di cosa si vuole ottenere al 31 agosto 2026, attraverso indicatori di risultato che non si limitino alla dimensione finanziaria, ma guardino anche all’impatto sociale ed ambientale degli interventi.

Uno degli aspetti di maggiore criticità del Piano riguarda le riforme, non sufficientemente delineate (ad esempio per quanto riguarda il mercato dell’energia e dei trasporti). Il PNRR dovrebbe invece contenere principalmente delle riforme, sostenute da investimenti, e non il contrario.

Uno dei principi che deve essere indicato, azione per azione, riforma per riforma, è “non nuocere in modo significativo all’ambiente”, in coerenza con il Green New Deal (do not significantly harm). Occorre dimostrare il rispetto di questo principio per le singole riforme e per ogni progetto.

Bisogna prevedere un sistema di monitoraggio delle riforme e degli investimenti coerente con il Programma nazionale di riforma (PNR), che nel mese di aprile dovrà essere scritto secondo un’impostazione molto diversa rispetto agli ultimi anni, in quanto anche in tale occasione si dovrà tenere conto degli obiettivi dell’Agenda 2030 e delle più recenti Raccomandazioni specifiche per l’Italia.

Ritiene che non vi sia sufficiente coerenza e complementarietà tra gli interventi delineati nel PNRR e le altre politiche pubbliche. Ad esempio il PNRR destina circa 80 miliardi di euro alla transizione ecologica mentre, allo stesso tempo, a valere sui fondi nazionali, si finanziano sussidi ambientalmente dannosi per 20 miliardi di euro. Inoltre, nel PNRR manca – e si tratta sicuramente di un elemento di debolezza -  il riferimento, richiesto dalle Linee guida europee, ad attività di pianificazione operanti in specifici ambito, come il Piano nazionale integrato di energia e clima (PNIEC), il Piano Garanzia Giovani e l’Agenda europea delle competenze.

Per quanto riguarda la governance, molti dei settori nei quali insistono le iniziative previste dal Piano impattano su materie di competenza regionale. E’ necessario, quindi, un coordinamento che assicuri il coinvolgimento dei diversi livelli territoriali, rivedendo le procedure esistenti per assicurare rapidità degli interventi: a tal fine un efficace coordinamento potrebbe essere svolto dal Comitato Interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS, ex Cipe). Occorre, poi, che – come richiesto dalle Linee guida europee – nel processo di definizione e implementazione del Piano venga assicurato il coinvolgimento della società civile e delle migliori risorse del Paese.

Le Linee guida europee indicano la necessità di fornire indicazioni di impatto molto più dettagliate e ampie di quelle contenute nel Piano, che fornisce unicamente stime di tipo macroeconomico e nessuna valutazione sugli impatti ambientali e sociali.

L’ASVISS sta realizzando un’analisi dettagliata del PNRR che presenterà a fine febbraio, contestualmente ad un’analisi della legge di bilancio rispetto ai 17 obiettivi dell’Agenda 2030.

 

Il Centro Studi Regione Mezzogiorno (Regione Mediterranea EUMED) ha evidenziato la necessità di colmare il gap infrastrutturale del Mezzogiorno, soprattutto nel settore sanitario. In tale ambito occorre, in particolare, riformulare il modello organizzativo della sanità territoriale, rafforzare la telemedicina e il teleconsulto, ampliare l’orario di apertura degli ambulatori, introdurre tecnologie avanzate per i distretti sanitari che devono essere connessi con i dipartimenti di prevenzione, stabilizzare il personale reclutato in relazione all’emergenza Covid, creare piattaforme aziendali per i flussi informativi tra tutti i coloro che partecipano alla presa in carico dei pazienti, assicurare l’accesso alle prestazioni extra LEA anche per le Regioni che si trovano vincolate a piani di rientro del debito sanitario.

 

L’Associazione Tortuga, evidenziata, in via preliminare, la necessità di rendere il piano operativo, individuando una governance chiara e competente, predisponendo milestones e target chiari e realizzabili, ritiene che ulteriori azioni debbano essere intraprese soprattutto nelle Missioni 4 e 5 del PNRR, i cui interventi rispondono in modo particolare alle necessità delle giovani generazioni. A tal fine occorrerebbe, in particolare: ncrementare fino a 8 miliardi le risorse stanziate per il potenziamento dell’offerta di asili nido, raggiungendo una copertura regionale del 33% e nel lungo periodo una copertura nazionale del 60%; introdurre per i docenti della scuola dell’obbligo forme di premialità salariale basate non solo su criteri di anzianità, ma anche di merito; prevedere maggiori forme di decentralizzazione del sistema scolastico, canalizzando le risorse alle singole scuole e fornendo loro maggiore autonomia di spesa; incrementare gli strumenti di mappatura dei progressi degli studenti, necessari nella fase post Covid-19 per prevenire l’esplosione delle disuguaglianze educative; creare un Portale Unico Nazionale per la Transizione e l’Orientamento che integri tutti i dati disponibili su orientamento, formazione e mercato del lavoro; incrementare le risorse per alloggi universitari e borse di studio, utilizzando anche le risorse attualmente destinate all’espansione della no-tax area; semplificare il riconoscimento di titoli di studio acquisiti all’estero; favorire l’internazionalizzazione delle università e il reclutamento di docenti stranieri; potenziare e razionalizzare le misure di supporto alle startup (creando un ecosistema nazionale su modello del Le French Tech francese); limitare l’uso dei contratti di tirocinio, prevedendo un limite massimo di sei mesi e impedendo i rinnovi; potenziare i contratti di apprendistato come forma privilegiata di accesso al mercato del lavoro per i giovani; riformare le scale di equivalenza del Reddito di Cittadinanza, legandole a quelle dell’ISEE; aggregare in un unico strumento (come il Fondo Sociale per l’Affitto) tutte le misure di contrasto alla povertà abitativa, eliminando quindi la componente di supporto all’affitto del reddito di cittadinanza.

 

Sbilanciamoci evidenzia in primo luogo la necessità di inserire, accanto alle tre priorità trasversali già previste nel Piano (Giovani, Uguaglianza di genere, Mezzogiorno), una quarta priorità, che è la sostenibilità. In quest’ottica occorrerebbe procedere all’eliminazione (e non alla semplice revisione) dei sussidi ambientalmente dannosi e, nel quadro di una nuova politica industriale (che dovrebbe avere una regia e nuovi strumenti pubblici di programmazione e intervento diretto), alla predisposizione di un piano per il settore dell'automotive, che preveda in particolare la riconversione verso modelli elettrici e ibridi. Non sufficientemente definito nel Piano, poi, è l'obiettivo del superamento del digital divide nel nostro paese.

Per quanto concerne la riforma fiscale le indicazioni sono vaghe e, al di là della previsione di un modesto ritocco a favore delle aliquote più basse,  manca qualsiasi riferimento a misure radicali come la tassazione dei grandi patrimoni finanziari e della finanza speculativa, nonché alla revisione della web tax.

In materia sanitaria è necessario il rafforzamento del personale nel settore dell'assistenza domiciliare e degli altri servizi collegati, nonché l’innalzamento dei Livelli Essenziali delle Prestazioni.

Gli stanziamenti previsti per l'edilizia scolastica (6,4 miliardi) sono circa la metà di quelli che servirebbero per riqualificare l'intero patrimonio edilizio scolastico. Occorre costruire un vero welfare studentesco che includa, ad esempio, anche la gratuità dei trasporti e l'abolizione dei contributi (solo in teoria volontari) che le famiglie italiane sono costrette a pagare nei primi due anni alle scuole secondarie superiori per i propri figli.

Osserva, quindi, che la Missione 2 del Piano, dedicata alla rivoluzione Verde e alla transizione Ecologica, pesa sul complesso dei fondi del PNRR per una quota del 31%, inferiore alla quota del 37% richiesta dalla normativa europea.

Inoltre, l’obiettivo della inversione della curva della perdita della biodiversità viene completamente mancato, non essendo sufficienti le poche misure dedicate alla forestazione, alle infrastrutture verdi urbane o al dissesto idrogeologico, né si rinvengono puntuali riferimenti alla necessità di decarbonizzare il sistema produttivo nazionale

Per quanto riguarda la governance, infine, auspica che il confronto con gli stakeholder (forze sociali e associazioni più rappresentative) sia stabilizzato con la creazione di un Tavolo permanente per la Giusta Transizione.

 

Minima Moralia, associazione costituita da manager, banchieri e accademici circa un anno fa, in via preliminare osserva che le risorse del PNRR vanno utilizztre in modo extra ordinario, ovvero per affrontare i nodi irrisolti del Paese al fine di alzarne la produttività e la crescita, non per questioni congiunturali.

Il Piano deve strutturarsi tenendo conto del binomio inscindibile tra investimenti e riforme. Per troppo tempo si è parlato solo dei primi, ma gli investimenti non funzioneranno se non abbinati alle riforme. Le risorse del PNRR, unitamente alle fonti di finanziamento interno, devono servire per implementare riforme strutturali. Ad esempio la riforma delle procedure autorizzative è necessaria per favorire gli investimenti in energie rinnovabili, mentre la riforma della formazione dei giovani è indispensabile per il funzionamento di Industria 4.0, che richiede forza lavoro che sappia utilizzare le nuove tecnologie. La riforma della pubblica amministrazione richiede risorse sia per accompagnare il personale che volontariamente decide di uscirne, sia per assumere competenze fresche, anche estendendo al lavoro pubblico il contratto di espansione. La selezione delle competenze deve attuarsi con nuove metodologie, abbandonando i concorsi basati su quiz a scelta multipla e prediligendo concorsi specifici per singole professionalità con competenze specifiche, come si fa nelle organizzazioni internazionali. Occorre inoltre prevedere la possibilità di mobilità del personale all’interno e all’esterno della PA (cd. Pantouflage).

L’utilizzo delle risorse europee deve anche servire come catalizzatore di investimenti privati. Occorre sfruttare al meglio l’effetto leva, convogliando sui progetti redditizi i capitali privati, mediante strumenti di partenariato pubblico-privato.

Per quanto riguarda la governance e l’attuazione del Piano, è necessario definire una Delivery Unit che abbia un ruolo di coordinamento tra i ministeri e disponga di poteri sostitutivi ove tale coordinamento fallisca. Il fatto che i fondi europei saranno effettivamente assegnati al raggiungimento degli obiettivi pone un problema di efficacia della spesa che giustifica, in linea generale, l’attivazione in caso di necessità di poteri speciali.

 

UnoNonBasta evidenzia che il PNRR si presenta carente di un progetto univoco, chiaro e coordinato sul tema “giovani”, nonostante questo venga presentato come una priorità trasversale del Piano. Alla insufficienza delle risorse stanziate per i giovani si somma la mancanza di obiettivi vincolanti e di strumenti per verificarne il raggiungimento. Il Piano dovrebbe esplicitamente prevedere che agli interventi diretti ai giovani vengano dedicati almeno 20 miliardi, da indirizzare sui seguenti obiettivi.

In primo luogo occorre facilitare l’ingresso di 800 mila giovani nel mondo del lavoro, investendo 8 miliardi in un piano Garanzia Giovani 2.0 e in placement office universitari. Gli interventi di decontribuzione temporanea contenuti nella legge di bilancio per il 2021 andrebbero rivisti, incrementando il beneficio per le aziende. Sull’esempio dei piani di investimento francesi e inglesi si dovrebbe rilanciare l’apprendistato finanziando, con circa 7 miliardi, percorsi di alta formazione o retribuzione di esperienze formative di lavoro (stima basata su una spesa media di 8.750 euro per partecipante con una copertura di 800 mila giovani disoccupati). Si dovrebbe inoltre attribuire alle Università il compito di ridurre lo sbilanciamento tra offerta e domanda di lavoro, mediante la costituzione di placement-office universitari, con un costo stimato di 210 milioni annui per l’arco di tempo di attuazione del PNRR.

In secondo luogo, occorre orientare e Formare 300 mila giovani ai mestieri del futuro investendo in corsi di formazione professionalizzanti e in un portale di apprendimento digitale. I corsi dovrebbero orientare la trasformazione digitale e ambientale del Paese, mediante 15.000 classi di 20 alunni l’una, un personale amministrativo di 600 unità e 15000 docenti, per un costo complessivo stimato in 2,5 miliardi per un quinquennio.

Inoltre, è necessario reinserire professionalmente 350 mila NEET, investendo 7 miliardi per attivare percorsi di lavoro e formazione contemporanea, apprendistato duale e formativo. I percorsi di reinserimento dovrebbero essere differenziati in base al titolo di studio e all’età dei potenziali interessati, per consentire il conseguimento delle qualifiche professionali di base, o di diplomi ITS. Per gli adulti privi di titolo andrebbe previsto un apprendistato retribuito di un anno. Per ogni segmento della platea dei NEET andrebbe definito un obiettivo di copertura minima dei percorsi formativi.

Infine, uno stanziamento di 2,5 mld destinato a finanziare misure per le giovani famiglie completerebbe i 20 mld da destinare ai giovani nell’ambito del PNRR.

 

Domenico Lombardi dopo aver ricordato che per un Paese ad alto debito la strategia di crescita basata sugli investimenti è cruciale per riportare il rapporto debito/PIL su un sentiero di sostenibilità, evidenzia la necessità di concentrare le risorse su progetti trasformativi, a monte della filiera produttiva, capaci di essere trainanti sul resto dell’economia, articolando gli interventi nel quadro di riforme strutturali abilitanti. La necessità di una riforma profonda per accompagnare il cambiamento è evidente per la pubblica amministrazione. Pensare di digitalizzare la Pubblica Amministrazione, caratterizzata da un’elevata età media degli addetti, da una cultura organizzativa tradizionalmente poco incline all’innovazione e da stringenti vincoli normativi e burocratici, in assenza di radicali interventi di riforma è illusorio.

Se il Piano non sarà finalizzato verso macro-investimenti nei settori maggiormente trainanti, si amplieranno le diseguaglianze tra i generi, le generazioni e i territori che il PNRR si propone di abbattere, amplificando la dicotomia tra gli iper protetti e gli iper esclusi. Inoltre, gli investimenti andrebbero inseriti in un contesto di level-playing field, in cui attività analoghe siano regolate  e tassate in modo analogo.

Per la riforma tributaria il piano si concentra solo sulla riforma dell’IRPEF, mentre in realtà sarà importante riformare il sistema impositivo nel contesto della crescente digitalizzazione della nostra economia, anche al fine di evitare (ulteriori) distorsioni fiscali, accentuate dalla pandemia.

Infine, occorre tenere presente che al fine di incrementare la capacità della pubblica amministrazione di attuare il Piano sarà assai utile il coinvolgimento dei privati.

 

Il prof. Carlo Cottarelli evidenzia che nella sua forma attuale il PNRR è molto concentrato sull’investimento pubblico (con il 70 per cento delle risorse impiegate a questo scopo) e molto meno sul creare le condizioni perché gli investimenti privati si allochino in Italia invece che all’estero e sulla individuazione delle riforme per l’utilizzo efficiente di tale capitale.

Un tema che nel Piano meriterebbe di essere maggiormente approfondito è poi quello della riduzione degli ostacoli burocratici all’attività delle imprese. Si calcola in 30-35 miliardi il costo annuale che sostengono le PMI per adeguarsi alla burocrazia. Per risolvere il problema non basta la digitalizzazione della P.A., ma servono riforme rivolte a una drastica semplificazione, anche del sistema tributario.

Andrebbe posta maggiore enfasi sul capitale umano, vero motore di sviluppo, incrementando le risorse per istruzione e ricerca, che rappresentano solo il 12,7% delle risorse del Piano.

Altra riforma cruciale per la crescita, di cui il Piano non parla, è quella della concorrenza, considerato l’impatto che l’apertura dei mercati ha normalmente sull’aumento della produttività.

Non è chiarito quale sia il legame tra lotta alle disuguaglianze e rafforzamento delle prospettive di crescita del Paese. Il PNRR, per lo meno nella sua parte strategica, parla genericamente di disuguaglianze. Si possono certo trovare importanti legami di causalità (anche bidirezionale) tra uguaglianza e crescita, ma questi legami devono essere ben definiti. Sarebbe più facile trovare tali legami se si facesse riferimento a un concetto di uguaglianza di possibilità, di opportunità, cosa che però non viene esplicitata. Tuttavia, un’uguaglianza che fosse meramente redistributiva (cosa pur necessaria in misura adeguata) diventerebbe, se portata all’estremo dell’assistenzialismo, dannosa rispetto all’obiettivo di rafforzare la nostra crescita, soprattutto in termini di produttività.

Il piano è poco specifico rispetto alle Linee guida europee, mancando indicazioni sull’implementazione e sulla governance. Meno del 30 per cento delle 48 linee di intervento in cui si articola il Piano, infatti, definisce un obiettivo quantificato precisamente, come ad esempio il numero di beneficiari da raggiungere, di edifici da ristrutturare o di impianti da installare. Inoltre, solo il 20 per cento delle linee di intervento delinea le tempistiche entro le quali s’intende raggiungere i propri obiettivi e solo in 6 casi su 48 vengono posti obiettivi intermedi con relative tempistiche Il PNRR, poi, comporta un’elevata spese di investimenti pubblici, ma non c’è analisi costi/benefici per i progetti identificati.

Quanto alla governance del Piano, la migliore proposta è quella indicata da ASSONIME a fine dicembre, che delinea un assetto analogo a quello adottato in altri Paesi: indicazione di un Ministro senza portafoglio responsabile (Affari europei), coadiuvato da una struttura snella (un responsabile per ciascun Ministero ed esperti) presso la Presidenza del Consiglio, con un compito di stimolo e di verifica. Ci dovrebbe essere anche un responsabile del PNRR per ogni Regione. Il Piano non indica misure di controllo e audit, che sono invece soo giudicati essenziali dalla Commissione europea, anche al fine di evitare conflitti di interesse (che andrebbero preventivamente individuati) e frodi.

Infine, le risorse del PNRR sono destinate a finanziarie iniziative “in essere” o “nuove”, ma non è chiaro come venga tracciata questa differenza e, in particolare, se il quadro finanziario a cui fare riferimento è quello della NADEF 2020 o quello della legge di bilancio per il 2021. È fondamentale, pertanto, che la versione finale del PNRR sia del tutto trasparente rispetto al tracciato dei conti pubblici che risulterebbe dalla sua implementazione.

 

Il prof. Mauro Magatti evidenzia che nel Piano sono indicati molti obiettivi, ma non c’è un ordine chiaro e preciso di priorità, né alcuna indicazione di priorità temporale, mentre sarebbe importante individuare alcuni obiettivi ad alto contenuto simbolico (parlando di sostenibilità si potrebbe ad esempio indicare di voler rendere le due isole maggiori, Sardegna e Sicilia, completamente autosufficienti dal punto di vista energetico).

La governance del Piano resta indefinita, le riforme collegate (fisco, giustizia, PA) sono indicate in modo troppo generico e non ne viene chiarita la tempistica, mentre il coinvolgimento dei privati – certamente opportuno -  non viene definito nei suoi contorni essenziali.

 

Il prof. Alessandro Natalini evidenzia che per poter realizzare gli interventi previsti nel Piano occorre dotarsi di un’adeguata capacità amministrativa, di cui il nostro Paese è strutturalmente carente, soprattutto a seguito del blocco del turn over nella P.A. protrattosi per oltre un decennio.

Il PNRR deve essere sostenibile ma anche ambizioso, pertanto deve poggiare su un credibile progetto di costruzione nel breve termine di capacità amministrativa per realizzare gli interventi programmati e nel contempo per costituire l’avvio di una riforma strutturale delle amministrazioni pubbliche.

La strada da seguire è quella di far poggiare il PNRR sulle amministrazioni pubbliche ordinarie ma puntellando questa scelta con alcune misure di sistema: introdurre presso la Presidenza del consiglio dei ministri una struttura di governance amministrativa dotata di adeguate risorse, competenze e poteri anche sostitutivi nei confronti delle amministrazioni responsabili dei singoli interventi; dotare il PNRR di un dettagliato Piano operativo che prenda le mosse da una stima del fabbisogno di capacità amministrativa (formazione, reclutamento, digitalizzazione, semplificazioni) che serve per realizzare gli interventi programmati, da una attenta analisi di quella disponibile e da un progetto credibile di acquisizione tempestiva di quella mancante; prevedere specifiche modalità derogatorie per l’acquisizione delle risorse di personale necessarie; introdurre modalità di valutazione che assicurino un apporto della dirigenza pubblica effettivamente funzionale al conseguimento degli obiettivi previsti dal PNRR.

 

Il prof. Pierpaolo Limone ritiene fondamentale colmare il deficit di competenze nel Paese, migliorando i percorsi universitari e rafforzando il sistema della ricerca. Mentre la richiesta di istruzione superiore sta crescendo in tutto il mondo, l’Italia resta indietro: abbiamo circa il 28% di giovani laureati, rispetto al 40% della media europea. Occorre internazionalizzare il sistema della ricerca e della formazione superiore, aumentando la capacità attrattiva dei nostri Atenei (molto bassa nel confronto internazionale), nonché articolare in modo diverso i percorsi universitari, assicurando maggiore permeabilità e flessibilità negli studi. E’ opportuno, poi, superare l’idea della concentrazione dei campus nelle città, puntando invece a una distribuzione dell’insegnamento nei territori, coinvolgendo realtà minori e facendo ricorso anche alla didattica a distanza.

Infine, occorre riformare il reclutamento dei professori e immaginare la creazione di una scuola di alta formazione del personale in servizio della scuola, auspicabilmente nel Mezzogiorno.

 

Leonardo S.p.A. sottolinea che il vero denominatore comune dei problemi del Paese (infrastrutture, dissesto idrogeologico, risorse ambientali e culturali non valorizzate, sanità, burocrazia, elevata evasione fiscale e alta pressione fiscale, scarsa innovazione) risiede nella carenza di una infrastruttura digitale solida, flessibile e sicura.

Le competenze di Leonardo, sviluppate nel campo della difesa militare, possono essere messe al servizio del Paese nel campo civile, integrandosi in una Piattaforma Tecnologica trasversale, abilitata da un Cloud Nazionale. In primo luogo, la piattaforma Cloud Computing di Leonardo può diventare, integrata nel Cloud Nazionale, lo strumento primario per l’ammodernamento e il rilancio del Paese. Il supercalcolatore di Leonardo a Genova è tra i primi dieci supercomputer privati del mondo, terzo al mondo nel settore aerospaziale. Leonardo, in collaborazione con Aruba, detiene inoltre una infrastruttura di trasmissione dati in fibra sottomarina (Blue Med). Infine, segnala il grande cloud europeo (Gaia-X) che coinvolge l’Italia e Leonardo tra i principali attori.

Leonardo ha individuato cinque ambiti programmatici con i quali contribuire all’ammodernamento della rete digitale della pubblica amministrazione: Global Monitoring (monitoraggio e messa in sicurezza delle infrastrutture critiche del paese); Smart City (per incrementare la sicurezza e la resilienza delle città, in particolare per il traffico e il trasporto pubblico); Sanità (implementazione di un sistema sanitario efficiente e interconnesso); Digital PA (favorire l’erogazione di servizi pubblici digitali  fruibili, efficienti e sicuri); Logistica (promuovere un sistema multimodale connesso, automatizzato e sicuro).

Per realizzare tali progetti Leonardo si propone di mettere a disposizione le proprie competenze, mobilitando l’intera filiera nazionale di fornitori per valorizzare il tessuto industriale e tecnologico del paese in un rinnovato patto tra pubblico e privato.

Il Cloud Computing, che implica anche un reclutamento di giovani lavoratori, è concepito come piattaforma fondante (manifattura 4.0; customer care digitale) e rappresenta una scommessa sul futuro del paese: solo un cloud sicuro nazionale può garantire la sicurezza dei dati del nostro paese. I dati importanti devono essere protetti a livello nazionale, al di fuori del controllo delle multinazionali private. È necessaria una sovranità dei dati nazionali sui temi critici, come la salute: Gaia-X serve a questo.

 

La Corte dei Conti europea osserva che l’efficacia delle risorse di Next Generation EU nel garantire la ripresa e la resilienza delle economie europee, nonché di ridurre i divari di sviluppo tra diverse aree interne a ciascun Paese -  sarà ampiamente condizionata dalla capacità amministrativa e di gestione degli Stati membri, fortemente legata alla disponibilità di personale pubblico in quantità sufficiente e professionalmente preparato. Si tratta di una sfida particolarmente impegnativa per l’Italia, che dovrà gestire un ammontare di risorse (pari al 24% del totale) ampiamente superiori a quelle spettanti a tutti gli altri Paesi. A tale proposito evidenzia che l’Italia registra un deficit di capacità amministrativa tra i più elevati a livello europeo, come dimostra il basso tasso di assorbimento delle risorse assegnate al nostro Paese nell’ambito della politica di coesione (tasso pari, ad agosto 2020, al 38% delle risorse della programmazione 2014-2020).

Ritiene essenziale programmare l’utilizzo dei fondi di Next generation EU nel quadro di una visione unitaria delle risorse che a vario titolo verranno assegnate all’Italia a valere sul bilancio europeo, a partire dalle risorse della nuova programmazione settennale 2021-2027 dei fondi strutturali. Inoltre, nella predisposizione del PNRR si dovrà tenere conto della coerenza con l’attività di pianificazione già definita in ambito ambientale, energetico e sociale nel quadro dell’implementazione nazionale delle politiche europee in tali ambiti.

Nel richiamare la procedura di valutazione dei Piani da parte delle istituzioni europee, evidenzia che l’accesso alle risorse da parte degli Stati membri dipenderà dalla loro capacità di fissare e rispettare obiettivi intermedi di realizzazione nell’ambito di ciascun progetto previsto nel Piano, nonché dalla implementazione delle riforme richieste con Raccomandazioni specifiche per Paese nel quadro del Semestre europeo. Allo stesso modo, l’accesso all’anticipo del 13% della quota spettante a ciascun Paese dipenderà dai tempi di presentazione dei Piani nazionali, che sarà possibile – fermo restando il termine finale del 30 aprile 2021 – dalla fine di febbraio 2021, a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento europeo.

Per quanto attiene al modello di governance, osserva che la stretta connessione tra progetti di investimento e riforme strutturali, nonché il fatto che l’interlocuzione con gli organismi europei sia riservata ai Governi centrali, implicano – in linea generale – che i Piani si sviluppino secondo una visione complessiva a livello nazionale, sebbene non debba essere esclusa la possibilità di devolvere specifiche competenze ai diversi livelli territoriali in un quadro chiaro e predefinito dei ruoli di ciascuno.

Per quanto concerne, infine, i prestiti che verranno offerti nel quadro di Next Generation EU, evidenzia che il tasso praticato agli Stati membri sarà lo stesso al quale l’Unione europea collocherà i suoi titoli sul mercato. Considerato il merito di credito dell’UE (A++), pertanto, è verosimile che si tratterà di tassi vantaggiosi per quei Paesi (come l’Italia) che collocano i propri titoli a tassi più alti di quelli medi europei.

 

La Banca Europea degli Investimenti (BEI) evidenzia in primo luogo che il Recovery Fund non deve essere inteso solo come un programma volto a trasferire risorse finanziarie, bensì come uno strumento fondamentale per migliorare il funzionamento complessivo del sistema Paese, attraverso il superamento dei fattori che ne limitano la crescita. Al riguardo ricorda che i problemi strutturali dell’Italia attengono alla scarsa qualità dell’azione amministrativa, all’incertezza politica e normativa, all’evoluzione demografica e al modello di sviluppo (in termini di capitale umano, dimensione d’impresa e specializzazione tecnica e produttiva). In Italia la produttività media del lavoro è troppo bassa, benchè i lavoratori italiani siano tra quelli, in Europa, con più ore lavorate pro capite annue. Ciò è dovuto, in particolare, alla insufficienza degli investimenti in R&S, tecnologie innovative e capitale umano. La gran parte delle imprese italiane ha un indice di intensità digitale basso (79,6% contro una media europea del 74,2%), il tasso di penetrazione dell’intelligenza artificiale è un quarto della media UE, i laureati in discipline STEM è molto sotto la media europea, il mercato del venture capital è assai limitato (nel 2019 appena 244 milioni di euro, a fronte di 2 miliardi in Francia e Germania e 2,6 miliardi nel Regno Unito). Inoltre, la ridotta dimensione media delle imprese italiane non favorisce gli investimenti (un caso emblematico è quello della rete idrica, dove occorrerebbero ingenti investimenti per ridurre il tasso di perdita del sistema, ma la struttura delle numerose imprese operanti – circa 2.000 - non è tale da incentivarli).

Gli investimenti previsti nel PNRR dovranno essere accompagnati da riforme strutturali del fisco, della giustizia e della pubblica amministrazione.

Per quanto concerne, in particolare, la pubblica amministrazione, i tempi ordinari di una sua riforma, con l’innesto di professionalità nuove e competenti, non sono compatibili con imposti per l’utilizzo delle risorse europee. Pertanto, soprattutto laddove la capacità amministrativa risulta più carente, occorre in qualche misura ricorrere a professionalità esterne, assicurando anche i giusti incentivi economici.

Per la gestione delle ingenti risorse che affluiranno nel nostro Paese occorre un sistema di governance snello, funzionale e competente, con una chiara allocazione delle responsabilità. Al riguardo ricorda che altri grandi piani di investimento lanciati nel passato (Piano Marshall, Piano Juncker, Western Balkan Investment Framework) sono stati tutti accompagnati da profonde riforme amministrative. Per il PNRR si deve procedere allo stesso modo, a partire dalla realizzazione di una struttura che fornisca ai decisori politici una valutazione tecnica dei progetti e, successivamente, evolva in un organismo di indirizzo permanente in materia di investimenti. Un coordinamento centrale forte (con poteri sostitutivi in caso di ritardi o inefficienze dei livelli inferiori) è poi essenziale per garantire capacità di programmazione e di spesa, evitando che si ripropongano per le risorse di Next Generation EU i problemi che caratterizzano l’utilizzo dei Fondi strutturali europei, dove una programmazione inefficace e i frequenti ritardi nell’utilizzo dei fondi porta a concentrare la spesa nella parte terminale del periodo di programmazione, con inevitabili ripercussioni sulla qualità della spesa.

Per promuovere l’uso efficiente delle risorse di Next Generation EU il Gruppo BEI si propone per affiancare le autorità italiane ai fini della creazione di un fondo di fondi dedicato alle PMI nelle filiere industriali, all’economia circolare, al social housing e al turismo sostenibile. I principali vantaggi sarebbero rappresentati dal fatto che l’implementazione verrebbe delegata a un partner dotato di grande esperienza nel settore degli investimenti, capace di assicurare rapidità di esecuzione delle decisioni e offrire servizi di consulenza di alto livello; in sostanza, il coinvolgimento della BEI nella selezione dei progetti, nel loro monitoraggio e nella reportistica permetterebbe di disporre di progetti potenzialmente già allineati agli stringenti standard richiesti dalla normativa europea. Inoltre, attraverso l’istituzione di fondi tematici, il piano di investimenti verrebbe calibrato sulle effettive esigenze del Paese, sfruttando al meglio l’effetto leva nell’utilizzo delle risorse.

 

Il Commissario europeo Paolo Gentiloni evidenzia, in primo luogo, come la risposta alla crisi pandemica da parte delle istituzioni europee sia stata, a differenza di quanto avvenuto in occasione della crisi economica del 2008-2010, immediata, forte e ispirata alla solidarietà. La risposta, com’è noto, si è dispiegata a vari livelli e con diversi strumenti: la sospensione del Patto di stabilità e crescita (General escape clause) e della normativa sugli aiuti di Stato; il programma straordinario di acquisti di titoli del debito sovrano da parte della BCE; il programma SURE (a cui l’Italia ha fatto già ricorso per 21 dei 27 miliardi di euro ad essa assegnati); e, da ultimo, il programma Next Generation UE. A tale riguardo fa presente che il programma Next Generation UE beneficerà, in particolare, il nostro Paese, sia perché nella distribuzione delle risorse tra gli Stati membri si è tenuto conto della gravità della crisi sanitaria ed economica generata dalla pandemia, sia perché l’accesso ai prestiti europei sarà più vantaggioso per quei Paesi che collocano i propri titoli pubblici (seppure in un contesto, quale quello attuale, di tassi assai bassi) a tassi superiori alla media europea. In chiave europea, poi, tali risorse dovranno servire a contrastare il rischio che la crisi incrementi il divario già esistente tra Paesi, il che comprometterebbe il buon funzionamento del mercato unico e della moneta unica.

Per finanziare gli interventi l’Unione europea emetterà debito comune (di cui il 30% attraverso green bond), da rimborsare nel trentennio 2026-2056. Ciò richiederà, inevitabilmente, di ampliare il bilancio europeo introducendo nuove risorse proprie, a partire dalla digital web tax, su cui è in corso un confronto nell’ambito del G20 (che non precluderà, ovviamente, una autonoma iniziativa in ambito europeo se entro pochi mesi non si dovesse giungere a un accordo globale). In prospettiva futura, poi, occorre considerare che sebbene il ricorso a debito comune europeo in tale contesto sia stato definito come straordinario, è verosimile che se gli obiettivi per i quali l’emissione è stata autorizzata verranno conseguiti, lo strumento possa essere riproposto – come del resto accaduto in passato in altri ambiti della costruzione europea - per ulteriori e differenti obiettivi.

Per quanto concerne la definizione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza, evidenzia che è in corso una intensa attività di collaborazione e confronto tra istituzioni europee e nazionali. La bozza di PNRR italiano in discussione in Parlamento rappresenta un buon punto di partenza, da cui occorre muovere rapidamente per assicurare che la versione definitiva risponda agli stringenti requisiti previsti dalla normativa europea. Giudicando utile l’attribuzione di un ruolo di raccordo al MEF sul PNRR, evidenzia che occorre, in particolare, agire su tre aspetti: garantire qualità e selezione degli investimenti (tenendo conto dell’introduzione del principio “Do not significantly harm”, che impone, al di là del vincolo del 37% di risorse da destinare alla transizione verde, di prestare particolare attenzione agli effetti ambientali di tutti i progetti); individuare le riforme strutturali che, in attuazione delle Raccomandazioni specifiche UE rivolte all’Italia nel 2019, devono accompagnare gli investimenti; definire obiettivi e tempi di attuazione (anche intermedi) di ciascun progetto. A tale ultimo riguardo avverte che l’erogazione delle risorse dipenderà dalla capacità del nostro Paese di rispettare le tempistiche definite nel Piano; si tratta della sfida sicuramente più impegnativa, considerando la scarsa capacità di assorbimento dei finanziamenti che l’Italia registra – da molto tempo ormai – in relazione ai fondi strutturali. Peraltro, diversamente dai finanziamenti disposti nell’ambito della politica di coesione, in questo caso l’erogazione avverrà per tappe successive (su base semestrale), in relazione all’effettivo raggiungimento degli obiettivi fissati per ciascun progetto.

Per quanto riguarda l’erogazione della prima quota del 13% delle risorse assegnate a ciascun Paese, auspica che essa possa avvenire entro l’estate, anche se ciò dipenderà dal deposito, da parte di tutti gli Stati membri, delle ratifiche necessarie per consentire all’Unione europea di procedere al collocamento dei propri titoli sul mercato.

In conclusione, ritiene necessario mantenere il tono espansivo della politica di bilancio fino a quando non verrà imboccata con decisione la strada della ripresa (reputando più rischioso un superamento prematuro di tale politica rispetto a un suo superamento tardivo), evidenziando come la forte compressione della domanda registrata dall’inizio della pandemia potrà generare un rimbalzo significativo dell’attività economica non appena le restrizioni – col procedere della campagna vaccinale – verranno rimosse, consentendo di superare ampiamente le attuali stime di crescita per il 2021 e il 2022.

 

La sindaca di Roma Virginia Raggi evidenzia in primo luogo la necessità di modificare il Codice degli appalti, che nella formulazione attuale contiene una serie di norme che rallentano le gare e creano incertezze alle stazioni appaltanti. Occorre, poi, prorogare oltre il 2021 le misure di semplificazione introdotte dal decreto-legge n.76 del 2020 (cd. Decreto semplificazioni), che a Roma hanno consentito di aprire centinaia di cantieri. La semplificazione normativa va tuttavia affiancata da un rafforzamento dei controlli, avendo presente che il malaffare spesso prospera dove le norme – magari pensate proprio in funzione anticorruzione – sono troppe e poco chiare.

Per quanto riguarda la città di Roma, il discorso sul Recovery Fund va inserito in un quadro più ampio, al cui interno si collocano il Giubileo del 2025 e la candidatura ad ospitare l’Expo 2030. In questo senso il PNRR deve rappresentare il punto di partenza nel percorso di sviluppo della città in una prospettiva decennale.

Nell’ambito del Recovery Plan Roma Capitale ha presentato 159 progetti di investimento, per un totale di 25 miliardi di euro, confluiti nel Piano di Sviluppo resiliente, sostenibile e inclusivo di Roma Capitale, elaborato a partire dai primi mesi della pandemia e presentato a ottobre 2020. Il Piano prevede investimenti in tutte le aree di governance locale – trasporti, sociale, turismo, digitalizzazione dei servizi – e ruota attorno agli assi della rigenerazione urbana e dello sviluppo delle infrastrutture.

Per quanto riguarda la rigenerazione urbana, a febbraio 2019 è stato presentato ReinvenTIAMO Roma, un piano che pone al centro del suo sviluppo un nuovo modo di abitare, di costruire relazioni e di sviluppare il tessuto produttivo nel suo insieme. A tal fine è stato avviato un articolato censimento del patrimonio immobiliare, pubblico e privato, abbandonato e in disuso, in tutte le aree della città, principalmente periferiche, con l’obiettivo di riqualificare e rifunzionalizzare edifici e aree con lo scopo di restituirli ai cittadini, senza consumo di nuovo solo, portando ovunque nuove opportunità di lavoro e servizi.

Sul versante dello sviluppo delle infrastrutture, ad agosto 2019 è stato approvato il Piano urbano della mobilità sostenibile, che punta alla mobilità su ferro e dolce con 38 chilometri in più di rete metropolitana, comprese le ferrovie ex-concesse, 58 chilometri di rete tranviaria e oltre 290 chilometri di nuovi itinerari ciclabili.

Altri aspetti qualificanti del Piano sono l’edilizia popolare (con la previsione di acquisto di 2 miliardi di immobili, equivalenti a circa 10.000 alloggi), il programma Recycle (per il recupero dei quartieri di edilizia pubblica), l’operazione “100 luoghi” (per la realizzazione di altrettanti Centri civici pulifunzionali), gli interventi di riqualificazione ed efficientamento energetico di scuole ed edifici pubblici.

Ricorda che a giugno Roma presiederà il vertice Urban20, nel quale città di tutto il mondo elaboreranno proposte su temi come la lotta al cambiamento climatico, la tutela dell’ambiente, l’inclusione sociale, la crescita economica, la rigenerazione urbana in chiave sostenibile, che saranno trasferite nelle sedi di discussione e cooperazione internazionale, a partire dal G20 che si terrà a Roma il prossimo autunno.

Evidenzia che Roma sconta storicamente non solo un gap di trasferimenti (mai parametrati alle reali esigenze di governance, all’estensione e articolazione del territorio), ma soprattutto un deficit di poteri, se messa a confronto con altre capitali europee e mondiali. A tale riguardo fa presente che il consiglio comunale si è espresso di recente all’unanimità sulla richiesta di un nuovo status e nuovi poteri speciali per la Capitale; in Parlamento, poi, sono state approvate mozioni parlamentari, anch’esse bipartisan, nella stessa direzione ed è in discussione un disegno di legge costituzionale sui poteri per Roma, fermo però da oltre un anno. Un Recovery Plan per Roma non può prescindere da questa profonda azione riformatrice.

 

Il Ministro dell’economia e delle finanze Daniele Franco, rilevato che il progetto Next Generation EU (NGEU) un passaggio storico nel processo di integrazione europea e un passo in avanti molto significativo nella costruzione di un bilancio europeo comune, osserva che l’Italia presenta un cronico problema di crescita, aggravato da forti disparità territoriali, generazionali e di genere.

La predisposizione del Piano e la sua attuazione nel rispetto degli stringenti criteri europei rappresentano un’opera complessa, da realizzare secondo tempistiche definite (presentazione del PNRR entro il 30 aprile 2021; impegno del 70% delle risorse entro il 2022; conclusione degli interventi entro il 2026). Al fine di evitare i ritardi di programmazione e di spesa che hanno caratterizzato, anche nell’ultimo ciclo di programmazione 2014-2020, i fondi strutturali europei, è necessario un deciso rafforzamento delle strutture tecniche ed operative deputate all’attuazione degli interventi.

Per quanto concerne l’articolazione del Piano, l’entità delle risorse è di 191,5 miliardi, lievemente al di sotto della cifra indicata nella bozza di PNRR trasmessa dal precedente Governo. In ogni caso permane un margine di variabilità, legato al fatto che il 70% delle risorse complessive è allocato tra Paesi sulla base di dati già noti, la distribuzione del restante 30 per cento sarà definita nel giugno 2022, sulla base dell’andamento del PIL dei paesi dell’Unione nel biennio 2020-21. Il Governo intende rafforzare il Piano in alcune parti, individuando quali elementi su cui puntare la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’abbattimento dell’inquinamento dell’aria e delle acque, la rete ferroviaria veloce, le reti di distribuzione dell’energia per i veicoli a propulsione elettrica, la produzione e distribuzione di idrogeno, la digitalizzazione, la banda larga e le reti di comunicazione, secondo i tre assi strategici condivisi a livello europeo della digitalizzazione e innovazione, della transizione ecologica e dell’inclusione sociale. Sono confermate le 6 Missioni in cui si articola il Piano, il valore dei progetti verrà tarato sulle risorse effettivamente disponibili e si valuterà la possibilità di modulare diversamente il riparto delle risorse tra progetti in essere (che attualmente ammontano a 65 miliardi di euro) e nuovi progetti; anche l’entità delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione ricondotte al PNRR (attualmente 20 miliardi) potrà essere affinata.

Per quanto concerne i profili organizzativi, il Governo ha incardinato la governance del PNRR presso il Ministero dell'Economia e delle Finanze, che si coordina con le Amministrazioni di settore cui competono le scelte sui singoli progetti. La responsabilità primaria sui progetti (investimenti e riforme) rimane dei singoli Ministeri, che devono lavorare congiuntamente laddove la trasversalità degli obiettivi e degli interventi previsti lo richieda. Il MEF svolgerà un ruolo di coordinamento e darà pieno supporto a tutti i Ministeri nella stesura dei progetti, per assicurare che la definizione delle misure del Piano avvenga nel rispetto dei requisiti e delle linee guida europee e per assicurare che ci sia una effettiva realizzabilità dei progetti entro la scadenza tassativa del 2026. Insieme al MEF sono coinvolti, secondo una logica di competenza orizzontale in relazione agli obiettivi trasversali del Piano, il Ministero per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale, il Ministero della transizione ecologica e il Ministero per il Sud e la coesione territoriale. E’ necessario, poi, attraverso l’interlocuzione stretta con le autonomie territoriali, il coinvolgimento dei territori per selezionare progetti in grado di soddisfare i bisogni di cittadini e imprese.

Il modello organizzativo in corso di definizione individua compiti e responsabilità basati su due livelli di governance strettamente interconnessi. Da un lato, una struttura centrale di monitoraggio del PNRR, presso il MEF, a presidio e supervisione dell’efficace attuazione del Piano. Tale struttura si occuperà del supporto alla gestione e monitoraggio degli interventi, della gestione dei flussi finanziari con l’Unione Europea, della rendicontazione degli avanzamenti del PNRR alla Commissione europea, del controllo della regolarità della spesa, della valutazione di risultati e impatti. Questo organismo centrale sarà affiancato da un’unità di audit, indipendente, responsabile delle verifiche sistemiche, a tutela degli interessi finanziari dell’UE e della sana gestione del progetto. Dall’altro lato, a livello di ciascuna Amministrazione di settore (essenzialmente i Ministeri) si costituiranno presidi di monitoraggio e controllo sull’attuazione delle misure di rispettiva competenza, le quali si interfacceranno con la struttura centrale del MEF per aggregare i dati e le informazioni sullo stato di avanzamento dei lavori e delle riforme, ai fini della rendicontazione all’Unione europea e al Governo, anche per le eventuali azioni correttive. E’ inoltre prevista la possibilità di assicurare un supporto tecnico specialistico alle Amministrazioni che dovranno realizzare gli interventi, anche a livello locale. I progetti devono essere contraddistinti da realizzabilità, accountability e monitorabilità, per cui per ogni intervento dovranno essere individuati gli organi responsabili e le modalità di coordinamento tra loro.

Per quanto concerne le riforme che dovranno accompagnare la definizione e l’implementazione del Piano, evidenzia l’importanza della riforma della giustizia e della pubblica amministrazione, nonché di interventi di semplificazione normativa trasversale, che con pragmatismo dovranno essere inseriti entro una cornice che prevede tempi serrati e scadenze precise.

Nelle prossime settimane dovrà essere portata a compimento l’attività di definizione del Piano, per la quale il Governo intende avvalersi pienamente del prezioso lavoro di interlocuzione con numerosi attori sociali ed economici già svolto dal Parlamento.  Il PNRR è un progetto del Paese, che richiede uno sforzo corale delle diverse istituzioni coinvolte attraverso un dialogo aperto e costruttivo. A tal fine il Governo metterà a disposizione delle Camere le note tecniche sottostanti la bozza di Piano del 12 gennaio, redatte (in inglese) per l’esame da parte della Commissione europea. In questo modo si intende dare conto, con trasparenza, dell’enorme lavoro già fatto e facilitare il ruolo del Parlamento, i cui indirizzi saranno attentamente valutati dal Governo ai fini della stesura definitiva del Piano.

Infine, ricorda che il PNRR non rappresenta l’unico strumento di politica economica. Ad esso, infatti, si affiancano la normale programmazione comunitaria, con i 1.074 miliardi stanziati dal bilancio UE con il QFP 2021-2027; il Fondo Sviluppo e Coesione (FSC), a cui l’ultima legge di bilancio assegna una dotazione finanziaria di 50 miliardi per il periodo 2021-2027, cui si aggiungeranno con la legge di bilancio per il 2022 ulteriori 23 miliardi (come previsto dalla Nadef 2020); e le risorse nazionali per interventi infrastrutturali, a beneficio di amministrazioni centrali e locali, per uno stanziamento complessivo nelle ultime leggi di bilancio di quasi 200 miliardi. Occorre, pertanto, avere una visione unitaria e scegliere gli strumenti finanziari più adatti a conseguire i vari obiettivi.

 

Il Sottosegretario agli Affari europei, Vincenzo Amendola, evidenzia innanzitutto che l’Italia è chiamata ad uno sforzo importante sia perché la risposta alle conseguenze economiche della pandemia richiede un utilizzo efficace dei tradizionali Fondi europei, sia perché è il principale beneficiario dei finanziamenti di “Next Generation EU”. L’Italia beneficerebbe di circa 191,5 miliardi di euro a prezzi correnti (68,9 mld di sussidi a valori correnti 2019 e 122,6 mld di prestiti), a cui si aggiungono gli altri rientri a valere su altri programmi finanziati da Next Generation EU: 497 milioni su Horizon Europe; 13.5 mld su ReactEU; 846 milioni sulla politica agricola-sviluppo rurale; 535 milioni sul Fondo di Transizione Equa; 236 milioni sulla sicurezza e la difesa. Allargando l’orizzonte a tutto il Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027, l’Italia beneficia di altri 100 miliardi di euro in sette anni. In questo primo importante impegno per costruire una politica economica europea l’Italia riveste quindi un ruolo centrale per l’ammontare dei fondi attribuiti via QFP e Next Generation e per le sfide legate alle riforme attese da tempo. Per la formulazione del PNRR l’Italia ha lavorato in stretto raccordo - e continua a lavorare - con la Commissione europea, la quale ha pubblicato le nuove linee guida soltanto lo scorso 22 gennaio 2021, aggiornando anche i formulari pubblicati il 17 settembre 2020. Continua, inoltre, il lavoro dei singoli Ministeri a cui competono le scelte sui singoli progetti e il compito di indirizzo sulle proposte di riforme e il cui risultato sarà al più presto condiviso col Parlamento. Con il Governo Draghi siamo ora in una nuova fase di lavoro, che vede nel Dicastero dell’Economia e Finanze il coordinatore del Piano, ma sempre con la stessa e strettissima collaborazione dei Ministeri coinvolti nella definizione delle azioni di settore. Il Dipartimento per le Politiche Europee della Presidenza del Consiglio assicurerà la massima collaborazione al MEF nell’espletamento del suo compito. In particolare, si tratta di completare, modificare dove necessario e perimetrare il documento finale, che nella sua struttura di base vede sei priorità strategiche articolate in Missioni, corrispondenti ai sei pilastri del regolamento europeo. I temi ‘digitale’ e ‘verde’ sono insieme un fattore orizzontale e qualificante del progetto, perché costituiscono gli aspetti di una nuova ‘rivoluzione economica e produttiva’ e sono il fondamento della strategia di autonomia che l’UE si è data per i prossimi anni. Non si tratta solo di un piano di spesa ma di riforme e investimenti al servizio del Paese. L’importanza delle riforme è strettamente collegata a far sì che le azioni di investimento possano avere un impatto duraturo nel tempo, perché innestate in un terreno che permetta loro di crescere. In questo percorso è centrale il confronto continuo nei prossimi cinquanta giorni tra il Governo e il Parlamento, che sta già svolgendo un lavoro importante, come testimonia il serrato ciclo di audizioni avviato più di un mese fa sullo Schema di PNRR del 12 gennaio. Si tratta di un lavoro di interlocuzione necessaria, le cui indicazioni segneranno come calibrare le scelte; saranno ovviamente coinvolte anche le Istituzioni regionali e locali, le autonomie, le forze economiche e sociali, il Terzo Settore e le reti di cittadinanza. Il percorso conclusivo in vista del 30 aprile prossimo sarà molto serrato: si tratterà di recepire le indicazioni del Parlamento, aggiornare le previsioni dei singoli Ministeri, approfondire la finalizzazione delle parti del PNRR dedicate alla ‘governance’ del Piano e al tema degli ‘impatti macroeconomici’, affinare le ‘schede tecniche’ con le tabelle sui target e le milestones alla luce delle nuove Linee Guida. Si tratterà anche di affinare ulteriormente la parte dedicata alle ‘Riforme’, secondo le Raccomandazioni Specifiche del 2019 e 2020. In conclusione, con il PNRR si tratta di decidere insieme come vincere questa sfida e che tipo di trasformazione economica vogliamo imprimere per i prossimi anni all’Italia. Non si tratta di un orizzonte temporale che si ferma al 2026 ma che andrà ben oltre quella scadenza. Questa strategia è anche funzionale, in un contesto multilaterale, alla messa a terra dell’Agenda 2030 adottata dalle Nazione Unite. Per l’Unione Europea è forte la consapevolezza che gli obiettivi di prosperità, pace e benessere per i propri cittadini possono essere conseguiti soltanto se l’Unione avrà una leadership globale su temi quali la riduzione delle disuguaglianze, la crescita sostenibile e un consumo responsabile.

 

La Ministra per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, riferisce innanzitutto che il Governo sta lavorando per migliorare e completare la bozza di PNRR presentata dal precedente Governo, in particolare sul quadro di riforme sulla base del quale si vuole dare concretezza e fattibilità alla visione dell’intero piano. Sono state consegnate al Parlamento anche le schede dei progetti, e gli orientamenti che il Parlamento esprimerà avranno, nonostante i tempi molto stretti, un’importanza fondamentale per arrivare alla stesura definitiva.

Il PNRR si prefigge l’obiettivo di restituire opportunità per i giovani e la loro crescita, incentivare scelte e progetti di vita personali e lavorativi, promuovere lavoro e protagonismo femminile in tutti i settori, sostenere le famiglie e la scelta della genitorialità. In particolare, la parità di genere è definita come asse strategico di tutto il piano, assumendo un ruolo trasversale, il cosiddetto gender mainstreaming, su cui ogni azione dovrà essere valutata ex ante ed ex post, come anche il Parlamento ha fortemente richiesto al Governo.

Tra i primari fattori strutturali che hanno contrassegnato l’insoddisfacente crescita italiana, ci sono la dinamica demografica declinante e il basso tasso di natalità. Il declino demografico dell’Italia, che è uno dei paesi con la più bassa fecondità in Europa (1,29 figli per donna, contro l’1,56 della media europea), rischia un ulteriore peggioramento a causa della pandemia, non solo per l’effetto diretto di aumento della mortalità, ma anche per le conseguenze indirette sui progetti di vita delle persone, in particolare quello di avere figli. I 420.000 nati registrati in Italia nel 2019, che già rappresentavano un minimo mai raggiunto in oltre centocinquant’anni di unità nazionale, potrebbero scendere - secondo uno scenario Istat aggiornato sulla base delle tendenze più recenti - a circa 408.000 nel bilancio finale del 2020, per poi ridursi ulteriormente a 393.000 nel 2021.

Questi dati non vanno letti solo dal punto di vista demografico, ma anche da quello della corrispondente difficoltà di osare scelte e progetti di vita personali e comunitari proiettati nel futuro, rispetto al quale si percepiscono troppi elementi di incertezza e di rischio. Auspica quindi un’accelerazione nell’approvazione del Family Act e la collocazione di questa riforma come strategia alla base anche del PNRR.

Un altro tema fondamentale, già richiamato come obiettivo strategico del Piano, è quello del grave ritardo del nostro paese rispetto alla piena attuazione della parità di genere, che è un fattore strutturale che impatta negativamente sull’Italia che il Piano deve risolvere definitivamente. E’ certificato che la promozione della parità di genere porterebbe un aumento del nostro PIL nei prossimi 10 anni in modo significativo.

L’Italia risulta oggi al 14° posto in Europa per parità di genere, con un punteggio del Gender Equality Index inferiore alla media europea. L’indicatore mostra come l’Italia, nonostante i notevoli progressi degli ultimi anni, debba compiere ancora sforzi importanti per ridurre efficacemente il divario di genere. Occorre realizzare misure diversificate, che possano incidere sulle dimensioni dello svantaggio economico femminile che manifestano le maggiori criticità: il tasso di occupazione (soprattutto nel Sud del Paese), il gap retributivo, la forte incidenza del lavoro informale tra le donne, il maggior ricorso al lavoro part time (spesso non volontario), le disparità di genere nelle posizioni manageriali.

Ricorda, quindi, che il regolamento del dispositivo per la ripresa e la resilienza del 12 febbraio 2021 (Regolamento (UE) 241/2021 del Parlamento e del Consiglio, al considerandum 28) ribadisce che la parità di genere e le pari opportunità sono obiettivi integrati e promossi sia nella preparazione che nell’attuazione dei piani nazionali di ripresa e resilienza. Inoltre, il regolamento specifica che ciascun PNRR, per essere debitamente motivato e giustificato, deve necessariamente presentare alcuni elementi specifici, tra i quali  “una spiegazione del modo in cui le misure del piano per la ripresa e la resilienza dovrebbero contribuire alla parità di genere e alle pari opportunità per tutti, come pure all'integrazione di tali obiettivi, in linea con i principi 2 e 3 del Pilastro europeo dei diritti sociali, nonché con l'Obiettivo di sviluppo sostenibile dell'ONU 5 e, ove pertinente, la Strategia nazionale per la parità di genere.” (art. 18, comma 4, lett. o)).

La valutazione va effettuata ex ante: considerando le priorità strategiche, occorre definire gli indicatori volti a misurare i principali aspetti del fenomeno della disparità di genere. Per tali indicatori, oltre al valore attuale, deve essere identificato anche un valore target, ovvero l’obiettivo specifico e misurabile da raggiungere. Tutti i progetti devono essere accompagnati da un set di indicatori qualitativi e quantitativi, su cui impostare la valutazione e il monitoraggio nella fase di attuazione del piano. Ritiene che vada fortemente rafforzato questo impianto di misurazione, per cui sta lavorando con i tecnici del Mef, deputati alla regia e alla parte tecnica della stesura del Piano, per integrarlo secondo tali indicazioni, con una puntualità di indicatori e una identificazione chiara degli obiettivi e dei parametri di monitoraggio.

Un’azione particolarmente significativa all’interno del piano è quella inserita nella linea strategica “4. Istruzione e ricerca” per la ristrutturazione e costruzione di nidi e servizi educativi e di cura per la prima infanzia (servizi Early Childhood Education and Care - ECEC) che deve essere garantita su tutto il territorio nazionale, almeno per il superamento dell’obiettivo europeo del 33% di offerta (a fronte del 25% attuale, con grosse differenze tra nord e sud). Il numero di nuovi posti necessari è quindi pari a 104.656; in un’ottica più ambiziosa, qualora il nostro Paese puntasse a garantire entro il 2026 il 55% dei posti per la prima infanzia, sarebbe necessario realizzare approssimativamente 400 mila nuovi posti.

Altri due progetti previsti nell’ambito del PNRR sono particolarmente importanti.

Il primo è un progetto di “Promozione delle materie STEM”, che è inserito sempre nell’ambito della linea strategica “4. Istruzione e ricerca” e che ha lo specifico obiettivo di rafforzare l’empowerment economico e sociale delle donne, partendo dalla formazione delle bambine e delle ragazze per poter dare in questo tipo di materie, la matematica e tutte le discipline scientifiche e tecnologiche, per dare loro accesso a carriere qualificate che prevedano percorsi di studio in ambito scientifico, nonché allinearne le competenze in ambito tecnologico a quelle maschili.  Si tratta di un impianto va sostenuto e ulteriormente rafforzato con una specificità di indirizzo sul tema delle pari opportunità, nonchè approfondito e integrato nell’ambito di quel progetto di reskilling necessario in tutta la carriera lavorativa, soprattutto nell’ambito tecnologico e digitale, ma anche nell’ambito per esempio delle competenze necessarie nelle professioni nella transizione ecologica prevista dal piano, sempre con una specificità rivolta al tema femminile.

L’obiettivo più generale, invece, della promozione del lavoro femminile è fortemente rappresentato nel Piano da un investimento importante sul progetto “Sostenere ed accrescere l’imprenditorialità femminile: Fondo per l’imprenditoria femminile”, che ha come obiettivo quello di ridurre i divari di occupazione con riguardo al genere e ai territori, valorizzando le competenze esistenti nelle varie aree del Paese.  Allo strumento del “Fondo a sostegno dell’imprenditoria femminile”, già previsto in Legge di Bilancio 2021, saranno affiancate misure di accompagnamento (mentoring, supporto tecnico gestionale, misure per la conciliazione vita-lavoro, ecc.), campagne di comunicazione multimediali ed eventi e azioni di monitoraggio e di valutazione.

Un progetto che non è stato inserito nel PNRR ma su cui si sta lavorando al fine di recuperarlo come progetto fondamentale, è quello relativo all’introduzione di un “Sistema nazionale di certificazione sulla parità di genere nelle organizzazioni produttive”, che riguardi, a tutti i livelli dimensionali, sia il privato che il pubblico. Il progetto si articola in due fasi distinte: la prima consistente nella definizione delle norme tecniche per la certificazione sulla parità di genere e del sistema incentivante; la seconda fase prevede la realizzazione di una Piattaforma di business intelligence per la raccolta di dati disaggregati per genere dalle organizzazioni produttive, dalle associazioni rappresentative di impresa e sindacati, dagli enti accreditati per la certificazione, etc.

Infine, sempre nell’ambito dei progetti, si sta lavorando perché sia inserito anche il tema delle competenze complessive delle donne vittime di violenza, tema che è stato anche fortemente sollecitato in precedenti atti di indirizzo parlamentare.

 

La Ministra per il Sud e la coesione territoriale, Mara Carfagna, evidenzia in primo luogo che l’audizione è l’occasione per condividere con il Parlamento gli obiettivi strategici del Ministero per il Sud e la coesione territoriale nell’ambito del PNRR e di rielaborarli. Il Piano ci consente di affrontare seriamente il tema del divario socioeconomico del Mezzogiorno con il resto del Paese e con il nord Europa. Occorre una visione d’insieme degli strumenti in campo, serve coerenza strategica tra i diversi livelli di programmazione per l’attuazione degli interventi e sinergia tra i vari soggetti responsabili. L’obiettivo è fare del Sud il motore dello sviluppo nazionale e europeo, protagonista di diritti e di doveri.

Le disposizioni comunitarie indicano il metodo da adottare: sinergia tra i vari strumenti e coerenza strategica, includendo il Fondo di sviluppo e coesione.

La programmazione è ricca di risorse e articolata: entro il 2023 il nostro Pese dovrà attuare 13 miliardi di interventi finanziati da ReactEu, di cui oltre 8 per il Mezzogiorno; entro il 2026 dovranno essere spesi 191 miliardi per gli interventi previsti dal PNRR; entro il 2029 andranno spesi gli oltre 80 miliardi previsti dai programmi europei per la coesione 2021-2027, mentre la programmazione dei 73 miliardi del Fondo Sviluppo e Coesione (di cui l’80 per cento al Sud) si estende fino al 2032. Per il Meridione ci sono circa 100 miliardi di risorse (escluso il PNRR) nel giro di pochi anni: programmarli sarà un impegno gravoso, saperli impegnare e spendere sarà una responsabilità delle istituzioni nei confronti del Paese.

La programmazione strategica dovrà essere accompagnata da un’attività di monitoraggio, declinata insieme alla questione giovanile e femminile.

Nel nuovo PNRR, in collaborazione con il MEF, sarà data particolare evidenza agli interventi che avranno specifiche ricadute sul Mezzogiorno, un vero e proprio “Capitolo Sud”. Non sarà una missione ad hoc, ma saranno esplicitate le risorse destinate al Sud. Sarà avviato un percorso di collaborazione con gli altri Ministeri per esplicitare gli interventi a favore del Mezzogiorno. Ad es. per le infrastrutture il Sud intercetta circa il 50% degli investimenti, con una punta dell’80% per la manutenzione stradale 4.0. Per quanto riguarda la transizione ecologica andrà al Sud il 48% in ambito agricolo e il 50%  per il trasporto urbano sostenibile. Nel PNRR non sarà indicata, tuttavia, una cifra finale definitiva, poiché una certa quota di interventi non può essere territorializzata a priori, ma da queste prime stime risulta che il complesso delle risorse destinate al Mezzogiorno sarà superiore alla quota della popolazione residente al Sud rispetto al totale nazionale. Sarà una responsabilità di chi governa, a tutti i livelli, quella di evitare che l’implementazione dei progetti non sia realizzata con sprechi o non utilizzando a pieno le risorse. Il monitoraggio sarà fondamentale, insieme al rafforzamento delle strutture amministrative con adeguate competenze professionali.

Il PNRR non è l’unica risorsa, ci sono il Fondo di sviluppo e coesione, i fondi di coesione, ReactEU. Il Ministro per il Sud ha una competenza trasversale, anche per assicurare la coerenza del metodo e dei tempi nel perseguimento dell’obiettivo di riduzione dei divari territoriali. Bisogna estendere il metodo del PNRR a tutti i fondi disponibili: gli obiettivi devono essere definiti ex ante, monitorati negli obiettivi intermedi, l’erogazione delle risorse deve essere condizionata al raggiungimento degli obiettivi. Essenziale è il raggiungimento dell’accordo di partenariato, i regolamenti relativi saranno emanati entro giugno. Occorre partire prima, per spendere meglio. Si intende semplificare i PON, concentrandone alcuni e dando spazio ad un nuovo PON Salute per i servizi territoriali e digitali. La programmazione di ReactEU è destinata ad interventi di immediato contrasto alla pandemia da realizzare entro il 2023. Si punta ad anticipare l’inizio degli interventi infrastrutturali green con il FSC (3 mld per le regioni meridionali e 1 mld per quelle del Centronord).

La legge di bilancio 2021 prevede che la dotazione del FSC sia utilizzata in linea con il PNRR secondo un principio di complementarità e addizionalità delle risorse: si tratta di50 mld (a cui si aggiungeranno 23 mld nella prossima legge di bilancio). Nell’ambito del FSC saranno mantenuti 20 mld all’interno della programmazione del PNRR finalizzati alla riduzione dei divari territoriali. Queste risorse devono rispettare il criterio dell’80 per cento a favore del Meridione. Non dovranno essere utilizzate a copertura di norme estemporanee.

Vorrei concentrarmi sulla Missione 5 del PNRR, “Inclusione e coesione”, con una dotazione di 6 mld, in quanto è la componente che più riguarda il Sud. In accordo con il Ministro Franco abbiamo operato una rimodulazione, a saldi invariati, di quattro delle sei linee di intervento previsti nella Missione. Le risorse sono state spostate su progetti maggiormente capaci di costituire un volano per l’attrazione di investimenti privati. Si intende destinare 600 milioni di euro per le Zes, assicurando opere di urbanizzazione primaria e di connessione alla rete stradale e ferroviaria. Si prevede anche una riforma organica della disciplina delle Zes.

Per quanto riguarda la Strategia a favore delle aree interne si intende destinare 100 milioni di euro al progetto di istituzione dei presìdi sanitari di prossimità nei comuni fino a 3.000 abitanti, in accordo con il Ministero della Salute, con il cofinanziamento dei privati. Con questo progetto si prospetta un risparmio delle prestazioni a carico del SSN e un aumento di occupazione nella rete delle farmacie. Rimane il finanziamento di 300 milioni per le opere stradali delle aree interne. Sono previsti 250 milioni per le politiche di contrasto alla povertà educativa. Sono previste risorse per 1 miliardo e 780 milioni nelle aree terremotate, da coordinarsi con le altre azioni di coesione territoriale.

In relazione agli ecosistemi dell’innovazione si propone una rimodulazione dell’importo di 350 milioni da assegnare con bando per la realizzazione di quattro interventi nel Mezzogiorno con l’obiettivo dell’implementazione della ricerca attraverso la costituzione di poli ad alta tecnologia. Per i quanto riguarda i beni confiscati alla mafia si conferma lo stanziamento di 300 milioni.

In sintesi, per quanto riguarda il Ministero per il Sud è stato deciso di tenere insieme le principali priorità per lo sviluppo del Sud: assistenza contro le povertà, lotta alle mafie, irrobustimento delle infrastrutture sociali e materiali per le aree interne, attrattività per le aree portuali, stimolo alla creatività e all’innovazione.

A fronte dei progetti e delle ingenti risorse da investire occorre che lo Stato, le Regioni e tutte le istituzioni si impegnino adeguatamente, a differenza di quanto avvenuto fino ad oggi per l’utilizzo dei fondi comunitari. Nell’ultimo ciclo europeo i fondi hanno consentito di attivare interventi per oltre 73 miliardi. A quasi due anni dalla conclusione (2023) sono stati impegnati solo 50 miliardi e spesi poco più di 34 miliardi. Il tasso di utilizzo del 50%, non lontano dalla media europea (56%), è un dato insoddisfacente. Nel 2020 sono stati rivisti i programmi anche per affrontare la pandemia: sono stati utilizzati in tal senso 12 miliardi di euro. Restano da certificare entro il 31 dicembre 2023 spese per circa 27 miliardi. Occorre migliorare la capacità progettuale delle amministrazioni e semplificare i procedimenti amministrativi, anche attraverso il ricorso ad un piano straordinario di assunzioni: in tal senso è già stato avviato un piano di assunzioni di 2.800 figure professionali per dare supporto nell’attuazione delle misure. Il reclutamento seguirà una procedura semplificata.

Centrale è un disegno di semplificazione e sburocratizzazione per la progettazione e la realizzazione di opere, finanziate con in fondi europei, in particolare per le Zes. Occorre rafforzare la struttura commissariale e semplificare la normativa. Saranno introdotti ulteriori benefici fiscali, forme di coordinamento strategico e supporto tecnico ai commissari.

Ho avviato una sinergia di azioni con la Ministra della giustizia per affrontare la lentezza dei processi al Sud. Lo scopo è diffondere nel Meridione le buone prassi degli uffici giudiziari del Nord e attuare politiche di coesione sul territorio con gli uffici di prossimità finanziati dal PON governance.

Nel negoziato con la UE si è cercato di estendere la misura della decontribuzione nel Sud fino al 2029.

Da ultimo si sottolinea il tema centrale dei livelli essenziali delle prestazioni sociali: l’obiettivo è di garantire gli stessi diritti sociali e gli stessi servizi a tutti i cittadini. Gli ambiti degli interventi normativi riguardano l’infanzia, la disabilità e la non autosufficienza. È nota la sperequazione tra Nord e Sud per la spesa sociale pro capite. Si prevede un contributo per l’assunzione di assistenti sociali nei comuni. Si intende prevedere con norma che qualifichi i servizi educativi per l’infanzia come una prestazione essenziale per la collettività, anche al fine di innalzare in maniera netta il tasso di partecipazione attiva delle donne nel mercato del lavoro.