Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Affari Sociali |
Titolo: | Disposizioni urgenti per l'accesso alle attività culturali, sportive e ricreative, nonchè per l'organizzazione di pubbliche amministrazioni e in materia di protezione dei dati personali |
Riferimenti: | AC N.3374/XVIII |
Serie: | Progetti di legge Numero: 486/2 |
Data: | 22/11/2021 |
Organi della Camera: | XII Affari sociali, II Giustizia |
Disposizioni urgenti per l'accesso alle attività culturali, sportive e ricreative, nonché per l'organizzazione di pubbliche amministrazioni e in materia di protezione dei dati personali
D.L. 139/2021 – A.C. 3374
22 novembre 2021
Servizio Studi
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Dossier n. 465/2
Servizio Studi
Dipartimento Affari sociali
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Progetti di legge n. 486/2
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D21139b.docx
INDICE
§
Articolo 1, comma 1, lettera c) (Sanzioni)
§
Articolo 2-bis (Disposizioni urgenti per l’accesso ai veicoli turistici)
§
Articolo 3-bis, comma 2 (Elezioni provinciali del 18 dicembre 2021)
§
Articolo 4 (Riorganizzazione del Ministero della salute)
§
Articolo 4-bis (Elenco nazionale idonei all’incarico di direttore generale Enti del SSN)
§
Articolo 9, comma 1, lettera g) (Revenge porn)
§
Articolo 9, comma 8 (Registro delle opposizioni)
§
Articolo 9, commi da 9 a 12 (Videosorveglianza con riconoscimento facciale e dati biometrici)
§
Articolo 9-bis (Clausola di salvaguardia)
§
Articolo 10 (Entrata in vigore)
L’articolo 1, comma 1, lettera a), numeri 1) e 4), e commi 2 e 3, modificato dal Senato, modifica, a decorrere dall’11 ottobre 2021, la disciplina relativa allo svolgimento, nelle zone bianche e gialle, di spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche, locali di intrattenimento e musica dal vivo e in altri locali o spazi, anche all’aperto.
Più nello specifico, fermo restando l’obbligo di accesso con una delle certificazioni verdi COVID-19, si stabilisce, in linea generale, che:
· nelle zone gialle - fermi restando i posti a sedere preassegnati, la distanza interpersonale di almeno un metro e la capienza consentita non superiore al 50% della capienza massima autorizzata - non vi sono più limiti al numero massimo di spettatori;
· nelle zone bianche non è più necessario il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro e la capienza consentita è pari al 100% della capienza massima autorizzata.
Al contempo, si dispone anche che, in caso di spettacoli aperti al pubblico che si svolgono in luoghi ordinariamente destinati agli eventi e alle competizioni sportivi, si applicano le disposizioni relative alla capienza consentita negli spazi destinati al pubblico in quei luoghi.
Inoltre, per gli spettacoli svolti all’aperto quando il pubblico, anche solo in parte, vi accede senza posti a sedere preassegnati e senza limiti massimi di capienza autorizzati, sono introdotte disposizioni specifiche finalizzate alla prevenzione della diffusione del contagio e alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Nulla varia per le zone arancioni e rosse.
A tali fini, si novella l’art. 5, co. 1 e 3, del D.L. 52/2021 (L. 87/2021) e si abroga l’art. 4, co. 3, del D.L. 111/2021 (L. 133/2021).
Rinviando all’apposito tema web predisposto dal Servizio Studi della Camera per un quadro più completo delle misure adottate a seguito dell’emergenza Coronavirus (COVID-19) per il settore dei beni e delle attività culturali, in questa sede si ricorda solo che, in base all’art. 5, co. 1, del D.L. 52/2021 (L. 87/2021) – come modificato, prima delle disposizioni in esame, dall’art. 4, co. 1, lett. c), n. 1), del D.L. 105/2021 (L. 126/2021) – e all’art. 4, co. 3, del D.L. 111/2021 (L. 133/2021):
- sia nelle zone gialle che in quelle bianche, l’accesso agli spettacoli anche all’aperto è consentito esclusivamente ai soggetti in possesso di una delle certificazioni verdi COVID-19 di cui all’art. 9 del D.L. 52/2021 (L. 87/2021)
[1]
;
- sia nelle zone gialle che in quelle bianche, gli spettacoli dovevano essere svolti esclusivamente con posti a sedere preassegnati e a condizione che fosse assicurato il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro sia per gli spettatori non abitualmente conviventi, sia per il personale;
- nelle zone bianche, per gli spettacoli svolti al chiuso con un numero di spettatori superiore a 2.500, la capienza massima consentita era fissata al 35% della capienza massima autorizzata; nel caso di spettacoli svolti all’aperto con un numero di spettatori superiore a 5.000, la capienza consentita non poteva essere superiore al 50% di quella massima autorizzata;
- nelle zone gialle, la capienza consentita non poteva essere superiore al 50% di quella massima autorizzata, e comunque il numero massimo di spettatori non poteva essere superiore a 2.500 per gli spettacoli all'aperto e a 1.000 per gli spettacoli in luoghi chiusi, per ogni singola sala;
- sia nelle zone gialle che in quelle bianche, le attività devono svolgersi nel rispetto di linee guida adottate ai sensi dell’art. 1, co. 14, del D.L. 33/2020 (L. 74/2020)
[2]
;
- gli spettacoli aperti al pubblico restano sospesi quando non è possibile assicurare il rispetto delle condizioni indicate.
Inoltre, in base all’art. 5, co. 3, primo periodo, del D.L. 52/2021 (L. 87/2021) – come modificato, prima delle disposizioni in esame, dall’art. 4, co. 1, lett. c), n. 2), del D.L. 105/2021 (L. 126/2021) –, nelle zone bianche e nelle zone gialle, per gli spettacoli aperti al pubblico svolti all’aperto poteva essere stabilito, in relazione all’andamento della situazione epidemiologica e alle caratteristiche dei siti e degli eventi, un diverso numero massimo di spettatori, nel rispetto dei principi fissati dal Comitato tecnico-scientifico. A ciò si doveva provvedere con linee guida idonee a prevenire o ridurre il rischio di contagio, adottate dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome.
In particolare, il comma 1, lettera a), numero 1), sostituendo l’art. 5, co. 1, del D.L. 52/2021 (L. 87/2021), conferma anzitutto che, sia nelle zone gialle che in quelle bianche, l’accesso agli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche, locali di intrattenimento e musica dal vivo e in altri locali o spazi anche all’aperto è consentito esclusivamente ai soggetti in possesso di una delle certificazioni verdi COVID-19, di cui all’art. 9 dello stesso D.L. 52/2021.
Dispone, inoltre, che solo nelle zone gialle – e non più anche nelle zone bianche – gli stessi spettacoli sono svolti esclusivamente con posti a sedere preassegnati e a condizione che sia assicurato il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro sia per gli spettatori non abitualmente conviventi, sia per il personale.
Quanto alla capienza consentita e al numero di spettatori:
·
nelle zone gialle, si conferma che la capienza consentita non può essere superiore al 50% di quella massima autorizzata, ma si elimina il limite al numero massimo di spettatori (sia per eventi svolti all’aperto che per eventi svolti al chiuso);
·
nelle zone bianche, si stabilisce che la capienza consentita è pari a quella massima autorizzata.
A fronte di ciò, è modificato il quadro sanzionatorio per le eventuali violazioni (v. infra, apposita scheda).
Al contempo, lo stesso comma 1, lettera a), numero 1, stabilisce anche che:
·
in caso di spettacoli aperti al pubblico che si svolgono in luoghi ordinariamente destinati agli eventi e alle competizioni sportivi, si applicano le disposizioni relative alla capienza consentita negli spazi destinati al pubblico, di cui all’art. 5, co. 2, del D.L. 52/2021 (L. 87/2021), come novellato dal D.L. in esame (v. infra, apposita scheda).
Tale previsione sembrerebbe riguardare sia gli eventi che si svolgono nelle zone gialle che quelli che si svolgono nelle zone bianche.
Si valuti, comunque, l’opportunità di una esplicitazione;
·
per gli spettacoli all’aperto, quando il pubblico, anche solo in parte, vi accede senza posti a sedere preassegnati e senza limiti massimi di capienza autorizzati, gli organizzatori producono all’autorità competente ad autorizzare l’evento anche la documentazione concernente le misure adottate per la prevenzione della diffusione del contagio da COVID-19, tenuto conto delle dimensioni, dello stato e delle caratteristiche dei luoghi, nonché delle indicazioni stabilite in apposite linee guida adottate ai sensi del già citato art. 1, co. 14, del D.L. 33/2020 (L. 74/2020).
A sua volta, l’autorità competente ad autorizzare l’evento comunica tali misure:
- alla Commissione tecnica di cui all’art. 80 del R.D. 773/1931
[3]
, che ne tiene conto nelle valutazioni di propria competenza e che, ai medesimi fini, può invitare rappresentanti delle aziende sanitarie locali, competenti in materia di sanità pubblica, al fine di acquisire un parere circa l’idoneità delle suddette misure;
- al Prefetto, ai fini di eventuali misure da adottare per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, anche previa acquisizione del parere del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica istituito presso la Prefettura (di cui all’art. 20 della L. 121/1981).
Tali previsioni, in virtù del riferimento all’assenza di posti a sedere preassegnati e di limiti di capienza, sembrerebbero riguardare solo gli eventi che si svolgono in zona bianca.
Anche in tal caso, si valuti, comunque, l’opportunità di una esplicitazione.
Infine, conferma che gli spettacoli aperti al pubblico restano sospesi quando non è possibile assicurare il rispetto delle condizioni indicate (per le ulteriori disposizioni in materia di sale da ballo, discoteche e locali assimilati recate dal medesimo co. 1, lett. a), n. 1), dell’art. 1 in esame, si v. infra, apposita scheda).
A sua volta, il comma 1, lettera a), numero 4), sostituendo l’art. 5, co. 3, del D.L. 52/2021 (L. 87/2021), dispone – per quanto qui interessa – che, sia nelle zone bianche che nelle zone gialle, può essere stabilita, in relazione all’andamento della situazione epidemiologica e alle caratteristiche dei siti e degli eventi, una diversa percentuale massima di capienza consentita (e non più un diverso numero massimo di spettatori), nel rispetto dei principi fissati dal Comitato tecnico-scientifico. A ciò si provvede con linee guida idonee a prevenire o ridurre il rischio di contagio, adottate dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome.
Infine, il comma 2 abroga il citato art. 4, co. 3, del D.L. 111/2021 (L. 133/2021), mentre il comma 3 stabilisce che le disposizioni introdotte si applicano dall’11 ottobre 2021.
Con riguardo alla disciplina vigente nelle zone arancioni e nelle zone rosse, si ricorda che il DPCM 2 marzo 2021 – le cui disposizioni originariamente si sarebbero dovute applicare dal 6 marzo al 6 aprile 2021 – ha previsto, per quanto qui maggiormente interessa, che nelle stesse sono sospesi gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche, live-club e in altri locali o spazi anche all'aperto (artt. 36, co. 2, e 42, co. 2). Tuttavia, con ordinanza del Ministro della salute, d'intesa con il Presidente della regione interessata, in ragione dell'andamento del rischio epidemiologico, può essere in ogni momento prevista, in relazione a specifiche parti del territorio regionale, l'esenzione dell'applicazione di tali previsioni (artt. 33, co. 2, e 38, co. 2).
Successivamente, l’art. 1, co. 1, del D.L. 52/2021 (L. 87/2021) aveva disposto che le previsioni recate dal DPCM 2 marzo 2021 – medio tempore sospese
[4]
– restavano confermate dal 1° maggio fino al 31 luglio 2021, salvo quanto diversamente disposto dallo stesso D.L.
Da ultimo, l’applicabilità delle previsioni recate dal DPCM 2 marzo 2021 è stata confermata fino al 31 dicembre 2021 dall’art. 12, co. 2, del D.L. 105/2021 (L. 126/2021), salvo quanto diversamente disposto dallo stesso D.L.
L’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1), come sopra ricordato, sostituisce - a decorrere dall’11 ottobre 2021 - il comma 1 dell'articolo 5 del D.L. 52/2021 - L. 87/2021 (si veda l'apposita scheda per quanto riguarda le disposizioni relative allo svolgimento, nelle zone bianche e gialle, di spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche, locali di intrattenimento e musica dal vivo e in altri locali o spazi, anche all’aperto).
L'ultimo periodo della disposizione introdotta stabilisce, tra l'altro, la sospensione delle attività che abbiano luogo in sale da ballo, discoteche e locali assimilati, quando non sia possibile assicurare il rispetto delle condizioni da essa contemplate, salvo quanto previsto dal nuovo comma 1-bis per la zona bianca (su cui si veda infra).
L'articolo 1, comma 1, lettera a), numero 2, inserisce il nuovo comma 1-bis nell'articolo 5 del D.L. n. 52/2021 (L. n. 87/2021). La nuova disposizione consente in zona bianca [5] , a decorrere dall’11 ottobre 2021 (in base al comma 3 dell'articolo 1 in esame), lo svolgimento delle attività che abbiano luogo in:
- sale da ballo;
- discoteche;
- locali assimilati.
Le predette attività sono consentite nel rispetto di protocolli e linee guida [6] adottati ai sensi dell’articolo 1, comma 14, del D.L. n. 33/2020 (L. n. 74/2020). L’accesso è consentito esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi COVID-19 [7] , con tracciamento dell’accesso alle strutture.
La disposizione in esame fissa quindi i limiti di capienza delle predette strutture, che non può comunque essere superiore al 75 per cento all’aperto e al 50 per cento al chiuso rispetto a quella massima autorizzata.
Essa impone altresì di garantire la presenza, nei locali al chiuso ove si svolgono le predette attività, di impianti di aereazione senza ricircolo dell’aria oppure (secondo una specificazione introdotta nel corso dell'esame in Senato) di sistemi di filtrazione ad elevata efficienza mediante filtri HEPA o F9, in grado di ridurre la presenza nell'aria del virus Sars-Cov2, e mantiene fermi gli obblighi di indossare il dispositivo di protezione delle vie respiratorie, previsti dalla vigente normativa, ad eccezione del momento del ballo.
Si segnala al riguardo che la novella di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), del provvedimento in esame (alla cui scheda di lettura si rinvia) reca un intervento di coordinamento in una norma che, per il periodo di stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 [8] , individua una serie di ambiti o servizi ai quali si può accedere solo con il possesso di un certificato verde COVID-19 o qualora si rientri in una fattispecie di correlata esenzione. La novella inserisce in tale elenco le attività che abbiano luogo in discoteche, sale da ballo e locali assimilati; tale inserimento viene operato in relazione alla novella di cui sopra, disposta dall'articolo 1, lettera a), numero 2). Dall'inserimento nel suddetto elenco deriva che l'accesso è consentito anche ai soggetti che rientrino in una delle fattispecie di esenzione, poste con riferimento al medesimo elenco.
L'articolo 1, comma 1, lettera a), n. 3 novella la disciplina relativa alla partecipazione degli spettatori agli eventi sportivi dettata dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge n. 52 del 2021. Le principali novità riguardano: i) l'incremento del limite di capienza delle strutture destinate ad accogliere il pubblico. In zona bianca la capienza non può essere superiore al 75 per cento di quella massima autorizzata all'aperto e al 60 per cento al chiuso; in zona gialla tali percentuali sono, rispettivamente, pari al 50 per cento e al 35 per cento; ii) il venir meno, in zona bianca, dell'obbligo di rispetto del distanziamento interpersonale e di previsione di posti a sedere preassegnati.
La modifica contenuta al successivo n.4 consente, a determinate condizioni, di pervenire ad una modifica di tali percentuali in via amministrativa.
Il comma 2 abroga, in conseguenza di quanto disposto al comma 1, lettera a), n.3, l'articolo 4, comma 2, del DL n.111/2021, che contempla un diverso (e minore) limite di capienza delle strutture destinate ad accogliere il pubblico che assiste a manifestazioni sportive.
Ai sensi del comma 3, le disposizioni recate all'articolo 1 (incluse quelle in commento) si applicano dall’11 ottobre 2021.
Nello specifico la disposizione riscrive l'articolo 5, comma 2, del DL 52/2021 (come modificato, da ultimo, dal DL 105/2021).
Rispetto alla disciplina previgente, risulta innanzitutto confermata l'individuazione delle manifestazioni sportive interessate, che nello specifico sono:
§ gli eventi e le competizioni di livello agonistico i) riconosciute di preminente interesse nazionale con provvedimento del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e del Comitato italiano paralimpico (CIP); ii) riguardanti gli sport individuali e di squadra, organizzati dalle rispettive federazioni sportive nazionali, discipline sportive associate, enti di promozione sportiva ovvero da organismi sportivi internazionali;
§ gli eventi e le competizioni sportivi diversi da quelli sopra richiamati.
In altri termini, la presenza di pubblico è consentita, a determinate condizioni (v. infra), a tutti gli eventi e alle competizioni sportive.
In zona gialla, si stabilisce che si applicano le misure previste per la partecipazione agli spettacoli.
Ai sensi dell'articolo 5, comma 1, del DL n.52/2021, come risultante dalle modifiche introdotte dal presente decreto (per approfondimenti si rinvia alla scheda di lettura dell'articolo 1, comma 1, lettera a), n.1), del presente Dossier) - che trova come detto applicazione, limitatamente al primo periodo, anche con riguardo agli eventi sportivi - gli spettacoli aperti al pubblico sono svolti (solo in zona gialla, non più anche in zona bianca [9] ) esclusivamente:
i) con posti a sedere preassegnati;
ii) a condizione che sia assicurato il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro, sia fra gli spettatori che siano abitualmente conviventi, sia per il personale (primo periodo).
Si segnala peraltro che la disposizione recata dal comma 1 dell'articolo 4 del DL n.111 del 2021 consente una deroga all'ultima delle richiamate condizioni. È infatti possibile prevedere modalità di assegnazione dei posti alternative al distanziamento interpersonale di almeno un metro da parte delle linee guida linee guida di cui all'articolo 5, commi 2 e 3, del citato DL n.52/2021 [10] .
Sarebbe in proposito opportuno approfondire se, con la disposizione in commento, in cui si ribadisce il necessario rispetto del distanziamento interpersonale di almeno un metro, si intenda incidere sulla richiamata facoltà, attribuita alle linee guida, di prevedere modalità di assegnazione dei posti alternative al predetto distanziamento interpersonale. In caso affermativo si valuti l'opportunità di disporre un'abrogazione esplicita dell'articolo 4, comma 1, del DL n.111/2021.
iii) in modo da consentire l’accesso esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi COVID-19 di cui all’articolo 9, comma 2 (del medesimo decreto-legge n. 52 del 2021).
Con riferimento alla capienza massima per gli eventi sportivi, vengono attenuate le restrizioni precedentemente previste (in zona gialla): la capienza consentita non può essere superiore al 50 per cento di quella massima autorizzata all’aperto e al 35 per cento al chiuso.
Nella disciplina previgente, la capienza massima (in zona gialla) era pari a al 25 per cento e, a tale limite, si aggiungeva la previsione di un numero massimo degli spettatori, che in ogni caso non poteva superare le 2.500 unità per gli impianti all'aperto e 1.000 unità per quelli al chiuso.
In zona bianca, l’accesso agli eventi e alle competizioni di cui al primo periodo è consentito esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi COVID-19 e la capienza consentita non può essere superiore al 75 per cento di quella massima autorizzata all'aperto e al 60 per cento al chiuso. Non è più necessario dunque il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro, né che i posti siano preassegnati.
Nel testo previgente, in zona bianca, la capienza consentita non poteva essere superiore al 50 per cento di quella massima autorizzata per eventi all’aperto e al 25 per cento al chiuso e, in ogni caso, si applicavano le misure previste per la partecipazione agli spettacoli. Invero, occorre tener presente che la disciplina sulla capienza massima risultava comunque modificata dall'art.4, comma 2, del D.L. 111 del 2021 (abrogato ai sensi del decreto-legge in esame, v.infra). Ai sensi di tale disposizione, per la partecipazione del pubblico agli eventi e competizioni sportivi in zona bianca la capienza consentita al chiuso non avrebbe potuto eccedere il 35 per cento di quella massima autorizzata.
Il mantenimento del vincolo consistente in una capienza consentita inferiore rispetto a quella massima autorizzata costituisce un elemento distintivo rispetto agli spettacoli aperti al pubblico di cui al comma 1 dell'articolo 5 del DL 52/2021 (sia che si svolgano all'aperto, sia che si svolgano al chiuso), per i quali - a seguito delle modifiche introdotte con il presente decreto-legge - tale vincolo è venuto meno.
È peraltro previsto che le percentuali massime di capienza (sia in zona gialla che in zona bianca) si applichino a ciascuno dei settori dedicati alla presenza del pubblico nei luoghi di svolgimento degli eventi e competizioni sportivi.
L'articolo 5, comma 2, quarto periodo del DL 52/2021, nel testo vigente a seguito dell'entrata in vigore del presente decreto-legge, dispone che le attività devono svolgersi nel rispetto delle linee guida adottate dal Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri, sentita la Federazione medico sportiva italiana (FMSI), sulla base dei criteri stabiliti dal Comitato tecnico-scientifico (CTS). Quando non è possibile assicurare il rispetto delle richiamate condizioni di cui al presente comma, gli eventi e le competizioni sportivi si svolgono senza la presenza di pubblico.
La disciplina non presenta carattere innovativo rispetto a quanto disposto nel testo previgente del comma in esame (come risultante dalle modifiche introdotte con il citato DL n.105/2021).
La FMSI, ai sensi dell'articolo 1 del proprio statuto è un’associazione nazionale preposta alla tutela della salute degli atleti e di chiunque pratichi attività sportiva, con personalità giuridica di diritto privato, dotata di autonomia tecnica, organizzativa e di gestione, nonché riconosciuta a fini sportivi dal CONI e dallo stesso vigilata. Il CTS è l'organo istituito con ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile 3 febbraio 2020, n.630, e successive modificazioni.
L'articolo 1, comma 1, lett. a), n. 4 novella il comma 3 dell'articolo 5 del DL 52/2021, ai sensi del quale, nel testo vigente, le "linee guida idonee a prevenire o ridurre il rischio di contagio", adottate dal Sottosegretario di Stato con delega in materia di sport, possono stabilire una diversa percentuale massima di capienza consentita, sia in zona bianca che in zona gialla, per l'accesso degli spettatori agli impianti sportivi.
Prima della modifica in esame, al medesimo strumento normativo era invece demandata la facoltà di variare il "numero massimo di spettatori" per gli "eventi e le competizioni [sportivi] all'aperto". La novella introdotta con la disposizione in esame:
i) estende dunque anche agli eventi sportivi che si svolgono al chiuso tale possibilità;
ii) richiama il limite della percentuale massima di capienza consentita, in luogo del numero massimo di spettatori, atteso che tale ultimo vincolo è venuto meno (come anticipato era previsto all'art.5, comma 2, del DL n.52/2021 nel testo precedente alle novelle introdotte con il presente decreto).
Dette linee guida, nel disporre in tal senso: i) sono assunte in relazione all’andamento della situazione epidemiologica; ii) tengono conto delle caratteristiche dei siti e degli eventi stessi; iii) sono dettate nel rispetto dei principi fissati dal CTS.
La medesima facoltà è riconosciuta anche per gli spettacoli di cui al comma 1 e, in tal caso, il comma 3 fa rinvio alle linee guida adottate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (cfr. la scheda di lettura relativa all'art.1, comma 1, lettera a), nn.1) e 4), commi 2 e 3, del presente Dossier).
L'articolo 1, comma 2, come già segnalato, per quanto di interesse in materia di sport, dispone la soppressione del comma 2 dell'articolo 4 del DL n.111 del 2021, riguardante la disciplina sulla capienza di strutture, situate in zona bianca, dirette ad ospitare il pubblico ad eventi e competizioni sportivi. Nello specifico, tale disposizione stabiliva, per le strutture al chiuso, un limite massimo di capienza non superiore al 35 per cento di quella massima autorizzata.
Con tale intervento si incideva, senza il ricorso ad una novella testuale, sul contenuto dell'articolo 4, comma 2, che, nello specifico, aveva fissato un limite di capienza inferiore (pari al 25 per cento).
Ai sensi dell'articolo 1, comma 3, come anticipato, le disposizioni di cui al medesimo articolo (incluse pertanto quelle commentate nella presente scheda di lettura) si applicano a partire dall’11 ottobre 2021, e non al momento dell'entrata in vigore del decreto-legge (9 ottobre 2021).
La novella di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), reca un intervento di coordinamento in una norma che, per il periodo di stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 [11] , individua una serie di ambiti o servizi ai quali si può accedere solo con il possesso di un certificato verde COVID-19 o qualora si rientri in una fattispecie di correlata esenzione. La novella inserisce in tale elenco le attività che abbiano luogo in discoteche, sale da ballo e locali assimilati; tale inserimento viene operato in relazione alla novella di cui al numero 2) della precedente lettera a), la quale consente, a determinate condizioni [12] , lo svolgimento delle attività dei locali suddetti, con la possibilità di accesso esclusivamente da parte dei soggetti in possesso di un certificato verde COVID-19 (in corso di validità). Dall'inserimento nel suddetto elenco deriva che l'accesso è consentito anche ai soggetti che rientrino in una delle fattispecie di esenzione, poste con riferimento al medesimo elenco.
Più in particolare, l'elenco oggetto della novella di cui alla presente lettera b) è stabilito dall'articolo 9-bis, comma 1, del D.L. 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 giugno 2021, n. 87 [13] , mentre le fattispecie di esenzione suddette sono individuate dal comma 3 del medesimo articolo 9-bis. Queste ultime riguardano:
- i soggetti che in ragione dell'età non rientrino nella campagna vaccinale contro il COVID-19. Si ricorda che quest’ultima, attualmente, concerne tutti i soggetti di età pari o superiore a 12 anni;
- i soggetti per i quali un'idonea certificazione medica attesti, sotto il profilo clinico, una controindicazione relativa alla vaccinazione in oggetto.
Per un quadro relativo alle due fattispecie suddette di esenzione nonché all'istituto dei certificati verdi COVID-19, si rinvia al dossier dei Servizi Studi del Senato e della Camera dei deputati relativo al D.L. 21 settembre 2021, n. 127, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 novembre 2021, n. 165
[14]
(cfr. ivi il "Quadro di sintesi della disciplina in materia di certificazioni verdi COVID-19", contenuto nella scheda di lettura relativo all'articolo 5).
La novella di cui alla presente lettera b) - così come le restanti novelle di cui all'articolo 1, comma 1 - è entrata in vigore (ai sensi del successivo comma 3) l'11 ottobre 2021.
L’articolo 1, comma 1, lettera c), prevede che, a decorrere dall’11 ottobre 2021, ferma restando l’applicazione delle eventuali sanzioni previste dall’ordinamento sportivo, dopo una violazione delle disposizioni relative alla capienza consentita e alla verifica del possesso di una delle certificazioni verdi COVID-19 in materia di spettacoli aperti al pubblico, di eventi e competizioni sportivi e di discoteche, si applica, a partire dalla seconda violazione commessa in giornata diversa, la sanzione amministrativa accessoria della chiusura da uno a dieci giorni.
La lettera c), del comma 1 dell'articolo 1, inserisce un periodo nell’articolo 13, comma 1, del decreto legge n. 52 del 2021 (conv. legge n. 87 del 2021). Tale articolo contiene la disciplina sanzionatoria relativa alla violazione delle misure di contenimento del contagio da COVID-19, disponendo che alle condotte di violazione delle misure di contenimento del contagio previste dagli articoli da 1 a 8-ter e dall’articolo 9-bis dello stesso decreto-legge, si applichi l’articolo 4 del decreto-legge n. 19 del 2020
[15]
.
L'articolo 4 del decreto-legge n. 19 del 2020, al comma 1, dispone che, salvo che il fatto costituisca reato, chiunque violi le misure di contenimento previste da d.P.C.m., da ordinanze del Ministro della salute o da provvedimenti delle regioni, nonché da atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti dalla legge, sia soggetto alla sanzione amministrava pecuniaria del pagamento di una somma da 400 a 1.000 euro.
La novella introdotta al comma 1 con il decreto-legge in esame si applica con riguardo:
·
agli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche, locali di intrattenimento e musica dal vivo e in altri locali o spazi anche all'aperto;
·
alle attività che abbiano luogo in sale da ballo, discoteche e locali assimilati;
·
agli eventi e alle competizioni sportivi.
L’intervento normativo è volto ad introdurre la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da uno a dieci giorni, a carico dei titolari o gestori dei servizi e delle attività predette, i quali dopo essere incorsi in una prima violazione, nuovamente violino le prescrizioni “di cui all'articolo 5, commi 1, 1-bis e 2, relative alla capienza consentita e al possesso di una delle certificazioni verdi”.
L’articolo 5 del DL 52/2021 detta la disciplina relativa allo svolgimento, nelle zone bianche e gialle, di spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche, locali di intrattenimento e musica dal vivo e in altri locali o spazi, anche all’aperto (comma 1), allo svolgimento delle attività che abbiano luogo in sale da ballo, discoteche e locali assimilati in zona bianca, (comma 1-bis), allo svolgimento di eventi e competizioni sportivi (comma 2) disponendo distinti obblighi relativi alla capienza massima consentita e all’accesso con certificazioni verdi COVID-19 (si rinvia alle schede relative all’art. 1, comma 1, lett. a) n.1 e 4); all’art. 1, comma 1, lett.a) n. 2); all’art. 1, comma 1, lett. a) n. 3)).
Per la violazione di tali obblighi, come già ricordato, si applica l’articolo 4 del decreto-legge n. 19 del 2020, ossia la sanzione amministrava pecuniaria del pagamento di una somma da 400 a 1.000 euro.
Tale nuova sanzione accessoria, inserita al quarto periodo del comma 1, si aggiunge a quella già prevista dal terzo periodo del medesimo comma, secondo il quale a partire dalla terza violazione delle disposizioni relative all’obbligo di verifica del possesso delle certificazioni verdi COVID-19 (di cui al comma 4 dell'articolo 9-bis del medesimo DL 52/2021), si applica la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività da uno a dieci giorni.
L’art. 13, comma 1, terzo periodo, del DL 52/2021 prevede che dopo due violazioni delle disposizioni di cui al comma 4 dell'articolo 9-bis, commesse in giornate diverse, si applica, a partire dalla terza violazione, la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell'esercizio o dell'attività da uno a dieci giorni. Il comma 4 dell’art. 9-bis del medesimo decreto legge dispone a sua volta che i titolari o i gestori dei servizi e delle attività di cui al comma 1 - tra i quali vi sono gli spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportivi, nonché le attività che abbiano luogo in sale da ballo, discoteche e locali assimilati (art. 9, comma 1, lett b)) - sono tenuti a verificare che l'accesso ai predetti servizi e attività avvenga nel rispetto delle prescrizioni di cui al medesimo comma 1 e dunque a verificare il possesso della certificazione di coloro che accedono ai locali o partecipano agli eventi.
La nuova formulazione dell’articolo 13, comma 1, dopo il decreto-legge in esame, prevede dunque:
- la sanzione accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da uno a dieci giorni applicabile a partire dalla terza violazione degli obblighi di verifica del possesso della certificazione verde da parte dei titolari o gestori di determinate attività o servizi, tra i quali gli spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportivi, nonché attività che abbiano luogo in sale da ballo, discoteche e locali assimilati (art. 13, comma 1, terzo periodo);
-
la sanzione accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da uno a dieci giorni applicabile a partire dalla seconda violazione per la violazione degli obblighi relativi alla capienza massima consentita e al possesso delle certificazioni verdi con riferimento agli spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportivi, nonché attività che abbiano luogo in sale da ballo, discoteche e locali assimilati.
Se appare chiaro l’intento di sanzionare a partire dalla seconda violazione il gestore che non rispetti gli obblighi relativi alla capienza dei locali, non appare altrettanto chiaro l’ambito di applicazione della sanzione in relazione alla violazione delle disposizioni relative “al possesso di una delle certificazioni verdi COVID-19”. Se infatti, il legislatore si riferisce all’obbligo che incombe sui partecipanti agli eventi o coloro che accedono ai locali, la sanzione accessoria della chiusura dell’attività non appare riferibile; se invece si riferisce all’obbligo che incombe sul gestore dell’attività di verificare il possesso delle certificazioni dei partecipanti, tale condotta è già sanzionata (con identica sanzione accessoria) a decorrere dalla terza violazione – e non dalla seconda - ai sensi del terzo periodo del comma 1 dell’art. 13. Si valuti dunque l’opportunità di un chiarimento in merito all’ambito applicativo e di un coordinamento tra il terzo e il quarto periodo del comma 1 dell’art. 13.
Ai sensi del comma 3 dell’articolo 1, le disposizioni introdotte si applicano dall’11 ottobre 2021
L’articolo 1-bis, inserito dal Senato, esclude le manifestazioni carnevalesche, i corsi mascherati, le rievocazioni storiche, le giostre e le altre manifestazioni similari dall’applicazione della normativa in base alla quale i biglietti di accesso ad attività di spettacolo che si svolgono in impianti con capienza superiore a 5.000 spettatori sono nominativi.
A tal fine, novella l’art. 1, co. 545-bis, della L. 232/2016 (L. di bilancio 2017).
Preliminarmente, si ricorda che, al fine di contrastare il fenomeno del c.d. secondary ticketing, ossia del collocamento di biglietti per attività di spettacolo acquistati in maniera massiva e successivamente rivenduti a prezzi superiori rispetto a quelli esposti sul biglietto, l’art. 1, co. 545, della L. 232/2016 (L. di bilancio 2017) – come modificato dall'art. 1, co. 1099, della L. 145/2018 (L. di bilancio 2019) – ha disposto che la vendita, o qualsiasi altra forma di collocamento, di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da soggetti diversi dai titolari dei sistemi per la loro emissione, anche sulla base di apposito contratto o convenzione, è punita, salvo che il fatto non costituisca reato, con l’inibizione della condotta e con una sanzione amministrativa pecuniaria da € 5.000 a € 180.000.
In caso di utilizzo delle reti di comunicazione elettronica, è prevista la rimozione dei contenuti o, nei casi più gravi, l’oscuramento del sito internet attraverso il quale la violazione è stata posta in essere, fatte salve le azioni risarcitorie.
L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, di concerto con l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, effettua i necessari accertamenti e interventi, agendo d'ufficio ovvero su segnalazione degli interessati e comminando, se del caso, le previste sanzioni amministrative pecuniarie.
Non è comunque sanzionata la vendita ad un prezzo uguale o inferiore a quello nominale di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da una persona fisica in modo occasionale, purché senza finalità commerciali
[16]
.
Il co. 545-bis dello stesso art. 1 della L. 232/2016 – introdotto dall’art. 1, co. 1100, della stessa L. 145/2018 (L. di bilancio 2019), e successivamente modificato dall’art. 4, co. 1, del D.L. 59/2019 (L. 81/2019) – ha disposto che, a decorrere dal 1° luglio 2019, i titoli di accesso alle attività di spettacolo che si svolgono in impianti con capienza superiore a 5.000 spettatori sono nominativi e che, pertanto, i medesimi titoli recano, anche per i minorenni, l’indicazione del nome e del cognome della persona che ne fruirà, nel rispetto di quanto dispone il codice in materia di protezione dei dati personali (d.lgs. 196/2003). La disciplina non si applica allo spettacolo viaggiante e agli spettacoli di attività lirica, sinfonica, cameristica, nonché di balletto, prosa, jazz, danza e circo contemporaneo (né alle manifestazioni sportive, per le quali resta ferma la specifica disciplina di settore).
In base ai co. da 545-ter a 545-quinquies dello stesso art. 1 della L. 232/2016 – introdotti sempre dall’art. 1, co. 1100, della L. 145/2018 (L. di bilancio 2019) - l’accesso all’area dello spettacolo è subordinato al riconoscimento personale, tramite controlli e meccanismi efficaci di verifica dell’identità. In caso di differenze tra il nominativo dell’acquirente e quello del soggetto che ne fruisce, i titoli di ingresso sono annullati, senza alcun rimborso.
Per la vigilanza e per il controllo all’accesso, nonché per la verifica del possesso dei biglietti, gli organizzatori delle attività di spettacolo possono avvalersi della collaborazione dei propri dipendenti o dei soggetti iscritti nell’elenco prefettizio del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi.
I siti internet di rivendita primari, i box office autorizzati o i siti internet ufficiali dell’evento assicurano la possibilità di rivendere i titoli di ingresso nominativi o di variare l’intestazione nominativa, secondo regole tecniche stabilite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da adottare previa intesa con il (allora) MIBAC e sentita l’AGCOM. Il biglietto deve essere rivenduto a persone fisiche senza rincari, salva la possibilità di addebitare congrui costi relativi unicamente alla gestione della pratica di intermediazione e di modifica dell’intestazione nominale
[17]
.
L’articolo 2 modifica la disciplina relativa all’apertura al pubblico, nelle zone bianche e nelle zone gialle, dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura, nonché delle mostre. In particolare, ferme restando le altre previsioni, stabilisce che dall’11 ottobre 2021 non è più necessario il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro tra i visitatori.
Nulla varia per le zone arancioni e rosse.
A tali fini, novella l’art. 5-bis del D.L. 52/2021 (L. 87/2021).
Rinviando all’apposito tema web predisposto dal Servizio Studi della Camera per un quadro più completo delle misure adottate a seguito dell’emergenza Coronavirus (COVID-19) per il settore dei beni e delle attività culturali, in questa sede si ricorda solo che, in base all’art. 5-bis del D.L. 52/2021 (L. 87/2021), come modificato – prima delle disposizioni in esame – dall’art. 4, co. 1, lett. d), del D.L. 105/2021 (L. 126/2021), nelle zone bianche e gialle:
- il servizio di apertura al pubblico di musei ed altri istituti e luoghi della cultura
[18]
, nonché di mostre, è assicurato a condizione che detti istituti e luoghi, tenendo conto delle dimensioni e delle caratteristiche dei locali aperti al pubblico, nonché dei flussi di visitatori, garantiscano modalità di fruizione contingentata o comunque tali da evitare assembramenti di persone, nonché – prima delle modifiche apportate dalle disposizioni in commento– a condizione che i visitatori potessero rispettare la distanza interpersonale di almeno un metro;
- per gli istituti e luoghi della cultura che nel 2019 hanno registrato un numero di visitatori superiore ad un milione
[19]
, il sabato e i giorni festivi il servizio di apertura al pubblico è assicurato a condizione che l’ingresso sia stato prenotato on line o telefonicamente con almeno un giorno di anticipo;
- resta sospesa la possibilità di libero ingresso agli istituti e luoghi della cultura statali la prima domenica di ogni mese
[20]
.
Si ricorda, inoltre, in base all’art. 9-bis, co. 1, lett. c), e co. 2, dello stesso D.L. 52/2021 (L. 87/2021), dal 6 agosto 2021, nelle stesse zone bianche l’accesso ai musei, agli altri istituti e luoghi della cultura e alle mostre è consentito esclusivamente ai soggetti in possesso di una delle certificazioni verdi COVID-19 di cui all’art. 9
[21]
. Tale previsione si applica anche nelle zone gialle, arancioni e rosse, laddove i servizi e le attività in questione siano consentiti e alle condizioni previste per le singole zone.
Con riguardo alla disciplina vigente nelle zone arancioni e nelle zone rosse, si ricorda che il DPCM 2 marzo 2021 – le cui disposizioni originariamente si sarebbero dovute applicare dal 6 marzo al 6 aprile 2021 – ha disposto la sospensione delle mostre e dei servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura, ad eccezione delle biblioteche dove i relativi servizi sono offerti su prenotazione e degli archivi, fermo restando il rispetto delle misure di contenimento dell'emergenza epidemica (artt. 36, co. 1, e 42, co. 1). Tuttavia, con ordinanza del Ministro della salute, d'intesa con il Presidente della regione interessata, in ragione dell'andamento del rischio epidemiologico, può essere in ogni momento prevista, in relazione a specifiche parti del territorio regionale, l'esenzione dell'applicazione di tali previsioni (artt. 33, co. 2, e 38, co. 2).
Successivamente, l’art. 1, co. 1, del D.L. 52/2021 (L. 87/2021) aveva disposto che le previsioni recate dal DPCM 2 marzo 2021 – medio tempore sospese
[22]
– restavano confermate dal 1° maggio fino al 31 luglio 2021, salvo quanto diversamente disposto dallo stesso D.L.
Da ultimo, l’applicabilità delle previsioni recate dal DPCM 2 marzo 2021 è stata confermata fino al 31 dicembre 2021 dall’art. 12, co. 2, del D.L. 105/2021 (L. 126/2021), salvo quanto diversamente disposto dallo stesso D.L.
L’articolo 2-bis integra la disciplina relativa all’accesso con green pass ai bus noleggiati con conducente, anche oltre la data del 31 dicembre 2021 e consentendo la capienza massima.
Il nuovo art. 2-bis – aggiunto durante l’esame del Senato - estende l’ambito di applicazione dell’art. 9-quater, comma 1, lett. e), del decreto legge c.d. Green pass (D.L. n. 52 del 2021, convertito nella legge n. 87 del 2021), oltre la data del 31 dicembre 2021.
Il richiamato art. 9-quater, introdotto dal decreto-legge n. 111 del 2021, ha previsto che a far data dal 1° settembre 2021 e fino al 31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza, sia consentito esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi COVID-19, di cui all'articolo 9, comma 2, l'accesso ad una serie di mezzi di trasporto, tra cui, alla lett. e), gli autobus adibiti a servizi di noleggio con conducente, ad esclusione di quelli impiegati nei servizi aggiuntivi di trasporto pubblico locale e regionale.
L’articolo 2-bis dispone che l’accesso con green pass, previsto dal richiamato art. 9-quater, si applichi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, prevedendo altresì che la capienza consentita a bordo degli autobus noleggiati con conducente sia pari a quella massima di riempimento. Restano esclusi dalla necessità di certificazione verde i bus adibiti ai servizi aggiuntivi per il TPL, come già previsto attualmente.
Si ricorda che le “Linee guida per l'informazione agli utenti e le modalità organizzative per il contenimento della diffusione del COVID-19 nel trasporto pubblico» emanate con ordinanza del Ministro della salute 30 agosto 2021, prevedono una capienza massima dell’80% per gli autobus noleggiati con conducente (ad esclusione di quelli impiegati nei servizi aggiuntivi di trasporto pubblico locale e regionale).
L'articolo 3 - inserendo l'articolo 9-octies nel D.L. 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 giugno 2021, n. 87 - reca un'integrazione della disciplina transitoria [23] - valida per il periodo 15 ottobre 2021-31 dicembre 2021 - che richiede, per i lavoratori, pubblici e privati, il possesso di un certificato verde COVID-19 in corso di validità ai fini dell'accesso al luogo di lavoro (fatta salva l'esenzione per i soggetti per i quali un'idonea certificazione medica attesti una controindicazione relativa alla vaccinazione contro il COVID-19). La novella in esame prevede che, in caso di richiesta da parte del datore di lavoro, pubblico o privato, derivante da specifiche esigenze organizzative, volte a garantire l'efficace programmazione del lavoro, i lavoratori siano tenuti a rendere le comunicazioni relative al possesso o alla mancanza del suddetto certificato con un preavviso idoneo a soddisfare le suddette esigenze.
La novella in esame introduce, dunque, un obbligo di comunicazione, derivante dall'eventuale richiesta del datore di lavoro [24] ; in assenza di quest'ultima, le disposizioni (già vigenti) prevedono solo come eventuale la comunicazione, da parte del lavoratore, di mancanza di possesso del certificato - fermo restando che, in ogni caso, il lavoratore privo del medesimo certificato (e che non rientri nella suddetta fattispecie di esenzione) non può accedere al luogo di lavoro -.
Per l'ipotesi di inadempimento dell'obbligo di comunicazione - obbligo derivante, come detto, dall'eventuale richiesta del datore di lavoro - non sono previste sanzioni specifiche, ma possono trovare luogo, ove ne ricorrano i presupposti in base ai rispettivi ordinamenti, quelle disciplinari (fermo restando che le suddette norme transitorie relative all'accesso al luogo di lavoro escludono l'applicazione di sanzioni disciplinari per il mancato possesso di un certificato verde COVID-19 [25] ).
Per un quadro relativo alle suddette norme transitorie sull'accesso al luogo di lavoro, si rinvia alla scheda unica di lettura degli articoli 1 e 3, nel dossier dei Servizi Studi del Senato e della Camera dei deputati relativo al D.L. 21 settembre 2021, n. 127, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 novembre 2021, n. 165
[26]
.
Si rinvia al medesimo dossier anche per un quadro relativo all'istituto dei certificati verdi COVID-19 e alla suddetta fattispecie di esenzione (cfr. ivi il "Quadro di sintesi della disciplina in materia di certificazioni verdi COVID-19", contenuto nella scheda di lettura relativo all'articolo 5).
Il comma 1 dell'articolo 3-bis - comma inserito dal Senato - concerne l'utilizzo di alcune risorse disponibili presso la contabilità speciale del Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica COVID-19 [27] . La nuova norma prevede che le somme disponibili presso la suddetta contabilità e derivanti dall'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 40, comma 1, del D.L. 22 marzo 2021, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 maggio 2021, n. 69, siano utilizzabili, nella misura di 210 milioni di euro, per ogni intervento di competenza del medesimo Commissario straordinario - anche in deroga, dunque, al vincolo di destinazione relativo all'attuazione del piano strategico nazionale dei vaccini contro il COVID-19 [28] , vincolo previsto per una quota pari a 388.648.000 euro della suddetta autorizzazione complessiva di spesa [29] -.
Per il termine finale per la possibilità di utilizzo in esame, il comma 1 dell'articolo 3-bis fa esplicito riferimento al termine dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19
[30]
(termine che costituisce anche quello finale per l'attività del Commissario straordinario
[31]
).
L'articolo 3-bis, comma 2, introdotto dal Senato, prevede che siano individuate ulteriori sedi decentrate per l'espletamento delle elezioni provinciali del 18 dicembre 2021, al fine del rispetto delle norme di distanziamento a seguito dell'emergenza da COVID-19, in considerazione del permanere dello stato di emergenza fino al 31 dicembre 2021.
In relazione alle elezioni provinciali del 2021, si ricorda che è stabilito (ai sensi dell'articolo 2, comma 4-ter, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, come ulteriormente modificato dall'articolo l, comma 2-bis del decreto-legge n. 25 del 2021) che le elezioni degli organi delle città metropolitane, dei presidenti di provincia e dei consigli provinciali in scadenza entro i primi nove mesi dell'anno 2021 si svolgano entro sessanta giorni dall'ultima proclamazione degli eletti nei comuni della provincia che partecipano al turno annuale ordinario delle elezioni amministrative relative all'anno 2021 o, comunque, nel caso in cui nella provincia non si svolgono elezioni comunali, entro sessanta giorni dallo svolgimento del predetto turno di elezioni. L’articolo 4, comma 3, del decreto-legge 17 agosto 2021, n. 117, ha inoltre previsto che ai fini dello svolgimento delle elezioni dei consigli metropolitani, dei presidenti delle province e dei consigli provinciali, l'ente interessato tenga conto delle modalità operative e precauzionali di cui ai protocolli sanitari e di sicurezza adottati dal Governo.
Il 18 dicembre 2021 vanno al voto 31 Province per l'elezione del Presidente e 75 Province per l'elezione dei Consigli provinciali.
Si eleggono 896 Consiglieri.
Per approfondimenti si veda la pagina Elezioni provinciali 2021 sul sito dell'UPI (Unione Province d'Italia).
La disposizione deroga (in via eccezionale e limitatamente alla tornata elettorale del 18 dicembre 2021) a quanto previsto dagli articoli 1, commi 62, secondo periodo e 74, secondo periodo, della legge n. 56 del 2014 (c.d. legge Delrio), prevedendo in luogo dell’unico seggio elettorale, la possibilità di individuare sedi decentrate per garantire il rispetto delle norme di distanziamento sociale legate al contrasto alla pandemia.
L’art. 1, comma 62, secondo periodo, della legge n. 56 del 2014 stabilisce che l'elezione del Presidente della provincia avviene in unica giornata presso un unico seggio elettorale costituito presso l'ufficio elettorale presso la sede della provincia, ai sensi del comma 61 del medesimo articolo.
Presso il medesimo ed unico seggio elettorale, si svolgono le elezioni del Consiglio provinciale (art. 1, comma 74, secondo periodo, della legge n. 56 del 2014).
Si provvede, specifica la disposizione in esame, nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L’articolo 4 prevede un nuovo assetto organizzativo del Ministero della salute in direzioni generali, coordinate da un segretario generale. Il numero delle direzioni generali, incluso il segretario generale, viene portato da 13 a 15.
E’ inoltre prevista una modifica della dotazione organica del Ministero della salute ad invarianza di spesa con un incremento di 2 posizioni dirigenziali di livello generale.
La disposizione in esame, al comma 1, prevede un incremento di 2 posizioni dirigenziali di livello generale. A compensazione, vengono ridotti 7 posti di dirigente sanitario finanziariamente equivalenti. La Relazione tecnica al provvedimento (RT) evidenzia che le posizioni soppresse non riguardano funzioni di gestione e coordinamento attribuite agli Uffici di II fascia ma si riferiscono agli incarichi di natura professionale tipici della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale e come tali non hanno alcun impatto sulla organizzazione e sulla funzionalità complessiva degli uffici del Ministero della salute.
La Relazione illustrativa chiarisce che tale incremento delle posizioni dirigenziali è dettato dalla necessità di rafforzare l’attuale assetto strutturale del Ministero adeguandolo alle nuove esigenze di tutela della salute pubblica connesse all’emergenza sanitaria e alla costante evoluzione dei bisogni di salute della popolazione italiana, con la finalità di dedicare strutture idonee, per livelli di autonomia e responsabilità, professionalità e specializzazione, a materie quali i servizi ospedalieri, l’assistenza territoriale, la salute e l’ambiente, la salute mentale.
Dal punto di vista organizzativo, il nuovo assetto, delineato dal comma 2 dell’articolo in commento, prevede 15 strutture di livello dirigenziale generale (compreso il segretario generale). Si rammenta che l’art. 47-bis del D.Lgs. n. 300 del 1999 ha istituito il Ministero della salute. I successivi articoli 47-ter e 47-quater ne hanno rispettivamente definito le aree funzionali e l’ordinamento.
Con riferimento alle risorse umane delle istituende nuove direzioni generali, la RT precisa che si procederà all’utilizzo delle nuove posizioni funzionali di seconda fascia attribuite al Ministero della salute da:
- art. 5, comma 1-ter, del decreto legge n. 162 del 2019 che autorizza l’incremento di organico di 13 unità di cui 7 dirigenti di II fascia e 6 dirigenti sanitari con incarico di struttura complessa;
- art. 1, commi 882 della legge di bilancio 2021 – legge n. 178 del 2020 che autorizza l’incremento di organico di 13 7 dirigenti di II fascia.
Relativamente al personale non dirigenziale da utilizzare nelle due nuove direzioni generali, la disposizione in commento si riferisce invece ai contingenti aggiuntivi previsti dalle seguenti disposizioni di legge per le quali le procedure assunzionali sono state espletate solo in parte. In particolare, a:
- art. 1, c. 358, legge n. 145 del 2018 (80 appartenenti all'Area III, posizione economica F1e 28 appartenenti all'Area II, posizione economica F1);
- art. 1, c. 5-ter, decreto legge n. 162 del 2019 (50 unità di personale non dirigenziale appartenenti all'area III);
- art. 1, c. 882 e 883, legge di bilancio 2021 – legge n. 178 del 2020 (135 unità di personale non dirigenziale con professionalità anche tecniche, appartenenti all'Area III, posizione economica F1, del comparto funzioni centrali).
Per approfondimenti si rinvia a: Ministero della salute, Piano triennale dei fabbisogni di personale 2021-2023
Si ricorda che la dotazione organica del Ministero della salute, a seguito degli interventi di revisione della spesa pubblica di cui al decreto legge, n. 95 del 2012 (c.d. Spending review), è stata da ultimo formalmente determinata con d.P.C.M. 11 febbraio 2014, n. 59 (Regolamento di organizzazione del Ministero della salute) che ha comportato il passaggio da un’organizzazione con dipartimenti a una con un Segretario generale e 12 Direzioni generali. Il nuovo assetto del 2014 ha inoltre tenuto conto, tra l’altro, di quanto previsto dalla legge di stabilità per il 2014, che ha mantenuto al ministero della Salute le competenze in materia di assistenza sanitaria al personale navigante e aero-navigante (SASN), abrogando le disposizioni della legge n. 183 del 2011, che avevano previsto il passaggio alle Regioni/ASL di tali competenze.
La dotazione organica determinata dal d.P.C.M. del 2014 e dai successivi incrementi stabiliti per legge è pari a 2.289 unità (per approfondimenti sul punto si veda la RT).
L’articolo 4-bis, introdotto durante l’esame al Senato, in ragione del perdurare dell'emergenza dovuta alla diffusione pandemica del virus Sars-Cov2 e al fine di non disperdere le competenze e le professionalità acquisite dal personale sanitario, eleva a sessantotto anni (attualmente sessantacinque anni) il limite anagrafico per l'accesso all'elenco nazionale idonei all’incarico di direttore generale degli enti del SSN. La disposizione si applica fino al termine dello stato di emergenza connesso al COVID-19.
L’articolo 1 del D. Lgs. n. 171 del 2016, attuativo della delega di cui all'art. 11, comma 1, lettera p), della legge n. 124 del 2015, al comma 2, istituisce, presso il Ministero della salute, l'elenco nazionale dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale, aggiornato con cadenza biennale. Ai sensi del comma 4, alla selezione sono ammessi i candidati che non abbiano compiuto 65 anni di età e che siano in possesso della laurea specialistica o magistrale e della comprovata esperienza dirigenziale, almeno quinquennale, nel campo delle strutture sanitarie o settennale negli altri settori, con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie; si prevede quale requisito d’accesso ulteriore anche l’attestato rilasciato all’esito del corso di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria.
L’articolo 5, modificato nel corso dell’esame del Senato, dispone il temporaneo avvalimento di personale aggiuntivo da parte dell’Ufficio centrale per il referendum.
La disposizione è finalizzata a consentire l’espletamento delle operazioni di verifica delle sottoscrizioni relative alle richieste di referendum presentate entro il 31 ottobre (il termine ordinario del 30 settembre è stato così posticipato per il solo anno 2021 dal D.L. 52/2021).
Per l’attuazione delle previsioni dettate dall’articolo 5, applicabili per un periodo non superiore a 60 giorni, è previsto un onere pari a euro 409.648 euro per l’anno 2021.
Il comma 1 prevede che l’Ufficio centrale per il referendum istituito presso la Corte di Cassazione si avvalga temporaneamente di personale della segreteria, nel numero massimo di 28 unità, appartenente alla seconda area professionale con la qualifica di cancelliere esperto e di assistente giudiziario.
I profili professionali del personale non dirigenziale dell’Amministrazione giudiziaria sono stati riformati con il D.M. 9 novembre 2017. In base a tale provvedimento, i lavoratori appartenenti alla qualifica di cancelliere esperto esplicano compiti di collaborazione qualificata al magistrato nei vari aspetti connessi all’attività dell’ufficio, anche assistendolo nell’attività istruttoria o nel dibattimento, con compiti di redazione e sottoscrizione dei relativi verbali, nonché di rilascio di copie conformi e di ricezione di atti, anche in modalità telematica, e tutte le altre attività che la legge attribuisce al cancelliere. A coloro che sono risultati idonei nelle procedure selettive e a coloro che abbiano maturato 2 anni di anzianità può essere affidata attività di collaborazione qualificata al magistrato nell’ambito dell’Ufficio per il processo e nei servizi analoghi, al fine di assicurare il coordinamento delle attività e dei servizi nell’ambito di tale modalità organizzativa.
Gli assistenti giudiziari svolgono attività di collaborazione in compiti di natura giudiziaria, contabile, tecnica o amministrativa e attività preparatoria o di formazione degli atti attribuiti alla competenza delle professionalità superiori, curando l’aggiornamento e la conservazione corretta di atti e fascicoli. Possono essere adibiti all’assistenza al magistrato nell’attività istruttoria o nel dibattimento, con compiti di redazione e sottoscrizione dei relativi verbali.
L’avvalimento di tale personale è finalizzato a consentire il tempestivo espletamento dell'esame delle richieste depositate (di cui all’articolo 32 della legge 25 maggio 1970, n. 35), relative ai referendum presentati entro il 31 ottobre 2021.
Dal 1° gennaio ad oggi (20 novembre 2021) risultano pubblicati 19 annunci di richieste di referendum abrogativo:
§ 2 nella GU Serie Generale n. 35 dell’11 febbraio 2021;
§ 1 nella GU Serie Generale n. 43 del 20 febbraio 2021;
§ 1 nella GU Serie Generale n. 80 del 02 aprile 2021;
§ 1 nella GU Serie Generale n. 95 del 21 aprile 2021;
§ 1 nella GU Serie Generale n. 115 del 15 maggio 2021;
§ 1 nella GU Serie Generale n. 121 del 22 maggio 2021;
§ 6 nella GU Serie Generale n. 132 del 4 giugno 2021;
§
2 nella G.U. Serie Generale n. 215 dell’8 settembre 2021;
§ 4 nella G.U. Serie Generale n. 223 del 17 settembre 2021.
La relazione illustrativa del provvedimento in esame, considerato il numero di quesiti referendari, stima in più di 7 milioni il numero di firme che dovranno essere verificate.
La relazione tecnica riferisce che “per 8 richieste di referendum risulta raggiunta la soglia di 500.000 firme di elettori e per altre 5 si stanno ultimando gli iter di raccolta delle relative sottoscrizioni e si considera altamente probabile anche per questi ulteriori quesiti il raggiungimento della soglia prevista, atteso la modalità di espletamento degli adempimenti connessi in formato elettronico”.
Nel dettaglio le operazioni di verifica riguardano:
§ le sottoscrizioni;
§ l’indicazione delle generalità dei sottoscrittori;
§ le vidimazioni dei fogli;
§ le autenticazioni delle firme e delle certificazioni elettorali;
§ il conteggio delle firme.
La disposizione costituisce una deroga l’articolo 2 del decreto-legge 9 marzo 1995, n. 67. Tale disposizione prevede che, per le operazioni di verifica, l'Ufficio centrale per il referendum si avvale del personale della segreteria con qualifica funzionale non inferiore alla settima.
Si ricorda in proposito che fino alla nuova disciplina introdotta dal D.M. 9 novembre 2017, sopra citato, il personale dell’Amministrazione giudiziaria era articolato in otto qualifiche professionali.
Per le operazioni di verifica delle sottoscrizioni presentate a corredo delle richieste di referendum, il primo presidente della Corte di cassazione, con proprio decreto, può aggregare all'Ufficio centrale per il referendum altri magistrati della Corte. Le funzioni di segreteria dell'Ufficio centrale sono espletate dai funzionari della cancelleria della Corte designati dal primo presidente. Il primo presidente dispone, altresì, sulle modalità di utilizzazione del centro elettronico e dell'altro personale della Corte ritenuto necessario (L. 199/1978, art. 6). Il personale di segreteria sono scelti tra i funzionari con qualifica funzionale non inferiore alla settima (D.L. 67/1995, art. 2).
Ad esempio nel 2014 l’Ufficio centrale per il referendum dall’ottobre al dicembre si è occupato delle operazioni concernenti le cinque richieste di referendum abrogativo presentate nel giugno 2014, con il deposito di circa 2,7 milioni di firme. Per far fronte ai controlli connessi alle cinque richieste referendarie, sono state impiegati circa 390 persone appartenenti ai diversi profili professionali (su un organico complessivo di circa 570 unità) per 60 giorni, anche prefestivi e festivi, articolato in 84 turni (Corte Suprema di cassazione, Relazione sull’amministrazione della giustizia nell’anno 2014, 23 gennaio 2015).
Il comma 2, modificato dal Senato, consente, per le medesime finalità di cui sopra, di aggregare temporaneamente alla segreteria dell’Ufficio centrale anche personale di altre amministrazioni.
Il primo presidente della Corte di cassazione può avvalersi, per un periodo non superiore a 60 giorni, di altro personale, ulteriore rispetto a quello in servizio presso la Corte, nel numero massimo di 100 unità (erano 360 nel testo originario del decreto-legge) - di cui:
§ 40 unità (80 unità nel testo originario) destinate alle funzioni di verifica e conteggio delle sottoscrizioni, appartenenti alla seconda area professionale con la qualifica di assistente giudiziario o cancelliere esperto ovvero profili professionali equiparati;
§ 60 unità (280 unità nel testo originario) con mansioni esecutive di supporto, quale l’inserimento dei dati nei sistemi informatici, appartenenti alla seconda area professionale con la qualifica di operatore giudiziario ovvero profili professionali equiparati.
All’acquisizione di disponibilità alla assegnazione all’Ufficio centrale per il referendum si provvede mediante interpello, per soli titoli, come prescritto dal comma 3 dell’articolo in esame. L’interpello è indetto dall’Amministrazione giudiziaria su richiesta del primo presidente della Corte di cassazione.
I requisiti per la partecipazione all’interpello e la procedura di svolgimento sono disciplinati dal comma 4.
Possono partecipare all’interpello:
§ i dipendenti di ruolo dell’amministrazione giudiziaria che abbiano maturato un minimo di tre anni di servizio nel profilo professionale di appartenenza;
§ i dipendenti di ruolo delle Amministrazioni pubbliche rientranti nel Comparto Funzioni Centrali (ministeri, Avvocatura dello Stato, Corte di conti, Consiglio di Stato, CNEL, agenzie, enti pubblici non economici);
§ il personale militare e delle Forze di polizia di Stato (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza e Polizia penitenziaria).
Costoro devono essere in possesso delle professionalità richieste e possono partecipare secondo l’equiparazione prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 giugno 2015, recante la definizione delle tabelle di equiparazione fra i livelli di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione del personale non dirigenziale.
Viene prevista la seguente procedura di interpello:
§ le amministrazioni pubbliche di provenienza (secondo la modifica approvata dal Senato quale coordinamento, in luogo della dicitura del testo originario: "di appartenenza") dei dipendenti che abbiano manifestato la propria disponibilità adottano il provvedimento di comando entro cinque giorni dalla richiesta dell’amministrazione giudiziaria;
§ in caso di superamento di tale termine il nulla osta si ha comunque per rilasciato;
§ l’amministrazione giudiziaria procede all’assegnazione, dandone comunicazione all’interessato e all’amministrazione di provenienza (dizione modificata nel corso dell’esame del Senato, in luogo della originaria dicitura: "di competenza").
L’ultimo periodo del comma 4 e il successivo comma 5 concernono la retribuzione del personale aggiuntivo assegnato a seguito dell’interpello.
Il trattamento economico fondamentale e accessorio da corrispondere durante il periodo di assegnazione temporanea viene erogato dalla amministrazione di provenienza.
A tale personale, anche se distaccato o comandato viene un emolumento pari all’onorario giornaliero che spetta ai componenti e al segretario dell'ufficio elettorale centrale nazionale e degli uffici centrali circoscrizionali per l’elezione della Camera dei deputati (pari a quello dei componenti degli uffici elettorali diversi da quelli di sezione delle altre elezioni) di cui all’articolo 3, comma 1, della legge 13 marzo 1980, n. 70.
Tale onorario è ridotto di un quinto per il personale (60 unità) con mansioni esecutive di supporto di cui al comma 2 dell’articolo in esame.
Come evidenziato nella relazione tecnica l’onorario corrisposto al suddetto personale, al lordo delle ritenute di legge, è pari a euro 41,32 e alla misura di euro 33,06 (ridotta di un quinto).
Non è dovuta, per il personale comandato a seguito dell’interpello, l’indennità giudiziaria.
Il comma 6 reca una disposizione finanziaria (modificata dal Senato alla luce della diminuzione del numero di unità di personale di cui al comma 2) per la copertura degli oneri per l’attuazione delle disposizioni contenute nel presente articolo valutati in 409.648 euro per l’anno 2021 (erano 990.731 euro nel testo originario del decreto-legge), cui si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2021-2023, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2021, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia.
Il comma 7 autorizza il Ministro dell’economia e delle ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Si ricorda che il decreto-legge 52/2021 (art.11, comma 1-bis) ha prorogato di un mese (dal 30 settembre al 31 ottobre) i termini di legge per il deposito delle firme e dei certificati elettorali necessari per le richieste di referendum abrogativo annunciate in Gazzetta ufficiale entro il 15 maggio 2021.
Successivamente, il decreto-legge 77/2021 (art. 39-bis) ha esteso il termine per il deposito alle richieste annunciate al 15 giugno 2021, oltre a differire altri termini relativi alla procedura referendaria, quali:
§ rilevazione, con ordinanza dell’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Cassazione, delle eventuali irregolarità delle singole richieste, dal 31 ottobre al 30 novembre, e assegnazione del termine per la sanatoria di esse, dal 20 novembre al 20 dicembre (art. 32, 3° comma, L. 352/1970);
§ decisione definitiva, con ordinanza dell’Ufficio centrale, sulla legittimità delle richieste presentate, dal 15 dicembre al 15 gennaio (art. 32, 7° comma, L. 352/1970);
§ fissazione da parte della Corte costituzionale della data di deliberazione in camera di consiglio della ammissibilità della richiesta di referendum dal 20 gennaio al 20 febbraio (art. 33, 1° comma, L. 352/1970);
§ pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale sulla ammissibilità del referendum entro il 10 marzo anziché entro il 10 febbraio (art. 33, 4° comma, L. 352/1970).
Infine, il decreto-legge 132/2021 ha esteso le proroghe adottate dai due provvedimenti precedenti anche per le richieste di referendum abrogativi annunciate nella Gazzetta Ufficiale dal 15 giugno 2021 al 30 settembre 2021.
Nella relazione illustrativa al provvedimento in esame si evidenzia che “l’Ufficio centrale per il referendum dovrà fronteggiare non solo numeri eccezionalmente elevati di firme da verificare, ma anche procedere con operazioni di controllo rese più complesse, rispetto al sistema previgente, dalle norme che hanno consentito, per ciascun quesito referendario presentato nel periodo sopra indicato, di raccogliere e depositare firme e certificati con modalità miste, cartacee e digitali”.
Si prevede, quindi “l’aggravio delle attività a tal fine necessarie, oltre che il netto aumento dei dati che dovranno essere manualmente inseriti negli appositi tabulati in formato digitale, nel rispetto del termine di 60 giorni, scadente il 15 gennaio 2022, previsto per l’adozione delle ordinanze definitive da parte dell’Ufficio centrale per il referendum.
Si ricorda che a decorrere dal 1° luglio 2021 le firme necessarie per i referendum previsti dagli articoli 75, 132 e 138 della Costituzione (nonché per i progetti di legge di iniziativa popolare) si possono raccogliere anche on-line, mediante documento informatico, sottoscritto con firma elettronica qualificata, a cui è associato un riferimento temporale validamente opponibile ai terzi.
Si tratta di una norma transitoria, introdotta dal D.L. 77/2021 (art. 38-quater), destinata ad applicarsi fino alla data di operatività della piattaforma elettronica pubblica per la raccolta on-line delle sottoscrizioni per referendum e proposte di legge di iniziativa popolare. La piattaforma è stata introdotta dalla L. 178/2020 (art. 1, commi 341-344) che ha istituito un apposito fondo nello stato di previsione del MEF, con una dotazione di 100 mila euro a decorrere dal 2021; tale previsione normativa è stata poi modificata ed integrata dal suddetto 77/2021 (art. 38-quater), che ha inserito inoltre la citata norma transitoria.
Destinataria delle risorse del fondo è la Presidenza del Consiglio che dovrà realizzare la piattaforma entro il 31 dicembre 2021 dopo averne definito i requisiti tecnici e di sicurezza e le modalità di funzionamento con apposito decreto, adottato di concerto con il Ministro della giustizia e sentito il Garante della protezione dei dati personali.
Le firme elettroniche qualificate raccolte devono essere accompagnate, come quelle cartacee, dagli elementi di individuazione dell’elettore (nome, cognome ecc.) ma non sono soggette all'autenticazione prevista dalla legge 352/1970.
Sia in caso di raccolta cartacea, sia di quella in formato elettronico, alla richiesta di referendum debbono essere allegati i certificati elettorali, anche collettivi, dei sindaci dei singoli comuni, ai quali appartengono i sottoscrittori, che ne attestano la iscrizione nelle liste elettorali. I sindaci debbono rilasciare i certificati entro 48 ore dalla relativa richiesta.
I certificati elettorali rilasciati mediante posta elettronica certificata o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, possono essere depositati, unitamente alla richiesta di referendum e al messaggio a cui sono acclusi, come duplicato informatico ovvero come copia analogica di documento informatico se dotati del contrassegno a stampa (normalmente un codice QR).
L’articolo 6, oltre a prorogare anche alla sessione 2021 le disposizioni eccezionali stabilite per lo svolgimento dell’esame di abilitazione alla professione di avvocato relativo alla sessione dello scorso anno, introduce l'obbligo di green pass per l'accesso ai locali deputati allo svolgimento delle prove.
In particolare, la disposizione, in considerazione del protrarsi dello stato di emergenza e della necessità di garantire lo svolgimento in sicurezza delle prove dell’esame di abilitazione alla professione di avvocato proroga anche alla sessione 2021 le disposizioni eccezionali stabilite con il decreto-legge 13 marzo 2021, n. 31 (conv. legge n. 50 del 2021) per lo svolgimento dell’esame di abilitazione relativo alla sessione 2020 (comma 1).
Il decreto-legge n. 31 ha previsto una disciplina di svolgimento delle prove della sessione 2020 dell’esame di abilitazione forense derogatoria rispetto a quella prevista a regime.
In particolare:
- le prove scritte sono state sostituite da una prova orale a carattere preselettivo, propedeutica rispetto alla canonica prova orale;
- con riguardo alla prima prova orale il candidato - che doveva essere presente nella sede d'esame insieme al segretario della sottocommissione (gli altri componenti della commissione invece erano collegati da remoto) - era chiamato a risolvere una questione di carattere pratico-applicativo, in una materia, tra diritto civile o diritto penale o diritto amministrativo, scelta precedentemente. Il candidato, dopo aver letto il quesito, doveva individuare i nodi problematici, le disposizioni applicabili, sostanziali e processuali, i principi rilevanti e gli eventuali orientamenti giurisprudenziali potendo consultare anche i codici annotati. Per lo svolgimento della prova il candidato aveva a disposizione un'ora dalla fine della dettatura del quesito (mezz’ora per l’esame preliminare, mezz’ora per la discussione);
- la seconda prova orale - per la quale ciascun candidato aveva a disposizione tra 45 e 60 minuti - aveva ad oggetto la discussione di brevi questioni relative a 5 materie scelte preventivamente dal candidato di cui una tra diritto civile e diritto penale, purché diversa dalla materia già scelta per la prima prova orale; una tra diritto processuale civile e penale; tre tra diritto civile, penale, costituzionale, amministrativo, tributario, commerciale del lavoro, dell'Unione europea, internazionale privato ed ecclesiastico, oltre a ordinamento e deontologia forense;
- in caso di positività al COVID-19 o di sintomi compatibili, quarantena o isolamento fiduciario, nonché in caso di comprovati motivi di salute, il candidato poteva chiedere una nuova data per lo svolgimento della prova, tramite istanza al presidente della sottocommissione, adeguatamente documentata. La prova doveva essere svolta entro 10 giorni dalla fine dell’impedimento;
- è stato incrementato il numero delle sottocommissioni d’esame, ridotte numericamente da 5 a 3 componenti. È stato inoltre consentito di far parte delle commissioni d’esame, per la prima volta, anche ai ricercatori universitari a tempo determinato in materie giuridiche e ai magistrati militari.
Il comma 2 demanda al decreto del Ministro della giustizia di indizione della sessione d’esame per il 2021 l'indicazione:
§ della data di inizio delle prove,
§ delle modalità di sorteggio per l'espletamento delle prove orali,
§ della pubblicità delle sedute di esame,
§ delle modalità di accesso e di permanenza nelle sedi di esame,
§ delle prescrizioni imposte ai fini della prevenzione e protezione dal rischio del contagio da COVID-19,
§ delle modalità di comunicazione delle materie scelte dal candidato per la prima e la seconda prova orale.
Inoltre, al fine di far fronte alle istanze dei candidati con disturbi specifici di apprendimento (DSA) si prevede che il medesimo decreto, analogamente a quanto previsto per i concorsi pubblici, disciplini le modalità di utilizzo di strumenti compensativi per le difficoltà di lettura, di scrittura e di calcolo, nonché di usufruire di un prolungamento dei tempi stabiliti per lo svolgimento delle prove, da parte dei predetti candidati.
Il comma 3, inoltre, onde garantire nel modo migliore lo svolgimento delle prove in condizioni di sicurezza in relazione all’emergenza epidemiologica stabilisce che l’accesso ai locali deputati allo svolgimento delle prove d’esame è consentito esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi COVID-19 e che la mancata esibizione da parte dei candidati al personale addetto ai controlli delle certificazioni di cui al primo periodo costituisce motivo di esclusione dall’esame.
Il comma 4, infine, demanda ad un successivo decreto direttoriale del Ministero della giustizia, da adottarsi sentita la commissione centrale costituita ai sensi del decreto legge 21 maggio 2003, n. 112, convertito dalla legge 18 luglio 2003, n. 180 (e non dunque, a differenza di quanto previsto per la sessione 2020 dal comma 6 dell'articolo 4 del d.l. n. 31 del 2021, dalla sola commissione centrale) la definizione delle linee generali da seguire per la formulazione dei quesiti da porre nella prima prova orale e per la valutazione dei candidati, in modo da garantire l'omogeneità e la coerenza dei criteri di esame.
Infine, i commi 5 e 6 contengono disposizioni finanziarie.
L’articolo 7 incrementa, per il triennio 2021-2023, la dotazione del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, onde assicurare l’attivazione di ulteriori 3.000 posti per l’accoglienza di richiedenti asilo provenienti dall'Afghanistan in conseguenza della crisi politica colà in corso.
L'incremento della dotazione del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo è strumentale all’attivazione di 3.000 posti aggiuntivi nel Sistema di accoglienza e integrazione (SAI).
Questi posti aggiuntivi sono destinati all'accoglienza di un afflusso di "richiedenti asilo", accresciutosi in conseguenza della crisi politica in Afghanistan.
L'incremento della dotazione del Fondo nazionale per le politiche e per i servizi dell’asilo è previsto valere per il triennio 2021-2023.
In particolare, l'incremento ammonta a: 11,35 milioni per il 2021; 44,97 milioni sia per il 2022 sia per il 2023 (comma 1).
La copertura finanziaria è attinta mediante corrispondente utilizzo delle risorse iscritte, per i medesimi anni, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, relative all'attivazione, la locazione e la gestione dei centri di trattenimento e di accoglienza per stranieri (comma 2).
In prima lettura il Senato ha approvato una riformulazione, sì da specificare che i richiedenti asilo siano provenienti dall'Afghanistan, ai fini dell'attivazione dei posti sopra ricordati.
Il sistema dell'accoglienza territoriale dei migranti che segue al soccorso ed alla prima accoglienza - dapprima denominato SPRAR (Sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati), ai sensi del decreto-legislativo n. 142 del 2015 (adottato in attuazione delle direttive europee 2013/32/UE e 2013/33/UE); indi ridenominato SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati), per effetto del decreto-legge n. 113 del 2018 - è oggi costituito dal SAI (Sistema di accoglienza e integrazione), a seguito del decreto-legge n. 130 del 2020 (si cfr. articolo 4, comma 3, lettera a), e comma 4).
Questi mutamenti di denominazione sono correlati ad alcune modificazioni 'sostanziali' della disciplina della c.d. seconda accoglienza. Così, il decreto-legge n. 113 del 2018 modificava la tipologia di beneficiari e le modalità di accesso, riservando i servizi di accoglienza degli enti locali ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati (tutti i minori, indipendentemente dallo status di richiedente protezione internazionale), escludendo invece dalla possibilità di usufruire dei relativi servizi i richiedenti la protezione internazionale. Di contro, il decreto-legge n. 130 del 2020 ha reintrodotto la possibilità di accoglienza nel SAI ai richiedenti la protezione internazionale ed ampliato l'accesso, nei limiti dei posti disponibili, ai titolari di specifiche categorie di permessi di soggiorno previste dal decreto legislativo n. 286 del 1998 Testo unico dell'immigrazione (permesso di soggiorno "per protezione speciale"; "per cure mediche"; "per protezione sociale"; "violenza domestica"; "per calamità"; "di particolare sfruttamento lavorativo"; "per atti di particolare valore civile": per casi speciali) i quali non accedano a sistemi di protezione specificamente dedicati, nonché ai neo-maggiorenni affidati ai servizi sociali in prosieguo amministrativo.
Inoltre il decreto-legge n. 130 del 2020 ha diversificato i servizi, ora articolati in due livelli di prestazioni: il primo livello dedicato ai richiedenti protezione internazionale (con prestazioni di accoglienza materiale, assistenza sanitaria, assistenza sociale e psicologica, mediazione linguistico-culturale, somministrazione di corsi di lingua italiana e i servizi di orientamento legale e al territorio); il secondo livello rivolto a coloro che della protezione internazionale siano già titolari (con servizi aggiuntivi finalizzati all'integrazione, comprensivi dell'orientamento al lavoro e della formazione professionale).
Ai sensi della normativa vigente i progetti di accoglienza integrata vengono finanziati annualmente dal Ministro dell'interno, con l'indicazione del costo massimo di progetto sulla base del costo medio dei progetti della rete, relativo alla specifica tipologia di accoglienza. Il sostegno finanziario è assicurato dalle risorse iscritte al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo (FNPSA), istituito dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, che ha modificato il decreto legge n. 416 del 1989 e nel quale confluiscono sia risorse nazionali, provenienti dallo stato di previsione del Ministero dell'interno, sia assegnazioni annuali del Fondo europeo per i rifugiati.
Per far fronte alle esigenze di accoglienza conseguenti alla crisi in Afghanistan, la disposizione in esame prevede 3.000 posti aggiuntivi nel sistema SAI, a valere sui progetti già attivi, come evidenziato nella relazione tecnica.
Tali progetti (alla data del 31 agosto 2021, sono 855 progetti) 'coprono' - riferisce la relazione tecnica che correda il presente disegno di legge di conversione - 29.145 posti complessivi attivi, dei quali 26.875 posti risultano occupati (a quella medesima data).
Pertanto la quota di posti 'liberi' disponibili risulta complessivamente pari a 2.480. Di questi - prosegue la relazione tecnica - una parte (269 posti) è destinata a minori o persone con disagio mentale o disabilità, talché fruibili in via ordinaria risultano 2.211 posti. Di questi ultimi, solo una parte - 400 posti - è rivolta a nuclei familiari, che è la tipologia prevalente tra i profughi afghani.
Di qui l'esigenza di un incremento dei posti, calibrato sull'accoglienza di persone giungenti dall'Afghanistan.
Il costo complessivo dei 3.000 posti - calcolato sulla base di una spesa giornaliera pro-capite di 41,07 euro - ammonta così a 11,35 milioni, per la residua parte di anno 2021 in corso; a 44,97 milioni per il 2022; del pari a 44,97 milioni per il 2023.
Siffatte aggiuntive risorse affluiscono al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo, presso il Ministero dell'interno.
Tale Fondo infatti - istituito dalla legge n. 189 del 2002, modificativa per questo riguardo degli articoli 1-sexies ed 1-septies del decreto-legge n. 416 del 1989, così istituzionalizzando il sistema territoriale di accoglienza 'diffuso' con il coinvolgimento degli enti territoriali - finanzia (avvalendosi sia di risorse nazionali sia di assegnazioni annuali del Fondo europeo per i rifugiati) i progetti di accoglienza integrata, elaborati dagli enti locali (per le modalità di accesso ai finanziamenti, cfr. il decreto del Ministro dell'interno del 18 novembre 2019).
La dotazione finanziaria complessiva del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, è allo stato pari a: 543,54 milioni per il 2021; 552,47 milioni per il 2022; 552,47 milioni per il 2023; 504,26 milioni per il 2024.
È su tale postazione che si aggiungono gli incrementi per il triennio 2021-2023, previsti dalla disposizione in esame.
Essi sono pari, come si è ricordato, a: 11,35 milioni per il 2021; a 44,97 milioni per ciascun anno del biennio 2022-23.
Corrispondentemente, è disposta una corrispettiva riduzione sullo stato di previsione del Ministero dell'interno, a valere sul capitolo di bilancio (2351/2) destinato alla gestione dei centri per l'immigrazione, il quale mostra - rileva la relazione tecnica - sufficiente capienza.
Il capitolo 2351/2 si riferisce alle spese per l'attivazione, la locazione, la gestione dei centri di trattenimento e di accoglienza per stranieri irregolari; alle spese per interventi a carattere assistenziale, anche al di fuori dei centri; alle spese per studi e progetti finalizzati all'ottimizzazione ed omogeneizzazione delle spese di gestione. Nella legge di bilancio 2021 il capitolo ha una dotazione pari a 1.050 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2021-2023.
L'articolo 8, modificato nel corso dell’esame al Senato, reca disposizioni per la restituzione alla comunità slovena dell’immobile sito in Trieste e noto come Narodni Dom, di proprietà dell’Università degli studi di Trieste, in cui attualmente si svolge l'attività della Scuola di studi in lingue moderne per interpreti e traduttori. Alla medesima Università sono assicurati, a compensazione, due immobili, uno dei quali è destinato a divenire la nuova sede della richiamata Scuola.
Con una modifica approvata al Senato è stato introdotto il comma 4-bis concernente il monitoraggio degli interventi di cui al presente articolo.
A tal fine, l'articolo 8 novella l'articolo 19 della legge 23 febbraio 2001, n. 38, recante "Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli-Venezia Giulia".
Prima di entrare nel merito delle disposizioni recate nel decreto-legge in commento, pare opportuno un inquadramento della vicenda complessiva.
Il richiamato immobile, costituito dall'edificio sito in Trieste alla via Filzi 14, già noto come Narodni Dom e sede della Casa di cultura slovena fino all’incendio del 13 luglio 1920, è dal 1981 di proprietà dell’Università degli Studi di Trieste, che vi ospita la Scuola di Studi in lingue moderne per interpreti e traduttori.
L’art. 19, comma 1, della richiamata legge n.38 del 2001, nel testo previgente alla novella recata dall'articolo in esame, disponeva: i) il trasferimento alla regione Friuli-Venezia Giulia della casa di cultura «Narodni dom» di Trieste - rione San Giovanni (costituita da edificio e accessori) per essere utilizzato, a titolo gratuito, per le attività di istituzioni culturali e scientifiche di lingua slovena; ii) che nell'edificio già «Narodni dom» e nell'edificio già «Trgovski dom» (quest'ultimo sito in Gorizia, Corso Verdi) trovassero sede istituzioni culturali e scientifiche sia di lingua slovena sia di lingua italiana compatibilmente con le funzioni allora ospitate nei medesimi edifici, previa intesa tra regione e università degli studi di Trieste per l'edificio di Via Filzi di Trieste, e tra regione e Ministero delle finanze per l'edificio di Corso Verdi di Gorizia.
In attuazione di tale disposizione, come si legge nelle premesse del citato Protocollo del 13 luglio 2020, alla Biblioteca Nazionale Slovena e degli Studi a Trieste sono stati messi a disposizione alcuni spazi al piano terra del Narodni Dom di via Filzi.
Rispetto a tale soluzione, il 9 novembre 2017 il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha acconsentito, su richiesta dell'omologo Ministro sloveno, ad accelerare la completa restituzione alla minoranza linguistica slovena del Narodni Dom entro il 2020, cioè in occasione del centenario del predetto incendio.
A seguire, è stato sottoscritto il Protocollo d’intesa del 13 luglio 2020 tra il Ministero dell’interno, il Ministero dell’università e della ricerca, l’Agenzia del demanio, la Regione Friuli Venezia-Giulia, il Comune di Trieste, l’Università degli studi di Trieste e due associazioni rappresentative della minoranza linguistica slovena (l’Unione culturale economica slovena e la Confederazione delle organizzazioni slovene). In tale atto, ciascun firmatario ha assunto specifici impegni, per gli ambiti di rispettiva competenza, al fine di pervenire al completamento del trasferimento alla minoranza linguistica slovena di tale edificio e individuare una soluzione immobiliare alternativa in cui trasferire la Scuola di studi in lingue moderne per interpreti e traduttori.
Come precisato in un comunicato stampa del Ministero dell'interno del 14 luglio 2020, l’iniziativa si iscrive nel quadro dei principi costituzionali di tutela dei diritti delle minoranze linguistiche, uno degli aspetti più significativi del tema della tutela generale dei diritti fondamentali, e insieme in quello delle relazioni tra Italia e Slovenia, di cui la minoranza slovena è da sempre protagonista attiva.
L'articolo 8 mira a dare seguito, con norma primaria, agli impegni assunti nell’ambito del citato Protocollo del 13 luglio 2020.
Al riguardo, come precisa relazione illustrativa - rispetto ad un primo contenuto normativo indicato dall'articolo 1 del Protocollo (che dettava uno specifico cronoprogramma), in riferimento al quale si sono svolte interlocuzioni anche con il Ministero dell'economia e delle finanze da cui sono emersi profili di onerosità non risolvibili in via compensativa – l'articolo in commento "coglie comunque gli impegni contenuti nell'atto convenzionale ed amplia la portata dell'intervento normativo e dei suoi destinatari, nell'ottica del potenziamento infrastrutturale degli immobili oggetto di alienazione o concessione in uso oggetto dell'operazione".
Nello specifico, nel richiamato protocollo, ai sensi dell'articolo 3, il Ministro dell'interno ha assunto l'impegno di presentare una proposta normativa di modifica della legge n.38/2001 per le seguenti finalità: i) il trasferimento, a titolo gratuito, della proprietà della casa di cultura "Narodni Dom" alla Fondazione costituita da due associazioni rappresentative della minoranza linguistica slovena (l’Unione culturale economica slovena - SKGZ e la Confederazione delle organizzazioni slovene- SSO); ii) il trasferimento all’Università degli Studi di Trieste, a titolo gratuito, della proprietà dell’immobile denominato ex Ospedale Militare, già utilizzato come Casa dello Studente (in concessione ai sensi dell’art 10 del D.P.R. n.296/200; iii) il trasferimento da parte del Demanio dello Stato (rappresentato dall’Agenzia del Demanio), a titolo gratuito, della proprietà di alcuni immobili dell’Università degli Studi di Trieste (individuati negli edifici siti in Trieste rispettivamente alla via Manzoni 16/ via Gambini 6, alla via Economo 4 e alla via Tigor 22), per essere destinati al soddisfacimento di prioritari interessi dello Stato.
L'articolo 8, comma 1, lettera a): i) ribadisce, al primo periodo, che la casa di cultura "Narodni Dom" di Trieste - rione San Giovanni, costituita da edificio e accessori, di proprietà della Regione Friuli-Venezia Giulia (l'unica differenza con il testo previgente riguardava la previsione del trasferimento del medesimo immobile alla regione Friuli Venezia Giulia, nel frattempo intervenuto); ii) al secondo periodo, si dispone che nell'edificio di Corso Verdi, già "Trgovski dom", di Gorizia trovano sede istituzioni culturali e scientifiche sia di lingua slovena (a partire dalla Narodna in studijska Knjiznica - Biblioteca degli studi di Trieste) sia di lingua italiana. Ciò, previa intesa tra la Regione e il Ministero dell'economia e delle finanze compatibilmente con le funzioni attualmente ospitate "nei medesimi edifici". Tenuto conto che la norma si riferisce al solo edificio già "Trgovski dom", si valuti l'opportunità di fare riferimento alle funzioni ospitate "nel medesimo edificio".
La disposizione contenuta nel secondo periodo novella la norma previgente espungendo il riferimento all'edificio già «Narodni dom». In precedenza si prevedeva infatti che anche tale edificio fosse destinato a tale funzione e che le attività delle predette istituzioni di lingua slovena e italaina operassero "compatibilmente con le funzioni attualmente ospitate nei medesimi edifici". Si tratta di una modifica di coordinamento normativo, al fine di tener conto del trasferimento della proprietà di tale immobile alla richiamata Fondazione rappresentativa della minoranza linguistica slovena disposto al comma 1-bis (v.infra).
Il comma 1, alla lettera b), inserisce, all'articolo 19 della legge n.38/2001, dopo il comma 1, i commi da 1-bis) a 1-quinquies).
Il comma 1-bis) dispone il trasferimento, a titolo gratuito, della proprietà del richiamato l'edificio già "Narodni Dom" dall'Università degli studi di Trieste alla "Fondazione - Fundacjia Narodni Dom", costituita dall'Unione culturale economica slovena (Slovenska Kulturno- Gospodarska Zveza) e dalla Confederazione delle organizzazioni slovene (Svet Slovenskih Organizacij).
Nella relazione tecnica si quantifica il valore dell'edifico in circa 9 milioni di euro, che è pari allo stanziamento che l'articolo in esame (si veda il comma 3, v. infra) riserva alla riqualificazione dell'immobile denominato "ex ospedale militare", determinando così una compensazione in termini di variazione del patrimonio dell'Università di Trieste.
Contestualmente a detto trasferimento, il comma 1-ter) dispone che l'immobile denominato "ex Ospedale militare", sito in Trieste, sia concesso in uso gratuito e perpetuo all'Università degli studi di Trieste, per le esigenze del medesimo Ateneo. Come già anticipato, tale immobile è utilizzato come casa dello studente in concessione (ai sensi dell'articolo 10 del DPR n.296/2005).
Come si evince dalla relazione illustrativa, l'immobile è attualmente concesso all'Università a titolo gratuito ai sensi dell'articolo 10 del DPR n.296/2005, recante «Regolamento concernente i criteri e le modalità di concessione in uso e in locazione dei beni immobili appartenenti allo Stato». Quest'ultimo prevede un termine temporale di durata della concessione e oneri di ordinaria e straordinaria manutenzione a carico del concessionario.
Ai sensi del comma 1-quater), l'edificio denominato "Gregoretti 2", sito in Trieste, è concesso in uso gratuito e perpetuo all'Università degli studi di Trieste, per le esigenze del medesimo Ateneo. Come si evince dal citato Protocollo, l'edificio è destinato ad ospitare la Scuola di studi in lingue moderne per interpreti e traduttori dell'Università degli studi di Trieste, che come detto ha attualmente sede nell'edificio già "Narodni Dom".
Si segnala che ai sensi del combinato disposto degli articoli 4, 5 e 6 del Protocollo, per tale immobile si prevedono attività di recupero e valorizzazione da effettuare con iniziative di competenza del Comune di Trieste e con il sostegno economico del Ministero dell'Università e della ricerca (cfr. i commi 2 e 3 dell'articolo in esame, v. infra).
Il comma 1-quinquies) dispone che le richiamate operazioni di trasferimento (di cui ai commi 1-bis, 1-ter e 1-quater) sono esenti da oneri fiscali.
Il comma 1, alla lettera c), abroga il comma 2 dell'articolo 19 della citata legge n.38 del 2001, che demandava al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri l'esercizio di un potere sostitutivo nel caso in cui non fosse raggiunta l'intesa entro i successivi 5 anni. Tale disposizione appare superata in considerazione del lasso di tempo trascorso. Inoltre nella relazione illustrativa si prospetta che tale potere possa altresì essere eccessivamente invasivo dell'autonomia regionale.
Il comma 2 dell'articolo in commento individua le risorse per gli interventi di riqualificazione ovvero di manutenzione straordinaria degli immobili (si valuti di aggiungere: "di proprietà") dell’Università degli studi di Trieste o concessi alla stessa in uso perpetuo e gratuito per lo svolgimento delle proprie attività istituzionali. A tal fine, è autorizzata la spesa di 3 milioni di euro per l’anno 2022 e di 2 milioni di euro annui dall’anno 2023 all’anno 2031. Ai relativi oneri si provvede mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2021-2023, nell’ambito del programma “Fondi di riserva speciale” della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2021, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’università e della ricerca.
Il comma 3 desina 2 milioni di euro per l’anno 2021 e 7,054 milioni per l’anno 2022 all’Università degli studi di Trieste per la rifunzionalizzazione dell’immobile denominato “ex Ospedale militare”. Nella relazione tecnica si evince che gli interventi sono già stati posti in essere, per una spesa complessiva di circa 16,5 milioni di euro, di cui una quota (pari a circa 9 milioni) è stata sostenuta dall'Università. Come già segnalato (v.supra), il finanziamento in esame mira a controbilanciare la perdita patrimoniale dell'università subita con il venir meno della proprietà dell'edificio Narodni Dom (il cui valore è valutato pari a circa 9 milioni).
Ai relativi oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale richiamato al comma 2.
Il comma 4 demanda ad un'intesa tra la richiamata Fondazione Narodni Dom e l’Università degli studi di Trieste la definizione delle modalità del trasferimento della Scuola di Studi in lingue moderne per interpreti e traduttori dell’Università degli studi di Trieste, nonché l’individuazione degli spazi assegnati a titolo gratuito alla medesima Università nelle more del medesimo trasferimento e di quelli da porre nella immediata disponibilità della Fondazione. Tale intesa, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, è volta a consentire alla Fondazione la progressiva immissione nel possesso dell’edificio già “Narodni Dom”.
Come accennato, il comma 4-bis, inserito nel corso dell’esame al Senato, concerne il monitoraggio degli interventi di cui al presente articolo.
Esso stabilisce gli interventi in oggetto siano identificati con un Codice Unico di Progetto (CUP) ai sensi dell'art. 11 della legge n. 3 del 2003 e sottoposti al monitoraggio previsto dal decreto legislativo n. 229 del 2011.
Il sistema di monitoraggio previsto dal D.Lgs. 229/2011
Il D.Lgs. 229/2011 delinea specifici obblighi informativi e di monitoraggio per le amministrazioni pubbliche e per tutti i soggetti, anche privati, che realizzano opere pubbliche. Il decreto opera anche un coordinamento con gli adempimenti previsti dal Codice dei contratti pubblici in merito alla trasmissione dei dati all’autorità di vigilanza.
Il monitoraggio ha tra l'altro ad oggetto "le informazioni anagrafiche, finanziarie, fisiche e procedurali relative alla pianificazione e programmazione delle opere e dei relativi interventi, nonché all'affidamento ed allo stato di attuazione di tali opere ed interventi, a partire dallo stanziamento iscritto in bilancio fino ai dati dei costi complessivi effettivamente sostenuti in relazione allo stato di avanzamento delle opere" (art. 1, co. 1, lett.a)).
Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 26 febbraio 2013 sono stati definiti i dati relativi alle opere pubbliche costituenti il contenuto informativo minimo dei sistemi gestionali informatizzati che le Amministrazioni e i soggetti aggiudicatori devono detenere e comunicare alla Banca dati delle amministrazioni pubbliche (BDAP).
L'art. 5 del D.Lgs. 229/2011 specifica che tali informazioni, in relazione alla singola opera, devono comunque includere i seguenti dati: "data di avvio della realizzazione, localizzazione, scelta dell'offerente, soggetti correlati, quadro economico, spesa e varie fasi procedurali di attivazione della stessa, valori fisici di realizzazione previsti e realizzati, stato di avanzamento lavori, data di ultimazione delle opere, emissione del certificato di collaudo provvisorio e relativa approvazione da parte della Stazione appaltante, il codice unico di progetto e il codice identificativo di gara".
Si ricorda, inoltre, che l’art. 13 del D.L. 109/2018 ha istituito, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l'archivio informatico nazionale delle opere pubbliche (AINOP) al fine (esplicitato nel comma 8) di garantire un costante monitoraggio dello stato e del grado di efficienza delle opere pubbliche, in particolare per i profili riguardanti la sicurezza, anche tramite le informazioni rivenienti dal Sistema di monitoraggio dinamico per la sicurezza delle infrastrutture stradali e autostradali previsto (in via sperimentale) dall’art. 14 del medesimo decreto.
In base a quanto stabilito dall’art. 13, comma 2, nell’AINOP sono indicati, per ogni opera pubblica, tra l’altro, i costi sostenuti e da sostenere, i finanziamenti disponibili, nonché lo stato dei lavori e il monitoraggio costante dell'opera.
Sulla base dei dati forniti, l'AINOP genera un codice identificativo della singola opera pubblica (IOP), che contraddistingue e identifica in maniera univoca l'opera medesima riportandone le caratteristiche essenziali e distintive quali la tipologia, la localizzazione, l'anno di messa in esercizio e l'inserimento dell'opera nell'infrastruttura. A ciascuna opera pubblica, identificata tramite il Codice IOP, sono riferiti tutti gli interventi di investimento pubblico, realizzativi, manutentivi, conclusi o meno, che insistono in tutto o in parte sull'opera stessa, tramite l'indicazione dei rispettivi Codici Unici di Progetto (CUP), di cui all'art. 11 della legge n. 3 del 2003.
L'art. 11 della legge n. 3 del 2003 prevede, per la funzionalità della rete di monitoraggio degli investimenti pubblici, che ogni nuovo progetto di investimento pubblico, nonché ogni progetto in corso di attuazione alla predetta data, sia dotato del CUP. Con la delibera CIPE 27 dicembre 2002, n. 143, sono state definite le modalità di attribuzione del Codice.
In tal modo l’AINOP, attraverso la relazione istituita fra Codice IOP e CUP, assicura l'interoperabilità con la BDAP.
L'articolo 9 del decreto-legge - il quale estende la base giuridica del trattamento di dati personali effettuato per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri, ed a fronte ridisegna alcuni correlativi poteri del Garante per la protezione dei dati personali - è stato riscritto dal Senato in prima lettura in misura assai estesa. Si dà qui conto di tale riformulazione.
Il comma 1, lettera a), numero 1 novella l'articolo 2-ter del Codice in materia dei dati personali, recato dal decreto legislativo n. 196 del 2003.
Quell'articolo è intitolato: "Base giuridica per il trattamento di dati personali effettuato per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri".
Com'è noto, il trattamento dei dati personali, perché sia lecito, deve fondarsi sul consenso dell'interessato o su altra base legittima prevista dal regolamento europeo generale sulla protezione dei dati (Regolamento UE n. 679 del 2016), o dal diritto dell'Unione o degli Stati membri come indicato nel medesimo regolamento.
Il citato articolo 2-ter del Codice della privacy italiano prevedeva al comma 1 - nel testo previgente rispetto al presente decreto-legge - che la base giuridica per il trattamento dei dati personali oggetto di quel medesimo articolo, sia costituita esclusivamente da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento.
La novella modifica tale generale previsione.
Aggiunge infatti la previsione - per quanto riguarda la base giuridica del trattamento dei dati personali effettuato per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri - che siffatta base giuridica possa essere costituita anche da "atti amministrativi generali", nei casi previsti dalla legge. Così la riscrittura della disposizione, quale operata dal Senato.
Si determinerebbe fin qui sì un'estensione rispetto al dettato dell'articolo 2-ter, comma 1 del decreto-legislativo n. 196 del 2003 quale previgente rispetto al decreto-legge n. 139 del 2021 - il quale prevedeva come base legale esclusivamente una norma di legge o nei casi previsti dalla legge, di regolamento - tuttavia meno ampia di quella posta dal testo originario di questo articolo del decreto-legge n. 139, dal momento che si viene a richiedere, comunque, un atto amministrativo generale.
Peraltro, la distinzione sopra ricordata tra nuova emendata ed originaria previsione del presente articolo 9 si assottiglia, giacché il suo comma 1, lettera a), numero 2) - inserito dal Senato - introduce (ancora nell'articolo 2-ter del decreto legislativo n. 196 del 2003) un comma 1-bis, in cui si prevede che il trattamento dei dati personali sia "anche" consentito se necessario per l'adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l'esercizio di pubblici poteri a essa attribuiti.
Continua a trattarsi, come già nel testo originario, di trattamento dei dati personali da parte di un'amministrazione pubblica nonché da parte di una società a controllo pubblico statale o locale (limitatamente ai gestori di servizi pubblici), con esclusione, per le società pubbliche, dei trattamenti correlati ad attività svolte in regime di libero mercato.
I soggetti pubblici qui considerati sono le amministrazioni pubbliche (quali enumerate dall'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001), ivi comprese le Autorità indipendenti e le amministrazioni inserite nel conto economico consolidato ai sensi della legge di contabilità e finanza pubblica, il cui elenco è fornito annualmente dall'Istat (cfr. articolo 1, comma 3, della legge n. 196 del 2009), nonché le società a controllo pubblico statale di cui all'articolo 16 del decreto legislativo n. 175 del 2016 (con esclusione - per le società pubbliche - dei trattamenti correlati ad attività svolte in regime di libero mercato).
Si viene ad includere peraltro, con la riformulazione approvata dall'altro ramo del Parlamento, menzione delle società a controllo pubblico locale, limitatamente ai gestori di servizi pubblici.
Rimane fermo ogni altro obbligo previsto dal Regolamento europeo e dal Codice in materia di protezione dei dati personali.
Non è ribadita - rispetto al testo originario del decreto-legge - la prescrizione che il soggetto pubblico abbia l'obbligo di indicare la finalità del trattamento - se non espressamente prevista da una norma di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento - "in coerenza al compito svolto o al potere esercitato"; e che sia tenuto ad assicurare adeguata pubblicità sia all'identità del titolare del trattamento sia alle finalità del trattamento; e debba fornire ogni altra informazione necessaria ad assicurare un trattamento "corretto e trasparente", con riguardo ai soggetti interessati e ai loro diritti di ottenere conferma e comunicazione di un trattamento di dati personali che li riguardino.
Tuttavia si introduce la previsione che le disposizioni di questo comma 1-bis siano esercitate nel rispetto dell'articolo 6 del Regolamento europeo n. 679 del 2016, in modo da assicurare che non si arrechi pregiudizio effettivo e concreto alla tutela dei diritti e delle libertà degli interessati.
Vale ricordare come, ai sensi della sovraordinata fonte europea in materia di protezione dei dati personali (il citato Regolamento UE 2016/679), il trattamento è lecito "solo se e nella misura in cui ricorra" almeno una delle condizioni lì enumerate, tra le quali figura: "il trattamento è necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento" (articolo 6, par. 1, lettera e)).
Tra i "considerando" che corredano in premessa il Regolamento UE 2016/679, il n. 41 riporta che, qualora il medesimo regolamento faccia riferimento a una base giuridica (e tale è il caso del trattamento dei dati personali) o a una misura legislativa, "ciò non richiede necessariamente l'adozione di un atto legislativo da parte di un Parlamento, fatte salve le prescrizioni dell'ordinamento costituzionale dello Stato membro interessato".
Il n. 45 recita: "È opportuno che il trattamento [...] necessario per l'esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o per l'esercizio di pubblici poteri sia basato sul diritto dell'Unione o di uno Stato membro. Il presente regolamento non impone che vi sia un atto legislativo specifico per ogni singolo trattamento. Un atto legislativo può essere sufficiente come base per più trattamenti effettuati conformemente a un obbligo giuridico cui è soggetto il titolare del trattamento o se il trattamento è necessario per l'esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o per l'esercizio di pubblici poteri. Dovrebbe altresì spettare al diritto dell'Unione o degli Stati membri stabilire la finalità del trattamento [...]".
Il n. 50 aggiunge: "Il trattamento dei dati personali per finalità diverse da quelle per le quali i dati personali sono stati inizialmente raccolti dovrebbe essere consentito solo se compatibile con le finalità per le quali i dati personali sono stati inizialmente raccolti. In tal caso non è richiesta alcuna base giuridica separata oltre a quella che ha consentito la raccolta dei dati personali. Se il trattamento è necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o per l'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento, il diritto dell'Unione o degli Stati membri può stabilire e precisare le finalità e i compiti per i quali l'ulteriore trattamento è considerato lecito e compatibile. L'ulteriore trattamento a fini di archiviazione nel pubblico interesse, o di ricerca scientifica o storica o a fini statistici dovrebbe essere considerato un trattamento lecito e compatibile. La base giuridica fornita dal diritto dell'Unione o degli Stati membri per il trattamento dei dati personali può anche costituire una base giuridica per l'ulteriore trattamento [...]".
Ancora del comma 1, lettera a), di questo articolo 9 del decreto-legge, i numeri 3 e 4 pongono novelle connesse alle previsioni sopra ricordate poste dai numeri 1 e 2.
In particolare, il numero 3 incide sul comma 2 del citato articolo 2-ter del Codice.
Tale comma del Codice prevedeva che, in assenza di base giuridica del trattamento di dati costituita da norma di legge o di regolamento, la comunicazione fra titolari che effettuino trattamenti di dati personali fosse ammessa quando comunque necessaria per lo svolgimento di compiti di interesse pubblico e lo svolgimento di funzioni istituzionali, tuttavia a condizione che fosse decorso il termine di quarantacinque giorni dalla relativa comunicazione al Garante, senza che quest'ultimo avesse adottato una diversa determinazione delle misure da adottarsi a garanzia degli interessati.
Siffatta previsione è ora soppressa.
Per questo riguardo, la lettura presso l'altro ramo del Parlamento non ha variato il testo originario del decreto-legge.
Il numero 4 incide sul comma 3 del citato articolo 2-ter del Codice.
In tal modo, estende ai trattamenti sopra considerati - ossia condotti dai ricordati soggetti pubblici con necessità per l'adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l'esercizio di pubblici poteri loro attribuiti - la legittimazione alla diffusione e comunicazione di dati personali, trattati in quell'ambito di pubblico interesse o pubblico potere, a soggetti che intendano trattarli per altre finalità.
Secondo modificazione approvata dal Senato si prospetta tuttavia che in tale caso - della diffusione e la comunicazione di dati personali a soggetti che intendano trattarli per altre finalità - sia data notizia al Garante almeno dieci giorni prima della diffusione e la comunicazione di dati personali, se appunto trattati per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri benché in assenza di base normativa primaria o secondaria o di base amministrativa generale.
Secondo il lessico normativo di riferimento, per "comunicazione" si intende la resa a conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati; per "diffusione", la resa a conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione.
La lettera b), numero 1 - con formulazione assente nel testo originario del decreto-legge - estende l'ampliamento della base giuridica del trattamento agli atti amministrativi generali (secondo la previsione introdotta dal Senato, ricordata in avvio), per i dati di cui all'articolo 2-sexies del Codice della privacy (che fa rinvio all'art. 9, par. 1, del Regolamento europeo).
Si tratta di categorie particolari di dati personali (ad esempio di sanità pubblica, medicina del lavoro, archiviazione nel pubblico interesse o per ricerca scientifica o storica o a fini statistici).
Rimane fermo che le previsioni di legge, regolamento o atto amministrativo generale di tale trattamento siano tenute a specificare i tipi di dati che possano essere trattati, le operazioni eseguibili e il motivo di interesse pubblico rilevante, nonché le misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato (come dispone l'articolo 2-sexies del Codice).
Così come rimane ferma la previsione d'avvio dell'articolo 9 del Regolamento europeo, secondo cui "è vietato trattare dati personali che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona".
Ancora della lettera b), il numero 2 - introdotto dal Senato - reca novella previsione concernente il trattamento di dati personali relativi alla salute.
Si prevede (qual comma 1-bis così introdotto nell'articolo 2-sexies nel Codice della privacy) che tali dati - i quali debbono essere "privi di elementi identificativi diretti" - siano trattati, nel rispetto delle finalità istituzionali di ciascuno, dal Ministero della salute, dall'Istituto superiore di sanità, dall'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, dall'Agenzia italiana del farmaco, dall'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà, dalle Regioni relativamente ai propri assistiti, anche mediante l'interconnessione a livello nazionale dei sistemi informativi su base individuale del Servizio sanitario nazionale (ivi incluso il Fasciolo sanitario elettronico), con finalità compatibili con quelle inerenti al trattamento.
Le relative modalità e finalità sono determinate con decreto del Ministro della salute, previo parere del Garante.
La lettera c) - invariata rispetto al testo originario del decreto-legge - dispone l'abrogazione dell'articolo 2-quinquesdecies del Codice della privacy.
Quell'articolo è intitolato: "Trattamento che presenta rischi elevati per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico".
Secondo tale disposizione - ora abrogata - il Garante per la protezione dei dati personali - nel caso di trattamenti di dati personali svolti per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico, tali da poter presentare un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche - era titolare di un potere di adottare d'ufficio provvedimenti di carattere generale, prescriventi misure e accorgimenti a garanzia dell'interessato, ed il titolare del trattamento dei dati era tenuto ad adottare tali misure.
La previsione di tale potestà prescrittiva del Garante - che fu inserita nel Codice della privacy dal decreto legislativo n. 101 del 2018, recante disposizioni per l'adeguamento della normativa nazionale al Regolamento (UE) 2016/679 relativo alla protezione delle persone fisiche, con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati - è dunque ora soppressa.
Di quel Regolamento europeo, gli articoli 35 e 36 prevedono, si ricorda, sia una valutazione - da parte del titolare del trattamento dei dati - del trattamento sulla protezione dei dati personali, quando esso possa importare (considerati la sua natura, l'oggetto, il contesto, le finalità, l'utilizzo di nuove tecnologie) un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone fisiche, sia una consultazione preventiva in tali casi dell'autorità di controllo, la quale - ove essa ritenga che il trattamento violi il regolamento europeo, in particolare se il titolare del trattamento non abbia identificato o attenuato sufficientemente il rischio - fornisce (entro un termine predeterminato) un parere scritto al titolare del trattamento, con facoltà dell'autorità di avvalersi dei poteri di indagine, correttivi, consultivi e se previsti autorizzativi (di cui all'articolo 58 del citato regolamento europeo). L'autorità di controllo inoltre redige e rende pubblico un elenco delle tipologie di trattamenti soggetti al requisito di una valutazione d'impatto
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(e può redigere e rendere pubblico un elenco delle tipologie di trattamenti per le quali, viceversa, non sia richiesta una valutazione d'impatto sulla protezione dei dati).
L'articolo 36, par. 5 del medesimo regolamento europeo (UE) 2016/679 prevede: "il diritto degli Stati membri può prescrivere che i titolari del trattamento consultino l'autorità di controllo, e ne ottengano l'autorizzazione preliminare, in relazione al trattamento da parte di un titolare del trattamento per l'esecuzione, da parte di questi, di un compito di interesse pubblico, tra cui il trattamento con riguardo alla protezione sociale e alla sanità pubblica".
È a tale fattispecie che si connette la previsione dell'articolo 2-quinquiesdecies del Codice, che mutava tale facoltà in prescrizione positiva. Con l'intervenuta abrogazione, afferma la relazione introduttiva del disegno di legge di conversione, "si ritiene di esercitare diversamente la facoltà che l'articolo 36, paragrafo 5 del Regolamento [europeo] concede agli Stati membri".
La lettera d) - introdotta dal Senato - viene a concernere (mediante novelle all'articolo 58 del Codice della privacy) i trattamenti di dati personali per fini di sicurezza nazionale o difesa, loro estendendo, del pari, la previsione degli atti amministrativi generali, quali integranti la base giuridica del trattamento.
La lettera e) modifica l'articolo 132, comma 5 del Codice della privacy - comma invece abrogato secondo il testo originario del decreto-legge.
Pertanto 'rivive', nella riformulazione approvata dal Senato in prima lettura, la previsione che il trattamento dei dati relativi al traffico telefonico conservati dal fornitore per ventiquattro mesi dalla data della comunicazione (o dei dati relativi al traffico telematico, in tal caso conservati per dodici mesi) per finalità di accertamento e repressione di reati, sia effettuato nel rispetto delle misure e degli accorgimenti a garanzia dell'interessato prescritti dal Garante - con provvedimento "di carattere generale", è specificato nel testo trasmesso dall'altro ramo del Parlamento.
Dunque per questo delimitato perimetro può dirsi mantenuta in capo al Garante una potestà provvedimentale, per altri riguardi investita dall'abrogazione dell'articolo 2-quinquiesdecies del Codice.
Peraltro la prima delle due reviviscenti disposizioni sopra ricordate deve essere raccordata con la nuova previsione, che l'emendamento pone altrove, relativa al parere del Garante nella consultazione preventiva. Ma su questo v. infra la lettera i).
La lettera f) - invariata nel contenuto rispetto al testo originario del decreto-legge - reca previsione di mero coordinamento, espungendo dall'articolo 137, comma 2 del Codice della privacy, il richiamo ai provvedimenti generali del Garante di cui all'articolo 2-quinquiesdecies del medesimo Codice - articolo quest'ultimo che, come si è ricordato, viene ora abrogato.
Peraltro già il comma 2 dell'articolo 137 qui inciso prevedeva la inapplicabilità di tali provvedimenti del Garante ai trattamenti dei dati qui considerati, ossia: effettuati nell'esercizio della professione di giornalista e per l'esclusivo perseguimento delle relative finalità; o effettuati dai soggetti iscritti nell'elenco dei pubblicisti o nel registro dei praticanti; o finalizzati esclusivamente alla pubblicazione o diffusione anche occasionale di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero, anche nell'espressione accademica, artistica e letteraria.
Si rinvia all'apposita scheda di lettura infra per le disposizioni relative al "Revenge Porn".
Così come si rinvia ad altra scheda di lettura infra per le disposizioni recate dalle lettere h) ed l).
La lettera i) ancora del comma 1 - lettera assente nel testo originario del decreto-legge, introdotta dal Senato - pone previsione relativa al parere del Garante nella consultazione preventiva da parte del titolare del trattamento, qualora la valutazione d'impatto sulla protezione dei dati indichi che il trattamento presenterebbe un rischio elevato per i diritti e le libertà delle persone, in assenza di misure adottate dal titolare del trattamento per attenuare il rischio.
Siffatta novella è formulata quale comma 5-bis e 5-ter dell'articolo 154 (relativo ai compiti del Garante) del Codice.
Si prevede che tale parere nella consultazione preventiva in caso di rischio elevato sia reso dal Garante nei soli casi in cui la legge o il regolamento disciplinino espressamente le modalità del trattamento, descrivendo una o più operazioni, compiute con o senza l'ausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali o insiemi di dati personali (come ad esempio la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l'adattamento o la modifica, l'estrazione, la consultazione, l'uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l'interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione), nonché nei casi in cui la norma di legge o di regolamento autorizzi espressamente un trattamento di dati personali da parte di soggetti privati senza rinviare la disciplina delle modalità del trattamento a fonti sotto ordinate.
Inoltre, quando il Presidente del Consiglio dei ministri dichiari che ragioni di urgenza non consentono la consultazione preventiva, e comunque nei casi di adozione di decreti-legge, si prevede che il Garante esprima il parere in una fase non più preliminare ma successiva, vale a dire in sede di esame parlamentare dei disegni di legge o delle leggi di conversione dei decreti-legge o in sede di vaglio definitivo degli schemi di decreto legislativo sottoposti al parere delle Commissioni parlamentari.
La lettera m), numero 1 reca previsione di mero coordinamento, giacché conseguente alla ricordata abrogazione dell'articolo 2-quinquiesdecies del Codice della privacy.
È qui inciso l'articolo 166, comma 1 del Codice, là dove annoverava le violazioni a quell'articolo 2-quinquiesdecies tra quelle soggette a sanzione amministrativa pecuniaria.
Tale richiamo a quell'abrogata disposizione è ora soppresso.
Analoga novella è dettata dalla lettera n), incidente sull'articolo 167, comma 2 del Codice, là dove annoverava le violazioni a quell'articolo 2-quinquiesdecies - perpetrate al fine di trarre per sé o per altri profitto ovvero di arrecare danno all'interessato, procedendo al trattamento dei dati personali - tra quelle punite con la reclusione da uno a tre anni.
Per questi riguardi, il testo originario del decreto-legge è invariato.
La lettera m) sopra ricordata reca altresì i numeri 2 e 3, assenti nel testo originario ed introdotti dal Senato.
Si tratta di due aggiuntive previsioni, introdotte nell'articolo 166 (recante criteri di applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie e procedimento per l'adozione dei provvedimenti correttivi e sanzionatori) del Codice.
La prima integra il comma 5 di quell'articolo 166, il quale prevede che l'Ufficio del Garante, quando ritenga che gli elementi acquisiti configurino una violazione, avvia il procedimento per l'adozione dei provvedimenti correttivi e delle sanzioni, notificando al titolare o al responsabile del trattamento le presunte violazioni (salvo che la previa notifica della contestazione non risulti incompatibile con la natura e le finalità del provvedimento da adottare).
Ebbene, l'aggiuntiva disposizione prevede che tale notifica possa essere omessa - nei confronti dei titolari del trattamento effettuato per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri ovvero per fini di sicurezza nazionale e di difesa ovvero a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali (cfr. rispettivamente l'art. 2-ter, comma 1-bis ora introdotto e l'art. 58 del Codice, e l'art. 1, comma 1 del decreto legislativo n. 51 del 2018) - esclusivamente nel caso in cui il Garante abbia accertato che le presunte violazioni hanno già arrecato e continuano ad arrecare un effettivo, concreto, attuale e rilevante pregiudizio ai soggetti interessati al trattamento, che il Garante ha l'obbligo di individuare e indicare nel provvedimento, motivando puntualmente le ragioni dell'omessa notifica.
In assenza di tali presupposti, il giudice competente accerta l'inefficacia del provvedimento.
Altra aggiunta integra il comma 7 del medesimo articolo 166 del Codice, onde prevedere, quale possibile sanzione amministrativa accessoria, quella della pubblicazione della ingiunzione a realizzare campagne di comunicazione istituzionale, volte alla promozione della consapevolezza del diritto alla protezione dei dati personali, sulla base di progetti previamente approvati dal Garante e che tengano conto della gravità della violazione.
Ancora, nella determinazione della sanzione il Garante tiene conto anche di eventuali campagne di comunicazione istituzionale volte alla promozione della consapevolezza del diritto alla protezione dei dati personali, realizzate dal trasgressore anteriormente alla commissione della violazione.
La lettera o) - assente nel testo originario, introdotta dal Senato - infine modifica l'articolo 170 del Codice della privacy, relativo all'inosservanza di provvedimenti del Garante punita con la reclusione da tre mesi a due anni.
Si vengono a porre due condizioni, perché operi tale punibilità con la reclusione: un "concreto nocumento" a uno o più soggetti interessati al trattamento; la querela della persona offesa.
Il comma 2 si pone come disposizione di coordinamento, conseguente all'abrogazione dell'articolo 2-quinquiesdecies del Codice della privacy (nonché alla diversa previsione circa la 'legittimazione' al trattamento di dati personali necessario per l'adempimento di un compito svolto nel pubblico interesse o per l'esercizio di pubblici poteri attribuiti alla pubblica amministrazione).
Ne segue l'abrogazione - qui disposta - della disposizione transitoria dettata dall'articolo 22 del decreto legislativo n. 101 del 2018 (recante adeguamento al regolamento europeo generale sulla protezione dei dati n. 679 del 2016).
Esso prevedeva che fino all'adozione dei corrispondenti provvedimenti generali di cui al citato articolo 2-quinquiesdecies del Codice, i trattamenti lì previsti, che fossero già in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 101 del 2018, potessero proseguire qualora svolti in base a espresse disposizioni di legge o regolamento o atti amministrativi generali, ovvero nel caso in cui fossero stati sottoposti a verifica preliminare o autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, tali da individuare misure e accorgimenti adeguati a garanzia dell'interessato.
Introdotte dal Senato, quale comma 3 di questo articolo 9, sono altresì alcune modificazioni del decreto legislativo n. 101 del 2018, recante attuazione della direttiva europea n. 680 del 2016 (relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati).
Le novelle all'articolo 5 di quel decreto legislativo n. 51, qui dettate, traspongono al suo interno l'estensione agli atti amministrativi generali della base giuridica del trattamento, da un lato; dall'altro retrocedono da regolamento governativo a decreto ministeriale (della giustizia o dell'interno) l'atto di determinazione - per i trattamenti o le categorie di trattamenti non occasionali, riguardanti i dati sopra ricordati - dei termini (ove non già stabiliti da disposizioni di legge o di regolamento), le modalità di conservazione dei dati, i soggetti legittimati ad accedervi, le condizioni di accesso, le modalità di consultazione, nonché le modalità e le condizioni per l'esercizio dei diritti dell'interessato quali l'accesso, la rettifica, la rimozione, la limitazione del trattamento.
Le modificazioni dell'articolo 45 del medesimo decreto legislativo n. 51 del 2018 ricalcano quelle sopra ricordate (a proposito della lettera o) del comma 1) circa la punibilità con la reclusione dell'inosservanza di provvedimenti del Garante con la reclusione.
Dunque si prescrive la presenza di un concreto nocumento arrecato ad uno o più interessati e la querela della parte offesa.
Un ultimo ordine di novelle - recate dal comma 4 - incide l'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2020. Si rinvia all'apposita scheda di lettura infra.
Seguono alcune disposizioni transitorie e finali (introdotte dal Senato).
Il comma 5 prevede che le modifiche ora introdotte nel Codice relative circa alcuni trattamenti - ossia: se effettuato per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri (art. 2-ter del Codice); di dati personali relativi alla salute (art. 2-sexies); per fini di sicurezza nazionale o difesa (art. 58) - si applichino anche ai casi in cui disposizioni di legge già in vigore rinviino a determinazioni di regolamento.
Il comma 6 prevede che in fase di prima attuazione, sia adempiuto nel termine di sei mesi dall'entrata in vigore della disposizione l'obbligo di indicazione o di pubblicazione del recapito, previsto in capo ai fornitori di servizi di condivisione di contenuti audiovisivi dall'articolo 144-bis, comma 6 del Codice (introdotto dal comma 1, lettera h) del presente articolo 9 del decreto-legge n. 139).
Trattamento dei dati personali da parte dell’Amministrazione pubblica nel perseguimento di un pubblico interesse: cenni comparatistici
FRANCIA
La disciplina della protezione dei dati personali è recata dalla cd. Loi Informatique et Libertés (legge n. 78 del 6 gennaio 1978 e successive modificazioni).
Tale legge prevede, tra l'altro, un'Autorità amministrativa indipendente quale garante: la Commission nationale de l'informatique et des libertés (composta da diciotto membri, tra i quali due deputati, due senatori e sei esponenti delle massime magistrature).
Perché il trattamento dei dati personali sia lecito, esso deve poggiare su una "base legale". L'articolo 5 della legge francese or ricordata, sulla falsariga del Regolamento europeo n. 679 del 2016, ne individua sei: consenso dell'interessato; obbligazione legale; contratto; missione di interesse pubblico; salvaguardia di interessi vitali (dell'interessato o di altra persona fisica); interesse legittimo (per soggetti altri dalle autorità pubbliche nell'esecuzione delle loro missioni).
In particolare, la legge francese menziona quale condizione di liceità del trattamento dei dati personali: "il trattamento è necessario all'esecuzione di una missione di interesse pubblico o rilevante ai fini dell'esercizio dell'autorità pubblica di cui è investito il responsabile del trattamento".
Si tratta dunque di trattamenti effettuati da autorità pubbliche - o da organismi privati che perseguano una missione di interesse pubblico o siano dotati di prerogative ascrivibili a pubblica amministrazione.
E sono trattamenti "necessari" all'espletamento di quella missione di interesse pubblico o quell'esercizio di pubblica autorità.
Nella disposizione di legge si intende che di "base legale" si tratti. Pertanto l'interesse pubblico non può essere 'presunto' dall'ente che procede al trattamento dei dati. Deve bensì avere una base giuridica, risiedente nel diritto europeo o interno.
Poiché il regolamento europeo non specifica il livello normativo, se primario o meno, si intende che il diritto interno possa essere costituito, oltre che da norme di legge, da decreti o altro, ossia fonti di rango sub-legislativo.
Una specifica previsione è poi posta dall'articolo 31 della legge francese citata.
Esso prevede che in taluni casi particolari, il trattamento dei dati personali sia sì effettuabile, tuttavia ad alcune condizioni, di contenuto e procedimentali.
Si richiede infatti che il trattamento sia autorizzato con ordinanza ("arrêté") del ministro competente (o ministri), resa pubblica, previo parere dell'Autorità garante motivato e pubblicato.
E si richiede che il trattamento sia effettuato per conto dello Stato e interessi la sicurezza dello Stato, la difesa o la sicurezza pubblica; oppure abbia ad oggetto la prevenzione, la ricerca, la constatazione o la persecuzione delle infrazioni penali o l'esecuzione delle condanne penale o delle misure di sicurezza.
Infine l'articolo 32 della legge prevede che sia autorizzato con decreto del Consiglio di Stato, previo parere dall'Autorità garante, il trattamento effettuato per conto dello Stato nell'esercizio delle sue prerogative di pubblica amministrazione, per i dati genetici o biometrici necessari all'autenticazione o al controllo dell'identità delle persone.
GERMANIA
La Germania ha riformato la Legge federale per la protezione dei dati personali (Bundesdatenschutzgesetz - BDSG) nel 2017 (cfr. Gazzetta Ufficiale BGBl 2017, 2097, entrata in vigore il 25 maggio 2018).
Con tale riforma il legislatore tedesco ha adeguato il diritto interno non solo alle previsioni del nuovo Regolamento europeo n. 679 del 2016, ma anche alla Direttiva europea n. 680 del 2016 relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali al fine di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali.
Tale duplice scopo si riflette sulla lunghezza del provvedimento: il BDSG si compone di 86 paragrafi, ciò che lo rende nettamente più corposo rispetto al previgente testo normativo.
La Germania vanta una consolidata tradizione in materia di protezione dei dati personali - il primo atto normativo in materia risale al 1970 - e la legislazione in materia di protezione dei dati personali tedesca gode di un enforcement piuttosto capillare, tenuto conto che ciascun Land dispone del proprio Commissario per la protezione dei dati personali.
La citata Legge federale per la protezione dei dati personali si compone di quattro parti.
La prima parte contiene previsioni comuni, al fine di adeguare la normativa interna sia al regolamento europeo sia alla direttiva europea del 2016. Essa è a sua volta divisa in sei capitoli, contenenti rispettivamente le definizioni, la base giuridica per il trattamento dei dati personali, le autorità pubbliche responsabili del trattamento, la Commissione Federale per il trattamento dei dati personali, la partecipazione al Board europeo di protezione dei dati, infine le sanzioni.
La seconda parte contiene esclusivamente disposizioni di implementazione relative al trattamento. Anch'essa è suddivisa in sei capitoli, rispettivamente riguardanti le basi giuridiche per il trattamento dei dati, i diritti dei titolari, gli obblighi dei responsabili del trattamento, le autorità di supervisione per il trattamento dei dati da parte di soggetti privati e le sanzioni.
La terza parte riguarda l'adeguamento della normativa tedesca alla Direttiva europea n. 680 del 2016. La quarta parte reca due disposizioni particolari per il trattamento dei dati personali, nel contesto di attività che fuoriescono dall'ambito di applicazione dei due atti europei sopra menzionati.
Ai fini delle presenti note, rileva in particolare l'articolo 3 della Legge, concernente il "Trattamento dei dati personali da parte di organismi pubblici" ("Verarbeitung personenbezogener Daten durch öffentliche Stellen").
Vi si legge: "Il trattamento dei dati personali da parte di un organismo pubblico è consentito se necessario per l'adempimento di un compito di competenza del responsabile o nell'esercizio di pubblici poteri conferiti al responsabile" (§ 3: "Die Verarbeitung personenbezogener Daten durch eine öffentliche Stelle ist zulässig, wenn sie zur Erfüllung der in der Zuständigkeit des Verantwortlichen liegenden Aufgabe oder in Ausübung öffentlicher Gewalt, die dem Verantwortlichen übertragen wurde, erforderlich ist").
Tale disposizione di legge è dunque la base legale valevole in via generale per il trattamento dei dati riconducibile all'esercizio di pubblici poteri, nella misura in cui sia ad esso necessario.
SPAGNA
In Spagna il Regolamento europeo n. 679 del 2016 è stato trasposto nell'ordinamento interno tramite Ley Orgánica 3/2018, de 5 de diciembre, de Protección de Datos Personales y garantía de los derechos digitales, entrata in vigore il 7 dicembre 2018.
Questa legge consta di 97 articoli, strutturati in dieci Titoli, ventidue disposizioni aggiuntive, sei transitorie, una derogatoria e sedici disposizioni finali.
In particolare, l'articolo 8 della citata legge organica
[33]
concerne il "Trattamento dei dati per obbligo legale, interesse pubblico o esercizio di poteri pubblici".
Esso stabilisce - al comma 2 - che il trattamento dei dati personali può considerarsi fondato sull'adempimento di una missione svolta nell'interesse pubblico o nell'esercizio di pubblici poteri conferiti al responsabile (nei termini previsti dall'articolo 6.1.e) del Regolamento europeo n. 679 del 2016), "quando derivi da una competenza attribuita da una norma con rango di legge".
Il medesimo articolo 8 della legge organica spagnola prevede - al comma 1 - che il trattamento dei dati personali possa considerarsi fondato sull'adempimento di un obbligo legale in capo al responsabile (nei termini previsti dall'articolo 6.1.c) del Regolamento europeo n. 679 del 2016) quando sia previsto da una norma di legge dell'Unione Europea o da norma con rango di legge, che può determinare le condizioni generali del trattamento e le tipologie di dati oggetto dello stesso, nonché le cessioni conseguenza dell'adempimento dell'obbligo di legge. Tale norma può altresì imporre condizioni particolari al trattamento, quali l'adozione di ulteriori misure di sicurezza (o altre previste dal capo IV del regolamento europeo).
Relativamente alla figura dell'incaricato del trattamento ("Encargado del tratamiento"), può ricordarsi come l'articolo 33 della legge organica preveda, al comma 5
[34]
, che nell'ambito del settore pubblico, le competenze proprie di un responsabile del trattamento possono essere attribuite a un determinato organo dell'amministrazione generale dello Stato, dell'amministrazione delle Comunità Autonome, degli enti che costituiscono l'amministrazione locale o degli Organismi ad essi collegati o dipendenti, mediante l'adozione di un regolamento di tali competenze (che deve recepire il contenuto richiesto dall'articolo 28.3 del Regolamento europeo n. 679 del 2016).
L'articolo 9, comma 1, lett. g), attraverso una novella al Codice della privacy, potenzia la competenza del Garante al fine di prevenire la diffusione di materiali, foto o video, sessualmente espliciti.
La disposizione, più nel dettaglio, inserisce nel Codice della privacy (D.lgs. n. 196 del 2003) il nuovo articolo 144-bis, rubricato "Revenge porn".
Si ricorda che la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti configura un delitto, punito dall’art. 612-ter c.p. (introdotto dalla legge n. 69 del 2019, c.d. legge sul codice rosso) con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. In particolare, la norma penale punisce, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate. Il secondo comma dell'art. 612-ter prevede che si applichi la stessa pena prevista dal comma precedente a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. I commi terzo e quarto dell'art. 612-ter disciplinano una serie di circostanze aggravanti. In particolare, ai sensi del terzo comma della disposizione citata, la pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. Si tratta di circostanze speciali ad effetto comune, con aumento di pena, fino ad un terzo. Inoltre, in base all'art. 612 ter, quarto comma, la pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti sono commessi in danno di persona in condizione di inferiorità fisica o psichica o in danno di una donna in stato di gravidanza.
In particolare, a seguito dell’esame del disegno di legge di conversione in Senato, il nuovo art. 144-bis del Codice della privacy prevede, al comma 1, che chiunque, compresi i minori ultraquattordicenni, abbia fondato motivo di ritenere che immagini, audio, video o altri documenti informatici a contenuto sessualmente esplicito che lo riguardano, destinati a rimanere privati, possano essere oggetto di invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione attraverso piattaforme digitali, senza il suo consenso, può rivolgersi, mediante segnalazione, al Garante, il quale, entro 48 ore dal ricevimento della segnalazione decide ai sensi degli articoli 143 (Decisione del reclamo) e 144 (Segnalazioni).
L'applicazione dell'art. 143, comma 1, del Codice della privacy, riconosce la possibilità al Garante, esaurita l'istruttoria preliminare e se il reclamo non appare manifestamente infondato e sussistono i presupposti per adottare un provvedimento, di adottare provvedimenti immediati ai sensi dell’art. 58 del Regolamento UE 2016/679 (c.d. GDPR). Il Garante decide il reclamo entro nove mesi dalla data di presentazione e, in ogni caso, entro tre mesi dalla predetta data informa l'interessato sullo stato del procedimento. In presenza di motivate esigenze istruttorie, che il Garante comunica all'interessato, il reclamo è deciso entro dodici mesi. In caso di attivazione del procedimento di cooperazione, il termine rimane sospeso per la durata del predetto procedimento.
L'art. 144 del Codice della privacy, riconosce a chiunque la facoltà di rivolgere una segnalazione al Garante, che può valutarla anche ai fini dell'emanazione dei provvedimenti di cui all'articolo 58 GDPR.
L'articolo 58 del GDPR (Regolamento UE 2016/679) disciplina i poteri conferiti alle autorità di controllo – Garante Privacy – incaricate di “sorvegliare” la corretta applicazione del Regolamento privacy al fine di tutelare “i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche con riguardo al trattamento e di agevolare la libera circolazione dei dati personali all’interno dell’Unione”. In particolare all’autorità di controllo sono conferiti poteri di indagine, correttivi, autorizzativi e consultivi che comprendono il potere di rivolgere avvertimenti, ammonimenti, imporre una limitazione provvisoria o definitiva al trattamento, ordinare la rettifica, la cancellazione di dati personali o la limitazione del trattamento e infliggere una sanzione amministrativa pecuniaria.
È opportuno ricordare che un analogo intervento del Garante privacy è previsto dalla legge n. 71 del 2017 nel caso di atti di cyberbullismo. Nel dettaglio, l'art. 2 della legge, rubricato "Tutela della dignità del minore" prevede che il minore ultraquattordicenne, nonché il genitore ovvero l'esercente la responsabilità del minore che abbia subìto un atto di cyberbullismo, possa inoltrare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet o del social media un'istanza per l'oscuramento, la rimozione o il blocco di qualsiasi dato personale del minore diffuso nella rete internet, previa conservazione di dati originali. Qualora, entro le ventiquattro ore successive al ricevimento della predetta istanza, il soggetto responsabile non abbia comunicato di avere assunto l'incarico di provvedere all'oscuramento, alla rimozione o al blocco richiesto, ed entro le quarantotto ore non vi abbia provveduto, o comunque del caso in cui non sia possibile identificare il titolare del trattamento o il gestore del sito internet o dei social media, l'interessato può rivolgere analoga richiesta, mediante segnalazione o reclamo, al Garante per la protezione dei dati personali, il quale entro quarantotto ore dal ricevimento della richiesta provvede ai sensi degli artt. 143 e 144 del Codice della privacy.
Il comma 2 del nuovo art. 144-bis prevede che quando si tratta di dati personali di un minore, la segnalazione al Garante può essere effettuata da chi esercita la responsabilità genitoriale o la tutela.
Il comma 3 dell'articolo 144-bis precisa che l'invio al Garante delle immagini o dei video a contenuto sessualmente esplicito riguardanti soggetti terzi, effettuato dall'interessato, non integra il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti di cui all’art. 612-ter c.p.
Il Senato ha introdotto nell’art. 144-bis quattro ulteriori commi.
Ai sensi del nuovo comma 4, i gestori delle piattaforme digitali destinatari dei provvedimenti di cui al comma 1 conservano il materiale oggetto della segnalazione, a soli fini probatori e con misure indicate dal Garante, anche nell'ambito dei medesimi provvedimenti, idonee a impedire la diretta identificabilità degli interessati, per 12 mesi a decorrere dal ricevimento del provvedimento stesso.
Il nuovo comma 5 riconosce al Garante la facoltà, con proprio provvedimento, di disciplinare specifiche modalità di svolgimento dei procedimenti di cui al comma 1 e le misure per impedire la diretta identificabilità degli interessati di cui al medesimo comma.
Ai sensi del comma 6, i fornitori di servizi di condivisione di contenuti audiovisivi, ovunque stabiliti, che erogano servizi accessibili in Italia, sono tenuti ad indicare senza ritardo al Garante, o comunque a pubblicare sul proprio sito internet, un recapito al quale possono essere comunicati i provvedimenti adottati ai sensi del comma 1. In caso di inadempimento, il Garante diffida il fornitore del servizio ad adempiere entro 30 giorni. In caso di inottemperanza alla diffida è prevista l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10 milioni di euro o per le imprese, fino al 2% del fatturato mondiale totale annuo dell'esercizio precedente, se superiore (ex art. 83, paragrafo 4, del Regolamento GDPR).
Il comma 7 stabilisce che quando il Garante, a seguito della segnalazione, acquisisce notizia della consumazione o della tentata consumazione del reato di cui all'art. 612-ter c.p., nel caso di procedibilità di ufficio trasmette al PM la segnalazione ricevuta e la documentazione acquisita.
Si incrementano l'indennità dei componenti del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali, il trattamento economico del personale, il ruolo organico del personale, il numero degli avvalimenti in fuori ruolo o equiparati, il numero di impieghi a tempo determinato o incarichi consulenziali.
Il novero di queste disposizioni è stato introdotto dal Senato in prima lettura.
La novella lettera h) modifica l'articolo 153, comma 6 del Codice della privacy.
Con questa modifica, si equipara l'indennità di funzione degli altri tre componenti del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali a quella del Presidente (la quale è pari alla retribuzione in godimento al primo Presidente della Corte di cassazione).
Secondo la norma vigente, ai componenti compete invece una indennità pari ai due terzi di quella spettante al Presidente.
La novella proposta altresì specifica che siffatta indennità di funzione sia da ritenersi onnicomprensiva (ad esclusione del rimborso delle pese effettivamente sostenute e documentate in occasione di attività istituzionali).
La novella lettera l) modifica l'articolo 156 (Ruolo organico e personale del Garante per la protezione dei dati personali) del Codice della privacy.
Il ruolo organico del personale dipendente viene ad essere stabilito nel limite di 200 unità (anziché 162 unità, com'è nella disposizione vigente), a decorrere dal1° gennaio 2022.
Si equipara (mediante novella al comma 3, lettera d) dell'articolo 156 citato) il trattamento economico del personale del Garante a quello del personale dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Secondo la norma vigente, al personale è invece attribuito l'80 per cento del trattamento economico del personale dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Ancora: l'Ufficio può avvalersi, per motivate esigenze, di dipendenti dello Stato o di altre amministrazioni pubbliche o di enti pubblici collocati in posizione di fuori ruolo o equiparati nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, ovvero in aspettativa in numero non superiore, complessivamente, a 30 unità (anziché 20 unità, com'è nella disposizione vigente) (e per non oltre il venti per cento delle qualifiche dirigenziali, lasciando non coperto un corrispondente numero di posti di ruolo, aggiunge la disposizione vigente). Così la modifica al comma 4 dell'articolo 156 del Codice della privacy.
In aggiunta al personale di ruolo, l'Ufficio può assumere dipendenti con contratto a tempo determinato o avvalersi di consulenti incaricati (ai sensi dell'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, in misura comunque non superiore a 30 unità complessive (anziché 20 unità). Così la modifica al comma 5 dell'articolo 156 del Codice della privacy.
Complessivamente, l'autorizzazione di spesa per le modifiche sopra ricordate è pari a 8,35 milioni per il 2022; 11,14 milioni per il 2023, e via di seguito, secondo la modulazione recata dal comma 13 che si viene ad introdurre entro il corpo di questo articolo.
Tali risorse sono attinte dal Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione, iscritto nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze.
Del pari, si introduce un comma 14, secondo il quale un d.P.C.m. - da adottarsi entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge - è chiamato a definire meccanismi regolatori di armonizzazione della disciplina del trattamento economico entro le Autorità amministrative indipendenti.
L'elenco di tali Autorità indipendenti, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, si rinviene nell'elenco reso annualmente dall'ISTAT.
Il comma 4 dell'articolo 9 - comma inserito dal Senato - modifica ed integra una disciplina concernente il trattamento di dati personali da parte del Ministero della salute. Tale disciplina [35] , nella versione vigente, concerne i dati personali - anche relativi alla salute degli assistiti - raccolti nei sistemi informativi del Servizio sanitario nazionale ed autorizza il suddetto Ministero al relativo trattamento, al fine di sviluppare metodologie predittive dell’evoluzione del fabbisogno di salute della popolazione, demandando ad un decreto di natura regolamentare del Ministro della salute - adottato previo parere del Garante per la protezione dei dati personali - la definizione delle norme attuative. Le novelle in esame prevedono che il decreto sia invece di natura non regolamentare - fermo restando il parere del suddetto Garante - (lettera b)), estendono (lettera a)), con riferimento a dati personali non sanitari, l'ambito delle norme di rango legislativo in esame e del relativo decreto attuativo e pongono una norma transitoria (lettera c)), valida nelle more dell'emanazione del medesimo decreto.
La novella di cui alla lettera a) prevede che, con le modalità e nei limiti stabiliti dal decreto attuativo summenzionato [36] , il Ministero della salute sia autorizzato - al fine suddetto di sviluppare metodologie predittive dell’evoluzione del fabbisogno di salute della popolazione - a trattare anche i dati personali non relativi alla salute necessari a garantire l'effettivo perseguimento della finalità suddetta, anche con riferimento all'attuazione degli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza concernenti la missione "Salute" (missione M6 del Piano) [37] . A tal fine, la novella autorizza l'interconnessione dei sistemi informativi su base individuale del Servizio sanitario nazionale, ivi incluso il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) [38] , con i sistemi informativi - gestiti da altre amministrazioni pubbliche, e che raccolgono i dati non relativi alla salute - specificamente individuati dal decreto summenzionato, con modalità tali da garantire che l'interessato non sia direttamente identificabile.
Riguardo al decreto attuativo - per il quale, come accennato, la novella di cui alla lettera b) esclude la natura regolamentare -, si ricorda che esso deve
individuare le tipologie di dati che possono essere trattati [39] , nonché le relative modalità di acquisizione dai sistemi informativi dei soggetti detentori, le operazioni eseguibili, le misure appropriate e specifiche per la tutela dei diritti degli interessati, i tempi di conservazione dei dati medesimi.
La novella di cui alla lettera c) prevede che, nelle more dell'adozione del decreto attuativo, il Ministero della salute avvii le attività relative alla classificazione delle patologie croniche presenti nella popolazione italiana, limitatamente alla definizione di modelli analitici prodromici alla realizzazione del modello predittivo del fabbisogno di salute della popolazione, garantendo che gli interessati non siano direttamente identificabili.
La disposizione riduce a trenta giorni il termine per i pareri che il Garante per la protezione dei dati personali renda su atti riconducibili al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), al Piano nazionale per gli investimenti complementari ed al Piano nazionale integrato per l'energia e il clima 2030.
Prevede che quel termine sia improrogabile (ed una volta decorso, si può comunque procedere, pur in assenza di parere).
L'articolo 9, comma 7 riduce a trenta giorni il termine per il parere del Garante per la protezione dei dati personali su un novero di atti.
Diversamente, il termine previsto per l'attività del Garante entro il Codice per la protezione dei dati personali sarebbe di quarantacinque giorni (cfr. l'articolo 154, comma 5 del Codice).
Inoltre la disposizione viene a prevedere che il termine di trenta giorni sia improrogabile. Qualora decorra senza che il parere sia reso, l'acquisizione di quest'ultimo non è necessaria ai fini del prosieguo del procedimento (disposizione analoga è prevista, per il diverso termine di quarantacinque giorni, dal citato art. 154 del Codice).
Si tratta di pareri del Garante che concernano "riforme, misure e progetti" afferenti a tre Piani.
Sono:
Ø
il Piano nazionale di ripresa e resilienza di cui al regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021;
Ø
il Piano nazionale per gli investimenti complementari (di cui al decreto-legge n. 59 del 2021);
Ø
il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima 2030 (di cui al regolamento (UE) 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2018).
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) delinea, com'è noto, un “pacchetto completo e coerente di riforme e investimenti”, necessario ad accedere alle risorse finanziarie messe a disposizione dall'Unione europea con il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, nell'ambito della strategia di ripresa post-pandemica finanziata tramite il programma Next Generation EU (NGEU). Le misure previste dal Piano si articolano intorno a tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale.
Seguendo le linee guida elaborate dalla Commissione europea, inoltre, il Piano raggruppa i progetti di investimento e di riforma in 16 Componenti, raggruppate a loro volta in 6 Missioni: 1. Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo (una componente della quale è la digitalizzazione della pubblica amministrazione); 2. Rivoluzione verde e transizione ecologica; 3. Infrastrutture per una mobilità sostenibile; 4. Istruzione e ricerca; 5. Coesione e inclusione; 6. Salute. Le Componenti, a loro volta, si articolano in 43 ambiti di intervento per progetti omogenei e coerenti. Per ogni Missione sono indicati le linee di investimento (in totale 133) e le riforme settoriali (49) volte ad introdurre regimi regolatori e procedurali più efficienti nei rispettivi ambiti. In ciascuna Missione, inoltre, si dà conto dei profili più rilevanti ai fini del perseguimento delle tre priorità trasversali del Piano, costituite da “Parità di genere”, “Giovani” e “Sud e riequilibrio territoriale”. Il complesso delle risorse programmate nel PNRR ammonta a 235,12 miliardi, considerando sia le risorse europee del Dispositivo di ripresa e resilienza, pari a 191,5 miliardi, quelle rese disponibili dal programma REACT-EU, per 13 miliardi (che come previsto dalla normativa EU vengono spese negli anni 2021-2013), nonché quelle derivanti dalla programmazione nazionale aggiuntiva.
Il Piano prevede, in aggiunta alle risorse europee, ulteriori 30,6 miliardi di risorse nazionali, che confluiscono in un apposito Fondo complementare finanziato attraverso lo scostamento di bilancio approvato nel Consiglio dei ministri del 15 aprile 2021 e autorizzato dal Parlamento, a maggioranza assoluta, nella seduta del 22 aprile 2021. Il Fondo complementare è stato ripartito per complessivi 30.622,46 milioni di euro per gli anni dal 2021 al 2026 con il decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59.
Per quanto concerne il Piano nazionale integrato per l'energia e il clima 2030 - PNIEC, si rammenta che il Regolamento 2018/1999/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 dicembre 2018, sulla governance dell'Unione dell'energia, reca istituti e procedure per conseguire gli obiettivi dell'Unione per il 2030 in materia di energia e di clima. Il meccanismo di governance delineato nel Regolamento è essenzialmente basato sulle Strategie nazionali a lungo termine per la riduzione dei gas ad effetto serra, e, precipuamente, sui Piani nazionali - PNIEC che coprono periodi di dieci anni a partire dal decennio 2021-2030, nonché sulle corrispondenti relazioni intermedie, trasmesse dagli Stati membri, e sulle modalità integrate di monitoraggio della Commissione circa il raggiungimento dei target unionali, cui tutti gli Stati membri concorrono secondo le modalità indicate nei rispettivi documenti programmatori.
Gli Stati membri devono, ciascuno, fissare, nell'ambito dei rispettivi Piani, i propri contributi nazionali ai fini del raggiungimento dell'obiettivo vincolante collettivo dell'UE. Tale previsione è stata adempiuta, posto che – in attuazione del processo di governance dell'energia definito nel citato Regolamento (UE) 2018/1999 – il PNIEC nazionale per il periodo programmatorio 2021-2030 è stato predisposto, e notificato nella sua versione definitiva alla Commissione stessa a fine 2019.
Il comma 8 dell'articolo 9, inserito nel corso dell’esame al Senato, alle lettere da a) a d) interviene sugli articoli 1 e 2 della Legge n. 5 del 2018, al fine di prevedere che i diritti dell'utente iscritto al registro pubblico delle opposizioni, nonché gli obblighi in capo agli operatori di call center operino indipendentemente dalle modalità in cui il trattamento delle numerazioni è stato effettuato, ovvero con o senza operatore con l'impiego del telefono, ma anche in via più generale mediante sistemi automatizzati di chiamata senza l'intervento di un operatore.
Il nuovo comma 8, inserito nel corso dell’esame al Senato, alle lettere da a) a d), reca modifiche agli articoli 1 e 2 della Legge n. 5 del 2018, recante Nuove disposizioni in materia di iscrizione e funzionamento del registro delle opposizioni e istituzione di prefissi nazionali per le chiamate telefoniche a scopo statistico, promozionale e di ricerche di mercato.
In particolare, la lettera a) interviene sull'articolo 1, comma 2, della citata Legge, al fine di prevedere che possano iscriversi al registro pubblico delle opposizioni (istituito dall'art. 3, comma 1, del DPR n. 178 del 2010
[40]
) tutti gli interessati che vogliano opporsi al trattamento delle proprie numerazioni telefoniche effettuato non solo mediante operatore con l'impiego del telefono, ma anche, ai fini della revoca di cui al comma 5 (cfr. infra), mediante sistemi automatizzati di chiamata o chiamate senza l'intervento di un operatore.
La successiva lettera b) interviene invece sul comma 5 del medesimo articolo 1 della citata Legge 5/2018, sopprimendo dal comma il riferimento al trattamento delle proprie numerazioni telefoniche fisse o mobili effettuato mediante operatore con l'impiego del telefono. Disciplinando il comma 5 la revoca di tutti i consensi precedentemente espressi a seguito dell'iscrizione al registro pubblico delle opposizioni, la soppressione in esame si pone in linea con la portata normativa della lettera a), ampliando il diritto degli iscritti al registro a vedere revocati i consensi espressi indipendentemente dalle modalità in cui è avvenuto concretamente il trattamento delle proprie numerazioni telefoniche, ovvero con o senza operatore con l'impiego del telefono.
In linea con tale impostazione, la lettera c) modifica il comma 12 del medesimo articolo 1 della Legge 5/2018, concernente l'obbligo di consultazione e di aggiornamento del registro pubblico delle opposizioni in capo agli operatori che utilizzano sistemi di pubblicità e di vendita telefonica o che compiono ricerche di mercato o comunicazioni commerciali telefoniche con o senza l'intervento di un operatore umano. Tale ultima specificazione concernente le modalità in cui avvengono tali comunicazioni telefoniche viene introdotta dalla lettera in esame.
Alla stessa stregua, la lettera d), nel modificare l'articolo 2, comma 1, primo periodo, della Legge 5/2018, concernente l'obbligo per gli operatori di call center di garantire la piena attuazione dell'obbligo di presentazione dell'identificazione della linea chiamante e il rispetto del diritto all'opposizione di cui dall'articolo 7, comma 4, lettera b), del Codice in materia di protezione dei dati personali (di cui al D. Lgs. n. 196 del 2003), specifica che le disposizioni si riferiscono all'attività di call center per chiamate con o senza operatore.
Si viene a prevedere la sospensione (eccezion fatta per la prevenzione e repressione dei reati o di esecuzione di sanzioni penali) della installazione e utilizzazione di impianti di videosorveglianza con sistemi di riconoscimento facciale operanti attraverso l'uso dei dati biometrici in luoghi pubblici o aperti, da parte di autorità pubbliche o soggetti privati.
Tale sospensione è disposta "fino all'entrata in vigore di una disciplina legislativa della materia", e comunque non oltre il 31 dicembre 2023.
I commi da 9 a 12 dell'articolo 9 sono stati introdotti dal Senato in prima lettura. Essi dispongono in tema di videosorveglianza con sistemi di riconoscimento facciale.
In particolare, il comma 9 dispone la sospensione della installazione e utilizzazione di impianti di videosorveglianza con sistemi di riconoscimento facciale operanti attraverso l'uso dei dati biometrici in luoghi pubblici o aperti, da parte di autorità pubbliche o soggetti privati.
Tale sospensione è disposta "fino all'entrata in vigore di una disciplina legislativa della materia", e comunque non oltre il 31 dicembre 2023.
Se gli impianti di videosorveglianza non utilizzino siffatto riconoscimento facciale (e siano conformi alla normativa vigente), sono franchi dalla sospensione così disposta (prevede il comma 10).
In caso di trasgressione, si applicano - prevede il comma 11, e salvo che il fatto costituisca reato - la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 50.000 euro a 150.000 euro (come sancita mediante rinvio all'articolo 166, comma 1 del Codice della privacy ed all'articolo 42, comma 1 del decreto legislativo n. 51 del 2018).
L'insieme di previsioni sopra ricordate non si applica - dispone il comma 12 - ai trattamenti effettuati dalle autorità competenti a fini di prevenzione e repressione dei reati o di esecuzione di sanzioni penali (di cui al citato decreto legislativo n. 51 del 2018), in presenza di parere preventivo favorevole del Garante (cfr. art. 24, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 51).
Siffatto parere non è tuttavia richiesto ove si tratti di trattamenti effettuati dall'autorità giudiziaria nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali e giudiziarie del pubblico ministero.
La disciplina posta da questi commi si vuole transitoria, in attesa di una disciplina circa requisiti di ammissibilità, condizioni e garanzie dell'utilizzo della videosorveglianza con riconoscimento facciale su dati biometrici.
Per dati biometrici si intendono - secondo la definizione recata dall'articolo 4, n. 14 (e cfr. l'art. 9) del Regolamento europeo n. 679 del 2016 (più volte richiamato nella scheda relativa al comma 1 di questo articolo 9 del decreto-legge) nonché dall'art. 3, n. 13 della Direttiva europea n. 680 del 2016 (ivi cfr. anche l'art. 10) - i dati personali ottenuti da un trattamento tecnico specifico relativi alle caratteristiche fisiche, fisiologiche o comportamentali di una persona fisica che ne consentono o confermano l'identificazione univoca, quali l'immagine facciale o i dati dattiloscopici.
L'articolo 9-bis, introdotto dal Senato, prevede che le disposizioni del provvedimento in esame si applichino alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti.
La disposizione in commento stabilisce che le norme del decreto-legge in esame non sono idonee a disporre in senso difforme a quanto previsto negli statuti speciali di regioni e province autonome (si tratta pertanto di una clausola a salvaguardia dell'autonomia riconosciuta a tali autonomie territoriali). Tale inidoneità, che la norma in esame esplicita, trae invero origine dal rapporto fra le fonti giuridiche coinvolte e, nello specifico, rileva che norme di rango primario (quali quelle recate dal decreto-legge) non possono incidere sul quadro delle competenze definite dagli statuti (che sono adottati con legge costituzionale, fonte di grado superiore) e dalle relative norme di attuazione. Le norme di rango primario si applicano pertanto solo in quanto non contrastino con le speciali attribuzioni di tali enti.
Si tratta di una clausola, costantemente inserita nei provvedimenti che intervengono su ambiti materiali ascrivibile alle competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, che rende più agevole l'interpretazione delle norme legislative coperte dalla stessa, con un effetto potenzialmente deflattivo del contenzioso costituzionale. La mancata previsione della clausola potrebbe infatti indurre una o più autonomie speciali ad adire la Corte costituzionale, nel dubbio sull'applicabilità nei propri confronti di una determinata disposizione legislativa (incidente su attribuzioni ad esse riservate dai propri statuti speciali).
La presenza di una siffatta clausola tuttavia non esclude a priori la possibilità che una o più norme (ulteriori) del provvedimento legislativo possano contenere disposizioni lesive delle autonomie speciali, quando "singole norme di legge, in virtù di una previsione espressa, siano direttamente e immediatamente applicabili agli enti ad autonomia speciale" [41] .
L'articolo 10 dispone che il decreto-legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il decreto-legge è dunque vigente dal 9 ottobre 2021.
Si ricorda che, ai sensi dell'articolo 1 del disegno di legge di conversione del presente decreto, la medesima legge di conversione (la quale apporta modifiche al decreto-legge) entra in vigore il giorno successivo a quello della propria pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
[1] In base all’art. 9 citato, le certificazioni verdi COVID-19 attestano una delle seguenti condizioni: avvenuta vaccinazione; avvenuta guarigione; effettuazione di test antigenico rapido o molecolare, quest'ultimo anche su campione salivare e nel rispetto dei criteri stabiliti con circolare del Ministero della salute, con esito negativo. In base all’art. 9-bis, co. 3, dello stesso D.L. 52/2021 (L. 87/2021), sono esentati dall’obbligo di possesso di una delle certificazioni verdi COVID-19 per l’accesso a spettacoli aperti al pubblico i soggetti esclusi per età dalla campagna vaccinale e i soggetti esenti sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute.
[2]
L’art. 1, co. 14, del D.L. 33/2020 (L. 74/2020) ha disposto che le attività economiche, produttive e sociali devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi. In assenza di quelli regionali, trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale. Nel prosieguo, l’art. 10-bis del D.L. 52/2021 (L. 87/2021) ha disposto che i protocolli e le linee guida di cui al citato art. 1, co. 14, sono adottati e aggiornati con ordinanza del Ministro della salute, di concerto con i Ministri competenti per materia o d'intesa con la Conferenza delle regioni e delle province autonome. Da ultimo - prima del decreto-legge in esame - l'Ordinanza del Ministro della salute 29 maggio 2021 aveva recepito le Linee guida per la ripresa delle attività economiche e sociali adottate dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome il 28 maggio 2021. Nuove linee guida sono state adottate dalla medesima Conferenza il 13 ottobre 2021 e sono state inviate al Governo per il recepimento con Ordinanza del Ministro della salute.
[3]
L’art. 80 del R.D. 773/1931 – recante il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza - dispone che l'autorità di pubblica sicurezza non può concedere la licenza per l'apertura di un teatro o di un luogo di pubblico spettacolo, prima di aver fatto verificare da una commissione tecnica la solidità e la sicurezza dell'edificio e l'esistenza di uscite pienamente adatte a sgombrarlo prontamente nel caso di incendio.
In base agli artt. 141 e 141-bis del regolamento attuativo adottato con R.D. 635/1940, per l'applicazione dell'art. 80 del R.D. 773/1931 sono istituite commissioni di vigilanza comunali, le cui funzioni possono essere svolte dai comuni anche in forma associata.
Le commissioni di vigilanza svolgono, fra l’altro, i seguenti compiti:
- esprimere il parere sui progetti di nuovi teatri e di altri locali o impianti di pubblico spettacolo e trattenimento, o di sostanziali modificazioni a quelli esistenti;
- verificare le condizioni di solidità, di sicurezza e di igiene dei locali stessi o degli impianti ed indicare le misure e le cautele ritenute necessarie sia nell'interesse dell'igiene che della prevenzione degli infortuni;
- accertare la conformità alle disposizioni vigenti e la visibilità degli avvisi per il pubblico prescritti per la sicurezza e per l'incolumità pubblica;
- controllare con frequenza che vengano osservate le norme e le cautele imposte e che i meccanismi di sicurezza funzionino regolarmente, suggerendo all'autorità competente gli eventuali provvedimenti.
Per i locali e gli impianti con capienza complessiva pari o inferiore a 200 persone il parere, le verifiche e gli accertamenti indicati sono sostituiti, ferme restando le disposizioni sanitarie vigenti, da una relazione tecnica di un professionista iscritto nell'albo degli ingegneri, o degli architetti, o dei periti industriali, o dei geometri, che attesta la rispondenza del locale o dell'impianto alle regole tecniche stabilite con decreto del Ministro dell'interno.
In base all’art. 142, quando la commissione comunale non è istituita o le sue funzioni non sono esercitate in forma associata, ovvero, fra l’altro, per i locali cinematografici o teatrali e per gli spettacoli viaggianti di capienza superiore a 1.300 spettatori e per gli altri locali o gli impianti con capienza superiore a 5.000 spettatori, nonché per i parchi di divertimento, provvede una commissione provinciale.
[4] Constatato l’aggravamento dell'emergenza epidemiologica, l’applicabilità delle misure previste dal DPCM 2 marzo 2021 per le zone gialle era stata sospesa (prima dell’intervento del D.L. 52/2021) dal 15 marzo al 30 aprile 2021 (art. 1, D.L. 30/2021-L. 61/2021 e art. 1, co. 2, D.L. 44/2021-L. 76/2021).
[5] La ripartizione delle Regioni e Province Autonome nelle diverse aree in base ai livelli di rischio a partire dal 9 ottobre 2021 è la seguente: area rossa: (nessuna Regione e Provincia autonoma); area arancione: (nessuna Regione e Provincia Autonoma); area gialla: (nessuna Regione e Provincia Autonoma); area bianca: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Provincia Autonoma di Bolzano, Provincia Autonoma di Trento, Puglia, Sardegna, Sicilia Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto.
[6] Le «Linee guida per la ripresa delle attività economiche e sociali» sono state adottate con ordinanza del Ministro della salute 29 maggio 2021.
[7] In base all’articolo 9, comma 2, del D.L. 52/2021, le certificazioni verdi COVID-19 attestano una delle seguenti condizioni: a) avvenuta vaccinazione anti-SARS-CoV-2, al termine del prescritto ciclo; b) avvenuta guarigione da COVID-19, con contestuale cessazione dell'isolamento prescritto in seguito ad infezione da SARS-CoV-2, disposta in ottemperanza ai criteri stabiliti con le circolari del Ministero della salute; c) effettuazione di test antigenico rapido o molecolare, quest'ultimo anche su campione salivare e nel rispetto dei criteri stabiliti con circolare del Ministero della salute, con esito negativo al virus SARS-CoV-2; c-bis) avvenuta guarigione dopo la somministrazione della prima dose di vaccino o al termine del prescritto ciclo.
[8] Si ricorda che il termine del suddetto stato di emergenza è posto al 31 dicembre 2021 dall'articolo 1 del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla L. 16 settembre 2021, n. 126.
[9] In cui la capienza consentita è del 100 per cento di quella massima autorizzata sia all’aperto che al chiuso, fermo restando che l'accesso è limitato ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi COVID-19.
[10] Per approfondimenti si veda la relativa scheda del Dossier dei servizi studio di Senato e Camera n.420 su "Misure urgenti per l'esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti D.L. 111/2021 - A.C. 3264".
[11] Si ricorda che il termine del suddetto stato di emergenza è posto al 31 dicembre 2021 dall'articolo 1 del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla L. 16 settembre 2021, n. 126.
[12] Si rinvia, in merito, alla scheda di lettura relativa alla novella di cui al numero 2) della precedente lettera a).
[13] Si ricorda che tale elenco individua solo alcune delle fattispecie che richiedono il possesso di un certificato verde COVID-19 ovvero il ricorrere di un'ipotesi di esenzione. Il complesso delle fattispecie è invece individuato dall'articolo 9, comma 10-bis, del D.L. 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 giugno 2021, n. 87, e successive modificazioni (le ipotesi suddette di esenzione sono valide solo per alcune di tali fattispecie).
[14] Dossier n. 456/2 nella numerazione del Servizio Studi del Senato e n. 479/2 (serie "Progetti di legge") nella numerazione del Servizio Studi della Camera dei deputati. Il dossier è relativo all'A.C. n. 3363, il quale corrisponde al testo definitivo del suddetto D.L. n. 127, come convertito in legge.
[15] D.L. 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, L. 22 maggio 2020, n. 35.
[16] La disciplina applicativa è stata definita, ai sensi dell’art. 1, co. 546, della L. 232/2016, con D.I. 12 marzo 2018.
[17] In attuazione, è intervenuto il provvedimento dell'Agenzia dell'entrate 27 giugno 2019.
[18] In base all’art. 101 del d.lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), sono istituti e luoghi della cultura i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali.
[19]
In base ai dati elaborati dal Servizio Statistica del Ministero della cultura, gli istituti e luoghi della cultura che nel 2019 hanno registrato un numero di visitatori superiore ad un milione sono i seguenti:
Istituto o luogo della cultura
|
Visitatori (anno 2019)
|
Parco archeologico del Colosseo, Roma
|
7.617.649
|
Gallerie degli Uffizi, Firenze
|
4.391.861
|
Parco archeologico di Pompei
|
3.935.791
|
Galleria dell'Accademia e Museo degli strumenti musicali, Firenze
|
1.704.776
|
Museo Nazionale di Castel Sant'Angelo, Roma
|
1.207.091
|
[20] Di cui all'art. 4, co. 2, secondo periodo, del Regolamento recante norme per l'istituzione del biglietto d'ingresso ai monumenti, musei, gallerie, scavi di antichità, parchi e giardini monumentali dello Stato, emanato con D.M. 11 dicembre 1997, n. 507, come modificato, da ultimo, dal D.M. 17 novembre 2020, n. 189.
[21] In base all’art. 9 citato, le certificazioni verdi COVID-19 attestano una delle seguenti condizioni: avvenuta vaccinazione; avvenuta guarigione; effettuazione di test antigenico rapido o molecolare, quest'ultimo anche su campione salivare e nel rispetto dei criteri stabiliti con circolare del Ministero della salute, con esito negativo. In base all’art. 9-bis, co. 3, dello stesso D.L. 52/2021 (L. 87/2021), sono esentati dall’obbligo di possesso di una delle certificazioni verdi COVID-19 per l’accesso a istituti e luoghi della cultura e a mostre i soggetti esclusi per età dalla campagna vaccinale e i soggetti esenti sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute.
[22] Constatato l’aggravamento dell'emergenza epidemiologica, l’applicabilità delle misure previste dal DPCM 2 marzo 2021 per le zone gialle era stata sospesa (prima dell’intervento del D.L. 52/2021) dal 15 marzo al 30 aprile 2021 (art. 1, D.L. 30/2021-L. 61/2021 e art. 1, co. 2, D.L. 44/2021-L. 76/2021).
[23] Disciplina di cui agli articoli da 1 a 3 del D.L. 21 settembre 2021, n. 127, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 novembre 2021, n. 165; tali articoli introducono, rispettivamente, gli articoli 9-quinquies, 9-sexies e 9-septies nel citato D.L. n. 52 del 2021.
[24] Si ricorda che il D.P.C.M. del 12 ottobre 2021, recante le linee guida per l'omogenea definizione delle modalità organizzative di verifica nelle pubbliche amministrazioni del possesso del certificato verde COVID-19, specifica che la richiesta in esame non può concernere il dato relativo al possesso o meno di un certificato di esenzione (esenzione relativa alla suddetta controindicazione).
[25] Cfr., per i lavoratori pubblici, il comma 6 del citato articolo 9-quinquies del D.L. n. 52 e, per i lavoratori privati, il comma 6 del citato articolo 9-septies dello stesso D.L. n. 52.
[26] Dossier n. 456/2 nella numerazione del Servizio Studi del Senato e n. 479/2 (serie "Progetti di legge") nella numerazione del Servizio Studi della Camera dei deputati. Il dossier è relativo all'A.C. n. 3363, il quale corrisponde al testo definitivo del suddetto D.L. n. 127, come convertito in legge.
[27] Commissario di cui all’articolo 122 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, e successive modificazioni. Si ricorda che, in via generale, ai sensi del comma 9 del suddetto articolo 122, e successive modificazioni, alle attività di propria competenza il Commissario straordinario provvede a valere sulla propria contabilità speciale.
[28] Si ricorda che tale destinazione, secondo la formulazione della lettera a) del citato articolo 40, comma 1, del D.L. n. 111, può ricomprendere anche le attività relative allo stoccaggio e alla somministrazione dei vaccini, le attività di logistica funzionali alla consegna degli stessi, l'acquisto di beni consumabili necessari per la somministrazione dei vaccini, il supporto informativo e le campagne di informazione e sensibilizzazione.
[29] Si ricorda che la restante quota, da attivare su richiesta del medesimo Commissario straordinario e pari a 850 milioni di euro, è già destinata in via generale a soddisfare esigenze di spesa connesse all'emergenza pandemica (nell'ambito di quest'ultima quota, 20 milioni di euro sono destinati al funzionamento della struttura di supporto del Commissario).
Ai sensi del comma 2 del suddetto articolo 40 del D.L. n. 111, il commissario straordinario rendiconta periodicamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri ed al Ministero dell'economia e delle finanze circa l'effettivo utilizzo delle somme stanziate dal comma 1 dello stesso articolo.
[30] Termine posto al 31 dicembre 2021 dall'articolo 1 del D.L. 23 luglio 2021, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla L. 16 settembre 2021, n. 126.
[31] Ai sensi del comma 4 del citato articolo 122 del D.L. n. 18.
[32] Cfr. Allegato 1 al provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali n. 467 dell'11 ottobre 2018.
[33] Artículo 8 Tratamiento de datos por obligación legal, interés público o ejercicio de poderes públicos
1. El tratamiento de datos personales solo podrá considerarse fundado en el cumplimiento de una obligación legal exigible al responsable, en los términos previstos en el artículo 6.1.c) del Reglamento (UE) 2016/679, cuando así lo prevea una norma de Derecho de la Unión Europea o una norma con rango de ley, que podrá determinar las condiciones generales del tratamiento y los tipos de datos objeto del mismo así como las cesiones que procedan como consecuencia del cumplimiento de la obligación legal. Dicha norma podrá igualmente imponer condiciones especiales al tratamiento, tales como la adopción de medidas adicionales de seguridad u otras establecidas en el capítulo IV del Reglamento (UE) 2016/679.
2. El tratamiento de datos personales solo podrá considerarse fundado en el cumplimiento de una misión realizada en interés público o en el ejercicio de poderes públicos conferidos al responsable, en los términos previstos en el artículo 6.1 e) del Reglamento (UE) 2016/679, cuando derive de una competencia atribuida por una norma con rango de ley'.
[34]
Il citato comma 5 così recita: 'En el ámbito del sector público podrán atribuirse las competencias propias de un encargado del tratamiento a un determinado órgano de la Administración General del Estado, la Administración de las comunidades autónomas, las Entidades que integran la Administración Local o a los Organismos vinculados o dependientes de las mismas mediante la adopción de una norma reguladora de dichas competencias, que deberá incorporar el contenido exigido por el artículo 28.3 del Reglamento (UE) 2016/679'.
[35] Di cui all'articolo 7 del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 luglio 2020, n. 77.
[36] La novella fa salve le norme di cui all'articolo 105 del codice in materia di protezione dei dati personali (di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196), norme concernenti le modalità di trattamento a fini statistici o di ricerca scientifica dei dati personali.
Si ricorda inoltre che, in base al comma 1 del citato articolo 7 del D.L. n. 34 del 2020, il trattamento dei dati (ai fini dello sviluppo delle suddette metodologie predittive) si svolge:
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ai sensi dell'articolo 2-sexies, comma 2, lettera v), del suddetto codice in materia di protezione dei dati personali. Tale disposizione considera rilevante l'interesse pubblico relativo ai trattamenti in materia di programmazione, gestione, controllo e valutazione dell'assistenza sanitaria, ivi incluse l'instaurazione, la gestione, la pianificazione e il controllo dei rapporti tra l'amministrazione ed i soggetti accreditati o convenzionati con il Servizio sanitario nazionale;
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nel rispetto delle norme poste dal regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, "relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati)";
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secondo le modalità poste dal regolamento di cui al decreto del Ministro della salute 7 dicembre 2016, n. 262 ("Regolamento recante procedure per l'interconnessione a livello nazionale dei sistemi informativi su base individuale del Servizio sanitario nazionale, anche quando gestiti da diverse amministrazioni dello Stato").
[37] Riguardo al suddetto Piano, cfr. il relativo portale istituzionale.
Il richiamo a tale Piano integra, in sostanza, il richiamo già posto dalle norme in esame ai compiti attribuiti al Ministero della salute dall'articolo 47-ter del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni (articolo operante una ricognizione generale delle funzioni del suddetto Dicastero), con particolare riferimento alle funzioni relative: agli indirizzi generali e di coordinamento in materia di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione delle malattie; alla programmazione tecnico-sanitaria di rilievo nazionale; all’indirizzo, coordinamento e monitoraggio dell’attività tecnico-sanitaria regionale.
[38] Si ricorda che il Fascicolo Sanitario Elettronico (istituito dalle regioni e dalle province autonome) comprende tutti i dati rilevanti sulla storia sanitaria dell'individuo, i quali, in base al principio di interoperabilità, sono consultabili, da parte dei professionisti sanitari, nell'intero territorio nazionale (e non solo nella regione di residenza dell'assistito).
[39] La norma specifica che tali dati possono rientrare anche tra le categorie di dati particolari di cui all'articolo 9 del citato regolamento (UE) 2016/679.
Si ricorda che il paragrafo 1 del suddetto articolo 9 reca, in via generale, il divieto di trattare i dati personali che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché dati genetici, biometrici (intesi a identificare in modo univoco una persona fisica), dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona. Tuttavia, il successivo paragrafo 2 individua i casi di esclusione del divieto. Tra questi figurano le ipotesi di trattamento necessario:
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per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri, il quale deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l'essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi del soggetto (lettera g));
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per finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente, diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione dei sistemi e servizi sanitari o sociali, sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri o conformemente al contratto con un professionista della sanità (fatte salve le condizioni e le garanzie di cui al paragrafo 3 dello stesso articolo 9) (lettera h));
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per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell'assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici, sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri, il quale deve prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti e le libertà dell'interessato, in particolare il segreto professionale (lettera i));
- a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, sulla base del diritto dell'Unione o nazionale, il quale deve essere conforme al criterio di proporzionalità rispetto alla finalità perseguita, rispettare l'essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi del soggetto (lettera j)).
[40]
Regolamento recante istituzione e gestione del registro pubblico dei contraenti che si oppongono all'utilizzo dei propri dati personali e del proprio numero telefonico per vendite o promozioni commerciali.
[41] Si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2016. In altra decisione (la n.191 del 2017) la Corte afferma che occorre "verificare, con riguardo alle singole disposizioni impugnate, se esse si rivolgano espressamente anche agli enti dotati di autonomia speciale, con l’effetto di neutralizzare la portata della clausola generale". Sul tema si vedano altresì le sentenze nn.154 e 231 del 2017.