Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni |
Titolo: | Governance del PNRR e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure |
Riferimenti: | AC N.3146/XVIII |
Serie: | Progetti di legge Numero: 447 |
Data: | 08/06/2021 |
Organi della Camera: | I Affari costituzionali, VIII Ambiente |
Servizio Studi Senato
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Dossier n. 394
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Progetti di legge n. 447
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D21077.docx
INDICE
§ Articolo 1 (Principi, finalità e definizioni)
§ Articolo 2 (Cabina di regia)
§ Articolo 3 (Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale)
§ Articolo 4 (Segreteria tecnica)
§ Articolo 6 (Monitoraggio e rendicontazione del PNRR)
§ Articolo 7 (Controllo, audit, anticorruzione e trasparenza)
§ Articolo 8 (Attuazione degli interventi del PNRR)
§ Articolo 9 (Attuazione degli interventi)
§ Articolo 10 (Misure per accelerare gli investimenti pubblici)
§ Articolo 11 (Rafforzamento della capacità amministrativa delle stazioni appaltanti)
§ Articolo 12 (Poteri sostitutivi)
§ Articolo 13 (Superamento del dissenso)
§ Articolo 15 (Procedure finanziarie e contabili)
§ Articolo 16 (Norma finanziaria)
§ Articolo 17 (Commissione tecnica VIA per i progetti PNRR-PNIEC)
§ Articolo 18 (Opere e infrastrutture strategiche per la realizzazione del PNRR e del PNIEC)
§ Articolo 21 (Avvio del procedimento di VIA e consultazione del pubblico)
§ Articolo 22 (Nuova disciplina in materia di provvedimento unico ambientale)
§ Articolo 23 (Fase preliminare al provvedimento autorizzatorio unico regionale)
§ Articolo 24 (Provvedimento autorizzatorio unico regionale)
§ Articolo 25 (Determinazione dell’autorità competente in materia di VIA e preavviso di rigetto)
§ Articolo 26 (Monitoraggio delle condizioni ambientali contenute nel provvedimento di VIA)
§ Articolo 27 (Interpello ambientale)
§ Articolo 28 (Modifica della disciplina concernente la valutazione ambientale strategica)
§ Articolo 30 (Interventi localizzati in aree contermini)
§ Articolo 33 (Semplificazione Superbonus)
§ Articolo 35 (Misure di semplificazione per la promozione dell’economia circolare)
§ Articolo 36 (Semplificazioni in materia di economia montana e forestale)
§ Articolo 37 (Misure di semplificazione per la riconversione dei siti industriali)
§ Articolo 39 (Semplificazione di dati pubblici)
§ Articolo 41 (Violazione degli obblighi di transizione digitale)
§ Articolo 42 (Disposizioni attuative in materia di certificazioni verdi COVID-19)
§ Articolo 46 (Modifiche alla disciplina del dibattito pubblico)
§ Articolo 47 (Pari opportunità, generazionali e di genere, nei contratti pubblici PNRR e PNC)
§ Articolo 48 (Semplificazioni in materia di affidamento dei contratti pubblici PNRR e PNC)
§ Articolo 49 (Modifiche alla disciplina del subappalto)
§ Articolo 50 (Semplificazioni in materia di esecuzione dei contratti pubblici PNRR e PNC)
§ Articolo 51 (Modifiche al decreto-legge n. 76 del 2020)
§ Articolo 52 (Proroghe e modifiche riguardanti il D.L. 32/2019
§ in materia di contratti pubblici)
§ Articolo 55, comma 1, lettera a), n. 4) (Misure di semplificazione in materia di istruzione)
§ Articolo 55, comma 1, lettera b), n. 1) (Misure di semplificazione in materia di istruzione)
§ Articolo 55, comma 1, lettere b), nn.2 - 4 (Misure di semplificazione in materia di istruzione)
§ Articolo 57 (Zone Economiche Speciali)
§ Articolo 59 (Disposizioni urgenti in materia di perequazione infrastrutturale)
§ Articolo 60 (Rafforzamento del ruolo dell’Agenzia per la coesione territoriale)
§ Articolo 61 (Modifiche alla disciplina del potere sostitutivo)
§ Articolo 62 (Modifiche alla disciplina del silenzio assenso)
§ Articolo 63 (Annullamento d’ufficio)
§ Articolo 66, comma 2 (Carta europea della disabilità)
§ Articolo 67 (Entrata in vigore)
L’articolo 1 definisce le finalità del decreto-legge, reca le definizioni utilizzate nel testo del provvedimento e chiarisce che le disposizioni in esso contenute sono adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva statale in materia di “rapporti dello Stato con l’Unione europea” (ai sensi dell’art.117, comma 2, lett. a), della Costituzione) e definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione).
Il comma 1 espone le finalità del decreto-legge, volto a definire il quadro normativo nazionale per semplificare e agevolare la realizzazione dei traguardi e degli obiettivi stabiliti:
· dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)[1];
· dal Piano nazionale degli investimenti complementari[2];
· dal Piano nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030[3].
Il comma 2 prevede che ai fini del decreto e della sua attuazione assume preminente valore l'interesse nazionale alla sollecita e puntuale realizzazione degli interventi inclusi nei Piani indicati al comma 1, nel pieno rispetto degli standard e delle priorità dell'Unione europea in materia di clima e di ambiente.
Il comma 3 chiarisce che le disposizioni contenute nel decreto-legge sono adottate nell’esercizio della competenza legislativa esclusiva statale in materia di “rapporti dello Stato con l’Unione europea” (ai sensi dell’art.117, comma 2, lett. a), della Costituzione) e definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (ai sensi dell’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione).
L'articolo 2 disciplina la Cabina di regia preposta in via generale all'indirizzo, impulso e coordinamento della fase attuativa del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Essa è istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Vi partecipano i Ministri (ed i Sottosegretari di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri) competenti, in ragione delle tematiche affrontate in ciascuna seduta. Possono in alcuni casi partecipare alle sedute altri soggetti (come i Presidenti delle Regioni).
Tra i suoi compiti figura la trasmissione al Parlamento di una relazione sullo stato attuazione del Piano, con cadenza semestrale.
La Parte I del decreto-legge disciplina la cd. governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Il Titolo I definisce il relativo complesso organizzativo; il Titolo II, la strumentazione procedimentale (quanto a poteri sostitutivi nonché a modalità di superamento del dissenso) e procedurale-finanziaria.
Il Titolo I si apre con l’articolo 1 definitorio, riepilogativo delle principali espressioni impiegate nell'articolato del decreto-legge.
A seguire, una serie di articoli determina l'apparato di organi e funzioni, mirati alla realizzazione del Piano (secondo un disegno preannunziato, nei suoi elementi portanti, nel testo definitivo del Piano trasmesso dal Governo il 4 maggio 2021 al Parlamento italiano).
Presso la Presidenza del Consiglio è dunque istituita una sede di generale indirizzo, impulso, coordinamento della fase attuativa del Piano: una "Cabina di regia" (a composizione 'mobile', con i diversi Ministri interessati, a seconda delle materie trattate: art. 2), coadiuvata da una "Segreteria tecnica" (art. 4), la quale ultima è altresì operativa rispetto ad un "Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale" (art. 3) inteso quale sede consultiva di raccordo con parti sociali, enti territoriali, mondo produttivo e della ricerca, società civile. Altro soggetto è una neo-istituita (ancora presso la Presidenza del Consiglio) Unità per la razionalizzazione e il miglioramento dell'efficacia della regolazione (art. 5).
Presso il Ministero dell'economia e delle finanze (Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato) è invece prevista una sede di coordinamento operativo, monitoraggio, rendicontazione e controllo dell'attuazione del Piano: un "Servizio centrale per il PNRR" (art. 6), che agisce quale punto di contatto nazionale rispetto alle istituzioni dell'Unione europea. Gli si affiancano sedi di valutazione dell'andamento della fase attuativa (art. 7).
Spetta a ciascuna Amministrazione titolare di interventi previsti nel Piano la conduzione della fase attuativa, con alcune rimodulazioni organizzative mirate (art. 8 e art. 9). Specifiche disposizioni sono volte a rendere possibile una accelerazione realizzativa degli investimenti pubblici (art. 10) ed un rafforzamento della capacità amministrativa delle stazioni appaltanti (art. 11).
L'articolo 2 ha per oggetto la "Cabina di regia".
Essa è istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (ed il Presidente del Consiglio la presiede).
Partecipano alla Cabina di regia i Ministri (ed i Sottosegretari di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri)[4] competenti, in ragione delle tematiche affrontate in ciascuna seduta.
Partecipano alle sedute i Presidenti di Regioni e delle Province autonome, allorché siano esaminate questioni di competenza di quella Regione o Provincia; o il Presidente della Conferenza delle regioni e province autonome, quando le questioni concernano più Regioni. In tutti questi casi, partecipa inoltre il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, il quale può presiedere, su delega del Presidente del Consiglio dei ministri.
Possono essere altresì invitati, in ragione della materia trattata, i rappresentanti dei soggetti attuatori e dei rispettivi organismi associativi, ed i referenti o rappresentanti del "partenariato economico e sociale" (il cui "tavolo permanente" è oggetto dell'articolo 3 del decreto-legge).
La Cabina di regia esercita poteri di "indirizzo, impulso e coordinamento generale" sull'attuazione degli interventi del Piano.
Tale spettro di attività annovera:
· l'elaborazione di indirizzi e linee guida per l'attuazione (anche con riferimento ai rapporti con i diversi livelli territoriali);
· la ricognizione periodica e puntuale sullo stato di attuazione degli interventi (anche con formulazione di indirizzi relativi all'attività di monitoraggio e controllo);
· il vaglio di temi o profili di criticità segnalati dai Ministri competenti per materia (e dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie o dalla Conferenza delle regioni e province autonome, con riferimento alle questioni di competenza regionale o locale);
· il monitoraggio degli interventi che richiedano adempimenti normativi;
· la promozione del coordinamento tra i diversi livelli di governo, con proposta di attivazione dei poteri sostitutivi (oggetto dell'articolo 12, qualora ne ricorrano le condizioni).
Ancora, essa assicura la cooperazione con il partenariato economico e sociale; promuove l'attività di comunicazione della 'sponsorizzazione' da parte del Next Generation Eu degli interventi del Piano (come prescritto dall'articolo 34 del Regolamento (UE) 2021/241 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza).
Il Presidente del Consiglio dei ministri può delegare lo svolgimento di specifiche attività ad un Ministro o Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
Propri della Cabina di regia sono inoltre alcuni compiti informativi.
Essa trasmette alle Camere con cadenza semestrale (per il tramite del Ministro per i rapporti con il Parlamento) una relazione sullo stato attuazione del Piano. E trasmette, anche su richiesta delle Commissioni parlamentari, ogni elemento utile a valutare lo stato di avanzamento degli interventi, il loro impatto e l'efficacia rispetto agli obiettivi perseguiti.
Le informazioni comunque trasmesse al Parlamento sono quelle indicate dall'articolo 1, comma 1045 della legge n. 178 del 2020, ossia i prospetti sull'utilizzo delle risorse del programma Next Generation EU e sui risultati raggiunti, nonché l'indicazione delle eventuali misure necessarie per accelerare l'avanzamento dei progetti e per una loro migliore efficacia.
Inoltre la Cabina di regia aggiorna periodicamente il Consiglio dei Ministri sullo stato di avanzamento degli interventi del Piano.
La relazione periodica sopra ricordata è trasmessa anche alla Conferenza unificata, la quale è costantemente tenuta al corrente (dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie) circa lo stato di avanzamento degli interventi e le eventuali criticità attuative.
L'azione della Cabina di regia non fa venir meno le funzioni di indirizzo e coordinamento in capo ai due Comitati interministeriali - per la transizione digitale; per la transizione ecologica - di recente istituzione (previsti dal decreto-legge n. 22 del 1° marzo 2021, rispettivamente all'art. 8 e all'art. 4).
Il raccordo tra questi soggetti è previsto nella forma di una informativa da parte dei due Comitati alla Cabina di regia, la quale al contempo può partecipare ai lavori di quelli mediante un proprio delegato.
E se alcune questioni non abbiano trovato soluzione entro i Comitati, le Amministrazioni centrali titolari di interventi possono sottoporne l'esame alla Cabina di regia.
Più in generale, può dirsi che la Cabina di regia si ponga al centro della 'rete' di soggetti preposti all'indirizzo, verifica o ausilio dell'attuazione, istituiti dal presente decreti-legge - dal Servizio centrale per il Piano (v. infra art. 6) all'Unità per la qualità della regolazione (v. art. 5), dal Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale (art. 3) alla Segreteria tecnica (art. 4) - ovvero già esistenti - dai Comitati interministeriali per la transizione digitale e la transizione ecologica all'Ufficio per il programma di governo operante presso la Presidenza del Consiglio.
Per quanto riguarda il rapporto fra la Cabina di regia e gli enti territoriali, una specifica funzione di raccordo è posta in capo al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. Partecipa alle sedute della Cabina di regia e dei due Comitati interministeriali sopra ricordati, e su impulso di questi promuove le iniziative opportune (anche in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, nonché di Conferenza unificata), là dove sia necessario un coordinamento ed armonizzazione tra le funzioni statali di programmazione e attuazione degli investimenti previsti dal Piano da un lato, e l'esercizio delle competenze costituzionalmente attribuite alle Regioni e al sistema delle autonomie locali dall'altro.
Nei casi in cui quel coordinamento ed armonizzazione si rendano necessari, e si tratti di materie su cui Regioni e Province autonome "vantino uno specifico interesse", si viene inoltre a prevedere la partecipazione ai ricordati due Comitati interministeriali - per la transizione digitale; per la transizione ecologica - del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
Il coinvolgimento del Presidente di quella Conferenza risponde a un 'modulo' procedimentale già profilato per altro riguardo - ossia l'attuazione delle misure di contenimento dell'epidemia da Covid-19 - dal decreto-legge n. 19 del 2020 (all'art. 2).
Infine una novella modifica la composizione del Comitato interministeriale per la transizione ecologica, onde prevedere che di esso facciano parte due (non già uno, come attualmente previsto) rappresentanti della Presidenza del Consiglio, uno dei quali sia nominato dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie.
Rimane invariata la restante articolazione di tale Comitato, composto dai Ministri della transizione ecologica, dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del lavoro e delle politiche sociali e delle politiche agricole alimentari e forestali; partecipano altresì gli altri Ministri o loro delegati aventi competenza nelle materie oggetto dei provvedimenti e delle tematiche poste all'ordine del giorno.
L'articolo 3 prevede l'istituzione di un Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, con funzioni consultive.
L'articolo 3 prevede l'istituzione - mediante decreto del Presidente del Consiglio - di un Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale.
Esso è composto da rappresentanti:
ü delle parti sociali;
ü del Governo;
ü delle Regioni, degli Enti locali e dei rispettivi organismi associativi;
ü delle categorie produttive e sociali;
ü del sistema dell’università e della ricerca scientifica;
ü della società civile.
I componenti sono individuati "secondo un criterio di maggiore rappresentatività".
Non spettano loro compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.
Il Tavolo permanente svolge funzioni consultive nelle materie e per le questioni connesse all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Inoltre può segnalare alla Cabina di regia (di cui all'art. 2) e al Servizio centrale per il Piano (di cui all'art. 6) ogni profilo ritenuto rilevante per una più efficace e tempestiva realizzazione del Piano, anche al fine di superare circostanze che le pongano ostacoli.
L'articolo 4 prevede l'istituzione di una Segreteria tecnica, collocata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con funzioni di supporto alle attività della Cabina di regia e del Tavolo permanente.
L'articolo 4 prevede l'istituzione - mediante decreto del Presidente del Consiglio[5] - di una Segreteria tecnica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
Essa ha funzioni di supporto alle attività della Cabina di regia e del Tavolo permanente.
La sua durata è prevista quale: temporanea; “superiore a quella del Governo che la istituisce”; protraentesi fino al completamento del Piano nazionale di ripresa e resilienza; con durata comunque non oltre il 31 dicembre 2026.
In proposito, si ricorda che in via generale il decreto legislativo n. 303 del 1999 (ordinamento della Presidenza del Consiglio), all’articolo 7, comma 4, prevede che “per lo svolgimento di particolari compiti per il raggiungimento di risultati determinati o per la realizzazione di specifici programmi, il Presidente istituisce, con proprio decreto, apposite strutture di missione, la cui durata temporanea, comunque non superiore a quella del Governo che le ha istituite, è specificata dall'atto istitutivo.”. In tal senso, la disposizione in esame appare costituire, una deroga implicita a tale principio generale.
Al tempo stesso, come evidenziato anche all’art. 5 del presente decreto-legge, si valuti l’opportunità di un coordinamento con il principio generale stabilito dall’articolo 31 della legge n. 400 del 1988 in base al quale “I decreti di conferimento di incarico ad esperti nonché quelli relativi a dipendenti di amministrazioni pubbliche diverse dalla Presidenza del Consiglio dei ministri o di enti pubblici, con qualifica dirigenziale equiparata, in posizione di fuori ruolo o di comando, ove non siano confermati entro tre mesi dal giuramento del Governo, cessano di avere effetto” (cd. Spoils System). Inoltre, ai sensi dell’art. 19 del Testo unico pubblico impiego (d. lgs. 165/2001) gli incarichi di funzione dirigenziale apicale (di cui al comma 3 del medesimo art. 19) cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo. Andrebbe in particolare chiarito se con la specificazione prevista dalla disposizione in esame si intenda superata l’applicazione di tali previsioni per i componenti della istituenda Segreteria tecnica. La relazione illustrativa precisa infatti, riguardo a tale struttura, che “non è assoggettata al regime dello spoil system”.
Essa opera in raccordo con altre strutture della Presidenza del Consiglio: il Dipartimento per il coordinamento amministrativo; il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica; l'Ufficio per il programma di governo.
La Segreteria tecnica ha tra i suoi compiti:
ü l'elaborazione di periodici rapporti informativi, indirizzati alla Cabina di regia (stilati sulla base dell'analisi e degli esiti del monitoraggio sull'attuazione del Piano, comunicati dal Ministero dell’economia e delle finanze-Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato);
ü la segnalazione al Presidente del Consiglio delle azioni utili al superamento delle criticità segnalate dai Ministri competenti per materia;
ü l'acquisizione dal Servizio centrale per il Piano (di cui all'art. 6) delle informazioni e dei dati di attuazione del Piano livello di ciascun progetto, anche con riguardo alla tempistica programmata e ad eventuali criticità rilevate nella fase di attuazione degli interventi;
ü la proposta al Presidente del Consiglio dei casi da valutare ai fini dell'eventuale esercizio dei poteri sostitutivi sottoponendoli all’esame del Consiglio dei ministri (di cui all'articolo 13);
ü l'istruzione dei procedimenti per il superamento del dissenso (di cui agli articoli 45 e 63).
L'autorizzazione di spesa qui prevista è di 200.000 euro per l'anno 2021, 400.000 euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026, aggiuntivi rispetto agli eventuali ulteriori stanziamenti definiti a valere sul bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Per la copertura finanziaria di tale onere, v. infra l'articolo 16 del decreto-legge.
L’articolo 5 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri l’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione.
Reca inoltre disposizioni relative al funzionamento dell’Ufficio per la semplificazione del Dipartimento della funzione pubblica, chiamato ad operare in raccordo con la suddetta Unità per la regolazione.
I commi da 1 a 4 dell’articolo 5 sono dedicati all’istituzione e al funzionamento dell’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione.
Il comma 1 istituisce presso la Presidenza del Consiglio la nuova struttura di missione denominata appunto “Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione”.
Al riguardo, si valuti l’opportunità di specificare con quale atto si procederà in concreto alla costituzione dell’Unità e all’individuazione dei suoi componenti, in analogia con quanto previsto dall’articolo 4 con riferimento all’istituzione della segreteria tecnica, per la quale è stabilito, attraverso il richiamo all’articolo 7, comma 4, del decreto legislativo n. 303 del 199, che si procederà con DPCM.
Si valuti altresì l’opportunità, in analogia con quanto previsto per organismi con competenze simili anch’essi istituiti con norma primaria, di prevedere disposizioni sui requisiti per divenire componenti dell’Unità (cfr. sul punto infra quanto rilevato sull’Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione istituita dall’articolo 1, comma 22-bis, del decreto-legge n. 181 del 2006).
In base al comma 2, l’Unità è costituita presso il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (DAGL). La disposizione precisa anche che l’Unità avrà una durata temporanea ma “superiore a quella del Governo che la istituisce”; tale durata si protrae fino al completamento del PNRR ma comunque non oltre il 31 dicembre 2026.
In proposito, si ricorda che in via generale il decreto legislativo n. 303 del 1999 (ordinamento della Presidenza del Consiglio), all’articolo 7, comma 4, prevede che “per lo svolgimento di particolari compiti per il raggiungimento di risultati determinati o per la realizzazione di specifici programmi, il Presidente istituisce, con proprio decreto, apposite strutture di missione, la cui durata temporanea, comunque non superiore a quella del Governo che le ha istituite, è specificata dall'atto istitutivo.”. In tal senso, la disposizione in esame appare costituire, una deroga implicita a tale principio generale.
Al tempo stesso, come evidenziato anche all’art. 5 del presente decreto-legge, si valuti l’opportunità di un coordinamento con il principio generale stabilito dall’articolo 31 della legge n. 400 del 1988 in base al quale “I decreti di conferimento di incarico ad esperti nonché quelli relativi a dipendenti di amministrazioni pubbliche diverse dalla Presidenza del Consiglio dei ministri o di enti pubblici, con qualifica dirigenziale equiparata, in posizione di fuori ruolo o di comando, ove non siano confermati entro tre mesi dal giuramento del Governo, cessano di avere effetto” (cd. Spoils System). Inoltre, ai sensi dell’art. 19 del Testo unico pubblico impiego (d. lgs. 165/2001) gli incarichi di funzione dirigenziale apicale (di cui al comma 3 del medesimo art. 19) cessano decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo. Andrebbe in particolare chiarito se con la specificazione prevista dalla disposizione in esame si intenda superata l’applicazione di tali previsioni per i componenti della istituenda Unità.
Il comma 2 prevede che all’Unità è affidato un contingente di personale nei limiti delle risorse stabilite dal comma 4. Si stabilisce anche che l’Unità operi in raccordo con il gruppo di lavoro sull’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) del Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici della Presidenza del Consiglio (istituito ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 144 del 1999).
Il citato articolo 1 della legge n. 144 del 1999 prevede che “le amministrazioni centrali e regionali […] istituiscono e rendono operativi, entro il 31 ottobre 1999, propri nuclei di valutazione e verifica degli investimenti pubblici” che operano in raccordo fra loro e con il Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici del Ministero dell’economia.
La disciplina dell’analisi di impatto della regolamentazione è invece recata dall’articolo 14 della legge n. 246 del 2005 che la definisce quale “valutazione preventiva degli effetti di ipotesi di intervento normativo ricadenti sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni, mediante comparazione di opzioni alternative” La regolamentazione dell’AIR è affidata al regolamento approvato con il DPCM n. 169 del 2017.
Il comma 3 individua i seguenti compiti per l’Unità:
· individuare gli ostacoli all’attuazione del PNRR derivanti da disposizioni normative e dalle relative misure attuative e proporre rimedi; a tal fine l’Unità riceverà segnalazioni dalla Cabina di regia istituita dall’articolo 2
· coordinare l’elaborazione di proposte per superare le disfunzioni derivanti dalla normativa vigente e dalle relative misure attuative. A tal fine l’Unità utilizzerà anche le verifiche d’impatto della regolamentazione;
In base all’articolo 14 della legge n. 246 del 2005 le verifiche di impatto della regolamentazione (VIR) consistono nella valutazione, anche periodica, del raggiungimento delle finalità e nella stima dei costi e degli effetti prodotti da atti normativi sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni.
Al riguardo, si segnala che, in base all’ultima relazione del Governo sull’analisi di impatto della regolamentazione (Doc. LXXXIII, n. 4), i piani per lo svolgimento della VIR predisposti dalle varie amministrazioni per il biennio 2021-2022 prevedono nel complesso la predisposizione della VIR per 13 provvedimenti.
· elaborare un programma di azioni prioritarie ai fini della razionalizzazione e revisione normativa;
· promuovere e potenziare iniziative di sperimentazione normativa, anche tramite relazioni istituzionali con analoghe strutture istituite in Paesi stranieri, europei ed extraeuropei; l’Unità dovrà inoltre tenere in adeguata considerazione le migliori pratiche di razionalizzazione e sperimentazione normativa a livello internazionale;
· ricevere e considerare ipotesi e proposte di razionalizzazione e sperimentazione normativa formulate da soggetti pubblici e privati.
Il comma 4 autorizza per le attività dell’Unità la spesa di 200.000 euro per il 2021 e di 400.000 euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026. Le risorse, che saranno aggiuntive rispetto a quelle del bilancio della Presidenza del Consiglio, sono individuate nell’ambito della copertura della parte prima del provvedimento ai sensi dell’articolo 16.
L’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione si affianca alla già esistente Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione istituita dall’articolo 1, comma 22-bis del decreto-legge n. 181 del 2006 che anche il comma 5 richiama.
Dell’Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione fanno parte il Capo del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri e i componenti sono scelti tra professori universitari, magistrati amministrativi, contabili ed ordinari, avvocati dello Stato, funzionari parlamentari, avvocati del libero foro con almeno quindici anni di iscrizione all'albo professionale, dirigenti delle amministrazioni pubbliche ed esperti di elevata professionalità. Tra i compiti dell’Unità, in base al DPCM del 12 giugno 2013 rientrano “la semplificazione dell'ordinamento giuridico, l'abrogazione di norme desuete o disapplicate, il riassetto della normativa vigente mediante la redazione di codici e testi unici”.
Al riguardo, si valuti l’opportunità di approfondire le modalità di coordinamento tra le due Unità.
Il comma 5 attribuisce nuovi compiti all’Ufficio per la semplificazione del Dipartimento della funzione pubblica.
Si ricorda che l’Ufficio per la semplificazione è stato previsto da ultimo dall’articolo 6 del decreto del Ministro della pubblica amministrazione del 24 luglio 2020. In base a tale articolo, l’Ufficio “promuove e coordina l’elaborazione e l’attuazione delle politiche di semplificazione normativa e amministrativa finalizzate a migliorare la qualità della regolazione e le relazioni tra amministrazioni, cittadini e imprese, ridurre i tempi e gli oneri regolatori, accrescere la competitività e dare certezza ai diritti dei cittadini e alle attività di impresa, anche attraverso un’agenda condivisa tra Stato, Regioni ed Enti Locali”.
In particolare si stabilisce che l’Ufficio per la semplificazione in raccordo con la già richiamata Unità per la semplificazione e la qualità della regolazione, svolga i seguenti compiti:
· promuovere e coordinare attività di rafforzamento della capacità amministrativa nella gestione di procedure complesse rilevanti ai fini del PNRR;
· promuovere e coordinare interventi di semplificazione e “reingegnerizzazione” delle procedure e della predisposizione del catalogo dei procedimenti semplificati e standardizzati previsti nel PNRR;
· promuovere interventi normativi e tecnologici di semplificazione anche attraverso un’agenda per la semplificazione condivisa con le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali;
Sulle precedenti esperienze dell’Agenda per la semplificazione si rinvia al box infra.
· pianificare e verificare su base annuale gli interventi di semplificazione.
Le politiche di semplificazione
Le disposizioni dell’articolo 5 rappresentano l’ultima evoluzione delle politiche per la semplificazione normativa che sono ormai risalenti. Tra gli ultimi interventi merita in particolare richiamare la delega prevista dall’articolo 14 della legge 246/2005, con la quale lo Stato si è posto per la prima volta l’obiettivo di ridurre drasticamente lo stock normativo. Tale obiettivo è stato perseguito facendo ordine nella massa dei provvedimenti emanati dall’unità d’Italia fino al 31 dicembre 1969, attraverso la ricognizione di tutte le disposizioni di cui si è ritenuta indispensabile la permanenza in vigore. Tutte le altre disposizioni sono considerate abrogate, a meno che non interessino alcuni settori esclusi dalla cosiddetta “ghigliottina” (cioè l’abrogazione generalizzata). Nel rispetto di tale principio, il decreto legislativo 1° dicembre 2009, n. 179, ha fatto salvi circa 3.300 atti normativi di rango primario anteriori al 1° gennaio 1970, di cui si è ritenuta indispensabile la permanenza in vigore.
Esso è stato preceduto da altri due interventi legislativi che, agendo in maniera speculare rispetto al meccanismo taglia-leggi ed utilizzando anche il lavoro di ricognizione effettuato a quel fine, abrogano espressamente poco più di 30.000 atti normativi, anche successivi al 1970. Si tratta dell’articolo 24 del decreto-legge n. 112/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008 e del decreto-legge n. 200/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9/2009.
Tale procedura di abrogazione generalizzata è stata ricondotta nell’alveo della delega “taglia-leggi” attraverso le modifiche ad essa apportate dalla legge 69/2009 ed ha condotto alla adozione del decreto legislativo 13 dicembre 2010, n. 212, che abroga all’incirca 37.000 atti normativi.
Infine, l’articolo 62 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, ha disposto che, dal sessantesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione, “sono o restano abrogate” le disposizioni riportate nella tabella A, allegata al decreto, che contiene un elenco di 298 atti di varia natura.
L'articolo 24 del decreto-legge n. 90 del 2014 ha previsto poi l'istituzione dell'agenda per la semplificazione 2015-2017. In base alla norma, l'Agenda per la semplificazione, approvata dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione e previa intesa in sede di Conferenza unificata, contiene le linee di indirizzo condivise tra Stato, regioni, province autonome e autonomie locali e il cronoprogramma per la loro attuazione. L'Agenda prevede anche la possibilità di sottoscrivere intese ed accordi in sede di Conferenza unificata per il coordinamento delle attività delle diverse amministrazioni interessate.
L'Agenda prevedeva trentasette azioni in cinque settori strategici: la cittadinanza digitale; il welfare e la salute; il fisco; l'edilizia; l'impresa.
Il DEF 2018 segnalava che, in base all'ultimo rapporto di monitoraggio sull'agenda per la semplificazione, del novembre 2017, il 96 per cento delle azioni previste nell'agenda risulta attuato nei tempi previsti. In particolare vengono richiamati:
· gli accordi raggiunti il 4 maggio e il 6 luglio 2017 in sede di Conferenza unificata sulla modulistica unificata e semplificata per le attività commerciali, artigianali ed edilizie (il rapporto specifica che si tratta dei moduli unificati per attività quali bar, ristoranti, attività di acconciatore e/o estetista, panifici, tintolavanderie);
· la predisposizione di istruzioni per le nuove disposizioni in materia di Conferenza dei servizi e SCIA (segnalazione certificata di inizio attività; il riferimento è, per la Conferenza dei servizi, al decreto legislativo n. 127 del 2016 e, per la SCIA ai decreti legislativi n. 126 e n. 222 del 2016, tutti attuativi delle deleghe di riforma della pubblica amministrazione previste dalla legge n. 124 del 2015, cd. "riforma Madia");
· l'adozione del regolamento che individua gli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica e sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata (il riferimento è al DPR n. 31 del 2017 che esonera dall'obbligo di autorizzazione paesaggistica particolari categorie di interventi, permettendo quindi che determinati interventi siano soggetti a "SCIA non condizionata", senza cioè necessità di acquisire atti di assenso in sede di conferenza dei servizi, anche in zone vincolate; il DPR prevede inoltre per ulteriori interventi una procedura più snella e semplificata.).
Il DEF 2018 ricorda anche le ulteriori misure adottate successivamente al novembre 2017:
· l'accordo in sede di Conferenza unificata del 22 febbraio 2018 che ha adottato ulteriori moduli unificati e semplificati relativi alle attività produttive (il programma nazionale di riforma non esplicita a quali attività si faccia riferimento ma si tratta di quelle di commercio all'ingrosso, facchinaggio, imprese di pulizia e agenzie di affari di competenza del Comune)
· il decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti relativo al cd. glossario unico dell'edilizia; il decreto contiene l'elenco delle opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera (senza alcun titolo abilitativo, ferme restando però le prescrizioni degli strumenti urbanistici e le normative di settore, in particolare le norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, quelle relative all'efficienza energetica e alla tutela dal rischio idrogeologico e quelle contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio); il riferimento, non esplicito nel testo, è al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 2 marzo 2018, attuativo del già ricordato decreto legislativo n. 222 del 2016; tra le opere realizzabili nel regime "libero" sopra richiamato merita segnalare l'installazione degli impianti di condizionamento.
Nel rapporto di monitoraggio vengono invece indicate come non ancora attuate:
· l'accesso on line ai referti sanitari
· la messa a regime dell'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR; vale a dire un'unica anagrafe chiamata a sostituire le oltre 8.100 anagrafe comunali, per integrare le informazioni relative al "domicilio digitale" dei cittadini e consentire il "censimento permanente")
· la messa a regime del "bollo digitale" (cioè le marche da bollo digitali).
Il DEF 2018 richiama infine l'accordo raggiunto in sede di Conferenza unificata nel dicembre 2017 per l'aggiornamento 2018-2020 dell'Agenda per la semplificazione. Tra le misure previste merita richiamare la verifica sistematica del funzionamento degli sportelli unici delle attività produttive (SUAP); l'incentivazione di interventi di "rigenerazione" urbana e territoriale e la riduzione del cd. gold-plating (vale a dire della prassi di introdurre, in sede di recepimento della normativa dell'Unione europea, ulteriori adempimenti non previsti da tale normativa).
Successivamente, l’articolo 15 del decreto-legge n. 76 del 2020 (cd. “DL semplificazioni”) ha previsto la predisposizione dell’agenda per la semplificazione 2020-2023, poi approvata con l’accordo in sede di Conferenza unificata del novembre 2020. Le azioni programmate dall’Agenda riguardano i seguenti ambiti:
· la semplificazione e la “reingegnerizzazione” delle procedure
· la velocizzazione delle procedure
· la semplificazione e la digitalizzazione
· la realizzazione di azioni mirate per il superamento degli ostacoli burocratici nei settori chiave del Piano di rilancio
I settori-chiave degli interventi programmati riguardano:
· Tutela ambientale e green econom
· Edilizia e rigenerazione urbana
· Banda ultralarga
· Appalti.
Da ultimo la semplificazione amministrativa rientra nel secondo asse di intervento della componente 1 della Missione 1 del PNRR, dedicato alle misure di “Innovazione della PA”. Gli investimenti e le riforme programmati dal Piano in tale ambito hanno la finalità di eliminare i vincoli burocratici, rendere più efficiente ed efficace l’azione della Pubblica Amministrazione, con l’effetto di ridurre tempi e costi per le imprese e i cittadini.
Nel Piano si constata che nonostante le politiche di semplificazione normativa e amministrativa siano state ripetutamente sperimentate in Italia nell'ultimo decennio, questi sforzi, tuttavia, non hanno prodotto effetti incisivi in termini di rimozione di vincoli e oneri, aumento della produttività del settore pubblico e facilità di accesso di cittadini e imprese a beni e servizi pubblici. Le cause di questa inefficienza sono da ricercare nel fatto che le azioni sono state condotte principalmente a livello normativo, con pochi e insufficienti interventi organizzativi, soprattutto a livello locale, nonché con investimenti molto limitati nel personale, nelle procedure e nelle tecnologie. Per questo il Piano intende accompagnare le azioni di riforma legislativa da un forte intervento a sostegno della capacità amministrativa, soprattutto attraverso adeguate azioni di supporto tecnico a livello locale, per reingegnerizzare i procedimenti in vista della loro digitalizzazione e assistere le amministrazioni locali nella transizione dal vecchio al nuovo regime.
A sua volta, la semplificazione normativa è trasversale rispetto alle materie trattate dal Piano. Nell’analisi fornita dal Piano, il numero eccessivo di leggi e la loro scarsa chiarezza costituiscono un ostacolo per la vita dei cittadini e un freno per le iniziative economiche.
L'articolo 6 istituisce presso il MEF - Dipartimento RGS un ufficio centrale di livello dirigenziale denominato "Servizio centrale per il PNRR" con compiti di coordinamento operativo, monitoraggio, rendicontazione e controllo del PNRR, articolato in sei uffici di livello dirigenziale non generale (comma 1). Istituisce inoltre, presso il medesimo dipartimento, cinque posizioni di funzione dirigenziale di livello non generale di consulenza, studio e ricerca per le esigenze degli Ispettorati competenti (comma 3). Per tali finalità autorizza la spesa di euro 930.000 per l'anno 2021 e di euro 1.859.000 a decorrere dall'anno 2022.
Nel dettaglio, il comma 1 istituisce presso il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato (RGS) un ufficio centrale di livello dirigenziale generale, denominato Servizio centrale per il PNRR, con compiti di coordinamento operativo, monitoraggio, rendicontazione e controllo del PNRR, che rappresenta il punto di contatto nazionale per l'attuazione del PNRR ai sensi dell'articolo 22 del Regolamento (UE) 2021/241, conformandosi ai relativi obblighi di informazione, comunicazione e di pubblicità.
Il regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021 istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza[6]. L'articolo 22 (Tutela degli interessi finanziari dell'Unione) del regolamento, in particolare, prevede (paragrafo 1), tra l'altro, che nell'attuare il dispositivo gli Stati membri, in qualità di beneficiari o mutuatari di fondi a titolo dello stesso, adottano tutte le opportune misure per tutelare gli interessi finanziari dell'Unione e per garantire che l'utilizzo dei fondi in relazione alle misure sostenute dal dispositivo sia conforme al diritto dell'Unione e nazionale applicabile, in particolare per quanto riguarda la prevenzione, l'individuazione e la rettifica delle frodi, dei casi di corruzione e dei conflitti di interessi. A tal fine, gli Stati membri prevedono un sistema di controllo interno efficace ed efficiente nonché provvedono al recupero degli importi erroneamente versati o utilizzati in modo non corretto. Gli Stati membri possono fare affidamento sui loro normali sistemi nazionali di gestione del bilancio.
L'articolo specifica che il Servizio centrale per il PNRR è inoltre responsabile della gestione del Fondo di Rotazione del Next Generation EU-Italia e dei connessi flussi finanziari, nonché della gestione del sistema di monitoraggio sull'attuazione delle riforme e degli investimenti del PNRR, assicurando il necessario supporto tecnico alle amministrazioni centrali titolari di interventi previsti nel PNRR di cui all'articolo 8 (si veda la relativa scheda).
Si rammenta che l'articolo 1, commi 1037-1050 della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020) dettano una serie di misure per l’attuazione del Programma Next Generation EU.
In particolare, il “Fondo di rotazione per l’attuazione del Programma Next Generation EU” viene istituito nello stato di previsione del MEF quale anticipazione rispetto ai contributi provenienti dall’Unione Europea (comma 1037). La dotazione del Fondo è pari a 32.766,6 milioni di euro per il 2021, a 40.037,4 milioni di euro per il 2022 e a 44.573 milioni per il 2023 (per un totale di 117,65 miliardi). Le dotazioni annuali del Fondo sono riportate nel prospetto riepilogativo allegato alla legge, a titolo di maggiori spese in conto capitale ai fini del saldo netto da finanziare, mentre non sono contabilizzati effetti in termini di fabbisogno e di indebitamento netto.
Secondo quanto riportato nel prospetto riepilogativo, le finalizzazioni previste nella legge sono pari a 7.020,2 milioni nel 2021, 9.422,7 milioni nel 2022, 8.864,1 milioni nel 2023 e 9.055,6 milioni dal 2024, per un totale di 34.362,6 milioni (a fronte dei 117,65 miliardi della dotazione del Fondo).
Le risorse del Fondo sono versate su due appositi conti correnti infruttiferi aperti presso la tesoreria centrale dello Stato: sul primo conto corrente, denominato Ministero dell’economia e delle finanze attuazione del Programma Next Generation EU - Contributi a fondo perduto – sono versate le risorse relative ai progetti finanziati mediante contributi a fondo perduto, mentre sul secondo conto corrente denominato Ministero dell’economia e delle finanze attuazione del Programma Next Generation EU - Contributi a titolo di prestito – sono versate le risorse relative ai progetti finanziati mediante prestiti. Tali conti hanno amministrazione autonoma e costituiscono gestioni fuori bilancio, ai sensi della legge 25 novembre 1971, n. 1041 (comma 1038).
Le risorse giacenti sui conti correnti infruttiferi sono trasferite, in relazione al fabbisogno finanziario, a ciascuna amministrazione o organismo titolare dei progetti, mediante giroconto su conto corrente di tesoreria centrale appositamente istituito, sulla base delle procedure definite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, nel rispetto del sistema di gestione e controllo del delle componenti del Programma Next Generation EU (comma 1039).
Qualora, invece, le risorse iscritte sul Fondo di rotazione per l’attuazione del Programma Next Generation EU siano utilizzate per progetti finanziati dal dispositivo di ripresa e resilienza dell’Unione europea che comportino minori entrate per il bilancio dello Stato, la norma prevede che un importo corrispondente alle predette minori entrate venga versato sulla contabilità speciale n.1778, intestata: “Agenzia delle Entrate - Fondi di bilancio” per la conseguente regolazione contabile mediante versamento sui pertinenti capitoli dello stato di previsione dell’entrata (comma 1040).
Le risorse erogate all’Italia dal bilancio dell’Unione europea per l’attuazione del Dispositivo di Ripresa e la Resilienza dell’Unione europea affluiscono all’entrata del bilancio dello Stato su due distinti capitoli, rispettivamente relativi ai contributi a fondo perduto e ai prestiti. Ai medesimi capitoli affluiscono le risorse del Programma Next Generation EU oggetto di anticipazione nazionale da parte del Fondo di cui al comma 1037 (comma 1041).
Il Servizio centrale per il PNRR si articola in sei uffici di livello dirigenziale non generale e, per l'esercizio dei propri compiti, può avvalersi del supporto di società partecipate dallo Stato, come previsto all'articolo 9 (si veda la relativa scheda).
Il comma 2 specifica che nello svolgimento delle funzioni ad esso assegnate, il Servizio centrale per il PNRR si raccorda con l'Unità di missione e con gli Ispettorati competenti della RGS. Questi ultimi concorrono al presidio dei processi amministrativi e al monitoraggio anche finanziario degli interventi del PNRR per gli aspetti di relativa competenza. A tal fine, sono istituiti presso il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato cinque posizioni di funzione dirigenziale di livello non generale di consulenza, studio e ricerca per le esigenze degli Ispettorati competenti.
Nella relazione illustrativa che accompagna il decreto, il Governo precisa che il Servizio centrale per il PNRR provvede anche alla predisposizione e attuazione del programma di valutazione in itinere ed ex post delle misure e dei progetti del PNRR assicurando la coerenza degli obiettivi (target) e dei traguardi (milestone) anche ai fini della sottomissione della richiesta di pagamento alla Commissione europea.
Si rammenta che, ai sensi dell'articolo 2 del regolamento (UE) 2021/241 istitutivo del Dispositivo per la ripresa e la resilienza «traguardi e obiettivi» sono le misure dei progressi compiuti verso la realizzazione di una riforma o di un investimento, intendendo per «traguardi» i risultati qualitativi e per «obiettivi» i risultati quantitativi.
Il comma 3 autorizza, per l'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo, la spesa di euro 930.000 per l'anno 2021 e di euro 1.859.000 a decorrere dall'anno 2022. Per la copertura dei relativi oneri si rinvia all'articolo 16.
La relazione tecnica riporta le seguenti tabelle illustrative dei dettagli degli oneri complessivi derivanti dall'articolo in esame.
In dettaglio, gli oneri in ragione annua sono evidenziati nella seguente tabella.
L'articolo 7 definisce il meccanismo dei controlli sull'attuazione del PNRR attraverso: la creazione di un ufficio dirigenziale di livello non generale avente funzioni di audit presso il Dipartimento della RGS - IGRUE (comma 1); la specificazione delle funzioni e dell'articolazione organizzativa dell'Unità di missione istituita dalla legge di bilancio 2021 (commi 2 e 3); l'autorizzazione del MEF - Dipartimento RGS a conferire sette incarichi di livello dirigenziale non generale (comma 4); la previsione della ridefinizione dei compiti degli uffici dirigenziali non generali del MEF, nelle more del perfezionamento del regolamento di organizzazione del predetto Ministero, ivi incluso quello degli uffici di diretta collaborazione (comma 5); l'attribuzione alla Sogei S.p.A. del compito di assicurare il supporto di competenze tecniche e funzionali all'amministrazione economica finanziaria per l'attuazione del PNRR, anche avvalendosi di Studiare Sviluppo s.r.l. (comma 6); l'individuazione della Corte dei Conti come organo istituzionalmente deputato al controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria (comma 7); l'attribuzione alle amministrazioni della facoltà di stipulare specifici protocolli d'intesa con la Guardia di finanza per rafforzare le attività di controllo (comma 8). Per l'attuazione di tali disposizioni l'articolo, infine, autorizza la spesa di euro 218.000 per l'anno 2021 e di euro 436.000 a decorrere dall'anno 2022, rinviando all'articolo 16 per la copertura finanziaria (comma 9).
Nel dettaglio, il comma 1 istituisce presso il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato (RGS) - Ispettorato generale per i Rapporti finanziari con l'Unione europea (IGRUE) un ufficio dirigenziale di livello non generale avente funzioni di audit del PNRR ai sensi dell'articolo 22 paragrafo 2, lettera c), punto ii), del Regolamento (UE) 2021/241.
Il regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021 istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza[7]. L'articolo 22 (Tutela degli interessi finanziari dell'Unione) del regolamento, in particolare, prevede (paragrafo 2), una serie di obblighi a carico degli Stati membri derivanti dagli accordi di prestito (articolo 15, paragrafo 2) e dagli accordi per l'impegno del contributo finanziario (articolo 23, paragrafo 1). In particolare, tra tali obblighi figura anche quello di corredare una richiesta di pagamento di una sintesi degli audit effettuati, che comprenda le carenze individuate e le eventuali azioni correttive adottate (articolo 22, paragrafo 2, lettera c), punto ii)).
Il comma prosegue assicurando che l'ufficio di cui al primo periodo opera in posizione di indipendenza funzionale rispetto alle strutture coinvolte nella gestione del PNRR e si avvale, nello svolgimento delle funzioni di controllo relative a linee di intervento realizzate a livello territoriale, dell'ausilio delle Ragionerie territoriali dello Stato.
I commi 2 e 3 specificano le funzioni e l'articolazione organizzativa dell'Unità di missione di cui all'articolo 1, comma 1050, della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020).
Come già rammentato nella scheda relativa all'articolo 6, l'articolo 1, commi 1037-1050, della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020) detta una serie di misure per l’attuazione del Programma Next Generation EU.
In particolare, il comma 1050 prevede l’istituzione, con decorrenza dal 1° gennaio 2021, di un’apposita unità di missione presso il Dipartimento della RGS del MEF, con il compito di coordinamento, raccordo e sostegno delle strutture del Dipartimento medesimo a vario titolo coinvolte nel processo di attuazione del programma Next Generation EU.
Per tale finalità, il comma 1050 dispone l’istituzione di un posto di funzione di livello dirigenziale generale di consulenza, studio e ricerca, di durata triennale rinnovabile una sola volta (si veda più oltre il comma 3 per la soppressione di tale limite). Al fine di assicurare l’invarianza finanziaria, sono resi indisponibili nell’ambito della dotazione organica del MEF un numero di posti di funzione dirigenziale di livello non generale equivalente sul piano finanziario.
Per effetto delle suddette modifiche introdotte dall'articolo 1-bis, comma 7, lettera d), del decreto-legge n. 183 del 2020 al comma 1050, l’unità di missione può avvalersi, oltre che del personale di ruolo del MEF, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio del medesimo Ministero, di non più di 10 unità di personale non dirigenziale dipendente delle amministrazioni pubbliche, collocato fuori ruolo o in posizione di comando, distacco o altro analogo istituto previsto dagli ordinamenti delle amministrazioni di rispettiva appartenenza, ai sensi dell'articolo 17, comma 14, della legge n. 127 del 1997 - ai sensi del quale, nel caso in cui disposizioni di legge o regolamentari dispongano l'utilizzazione presso le amministrazioni pubbliche di un contingente di personale in posizione di fuori ruolo o di comando, le amministrazioni di appartenenza sono tenute ad adottare il provvedimento di fuori ruolo o di comando entro quindici giorni dalla richiesta - con esclusione del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario delle istituzioni scolastiche.
Il medesimo articolo 1-bis, comma 7, lettera d), del decreto-legge n. 183 del 2020 apporta, inoltre, una modifica all'articolo 26, comma 3, del decreto legislativo n. 123 del 2011 (Riforma dei controlli di regolarità amministrativa e contabile e potenziamento dell'attività di analisi e valutazione della spesa, a norma dell'articolo 49 della legge 31 dicembre 2009, n. 196), al fine di precisare che per lo svolgimento delle attività di analisi e valutazione della spesa, il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato può avvalersi di personale in posizione di comando, ai sensi dell'articolo 17, comma 14, della legge n. 127 del 1997, su richiesta del Ministero (anziché del Ministro) dell'economia e delle finanze.
Il comma 2 dell'articolo in esame dispone che l'Unità di missione provvede, anche in collaborazione con le amministrazioni di cui all'articolo 8 (si veda la relativa scheda), alla predisposizione e attuazione del programma di valutazione in itinere ed ex post del PNRR, assicurando il rispetto degli articoli 19 (Valutazione della Commissione) e 20 (Proposta della Commissione e decisione di esecuzione del Consiglio) del Regolamento (UE) 2021/241, nonché la coerenza dei relativi target e milestone. Concorre inoltre alla verifica della qualità e completezza dei dati di monitoraggio rilevati dal sistema di cui all'articolo 1, comma 1043, della legge di bilancio 2021 e svolge attività di supporto ai fini della predisposizione dei rapporti e delle relazioni di attuazione e avanzamento del Piano.
Si rammenta che, ai sensi dell'articolo 2 del regolamento (UE) 2021/241 istitutivo del Dispositivo per la ripresa e la resilienza «traguardi e obiettivi» sono le misure dei progressi compiuti verso la realizzazione di una riforma o di un investimento, intendendo per «traguardi» (milestone) i risultati qualitativi e per «obiettivi» (target) i risultati quantitativi.
Si rammenta altresì che, ai sensi dell'articolo 1, comma 1043, della legge di bilancio 2021, le amministrazioni e gli organismi titolari dei progetti finanziati sono responsabili della relativa attuazione conformemente al principio della sana gestione finanziaria ed alla normativa nazionale e comunitaria, in particolare per quanto riguarda la prevenzione, l’individuazione e la correzione delle frodi, la corruzione ed i conflitti di interesse e realizzano i progetti, nel rispetto dei cronoprogrammi, per il conseguimento dei relativi i target intermedi e finali. Al fine di supportare le attività di gestione, monitoraggio, rendicontazione e controllo delle componenti del programma Next Generation EU, il Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, sviluppa e rende disponibile un apposito sistema informatico.
Il comma 3 prevede che l'Unità di missione è composta di due uffici dirigenziali di livello non generale. Essa provvede altresì a supportare le attività di valutazione delle politiche di spesa settoriali di competenza del Dipartimento della RGS e a valorizzare il patrimonio informativo relativo alle riforme e agli investimenti del PNRR anche attraverso lo sviluppo di iniziative di trasparenza e partecipazione indirizzate alle istituzioni e ai cittadini. Conseguentemente all'articolo 1, comma 1050, della legge di bilancio 2021, si sopprime il limite relativo alla durata triennale e alla rinnovabilità per una sola volta del posto di funzione di livello dirigenziale generale di consulenza, studio e ricerca.
Il comma 4 prevede che per le finalità dell'articolo 6 (si veda la relativa scheda) e del presente articolo, il MEF - Dipartimento RGS è autorizzato a conferire 7 incarichi di livello dirigenziale non generale ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, anche in deroga ai limiti ivi previsti, e a bandire apposite procedure concorsuali pubbliche e ad assumere, in deroga ai vigenti limiti assunzionali, le restanti unità di livello dirigenziale non generale.
Si rammenta che l'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 dispone che ciascuna amministrazione può conferire incarichi dirigenziali a tempo determinato a persone di comprovata qualificazione professionale esterne all'amministrazione, ovvero a personale pubblico non dirigente (anche appartenente all'amministrazione conferente), entro il limite del 10% della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia dei ruoli di dirigente e del 10% della dotazione di quelli di seconda fascia (quest’ultima percentuale è stata così rideterminata dall’art. 1, comma 6, secondo periodo, del decreto-legge 162 del 2019). La durata degli incarichi, comunque, non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale generale, di Segretario generale di Ministeri, di dirigente generale di strutture articolate in uffici dirigenziali generali, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni.
In materia di limiti alle facoltà assunzionali della pubblica amministrazione si veda l'approfondimento disponibile nell'ambito dei temi web della Camera dei deputati.
In base al comma 5, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con le modalità del procedimento ordinario stabilite dall'articolo 17, comma 4-bis, lettera e), della legge n. 400 del 1988 (nonché dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 300 del 1999) - che prevede regolamenti governativi di delegificazione - si provvede alla ridefinizione, in coerenza con l'articolo 6 e con il presente articolo, dei compiti degli uffici dirigenziali non generali del MEF, nelle more del perfezionamento del regolamento di organizzazione del predetto Ministero, ivi incluso quello degli uffici di diretta collaborazione, da adottarsi entro il 31 gennaio 2022 con le modalità di cui all'articolo 10 del decreto-legge n. 22 del 2021, convertito con modificazioni dalla legge n. 55 del 2021. In sede di prima applicazione, gli incarichi dirigenziali di cui all'articolo 6 e quelli di cui al presente articolo possono essere conferiti anche nel caso in cui le procedure di nomina siano state avviate prima dell'adozione del predetto regolamento di organizzazione, ma siano comunque conformi ai compiti e all'organizzazione del Ministero e coerenti rispettivamente con le disposizioni dell'articolo 6 e del presente articolo.
Si rammenta che l’articolo 10 del decreto-legge n. 22 del 2021 stabilisce che entro il 30 giugno 2021 i regolamenti di riorganizzazione dei Ministeri dello sviluppo economico, della transizione ecologica, della cultura, delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del turismo, del lavoro e delle politiche sociali, ivi inclusi quelli degli uffici di diretta collaborazione, sono adottati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, in deroga al procedimento ordinario stabilito dall’articolo 17, comma 4-bis, della legge n. 400 del 1988 (nonché dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 300 del 1999) che prevede regolamenti governativi di delegificazione. A questi Ministeri si aggiunge ora il MEF.
Il comma 6 attribuisce alla Sogei S.p.A. (società in house del MEF) il compito di assicurare il supporto di competenze tecniche e funzionali all'amministrazione economica finanziaria per l'attuazione del PNRR. Per tale attività può avvalersi di Studiare Sviluppo s.r.l. (società a intera partecipazione del MEF) secondo le modalità che saranno definite in specifica Convenzione, per la selezione di esperti cui affidare le attività di supporto. Alla stessa Società non si applicano le disposizioni relative ai vincoli in materia di contratti di collaborazione coordinata e continuativa e la stessa determina i processi di selezione e assunzione di personale in base a criteri di massima celerità ed efficacia, prediligendo modalità di selezione basate su requisiti curriculari e su colloqui di natura tecnica, anche in deroga a quanto previsto dall'articolo 19 (Gestione del personale) delle risorse disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Il comma 7 riguarda la Corte dei conti, a cui si attribuisce il compito di esercitare il controllo sulla gestione di cui all'articolo 3, comma 4, della legge n. 20 del 1994, svolgendo in particolare valutazioni di economicità, efficienza ed efficacia circa l'acquisizione e l'impiego delle risorse finanziarie provenienti dai fondi di cui al PNRR. Tale controllo si informa a criteri di cooperazione e di coordinamento con la Corte dei conti europea, secondo quanto previsto dall'articolo 287, paragrafo 3 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. La Corte dei conti, ai sensi dell'articolo 3, comma 6 della legge n. 20 del 1994, riferisce, almeno annualmente, al Parlamento sullo stato di attuazione del PNRR.
Si rammenta che l'articolo 3 (Norme in materia di controllo della Corte dei conti), comma 4, della legge n. 209 del 1994 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), prevede che la Corte dei conti svolge, anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria, verificando la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione. Accerta, anche in base all'esito di altri controlli, la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge, valutando comparativamente costi, modi e tempi dello svolgimento dell'azione amministrativa. La Corte definisce annualmente i programmi e i criteri di riferimento del controllo sulla base delle priorità previamente deliberate dalle competenti Commissioni parlamentari a norma dei rispettivi regolamenti, anche tenendo conto, ai fini di referto per il coordinamento del sistema di finanza pubblica, delle relazioni redatte dagli organi, collegiali o monocratici, che esercitano funzioni di controllo o vigilanza su amministrazioni, enti pubblici, autorità amministrative indipendenti o società a prevalente capitale pubblico.
Ai sensi del comma 6 del medesimo articolo, la Corte dei conti riferisce, almeno annualmente, al Parlamento ed ai consigli regionali sull'esito del controllo eseguito. Le relazioni della Corte sono altresì inviate alle amministrazioni interessate, alle quali la Corte formula, in qualsiasi altro momento, le proprie osservazioni. Le amministrazioni comunicano alla Corte ed agli organi elettivi, entro sei mesi dalla data di ricevimento della relazione, le misure conseguenzialmente adottate.
Il comma 8 prevede che, ai fini del rafforzamento delle attività di controllo, anche finalizzate alla prevenzione ed al contrasto della corruzione, delle frodi, nonché ad evitare i conflitti di interesse ed il rischio di doppio finanziamento pubblico degli interventi le amministrazioni centrali titolari di interventi previsti dal PNRR possono stipulare specifici protocolli d'intesa con la Guardia di Finanza senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Il comma 9, infine, autorizza la spesa di euro 218.000 per l'anno 2021 e di euro 436.000 a decorrere dall'anno 2022 per l'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo e rinvia all'articolo 16 per la copertura finanziaria.
La relazione tecnica riporta le seguenti tabelle illustrative dei dettagli degli oneri complessivi derivanti dall'articolo in esame.
In dettaglio, gli oneri in ragione annua sono evidenziati nella seguente tabella.
L’articolo 8 detta disposizioni per il coordinamento della fase attuativa del PNRR, prevedendo che ciascuna amministrazione centrale titolare di interventi previsti nel Piano individui una struttura di livello dirigenziale generale (esistente o di nuova istituzione), articolata fino a un massimo di tre uffici dirigenziali di livello dirigenziale non generale, che funga da punto di contatto con il Servizio centrale per il PNRR e svolga attività di monitoraggio, rendicontazione e controllo, sulla base di apposite linee guida da essa adottate.
Il comma 1 prevede che ciascuna amministrazione centrale titolare di interventi previsti nel PNRR provvede al coordinamento delle relative attività di gestione, nonché al loro monitoraggio, rendicontazione e controllo. A tal fine, nell'ambito della propria autonomia organizzativa, individua, tra quelle esistenti, la struttura di livello dirigenziale generale di riferimento ovvero istituisce una apposita unità di missione di livello dirigenziale generale fino al completamento del PNRR, e comunque fino al 31 dicembre 2026, articolata fino ad un massimo di tre uffici dirigenziali di livello non generale, adottando, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, il relativo provvedimento di organizzazione interna, con decreto del Ministro di riferimento, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze.
Il comma 2 prevede che la struttura di cui al comma 1 rappresenta il punto di contatto con il Servizio centrale per il PNRR[8] per l'espletamento degli adempimenti previsti dal Regolamento (UE) 2021/241 e, in particolare, per la presentazione alla Commissione europea delle richieste di pagamento ai sensi dell'articolo 24, paragrafo 2 del medesimo regolamento[9]. La struttura provvede a trasmettere al predetto Servizio centrale per il PNRR i dati finanziari e di realizzazione fisica e procedurale degli investimenti e delle riforme, nonché l'avanzamento dei relativi milestone e target, attraverso le specifiche funzionalità del sistema informatico di cui all'articolo 1, comma 1043, della legge 30 dicembre 2020, n. 178[10].
Il comma 3 prevede che la struttura di cui al 1 vigila affinché siano adottati criteri di selezione delle azioni coerenti con le regole e gli obiettivi del PNRR ed emana linee guida per assicurare la correttezza delle procedure di attuazione e rendicontazione, la regolarità della spesa ed il conseguimento dei milestone e target e di ogni altro adempimento previsto dalla normativa europea e nazionale applicabile al PNRR. Essa svolge, inoltre, attività di supporto nella definizione, attuazione, monitoraggio e valutazione di programmi e progetti cofinanziati ovvero finanziati da fondi nazionali, europei e internazionali, nonché attività di supporto all'attuazione di politiche pubbliche per lo sviluppo, anche in relazione alle esigenze di programmazione e attuazione del PNRR.
Il comma 4 prevede che la struttura di cui al comma 1 vigila sulla regolarità delle procedure e delle spese e adotta tutte le iniziative necessarie a prevenire, correggere e sanzionare le irregolarità e gli indebiti utilizzi delle risorse; adotta, inoltre, le iniziative necessarie a prevenire le frodi, i conflitti di interesse ed evitare il rischio di doppio finanziamento pubblico degli interventi, anche sulla base di protocolli d'intesa con la Guardia di Finanza. Essa è inoltre responsabile dell'avvio delle procedure di recupero e restituzione delle risorse indebitamente utilizzate, ovvero oggetto di frode o doppio finanziamento pubblico.
Il comma 4 prevede che la struttura di cui al comma 1 svolga le attività ivi previste “anche attraverso i protocolli d'intesa di cui al comma 13 dell'articolo 7”: al riguardo si evidenzia che il rinvio al comma 13 non è corretto ed andrebbe più propriamente riferito al comma 8 dell’articolo 7, ove si prevede la possibilità di stipulare protocolli d’intesa con la Guardia di finanza.
Il comma 5 prevede che al fine di salvaguardare il raggiungimento, anche in sede prospettica, degli obiettivi e dei traguardi, intermedi e finali del PNRR, i bandi, gli avvisi e gli altri strumenti previsti per la selezione dei singoli progetti e l'assegnazione delle risorse prevedono clausole di riduzione o revoca dei contributi, in caso di mancato raggiungimento, nei tempi assegnati, degli obiettivi previsti, e di riassegnazione delle somme, fino alla concorrenza delle risorse economiche previste per i singoli bandi, per lo scorrimento della graduatorie formatesi in seguito alla presentazione delle relative domande ammesse al contributo, compatibilmente con i vincoli assunti con l'Unione europea.
Il comma 6 prevede che per l'attuazione dell’articolo 8 in esame è autorizzata la spesa di euro 8.789.000 per l'anno 2021 e di euro 17.577.000 per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026. Ai relativi oneri si provvede ai sensi dell'articolo 16 (alla cui scheda nel presente dossier si rinvia).
L'articolo 9 attribuisce alle singole Amministrazioni centrali o degli enti territoriali competenti per materia, la realizzazione (in via diretta o mediante alcuni altri soggetti) degli interventi previsti dal PNRR.
Pone loro alcuni obblighi, di tracciabilità e documentazione.
L'articolo 9 prevede che la "realizzazione operativa" degli interventi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza spetti alle Amministrazioni centrali dello Stato, alle Regioni e agli enti locali, sulla base delle loro specifiche competenze istituzionali o della titolarità degli interventi, quale definita nel Piano.
L'Amministrazione titolare può operare attraverso le proprie strutture o avvalendosi di soggetti attuatori esterni (individuati nel Piano) o secondo le modalità previste dalla normativa nazionale e comunitaria vigente.
Per il riguardo tecnico-operativo, le Amministrazioni possono avvalersi - a fini di efficacia e tempestività della realizzazione degli interventi del Piano - di società a prevalente partecipazione pubblica (rispettivamente, statale, regionale e locale) e di enti vigilati.
Le Amministrazioni sono tenute ad assicurare la completa tracciabilità delle operazioni e la tenuta di una apposita codificazione contabile per l'utilizzo delle risorse del Piano.
Debbono conservare tutti gli atti e la relativa documentazione giustificativa su supporti informatici adeguati, e li rendono disponibili per le attività di controllo e di audit.
Gli atti, i contratti ed i provvedimenti di spesa adottati dalle Amministrazioni per l'attuazione degli interventi del Piano sono sottoposti ai controlli ordinari di legalità ed ai controlli amministrativo-contabili, previsti dalla legislazione nazionale applicabile.
L’articolo 10 introduce misure per accelerare la realizzazione degli investimenti pubblici, prevedendo che le amministrazioni possano avvalersi del supporto tecnico-operativo di società in house qualificate, sulla base di apposite convenzioni.
?I commi 1 e 2 prevedono che per sostenere la definizione e l'avvio delle procedure di affidamento ed accelerare l'attuazione degli investimenti pubblici, in particolare di quelli previsti dal PNRR e dai cicli di programmazione nazionale e comunitaria 2014-2020 e 2021-2027, le amministrazioni pubbliche, mediante apposite convenzioni, possono avvalersi del supporto tecnico-operativo di società in house qualificate ai sensi dell'art. 38 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici). L'attività di supporto copre anche le fasi di definizione, attuazione, monitoraggio e valutazione degli interventi e comprende azioni di rafforzamento della capacità amministrativa, anche attraverso la messa a disposizione di esperti particolarmente qualificati.
L'art. 38 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) disciplina la qualificazione delle stazioni appaltanti e centrali di committenza. Si prevede, in particolare, l’istituzione, presso l'ANAC, che ne assicura la pubblicità, di un apposito elenco delle stazioni appaltanti qualificate di cui fanno parte anche le centrali di committenza. Sono iscritti di diritto nell'elenco ANAC, il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, compresi i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche, CONSIP S.p.a., INVITALIA - Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa S.p.a., nonché i soggetti aggregatori regionali.
La qualificazione, conseguita in rapporto ai bacini territoriali, nonché alla tipologia e complessità del contratto e per fasce d'importo, ha ad oggetto il complesso delle attività che caratterizzano il processo di acquisizione di un bene, servizio o lavoro in relazione ai seguenti ambiti: a) capacità di progettazione; b) capacità di affidamento; c) capacità di verifica sull'esecuzione e controllo dell'intera procedura, ivi incluso il collaudo e la messa in opera.
Il comma 3 specifica che, ai fini dell'articolo 192, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016 (Codice dei contratti pubblici), le stazioni appaltanti devono valutare la congruità economica dell'offerta delle società in house, con riguardo all'oggetto e al valore della prestazione. La motivazione del provvedimento di affidamento a società in house da parte delle stazioni appaltanti deve dare conto dei vantaggi, rispetto al ricorso al mercato, derivanti dal risparmio di tempo e di risorse economiche, mediante comparazione degli standard di riferimento di Consip S.p.A e delle centrali di committenza regionali.
L’art. 192, comma 2, del Codice dei contratti pubblici dispone che ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta.
In sostanza con l’intervento in esame, la stazione appaltante è obbligata a riscontrare i vantaggi che legittimano l’affidamento in house mediante la comparazione degli standard di riferimento di Consip S.p.A e delle centrali di committenza regionali.
In merito, la giurisprudenza amministrativa ha fornito specifiche indicazioni in materia di valutazione della congruità economica dell’offerta del soggetto in house, evidenziando la necessità che l’analisi si fondi sul caso concreto e tenga conto di dati comparabili, desumibili anche dai costi medi praticati da altri operatori privati o società pubbliche (Cons. St., sez. V, 16 novembre 2018, n. 6456)[11].
I commi 4 e 5 specificano che del supporto tecnico-operativo delle società in house qualificate, di cui ai commi 1 e 2, possono avvalersi, per il tramite delle amministrazioni centrali dello Stato, anche le Regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali. Spetta al Ministero dell'economia e delle finanze la definizione, per le società in house statali, dei contenuti minimi delle convenzioni. Ai relativi oneri le Amministrazioni provvedono nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente. Laddove ammissibili, tali oneri possono essere posti a carico delle risorse previste per l'attuazione degli interventi PNRR, ovvero delle risorse per l'assistenza tecnica previste nei programmi UE 2021/2027 per gli interventi di supporto agli stessi riferiti.
??Il comma 6 dispone che ai fini dell'espletamento delle attività di supporto, le società in house possono provvedere con le risorse interne, con personale esterno, nonché con il ricorso a competenze, di persone fisiche o giuridiche, disponibili sul mercato, nel rispetto di quanto stabilito dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e dal decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175.
In materia di house providing, l’art. 5 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) prevede che le concessioni o gli appalti pubblici, nei settori ordinari o speciali, aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientrano nell’ambito di applicazione del nuovo codice dei contratti pubblici quando sono soddisfatte tutte (contemporaneamente) le seguenti condizioni: a) l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; b) oltre l'80 per cento delle attività della persona giuridica controllata è effettuata nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore di cui trattasi; c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati le quali non comportano controllo o potere di veto previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
In tale ambito, l’art. 192 disciplina il regime speciale degli affidamenti “in house”, prevedendo, come già anticipato, anche l’istituzione presso l’ANAC dell’elenco delle stazioni appaltanti che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società “in house”.
Ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo n.175 del 2016[12], le società in house ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo o da ciascuna delle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo congiunto solo se non vi sia partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l'esercizio di un'influenza determinante sulla società controllata.
Gli statuti delle società in house devono prevedere che oltre l'ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall'ente pubblico o dagli enti pubblici soci. La produzione ulteriore rispetto a tale limite di fatturato, che può essere rivolta anche a finalità diverse, è consentita solo a condizione che la stessa permetta di conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società.
Le società in house sono tenute all'acquisto di lavori, beni e servizi secondo la disciplina di cui al decreto legislativo n. 50 del 2016 (Codice degli appalti pubblici).
L’articolo 11 detta disposizioni per rafforzare la capacità amministrativa delle stazioni appaltanti, prevedendo che Consip. S.p.A., sulla base di un disciplinare stipulato con il Ministero dell’economia e delle finanze, metta a disposizione delle pubbliche amministrazioni specifici contratti, accordi-quadro e servizi di supporto tecnico, realizzando altresì un programma di informazione, formazione e tutoraggio nelle procedure di acquisto e progettualità.
In particolare, il comma 1 prevede che per aumentare l’efficacia e l’efficienza dell’attività di approvvigionamento e garantire una rapida attuazione delle progettualità del PNRR e degli altri programmi cofinanziati dall’Unione europea nel periodo 2021-2027, Consip S.p.A.:
· mette a disposizione delle pubbliche amministrazioni specifici contratti, accordi-quadro e servizi di supporto tecnico;
· realizza un programma di informazione, formazione e tutoraggio nelle procedure di acquisto e progettualità per l’evoluzione del sistema di e-Procurement e il rafforzamento della capacità amministrativa e tecnica delle pubbliche amministrazioni.
Per e-procurement si intende l’utilizzo dei sistemi telematici nelle procedure di gara per l’acquisizione di beni e servizi da parte delle PA. La materia è regolata principalmente dagli articoli 54 e seguenti del codice degli appalti (D.Lgs. 50/2016). Ai sensi dell’articolo 58 del codice le stazioni appaltanti ricorrono a procedure di gara interamente gestite con sistemi telematici nel rispetto delle disposizioni di cui al presente codice. L'utilizzo dei sistemi telematici non deve alterare la parità di accesso agli operatori o impedire, limitare o distorcere la concorrenza o modificare l'oggetto dell'appalto, come definito dai documenti di gara.
Si ricorda che il D.L. 183/2020 (art. 1, comma 11) ha prorogato al 31 dicembre 2021 il termine entro il quale le pubbliche amministrazioni sono autorizzate ad acquistare beni e servizi informatici e servizi di connettività, mediante procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara ed in deroga al Codice dei contratti pubblici e ad ogni altra disposizione di legge che disciplina i procedimenti di approvvigionamento, affidamento e acquisto di beni, forniture, lavori e opere. Resta fermo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, al fine di agevolare la diffusione del lavoro agile e dei servizi in rete quali ulteriori misure di contrasto agli effetti dell'emergenza epidemiologica da COVID-19.
Per le pubbliche amministrazioni degli enti territoriali Consip S.p.A. si coordina con le centrali di committenza regionali.
Il comma 2 specifica che le disposizioni definite dal comma 1 trovano applicazione anche:
§ per l’acquisizione di servizi informatici e di connettività effettuati dalla Sogei S.p.A;
§ per la realizzazione e implementazione dei servizi delle pubbliche amministrazioni affidatarie in ottemperanza a specifiche disposizioni normative o regolamentari;
§ per la realizzazione delle attività di consolidamento e razionalizzazione dei siti e delle infrastrutture digitali del Paese (di cui all’articolo 33-septies del D.L. 179/2012), le cui procedure di affidamento sono poste in essere da Consip S.p.A. (ai sensi dell’articolo 4, comma 3-ter, del D.L. n. 95/2012).
L’articolo 33-septies del D.L. 179/2012 prevede che la Presidenza del Consiglio dei ministri promuovi lo sviluppo di un'infrastruttura ad alta affidabilità localizzata sul territorio nazionale per la razionalizzazione e il consolidamento dei Centri per l'elaborazione delle informazioni (CED), al fine di tutelare l'autonomia tecnologica del Paese, consolidare e mettere in sicurezza le infrastrutture digitali delle pubbliche amministrazioni garantendo, al contempo, la qualità, la sicurezza, la scalabilità, l'efficienza energetica, la sostenibilità economica e la continuità operativa dei sistemi e dei servizi digitali.
In materia rileva l’investimento Infrastrutture digitali (M1-C1-I.1.1) del PNRR con una dotazione di 900 milioni di euro. L'obiettivo dell'investimento è garantire che i sistemi, le serie di dati e le applicazioni della pubblica amministrazione siano ospitati in centri dati affidabili, con elevati standard di qualità per la sicurezza, le prestazioni, la scalabilità, l'interoperabilità europea e l'efficienza energetica; secondo il principio del Cloud First. L’investimento è destinato a 200 amministrazioni centrali e a 80 autorità sanitarie locali. Le Amministrazioni possono scegliere di migrare verso una infrastruttura cloud nazionale pubblico-privata, il Polo Strategico Nazionale (PSN) o verso un cloud commerciale disponibile sul mercato (cloud public). Entro il terzo trimestre 2022 si prevede il completamento del PSN e nel secondo trimestre 2026 280 PA centrali e ASL saranno migrate sul cloud.
Analogamente l’investimento Abilitazione e facilitazione migrazione al cloud (M1-C1-I.1.2) impegna 1 miliardo di euro per sostenere la migrazione dei dati e delle applicazioni delle PA locali verso un'infrastruttura cloud sicura, consentendo a ciascuna amministrazione di scegliere liberamente all'interno di una serie di ambienti cloud pubblici certificati. La migrazione interessa oltre 12.000 PA locali (comuni, scuole e strutture sanitarie). Il completamento del progetto è previsto per il secondo trimestre del 2026.
Il comma 3 dispone che ai fini dello svolgimento delle attività assegnate ai sensi dei commi 1 e 2 il Ministero dell’economia e delle finanzi stipuli con Consip S.p.A. un apposito disciplinare, nel limite di spesa di 8 milioni di euro annui dal 2022 al 2026.
L’articolo 12 disciplina l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte dello Stato in caso di inadempienza di un soggetto attuatore di progetti o interventi del PNRR ove sia messo a rischio il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali del PNRR.
Il comma 1 disciplina la procedura di attivazione del potere sostitutivo nei confronti di regioni, province autonome di Trento e di Bolzano, città metropolitane, province e comuni qualora, operando come soggetti attuatori, risultino inadempienti. Il comma 2 prevede la possibilità che, fermo restando l’esercizio dei poteri sostitutivi, il Ministro per gli affari regionali promuova iniziative di impulso e coordinamento degli enti territoriali nelle sedi istituzionali del confronto tra Governo, regioni ed enti locali.
Il comma 3 disciplina l’esercizio del potere sostitutivo nel caso in cui il soggetto inadempiente non sia un ente territoriale.
Il comma 4 prevede che il Consiglio dei ministri eserciti i poteri sostitutivi in tutti i casi in cui si verifichino situazioni o eventi che ostacolino la realizzazione dei progetti del PNRR e che non risultino rapidamente superabili.
Il comma 5 disciplina l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del soggetto cui sono stati conferiti, con particolare riguardo all’adozione degli atti mediante ordinanza motivata comunicata all’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione di cui all’art. 5.
Il comma 6, infine, stabilisce l’estraneità della Presidenza del Consiglio e delle amministrazioni centrali titolari di interventi del PNRR ad ogni rapporto contrattuale e obbligatorio discendente dall'adozione di atti, provvedimenti e comportamenti da parte dei soggetti nominati per l'esercizio dei poteri sostitutivi. Si prevede che di tutte le obbligazioni nei confronti dei terzi rispondano, con le risorse del piano o con risorse proprie, esclusivamente i soggetti attuatori sostituiti. Gli eventuali oneri derivanti dalla nomina di Commissari sono inoltre posti a carico de soggetti attuatori inadempienti sostituiti.
Il comma 1 disciplina la procedura di attivazione del potere sostitutivo nei confronti degli enti territoriali - regioni, province autonome di Trento e di Bolzano, città metropolitane, province e comuni – qualora, operando come soggetti attuatori di progetti o interventi del PNRR, risultino inadempienti.
La norma specifica che l’inadempienza può concretizzarsi:
§ nel mancato rispetto di un obbligo o di un impegno assunto;
§ nella mancata adozione di atti e provvedimenti necessari all’avvio dei progetti;
§ nel ritardo, inerzia o difformità nell’esecuzione di progetti.
In ogni caso, condizione per esercitare il potere sostitutivo è che sia messo a rischio il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali del piano.
In tali casi il Presidente del Consiglio, su proposta della Cabina di regia o del Ministro competente, assegna al soggetto attuatore un termine non superiore a 30 giorni per provvedere. In caso il soggetto attuatore continui a non provvedere, il Consiglio dei ministri individua il soggetto cui attribuire, in via sostitutiva, il potere di provvedere ad adottare gli atti o provvedimenti necessari o all’esecuzione dei progetti. L’individuazione del soggetto a cui affidare il potere sostitutivo avviene “sentito il soggetto attuatore”.
Questi soggetti possono essere sia un’amministrazione, un ente, un organo, un ufficio ovvero uno o più commissari ad acta appositamente nominati.
Il soggetto individuato, per esercitare i poteri sostitutivi, può avvalersi delle società a partecipazione pubblica elencate all’articolo 2 del decreto legislativo n. 175 del 2016, vale a dire le società a controllo pubblico, le società a partecipazione pubblica (anche quotate), le società in house.
Il decreto legislativo n. 175 del 2016, testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, all’articolo 2 reca le definizioni, tra cui:
l) "società": gli organismi di cui ai titoli V e VI, capo I, del libro V del codice civile, anche aventi come oggetto sociale lo svolgimento di attività consortili, ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile;
m) «società a controllo pubblico»: le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo;
n) «società a partecipazione pubblica»: le società a controllo pubblico, nonché le altre società partecipate direttamente da amministrazioni pubbliche o da società a controllo pubblico;
o) «società in house»: le società sulle quali un'amministrazione esercita il controllo analogo o più amministrazioni esercitano il controllo analogo congiunto, nelle quali la partecipazione di capitali privati avviene nelle forme di cui all'articolo 16, comma 1, e che soddisfano il requisito dell'attività prevalente di cui all'articolo 16, comma 3;
p) «società quotate»: le società a partecipazione pubblica che emettono azioni quotate in mercati regolamentati.
Il comma 2 prevede che, nelle stesse ipotesi valide per attivare l’esercizio dei poteri sostitutivi e fermo restando l’esercizio dei poteri sostitutivi, il Ministro per gli affari regionali possa promuovere iniziative di impulso e coordinamento degli enti territoriali, nelle sedi della Conferenza Stato-Regione e nella Conferenza unificata, sedi istituzionali del confronto tra Governo e regioni e autonomie locali.
In proposito, si ricorda che nell’ambito della procedura di carattere generale di cui all’art. 8 della legge n. 131 del 2003 (v. infra), il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni.
Il comma 3 disciplina l’esercizio sostitutivo nel caso in cui il soggetto inadempiente non sia un ente territoriale. In questo caso, provvede direttamente il Ministro competente per materia secondo una procedura analoga a quella prevista dal comma 1 per gli enti territoriali: assegnazione di un termine non superiore a 30 giorni e in caso di perdurante inadempienza, individuazione del soggetto cui affidare l’esercizio del potere sostitutivo.
Il Ministro provvede analogamente – in base al medesimo comma 3 - anche nel caso in cui la richiesta di esercizio dei poteri sostitutivi provenga direttamente da un soggetto attuatore (incluse le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, le città metropolitane, le province e i comuni).
Il comma 4 prevede le ipotesi in cui sia il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o della Cabina di regia, ad esercitare i poteri sostitutivi (come disciplinati al comma 1). In particolare, ciò avviene:
§ in tutti i casi in cui si verifichino situazioni o eventi che ostacolino la realizzazione dei progetti del PNRR e che non risultino altrimenti superabili con celerità (relativamente a tale previsione, configurata come norma “di chiusura”, si valuti l’opportunità di una maggiore specificazione);
§ nei casi previsti al comma 3, ove il Ministro competente non provveda ad esercitare il potere sostitutivo.
Il comma 5 disciplina l’esercizio dei poteri sostitutivi da parte del soggetto cui sono stati conferiti. Si prevede che ove “strettamente indispensabile per garantire il rispetto del cronoprogramma del progetto” il soggetto cui sono conferiti i poteri sostitutivi provvede all’adozione dei relativi atti mediante ordinanza motivata che può essere adottata in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto dei principi generali dell’ordinamento, del codice delle leggi antimafia (adottato con D.Lgs. 159 del 2011) e degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea.
Si tratta di una disposizione in gran parte analoga a quella recata dall'art. 1, comma 5, del D.L. 109/2018, in relazione ai poteri attribuiti al Commissario per la ricostruzione del viadotto Polcevera, noto come "ponte Morandi", di Genova e a quanto da, ultimo, previsto dal comma 7 dell’art. 11-ter del decreto-legge n. 44 del 2021 che dispone che il Commissario straordinario per il risanamento e alla riqualificazione urbana e ambientale delle aree ove insistono le baraccopoli della città di Messina opera in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea.
La norma specifica, al riguardo, che in caso l’ordinanza sia adottata in deroga a disposizioni concernenti la legislazione regionale, essa deve essere adottata previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni; in caso, invece, che l’ordinanza sia adottata in deroga a disposizioni concernenti la tutela della salute, della sicurezza e della incolumità pubblica, dell’ambiente e del patrimonio culturale, essa deve essere adottata previa autorizzazione della Cabina di regia PNRR.
Tali ordinanze sono comunicate alla struttura di missione Unità per la per la razionalizzazione e il miglioramento dell’efficacia della regolazione (istituita dall’articolo 5 del presente provvedimento), sono immediatamente efficaci e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale.
Il comma 6 specifica che la Presidenza del Consiglio e le amministrazioni centrali titolari di interventi del PNRR, non sono responsabili in relazione agli obblighi derivanti da rapporti contrattuali conseguenti l’adozione di atti, provvedimenti e comportamenti da parte dei soggetti cui è stato conferito l’esercizio del potere sostitutivo.
Si prevede che “di tutte le obbligazioni nei confronti di terzi rispondono, con le risorse del piano o con risorse proprie, esclusivamente i soggetti attuatori sostituiti”.
Relativamente alla previsione del secondo periodo del comma 6, si valuti l’opportunità di chiarire se si intende prevedere che i soggetti attuatori sostituiti rispondano delle obbligazioni contratte fino al momento dell’attivazione del potere sostitutivo o anche successivamente (la relazione illustrativa evidenzia che “di tutte le obbligazioni nei confronti dei terzi rispondono, con le risorse del piano o con risorse proprie, esclusivamente i soggetti attuatori sostituiti”).
In tale ultimo caso, andrebbero valutati i diversi profili connessi a tale responsabilità, valutando altresì l’opportunità di distinguere tra le obbligazioni che derivano dai contratti e quelle derivanti da illeciti civili discendenti dagli atti di competenza del soggetto attuatore sostituito.
Come detto, la disposizione stabilisce che i soggetti attuatori sostituiti rispondono “con le risorse del piano o con risorse proprie”.
Riguardo a tale previsione, si valuti l’opportunità di specificare i criteri relativi alle modalità di imputazione delle singole obbligazioni distinguendo tra ciò che è coperto dalle risorse del piano e ciò che potrebbe essere eventualmente soddisfatto con le risorse proprie del soggetto attuatore.
Il comma 6, infine, prevede che per la nomina dei commissari e per la determinazione del compenso ad essi spettanti, si applichino le procedure previste dall’articolo 15, commi da 1 a 3 del decreto legge n. 98 del 2011. Gli eventuali oneri per il compenso del commissario sono posti a carico della amministrazione inadempiente.
Le norme sul compenso previsto per i commissari sono contenute nel comma 3, del citato articolo 15, che stabilisce che il compenso del commissario è costituito da una quota fissa non superiore a 50 mila euro annui e una quota variabile (anch’essa non superiore a 50 mila euro annui) strettamente correlata al raggiungimento degli obiettivi ed al rispetto dei tempi di realizzazione degli interventi ricadenti nell'oggetto dell'incarico commissariale.
L’articolo 15 del decreto legge n. 98 del 2011 concerne la liquidazione degli enti dissestati e le misure di razionalizzazione dell'attività dei commissari straordinari. In particolare il comma 1 disciplina la liquidazione di un ente pubblico dissestato e la nomina del commissario straordinario con il compito di provvedere alla liquidazione dell’ente. La norma contiene, altresì, disposizioni sulla durata dell’incarico e sulla eventuale proroga, nonché sul personale a tempo indeterminato dell'ente dissestato. Il comma 1-bis disciplina, invece la nomina del commissario nel caso in cui il bilancio di un ente sottoposto alla vigilanza dello Stato non sia deliberato nel termine stabilito dalla normativa vigente, ovvero presenti una situazione di disavanzo di competenza per due esercizi consecutivi.
Il comma 2 prevede che la revoca di commissari e sub-commissari straordinari (o commissari ad acta) la cui nomina è prevista da specifiche disposizioni di legge, avvenga con le stesse modalità prevista per la nomina degli stessi. In relazione ai medesimi commissari, il comma 3, definisce le modalità di determinazione del compenso ad essi spettanti. Le norme richiamate sono le seguenti:
§ art. 11 della legge n. 400 del 1988, che disciplina la nomina di Commissari straordinari del Governo, al fine di realizzare specifici obiettivi determinati in relazione a programmi o indirizzi deliberati dal Parlamento o dal Consiglio dei ministri o per particolari e temporanee esigenze di coordinamento operativo tra amministrazioni statali;
§ art. 20 del decreto-legge n. 185 del 2008, concernente il commissario nominato per monitorare l'adozione degli atti e dei provvedimenti per l’esecuzione degli investimenti in riferimento agli interventi programmati nell'ambito del Quadro Strategico Nazionale
§ art. 1 del decreto-legge n. 105 del 2010 che disciplina la nomina e i poteri dei commissari straordinari del Governo per la realizzazione in regime di cooperazione funzionale ed organizzativa tra commissari straordinari del Governo, nominati ai sensi del comma 3, e le regioni e province autonome interessate, degli interventi urgenti ed indifferibili, connessi alla trasmissione, alla distribuzione e alla produzione dell'energia e delle fonti energetiche che rivestono carattere strategico nazionale;
§ art. 4 del decreto-legge n. 159 del 2007, che riguarda la nomina dei Commissari ad acta per le regioni inadempienti, nell’ambito del procedimento di verifica e monitoraggio dei singoli Piani di rientro, effettuato dal Tavolo di verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza, di cui agli articoli 12 e 9 dell'Intesa Stato-regioni del 23 marzo 2005, in materia sanitaria.
Il potere sostitutivo e l’articolo 120 della Costituzione
Il secondo comma dell’art. 120 disciplina l’esercizio da parte dello Stato di poteri sostitutivi rispetto agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni.
Tali poteri sono attivabili quando si riscontri che tali enti non abbiano adempiuto a norme e trattati internazionali o alla normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza e l’incolumità pubblica, ovvero lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
La disposizione costituzionale demanda ad una successiva legge statale di attuazione il compito di disciplinare l’esercizio dei poteri sostituitivi nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.
L’articolo 8 della L. 131/2003, nel dettare le norme attuative dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione, ha in primo luogo delineato (comma 1) un meccanismo che ruota attorno alla fissazione di un congruo termine per l’adozione da parte dell’ente degli “atti dovuti o necessari”.
La fissazione del termine e la previsione, dopo il suo inutile decorso, dell’intervento sostitutivo del Governo viene a configurare un’ipotesi di inadempienza avente ad oggetto atti che, in quanto “dovuti”, dovrebbero trovare un proprio fondamento in una disposizione di legge o comunque normativa.
È prevista una procedura che può essere qualificata come “generale” (comma 1), sulla quale si innestano, poi, le procedure “settoriali” previste dai successivi commi per le specifiche ipotesi ivi indicate.
Alla fissazione del “congruo termine” per l’adozione degli atti “dovuti o necessari” provvede il Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. Decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei Ministri, sentito l’organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio, esercita il potere sostitutivo, che può esprimersi adottando direttamente i “provvedimenti necessari, anche normativi”, ovvero nominando un apposito Commissario. Alla riunione del Consiglio dei Ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.
Il successivo articolo 10 della L. 131/2003 affida l’esecuzione di provvedimenti costituenti esercizio del potere sostitutivo direttamente adottati dal Consiglio dei ministri al Rappresentante dello Stato, ossia al prefetto titolare dell’Ufficio territoriale del Governo del capoluogo di Regione, cui sono trasferite le funzioni del Commissario del Governo compatibili con la riforma costituzionale del 2001.
Il comma 1 dell’articolo 8, facendo espresso riferimento a provvedimenti “anche normativi”, prefigura la possibile adozione, da parte del Governo, di atti di natura regolamentare, nonché di natura legislativa.
L’articolo 8 (comma 2) individua la prima “disciplina settoriale” che si innesta sul tronco della procedura generale di cui al comma 1, ed ha ad oggetto le ipotesi di violazione della normativa comunitaria.
La L. 131/2003 prevede una seconda “procedura settoriale” (art. 8, comma 3) per i casi in cui l’esercizio del potere sostitutivo riguardi gli g (Comuni, province o Città metropolitane).
In questi casi si prevede che la nomina del Commissario debba tenere conto dei princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione e si richiede, per l’adozione dei provvedimenti sostitutivi da parte del Commissario stesso, che sia sentito il Consiglio delle autonomie locali (qualora tale organo sia stato istituito).
Poiché anche tale disposizione pare innestarsi come specificazione di una particolare fase procedurale, nell’ambito della disciplina generale delineata dal comma 1, essa non comporta l’esclusione dell’esercizio dei poteri sostitutivi nei riguardi degli enti locali secondo l’altra opzione indicata dal comma 1, ossia attraverso l’adozione, direttamente da parte del Consiglio dei ministri, dei provvedimenti necessari, anche normativi.
L’articolo 8 prevede poi una “procedura d’urgenza” (comma 4), ricalcando almeno in parte quanto disposto dall’articolo 5, comma 3 del decreto legislativo n. 112 del 1998: si tratta di una procedura speciale, cui il Governo può fare ricorso nei casi di assoluta urgenza, qualora l’intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall’articolo 120 della Costituzione: in questi casi, i provvedimenti necessari sono adottati dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. I provvedimenti in questione sono poi immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle comunità montane, che possono chiederne il riesame.
Il comma 5 dell’articolo 8 evidenzia infine che i provvedimenti sostitutivi “devono essere proporzionati alle finalità perseguite”; in base al comma 6, il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni.
Come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, l’art. 8 della legge n. 131 del 2003 «non deve necessariamente applicarsi ad ogni ipotesi di potere sostitutivo (sentenze n. 254 del 2009 e n. 240 del 2004), potendo il legislatore, con normativa di settore, disciplinare altri tipi di intervento sostitutivo (sentenze n. 56 del 2018, n. 171 del 2015, n. 250 e n. 249 del 2009 e n. 43 del 2004)».
Tuttavia anche in tali casi, secondo il costante orientamento della Corte, lo stesso legislatore è tenuto a rispettare i principi desumibili dall’art. 120 Cost., pur rimanendo libero di articolarli in forme diverse (sentenze n. 44 del 2014, n. 209 del 2009).
In particolare, come da ultimo affermato nelle sentenze n. 56 del 2018 e n. 171 del 2015, «i poteri sostitutivi:
a) devono essere previsti e disciplinati dalla legge, che ne deve definire i presupposti sostanziali e procedurali, in ossequio al principio di legalità;
b) devono essere attivati solo in caso di accertata inerzia della Regione o dell’ente locale sostituito;
c) devono riguardare solo atti o attività privi di discrezionalità nell’an, la cui obbligatorietà sia il riflesso degli interessi unitari alla cui salvaguardia provvede l’intervento sostitutivo;
d) devono essere affidati ad organi di Governo;
e) devono rispettare il principio di leale collaborazione all’interno di un procedimento nel quale l’ente sostituito possa far valere le proprie ragioni;
f) devono conformarsi al principio di sussidiarietà (sentenza n. 171 del 2015, che richiama le sentenze n. 227, n. 173, n. 172 e n. 43 del 2004).
L’articolo 13 disciplina una procedura atta a superare un eventuale dissenso, diniego, opposizione o altro atto idoneo a precludere in tutto o in parte, la realizzazione di un progetto o intervento del PNRR, proveniente da un organo statale (comma 1) ovvero da un organo della regione o della provincia autonoma o di un ente locale (comma 2).
Il comma 1 disciplina la procedura del superamento del dissenso nel caso in cui il relativo atto (dissenso, diniego, opposizione o altro atto equivalente) provenga da un organo statale.
In questa ipotesi la Segreteria tecnica presso la Presidenza del Consiglio (prevista dall’art. 4 del provvedimento in esame), anche su impulso del Servizio centrale per il PNRR (istituito dall’articolo 6 del provvedimento in esame), propone al Presidente del Consiglio dei ministri, entro i successivi cinque giorni, di sottoporre la questione all'esame del Consiglio dei ministri per le conseguenti determinazioni.
Il comma 2 disciplina la procedura nel caso in cui l’atto di dissenso, diniego, opposizione o altro atto equivalente, provenga da un organo della regione, della provincia autonoma di Trento o di Bolzano, o di un ente locale.
Titolare dell’avvio della procedura è, anche in questa ipotesi, la Segreteria tecnica presso la presidenza del Consiglio (anche in questo caso eventualmente su impulso del Servizio centrale per il PNRR) che propone al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, entro i successivi cinque giorni, di sottoporre la questione alla Conferenza Stato-Regioni per concordare le iniziative da assumere.
Nella sentenza n. 36 del 2018 la Corte costituzionale ha ritenuto non inappropriata la scelta, operata dalla disposizione oggetto del giudizio (nel caso di specie il d.P.R. n. 194 del 2016), di coinvolgere, in tali ipotesi, la Conferenza unificata anziché la Conferenza Stato-Regioni. Ribadendo che, “ove gli interessi implicati ‘non riguard[i]no una singola Regione o Provincia autonoma’ (sentenza n. 1 del 2016), ma tematiche comuni a tutto il sistema delle autonomie, inclusi gli enti locali (sentenza n. 383 del 2005), appare adeguata la scelta legislativa di coinvolgere Regioni, Province autonome ed autonomie locali nel loro insieme attraverso la Conferenza unificata, così come disciplinata dal decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (…) che, all’art. 8, ne prevede la competenza per le materie ed i compiti di interesse comune delle Regioni, delle Province, dei Comuni e delle comunità montane”. È stato, inoltre, sottolineato che proprio nell’unione delle due Conferenze va ravvisato “un istituto ‘utile non solo alla semplificazione procedimentale, ma anche a facilitare l’integrazione dei diversi punti di vista e delle diverse esigenze degli enti regionali, provinciali e locali coinvolti’ (sentenza n. 1 del 2016; nello stesso senso, sentenze n. 88 del 2014, n. 297 e n. 163 del 2012, n. 408 del 1998)”. Tale strumento della Conferenza unificata “è stato preferito soprattutto quando, come nel caso di specie, si è trattato di misure strategiche per lo sviluppo del Paese, coinvolgenti una pluralità di interessi afferenti ai diversi livelli di governo (sentenza n. 163 del 2012)”.
Al comma 2, considerato il coinvolgimento nella procedura di regioni, province autonome ed enti locali si valuti l’opportunità di fare riferimento alla Conferenza unificata, anche alla luce della suesposta giurisprudenza cost.
In base alla disposizione, in sede di Conferenza Stato-Regioni dovranno essere definite le iniziative atte a superare il dissenso, entro il termine di quindici giorni dalla data di convocazione della Conferenza. In mancanza di soluzioni condivise e decorso inutilmente tale termine, il Presidente del Consiglio dei ministri, ovvero il Ministro per gli affari regionali e le autonomie nei pertinenti casi, propone al Consiglio dei ministri le opportune iniziative ai fini dell'esercizio dei poteri sostitutivi di cui agli articoli 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, ai sensi delle disposizioni vigenti in materia.
Si ricorda che l’art. 117, quinto comma, Cost., riconosce allo Stato un potere di sostituzione in caso di inadempimento della Regione nell’attuazione di accordi internazionali e atti comunitari, mentre il secondo comma dell’art. 120, disciplina l’esercizio da parte dello Stato di poteri sostitutivi rispetto agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni (su cui, si v. supra, il box nella scheda di lettura dell’articolo 12).
In entrambi i casi disciplinati dai commi 1 e 2, la procedura disciplinata presenta carattere residuale in quanto, in base alla previsione della norma, trova applicazione solo “qualora un meccanismo di superamento del dissenso non sia già previsto dalle vigenti disposizioni”.
A tale riguardo, si ricorda che una procedura generale di superamento del dissenso qualificato è disposta dalla legge n. 241 del 1990 nell’ambito della disciplina della conferenza di servizi.
La conferenza di servizi è uno strumento di semplificazione attivabile dalle pubbliche amministrazioni quando siano coinvolti vari interessi pubblici in un procedimento amministrativo o in più procedimenti connessi riguardanti i medesimi risultati e attività amministrativa, suscettibile di produrre un'accelerazione dei tempi procedurali. La disciplina dell'istituto è fissata, in via generale, dagli articoli 14 e seguenti della L. n. 241/1990, più volte modificati (da ultimo con il decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127).
La disciplina della conferenza di servizi prevede un meccanismo per il superamento dei dissensi delle amministrazioni preposte alla tutela di interessi cd. qualificati (ossia la tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali, nonché la tutela della salute e della pubblica incolumità), nonché di regioni e o province autonome, abbreviando anche in tal caso i termini.
Innanzitutto, ai sensi dell’articolo 14-quinquies della L. n. 241 del 1990, l'opposizione può essere proposta, dalle amministrazioni portatrici di interessi qualificati, solo a condizione di avere espresso "in modo inequivoco" il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. In caso di regioni o province autonome è necessario che il rappresentante, intervenendo in materia spettante alla rispettiva competenza, abbia manifestato un dissenso motivato in seno alla conferenza (comma 2). Per le amministrazioni statali l'opposizione deve essere proposta dal Ministro.
L'opposizione è indirizzata al Presidente del Consiglio e sospende l'efficacia della determinazione motivata di conclusione della conferenza (comma 3). Il Presidente del Consiglio dà impulso alla composizione degli interessi. Infatti, entro quindici giorni dalla ricezione dell'opposizione, la Presidenza del Consiglio indice una riunione cui partecipano tutte le amministrazioni coinvolte nella precedente conferenza. Nel principio di leale collaborazione, i partecipanti formulano proposte per individuare una soluzione condivisa. Se si raggiunge l'accordo, la soluzione rinvenuta sostituisce a tutti gli effetti la determinazione motivata di conclusione della conferenza (comma 4). Questo supplemento di comune vaglio e confronto di interessi può avere a sua volta una ulteriore 'coda', allorché un accordo non sia raggiunto nella prima riunione, e nell'antecedente conferenza abbiano partecipato amministrazioni regionali o provinciali autonome. Ebbene, in tal caso può essere indetta - entro i successivi quindici giorni - una seconda riunione (comma 5). Nel caso la o le riunioni conducano ad una intesa, essa forma il contenuto di una nuova determinazione motivata di conclusione della conferenza, da parte dell'amministrazione procedente.
Qualora, invece, all'esito di tali riunioni e, comunque non oltre quindici giorni dallo svolgimento della riunione, l'intesa non si consegua, si apre una seconda fase. Infatti, entro i successivi quindici giorni, la questione è rimessa al Consiglio dei ministri, il quale delibera con la partecipazione del Presidente della Regione o Provincia autonoma interessata. Ove il Consiglio dei ministri respinga l'opposizione, la determinazione motivata di conclusione della conferenza (che era rimasta sospesa nella sua efficacia, a seguito dell'opposizione) acquista efficacia in via definitiva, a decorrere dal momento in cui è comunicato il rigetto dell'opposizione.
Il Consiglio dei ministri può accogliere parzialmente l'opposizione, modificando in tale caso il contenuto della determinazione di conclusione della conferenza (comma 6).
L’articolo 14, comma 1, è volto ad estendere agli investimenti contenuti nel Piano Nazionale Complementare l’applicazione delle misure e delle procedure di accelerazione e di semplificazione introdotte dal decreto-legge in esame per gli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Il comma 2 estende alle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione che concorrono al finanziamento degli interventi previsti dal PNRR, le procedure finanziarie stabilite per il PNRR dalla legge di bilancio per il 2021, in deroga alla normativa di settore.
In particolare, il comma 1 dispone che le misure e le procedure di accelerazione e semplificazione introdotte dal decreto-legge in esame per l’attuazione degli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si applichino anche agli investimenti contenuti nel Piano nazionale complementare, al fine di garantirne una efficace e tempestiva attuazione.
L’estensione riguarda anche l’applicazione delle disposizioni relative al rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni e delle stazioni appaltanti nonché il meccanismo di superamento del dissenso e i poteri sostitutivi, di cui ai precedenti articoli 11-13 (cfr. relative schede di lettura).
Resta ferma l'applicazione delle disposizioni del decreto-legge in esame agli interventi del Fondo complementare cofinanziati dal PNRR.
Il Piano nazionale per gli investimenti complementari, di cui all'articolo 1 del decreto legge 6 maggio 2021, n. 59, è stato costituito al fine di integrare, con risorse nazionali, gli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), presentato dal Governo italiano alla UE lo scorso 30 aprile. Il Piano è stato dotato di complessivi 30,6 miliardi di euro per gli anni dal 2021 al 2026.
Le risorse del Piano Nazionale Complementare sono state ripartire tra le Amministrazioni centrali competenti, con l’indicazione, per ciascuna Amministrazione, dei programmi e degli interventi ricompresi nel Piano e delle risorse assegnate a ciascun intervento, per singola annualità. Le risorse sono state direttamente assegnate su appositi capitoli dello stato di previsione di ciascuna Amministrazione.
Per una analisi dettagliata degli interventi ricompresi nel Piano si rinvia al dossier di documentazione predisposto dai Servizi Studi di Camera e Senato del 18 maggio 2021.
Per quel che concerne le misure relative all’attuazione degli investimenti previsti dal Piano, l’articolo 1, comma 6, del D.L. n. 59 stabilisce che agli interventi ricompresi nel Piano si applicano, in quanto compatibili, le medesime procedure di semplificazione e accelerazione nonché le misure di trasparenza e conoscibilità dello stato di avanzamento stabilite per il PNRR.
Al riguardo, si rammenta che è espressamente indicato nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza l’obiettivo dell’integrazione tra il PNRR e il Fondo Nazionale complementare, da realizzare con la messa in opera di strumenti attuativi comuni e di un sistema di monitoraggio unitario, tramite il sistema informativo “ReGis” previsto dalla legge di bilancio 2021.
Ai fini del monitoraggio, il successivo comma 7 demanda ad un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro 30 giorni dall’entrata in vigore del D.L. n. 59, il compito di individuare per ciascun intervento gli obiettivi iniziali, intermedi (milestone) e finali (target), in relazione al cronoprogramma finanziario, in coerenza con gli impegni assunti nel PNRR con la Commissione europea, sull’incremento della capacità di spesa collegata all’attuazione degli interventi del Piano nazionale per gli investimenti complementari.
Sul punto, si ricorda che nella Relazione tecnica del D.L. n. 59/2021 si sottolineava che la Commissione europea, nell’ambito della riforma della PA contenuta nel PNRR, ha posto come obiettivo il raggiungimento di un elevato livello di spesa in relazione al Piano complementare. Tale obiettivo verrà pertanto valutato ai fini del riconoscimento delle risorse europee richieste dal nostro Paese; da qui la necessità – si legge nella RT - “di procedere con la massima celerità alla formalizzazione di tutti gli adempimenti preliminari e connessi, già condivisi con le Amministrazioni responsabili, per l’attuazione degli investimenti nei tempi previsti e nel rispetto del cronoprogramma finanziario indicato esplicitamente per ogni progetto/programma”. Proprio per accelerarne l’attuazione, il D.L. n. 59/2021 prevede che il Piano complementare utilizzi le medesime procedure abilitanti del RRF, abbia Milestones e Targets per ogni progetto e che le opere finanziate siano soggette ad un attento monitoraggio al pari di quelle del RFF, sebbene per gli interventi del Piano complementare, in quanto finanziati da risorse nazionali, non risulti necessaria la rendicontazione a livello europeo.
Per quanto riguarda il monitoraggio degli interventi del Piano complementare aventi ad oggetto opere pubbliche non previste nel PNRR, le informazioni necessarie al monitoraggio saranno rilevate, secondo l’art. 1, co. 7, del D.L. n. 59, dalle stazioni appaltanti attraverso il sistema di Monitoraggio delle Opere Pubbliche (MOP), ai sensi del D.Lgs. n. 229 del 2011, previsto nell’ambito della Banca Dati delle Amministrazioni Pubbliche (BDAP). Negli altri casi, ovvero per gli interventi che interessano opere pubbliche previste dal PNRR, è utilizzata la piattaforma ReGis, prevista dall’articolo 1, comma 1043, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Legge Bilancio 2021).
Il comma 2 estende le procedure finanziarie del PNRR, definite dalla legge di bilancio per il 2021 (legge n. 178/2020, commi 1038-1049), alle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione che concorrono al finanziamento degli interventi previsti dal PNRR, in deroga alle specifiche normative di settore.
Al riguardo, si ricorda che nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è espressamente previsto un anticipo della programmazione del Fondo Sviluppo e Coesione, in linea con le politiche settoriali di investimento e di riforma previste nel PNRR, per accelerare la capacità di utilizzo delle risorse e di realizzazione degli investimenti, per un valore complessivo di circa 15,5 miliardi, secondo un principio di complementarità e di addizionalità delle risorse. Tali risorse, infatti, si sottolinea sempre nel Piano, saranno reintegrate nella disponibilità del fondo, così da garantirne la piena addizionalità.
A tal fine, il D.L. n. 59/2021 ha incrementato la dotazione del Fondo sviluppo e coesione per la programmazione 2021-2027 di 15,5 miliardi per le annualità dal 2022 al 2031.
Il D.L. n. 59/2021, tuttavia, si è limitato ad incrementare le risorse del FSC 2021-2027 senza metterle in diretta correlazione con l’anticipo delle risorse del Fondo che, seppure in mancanza di una norma autorizzatoria, sembrerebbero essere state già programmate nell’ambito del PNRR.
Con la disposizione in esame si stabilisce che la quota parte delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione che concorrono al finanziamento degli interventi previsti dal PNRR sono gestite secondo le procedure finanziarie stabilite per le risorse del PNRR, come definite dalla legge di bilancio 2021 (legge n. 178/2020, commi 1038-1049), in deroga alle specifiche normative di settore.
Al riguardo si rammenta che per l'attuazione del programma Next Generation EU è stato istituito dalla legge di bilancio per il 2021, quale anticipazione rispetto ai contributi provenienti dall'Unione europea, il Fondo di rotazione per l'attuazione del Next Generation EU-Italia, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, con una dotazione di 32.766,6 milioni di euro per l'anno 2021, di 40.307,4 milioni di euro per l'anno 2022 e di 44.573 milioni di euro per l'anno 2023.
Le procedure di gestione finanziaria delle risorse del PNRR prevedono, in sintesi (per una analisi più dettagliata, si rinvia al box in fondo alla scheda), la costituzione di due appositi conti correnti infruttiferi aperti presso la tesoreria centrale dello Stato - con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio - su cui sono versate le risorse del Fondo di rotazione relative, rispettivamente, ai progetti finanziati mediante contributi a fondo perduto ovvero mediante prestiti.
Le risorse giacenti sui suddetti conti sono poi trasferite a ciascuna amministrazione o organismo titolare dei progetti, in relazione al fabbisogno finanziario, mediante giroconto su un conto corrente della Tesoreria centrale appositamente istituito.
Le anticipazioni sono destinate ai singoli progetti tenendo conto tra l’altro dei cronoprogrammi di spesa e degli altri elementi relativi allo stato delle attività desumibili dal sistema di monitoraggio dei progetti, istituito ai sensi del comma 1043 (il sistema informativo “ReGis”), mentre i trasferimenti successivi vengono assegnati, fino alla concorrenza dell’importo totale del progetto, sulla base di rendicontazioni bimestrali, secondo i dati finanziari registrati e validati sul sistema informatico ed in base al conseguimento dei relativi target intermedi e finali previsti (comma 1048).
Il comma 1042 della legge di bilancio prevede l’adozione di uno o più decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, il primo entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio, per la definizione delle procedure amministrativo-contabili per la gestione delle risorse relative agli interventi del PNRR, nonché per le modalità di rendicontazione della gestione del Fondo di rotazione. Il successivo comma 1044 prevede, altresì, l’adozione di un DPCM, su proposta del MEF, anch’esso entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio, per la definizione delle modalità di rilevazione dei dati di attuazione a livello di singolo progetto, ai fini dell’analisi e della valutazione degli interventi.
Tali decreti non risultano al momento ancora adottati.
L’applicazione di tali procedure per la gestione finanziaria della quota di risorse del Fondo Sviluppo e Coesione (15,5 miliardi) che concorre al finanziamento degli interventi previsti dal PNRR è disposta in deroga alla normativa vigente, recata dall’art. 1, comma 178, della legge di bilancio per il 2021.
Nel disciplinare le procedure per la programmazione delle risorse, il citato comma 178 ha stabilito l’impiego della dotazione finanziaria del FSC 2021-2027 per obiettivi strategici, in coerenza con gli obiettivi e le strategie dei fondi strutturali e di investimento europei 2021-2027 nonché con le politiche di investimento e di riforma previste nel Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (PNRR), secondo princìpi di complementarità e addizionalità delle risorse.
Per quanto concerne l'utilizzo delle risorse del Fondo, che la normativa attribuisce al CIPE il compito di ripartirne, con proprie deliberazioni, la dotazione.
Per quanto riguarda la gestione finanziaria delle risorse FSC 2021-2027, il comma 178, alla lettera i), confermando le modalità già definite dalla precedente programmazione 2014-2020[13], prevede che le risorse del FSC sono assegnate mediante delibera del CIPE e trasferite, nei limiti degli stanziamenti annuali di bilancio, dal capitolo del bilancio dello Stato relativo al FSC (cap. 8000/MEF) in una apposita contabilità del c.d. Fondo di rotazione IGRUE (si tratta del conto corrente di tesoreria n. 25058), sulla base dei profili finanziari previsti dalle delibere del CIPE.
Ai fini dell’erogazione delle somme, la lettera i) prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze assegna le risorse, trasferite alla suddetta contabilità, in favore delle amministrazioni responsabili secondo l'articolazione temporale indicata dalle relative delibere, e provvede a effettuare i pagamenti a valere sulle medesime risorse in favore delle suddette amministrazioni, sulla base delle richieste presentate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le politiche di coesione.
La gestione finanziaria delle risorse del PNRR
Più in dettaglio, ai fini della gestione finanziaria di tali risorse, la legge di bilancio per il 2021, all'articolo 1, commi da 1038 a 1049, prevede che le risorse del Fondo di rotazione per l’attuazione del Programma Next Generation EU - istituito presso il MEF, con una dotazione di 32,766 miliardi di euro per il 2021, 40,037 miliardi di euro per il 2022 e 44,573 miliardi di euro per il 2023 - siano versate su due appositi conti correnti infruttiferi aperti presso la tesoreria centrale dello Stato: sul primo (denominato attuazione del Programma Next Generation EU - Contributi a fondo perduto) sono versate le risorse relative ai progetti finanziati mediante contributi a fondo perduto, mentre sul secondo (attuazione del Programma Next Generation EU - Contributi a titolo di prestito) sono versate le risorse relative ai progetti finanziati mediante prestiti. Tali conti hanno amministrazione autonoma e costituiscono gestioni fuori bilancio, ai sensi della legge 25 novembre 1971, n. 1041 (comma 1038).
Le risorse giacenti sui suddetti conti sono trasferite a ciascuna amministrazione o organismo titolare dei progetti, in relazione al fabbisogno finanziario, mediante giroconto su conto corrente di tesoreria centrale appositamente istituito (comma 1039). Qualora, invece, le risorse iscritte sul Fondo di rotazione siano utilizzate per progetti che comportino minori entrate per il bilancio dello Stato, l’importo corrispondente alle predette minori entrate viene versato sulla contabilità speciale n. 1778, intestata: “Agenzia delle Entrate - Fondi di bilancio” per la conseguente regolazione contabile mediante versamento sui pertinenti capitoli dello stato di previsione dell’entrata (comma 1040).
Le risorse erogate all’Italia dal bilancio dell’Unione europea per l’attuazione del Dispositivo di Ripresa e Resilienza dell’Unione europea affluiscono all’entrata del bilancio dello Stato su due distinti capitoli, rispettivamente relativi ai contributi a fondo perduto e ai prestiti, ai quali affluiscono altresì le risorse del Programma Next Generation EU oggetto di anticipazione da parte del Fondo di rotazione (comma 1041).
Con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, il primo da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, sono stabilite le procedure amministrativo-contabili per la gestione delle risorse, nonché le modalità di rendicontazione della gestione del Fondo di rotazione (comma 1042).
Con DPCM, su proposta del MEF, da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di bilancio, sono definite le modalità di rilevazione dei dati di attuazione a livello di singolo progetto, con riferimento ai costi programmati, agli obiettivi perseguiti, alla spesa sostenuta, alle ricadute sui territori che ne beneficiano, ai soggetti attuatori, ai tempi di realizzazione previsti ed effettivi, agli indicatori di realizzazione e di risultato, nonché ad ogni altro elemento utile per l’analisi e la valutazione degli interventi (comma 1044).
Anche sulla base di tali dati, entro il 30 giugno di ciascun anno dal 2021 al 2027, il Consiglio dei Ministri approva e trasmette alle Camere una relazione, nella quale sono riportati prospetti sull’utilizzo delle risorse del Piano e sui risultati raggiunti. La Relazione indica altresì le eventuali misure necessarie per accelerare l’avanzamento dei progetti rispetto agli obiettivi perseguiti (comma 1045).
Le amministrazioni e gli organismi titolari dei progetti finanziati sono responsabili della relativa attuazione conformemente al principio della sana gestione finanziaria ed alla normativa nazionale e comunitaria, in particolare per quanto riguarda la prevenzione, l’individuazione e la correzione delle frodi, la corruzione ed i conflitti di interesse e realizzano i progetti, nel rispetto dei cronoprogrammi, per il conseguimento dei relativi i target intermedi e finali. Al fine di supportare le attività di gestione, monitoraggio, rendicontazione e controllo delle componenti del programma Next Generation EU, il Ministero dell’Economia e delle Finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, sviluppa e rende disponibile un apposito sistema informatico (comma 1043).
Al fine di garantire, nella gestione finanziaria, il rispetto dei principi comunitari di tracciabilità delle operazioni contabili afferenti la realizzazione del PNRR e dei progetti finanziati, anche per i successivi eventuali controlli di competenza delle istituzioni comunitarie, le risorse finanziarie iscritte nel Fondo di rotazione sono utilizzate dopo l’approvazione del PNRR per finanziare progetti ivi inclusi e mantengono, quale vincolo di destinazione, la realizzazione degli interventi del PNRR fino a tutta la durata del Piano. I progetti devono essere predisposti secondo quanto stabilito dalla normativa comunitaria in materia e comunque corredati da indicazioni puntuali sugli obiettivi intermedi e finali da raggiungere, verificabili tramite appositi indicatori quantitativi (comma 1046).
Le anticipazioni sono destinate ai singoli progetti tenendo conto tra l’altro dei cronoprogrammi di spesa e degli altri elementi relativi allo stato delle attività desumibili dal sistema di monitoraggio dei progetti istituito ai sensi del comma 1043 (comma 1047), mentre i trasferimenti successivi vengono assegnati, fino alla concorrenza dell’importo totale del progetto, sulla base di rendicontazioni bimestrali, secondo i dati registrati e validati sul sistema informatico ed in base al conseguimento dei relativi target intermedi e finali previsti (comma 1048).
Ogni difformità rilevata sull’attuazione dei singoli progetti e nel conseguimento dei relativi target intermedi e finali con impatto diretto sugli importi richiesti a rimborso alla Commissione Europea per il Programma Next Generation EU, prima o dopo l’erogazione del contributo pubblico in favore dell’amministrazione titolare, dovrà essere immediatamente corretta. Nel caso di revoca dei finanziamenti, gli importi eventualmente corrisposti saranno recuperati e riassegnati nelle disponibilità finanziarie del Piano (comma 1049).
L’articolo 15 interviene sulle procedure relative alla gestione finanziaria delle risorse previste nell’ambito del PNRR, prevedendo il parere della Conferenza permanente Stato-Regioni nella loro definizione con decreti del Ministro dell’economia e delle finanze; inoltre, stabilisce modalità semplificate di utilizzo delle risorse, da parte delle Regioni e degli enti locali, in deroga alla disciplina contabile vigente relativa all’utilizzo del risultato di amministrazione e al mantenimento in bilancio delle risorse in conto capitale.
Il comma 1 interviene sulla gestione contabile del Fondo di rotazione per l’attuazione del PNRR (introdotto dalla legge di bilancio per il 2021) prevedendo che il giroconto avvenga su un conto aperto presso la Tesoreria statale. Pertanto, non risulta più necessario che il conto destinatario delle risorse, a favore di ciascuna amministrazione od organismo titolare dei progetti, sia un conto corrente appositamente istituito.
L’articolo 1, comma 1039, della legge di bilancio 2021 (legge n. 178 del 2020) dispone che le risorse giacenti sui due appositi conti correnti infruttiferi aperti presso la Tesoreria centrale dello Stato (nei quali sono versate, rispettivamente, le risorse relative ai progetti finanziati mediante contributi a fondo perduto e quelle relative ai progetti finanziati mediante prestiti, di cui al comma 1038) sono trasferite, in relazione al fabbisogno finanziario, a ciascuna amministrazione od organismo titolare dei progetti, mediante giroconto “su un conto corrente della Tesoreria centrale appositamente istituito”, sulla base delle procedure definite con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui al comma 1042 (per il quale si veda oltre), nel rispetto del sistema di gestione e controllo delle componenti del Next Generation EU.
Il comma 2 stabilisce che le procedure relative alla gestione finanziaria delle risorse previste nell'ambito del PNRR sono stabilite in sede di emanazione dei decreti del Ministro dell'economia e delle finanze di cui all'articolo 1, comma 1042, della legge n. 178 del 2020, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano[14].
L’articolo1, comma 1042 della legge di bilancio per il 2021 (legge n.178 del 2020) prevede che con uno o più decreti del Ministro dell’economia e delle finanze, il primo da adottarsi entro 60 giorni dal 1° gennaio 2021 (data di entrata in vigore della legge), sono stabilite le procedure amministrativo-contabili per la gestione delle risorse dal Fondo di rotazione stanziate dai commi 1037-1050 della legge di bilancio 2021, nonché le modalità di rendicontazione della gestione delle stesse. Il D.M. non è stato ancora emanato.
Il comma 3 stabilisce che le Regioni, gli enti locali e i loro enti e organismi strumentali che adottano sistemi di contabilità omogenei[15] utilizzano le risorse ricevute per l'attuazione del PNRR e del PNC (Piano nazionale per gli investimenti complementare) che a fine esercizio confluiscono nel risultato di amministrazione, in deroga ai limiti previsti dall'articolo 1, commi 897 e 898, della legge n. 145 del 2018.
Si ricorda brevemente che l’avanzo di amministrazione rappresenta il risultato complessivo della gestione dell’ente. Tale risultato (avanzo se positivo) comprende alcune componenti che hanno specifiche finalizzazioni (quota accantonata, vincolata e destinata a investimenti), sottraendo le quali si ottiene la quota disponibile (o libera) dell’avanzo. Se quest’ultima assume segno negativo, l’ente è in disavanzo ed è tenuto al relativo ripiano. A ciascuna voce degli avanzi è associata una lettera: A per l’avanzo complessivo, B per la quota accantonata, C per la quota vincolata, D per la quota destinata a investimenti ed E per la quota disponibile o libera.
I commi 897-898 della legge di bilancio per il 2012 hanno introdotto la facoltà per gli enti locali di utilizzare il risultato di amministrazione, con alcune limitazioni in particolare per gli enti in disavanzo. Il comma 897, in particolare, dispone che è comunque consentita ? quindi anche agli enti in disavanzo oltre che a quelli in avanzo ? l’applicazione al bilancio di previsione della quota vincolata, accantonata e destinata del risultato di amministrazione per un importo non superiore a quello del risultato di amministrazione complessivo come risultante dal relativo prospetto (in particolare dalla lettera A)) al 31 dicembre dell'esercizio precedente. La quota del risultato di amministrazione come sopra definita è applicata al bilancio di previsione al netto della quota minima obbligatoria accantonata per il fondo crediti di dubbia esigibilità (FCDE) e del fondo anticipazioni di liquidità (FAL). Per gli enti con risultato di amministrazione positivo e avanzo libero positivo, pertanto, l’unica limitazione riguarda la non spendibilità dell’avanzo accantonato del FCDE e del FAL.
Quando l’avanzo disponibile risulta negativo, ma il risultato di amministrazione complessivo rimane positivo e capiente rispetto alla somma delle risorse accantonate in FCDE e FAL, l’ente è caratterizzato da una situazione di bilancio in disavanzo moderato. Per tali enti è consentito l’utilizzo e l’imputazione al bilancio di quote di avanzo vincolato, accantonato o destinato per coprire nuove spese. Questa imputazione ha come limite un importo pari al risultato di amministrazione decurtato degli accantonamenti FCDE e FAL e incrementato dalla quota di disavanzo che deve ripianare (comma 897).
Il comma 898 disciplina il caso in cui l’importo riportato alla lettera A) del prospetto del risultato di amministrazione risulti negativo o inferiore alla quota minima obbligatoria accantonata per il fondo crediti di dubbia esigibilità e al fondo anticipazioni di liquidità (enti in disavanzo elevato). In tal caso gli enti possono applicare al bilancio di previsione la quota vincolata, accantonata e destinata del risultato di amministrazione, per un importo non superiore a quello del disavanzo da recuperare iscritto nel primo esercizio del bilancio di previsione.
Si evidenzia che una analoga deroga a quanto previsto dai commi 897 e 898, della legge n. 145 del 2018, è stata stabilita anche con riferimento alle risorse non utilizzate alla fine di ciascun esercizio del Fondo per l’esercizio delle funzioni degli enti locali (art. 1, comma 823 della legge n. 178 del 2021). In tal caso si prevede che le risorse aggiuntive del Fondo sono vincolate alla esclusiva finalità di ristorare, nel biennio 2020 e 2021, la perdita di gettito connessa all'emergenza epidemiologica da COVID-19. Le risorse non utilizzate alla fine di ciascun esercizio confluiscono nella quota vincolata del risultato di amministrazione e non possono essere svincolate né sono soggette ai limiti previsti dall’articolo 1, commi 897 e 898, della legge 30 dicembre 2018, n. 145.
Il comma 4 dispone che le Regioni, gli enti locali e i loro enti e organismi strumentali possono accertare le entrate derivanti dal trasferimento delle risorse del PNRR e del PNC sulla base della formale deliberazione di riparto o assegnazione del contributo a proprio favore, senza dover attendere l'impegno dell'amministrazione erogante, con imputazione agli esercizi di esigibilità ivi previsti.
Il comma 5 estende anche per l’anno 2022 l’applicazione sperimentale, prevista dall’art. 4-quater del D.L. n. 32/2019 per il triennio 2019-2021, di alcune deroghe alle norme contabili sul mantenimento in bilancio delle risorse in conto capitale.
L’art. 4-quater, comma 1, del D.L. n. 32/2019, in relazione all’entrata in vigore del nuovo concetto di impegno di cui all’articolo 34 della legge di contabilità (legge n. 196/2009), nonché per assicurare la sussistenza delle disponibilità di bilancio che possano assicurare la tempestività dei pagamenti in relazione alla tempistica di realizzazione delle spese di investimento, sulla base dello stato avanzamento lavori, prevede in via sperimentale, per gli anni 2019, 2020 e 2021 (e 2022, come stabilito dall’articolo 15 del Decreto-legge in esame):
a) che le somme da iscrivere negli stati di previsione della spesa in relazione a variazioni di bilancio connesse alla riassegnazione di entrate finalizzate per legge a specifici interventi o attività sono assegnate ai pertinenti capitoli in ciascuno degli anni del bilancio pluriennale in relazione al cronoprogramma degli impegni e dei pagamenti, da presentare contestualmente alla richiesta di variazione;
b) l’allungamento dei termini di mantenimento in bilancio dei residui relativi alle spese in conto capitale, rispetto a quanto previsto dall’articolo 34-bis della legge 31 dicembre 2009, n. 196[16], prevedendo:
§ che i termini riferiti ai residui di stanziamento (comma 3) sono prolungati di un ulteriore esercizio, passando quindi da uno a due esercizi;
§ che i termini relativi ai residui propri (comma 4, primo periodo) sono prolungati di ulteriori tre esercizi, con la possibilità, dunque di poter essere pagati entro il sesto esercizio successivo a quello dell'assunzione dell'impegno di spesa, decorsi i quali i residui si intendono perenti agli effetti amministrativi;
c) l’applicazione anche alle autorizzazioni di spesa in conto capitale a carattere permanente e a quelle annuali delle disposizioni di cui all’articolo 30, comma 2, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196[17], che consentono la reiscrizione nella competenza degli esercizi successivi delle somme non impegnate (residui di stanziamento) alla chiusura dell'esercizio relative ad autorizzazioni di spesa in conto capitale a carattere non permanente.
Il comma 6 prevede che, nell’ambito del processo dell’armonizzazione dei sistemi di contabilità e di bilancio delle amministrazioni pubbliche, il piano dei conti integrato per le amministrazioni centrali dello Stato può essere aggiornato con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, anche rivedendo il livello minimo di articolazione e la sua composizione in moduli distinti. Inoltre, il termine della sperimentazione per l’adozione definitiva della contabilità integrata e del piano dei conti integrato (prevista dall'articolo 38-sexies della legge 31 dicembre 2009, n. 196) è prorogato di un anno.
La legge di contabilità e finanza pubblica (l. n. 196 del 2009) ha avviato un processo di armonizzazione dei sistemi di contabilità e di bilancio delle amministrazioni pubbliche attraverso, tra l’altro, l’adozione di:
· un sistema di contabilità economico-patrimoniale da affiancare, a fini conoscitivi, al tradizionale sistema di contabilità finanziaria;
· principi e regole contabili comuni;
· un comune Piano dei Conti integrato, coerente con le classificazioni europee dei conti.
Nel processo di completamento della riforma per il bilancio dello Stato, in particolare, il decreto legislativo n. 90 del 2016 ha disciplinato, all’articolo 8, l'introduzione del sistema di contabilità integrata finanziaria ed economico-patrimoniale e del piano dei conti integrato, le verifiche degli Uffici di controllo sulle nuove scritture contabili per garantire la corretta applicazione dei principi contabili generali ed applicati, introducendo cinque nuovi articoli (dall’art. 38-bis al 38-sexies) all’interno della legge n. 196 del 2009.
In sintesi, è stata disposta l’adozione, da parte delle amministrazioni centrali dello Stato, di:
· “un sistema integrato di scritture contabili” (contabilità integrata) “nell’ambito della gestione”, allo scopo di perseguire “la qualità e la trasparenza dei dati di finanza pubblica”, attraverso l’affiancamento, a fini conoscitivi, della contabilità economico-patrimoniale alla preesistente contabilità finanziaria autorizzatoria che consente “la registrazione di ciascun evento gestionale contabilmente rilevante” ed assicurare “l'integrazione e la coerenza delle rilevazioni di natura finanziaria con quelle di natura economica e patrimoniale” (art. 38-bis, comma 1)
· principi contabili generali, in coerenza con quelli delle altre amministrazioni non territoriali (D. Lgs. n. 91 del 2011), ai quali si deve conformare l’intera gestione contabile delle amministrazioni centrali dello Stato (art. 38-bis, comma 3, riportati nell’apposito Allegato 1, che costituisce parte integrante della Legge n. 196 del 2009);
· principi contabili applicati, attraverso un apposito regolamento in corso di predisposizione (art. 38-bis, comma 4);
· un piano dei conti integrato (art. 38-ter), costituito da conti che rilevano le entrate e le uscite in termini di contabilità finanziaria e da conti economico-patrimoniali redatti secondo comuni criteri di contabilizzazione, definiti in coerenza con il piano dei conti delle amministrazioni pubbliche non territoriali.
Il piano dei conti integrato costituisce lo strumento di riferimento per la tenuta delle scritture contabili. Esso è costituito dall’elenco delle voci del bilancio gestionale finanziario e dei conti economici e patrimoniali, in modo da consentire la rilevazione unitaria dei fatti gestionali.
Il D.P.R. 12 novembre 2018, n. 140 disciplina la struttura del piano dei conti integrato delle amministrazioni centrali dello Stato (ai sensi dell’articolo 38-ter). Il comma 4 dell’art. 38-ter prevede che gli aggiornamenti del piano dei conti sono adottati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. Con la norma in esame si prevede che con lo stesso D.M. possano essere rivisti il livello minimo di articolazione e la sua composizione in moduli distinti.
L’adozione definitiva della contabilità integrata e del piano dei conti integrato è subordinata allo svolgimento di una sperimentazione (art. 38-sexies) della durata non superiore a tre esercizi finanziari (prorogata di un anno dalla norma in esame), da disciplinarsi con apposito decreto ministeriale, allo scopo di valutare gli effetti dell’adozione della contabilità integrata e del piano dei conti e del loro utilizzo “quale struttura di riferimento per la predisposizione dei documenti contabili e di bilancio unitamente alle missioni, ai programmi e alle azioni”, nonché di valutare l’utilizzo della codifica della transazione contabile elementare.
Con il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 21 febbraio 2019 è stato disposto l’avvio della sperimentazione a partire dall’esercizio 2019, che è attuata per fasi successive.
Il decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 13 novembre 2020 ha previsto l’aggiornamento del Piano dei conti integrato e del Piano dei conti di contabilità economica analitica delle amministrazioni centrali dello Stato. Gli aggiornamenti contenuti nel decreto, validi a partire dall’apertura della gestione dell'esercizio contabile 2021, stabiliscono che i conti del modulo economico e del modulo patrimoniale del Piano dei conti integrato delle amministrazioni centrali dello Stato, sono aggiornati e sostituiti dagli allegati 1.2 e 1.3 del decreto.
L’articolo 16 reca la norma di copertura finanziaria degli oneri recati dalla prima parte del provvedimento in esame, derivanti dagli articoli 4, 5, 6, 7, 8 e 11, pari a 10.337.000 euro per l'anno 2021, a 28.672.000 euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026 e a 2.295.000 euro annui a decorrere dal 2027.
Tali oneri sono costituiti in gran parte dalle maggiori spese per l’istituzione delle strutture di governance del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
In particolare, gli oneri derivano dalle seguenti disposizioni:
- art. 4: istituzione della Segreteria tecnica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con una spesa di 200.000 euro per l'anno 2021 e 400.000 euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026,
- art. 5: istituzione dell’Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione presso la Presidenza del Consiglio, con una spesa di 200.000 euro per l'anno 2021 e 400.000 euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026,
- art. 6: istituzione del Servizio centrale per il PNRR presso la Ragioneria Generale dello Stato con compiti di coordinamento generale e di monitoraggio, con una spesa di 930.000 euro per l'anno 2021 e 1.859.000 euro dal 2022;
- art. 7: istituzione di uffici dirigenziali presso la Ragioneria Generale dello Stato - IGRUE con funzione di audit e controllo del PNRR, con una spesa complessiva di 218.00 euro per l'anno 2021 e 436.000 euro dal 2022.
- art. 8: uffici dirigenziali per il coordinamento della fase attuativa del PNRR con una spesa di 8.789.000 euro per l'anno 2021 e di 17.577.000 euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026,
- art. 11: stipula del disciplinare tra Ministero dell'economia e delle finanze stipula e Consip S.p.A. nel limite complessivo di 40 milioni, con una spesa di 8 milioni per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026.
A tali oneri si provvede:
a) quanto a 8 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica.
Si ricorda che il Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE) è stato istituito dall’articolo 10, comma 5, del D.L. n. 282 del 2004, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze (cap. 3075) al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale. Il Fondo in questione presenta una dotazione nel bilancio di previsione 2021-2023 pari a 94,7 milioni per il 2021, 478,2 milioni per il 2022 e 309,2 milioni per il 2023.
b) quanto a 4.316.000 euro per l'anno 2021 e 8.632.000 euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026, mediante corrispondente riduzione del Fondo per le esigenze indifferibili che si manifestano in corso di gestione.
Si tratta del fondo istituito dall'articolo 1, comma 200, della legge di stabilità 2015 (legge n. 190/2014), iscritto sul capitolo 3076 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. Nel bilancio per il 2021-2023 (legge n. 178 del 2020 e relativo D.M. 30 dicembre 2020 di ripartizione in capitoli), il Fondo presenta una dotazione di 645,2 milioni per il 2021, 383,5 milioni per il 2022 e di 431,8 milioni per il 2023. La dotazione del Fondo è stata ridotta, nel corso dell’anno, di:
- 5,6 milioni di euro per il 2021 e di 10,8 milioni annui a decorrere dall'anno, ai sensi dell'art. 11, comma 1, lett. b) del D.L. n. 22/2021 (Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri);
- di 35 milioni di euro per il 2023, 14 milioni per il 2024 e di 8 milioni per l’anno 2025, ai sensi dell'art. 42, comma 10, lett. d), del D.L. n. 41/2021 (c.d. Sostegni). Il medesimo D.L. n. 41 prevede altresì, all’art. 41, un incremento della dotazione del Fondo di 550 milioni di euro per l’anno 2021;
- di 10,1 milioni nel 2033 e di 3,4 milioni nel 2034, ai sensi dell'art. 5, comma 2, lett. c), del D.L. n. 59/2021 (istitutivo del Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR) in corso di esame al Senato;
- di 24,70 milioni di euro per l’anno 2023, 24,20 milioni per il 2024, 25,50 milioni per il 2025, 27,30 milioni per il 2026, 28,80 milioni per il 2027, 31,10 milioni per il 2028, 34,50 milioni per il 2029, 38,80 milioni per il 2030 e 39,20 milioni per ciascuno degli anni dal 2031 al 2033, 225,50 milioni per l'anno 2034 e 225,70 milioni di euro annui a decorrere dal 2035, dall’art. 77, comma 10, lett. b) del D.L. n. 73/2021 (Sostegni-bis), in corso di esame alla Camera. Il medesimo D.L. n. 73 prevede altresì, al comma 7 dell’art. 7, un incremento della dotazione del Fondo di 800 milioni per l’anno 2021 e di 100 milioni per l’anno 2022.
c) quanto a 6.021.000 euro per l'anno 2021 e 12.040.000 euro a decorrere dal 2022, mediante riduzione del fondo speciale di parte corrente.
Allo scopo viene utilizzato l’accantonamento di vari Ministeri, e precisamente per 2.541.000 euro per l'anno 2021, 4.384.000 euro per l'anno 2022 e 5.080.000 a decorrere dall'anno 2023 l’accantonamento del Ministero dell’economia; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l’accantonamento del Ministero dello sviluppo economico; per 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l’accantonamento del Ministero del lavoro; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 per 2022 l'accantonamento del Ministero della giustizia; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero dell'interno; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero dell'istruzione; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero dell'università e della ricerca; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero della difesa; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo; per 348.000 euro per l'anno 2021 e a 696.000 a decorrere dall'anno 2022 l'accantonamento del Ministero per i beni e le attività culturali.
(milioni di euro)
Art. |
TABELLA ONERI/COPERTURA |
2021 |
2022 |
2023 |
2024 |
TOTALE ONERI |
10,34 |
28,68 |
28,68 |
28,68 |
|
Art. 4 |
Segreteria tecnica della Cabina di regia per il PNRR presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri |
0,20 |
0,40 |
0,40 |
0,40 |
Art. 5 |
Unità per la razionalizzazione e il miglioramento della regolazione |
0,20 |
0,40 |
0,40 |
0,40 |
Art. 6, co. 1 |
Ufficio centrale di livello dirigenziale generale denominato "Servizio centrale per il PNRR" presso il MEF |
0,13 |
0,26 |
0,26 |
0,26 |
Art. 6, co. 1 |
Istituzione di sei uffici di livello dirigenziale e non generale del "Servizio centrale per il PNRR" presso il MEF |
0,44 |
0,87 |
0,87 |
0,87 |
Art. 6, co. 2 |
Istituzione di cinque posizioni di funzione dirigenziale di livello non generale di consulenza, studio e ricerca il Ministero dell’Economia e delle Finanze- |
0,36 |
0,73 |
0,73 |
0,73 |
Art. 7, co. 1 |
Istituzione ufficio dirigenziale di livello non generale presso l’Ispettorato IGRUE della RGS, avente funzioni di audit del PNRR |
0,07 |
0,15 |
0,15 |
0,15 |
Art. 7, co. 3 |
Istituzione di due uffici dirigenziale di livello non generale presso l’Unità di missione della RGS per il PNRR |
0,15 |
0,29 |
0,29 |
0,29 |
Art. 8 |
Istituzione Unità di missione presso le Amministrazioni centrali titolari di interventi del PNRR per le attività di coordinamento, gestione, monitoraggio, rendicontazione e controllo |
8,79 |
17,58 |
17,58 |
17,58 |
Art. 11 |
Realizzazione di un programma di informazione, formazione e tutoraggio nella gestione delle specifiche procedure di acquisto e di progettualità per l'evoluzione del Sistema Nazionale di eProcurement e di rafforzamento della capacità amministrativa e tecnica delle PA da parte di Consip S.p.A. |
- |
8,0 |
8,0 |
8,0 |
TOTALE COPERTURA |
10,34 |
28,68 |
28,68 |
28,68 |
|
1, lett. a) |
Riduzione Fondo per interventi strutturali di politica economica |
- |
8,0 |
8,0 |
8,0 |
1, lett. b) |
Riduzione Fondo esigenze indifferibili in corso di gestione |
4,32 |
8,63 |
8,63 |
8,63 |
1, lett, c) |
Riduzione Fondo speciale di parte corrente |
6,02 |
12,04 |
12,04 |
12,04 |
Il comma 2 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio ai fini dell'immediata attuazione delle disposizioni recate dal provvedimento in esame.
L’articolo 17 novella il Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006) al fine di ampliare l’ambito di attività della Commissione Tecnica PNIEC anche alla valutazione ambientale di competenza statale dei progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Conseguentemente la Commissione assume la nuova denominazione di “Commissione Tecnica PNRR-PNIEC”. Sono inoltre modificate la composizione (in particolare tramite il raddoppio del numero massimo dei membri, da 20 a 40) e le modalità di funzionamento della Commissione (lettera a)).
Viene inoltro introdotto, nel testo del Codice, un criterio di priorità da seguire nella valutazione dei progetti (sia da parte della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale - VIA e VAS che da parte della Commissione tecnica PNRR-PNIEC) il quale prevede sia data precedenza ai progetti aventi un comprovato valore economico superiore a 5 milioni di euro ovvero una ricaduta in termini di maggiore occupazione attesa superiore a 15 unità di personale o con scadenze non superiori a 12 mesi (lettera b)).
Prima di illustrare nel dettaglio i contenuti dell’articolo in esame è necessaria una premessa volta ad inquadrare le norme previgenti ed evidenziare le finalità perseguite non solo dall’articolo 17, ma dall’insieme delle disposizioni in materia di valutazione ambientale contenute negli articoli 17-28.
Le disposizioni recate dagli articoli 17-28 del presente decreto-legge si propongono principalmente due grandi obiettivi:
- integrare la disciplina prevista per la valutazione ambientale dei progetti del PNIEC al fine di ricomprendervi anche la valutazione dei progetti per l’attuazione del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza);
- operare un intervento di semplificazione sulla disciplina di VIA e VAS (Valutazione Ambientale Strategica) prevista dalla parte seconda del Codice dell’ambiente.
Si ricorda che la disciplina della valutazione di impatto ambientale (VIA), contenuta nella parte seconda del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006) è stata profondamente modificata, con il D.Lgs. 104/2017, al fine di recepire le modifiche apportate, alla legislazione europea in materia, dalla direttiva 2014/52/UE.
Per un’analisi sintetica delle principali novità introdotte dal D.Lgs. 104/2017 si rinvia al paragrafo “Valutazioni ambientali” del tema “Valutazioni e controlli ambientali” tratto dal dossier di inizio della XVIII legislatura.
Il recepimento della direttiva 2014/52/UE non è stato però giudicato del tutto adeguato dalla Commissione europea, che in data 12 febbraio 2020 ha avviato, con una lettera di costituzione in mora ai sensi dell’articolo 258 del TFUE, una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia (n. 2019/2308) per non conformità alla normativa europea in materia di valutazione dell'impatto ambientale.
È quindi intervenuto, anche ai fini del superamento di tale contenzioso, il decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76.
L’articolo 50 del D.L. 76/2020 ha apportato una lunga serie di modifiche alla disciplina della VIA volte a perseguire principalmente l’accelerazione delle procedure, soprattutto tramite una riduzione dei termini previgenti e la creazione di una disciplina specifica per la valutazione ambientale, in sede statale, dei progetti necessari per l’attuazione del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC). Diverse modifiche sono inoltre finalizzate (come poc’anzi anticipato) ad allineare la disciplina nazionale a quella europea al fine di superare la procedura di infrazione n. 2019/2308.
Per un’analisi approfondita delle modifiche in questione si rinvia al commento dell’art. 50 del D.L. 76/2020 tratto dal dossier predisposto in occasione dell’esame parlamentare del relativo disegno di legge di conversione.
La procedura di infrazione 2019/2308 è stata in seguito archiviata, come risulta dal comunicato del 24 febbraio 2021 del Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Nel testo del PNRR trasmesso all’UE viene evidenziato che “è necessaria una profonda semplificazione delle norme in materia di procedimenti in materia ambientale e, in particolare, delle disposizioni concernenti la valutazione di impatto ambientale (VIA). Le norme vigenti prevedono procedure di durata troppo lunga e ostacolano la realizzazione di infrastrutture e di altri interventi sul territorio. Questa disfunzione spesso si somma alla complicazione normativa e procedurale in materia di contratti di appalto pubblico. La VIA e le valutazioni ambientali sono indispensabili sia per la realizzazione delle opere pubbliche, che per gli investimenti privati, a partire dagli impianti per le energie rinnovabili”. Nel PNRR si legge al riguardo che “si prevede di sottoporre le opere previste dal PNRR ad una speciale VIA statale che assicuri una velocizzazione dei tempi di conclusione del procedimento, demandando a un’apposita Commissione lo svolgimento delle valutazioni in questione attraverso modalità accelerate, come già previsto per il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC 2030)”.
Nello stesso piano viene inoltre evidenziato che “il coordinamento tra PNRR e piani nazionali in materia di energia e cambiamento climatico potrà essere assicurato dal Comitato interministeriale per la transizione ecologica, già istituito dal decreto-legge n. 22/2021, al quale partecipano, oltre al Presidente del Consiglio dei ministri, i Ministri della transizione ecologica, dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, del lavoro e delle politiche sociali e delle politiche agricole, alimentari e forestali”.
Ciò premesso, si illustra di seguito il dettaglio delle disposizioni recate dall’articolo in esame.
La lettera a) del comma 1 riscrive il comma 2-bis dell’art. 8 del Codice dell'ambiente (inserito dall'art. 50, comma 1, lett. d), n. 1), del D.L. 76/2020) al fine di ampliare l’ambito di attività della Commissione Tecnica PNIEC anche ai progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Conseguentemente la Commissione assume la nuova denominazione di “Commissione Tecnica PNRR-PNIEC”.
Si ricorda, in proposito, che il testo previgente ha istituito la Commissione tecnica PNIEC per lo svolgimento delle procedure di valutazione ambientale di competenza statale dei progetti individuati da apposito D.P.C.M. previsto dall’art. 7-bis, comma 2-bis, del Codice e finalizzato, in particolare, a definire le tipologie di progetti e le opere necessarie per l'attuazione del Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC). Tale decreto ad oggi non è stato emanato, così come il decreto istitutivo della Commissione tecnica.
Gli articoli 17 e 18 del presente decreto-legge, eliminando la fase attuativa citata, consentono (come evidenziato nella relazione illustrativa) di “rendere da subito effettiva la c.d. fast track già prevista dal citato decreto legge n. 76 del 2020, ulteriormente potenziata con le ulteriori novità introdotte dal presente provvedimento, ivi compresa l’operatività della Commissione VIA PNRR-PNIEC che nel testo previgente era vincolata all’adozione dei predetti decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri”.
Il nuovo testo del comma 2-bis, previsto dalla norma in esame, prevede (come già anticipato) che la Commissione assume la denominazione “Commissione Tecnica PNRR-PNIEC” e che la competenza della commissione stessa riguarda le procedure di valutazione ambientale di competenza statale:
- dei progetti attuativi del PNIEC, la cui individuazione però non viene più demandata ad un decreto attuativo ma avviene direttamente nel nuovo Allegato I-bis alla parte seconda del Codice, introdotto dall’allegato I al decreto-legge in esame;
- dei progetti ricompresi nel PNRR e di quelli finanziati a valere sul fondo complementare.
Altre modifiche riguardano la composizione della Commissione. Viene infatti:
- raddoppiato il numero massimo di membri, che sale da 20 a 40 unità;
- previsto che la competenza dei membri sia adeguata non solo in relazione alla valutazione tecnica e ambientale dei progetti, come previsto dal testo previgente, ma anche paesaggistica;
- previsto che i membri sono scelti non solo tra il personale di ruolo del CNR, del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, dell'ENEA e dell'ISS, come previsto dal testo previgente, ma anche tra il personale di ruolo delle amministrazioni statali e regionali.
Viene inoltre specificato, rispetto al testo previgente, che i membri non possono essere scelti tra il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico ed ausiliario delle istituzioni scolastiche.
In relazione all’attività dei membri della Commissione, il testo previgente viene integrato al fine di precisare che gli stessi svolgono tale attività a tempo pieno.
Un’ulteriore modifica riguarda l’inserimento di una precisazione secondo cui il personale delle pubbliche amministrazioni è collocato, ai sensi dell’art. 17, comma 14, della L. 127/1997, in posizione di fuori ruolo, comando, distacco, aspettativa o altra analoga posizione, secondo i rispettivi ordinamenti.
Si tratta di una disposizione che in realtà precisa meglio quanto già previsto del testo previgente, che si limita a rinviare al succitato art. 17, comma 14, della L. 127/1997.
Sono altresì modificati i termini per la nomina dei membri. Mentre il testo previgente prevede che la nomina avvenga con decreto del Ministro dell'ambiente entro trenta giorni dall’entrata in vigore del D.P.C.M. previsto dall'art. 7-bis, comma 2-bis (di cui si è detto in precedenza), il nuovo testo prevede che la nomina avviene con decreto del Ministro della transizione ecologica entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.
Si ricorda che il decreto-legge 1° marzo 2021, n. 22, recante disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri (convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 aprile 2021, n. 55), prevede, tra l’altro, l’istituzione del Ministero della transizione ecologica, che sostituisce il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare accorpando le funzioni di questo con quelle in materia di politica energetica e mineraria svolte dal Ministero dello sviluppo economico (artt. 2 e 3).
Viene altresì modificata la durata dell’incarico dei membri della Commissione, che è elevata da 4 a 5 anni.
La disposizione del testo previgente secondo cui ai commissari spetta una indennità aggiuntiva esclusivamente in ragione dei compiti istruttori effettivamente svolti e solo a seguito dell'adozione del relativo provvedimento finale è soppressa. La finalità di ancorare la determinazione del compenso esclusivamente ai compiti effettivamente svolti e all’adozione del provvedimento finale viene però mantenuta in relazione al compenso base disciplinato dal comma 5 dell’art. 8, in virtù della novella operata dalla lettera c) del comma in esame (v. infra).
Un’ulteriore novella riguarda lo svolgimento delle istruttorie tecniche. Mentre il testo previgente prevede che per tali istruttorie la Commissione possa avvalersi, tramite appositi protocolli d'intesa, del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente (SNPA) e degli altri enti pubblici di ricerca, il nuovo testo rende obbligatorio tale avvalimento.
Relativamente alle modalità di funzionamento della Commissione, il testo previgente viene integrato con l’aggiunta di disposizioni secondo cui:
- alle riunioni della Commissione partecipa, con diritto di voto, anche un rappresentante del Ministero della cultura;
- per i procedimenti per i quali sia riconosciuto da specifiche disposizioni o intese un concorrente interesse regionale, all’attività istruttoria partecipa, con diritto di voto, un esperto designato dalle Regioni e dalle Province autonome interessate, individuato tra i soggetti in possesso di adeguata professionalità ed esperienza nel settore della valutazione dell'impatto ambientale e del diritto ambientale.
Tale disposizione è analoga a quella già prevista in via generale (dall’art. 8, comma 1, del Codice) per la Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale - VIA e VAS, con la differenza che nella norma in esame viene precisato che all’esperto designato dalle Regioni e dalle Province autonome interessate spetta il diritto di voto.
- si applicano alla Commissione anche le modalità operative previste dal nuovo comma 2-ter dell’art. 25, inserito nel testo del Codice dell'ambiente dall’art. 4 del decreto-legge in esame.
La lettera b) del comma 1 integra il testo del comma 1 dell’art. 8 del Codice dell'ambiente al fine di introdurre un criterio di priorità da seguire nella valutazione dei progetti, sia da parte della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale - VIA e VAS che da parte della Commissione tecnica PNRR-PNIEC. Tale criterio prevede che sia data precedenza, nella trattazione dei procedimenti di propria competenza, ai progetti:
- aventi un comprovato valore economico superiore a 5 milioni di euro;
- ovvero una ricaduta in termini di maggiore occupazione attesa superiore a 15 unità di personale;
- nonché ai progetti cui si correlano scadenze non superiori a 12 mesi, fissate con termine perentorio dalla legge o comunque da enti terzi, e ai progetti relativi ad impianti già autorizzati la cui autorizzazione scade entro dodici mesi dalla presentazione dell’istanza.
La lettera c) del comma 1 integra il testo previgente del comma 5 dell’art. 8 del Codice – che disciplina le modalità di determinazione dei compensi sia dei membri della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale - VIA e VAS sia dei membri della Commissione tecnica PNRR-PNIEC, disponendo che tali compensi sono stabiliti proporzionalmente alle responsabilità di ciascun membro e in ragione dei compiti istruttori effettivamente svolti – al fine di precisare che:
- i compensi in questione devono essere stabiliti solo a seguito dell'adozione del relativo provvedimento finale (introducendo quindi una sorta di obbligo di risultato);
- la determinazione dei compensi deve avvenire esclusivamente in ragione dei compiti istruttori effettivamente svolti.
L’articolo 18 novella il Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006), eliminando le disposizioni volte a disciplinare l’emanazione di un apposito D.P.C.M. finalizzato all’individuazione delle tipologie di interventi necessari per l'attuazione del PNIEC nonché delle aree non idonee alla realizzazione degli interventi medesimi. In luogo di tali disposizioni (non più necessarie in quanto l’individuazione, ai sensi dell’art. 17 del decreto-legge in esame, avviene direttamente con il nuovo allegato I-bis) viene previsto che le opere, gli impianti e le infrastrutture necessari alla realizzazione dei progetti strategici per la transizione energetica del Paese inclusi nel PNRR e al raggiungimento degli obiettivi fissati nel PNIEC, come individuati nell’allegato I-bis, e le opere connesse a tali interventi costituiscono interventi di pubblica utilità, indifferibili e urgenti.
Il numero 1) della lettera a) del comma 1 riscrive il comma 2-bis dell’art. 7-bis del Codice dell'ambiente (inserito dall'art. 50, comma 1, lett. c), n. 1), del D.L. 76/2020), il cui testo previgente disciplina l’emanazione di un apposito D.P.C.M. finalizzato all’individuazione delle tipologie di interventi necessari per l'attuazione del Piano Nazionale Integrato per l'Energia e il Clima (PNIEC), nonché delle aree non idonee alla realizzazione degli interventi medesimi.
Il nuovo testo non prevede più l’emanazione di un tale decreto (in linea con quanto previsto dall’art. 17 del decreto-legge in esame, secondo cui l’individuazione è ora effettuata direttamente dal nuovo allegato I-bis alla parte seconda del Codice), ma si limita a disporre che le opere, gli impianti e le infrastrutture necessari alla realizzazione dei progetti strategici per la transizione energetica del Paese inclusi nel PNRR e al raggiungimento degli obiettivi fissati nel PNIEC, come individuati nell’Allegato I-bis, e le opere connesse a tali interventi costituiscono interventi di pubblica utilità, indifferibili e urgenti.
In merito alla dichiarazione di pubblica utilità (disciplinata dagli artt. 12-14 del D.P.R. 327/2001), si ricorda che essa attribuisce alle opere, anche qualora private, la natura giuridica di opera pubblica e costituisce presupposto per eventuali procedure espropriative. Relativamente alla dichiarazione di indifferibilità ed urgenza si ricorda che essa costituisce il presupposto di legittimità del provvedimento d'occupazione d'urgenza (v. art. 22-bis del D.P.R. 327/2001).
Si fa notare che mentre l’articolo 17 del decreto-legge in esame fa riferimento alla valutazione ambientale di competenza statale dei progetti ricompresi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), di quelli finanziati a valere sul fondo complementare nonché dei progetti attuativi del PNIEC individuati nell’Allegato I-bis del decreto in esame, l’articolo in esame fa riferimento alle opere, gli impianti e le infrastrutture necessari alla realizzazione dei progetti strategici per la transizione energetica del Paese inclusi nel piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e al raggiungimento degli obiettivi fissati dal Piano nazionale integrato energia e clima (PNIEC), predisposto in attuazione del Regolamento (UE) 2018/1999, come individuati nell’Allegato I-bis, e le opere ad essi connesse, quindi a un sottoinsieme degli interventi considerati dall’articolo 17.
Si valuti pertanto l’opportunità di coordinare le disposizioni degli articoli 17 e 18.
Il numero 2) della lettera a) del comma 1 dispone l’abrogazione del comma 2-ter dell’art. 7-bis del Codice dell'ambiente (inserito dall'art. 50, comma 1, lett. c), n. 1), del D.L. 76/2020) che disciplina i criteri per l’individuazione delle aree non idonee alla realizzazione degli interventi di cui trattasi.
Si fa notare che nel testo previgente l’individuazione delle aree non idonee è demandata allo stesso D.P.C.M. finalizzato a definire le tipologie di progetti e le opere necessarie per l'attuazione del PNIEC e che tale adempimento non viene più previsto in virtù delle modifiche operate dall’art. 17 del decreto-legge in esame.
Sembra pertanto scomparire la disciplina volta all’individuazione delle aree non idonee.
La lettera b) del comma 1 dispone che nell’allegato I al presente decreto-legge è contenuto il testo del nuovo allegato I-bis alla parte seconda del Codice dell’ambiente.
Tale allegato I-bis elenca, come indicato nel titolo dello stesso, le opere, gli impianti e le infrastrutture necessarie al raggiungimento degli obiettivi fissati dal PNIEC.
L’articolo 19 modifica e integra le discipline relative al procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA e alla consultazione preventiva (recate rispettivamente dagli artt. 19 e 20 del Codice dell'ambiente) al fine precipuo di introdurre termini certi per lo svolgimento di determinate fasi procedurali e di ridurre i termini già previsti. Viene inoltre precisato che la disciplina della consultazione preventiva si applica anche ai progetti di cui all’articolo 8, comma 2-bis, del Codice, cioè quelli esaminati dalla Commissione tecnica PNRR-PNIEC.
La lettera a) del comma 1 reca modifiche e integrazioni alla disciplina relativa al procedimento di verifica di assoggettabilità a VIA (recata dall’art. 19 del Codice dell'ambiente, come riscritto dall'art. 50, comma 1, lett. f), del D.L. 76/2020).
Si ricorda che tale procedimento inizia con la trasmissione all'autorità competente, da parte del proponente, dello studio preliminare ambientale.
In particolare, il numero 1) della lettera a) del comma 1 prevede la riduzione da 45 a 30 giorni del termine, concesso a chiunque abbia interesse, per presentare le proprie osservazioni all'autorità competente in merito allo studio preliminare ambientale e alla documentazione allegata.
La norma modifica il termine previsto dal testo previgente del comma 4 dell’art. 19 del Codice. Tale testo stabilisce infatti che, entro e non oltre 45 giorni dalla pubblicazione sul sito internet dello studio preliminare ambientale e dalla comunicazione per via telematica a tutte le amministrazioni e a tutti gli enti territoriali potenzialmente interessati dell'avvenuta pubblicazione, chiunque abbia interesse può presentare le proprie osservazioni all'autorità competente in merito allo studio preliminare ambientale e alla documentazione allegata.
Il numero 2) della lettera a) integra il disposto del comma 6 dell’art. 19, che disciplina il termine per l’adozione del provvedimento di verifica di assoggettabilità a VIA. L’integrazione in esame è volta a stabilire che, entro tale termine, l’autorità competente può richiedere chiarimenti e integrazioni al proponente finalizzati alla non assoggettabilità del progetto al procedimento di VIA. In tal caso, il proponente può richiedere, per una sola volta, la sospensione dei termini, per un periodo non superiore a sessanta giorni, per la presentazione delle integrazioni e dei chiarimenti richiesti.
Qualora il proponente non trasmetta la documentazione richiesta entro il termine stabilito, la domanda si intende respinta ed è fatto obbligo all’autorità competente di procedere all’archiviazione.
Si fa notare che nel testo previgente, la possibilità (da parte dell’autorità competente) di chiedere chiarimenti e integrazioni al proponente era già contemplata dal comma 2, ma limitatamente alla fase iniziale di verifica della completezza e dell'adeguatezza del progetto preliminare e della relativa documentazione trasmessi. Anche il comma 2 prevede che qualora il proponente non trasmetta la documentazione richiesta entro il termine stabilito, la domanda si intende respinta ed è fatto obbligo all'autorità competente di procedere all'archiviazione.
La relazione illustrativa sottolinea che le modifiche in esame “consentono di introdurre una fase nella quale l’autorità competente possa chiedere chiarimenti e integrazioni al proponente senza un aggravio temporale del procedimento”.
Il numero 3) della lettera a) integra il disposto del comma 7 dell’art. 19, che consente al proponente, qualora l'autorità competente stabilisca di non assoggettare il progetto a VIA, di richiedere alla medesima autorità di specificare le condizioni ambientali necessarie per evitare o prevenire quelli che potrebbero altrimenti rappresentare impatti ambientali significativi e negativi.
L’integrazione è volta a precisare che l’autorità competente si pronuncia sulla richiesta di condizioni ambientali formulata dal proponente entro il termine di 30 giorni con determinazione positiva o negativa, esclusa ogni ulteriore interlocuzione o proposta di modifica.
La relazione illustrativa sottolinea che la fissazione di tale termine consente di dare certezza dei tempi procedimentali.
La lettera b) del comma 1 integra la disciplina della consultazione preventiva (recata dall’art. 20 del Codice dell'ambiente, come riscritto dall'art. 50, comma 1, lett. g), del D.L. 76/2020).
Il testo previgente consente al proponente di richiedere, prima di presentare il progetto, una fase di confronto con l'autorità competente al fine di definire la portata e il livello di dettaglio delle informazioni necessarie da considerare per la redazione dello studio di impatto ambientale. A tal fine, il proponente trasmette, in formato elettronico, una proposta di elaborati progettuali e, sulla base della documentazione trasmessa dal proponente, l'autorità competente trasmette al proponente il proprio parere.
La norma in esame integra il testo previgente precisando che:
- la trasmissione del parere con cui l’autorità competente conclude la fase di consultazione preventiva deve avvenire entro 30 giorni dalla presentazione della proposta progettuale.
- la disciplina della consultazione preventiva recata dall’art. 20 si applica anche ai progetti di cui all’art. 8, comma 2-bis, del Codice, cioè quelli esaminati dalla Commissione tecnica PNRR-PNIEC.
Si osserva che l’articolo 8, comma 2-bis, del Codice, già dispone che la Commissione in questione “opera con le modalità previste dall'articolo 20”. Si valuti quindi l’opportunità di un coordinamento.
L’articolo 20 interviene sulla disciplina per l’emanazione del provvedimento di VIA di competenza statale recata dai commi 2 e 2-bis dell’art. 25 del Codice (concernenti, rispettivamente, i progetti non inclusi nel PNRR-PNIEC e quelli invece inclusi). Le modifiche riguardano, in estrema sintesi: il concerto del Ministero della cultura; l’accelerazione della procedura attraverso la riduzione dei termini previsti; l’unificazione delle procedure previste nei casi di inutile decorso dei termini e per l’attivazione dei conseguenti poteri sostitutivi finalizzati all’adozione del provvedimento di VIA; l’introduzione dell’automatico rimborso al proponente del 50% dei diritti di istruttoria qualora non siano rispettati i termini per la conclusione del procedimento di VIA relativo ai progetti PNRR-PNIEC.
L’articolo 20 interviene sulla disciplina per l’emanazione del provvedimento di VIA di competenza statale recata dai commi 2 e 2-bis dell’art. 25 del Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006).
Si ricorda che la disciplina recata dall’art. 25 è stata rivista dall’art. 50, comma 1, lett. m), del D.L. 76/2020. In particolare, i numeri 1) e 2) di tale lettera m) hanno previsto, tra l’altro, la bipartizione del procedimento di valutazione ambientale, attraverso la creazione di una procedura speciale dedicata ai progetti delle opere necessarie all’attuazione del PNIEC. Ciò è avvenuto mediante:
- la precisazione, inserita (dal numero 1)) all’inizio del comma 2 dell’art. 25 (che disciplina modalità e termini per addivenire al rilascio del provvedimento di VIA), che esclude l’applicabilità di tale disposizione per i progetti necessari all’attuazione del PNIEC. Di conseguenza il comma 2 riguarda solamente i progetti estranei al PNIEC;
- l’inserimento di un nuovo comma 2-bis che reca una disciplina speculare a quella del comma 2 e dedicata ai “progetti PNIEC” e che ora, in virtù della riscrittura operata dall’art. 1 del decreto-legge in esame, riguarda anche i progetti del PNRR.
Relativamente alla disciplina di carattere generale, cioè quella relativa ai progetti esclusi da PNIEC e PNRR, la riscrittura del comma 2 dell’art. 25, apporta le seguenti modifiche al testo previgente:
- viene precisato che l’adozione del provvedimento di VIA da parte dell’autorità competente (vale a dire il MiTE, in virtù del disposto dell’art. 7-bis, comma 4) deve avvenire previa acquisizione del concerto del competente direttore generale del Ministero della cultura entro il termine di 30 giorni;
Si valuti l’opportunità di precisare il momento da cui decorre il termine indicato.
Si ricorda che il citato comma 4 dell’art. 7-bis del Codice dispone che “in sede statale, l'autorità competente è il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che esercita le proprie competenze in collaborazione con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per le attività istruttorie relative al procedimento di VIA”.
- sono soppressi gli ultimi tre periodi del testo previgente del comma 2 ove venivano disciplinati i casi di inutile decorso dei termini e l’attivazione di poteri sostitutivi finalizzati all’adozione del provvedimento di VIA. Tali disposizioni, pur se modificate, vengono ricollocate nel nuovo comma 2-quater che prevede una disciplina unitaria, sia per i progetti inclusi nel PNRR-PNIEC che per quelli esclusi, delle procedure da seguire nei casi di inerzia nella conclusione del procedimento e dell’attivazione del potere sostitutivo.
Relativamente alla disciplina relativa ai progetti PNRR-PNIEC, la riscrittura del comma 2-bis dell’art. 25 apporta le seguenti modifiche e integrazioni al testo previgente:
§ sono modificati i termini entro i quali deve esprimersi la Commissione tecnica PNRR-PNIEC, predisponendo lo schema di provvedimento di VIA. Mentre il testo previgente prevedeva che ciò avvenisse entro 170 giorni dalla pubblicazione della documentazione di avvio del procedimento di VIA (prevista dal comma 4 dell’art. 23 del Codice), il nuovo testo prevede una riduzione di 40 giorni del termine in questione, rideterminato in 130 giorni dalla data della citata pubblicazione. Il nuovo testo precisa altresì che tale termine rappresenta un limite massimo e dispone inoltre che, nell’ambito di tale limite, la Commissione tecnica PNRR-PNIEC deve esprimersi entro 30 giorni dalla conclusione della fase di consultazione disciplinata dall’art. 24;
Nelle slide di presentazione del presente decreto-legge, diffuse dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, viene evidenziato che i tempi per il rilascio della VIA per i progetti PNRR-PNIEC, al netto dei tempi a favore del proponente, in forza delle modifiche recate dalla norma in esame saranno pari a 175 giorni.
Tale termine è la risultante della somma dei seguenti termini:
- 15 giorni dall'istanza di avvio del procedimento, entro i quali l'autorità competente deve provvedere alla verifica dell’istanza medesima e, quindi, al netto dei tempi necessari per eventuali integrazioni documentali, ad attivare la fase di consultazione (nuovo testo del comma 3 dell’art. 23 del Codice; v. art. 21, lett. a), n. 1) del presente decreto);
- 130 giorni dall'inizio della fase di consultazione, entro cui la Commissione PNRR-PNIEC deve pronunciarsi (termine previste dalla norma in esame);
- 30 giorni successivi al parere della Commissione PNRR-PNIEC, entro cui deve essere adottato il provvedimento di VIA (tale termine, invariato rispetto al testo previgente, è contemplato dal secondo periodo del nuovo testo del comma 2-bis, dell’art. 25 del Codice).
§ viene incrementato da 15 a 20 giorni il termine per l’acquisizione, da parte del direttore generale del MiTE, del concerto del competente direttore generale del Ministero della cultura sul provvedimento di VIA;
§ la disciplina relativa all’attivazione del potere sostitutivo viene eliminata dal comma 2-bis e ricollocata nel nuovo comma 2-quater che prevede una disciplina unitaria, sia per i progetti inclusi nel PNRR-PNIEC che per quelli esclusi, delle procedure da seguire nei casi di inerzia nella conclusione del procedimento e dell’attivazione del potere sostitutivo;
§ viene introdotto un nuovo comma 2-ter in base al quale, qualora non siano rispettati i termini per la conclusione del procedimento di cui al comma 2-bis, primo e secondo periodo, è automaticamente rimborsato al proponente il 50% dei diritti di istruttoria (disciplinati dall’art. 33 del Codice), mediante utilizzazione delle risorse iscritte in apposito capitolo a tal fine istituito nello stato di previsione del MiTE con uno stanziamento complessivo di 3,74 milioni di euro nel triennio 2021-2023 (840.000 euro per l'anno 2021, 1,64 milioni di euro per il 2022 e 1,26 milioni per il 2023).
Si fa notare che tale disposizione non riguarda il terzo ed ultimo periodo del comma 2-bis, che fissa il termine per l’adozione del provvedimento di VIA nel caso di consultazioni transfrontaliere.
Si fa altresì notare che la stima delle coperture finanziarie in questione, ricostruita in dettaglio nella relazione tecnica, si basa sulla proiezione in avanti dei diritti di istruttoria incassati negli anni scorsi e sull’ipotesi che “l’effetto deterrente connesso all’applicazione della disposizione in esame, l’introduzione delle misure acceleratorie di cui al decreto-legge in oggetto e il rafforzamento delle strutture amministrative contestualmente disposto consentirà di contenere le ipotesi di ritardo nella definizione dei procedimenti (e le conseguenti restituzioni) in modo significativo, fino a ridurle ad una percentuale che può essere stimata nel 40% per gli anni 2021 e 2022 e nel 30% per il 2023 (quando le nuove disposizioni saranno ormai pienamente entrate a regime e consentiranno alla nuova Commissione di ridurre al minimo il rischio di superamento dei tempi)”.
Il primo periodo del nuovo comma 2-quater reca una disposizione pressoché identica a quella del testo previgente dell’ultimo periodo del comma 2-bis e relativa al caso di inerzia nella conclusione del procedimento e all’attivazione di poteri sostitutivi. Tale disposizione viene integrata con una precisazione volta ad estenderne l’applicazione a tutte le procedure di VIA, a prescindere dall’inclusione dei progetti interessati nel PNRR-PNIEC.
Il testo previgente prevede che, in caso di inerzia, il titolare del potere sostitutivo, nominato ai sensi dell’art. 2 della L. 241/1990 – acquisito, qualora la competente commissione di cui all'art. 8 non si sia pronunciata, il parere dell’ISPRA entro il termine di trenta giorni – provvede al rilascio del provvedimento entro i successivi trenta giorni.
Nel nuovo testo viene precisato che l’inerzia a cui si fa riferimento è quella nella conclusione del procedimento da parte:
- della Commissione VIA-VAS (cioè quella di cui al comma 1 dell’art. 8 del Codice dell’ambiente);
- ovvero della Commissione PNRR-PNIEC (cioè quella di cui al comma 2-bis del medesimo art. 8).
Si tratta quindi di una disposizione che, come anticipato in precedenza, unifica le differenti discipline delle procedure da seguire nei casi di inerzia nella conclusione del procedimento e dell’attivazione del potere sostitutivo, sul modello di quella già prevista nella versione previgente dell’art. 25, comma 2-bis, del Codice dell’ambiente, originariamente riferita alla sola Commissione VIA PNIEC.
Si fa altresì notare che, rispetto al testo previgente, è presente un’ulteriore differenza che risiede nella precisazione che il titolare del potere sostitutivo non provvede (come contemplato dal testo previgente) al rilascio del provvedimento di VIA bensì all'adozione dell'atto omesso.
Si ricorda infatti che l’inerzia in questione è quella della Commissione tecnica che non ha il potere di rilasciare il provvedimento di VIA ma solamente di proporne l’adozione.
Il secondo periodo del nuovo comma 2-quater integra la disciplina recata dal periodo precedente, introducendo una disposizione che regola i casi di:
- inerzia nella conclusione del procedimento da parte del direttore generale del MiTE;
- ritardo, nel rilascio del concerto, da parte del direttore generale competente del Ministero della cultura.
In tali casi viene previsto che il titolare del potere sostitutivo provvede al rilascio degli atti di relativa competenza entro i successivi 30 giorni.
Il nuovo comma 2-quinquies introduce una disposizione di semplificazione di carattere generale.
L’ambito di applicazione della norma non sembra infatti ristretto ai “progetti PNRR-PNIEC”.
La norma in esame prevede che il concerto del competente direttore generale del Ministero della cultura comprende l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del D.Lgs. 42/2004.
La stessa norma pone però come condizione che gli elaborati progettuali siano sviluppati a un livello che consenta la compiuta redazione della relazione paesaggistica.
Si fa notare che il comma 5 del citato art. 146 dispone che sull’istanza di autorizzazione paesaggistica “si pronuncia la regione, dopo avere acquisito il parere vincolante del soprintendente in relazione agli interventi da eseguirsi su immobili ed aree sottoposti a tutela dalla legge o in base alla legge, ai sensi del comma 1, salvo quanto disposto all'articolo 143, commi 4 e 5”.
Tali ultimi commi disciplinano la facoltà, per il piano paesaggistico regionale, di prevedere, tra l’altro, la “individuazione di aree soggette a tutela ai sensi dell'articolo 142 e non interessate da specifici procedimenti o provvedimenti ai sensi degli articoli 136, 138, 139, 140, 141 e 157, nelle quali la realizzazione di interventi può avvenire previo accertamento, nell'ambito del procedimento ordinato al rilascio del titolo edilizio, della conformità degli interventi medesimi alle previsioni del piano paesaggistico e dello strumento urbanistico comunale”.
Relativamente alla relazione paesaggistica, si ricorda che si tratta di un documento reso obbligatorio dal D.P.C.M. 12 dicembre 2005 (recante “Individuazione della documentazione necessaria alla verifica della compatibilità paesaggistica degli interventi proposti, ai sensi dell'articolo 146, comma 3, del Codice dei beni culturali del paesaggio di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42”). Tale D.P.C.M. dispone infatti che la relazione paesaggistica “correda, congiuntamente al progetto dell'intervento che si propone di realizzare ed alla relazione di progetto, l'istanza di autorizzazione paesaggistica” e “costituisce per l'amministrazione competente la base di riferimento essenziale per le valutazioni previste dall'art. 146, comma 5” del D.Lgs. 42/2004, cioè, in altre parole, per la verifica di compatibilità paesaggistica degli interventi.
La relazione illustrativa sottolinea che la norma in esame “è volta a razionalizzare il procedimento di VIA, tenuto conto che ai sensi dell’articolo 23, comma 4 e dell’articolo 24, comma 3, già si prevede in linea generale il coinvolgimento delle amministrazioni interessate con l’espressione del parere di competenza e che il Ministero della cultura si esprime sul provvedimento finale esprimendo il concerto sullo stesso”.
L’articolo 21 reca due gruppi di modifiche al Codice dell’ambiente. Un primo gruppo di novelle riguarda l’art. 23 ed è finalizzato a modificare i termini per la verifica dell’istanza di VIA e per l’eventuale richiesta di documentazione integrativa e a precisare che tali termini sono perentori.
Un secondo gruppo di modifiche riguarda l’art. 24 ed è principalmente finalizzato a dimezzare i termini della fase di consultazione del pubblico limitatamente ai soli procedimenti di VIA relativi ai progetti PNRR-PNIEC.
Il numero 1) della lettera a) modifica il comma 3 dell’art. 23 del Codice dell’ambiente al fine di:
- disporre l’aumento da 10 a 15 giorni del termine, decorrente dalla presentazione dell'istanza di VIA, entro il quale l'autorità competente deve provvedere alla verifica dell’istanza medesima.
L’art. 23, comma 3, del Codice, prevede che tale verifica riguardi la completezza della documentazione, l'eventuale ricorrere della fattispecie di cui all'art. 32, comma 1 (relativa alle consultazioni transfrontaliere), nonché l'avvenuto pagamento del contributo dovuto.
- prevedere l’introduzione di un termine per l’invio al proponente, da parte dell’autorità competente, della richiesta di documentazione integrativa qualora la documentazione risulti incompleta. La novella in esame precisa infatti che tale invio deve avvenire entro lo stesso termine previsto per la verifica dell’istanza, quindi 15 giorni dalla presentazione della stessa;
- precisare che i termini previsti dal comma 3 dell’art. 23 sono perentori.
Tale precisazione riguarda sia i termini illustrati ai punti precedenti, sia il termine di 15 giorni previsto dal testo previgente (e non modificato dalla norma in esame) assegnato all’autorità competente per procedere alla verifica della completezza della documentazione integrativa.
Il numero 2) della lettera a) reca una modifica di coordinamento formale, conseguente alle novelle operate dall’art. 17.
Viene infatti sostituito il rinvio, presente nel comma 4 dell’art. 23, al D.P.C.M. previsto dall'art. 7-bis, comma 2-bis, con un rinvio all’art. 8, comma 2-bis, poiché la nuova disciplina introdotta dal decreto-legge in esame non prevede più che l’individuazione dei progetti da assoggettare all’istruttoria della Commissione tecnica venga demandata ad un apposito D.P.C.M. (previsto dal testo previgente del comma 2-bis dell’art. 7-bis).
La lettera b) del comma 1 reca una serie di modifiche all’art. 24 finalizzate principalmente ad una riduzione dei termini della fase di consultazione del pubblico relativa ai progetti PNRR-PNIEC.
Nel dettaglio viene previsto, limitatamente ai procedimenti di VIA relativi ai progetti PNRR-PNIEC:
- il dimezzamento del termine concesso al pubblico (“chiunque abbia interesse”) per presentare le proprie osservazioni all’autorità competente. Viene infatti previsto che le citate osservazioni possono essere presentate entro 30 giorni dalla pubblicazione dell'avviso al pubblico, anziché i 60 giorni previsti dal testo previgente (numero 1) della lett. b));
- il dimezzamento del termine (da 20 a 10 giorni) entro il quale l’autorità competente – qualora all'esito della consultazione del pubblico o della presentazione delle controdeduzioni (da parte del proponente) alle osservazioni presentate si renda necessaria la modifica o l'integrazione degli elaborati progettuali o della documentazione acquisita – può, per una sola volta, stabilire un nuovo termine per la trasmissione, in formato elettronico, delle modifiche e delle integrazioni agli elaborati progettuali o alla documentazione (numero 2) della lett. b));
- il dimezzamento del termine per la consultazione relativa alle sole modifiche o integrazioni apportate agli elaborati progettuali e alla documentazione. Viene infatti previsto che, in relazioni a tali modifiche e integrazioni, la presentazione delle osservazioni del pubblico e la trasmissione dei pareri delle amministrazioni e degli enti pubblici interessati devono avvenire non entro 30 giorni (come previsto dal testo previgente) ma entro 15 giorni (numero 3) della lett. b)).
Un’ulteriore novella recata dal numero 3) della lettera b) riguarda la semplificazione della disciplina, in via generale e non solo limitatamente ai progetti PNRR-PNIEC, della fase successiva alla ricezione della documentazione integrativa (modifiche o integrazioni apportate agli elaborati progettuali e alla documentazione).
Mentre il testo previgente del primo periodo del comma 5 dell’art. 24 del Codice reca una disciplina specifica per la fase suddetta, la novella in esame si limita a disporre che, ricevuta la documentazione integrativa, l’autorità competente la pubblica immediatamente sul proprio sito web e, tramite proprio apposito avviso, avvia una nuova consultazione del pubblico.
L’articolo 22 reca una serie di novelle all’art. 27 del Codice dell’ambiente, che disciplina (nel caso di procedimenti di VIA di competenza statale) il rilascio del provvedimento unico ambientale (PUA), con la finalità principale di delimitare il contenuto del PUA alle sole autorizzazioni tra quelle elencate dal comma 2 del medesimo articolo e non a tutte le autorizzazioni (o atti di assenso comunque denominati) in materia ambientale. Sono inoltre modificati il termine per la pubblicazione dell’avviso al pubblico e la collocazione temporale della conferenza di servizi decisoria finalizzata all’emissione del PUA.
La lettera a) del comma 1 delimita il contenuto del provvedimento unico ambientale (PUA) disciplinato dall’art. 27 del Codice dell’ambiente.
Mentre il testo previgente del comma 1 dell’art. 27 stabilisce che, nel caso di procedimenti di VIA di competenza statale, il proponente può richiedere all'autorità competente che il provvedimento di VIA sia rilasciato nell'ambito di un provvedimento unico comprensivo di ogni autorizzazione ambientale richiesta dalla normativa vigente per la realizzazione e l'esercizio del progetto, il nuovo testo previsto dalla norma in esame dispone che il PUA è comprensivo delle sole autorizzazioni ambientali tra quelle elencate al comma 2 e richieste dalla normativa vigente per la realizzazione e l'esercizio del progetto.
Conseguentemente, la medesima lettera a) precisa che l’avviso al pubblico non deve indicare tutte le autorizzazioni ambientali ma solo quelle di cui al comma 2.
La relazione illustrativa sottolinea che, restringendo le autorizzazioni alla lista recata dal comma 2 “viene agevolata la formulazione delle istanze che, sulla base dell’esperienza maturata, spesso sono redatte in modo inesatto e riportano autorizzazioni che non sono annoverabili tra quelle ambientali, con conseguente necessità dell’amministrazione di richieste di perfezionamenti dell’istanza medesima”.
La lettera b) integra il comma 2 dell’art. 27, con l’aggiunta di un periodo che concede al proponente la facoltà di richiedere l’esclusione dal procedimento finalizzato al rilascio del PUA dell’acquisizione di autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, nel caso in cui le relative normative di settore richiedano, per consentire una compiuta istruttoria tecnico-amministrativa, un livello di progettazione esecutivo.
Si ricorda, in proposito, che il procedimento di VIA richiede un livello di progettazione inferiore. L’art. 5, comma 1, lettera g), del Codice, prescrive infatti che ai fini del rilascio del provvedimento di VIA il proponente presenta il progetto di fattibilità o, ove disponibile, il progetto definitivo.
Si ricorda altresì che l’art. 23 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) dispone che “la progettazione in materia di lavori pubblici si articola, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in progetto di fattibilità tecnica ed economica, progetto definitivo e progetto esecutivo”. Lo stesso art. 23 definisce i contenuti di massima dei tre livelli progettuali e demanda al regolamento di attuazione (ancora non emanato) la definizione dei contenuti di dettaglio.
La lettera c) reca una modifica conseguente a quella recata dalla lettera a). Viene infatti modificato il comma 4 dell’art. 27 del Codice, che nel testo previgente impone all’autorità competente di provvedere alla comunicazione a tutte le amministrazioni ed enti potenzialmente interessati e comunque competenti in materia ambientale dell'avvenuta pubblicazione, nel proprio sito web, della documentazione presentata con l’istanza di avvio del procedimento.
Il nuovo testo prevede, conseguentemente alla delimitazione del contenuto del PUA operato dalla lettera a), che la comunicazione deve essere inviata solamente alle amministrazioni competenti al rilascio delle autorizzazioni ambientali di cui al comma 2 richieste dal proponente.
La lettera d) modifica il comma 6 dell’art. 27 al fine di elevare da 5 a 10 giorni il termine – decorrente dalla verifica della completezza documentale, ovvero, in caso di richieste di integrazioni, dalla data di ricevimento delle stesse – entro il quale l'autorità competente deve provvedere alla pubblicazione dell'avviso al pubblico con cui si apre la fase di consultazione.
Viene inoltre soppressa la parte del comma in questione che prevede che, nello stesso termine indicato, si provveda anche all’indizione della conferenza di servizi decisoria. Tale fase procedimentale viene ricollocata, dalla lettera e) del comma 1 in esame, nel testo del comma 7 dell’art. 27 del Codice, e quindi spostata temporalmente in avanti, dopo che si è conclusa l’acquisizione delle osservazioni del pubblico.
In proposito la relazione illustrativa evidenzia che “si ritiene che la conferenza dei servizi possa più efficacemente esplicare la sua funzione se convocata immediatamente a valle della prima fase di consultazione del pubblico e delle amministrazioni competenti al rilascio delle autorizzazioni ambientali. Nell’ottica dell’economia procedimentale, svolgere la Conferenza dei servizi a valle di tale consultazione ha anche lo scopo di mettere in grado le amministrazioni che vi partecipano di meglio esplicitare gli elementi integrativi di cui hanno bisogno per il rilascio delle autorizzazioni di competenza ed esplicitare in presenza del proponente eventuali altri elementi per la rimozione di eventuali motivi ostativi al rilascio delle medesime”.
La lettera f) reca modifiche di coordinamento formale, conseguenti al fatto che l’individuazione dei progetti PNRR-PNIEC è ora operata (in virtù delle novelle recate dall’art. 17) non più dall’art. 7-bis, comma 2-bis, ma dall’art. 8, comma 2-bis, del Codice.
L’articolo 23 (al comma 1) inserisce nel testo del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006) un nuovo articolo 26-bis che contiene la disciplina della fase preliminare – mediante una conferenza dei servizi preliminare – al procedimento per il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR). Lo stesso articolo (al comma 2) reca la clausola di invarianza finanziaria al fine di sterilizzare l’impatto finanziario delle disposizioni recate dal nuovo articolo 26-bis.
Il comma 1 dell’articolo in esame inserisce nel testo del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006) un nuovo articolo 26-bis che contiene la disciplina della fase preliminare al procedimento per il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR).
Secondo la relazione illustrativa il comma in esame si propone di accelerare il rilascio del PAUR; le disposizioni in esso recate nascono infatti “dalla constatazione, ampiamente condivisa, che la tempistica dei procedimenti spesso è rallentata a causa di una scarsa qualità progettuale e di Studi di Impatto Ambientale non adeguati, in termini di livello di dettaglio e di metodologie di elaborazione adottate”.
Il comma 1 del nuovo articolo 26-bis del Codice prevede che, per i progetti sottoposti a VIA di competenza regionale, il proponente può richiedere, prima della presentazione dell’istanza per il rilascio del PAUR (disciplinata dall’art. 27-bis del Codice), l’avvio di una fase preliminare.
Lo stesso comma enuncia le finalità della fase preliminare, che è volta alla definizione:
- delle informazioni da inserire nello studio di impatto ambientale, del relativo livello di dettaglio e delle metodologie da adottare per la predisposizione dello stesso;
- delle condizioni per ottenere le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del progetto.
Il comma 1 elenca inoltre i seguenti documenti necessari per l’attivazione della fase preliminare, che il proponente deve trasmettere all’autorità competente, in formato elettronico:
a) studio preliminare ambientale ovvero una relazione che, sulla base degli impatti ambientali attesi, illustra il piano di lavoro per l'elaborazione dello studio di impatto ambientale;
b) progetto avente un livello di dettaglio equivalente al progetto di fattibilità tecnico economica;
Si ricorda che l’art. 23 del Codice dei contratti pubblici (D.Lgs. 50/2016) dispone che “la progettazione in materia di lavori pubblici si articola, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in progetto di fattibilità tecnica ed economica, progetto definitivo e progetto esecutivo”. Lo stesso art. 23 definisce i contenuti di massima dei tre livelli progettuali e demanda al regolamento unico di attuazione (ancora non emanato) la definizione dei contenuti di dettaglio.
Il comma 2 disciplina la pubblicazione della documentazione trasmessa dal proponente.
Nel dettaglio, il comma in esame prescrive che entro 5 giorni dalla trasmissione, la citata documentazione è pubblicata e resa accessibile, con modalità tali da garantire la tutela della riservatezza di eventuali informazioni industriali o commerciali indicate dal proponente, nel sito web dell'autorità competente.
Viene inoltre imposto alla medesima autorità di provvedere alla comunicazione, per via telematica, a tutte le amministrazioni ed enti potenzialmente interessati e comunque competenti a esprimersi sulla realizzazione e sull'esercizio del progetto, dell'avvenuta pubblicazione.
Si fa notare che le disposizioni fin qui illustrate contenute nei commi 1 e 2 sembrano ricalcare quelle recate dall’art. 21 del Codice e volte a disciplinare, nell’ambito del procedimento ordinario di VIA, la fase attivabile su richiesta del proponente e finalizzata alla definizione dei contenuti dello studio di impatto ambientale. In particolare, le disposizioni del comma 2 in esame sono analoghe a quelle recate dal comma 2 dell’art. 21, con la differenza che in tale ultima disposizione viene precisato che la comunicazione alle altre amministrazioni interessate o competenti deve avvenire contestualmente alla pubblicazione sul sito web.
Ciò premesso, andrebbe valutata l’opportunità, al fine di rendere certi i termini delle procedure, di integrare il comma in esame al fine di chiarire che la comunicazione deve avvenire contestualmente alla pubblicazione sul sito web.
Il comma 2 dispone inoltre che contestualmente l’autorità competente indice una conferenza di servizi preliminare ai sensi della legge 8 agosto 1990, n. 241, con le medesime amministrazioni ed enti.
Tale conferenza, in base al disposto del comma 3, si svolge:
§ attraverso la conferenza semplificata di cui all’art. 14-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241;
§ con termini dimezzati.
Nel riferirsi alla conferenza dei servizi preliminare, il comma 3 precisa che trattasi della conferenza di cui all’art. 14, comma 3, della legge 241/1990.
L’art. 14, comma 3, della legge 241/1990 disciplina la conferenza di servizi preliminare stabilendo, tra l’altro, che tale conferenza si svolge secondo le disposizioni del successivo art. 14-bis (che disciplina la conferenza semplificata), con abbreviazione dei termini fino alla metà.
La conferenza semplificata in modalità asincrona rappresenta la modalità ordinaria di conferenza; si svolge senza riunione, bensì mediante la semplice trasmissione per via telematica, tra le amministrazioni partecipanti, delle comunicazioni, delle istanze con le relative documentazioni, e delle determinazioni, secondo il procedimento delineato dall'art. 14-bis della L. n. 241/1990. Entro il termine perentorio stabilito dalla amministrazione procedente, comunque non superiore a 45 giorni, le amministrazioni coinvolte rendono le proprie determinazioni, relative alla decisione oggetto della conferenza. Nei 5 giorni lavorativi successivi l'amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione positiva della conferenza.
Lo stesso comma 3 dispone che le amministrazioni e gli enti coinvolti si esprimono in sede di conferenza, sulla base della documentazione prodotta dal proponente, relativamente alla definizione delle informazioni da inserire nello studio preliminare ambientale, del relativo livello di dettaglio, del rispetto dei requisiti di legge ove sia richiesta anche la variante urbanistica e delle metodologie da adottare per la predisposizione dello studio nonché alla definizione delle condizioni per ottenere gli atti di assenso, comunque denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del medesimo progetto.
Il comma 3 dispone altresì che, entro 5 giorni dal termine dei lavori della conferenza preliminare, l’autorità competente provvede alla trasmissione al proponente delle determinazioni acquisite.
Il comma 4 prevede che l’espletamento della fase preliminare possa condurre ad una eventuale riduzione dei termini della conferenza di servizi decisoria prevista dal comma 7 dell’art. 27-bis, cioè quella che dovrà adottare il PAUR.
Nel dettaglio, il comma 4 dispone che l’autorità competente, in accordo con tutte le amministrazioni ed enti potenzialmente interessati e competenti a esprimersi sulla realizzazione e sull'esercizio del progetto, può stabilire una riduzione dei termini della conferenza di servizi prevista dal comma 7 dell’art. 27-bis.
Il comma 4 reca inoltre disposizioni finalizzate a far sì che nel corso del procedimento per il rilascio del PAUR, per le amministrazioni coinvolte non è possibile modificare o integrare le determinazioni espresse nella fase preliminare salvo che intervengano elementi nuovi.
Più nel dettaglio, il comma 4, secondo periodo, dispone che le determinazioni espresse in sede di conferenza preliminare possono essere motivatamente modificate o integrate solo in presenza di elementi nuovi, tali da comportare notevoli ripercussioni negative sugli interessi coinvolti emersi nel successivo procedimento anche a seguito delle osservazioni degli interessati di cui al comma 4 dell’art. 27-bis.
Si ricorda che, nell’ambito del procedimento per il rilascio del PAUR disciplinato dall’art. 27-bis, il comma 4 di tale articolo prevede una fase di consultazione del pubblico durante la quale “per la durata di trenta giorni, il pubblico interessato può presentare osservazioni concernenti la valutazione di impatto ambientale e, ove necessarie, la valutazione di incidenza e l'autorizzazione integrata ambientale”.
Lo stesso comma 4, al terzo periodo, dispone altresì – analogamente a quanto disposto dal secondo periodo per il caso della modifica delle determinazioni espresse – che le amministrazioni e gli enti che non si esprimono nella conferenza di servizi preliminare non possono porre condizioni, formulare osservazioni o evidenziare motivi ostativi alla realizzazione dell’intervento nel corso del procedimento per il rilascio del PAUR (disciplinato dall’art. 27-bis), salvo che in presenza di elementi nuovi, tali da comportare notevoli ripercussioni negative sugli interessi coinvolti emersi nel corso di tale procedimento anche a seguito delle osservazioni degli interessati.
Nella relazione illustrativa si fa notare che la conferenza preliminare “permette, da un lato, una chiara definizione dei termini e delle responsabilità di ciascuna amministrazione partecipante, dall’altro, di evitare, fatto salvo l’emergere di nuovi elementi significativi nel corso del successivo PAUR, che ci si possa discostare immotivatamente dalle determinazioni espresse in questa sede preliminare”.
In coerenza con la finalità di individuare più chiaramente modalità e sedi di espressione delle determinazioni della amministrazioni interessate al rilascio del PAUR, andrebbe valutata l’opportunità di precisare che, in presenza di elementi nuovi, la modifica delle determinazioni già espresse in sede di conferenza preliminare ovvero la formulazione di condizioni o osservazioni in caso di mancata espressione di determinazioni in sede di conferenza preliminare possono aver luogo solo in sede di conferenza dei servizi decisoria di cui al comma 7 dell’art. 27-bis.
Il comma 2 dell’articolo in esame reca la clausola di invarianza finanziaria disponendo che dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le amministrazioni interessate provvedono alla realizzazione delle attività mediante utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente sui propri bilanci.
L’articolo 24 reca una serie di modifiche alla disciplina del procedimento per il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR), contenuta nell’art. 27-bis del Codice dell’ambiente. Le modifiche sono principalmente finalizzate a fornire precisazioni riguardo alle procedure da seguire in relazione al rilascio di titoli abilitativi necessari per la realizzazione e l’esercizio del progetto, nonché in relazione ad eventuali varianti urbanistiche.
L’articolo 24 reca una serie di modifiche alla disciplina del procedimento per il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR), contenuta nell’art. 27-bis del Codice dell’ambiente.
Si ricorda che, in base al disposto del citato art. 27-bis (introdotto nel testo del Codice dal D.Lgs. 104/2017), la procedura per il rilascio del PAUR viene attivata, su istanza del proponente, nel caso di procedimenti di VIA di competenza regionale. Si fa notare che tale attivazione non è eventuale, come nel caso del PUA, ma obbligatoria in quanto la norma (art. 27-bis, comma 1, del Codice) dispone che “nel caso di procedimenti di VIA di competenza regionale il proponente presenta all'autorità competente un'istanza (…), allegando la documentazione e gli elaborati progettuali previsti dalle normative di settore per consentire la compiuta istruttoria tecnico-amministrativa finalizzata al rilascio di tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del medesimo progetto e indicati puntualmente in apposito elenco predisposto dal proponente stesso”. Indirizzi interpretativi della disciplina del PAUR sono stati forniti nel settembre 2019 dall’allora Ministero dell’ambiente (oggi MiTE) con il documento, di carattere non vincolante, intitolato “Indirizzi operativi per l’applicazione dell’art. 27-bis, D.Lgs. 152/2006: il Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale”.
Si ricorda che dopo tale data la disciplina del PAUR è stata modificata dalla lettera o) del comma 1 dell’art. 50 del D.L. 16 luglio 2020, n. 76.
La lettera a) del comma 1 modifica il comma 3 dell’art. 27-bis del Codice al fine di sopprimere la parte della disposizione previgente ove si prevede che l’autorità competente debba effettuare la valutazione, oltre che della completezza, anche dell’adeguatezza della documentazione presentata dal proponente.
La relazione illustrativa motiva l’eliminazione del termine “adeguatezza” alla luce del fatto che sulla base dell’esperienza di applicazione delle regioni e province autonome (emersa durante la predisposizione dei succitati indirizzi operativi) “tale termine non sembra di agevole interpretazione per definizione della relativa attività da svolgere”.
La stessa lettera a) inserisce un periodo al comma 3 in base al quale, qualora sia richiesta anche la variante urbanistica di cui all’art. 8 del D.P.R. 160/2010, nel termine di cui al primo periodo (trenta giorni dalla pubblicazione ovvero non oltre trenta giorni dalla richiesta di integrazioni) l’amministrazione competente effettua la verifica del rispetto dei requisiti per la procedibilità.
L’art. 8 del D.P.R. 160/2010 prevede una procedura semplificata per l’adozione della variante urbanistica, attivabile - nei comuni in cui lo strumento urbanistico non individua aree destinate all'insediamento di impianti produttivi o individua aree insufficienti – da parte dell’interessato con apposita istanza rivolta al responsabile dello sportello unico per le attività produttive (SUAP).
La lettera b) del comma in esame modifica il comma 4 dell’art. 27-bis del Codice prevedendo la soppressione della parte della disposizione previgente ove si prevede che le osservazioni presentate dal pubblico siano concernenti la valutazione di impatto ambientale e, ove necessarie, la valutazione di incidenza e l'autorizzazione integrata ambientale.
Il nuovo testo si limita quindi a prevedere che il pubblico possa presentare osservazioni. La finalità della modifica in esame è quindi quella di ampliare la portata delle osservazioni del pubblico.
La relazione illustrativa afferma infatti che la finalità della modifica in esame è di “dare modo di utilizzare la consultazione pubblica anche per gli altri titoli autorizzativi”.
La stessa lettera b) introduce un periodo al citato comma 4, in base al quale ove il progetto comporti la variazione dello strumento urbanistico, le osservazioni del pubblico interessato riguardano anche tale variazione e, ove necessario, la valutazione ambientale strategica.
La lettera c) del comma in esame riscrive il comma 5 dell’art. 27-bis del Codice apportando sostanzialmente due modifiche.
Una prima modifica prevista dalla riscrittura implica che le integrazioni documentali che l’autorità competente può richiedere al proponente possono riguardare anche i titoli abilitativi compresi nel PAUR, e, in tal caso, tali integrazioni sono indicate dagli enti e amministrazioni competenti al loro rilascio.
Un’ulteriore modifica operata con la riscrittura è volta alla semplificazione della disciplina della fase successiva alla ricezione della documentazione integrativa.
Mentre il penultimo periodo del testo previgente del comma 5 dell’art. 27-bis del Codice reca una disciplina specifica da seguire, l’ultimo periodo del nuovo testo si limita a disporre che, ricevuta la documentazione integrativa, l’autorità competente la pubblica sul proprio sito web e, tramite proprio apposito avviso, avvia una nuova consultazione del pubblico avente una durata dimezzata rispetto alla fase tradizionale di consultazione.
La lettera d) del comma in esame riscrive il comma 7 dell’art. 27-bis del Codice apportando modifiche e integrazioni.
Una prima modifica riguarda la decorrenza del termine per la convocazione della conferenza di servizi che deve provvedere al rilascio del PAUR.
Mentre il testo previgente prevede che la convocazione avvenga entro dieci giorni dalla scadenza del termine di conclusione della consultazione, il nuovo testo prevede, in luogo di tale scadenza, la scadenza del termine per richiedere le integrazioni documentali.
Si fa notare che i termini in questione coincidono solo nel caso in cui l’autorità competente non richieda integrazioni. In caso contrario, il nuovo termine previsto dalla norma in esame anticipa la convocazione della conferenza di servizi.
Una rilevante integrazione rispetto al testo previgente riguarda i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto.
Il penultimo periodo del comma 7 prevede che la determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi costituisce il PAUR e comprende, recandone l’indicazione esplicita, il provvedimento di VIA e i titoli abilitativi in questione. Tale disposizione viene confermata dal nuovo testo previsto dalla norma in esame.
Viene invece soppressa la disposizione contenuta nell’ultimo periodo del testo previgente del comma 7 – secondo cui resta fermo che la decisione di concedere i titoli abilitativi in questione è assunta sulla base del provvedimento di VIA – e sostituita con una serie di norme che prevedono che:
- qualora il rilascio di titoli abilitativi settoriali sia compreso nell’ambito di un’autorizzazione unica, le amministrazioni competenti per i singoli atti di assenso partecipano alla conferenza e l’autorizzazione unica confluisce nel PAUR (nuovo testo dell’ultimo periodo del comma 7);
- qualora in base alla normativa di settore per il rilascio di uno o più titoli abilitativi sia richiesto un livello progettuale esecutivo, oppure laddove la messa in esercizio dell’impianto o l’avvio dell’attività necessiti di verifiche, riesami o nulla osta successivi alla realizzazione dell’opera stessa, l’amministrazione competente indica in conferenza le condizioni da verificare, secondo un cronoprogramma stabilito nella conferenza stessa, per il rilascio del titolo definitivo. Le condizioni indicate dalla conferenza possono essere motivatamente modificate o integrate solo in presenza di significativi elementi emersi nel corso del successivo procedimento per il rilascio del titolo definitivo (nuovo comma 7-bis);
- qualora uno o più titoli compresi nella determinazione motivata di conclusione della conferenza di cui al comma 7 attribuiscano carattere di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza, costituiscano variante agli strumenti urbanistici, e vincolo preordinato all’esproprio, la determinazione conclusiva della conferenza ne dà atto.
L’articolo 25 reca disposizioni integrative degli articoli 6 e 7-bis del Codice dell’ambiente al fine precipuo di individuare l’autorità competente nel caso di opere o interventi caratterizzati da più elementi progettuali corrispondenti a diverse tipologie rientranti in parte nella competenza statale e in parte in quella regionale, nonché di prevedere il rilascio della VIA nell’ambito del procedimento autorizzatorio per i progetti che devono essere autorizzati dal MiTE.
La lettera a) del comma 1 introduce, all’interno dell’art. 7-bis del Codice dell’ambiente, due nuovi commi (4-bis e 4-ter) finalizzati a disciplinare l’individuazione dell’autorità competente nel caso di opere o interventi caratterizzati da più elementi progettuali corrispondenti a diverse tipologie soggette a VIA ovvero a verifica di assoggettabilità a VIA rientranti in parte nella competenza statale e in parte in quella regionale.
Il comma 4-bis prevede che, nel caso in questione, il proponente (con riferimento alle voci elencate negli allegati II, II-bis, III e IV alla parte seconda del Codice), invia in formato elettronico al MiTE e alla Regione o Provincia autonoma interessata una comunicazione contenente:
a) oggetto/titolo del progetto o intervento proposto;
b) tipologia progettuale individuata come principale;
c) altre tipologie progettuali coinvolte;
d) autorità (Stato o regione/provincia autonoma) che egli individua come competente allo svolgimento della procedura di VIA o verifica di assoggettabilità a VIA.
In relazione al contenuto degli allegati alla parte seconda del Codice richiamati, si ricorda che:
- l’allegato II elenca i progetti assoggettati a VIA di competenza statale;
- l’allegato II-bis elenca i progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità a VIA di competenza statale;
- l’allegato III elenca i progetti assoggettati a VIA di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano
- l’allegato IV elenca i progetti sottoposti alla verifica di assoggettabilità a VIA di competenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano.
Il comma 4-ter prevede che:
- entro e non oltre 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, la Regione o Provincia autonoma ha la facoltà di trasmettere valutazioni di competenza al Ministero, dandone contestualmente comunicazione al proponente;
- entro e non oltre i successivi 30 giorni, in base ai criteri di cui agli allegati II, II-bis, III e IV alla parte seconda del Codice, il competente ufficio del Ministero comunica al proponente e alla Regione o Provincia autonoma la determinazione in merito all’autorità competente, alla quale il proponente stesso dovrà presentare l’istanza per l’avvio del procedimento.
Decorso tale termine, si considera acquisito l’assenso del Ministero sulla posizione formulata dalla Regione o Provincia Autonoma o, in assenza di questa, dal proponente.
La lettera b), numero 1), introduce un nuovo comma 6-bis all’art. 6 del Codice al fine di precisare che, qualora nei procedimenti di VIA di competenza statale l’autorità competente coincida con l’autorità che autorizza il progetto, la VIA viene rilasciata dall’autorità competente nell’ambito del procedimento autorizzatorio.
In altre parole, poiché l’autorità competente nei procedimenti di VIA statale è il MiTE, la norma in esame dispone che per i progetti che devono essere autorizzati dal MiTE, la VIA viene rilasciata nell’ambito del procedimento autorizzatorio.
La relazione illustrativa sottolinea che “si tratta di una importante semplificazione, tenuto conto che con l’istituzione del Ministero della transizione ecologica ai sensi dell’articolo 2 del decreto legge n. 22 del 2021, convertito con modificazioni, dalla legge n. 55 del 2021, le competenze in materia di autorizzazione di numerosi impianti sono state trasferite dal Ministero dello sviluppo economico al Ministero della transizione ecologica, di talché in questi casi la procedura autorizzativa e quella di valutazione di impatto ambientale, pur se esercitate da distinte Direzioni generali, fanno capo al medesimo Ministero”.
La lettera b), numero 2), introduce un nuovo comma 10-bis all’art. 6 del Codice al fine di elencare i seguenti procedimenti a cui non si applica il c.d. preavviso di rigetto previsto dall’art. 10-bis della L. 241/1990:
- procedimenti di verifica di assoggettabilità a VIA (di cui al comma 6 dell’art. 6);
- procedimenti di VIA (di cui al comma 7 dell’art. 6);
- procedimenti preliminari finalizzati all’individuazione dell'eventuale procedura da avviare in relazione a modifiche, estensioni o adeguamenti tecnici finalizzati a migliorare il rendimento e le prestazioni ambientali dei progetti assoggettati a VIA o a verifica di assoggettabilità a VIA (di cui al comma 9 dell’art. 6);
- attività di monitoraggio (disciplinata dall’art. 28).
L’art. 10-bis della L. 241/1990 disciplina la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza. Tale norma dispone, nel dettaglio, che nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo sospende i termini di conclusione dei procedimenti, che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Qualora gli istanti abbiano presentato osservazioni, del loro eventuale mancato accoglimento il responsabile del procedimento o l'autorità competente sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni. In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell'esercitare nuovamente il suo potere l'amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall'istruttoria del provvedimento annullato. Le disposizioni di cui all’art. 10-bis non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all'accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all'amministrazione.
L’articolo 26 modifica la disciplina (contenuta nell’art. 28 del Codice dell’ambiente) relativa agli osservatori ambientali che il MiTE può istituire a supporto dell’attività di monitoraggio delle condizioni ambientali recate dal provvedimento di VIA.
La lettera a) del comma 1 modifica il terzo periodo del comma 2 dell’art. 28 del Codice – ove si prevede la possibilità per l’autorità competente, nel caso di progetti di competenza statale particolarmente rilevanti per natura, complessità, ubicazione e dimensioni delle opere o degli interventi, di istituire osservatori ambientali a supporto dell’attività di monitoraggio – al fine di stabilire che l’istituzione degli osservatori avviene non d’intesa con il proponente (come previsto dal testo previgente) ma semplicemente dopo aver sentito il proponente stesso.
La lettera b) modifica il criterio (recato dalla lettera b) del comma 2 dell’art. 28 del Codice) di nomina dei rappresentanti del MiTE in seno agli osservatori in questione.
Mentre il testo previgente prevede la nomina dei due terzi (pari al 66,6%) dei rappresentanti del Ministero tra soggetti estranei ai ruoli del Ministero medesimo e dotati di significativa competenza e professionalità per l'esercizio delle funzioni, la novella in esame prevede la riduzione della quota indicata riducendola dal 66,6% al 50%.
L’articolo 27 introduce, nel testo del Codice dell’ambiente, il nuovo articolo 3-septies che disciplina l’interpello in materia ambientale, vale a dire la presentazione al MiTE di istanze di ordine generale sull'applicazione della normativa statale in materia ambientale.
Il comma 1 del nuovo articolo 3-septies del Codice dell’ambiente prevede la possibilità di inoltrare al MiTE, con le modalità previste dal successivo comma 3, istanze di ordine generale sull'applicazione della normativa statale in materia ambientale.
Il medesimo comma elenca i seguenti soggetti abilitati alla presentazione delle istanze: regioni, province autonome, province, città metropolitane, comuni, associazioni di categoria rappresentate nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, nonché le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni o province autonome.
Le indicazioni fornite nelle risposte alle istanze in questione costituiscono criteri interpretativi per l'esercizio delle attività di competenza delle pubbliche amministrazioni in materia ambientale, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell’amministrazione con valenza limitata ai comportamenti futuri dell’istante.
Resta salvo l’obbligo di ottenere gli atti di consenso, comunque denominati, prescritti dalla vigente normativa.
Nel caso in cui l’istanza sia formulata da più soggetti e riguardi la stessa questione o questioni analoghe tra loro, il MiTE può fornire un’unica risposta.
La relazione illustrativa fa notare che “tale disciplina riprende la ratio dell’interpello in materia di lavoro, di cui all’articolo 9 del decreto legislativo n. 124 del 2004 e successive modificazioni, modulando l’istituto sulla base delle specificità della materia ambientale” e che “il modello che si è scelto di adottare è riferito all’interpello c.d. improprio che si colloca tra gli istituti di consulenza giuridica, tenuto conto che con tale strumento si intende garantire indirizzi interpretativi in merito alle norme ambientali oggetto di istanza”.
Il comma 2 prevede che il MiTE pubblica senza indugio le risposte fornite alle istanze in questione nella sezione “Informazioni ambientali” del proprio sito istituzionale di cui all'art. 40 del D.Lgs. 33/2013:
- in conformità alle norme sul diritto di accesso alle informazioni ambientali recate dall'art. 3-sexies del Codice e dal D.Lgs. 195/2005 (di attuazione della direttiva 2003/4/CE sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale);
- previo oscuramento dei dati comunque coperti da riservatezza, nel rispetto del D.Lgs. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali).
Si ricorda che l’art. 40, comma 2, del D.Lgs. 33/2013, dispone tra l’altro che le amministrazioni pubbliche pubblicano, sui propri siti istituzionali e in conformità a quanto previsto dal medesimo decreto, le informazioni ambientali che detengono ai fini delle proprie attività istituzionali all'interno di un'apposita sezione detta «Informazioni ambientali».
Il comma 3 dispone che la presentazione delle istanze di interpello di cui al comma 1:
- non ha effetto sulle scadenze previste dalle norme ambientali;
- non ha effetto sulla decorrenza dei termini di decadenza;
- non comporta interruzione o sospensione dei termini di prescrizione.
L’articolo 28 (al comma 1) modifica in più punti la disciplina del procedimento di valutazione ambientale strategica (VAS) contenuta negli articoli 11-18 del Codice dell’ambiente. In particolare sono apportate modifiche alla fase della verifica di assoggettabilità, della redazione del rapporto ambientale, nonché alle fasi di consultazione e di monitoraggio. Lo stesso articolo (al comma 2) reca la clausola di invarianza finanziaria al fine di sterilizzare l’impatto finanziario delle disposizioni introdotte.
La lettera a) del comma 1 modifica in più punti l’articolo 12 del Codice dell’ambiente, che disciplina la verifica di assoggettabilità alla VAS (valutazione ambientale strategica).
In base al disposto dell’art. 6, commi 3 e 3-bis, del Codice, tale verifica deve essere effettuata:
- per i piani e i programmi di cui al comma 2 del medesimo articolo 6 (che individua i piani e i programmi assoggettati a VAS) che determinano l'uso di piccole aree a livello locale e per le modifiche minori dei piani e dei programmi di cui al medesimo comma 2;
- per i piani e i programmi, diversi da quelli di cui al comma 2, che definiscono il quadro di riferimento per l'autorizzazione dei progetti.
Il numero 1) della lettera a) modifica il comma 1 dell’art. 12 del Codice, ove si dispone che – nel caso di piani e programmi di cui all'art. 6, commi 3 e 3-bis, testé illustrati – l’autorità procedente trasmette all'autorità competente un rapporto preliminare.
La modifica è volta a:
- precisare che tale rapporto deve essere trasmesso esclusivamente su supporto informatico. Viene infatti soppressa la parte del testo previgente che consente, nei casi di particolare difficoltà di ordine tecnico, di provvedere alla trasmissione anche su supporto cartaceo;
In proposito la relazione illustrativa evidenzia che “è necessario infatti procedere alla completa dematerializzazione delle procedure. Pertanto, è stata eliminata la modalità di invio del supporto cartaceo anche nei casi di particolare difficoltà di ordine tecnico. Tale modifica è stata da tempo già introdotta per la VIA e la proposta rende quindi uniformi le modalità di gestione dei procedimenti da parte dell’Amministrazione”.
- ridenominare il rapporto preliminare in questione come “rapporto preliminare di assoggettabilità a VAS”.
La finalità di tale seconda modifica sembra essere quella di distinguere il rapporto preliminare in questione dal rapporto preliminare previsto dal successivo art. 13 che ha diversa funzione.
Il numero 2) della lettera in esame reca una modifica formale al comma 2 dell’art. 12 del Codice. La novella riguarda la parte del comma 2 in cui, nel testo previgente, si fa riferimento a un non ben definito “documento preliminare”, ed è finalizzata a chiarire che il documento di cui trattasi è il succitato “rapporto preliminare di assoggettabilità a VAS”.
Il successivo numero 3) modifica il comma 4 dell’art. 12 del Codice al fine di precisare che, nell’emettere il provvedimento di verifica con cui si dispone l’assoggettamento o meno a VAS del piano/programma, l’autorità competente non può, diversamente da quanto contemplato dal testo previgente, definire alcuna prescrizione. Viene infatti soppressa la parte del testo previgente che prevede che l’autorità competente emette il provvedimento di verifica definendo, se del caso, le necessarie prescrizioni.
La lettera b) del comma in esame reca modifiche all’art. 13 del Codice, che disciplina la redazione del rapporto ambientale a partire da un rapporto preliminare sui possibili impatti ambientali significativi dell'attuazione del piano/programma.
Il numero 1) della lettera b) integra il disposto del comma 1 dell’art. 13 del Codice, ove si dispone che – sulla base del citato rapporto preliminare – il proponente e/o l'autorità procedente entrano in consultazione con l'autorità competente e gli altri soggetti competenti in materia ambientale, al fine di definire la portata ed il livello di dettaglio delle informazioni da includere nel rapporto ambientale.
L’integrazione è volta a disporre che:
- l’autorità competente in collaborazione con l'autorità procedente, provvede all’individuazione dei soggetti competenti in materia ambientale da consultare e trasmette loro il rapporto preliminare per acquisirne i contributi;
- i soggetti consultati effettuano l’invio dei contributi all'autorità competente ed all'autorità procedente entro 30 giorni dall’avvio della consultazione.
I numeri 2) e 3) della lettera in esame provvedono a ricollocare le disposizioni recate dal testo previgente del comma 5 dell’art. 13 del Codice, che disciplinano la documentazione da trasmettere all’autorità competente e la relativa pubblicazione. Tali disposizioni, modificate e integrate, si trovano ora contenute nei commi 5 e 5-bis del nuovo testo.
Una prima modifica è volta a precisare che la documentazione in questione deve essere trasmessa dall’autorità procedente.
Una seconda modifica è volta ad integrare il contenuto della documentazione in questione, prescrivendo che essa contenga non solo la proposta di piano o di programma, il rapporto ambientale e la sintesi non tecnica (come già previsto dal testo previgente) ma anche le informazioni sugli eventuali impatti transfrontalieri del piano/programma, l’avviso al pubblico e la copia della ricevuta di avvenuto pagamento del contributo istruttorio.
Un’ulteriore modifica è volta a sopprimere la parte del testo previgente del comma 5 volta a disporre che dalla data di pubblicazione dell'avviso al pubblico decorrono i tempi dell'esame istruttorio e della valutazione.
Tale disposizione non viene riproposta nel nuovo testo del comma 5, né nel testo del nuovo comma 5-bis, in quanto i termini per l’istruttoria e la valutazione risultano disciplinati dai successivi articoli 14 e seguenti del Codice.
L’ultima modifica risiede nell’integrazione operata con il nuovo comma 5-bis, che non si limita a riprodurre la disposizione recata dall’ultimo periodo del testo previgente del comma 5 (secondo cui la proposta di piano/programma e il rapporto ambientale sono messi a disposizione dei soggetti competenti in materia ambientale e del pubblico interessato affinché questi abbiano l’opportunità di esprimersi) ma dispone altresì che la documentazione di cui al comma 5 è immediatamente pubblicata e resa accessibile nei siti web delle autorità competente e procedente.
La lettera c) del comma in esame riscrive l’articolo 14 del Codice ove è contenuta la disciplina della fase di consultazione.
Nel dettaglio, la riscrittura del comma 1 è volta a:
- eliminare l’obbligo, in capo all’autorità procedente, di curare la pubblicazione di un avviso nella Gazzetta Ufficiale o nel Bollettino Ufficiale della regione o provincia autonoma interessata;
- integrare il contenuto informativo dell’avviso al pubblico, stabilendo che tale avviso deve contenere anche: la data dell’avvenuta presentazione dell’istanza di VAS e l’eventuale applicazione delle disposizioni in materia di consultazioni transfrontaliere (previste dall’art. 32 del Codice); una breve descrizione del piano/programma e dei suoi possibili effetti ambientali; i termini e le specifiche modalità per la partecipazione del pubblico; nonché l’eventuale necessità della valutazione di incidenza.
- precisare che l’elenco delle informazioni che devono essere incluse nell’avviso rappresenta un contenuto informativo minimo. La norma prevede infatti che l’avviso al pubblico contenga “almeno” le informazioni elencate dalla norma stessa;
- prevedere che l’avviso non deve contenere l'indicazione delle sedi ove può essere presa visione della documentazione (come dispone il testo previgente) ma semplicemente dell’indirizzo web e delle modalità per la consultazione della documentazione e degli atti predisposti dal proponente o dall’autorità procedente nella loro interezza.
Tale ultima modifica è conseguente alla disposizione introdotta con il nuovo comma 5-bis dell’art. 13 (v. supra) secondo cui tutta la documentazione di cui al comma 5 del medesimo articolo è immediatamente pubblicata e resa accessibile nei siti web dell’autorità competente e dell’autorità procedente.
Per le stesse ragioni viene soppressa la disposizione recata dal previgente comma 2 ove si dispone che l’autorità competente e l’autorità procedente mettono, altresì, a disposizione del pubblico la proposta di piano o programma ed il rapporto ambientale mediante il deposito presso i propri uffici e la pubblicazione sul proprio sito web.
Lo svolgimento della fase di consultazione avverrà quindi esclusivamente tramite modalità di accesso online e da remoto e non più anche mediante accesso fisico agli uffici.
Coerentemente, il nuovo testo del comma 2 (che riproduce il testo previgente del comma 3) precisa che le osservazioni del pubblico potranno essere presentate sì in forma scritta (come già previsto dal testo previgente) ma esclusivamente in formato elettronico.
La lettera d) reca modifiche all’art. 18 del Codice che disciplina la fase di monitoraggio.
Si ricorda che il comma 1 dell’articolo in questione, che non è oggetto di modifiche da parte del presente decreto-legge, prevede che “il monitoraggio assicura il controllo sugli impatti significativi sull'ambiente derivanti dall'attuazione dei piani e dei programmi approvati e la verifica del raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità prefissati, così da individuare tempestivamente gli impatti negativi imprevisti e da adottare le opportune misure correttive. Il monitoraggio è effettuato dall'autorità procedente in collaborazione con l'autorità competente anche avvalendosi del sistema delle agenzie ambientali e dell'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale”.
Il numero 1) della lettera in esame introduce due nuovi commi 2-bis e 2-ter che prevedono:
- che l’autorità procedente provvede alla trasmissione all’autorità competente dei risultati del monitoraggio ambientale e delle eventuali misure correttive adottate secondo le indicazioni di cui alla lettera i) dell’Allegato VI alla parte seconda del Codice;
In base a tale lettera i), il rapporto ambientale deve contenere la “descrizione delle misure previste in merito al monitoraggio e controllo degli impatti ambientali significativi derivanti dall'attuazione dei piani o del programma proposto definendo, in particolare, le modalità di raccolta dei dati e di elaborazione degli indicatori necessari alla valutazione degli impatti, la periodicità della produzione di un rapporto illustrante i risultati della valutazione degli impatti e le misure correttive da adottare”.
- che l’autorità competente si esprime entro 30 giorni sui risultati del monitoraggio ambientale e sulle eventuali misure correttive adottate da parte dell’autorità procedente.
Il numero 2) modifica il comma 3 dell’art. 18 – ove si dispone che delle modalità di svolgimento del monitoraggio, dei risultati e delle eventuali misure correttive adottate è data adeguata informazione attraverso i siti web dell'autorità competente e dell'autorità procedente e delle agenzie interessate – al fine di eliminare l’obbligo di pubblicazione sui siti web delle agenzie.
Il numero 3) aggiunge un comma 3-bis all’art. 18 al fine di disporre che l’autorità competente provvede alla verifica:
- dello stato di attuazione del piano/programma e degli effetti da esso prodotti;
- del contributo del piano/programma al raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale definiti dalle strategie di sviluppo sostenibile nazionale e regionali.
Nel richiamare tali strategie la norma in esame rinvia al disposto dell’art. 34. In particolare il riferimento sembra essere ai commi 3, 4 e 5 di tale articolo.
Il comma 3, come modificato dall'art. 4, comma 1-bis, del D.L. 1 marzo 2021, n. 22, prevede che il Governo, con apposita delibera del Comitato interministeriale per la transizione ecologica, su proposta del MiTE, sentita la Conferenza Stato-Regioni, ed acquisito il parere delle associazioni ambientali, provvede, con cadenza almeno triennale, all'aggiornamento della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile di cui alla delibera del CIPE del 2 agosto 2002. Il successivo comma 4 prevede tra l’altro che, entro dodici mesi da tale delibera di aggiornamento, le regioni si dotano attraverso adeguati processi informativi e partecipativi, di una complessiva strategia di sviluppo sostenibile che sia coerente e definisca il contributo alla realizzazione degli obiettivi della strategia nazionale.
Il comma 5 stabilisce che le strategie di sviluppo sostenibile definiscono il quadro di riferimento per le valutazioni ambientali disciplinate dal Codice.
Il comma 2 reca la clausola di invarianza finanziaria disponendo che dall'attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L'articolo istituisce la Soprintendenza speciale per il PNRR con l'obiettivo di assicurare "la più efficace e tempestiva attuazione degli interventi" recati nel medesimo piano (comma 1); ne definisce i compiti e i poteri (comma 2); pone a capo della medesima struttura il direttore della Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero (comma 3); detta nome sulle risorse umane e finanziarie di cui si può avvalere (commi 4 e 5).
Il comma 1 specifica che la Soprintendenza speciale è un ufficio di livello dirigenziale generale, incardinato presso il Ministero della cultura, di carattere straordinario, la cui operatività, strettamente legata alla durata del PNRR, cessa il 31 dicembre 2026.
Ai sensi del comma 2, alla richiamata Soprintendenza spettano le funzioni di tutela dei beni culturali e paesaggistici nei casi in cui questi ultimi siano interessati dagli interventi del PNRR sottoposti alla valutazione di impatto ambientale (VIA) in sede statale oppure rientrino nella competenza territoriale di almeno due uffici periferici del Ministero (primo periodo).
Ai fini dell'attività istruttoria, la Soprintendenza speciale opera anche avvalendosi delle Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio (secondo periodo).
Sono altresì attribuiti all'istituenda Soprintendenza speciale i poteri di avocazione e sostituzione nei confronti delle Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio (terzo periodo), con riguardo ad ulteriori interventi strategici (rispetto a quelli indicati al primo periodo). L'esercizio di tali poteri, precisa la norma, può essere attivato "[i]n caso di necessità e per assicurare la tempestiva attuazione del PNRR".
Tale disposizione attribuisce ampi margini di discrezionalità in capo alla Soprintendenza speciale, ferma restando l'esigenza di dar conto del verificarsi delle richiamate circostanze nei provvedimenti che saranno adottati nell'esercizio dei richiamati poteri di avocazione.
Quanto disposto al comma in esame pare in linea con la finalità, richiamata nelle premesse e diffusamente declinata nell'articolato del presente decreto-legge, di "imprimere un impulso decisivo allo snellimento delle procedure amministrative in tutti i settori [..] per consentire un'efficace, tempestiva ed efficiente realizzazione degli interventi" riferiti al PNRR e al Piano nazionale per gli investimenti complementari.
Con riferimento alla Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio, ai sensi dell'art.16 del Regolamento di organizzazione del Ministero di cui al D.P.C.M. 2 dicembre 2019, n. 169, essa svolge le funzioni e i compiti relativi alla tutela dei beni di interesse archeologico, anche subacquei, dei beni storici, artistici e demoetnoantropologici, ivi compresi i dipinti murali e gli apparati decorativi, nonché alla tutela dei beni architettonici e alla qualità e alla tutela del paesaggio.
La Direzione generale si articola in nove uffici dirigenziali di livello non generale centrali, compresi la Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo, l'Istituto centrale per l'archeologia e l'Istituto centrale per il patrimonio immateriale, nonché nelle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio, uffici dirigenziali di livello non generale periferici.
Essa esercita, fra l'altro, i poteri di direzione, indirizzo, coordinamento, controllo sulle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio e, in caso di necessità, informato il Segretario generale, di avocazione e sostituzione, anche su proposta del Segretario regionale.
La citata Direzione generale esercita l'indirizzo, il coordinamento e, d'intesa con la Direzione generale Bilancio limitatamente ai profili finanziari e contabili, la vigilanza sulla Soprintendenza speciale archeologia, belle arti e paesaggio di Roma, sulla Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo, sull'Istituto centrale per l'archeologia e sull'Istituto centrale per il patrimonio immateriale.
Quanto alle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio, disciplinate ai sensi dell'art.41 del predetto regolamento, si segnala che si tratta di strutture ministeriali - risultanti dalla fusione e dall'accorpamento, ai sensi del D.M. 23 gennaio 2016 di riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, delle Soprintendenze Archeologia con le Soprintendenze Belle arti e paesaggio, in tutto il territorio nazionale - quali articolazioni territoriali (in termini di uffici di livello dirigenziale non generale) della Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio.
Il predetto Regolamento, con distinta ed autonoma disposizione (art.36), disciplina altresì la "Soprintendenza speciale Archeologia, belle arti e paesaggio di Roma", per la quale, come detto, è prevista attività di indirizzo, coordinamento e vigilanza da parte della citata Direzione generale (e alla vigilanza della Direzione generale Musei), senza che a quest'ultima sia attribuito esplicitamente un potere di avocazione, invece disposto con riferimento alle Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio (art.16, comma 1, secondo periodo, del predetto Regolamento).
Al riguardo, si valuti l'opportunità di chiarire se l'istituenda Soprintendenza speciale per il PNRR possa esercitare poteri di avocazione e sostituzione anche nei confronti della Soprintendenza speciale archeologia, belle arti e paesaggio di Roma.
Il comma 3 dispone che sia il direttore della Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero a ricoprire l'incarico di direttore della Soprintendenza speciale. In proposito, si stabilisce che ad esso spetti la retribuzione prevista dalla contrattazione collettiva nazionale per gli incarichi dirigenziali ad interim.
Nella Relazione tecnica si specifica che l'ammontare di siffatta retribuzione è stato quantificato, in via prudenziale, in 50.000 euro, sebbene la stima effettiva sia minore, cioè pari a 34.390,27, in quanto per l'Ufficio che risulta essere di "prima posizione retributiva", come si legge nella Relazione, "l'interim è remunerato al 25 per cento della somma tra parte fissa e variabile" pari a 99.408,20 euro.
Ai sensi del comma 4, presso la Soprintendenza speciale è costituita una segreteria tecnica. Di essa fanno parte sia personale di ruolo del Ministero, sia esperti di comprovata qualificazione professionale ai sensi dell'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Il d.lgs. 165/2001, all'art.7, comma 6, consente alle amministrazioni pubbliche di conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, per specifiche esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio.
Occorre a tal fine il rispetto dei seguenti presupposti (di legittimità): a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente; b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico; d) devono essere preventivamente determinati durata, oggetto e compenso della collaborazione.
Si può prescindere dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell'attività informatica nonché a supporto dell'attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro (di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276), purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.
Il comma 4 prevede altresì che il contingente di esperti sia reclutato per la durata massima di trentasei mesi e per un importo massimo di 50.000 euro lordi annui per singolo incarico, entro il limite di spesa di 750.000 euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023.
Tenuto conto che l'istituenda Soprintendenza speciale rimarrà in carica sino al 2026, si valuti l’opportunità di un approfondimento in ordine alle risorse umane di cui essa potrà avvalersi per lo svolgimento dei compiti che, nel primo triennio, saranno affidati al richiamato contingente di esperti.
Il comma 5 quantifica gli oneri del presente articolo, pari a 1.550.000 euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023, e pari a 50.000 euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2026, e dispone che ad essi si provveda come segue:
i) quanto a 1.550.000 per l'anno 2021, mediante riduzione del fondo speciale di parte corrente, allo scopo utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero per i beni e le attività culturali;
ii) quanto a 1.550.000 euro per ciascuno degli anni 2022 e 2023 e 50.000 euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2026, mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'art. 1, comma 354, della L. 208/2015, relativa al funzionamento degli Istituti afferenti al settore museale.
La richiamata disposizione prevede che, a decorrere dal 2016, sia autorizzata la spesa di 10 milioni di euro annui da iscrivere nello stato di previsione del Ministero della cultura (allora Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) per il funzionamento degli Istituti afferenti al settore museale.
Il comma 1 interviene sulla disciplina dell’autorizzazione unica per gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, disponendo che il Ministero della cultura partecipi al procedimento unico in relazione ai progetti aventi ad oggetto impianti localizzati in aree sottoposte a tutela, anche in itinere, ai sensi del decreto legislativo n. 42/2004 (Codice dei beni culturali), nonché nelle aree contermini ai beni sottoposti a tutela ai sensi del medesimo decreto legislativo.
Ai sensi del comma 2, nei procedimenti di autorizzazione di impianti di produzione di elettricità da fonti rinnovabili, localizzati in aree contermini a quelle sottoposte a tutela paesaggistica, il Ministero della cultura si esprime nell’ambito della Conferenza di servizi con parere obbligatorio non vincolante. Decorso inutilmente il termine per l’espressione del parere, l’amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione. In tutti i casi, il rappresentante del Ministero della cultura non può attivare i rimedi, previsti dalla normativa vigente (art. 14-quinquies della legge n. 241/1990) avverso la determinazione di conclusione della Conferenza.
L’articolo 30, comma 1, prevede la partecipazione del Ministero della cultura al procedimento autorizzativo unico relativo ai progetti aventi ad oggetto impianti localizzati in aree sottoposte a tutela, anche in itinere, ai sensi del decreto legislativo n. 42/2004 (Codice dei beni culturali), nonché nelle aree contermini ai beni sottoposti a tutela.
Si evidenzia che tale partecipazione è già disciplinata dal D.M. 10 settembre 2010 (vedi infra punto 14.9, lett. a) e c)), recante le Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili emanate ai sensi dell’art. 12, comma 10, del decreto legislativo n. 387/2003, di attuazione della direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell'energia elettrica a da fonti rinnovabili (cd. RED I).
Il comma 3 dell’articolo 12 del decreto legislativo n. 387/2003 dispone che la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica e potenziamento, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, ivi inclusi gli interventi di ripristino ambientale per la riqualificazione delle aree di insediamento degli impianti, sono soggetti ad una autorizzazione unica rilasciata dalla regione (o dalle province delegate dalla regione[18]), nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico.
L'AU è rilasciata al termine di un procedimento unico svolto nell'ambito della Conferenza dei Servizi (convocata dalla Regione o dal MISE entro trenta giorni dal ricevimento della domanda di autorizzazione) alla quale partecipano tutte le amministrazioni interessate, e costituisce titolo a costruire e a esercire l'impianto e, ove necessario, diventa variante allo strumento urbanistico[19].
Le “Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, di cui al D.M. 10 settembre 2010 fissano le modalità tecnico operative di svolgimento del procedimento autorizzativo unico (punti 13-15) e i criteri generali per l’inserimento degli impianti nel territorio e nel paesaggio (punti 16-17)[20].
Il punto 14.9 delle citate Linee guida dispone un’ampia partecipazione del Ministero dei beni culturali, in attuazione dei principi di integrazione e di azione preventiva in materia ambientale e paesaggistica:
a) al procedimento per l'autorizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili localizzati in aree sottoposte a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio;
b) nell'ambito dell'istruttoria di valutazione di impatto ambientale, qualora prescritta per gli impianti eolici con potenza nominale maggiore di 1 MW, anche qualora l'impianto non ricada in area sottoposta a tutela;
c) al procedimento per l'autorizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili localizzati in aree contermini a quelle sottoposte a tutela; in queste ipotesi il Ministero esercita unicamente in quella sede i poteri previsti dall'articolo 152 del Codice, cioè prescrivere le distanze, le misure e le varianti ai progetti in corso d'esecuzione, idonee comunque ad assicurare la conservazione dei valori espressi dai beni protetti. Specifiche disposizioni riguardano il calcolo distanziale delle aree contermini.
d) nei casi in cui, a seguito della comunicazione, la Soprintendenza verifichi che l'impianto ricade in aree interessate da procedimenti di tutela ovvero da procedure di accertamento della sussistenza di beni archeologici in itinere alla data di presentazione dell'istanza di autorizzazione unica.
Per la procedura relativa alle procedure autorizzative si rinvia alla scheda dell’articolo 32.
Il comma 2, relativamente ai progetti degli impianti a FER alle aree contermini a quelle vincolate, dispone una semplificazione delle tutele, disponendo che il MIC si esprima con parere obbligatorio ma non vincolante e che non possa attivare i rimedi previsti dalla normativa avverso la determinazione di conclusione della Conferenza dei servizi. Si tratta di rimedi di natura amministrativa (vedi infra la descrizione dell’articolo 14-quinquies della legge n. 241/1990), volti a provocare un intervento della Presidenza del Consiglio dei ministri dapprima o dello stesso Consiglio dei Ministri, in caso di contrasto non risolto. Non possono ovviamente venir meno i rimedi di natura giurisdizionale sul provvedimento che conclude l’intero iter.
Si valuti l’opportunità di chiarire in che misura la natura non vincolante della posizione espressa dal Ministero della cultura faccia venir meno i poteri sostanziali previsti dal Codice dei beni culturali in capo a tale Ministero.
Con riferimento al procedimento per l'autorizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili localizzati in aree contermini a quelle sottoposte a tutela, ad esempio, è – come già sopra ricordato - espressamente previsto che il Ministero possa esercitare i poteri previsti dall'articolo 152 del Codice dei beni culturali, cioè prescrivere le distanze, le misure e le varianti ai progetti in corso d'esecuzione, al fine di assicurare la conservazione dei valori espressi dai beni protetti.
L’articolo 14-quinquies della legge n. 241/1990 indica i rimedi avverso la determinazione motivata di conclusione della Conferenza, consentiti alle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini. Le amministrazioni in questione, entro 10 giorni dalla comunicazione della determinazione, possono proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri a condizione che abbiano espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza. Ai sensi del comma 2, possono altresì proporre opposizione le amministrazioni delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano, il cui rappresentante, intervenendo in una materia spettante alla rispettiva competenza, abbia manifestato un dissenso motivato in seno alla conferenza. La proposizione dell'opposizione sospende l'efficacia della determinazione di conclusione della conferenza. La Presidenza del Consiglio dei ministri indice, non oltre il quindicesimo giorno successivo alla ricezione dell'opposizione, una riunione con la partecipazione delle amministrazioni che hanno espresso il dissenso e delle altre amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza. Nella riunione i partecipanti formulano proposte, in attuazione del principio di leale collaborazione. Se è raggiunta un'intesa tra le amministrazioni partecipanti, l'amministrazione procedente adotta una nuova determinazione motivata di conclusione della conferenza. Se l'intesa non è raggiunta (all’esito della riunione o nei quindici giorni successivi), la questione è rimessa al Consiglio dei ministri[21]. Se il Consiglio dei ministri non accoglie l'opposizione, la determinazione motivata di conclusione della Conferenza acquisisce efficacia definitiva.
L’articolo 31 contiene disposizioni varie, volte a incentivare lo sviluppo di produzioni energetiche alternative al carbone.
L’articolo 31, comma 1, aggiunge due commi all’articolo 1 del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7:
· la lettera a), esclude dalla necessità della valutazione di impatto ambientale gli impianti di accumulo elettrochimico (batterie) di tipo “stand-alone” (destinati al mero accumulo o al consumo locale);
· la lettera b), prevede che in caso di mancata definizione dell'intesa con la regione o le regioni interessate per il rilascio dell'autorizzazione unica, il comitato interistituzionale può provvedere entro i novanta giorni successivi alla conclusione dell’istruttoria.
Il comma 2, a sua volta, aggiunge un comma all’articolo 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, prevedendo che per la costruzione ed esercizio di impianti fotovoltaici di potenza sino a 10 MW localizzati in area a destinazione industriale, produttiva o commerciale si applica la procedura abilitativa semplificata.
Il comma 3 riguarda la regione Sardegna e prevede che entro trenta giorni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della transizione ecologica, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, siano individuate le opere e le infrastrutture necessarie al phase out dell’utilizzo del carbone nell’Isola.
Il comma 4, infine, modifica l’articolo 60, comma 1, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, per chiarire che le infrastrutture di rete che si intendono autorizzate non sono quelle per cui è stata individuata la competenza della Commissione PNIEC, ma quelle che hanno superato il vaglio di tale Commissione.
Il comma 5, introduce una eccezione al generale divieto, per gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, di accedere agli incentivi statali, in riferimento agli impianti agrovoltaici che adottino soluzioni integrative con montaggio verticale dei moduli.
Il comma 6 reca una modifica all’Allegato 2, alla Parte seconda, del decreto legislativo n. 152 del 2006, volta a esplicitare – ai fini della valutazione di impatto ambientale – la competenza statale per gli impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica con potenza complessiva superiore a 10 MW
Il comma 7, infine, innalza la soglia di potenza entro la quale agli impianti di fonte rinnovabile si applica la disciplina della denuncia di inizio attività.
L’articolo 31 è rubricato come “Semplificazione per gli impianti di accumulo e fotovoltaici e individuazione delle infrastrutture per il trasporto del GNL in Sardegna”.
Il contenuto dei vari commi dell’articolo sembra destinato ad accompagnare alcuni interventi specificamente elencati nel PNRR, in particolare i primi due della Componente 2 (qui un dossier ricostruttivo degli interventi).
In particolare, la Componente 2 "Transizione energetica e mobilità sostenibile" si pone i seguenti obiettivi generali:
· incremento della quota di energia prodotta da fonti di energia rinnovabile (FER) nel sistema, in linea con gli obiettivi europei e nazionali di decarbonizzazione;
· potenziamento e digitalizzazione delle infrastrutture di rete per accogliere l'aumento di produzione da FER e aumentarne la resilienza a fenomeni climatici estremi;
· promozione della produzione, distribuzione e degli usi finali dell'idrogeno, in linea con le strategie comunitarie e nazionali;
· sviluppo di un trasporto locale più sostenibile, non solo ai fini della decarbonizzazione ma anche come leva di miglioramento complessivo della qualità della vita (riduzione inquinamento dell'aria e acustico, diminuzione congestioni e integrazione di nuovi servizi);
· sviluppo di una leadership internazionale industriale e di ricerca e sviluppo nelle principali filiere della transizione.
Nello specifico, l’articolo 31, comma 1, lettera a), aggiunge un comma all’articolo 1 del decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7 ed esclude dalla necessità della valutazione di impatto ambientale gli impianti di accumulo elettrochimico (batterie) di tipo “stand-alone” (destinati al mero accumulo o al consumo locale, senza immissione nella rete).
In generale, per l’accumulo elettrico di energia sono necessari investimenti rilevanti, per cui le fonti alternative che si sono meglio sviluppate sono quelle con accesso diretto in rete. Le fonti rinnovabili non programmabili (in particolare, eolico e fotovoltaico) richiedono la realizzazione di “sistemi d’accumulo”.
Uno degli obiettivi dichiarati dal PNIEC (Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima) è infatti “la promozione di attività di ricerca, anche coinvolgendo i gestori delle reti, sulle modalità per sviluppare l’integrazione dei sistemi (elettrico, gas, idrico), esplorando, ad esempio, la possibilità di utilizzare infrastrutture esistenti per l’accumulo dell’energia rinnovabile, anche di lungo periodo, con soluzioni efficaci sotto il profilo costi/benefici economici e ambientali”.
Il comma 1, reca due modifiche all’articolo 1 del decreto-legge n. 7 del 2002.
In particolare, il comma 1, lettera a) introduce nell’articolo citato il comma 2-quinquies, che esenta dalle procedure di valutazione di impatto ambientale gli impianti di accumulo elettrochimico di tipo “stand-alone” e le relative connessioni alla rete elettrica di cui al comma 2-quater, lettere:
a) [impianti ubicati all’interno di aree ove sono situati impianti industriali],
b)[impianti ubicati all’interno di aree già occupate da impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte fossile],
d) [impianti di accumulo elettrochimico inferiori alla soglia di 10 MW].
L’esenzione riguarda anche la verifica di assoggettabilità alla valutazione ambientale, di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152 (cosiddetto “Codice dell'ambiente”), salvo che le opere di connessione non rientrino nelle suddette procedure. V
Come rileva la relazione illustrativa, “gli impianti di accumulo elettrochimico di tipo “stand-alone” sono tipicamente costituiti da sistemi di batterie ubicati all’interno di capannoni (non realizzati, pertanto, all’interno di centrali di produzione di energia elettrica o di impianti a fonti rinnovabili), privi di impatto ambientale rilevante e pertanto non sottoposti ad alcuna procedura di verifica di impatto ambientale, ferme restando le autorizzazioni previste per la realizzazione degli stessi capannoni.
Nel caso in cui le opere di connessione alla rete elettrica di trasmissione o distribuzione siano tali da richiedere una procedura di verifica di impatto ambientale, la loro realizzazione verrebbe inclusa in tale procedura.
Impianti di accumulo elettrochimico
Il comma 2-quater è stato inserito nel decreto-legge 7 febbraio 2002, n. 7, dall'art. 62, comma 1, D.L. 16 luglio 2020, n. 76. Esso prevede che la realizzazione degli impianti di accumulo elettrochimico funzionali alle esigenze del settore elettrico, ivi inclusi i sistemi di conversione di energia, i collegamenti alla rete elettrica e ogni opera connessa e accessoria, è autorizzata in base alle seguenti procedure:
a) gli impianti di accumulo elettrochimico ubicati all’interno di aree ove sono situati impianti industriali di qualsiasi natura, anche non più operativi o in corso di dismissione o ubicati all’interno di aree ove sono situati impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte fossile di potenza inferiore ai 300MW termici in servizio o ubicati presso aree di cava o di produzione e trattamento di idrocarburi liquidi e gassosi in via di dismissione, i quali non comportino estensione delle aree stesse, né aumento degli ingombri in altezza rispetto alla situazione esistente, né richiedano variante agli strumenti urbanistici adottati, sono autorizzati mediante la procedura abilitativa semplificata di cui all’articolo 6 del d.lgs. 28/2011. In assenza di una delle condizioni sopra citate, si applica la procedura che segue;
b) gli impianti di accumulo elettrochimico ubicati all’interno di aree già occupate da impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonte fossile di potenza maggiore o uguale a 300 MW termici in servizio, nonché gli impianti stand-alone ubicati in aree non industriali e le eventuali connessioni alla rete, sono autorizzati mediante autorizzazione unica rilasciata dal MISE. Nel caso di impianti ubicati all’interno di aree ove sono presenti impianti per la produzione o il trattamento di idrocarburi liquidi e gassosi, l’autorizzazione è rilasciata ai sensi della disciplina vigente;
c) gli impianti di accumulo elettrochimico connessi a impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili sono autorizzati mediante autorizzazione unica rilasciata dalla Regione o dal MISE, qualora funzionali a impianti di potenza superiore ai 300 MW termici, secondo le disposizioni di cui all'articolo 12 del d.lgs. n. 387/2003;
d) la realizzazione di impianti di accumulo elettrochimico inferiori alla soglia di 10 MW, ovunque ubicati, è attività libera e non richiede il rilascio di un titolo abilitativo, fatta salva l’acquisizione degli atti di assenso previsti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché dei pareri, autorizzazioni o nulla osta da parte degli enti territorialmente competenti, derivanti da specifiche previsioni di legge esistenti in materia ambientale, di sicurezza e di prevenzione degli incendi e del nulla osta alla connessione dal parte del gestore del sistema di trasmissione nazionale o da parte del gestore del sistema di distribuzione elettrica di riferimento. I soggetti che intendono realizzare gli stessi impianti sono tenuti a inviare copia del relativo progetto al Gestore del sistema di trasmissione nazionale che, entro trenta giorni, può formulare osservazioni nel caso in cui sia richiesta una connessione alla rete elettrica nazionale, inviandole anche agli enti individuati per il rilascio delle autorizzazioni, che devono essere comunicate allo stesso gestore, ai fini del monitoraggio del grado di raggiungimento degli obiettivi nazionali in materia di accumuli di energia previsti dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (PNIEC). I soggetti che realizzano gli stessi impianti di accumulo sono tenuti a comunicare al gestore della rete di trasmissione nazionale la data di entrata in esercizio degli impianti.
Il comma 1, lettera b), interviene sulla disciplina dell’autorizzazione unica necessaria per la costruzione e l'esercizio degli impianti di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici. Anche in questo caso viene aggiunto un nuovo comma all’articolo 1 del decreto-legge n. 7 del 2002, prevedendo un potere sostitutivo in caso di mancata definizione dell'intesa con la regione o le regioni interessate. In questa ipotesi il comitato interistituzionale (disciplinato dall’articolo 1-sexies, comma 4-bis, del decreto-legge 29 agosto 2003, n. 239, con riferimento agli elettrodotti della rete nazionale), può provvedere entro i novanta giorni successivi alla conclusione del procedimento autorizzatorio, che a sua volta dovrebbe concludersi - una volta acquisita la VIA - entro centottanta giorni dalla presentazione della richiesta.
Altre modifiche alla disciplina dell’autorizzazione unica sono contenute nell’articolo 32, alla cui scheda si rinvia.
Il comitato interistituzionale cui si è fatto cenno è disciplinato per la analoga autorizzazione unica relativa alla costruzione e all'esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale.
I componenti sono designati, in modo da assicurare una composizione paritaria, rispettivamente dai Ministeri dello sviluppo economico, dell’ambiente, delle infrastrutture e dalla regione o dalle regioni interessate. Se anche nell’ambito del Comitato non si perviene alla definizione dell’intesa, l’autorizzazione può intervenire con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, integrato con la partecipazione del Presidente della regione o delle regioni interessate, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro delle infrastrutture.
Il comma 2 aggiunge un comma all’articolo 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, riferito all’ipotesi di costruzione ed esercizio di impianti fotovoltaici di potenza sino a 10 MW connessi alla rete elettrica di media tensione e localizzati in area a destinazione industriale, produttiva o commerciale.
Il comma 6 di questo stesso articolo si occupa invece degli impianti di potenza superiore a 10 MW.
Per gli impianti fino a 10 MW, il comma in commento prevede l’applicabilità della procedura abilitativa semplificata (per una descrizione delle procedure autorizzative, vedi articoli 30 e 32).
Inoltre si prevede che la soglia di potenza per gli impianti fotovoltaici oltre la quale occorre la valutazione di impatto ambientale sia elevata a 10 MW. Il proponente deve però presentare una autodichiarazione che l’impianto non si trova all’interno di aree fra quelle specificamente elencate e individuate dall’Allegato 3, lettera f), al decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010 (“Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”). L’Allegato 3 indica i “criteri per l'individuazione di aree non idonee”, dichiarando che “l'individuazione delle aree e dei siti non idonei mira non già a rallentare la realizzazione degli impianti, bensì ad offrire agli operatori un quadro certo e chiaro di riferimento e orientamento per la localizzazione dei progetti”. L'individuazione delle aree non idonee è effettuata dalle Regioni con propri provvedimenti tenendo conto dei pertinenti strumenti di pianificazione ambientale, territoriale e paesaggistica, sulla base di alcuni principi e criteri specificamente elencati. La lettera f) contiene uno di tali principi, riferito ad “aree particolarmente sensibili e/o vulnerabili” ricadenti all'interno di:
- i siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO e aree di notevole interesse culturale;
- zone la cui immagine identifica i luoghi anche in termini di notorietà internazionale di attrattiva turistica;
- zone situate in prossimità di parchi archeologici;
- aree naturali protette ai diversi livelli (nazionale, regionale, locale);
- le zone umide di importanza internazionale;
- le aree incluse nella Rete Natura 2000;
- le Important Bird Areas (I.B.A.);
- le aree che svolgono funzioni determinanti per la conservazione della biodiversità;
- le aree agricole interessate da produzioni agricolo-alimentari di qualità;
- le aree caratterizzate da situazioni di dissesto e/o rischio idrogeologico;
- le zone individuate ai sensi dell'art. 142 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio).
La procedura semplificata consente l’edificazione diretta degli impianti fotovoltaici in questione anche qualora la pianificazione urbanistica richieda piani attuativi per l’edificazione.
La relazione illustrativa sottolinea che, a fronte degli impegnativi obiettivi europei finalizzati alla decarbonizzazione, gli operatori non partecipano alle aste in quanto privi di autorizzazioni. Per tali motivi si cerca di abbreviare l’iter di tali atti.
Tra la fine dell’anno 2018 e l’inizio del 2019 è stato adottato in sede europea il pacchetto legislativo "Energia pulita per tutti gli europei" (noto come Winter package o Clean energy package). Il pacchetto comprende diverse misure nei settori dell'efficienza energetica, delle energie rinnovabili e del mercato interno dell'energia elettrica ed è composto dai seguenti atti legislativi, che hanno fissato gli obiettivi dell’UE al 2030. In merito alla decarbonizzazione, il Regolamento (UE) 2018/842 (ratificato dall’Italia con L. n. 204/2016 ed entrato in vigore l'11 dicembre 2016), fissa i livelli vincolanti delle riduzioni delle emissioni di ciascuno Stato membro al 2030. L'obiettivo vincolante a livello UE, indicato attualmente nel Regolamento, è di una riduzione interna di almeno il 40 % delle emissioni di gas a effetto serra nel sistema economico rispetto ai livelli del 1990, da conseguire entro il 2030. Per l'Italia, il livello fissato al 2030 è del -33% rispetto al livello nazionale 2005.
All’indomani dell’adozione del pacchetto, in data 11 dicembre 2019, la Commissione europea ha infatti pubblicato la comunicazione "Il Green Deal Europeo" (COM(2019) 640 final). Il Documento ha riformulato su nuove basi l'impegno ad affrontare i problemi legati al clima e all'ambiente e ha previsto un piano d'azione finalizzato a trasformare l'UE in un'economia competitiva e contestualmente efficiente sotto il profilo delle risorse, che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra, in linea con gli obiettivi dell'Accordo di Parigi. A seguito dell’adozione del Documento, il 4 marzo 2020 la Commissione europea ha presentato la proposta di "legge europea sul clima", seguita il successivo 17 settembre da una modifica alla proposta iniziale per includere un obiettivo UE riveduto di riduzione delle emissioni di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Nella Strategia annuale della Crescita sostenibile 2021 (Annual Growth Sustainable Strategy, di settembre 2021) sono stati lanciati dalla Commissione europea i principi fondamentali e prioritari per la redazione dei Piani nazionali per la ripresa e la resilienza (PNRR). In tale ambito, si richiama il Flagship programme “Power up” che mira ad incrementare di 500 GW la produzione di energia rinnovabile entro il 2030 e chiede agli Stati membri di realizzare quasi il 40 % di questo obiettivo entro il 2025, con anche l'installazione di 6 GW di capacità di elettrolizzatori e la produzione e il trasporto di 1 milione di tonnellate di idrogeno rinnovabile in tutta l'UE entro il 2025.
Il Ministro della transizione ecologica, Roberto Cingolani - in audizione presso le Commissioni riunite Ambiente e Attività produttive della Camera dei deputati il 27 maggio u.s., in ordine alle modalità di attuazione del PNRR – ha rilevato che - per raggiungere i target prefissi in sede UE –occorrerà raggiungere il 70/72% di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili al 2030 con una media annua di circa 8GW/anno (attualmente si è a 0,8 GW).
La relazione illustrativa richiama i seguenti target per le installazioni fotovoltaiche:
2030 |
|||
obiettivi UE sul clima e l’energia vigenti |
|||
target |
installazioni esistenti |
incremento |
media annuale di installazioni |
52 |
22 |
30 |
3 |
Posto che – come appena ricordato - nell'ambito del Green Deal europeo, la Commissione ha proposto di elevare l'obiettivo della riduzione delle emissioni di gas serra per il 2030, compresi emissioni e assorbimenti, ad almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990, la relazione illustrativa riporta una stima secondo la quale i valori della tabella precedente dovrebbero essere così aggiornati:
2030 |
|||
nuovi obiettivi UE sul clima e l’energia in aggiornamento |
|||
target |
installazioni esistenti |
incremento |
media annuale di installazioni |
68,4 |
22 |
46,4 |
4,64 |
La relazione espone pertanto la necessità “di imprimere un’accelerazione all'installazione degli impianti fotovoltaici”. L’esperienza fata con le procedure vigenti si sta rilevando non soddisfacente, addirittura, nel terzo bando per aste e registri (settembre 2020), rispetto al contingente di potenza offerto, sono state presentate richieste inferiori ad un terzo.
La scarsità di domanda – in base alla relazione – “è dovuta in larga misura alla mancanza di autorizzazioni nelle aree per le quali è possibile beneficiare degli incentivi, che coincidono sostanzialmente con le aree industriali, commerciali e produttive. L’impossibilità di partecipare alle aste per mancanza di autorizzazioni, oltre a vanificare il raggiungimento degli obbiettivi di consumo di energia rinnovabile, ha l’effetto di aumentare i costi per i consumatori in bolletta per ciascun MW di capacità rinnovabile. La scarsità di offerta permette infatti, a chi offre nelle aste per gli incentivi, di non fare alcun ribasso rispetto alla tariffa base”.
Il comma 3, al dichiarato “fine di realizzare il rilancio delle attività produttive nella regione Sardegna”, prevede che entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in esame, quindi anche prima della sua conversione, siano individuate le opere e le infrastrutture necessarie al phase out dell’utilizzo del carbone nell’Isola, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della transizione ecologica, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili.
Già il PNIEC esistente – di cui si prevede a breve un aggiornamento per coordinarlo con le novità sopravvenute, tra cui gli obiettivi energetici perseguiti mediante le risorse del PNRR - sottolinea che presso il Ministero dello sviluppo economico sono stati avviati tavolo di lavoro tecnico sul tema del phase out della generazione dalla produzione elettrica da carbone, programmato per il 2025, con coinvolgimento di tutte le Regioni interessate, oltre che di TERNA, ARERA e altri operatori e delle parti sociali.
Un tavolo specifico è dedicato alla Sardegna, dove l’obiettivo della decarbonizzazione presenta problematiche di sicurezza della fornitura, cui si pensa di ovviare mediante due nuovi collegamenti “Continente - Sicilia” e “Sicilia - Sardegna”. Un altro obiettivo più volte manifestato è lo sviluppo delle forniture di gas naturale a favore delle industrie sarde, delle reti di distribuzione cittadine, per il trasposto pesante e soprattutto, per quanto qui interessa, per alimentare a gas naturale le centrali termoelettriche previste per il phase out delle centrali alimentate a carbone.
Il comma 3 richiama l’articolo 60, comma 6, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, il quale – sempre al fine di realizzare il rilancio delle attività produttive nella regione Sardegna – qualifica “l'insieme delle infrastrutture di trasporto e rigassificazione di gas naturale liquefatto necessarie al fine di garantire la fornitura di gas naturale mediante navi spola a partire da terminali di rigassificazione italiani regolati e loro eventuali potenziamenti fino ai terminali di rigassificazione da realizzare nella regione stessa” come “parte della rete nazionale di trasporto, anche ai fini tariffari”.
Si ricorda che anche in occasione della presentazione della Relazione annuale 2020 dell’ARERA, il Presidente dell’Autorità, Stefano Besseghini, ha dichiarato che un “esempio delle difficoltà che si incontrano nelle scelte di sviluppo delle infrastrutture … è rappresentato dalla situazione della Sardegna, rispetto alla quale l’Autorità sta lavorando - in coordinamento con le altre istituzioni coinvolte - per garantire che tale sviluppo rispetti i criteri di efficienza, le necessità dei consumatori e della crescita industriale e che sia il più possibile allineato con gli obiettivi previsti nell’ambito del processo di decarbonizzazione”.
Dal 1° gennaio 2020 la “Regolazione delle tariffe dei servizi di distribuzione e misura del gas per il periodo di regolazione 2020-2025” distingue in sei ambiti geografici le tariffe obbligatorie di distribuzione e misura del gas naturale. Un ambito tariffario specifico è dedicato alla Sardegna, in particolare prevedendo una componente compensativa transitoria (per il triennio 2020-2022), in ragione dei maggiori costi unitari del servizio di distribuzione.
Il comma 4 modifica l’articolo 60, comma 1, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76.
Tale disposizione consente che siano autorizzate le infrastrutture di rete facenti parte della rete nazionale di trasmissione dell'energia elettrica e della rete nazionale di trasporto del gas naturale, anche nelle more della approvazione del primo Piano decennale di sviluppo delle rispettive reti in cui sono state inserite.
La modifica riguarda il richiamo all’atto che individua tali infrastrutture. Si fa sempre riferimento al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ma non più al comma 2-bis dell'articolo 7-bis, bensì all’articolo 8, comma 2-bis, del medesimo decreto.
L'articolo 7-bis, comma 2-bis, è stato riformulato con l’articolo 18 del decreto in esame, alla cui scheda si fa rinvio.
A sua volta, il testo dell’articolo 8, comma 2-bis, è stato riscritto dall’articolo 17 del decreto in esame, alla cui scheda si fa egualmente rinvio.
Il comma 5 opera sotto forma di novella al comma 1 dell’articolo 65 del decreto-legge n. 1/2012 (introducendovi un nuovo comma 1-quater).
Si rammenta che ulteriori attenuazioni al divieto di in installazione di impianti fotovoltaici a terra sono state recentemente introdotte, con l’articolo 56, comma 8-bis, del decreto-legge n. 76/2020 (cd. “Semplificazioni”).
Come evidenzia la relazione illustrativa, il rigido divieto di incentivazione di installazioni a terra è stato introdotto nel 2012 come reazione a fenomeni di sfruttamento eccessivo dei terreni agricoli nella fase di sviluppo “impetuoso” del fotovoltaico nel nostro Paese. La diminuzione dei prezzi degli impianti e i continui miglioramenti di tecnologia ed efficienza hanno già permesso prime realizzazioni di agrovoltaico, prevalentemente di tipo sperimentale, con esempi che presentano indubbiamente costi maggiori degli impianti a terra. Esistono diverse configurazioni delle strutture di sostegno dei pannelli che consentono lo svolgimento delle attività sottostanti e un’occupazione di suolo pari al solo 2% della superficie disponibile, contro il 40% degli impianti tradizionali.
Il decreto-legge n. 1/2012, convertito con modificazioni, in Legge n. 27/2012, all'articolo 65, comma 1 e 2, ha sancito - per gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole - il divieto di fruizione degli incentivi statali riconosciuti alle fonti energetiche rinnovabili (ivi inclusa quella fotovoltaica) di cui al decreto legislativo n. 28/2011[22].
La norma ha ammesso limitate eccezioni al divieto, riguardanti:
- gli impianti realizzati o da realizzare su terreni nella disponibilità del demanio militare;
- gli impianti fotovoltaici insediati su aree agricole con titolo abilitativo entro il 25 marzo 2012 (data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 1/2012) entrati in esercizio entro 180 giorni.
Tali impianti devono rispettare, ai fini del godimento dei benefici, i seguenti requisiti: avere una potenza nominale non superiore a 1 MW; se appartengono allo stesso proprietario del terreno, rispettare la distanza di 2 km e non occupare più del 10% dell'area agricola.
La finalità del divieto introdotto dall’articolo 65, comma 1 del decreto-legge n. 1/2012 è la preservazione dell'ambiente e, dunque, l'eco sostenibilità dei terreni ad uso agricolo.
Il divieto, per come inizialmente strutturato, aveva escluso dagli incentivi statali anche gli impianti fotovoltaici con istallazioni su discariche e lotti di discarica chiusi e su cave o lotti di cave, ovvero su aree contaminate sottoposte a bonifica, le quali, seppure qualificate in sede catastale come "terreni agricoli", erano insuscettibili di ulteriore sfruttamento e, dunque, inadatte alla coltivazione. Posta la qualificazione di "aree agricole", gli impianti fotovoltaici su tali terreni non potevano accedere ai bandi previsti dall’attuale misura incentivante, prevista anche per i fotovoltaici, contenuta nel D.M. 4 luglio 2019, cd. FER1[23].
Al fine di risolvere l'impasse, il legislatore è recentemente intervenuto, con il decreto-legge n. 76/2020 (“semplificazioni”).
L'articolo 56, comma 8-bis, attraverso l'introduzione di due nuovi commi 1-bis ed 1-ter nell'articolo 65 del decreto-legge n. 1/2012, ha così disposto che il divieto di fruizione degli incentivi statali non si applica agli impianti solari fotovoltaici da realizzare:
- su aree dichiarate siti di interesse nazionale, purché siano stati autorizzati (ai sensi dell'art. 4, co. 2, decreto legislativo n. 28/2011), e in ogni caso l'accesso agli incentivi per tali impianti non necessita di ulteriori attestazioni e dichiarazioni;
- su discariche e lotti di discarica chiusi e ripristinati, cave o lotti di cave non suscettibili di ulteriore sfruttamento per le quali l'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione abbia attestato l'avvenuto completamento delle attività di recupero e ripristino ambientale previste nel titolo autorizzatorio nel rispetto delle norme regionali vigenti, autorizzati (ai sensi dell'art. 4, co. 2, decreto legislativo n. 28/2011), e in ogni caso l'accesso agli incentivi per tali impianti non necessita di ulteriori attestazioni e dichiarazioni.
Per l'accesso agli incentivi previsti dal D.M. "FER 1" si rinvia all'apposita pagina sul sito istituzionale del GSE, in cui è data indicazione dei Bandi per la partecipazione ai Registri e/o alle Aste.
Circa le modalità di accesso degli impianti fotovoltaici al D.M. FER 1, si rinvia alla Tabella esplicativa del GSE.
Si rinvia inoltre, al Regolamento Operativo per l'accesso agli incentivi redatto dal GSE (per quanto qui interessa, Cfr. pagg. 14 e 15, che attengono specificamente agli impianti agrovoltaici).
Il comma 6 è legato alle modifiche introdotte con i commi 2 e 4 e con l’articolo 17. Data l’istituzione della Commissione VIA “PNRR-PNIEC” per la semplificazione dei procedimenti di valutazione ambientale di progetti la cui realizzazione si ponga alla base dell’attuazione del PNRR e del raggiungimento degli obiettivi del PNIEC, il comma 6 modifica espressamente l’Allegato 2, alla Parte seconda, del decreto legislativo n. 152 del 2006, includendo tra gli interventi di competenza statale anche gli impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica con potenza complessiva superiore a 10 MW.
Il comma 7, al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi di decarbonizzazione e di incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili, innalza da 20 kW a 50 kW di potenza la soglia di cui alla Tabella A del decreto legislativo n. 387 del 2003 (“Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità”). La Tabella in questione elenca gli impianti di fonte rinnovabile non sottoposti ad autorizzazione ai quali - in ragione della limitata potenza installata - si applica la disciplina della denuncia di inizio attività.
L’articolo 32 modifica ed integra la disciplina dell’autorizzazione unica per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, al fine di introdurvi talune semplificazioni per le opere di modifica di tali impianti, che comportano un incremento della potenza (repowering).
In particolare, il comma 1, lettera a) dispone che gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici ed idroelettrici che non comportano variazioni delle dimensioni, dell’area e delle opere connesse, sono qualificabili come modifiche non sostanziali e sottoposte a comunicazione al Comune anche se consistenti nella modifica della soluzione tecnologica utilizzata e a prescindere dalla potenza elettrica risultante a seguito dell'intervento.
Vengono ugualmente assoggettate alla comunicazione al Comune gli interventi sui progetti e sugli impianti eolici, nonché sulle relative opere connesse, che, a prescindere dalla potenza nominale risultante dalle modifiche, sono realizzati nello stesso sito dell’impianto eolico e che comportano una riduzione minima del numero degli aerogeneratori rispetto a quelli già esistenti o autorizzati.
Sono fissate specifiche prescrizioni per le dimensioni dei nuovi aerogeneratori, fissando dapprima un criterio di proporzionalità con quelli esistenti (o autorizzati) e comunque prevedendo che l’altezza dei nuovi impianti non può essere superiore al doppio dell’aerogeneratore già esistente.
Segnatamente, il comma 1, lett. a) – attraverso la modifica e l’integrazione del comma 3, terzo periodo, del decreto legislativo n. 28/2011 - dispone che gli interventi da realizzare sugli impianti fotovoltaici ed idroelettrici che non comportano variazioni delle dimensioni, dell’area degli impianti e delle opere connesse, sono qualificabili come modifiche non sostanziali e sottoposte a comunicazione al Comune anche se consistenti nella modifica della soluzione tecnologica utilizzata e a prescindere dalla potenza elettrica risultante a seguito dell'intervento.
Restano ferme, laddove previste, le procedure di verifica di assoggettabilità e valutazione di impatto ambientale.
Vengono inoltre qualificati non sostanziali e sono sottoposti alla disciplina delle attività in edilizia libera con comunicazione al Comune, gli interventi da realizzare sugli impianti eolici, nonché sulle relative opere connesse, che a prescindere dalla potenza nominale risultante dalle modifiche, vengono realizzati nello stesso sito dell’impianto eolico e che comportano una riduzione minima del numero degli aerogeneratori rispetto a quelli già esistenti o autorizzati. Il concetto di riduzione minima è definito nel nuovo comma 3-ter aggiunto all’articolo 5 del decreto legislativo n. 28 del 2011 con la successiva lettera b).
La relazione illustrativa chiarisce che lo sviluppo tecnologico degli ultimi anni degli impianti eolici, divenuti più efficienti e sostenibili, consente non solo la loro sostituzione, ma a volte anche la riduzione del numero di macchinari impiegati.
I nuovi aerogeneratori, a fronte di un incremento del loro diametro, dovranno avere un’altezza massima (altezza dal suolo raggiungibile dalla estremità delle pale), non superiore all’altezza massima dell’aerogeneratore già esistente moltiplicata per il rapporto fra il diametro del rotore del nuovo aerogeneratore e il diametro dell’aerogeneratore già esistente.
Si ricorda preliminarmente che, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, sono soggetti all'autorizzazione unica la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti, nonché le modifiche sostanziali degli impianti stessi.
A tal fine, ai sensi del comma 3, primo periodo, è demandato ad un decreto (del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – ora del MITE - previa intesa con la Conferenza unificata) l’individuazione, per ciascuna tipologia di impianto e di fonte, degli interventi di modifica sostanziale degli impianti da assoggettare ad autorizzazione unica, fermo restando il rinnovo dell'autorizzazione unica in caso di modifiche qualificate come sostanziali[24].
In ogni caso, il terzo periodo del comma 3, qualifica comunque come non sostanziali – sottoponendoli al regime della comunicazione al Comune previsto per le attività in edilizia libera - gli interventi da realizzare sui progetti e sugli impianti fotovoltaici ed idroelettrici che non comportano variazioni delle dimensioni fisiche degli apparecchi, della volumetria delle strutture e dell’area destinata ad ospitare gli impianti stessi, né delle opere connesse.
Ai fini di quanto sopra, la lett. b) – attraverso l’introduzione di due nuovi commi 3-bis e 3-ter dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2011, reca la definizione di:
· “sito dell’impianto eolico” (nuovo comma 3-bis). Per esso si intende:
a) nel caso di impianti su una unica direttrice, il nuovo impianto realizzato sulla stessa direttrice, con una deviazione massima di un angolo di 10°, utilizzando la stessa lunghezza più una tolleranza pari al 15 per cento della lunghezza dell’impianto autorizzato, calcolata tra gli assi dei due aerogeneratori estremi;
b) nel caso di impianti dislocati su più direttrici, la superficie planimetrica complessiva del nuovo impianto, all’interno della superficie autorizzata, definita dal perimetro individuato, planimetricamente, dalla linea che unisce, formando sempre angoli convessi, i punti corrispondenti agli assi degli aerogeneratori autorizzati più esterni, con una tolleranza complessiva del 15 per cento.
· “riduzione minima del numero di aerogeneratori” (nuovo comma 3-ter). Per essa si intende:
a) nel caso in cui gli aerogeneratori esistenti o autorizzati, quelli che hanno un diametro (d1) inferiore o uguale a 70 metri, il numero dei nuovi aerogeneratori non deve superare il minore fra n1*2/3 e n1*d1/(d2-d1),
b) nel caso in cui gli aerogeneratori esistenti o autorizzati abbiano un diametro (d1) superiore a 70 metri, il numero dei nuovi aerogeneratori non deve superare n1*d1/d2 arrotondato per eccesso, laddove:
§ d1: è il diametro rotori già esistenti o autorizzati;
§ n1: corrisponde numero aerogeneratori già esistenti o autorizzati;
§ d2: diametro nuovi rotori;
§ h1: altezza raggiungibile dalla estremità delle pale rispetto al suolo (TIP) dell’aerogeneratore già esistente o autorizzato.
La relazione illustrativa non chiarisce la portata della novella, di carattere tecnico. La relazione contiene una frase, probabilmente inserita nella fase interlocutoria dell’istruttoria tra Ministeri, in cui si lamenta che “La illustrazione appare eccessivamente sintetica e non spiega come interviene la novella nelle singole norme”.
In ogni caso si rileva nel comma aggiuntivo viene riportato un valore (h1) non utilizzato nella formula. Il valore “h1” ricorre nel comma 3-quater di cui subito appresso.
· “altezza massima dei nuovi aerogeneratori” h2 raggiungibile dalla estremità delle pale, per essa si intende il doppio dell’altezza massima dal suolo h1 raggiungibile dalla estremità delle pale dell’aerogeneratore già esistente (nuovo comma 3-quater).
L’indicazione del valore “h1”, utilizzata nel nuovo comma 3-quater, è attualmente collocata nel precedente nuovo comma 3-ter.
La definizione del valore “h2” deve essere riferita evidentemente all’altezza massima dei nuovi aerogeneratori, ma non esiste una distinzione formale tra formula aritmetica e definizione dei valori utilizzati.
Considerata la tecnicità delle norme, si valuti l’opportunità di verificare la correttezza del loro contenuto sostanziale, nonché una loro formale maggiore omogeneità sotto il profilo della formulazione.
Sul regime autorizzatorio per gli impianti a fonti rinnovabili e, in particolare, sull’autorizzazione unica, si rinvia alla scheda di lettura contenuta nell’articolo 30. Si aggiunge in questa sede che l’Autorizzazione Unica è disciplinata dall'articolo 12 del decreto legislativo 387/2003 e dall’art. 5 del decreto legislativo n. 28/2011, ed opera per gli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da FER al di sopra di prefissate soglie di potenza.
Le soglie di potenza oltre le quali è necessario che gli impianti di produzione di energia elettrica da FER siano sottoposti ad Autorizzazione Unica, sono le seguenti (cfr. Tabella A, allegata al decreto legislativo n. 387/2003):
Eolico |
> 60 kW |
Fotovoltaico(*) |
> 20 kW |
Biomasse |
> 200 kW |
Idraulica |
>100 kW |
Biogas |
> 250 kW[25] |
(*) Per il fotovoltaico, l’articolo 31, comma 7, del decreto in esame porta la soglia a 50 kW. Per gli impianti di potenza inferiore si può ricorrere alla denuncia di inizio attività. |
Al di sotto di tali soglie, gli impianti rientrano nel campo di applicazione della Procedura autorizzativa semplificata (PAS), della Comunicazione al Comune, a seconda della tecnologia, della taglia e della potenza.
La Procedura Abilitativa Semplificata (PAS) è la procedura introdotta dall’articolo 6, commi 1-10, del decreto legislativo 28/2011, equiparata alla SCIA ai sensi del decreto legislativo n. 222/2016 (Tabella A, Sezione II). La PAS è utilizzabile per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da FER al di sotto di prefissate soglie di potenza (oltre le quali si ricorre alla AU, cfr. supra) e per alcune tipologie di impianti di produzione di caldo e freddo da FER.
La Comunicazione al Comune, prevista dall’art. 6, comma 11, del decreto legislativo n. 28/2011 è il titolo autorizzativo previsto per l’installazione di
impianti assimilabili ad “attività edilizia libera”. Riguarda alcune tipologie di piccoli impianti per la produzione di energia elettrica, calore e freddo da FER, previsti dai punti 11 e 12 delle “Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”, di cui al D.M. 10 settembre 2010.
Ai sensi di tali punti, la comunicazione è preclusa al proponente che non abbia titolo sulle aree o sui beni interessati dalle opere e dalle infrastrutture connesse (pto. 11).
Il comma 11 dispone che le Regioni e le Province autonome possono estendere il regime della comunicazione ai progetti di impianti alimentati da FER con potenza nominale fino a 50 kW, nonché agli impianti fotovoltaici di qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici, fatta salva la disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale e di tutela delle risorse idriche, e fermi restando l’applicabilità dei regimi autorizzativi di cui all'articolo 6-bis e l'articolo 7-bis, comma 5, del medesimo decreto legislativo n. 28.
L’art.6-bis è stato recentemente introdotto dal decreto-legge n. 76/2020 (cd. “Semplificazioni”) e prevede una nuova modalità abilitativa, più semplice della PAS: la “dichiarazione di inizio lavori asseverata”, riservata agli interventi su impianti esistenti, a bassissimo o nullo impatto ambientale e senza effetti di natura urbanistica. In particolare, sono sottoposti a tale regime, gli interventi su impianti esistenti e le modifiche di progetti autorizzati che, senza incremento di area occupata dagli impianti e dalle opere connesse e a prescindere dalla potenza elettrica risultante a seguito dell'intervento, ricadono nelle seguenti categorie:
a) impianti eolici: sostituzione della tipologia di rotore che comportano una variazione in aumento delle dimensioni fisiche delle pale e delle volumetrie di servizio non superiore in ciascun caso al 15 per cento;
b) impianti fotovoltaici con moduli a terra: interventi che, anche a seguito della sostituzione dei moduli e degli altri componenti e mediante la modifica del layout dell'impianto, comportano una variazione delle volumetrie di servizio non superiore al 15 per cento e una variazione dell'altezza massima dal suolo non superiore al 20 per cento;
c) impianti fotovoltaici con moduli su edifici: interventi di sostituzione dei moduli fotovoltaici su edifici a uso produttivo, nonché, per gli edifici a uso residenziale, interventi che non comportano variazioni o comportano variazioni in diminuzione dell'angolo tra il piano dei moduli e il piano della superficie su cui i moduli sono collocati;
d) impianti idroelettrici: interventi che, senza incremento della portata derivata, comportano una variazione delle dimensioni fisiche dei componenti e della volumetria delle strutture che li ospitano non superiore al 15 per cento.
L’articolo 7-bis, comma 5, dispone che non è subordinata all'acquisizione di atti amministrativi di assenso, comunque denominati, l'installazione di impianti solari fotovoltaici e termici con le modalità di cui all'articolo 11, comma 3, del decreto legislativo n. 115 del 2008 su edifici non ricadenti fra quelli di notevole interesse pubblico ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della parte seconda del codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza; i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici). Si tratta dei seguenti impianti: generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro, di microcogeneratori ad alto rendimento, nonché di impianti solari termici o fotovoltaici aderenti o integrati nei tetti degli edifici[26], qualora la superficie dell'impianto non sia superiore a quella del tetto stesso.
Si rinvia al sito istituzionale del GSE .
L’articolo 33 riconosce la detrazione al 110 per cento (Superbonus) anche per gli interventi volti alla eliminazione delle barriere architettoniche, aventi ad oggetto ascensori e montacarichi, eseguiti congiuntamente ad interventi antisismici.
La norma estende, altresì, alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale la possibilità di avvalersi dell’agevolazione fiscale per gli interventi realizzati su immobili rientranti nelle categorie catastali B/1, B/2 e D/4 (ad esempio: ospedali, case di cura e conventi) e ne determina il limite di spesa per le singole unità immobiliari. La disposizione chiarisce che tali interventi possono fruire della detrazione a condizione che i soggetti beneficiari svolgano attività di prestazione di servizi socio-sanitari e assistenziali e i cui membri del consiglio di amministrazione non percepiscano alcun compenso o indennità di carica.
L’articolo in esame, inoltre, semplifica la disciplina per fruire del Superbonus stabilendo che attraverso una comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) è possibile attestare gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione (rendendo non più necessaria l’attestazione dello stato legittimo).
L’articolo 119 del decreto legge n. 34 del 2020 (c.d. Decreto Rilancio) ha introdotto una detrazione pari al 110 per cento delle spese relative a specifici interventi di efficienza energetica e di misure antisismiche sugli edifici (Superbonus). La detrazione può essere chiesta per le spese documentate e rimaste a carico del contribuente sostenute dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2022 da ripartire tra gli aventi diritto in cinque quote annuali di pari importo e in quattro quote annuali di pari importo per la parte di spesa sostenuta nell'anno 2022.
Si segnala che nel corso dello svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata del 26 maggio 2021, alla Camera dei deputati, il Ministro dell'Economia e delle finanze ha fatto presente che il Governo si è impegnato a inserire nel disegno di bilancio per il 2022 una proroga della misura per il 2023, tenendo conto dei dati relativi alla sua applicazione nel 2021, con riguardo agli effetti finanziari, alla natura degli interventi realizzati, al conseguimento degli obiettivi di risparmio energetico e di sicurezza degli edifici. Si segnala, altresì, che l’articolo 1, comma 3, del decreto legge n.59, attualmente all’esame del Senato, proroga di sei mesi (al 30 giugno 2023) il termine per avvalersi della misura del Superbonus per gli Istituti autonomi case popolari-IACP comunque denominati, nonché per gli enti aventi le stesse finalità sociali. Agli IACP, a condizione che siano stati effettuati lavori per almeno il 60 per cento dell'intervento complessivo, la detrazione spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023. La norma prevede inoltre che per gli interventi effettuati dai condomini la detrazione del 110 per cento spetta anche per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2022 indipendentemente dallo stato di avanzamento dei lavori.
Si ricorda inoltre che il Piano nazionale di ripresa e resilienza-PNRR, Componente 3 della Missione 2 (Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici), destina complessivamente 13,95 miliardi di euro alla misura del Superbonus. Sempre in materia efficienza energetica e riqualificazione degli edifici sono previste ulteriori risorse nazionali a carico del c.d. Fondo complementare per un ammontare complessivo di 6,56 miliardi di euro (di cui 4,56 specificamente destinati al Superbonus), nonché ulteriori 0,32 miliardi dal programma REACT dell’UE. Gli interventi di questa Componente, come scritto nel testo del PNRR, si prefiggono di incrementare il livello di efficienza energetica degli edifici, una delle leve più virtuose per la riduzione delle emissioni in un Paese come l’Italia che soffre di un parco edifici con oltre il 60 per cento dello stock superiore a 45 anni, sia negli edifici pubblici (es. scuole, cittadelle giudiziarie), sia negli edifici privati.
Per una analisi dettagliata delle misure contenute nel PNRR si rimanda alla lettura del dossier realizzato dai Servizi Studi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Per una ricostruzione normativa della disciplina del Superbonus si rinvia alla lettura del dossier Il Superbonus edilizia al 110 per cento - aggiornamento alla legge di bilancio 2021 realizzato dal Servizio studi della Camera dei deputati.
L’articolo 33 in esame, comma 1, lettere a), riconosce l’agevolazione fiscale anche agli interventi volti alla eliminazione delle barriere architettoniche, aventi ad oggetto ascensori e montacarichi (articolo 16-bis, comma 1, lettera e), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917- TUIR), anche ove effettuati in favore di persone di età superiore a sessantacinque anni, eseguiti congiuntamente agli interventi antisismici indicati dai commi da 1-bis a 1-septies dell'articolo 16 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63 (c.d. Sismabonus).
Si tratta di interventi antisismici per la messa in sicurezza statica delle parti strutturali di edifici o di complessi di edifici collegati strutturalmente, di cui all'articolo 16-bis, comma 1, lett. i), del TUIR, le cui procedure autorizzatorie sono iniziate dopo il 1° gennaio 2017, relativi a edifici ubicati nelle zone sismiche 1, 2 e 3 di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, inclusi quelli dai quali deriva la riduzione di una o due classi di rischio sismico, anche realizzati sulle parti comuni di edifici in condominio. L'agevolazione si applica anche alle spese sostenute dagli acquirenti delle cd. case antisismiche, vale a dire delle unità immobiliari facenti parte di edifici ubicati in zone classificate a rischio sismico 1, 2 e 3 (individuate dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3519 del 28 aprile 2006) oggetto di interventi antisismici effettuati mediante demolizione e ricostruzione dell'immobile da parte di imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare che entro 18 mesi dal termine dei lavori provvedano alla successiva rivendita. Si segnala inoltre che il Superbonus spetta anche per la realizzazione di sistemi di monitoraggio strutturale continuo a fini antisismici, eseguita congiuntamente ad uno degli interventi di cui ai citati commi da 1-bis a 1-septies nel rispetto dei limiti di spesa previsti per tali interventi (articolo 4-bis del richiamato articolo 119).
Nello specifico la norma stabilisce che la detrazione al 110 per cento si applica anche agli interventi finalizzati alla eliminazione delle barriere architettoniche, aventi ad oggetto ascensori e montacarichi, alla realizzazione di ogni strumento che, attraverso la comunicazione, la robotica e ogni altro mezzo di tecnologia più avanzata, sia adatto a favorire la mobilità interna ed esterna all'abitazione per le persone portatrici di handicap in situazione di gravità anche ove effettuati in favore di persone di età superiore a sessantacinque anni.
Il beneficio è riconosciuto a condizione che tali interventi siano eseguiti congiuntamente ad almeno uno degli interventi antisismici sopra richiamati e che non siano già richiesti per interventi di efficienza energetica.
La lettera b) inserisce un nuovo comma 10-bis all’articolo 119 che estende la possibilità di avvalersi dell’agevolazione fiscale alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale anche per gli interventi realizzati su immobili rientranti nelle categorie catastali B/1, B/2 e D/4 (come ad esempio: caserme, ospedali, case di cura e conventi) e ne determina il limite di spesa previsto per le singole unità immobiliari.
La norma stabilisce che il limite di spesa ammesso alle detrazioni del Superbonus previsto per le singole unità immobiliari, è moltiplicato per il rapporto tra la superficie complessiva dell'immobile oggetto degli interventi di efficientamento energetico, di miglioramento o di adeguamento antisismico e la superficie media di una unità abitativa immobiliare (ricavabile dal Rapporto Immobiliare pubblicato dall'Osservatorio del Mercato Immobiliare dell'Agenzia delle Entrate) per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, per le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri e per le associazioni di promozione sociale iscritte nel registro nazionale e nei registri regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano che siano in possesso dei seguenti requisiti:
· svolgano attività di prestazione di servizi socio-sanitari e assistenziali, e i cui membri del consiglio di amministrazione non percepiscano alcun compenso o indennità di carica;
· siano in possesso di immobili rientranti nelle categorie catastali B/1, B/2 e D/4 a titolo di proprietà, nuda proprietà, usufrutto o comodato d'uso gratuito. Il titolo di comodato d'uso gratuito è idoneo all'accesso alle detrazioni a condizione che il contratto sia regolarmente registrato in data certa anteriore all'entrata in vigore (1 giugno 2021) della disposizione in esame.
Si ricorda che le categorie catastali richiamate si riferiscono a collegi e convitti, educandati, ricoveri, orfanotrofi, ospizi, conventi, seminari e caserme (B1) nonché a case di cura e ospedali senza fine di lucro (B2) o con fine di lucro (D4).
Nella relazione che accompagna il testo del decreto si sottolinea che nel contesto dell'applicazione dei benefici fiscali del Superbonus le Fondazioni ONLUS che si occupano dei servizi socio-sanitari-assistenziali sono fortemente penalizzate in quanto comparate ad una singola unità residenziale (mentre si tratta spesso di interi immobili o addirittura estesi complessi edilizi) con conseguenti limiti di detrazione del tutto insufficienti a consentire alcun tipo di intervento.
La lettera c) semplifica la disciplina per avvalersi della detrazione stabilendo che attraverso una comunicazione di inizio lavori asseverata è possibile attestare gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione (per gli immobili più datati, sarà sufficiente attestare che la costruzione dell’edificio è stata ultimata prima del 1° settembre 1967) non essendo più necessario attestare lo stato legittimo dell’immobile.
A tale proposito si ricorda che tra le previsioni di riforma previste dal PNRR sono espressamente indicati interventi di semplificazione per l’edilizia e l’urbanistica nonché per la rigenerazione urbana volti ad accelerare l’efficienza energetica e la rigenerazione urbana. In particolare, tali interventi devono essere volti a rimuovere gli ostacoli burocratici all’utilizzo del Superbonus 110%, la cui attuazione, si sottolinea nel testo, ha incontrato molti ostacoli connessi alla necessità di attestare la conformità edilizia particolarmente complessa per gli edifici risalenti.
La norma, a tal fine, sostituisce interamente il comma 13-ter dell’articolo 119 che prevedeva che al fine della presentazione dei titoli abilitativi relativi agli interventi sulle parti comuni che beneficiano degli incentivi le asseverazioni dei tecnici abilitati in merito allo stato legittimo degli immobili plurifamiliari (articolo 9-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380) e i relativi accertamenti dello sportello unico per l'edilizia sono riferiti esclusivamente alle parti comuni degli edifici interessati dai medesimi interventi.
Il nuovo articolo 13-ter stabilisce che gli interventi rientranti nella misura del Superbonus, con esclusione di quelli comportanti la demolizione e la ricostruzione degli edifici, costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante CILA.
Si ricorda che l’articolo 6-bis del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) stabilisce che gli interventi per cui non servono segnalazione certificata di inizio attività-SCIA, permesso di costruire o per i casi in cui non si tratta di attività edilizia libera, sono realizzabili previa comunicazione, anche per via telematica, dell'inizio dei lavori da parte dell'interessato all'amministrazione competente, fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42). L'interessato trasmette all'amministrazione comunale l'elaborato progettuale e la comunicazione di inizio dei lavori asseverata da un tecnico abilitato, il quale attesta, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché che sono compatibili con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico nell'edilizia e che non vi è interessamento delle parti strutturali dell'edificio; la comunicazione contiene, altresì, i dati identificativi dell'impresa alla quale si intende affidare la realizzazione dei lavori. Per gli interventi soggetti a CILA, ove la comunicazione di fine lavori sia accompagnata dalla prescritta documentazione per la variazione catastale, quest'ultima è tempestivamente inoltrata da parte dell'amministrazione comunale ai competenti uffici dell'Agenzia delle entrate. Le regioni a statuto ordinario possono estendere la disciplina a interventi edilizi ulteriori; disciplinano le modalità di effettuazione dei controlli, anche a campione e prevedendo sopralluoghi in loco. La mancata comunicazione asseverata dell'inizio dei lavori comporta la sanzione pecuniaria pari a 1.000 euro. La sanzione è ridotta di due terzi se la comunicazione è effettuata spontaneamente quando l'intervento è in corso di esecuzione.
Nell’allegato A-Tabella A SEZIONE II – EDILIZIA del D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 222, le attività di manutenzione straordinaria (leggera) sono ricomprese nel regime amministrativo della CILA.
Nella CILA sono attestati gli estremi del titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile oggetto d’intervento o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione ovvero è attestato che la costruzione è stata completata in data antecedente al 1° settembre 1967.
La norma specifica che la presentazione della CILA non richiede l’attestazione dello stato legittimo (articolo 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380).
Il sopra citato comma 1-bis prevede che lo stato legittimo dell'immobile o dell'unità immobiliare è quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Tali ultime disposizioni si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia
Per tali interventi, inoltre, la decadenza del beneficio fiscale (articolo 49 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) opera esclusivamente nei casi di:
· mancata presentazione della CILA;
· interventi realizzati in difformità dalla CILA;
· assenza dell’attestazione dei dati richiesti nel secondo periodo del nuovo comma 13-ter (titolo abilitativo che ha previsto la costruzione dell’immobile oggetto d’intervento o del provvedimento che ne ha consentito la legittimazione ovvero dell’attestazione che la costruzione è stata completata in data antecedente al 1° settembre 1967);
· non corrispondenza al vero delle attestazioni previste dalla disciplina del Superbonus (articolo 119, comma 14).
Il richiamato articolo 49 prevede che, fatte salve le sanzioni sull’agibilità degli edifici, gli interventi abusivi realizzati in assenza di titolo o in contrasto con lo stesso, ovvero sulla base di un titolo successivamente annullato, non beneficiano delle agevolazioni fiscali previste dalle norme vigenti, né di contributi o altre provvidenze dello Stato o di enti pubblici. Il contrasto deve riguardare violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che eccedano per singola unità immobiliare il due per cento delle misure prescritte, ovvero il mancato rispetto delle destinazioni e degli allineamenti indicati nel programma di fabbricazione, nel piano regolatore generale e nei piani particolareggiati di esecuzione. È fatto obbligo al comune di segnalare all'amministrazione finanziaria, entro tre mesi dall'ultimazione dei lavori o dalla segnalazione certificata, ovvero dall'annullamento del titolo edilizio, ogni inosservanza comportante la decadenza di cui al comma precedente. Il diritto dell'amministrazione finanziaria a recuperare le imposte dovute in misura ordinaria per effetto della decadenza stabilita dal presente articolo si prescrive col decorso di tre anni dalla data di ricezione della segnalazione del comune. In caso di revoca o decadenza dai benefici suddetti il committente è responsabile dei danni nei confronti degli aventi causa.
La norma chiarisce inoltre che resta impregiudicata ogni valutazione circa la legittimità dell'immobile oggetto di intervento.
Il comma 2 precisa che restano in ogni caso fermi, se dovuti, gli oneri di urbanizzazione, calcolati in base alla tipologia di intervento proposto.
Il comma 3, conseguentemente alle nuove misure introdotte dall’articolo in esame, incrementa le risorse del Fondo per gli interventi strutturali di politica economica (FISPE) di 3,9 milioni di euro per il 2027, di 0,3 milioni per il 2028, di 0,4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2029, 2030 e 2031 e di 0,3 milioni di euro per il 2032.
Il comma 4 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’applicazione della disposizione, che vengono posti a carico del Fondo per interventi strutturali di politica economica (FISPE).
L’articolo 34 novella l’articolo 184-ter del Codice dell'ambiente in materia di cessazione della qualifica di rifiuto (c.d End of waste) al fine di razionalizzare e semplificare l'iter procedurale, prevedendo che il rilascio dell’autorizzazione avvenga previo parere obbligatorio e vincolante dell’Ispra o dell’Agenzia regionale di protezione ambientale territorialmente competente.
L’articolo novella l’articolo 184-ter del Codice dell'ambiente (decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152) in materia di End of waste, inerente la materia della cessazione della qualifica di rifiuto.
La cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste) è disciplinata, in termini generali, dal citato art. 184-ter del D.Lgs. 152/2006 ove si prevede che i criteri di end of waste sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina europea ovvero, in mancanza di criteri europei, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
La disciplina dell'end of waste è stata oggetto di numerosi interventi legislativi. Si ricorda che la riforma della disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto, in attuazione delle disposizioni dell'articolo 6 della direttiva 2008/98/CE, rappresenta uno dei criteri previsti dall' art. 16 della legge 4 ottobre 2019, n. 117 (legge di delegazione europea 2018), nell'ambito della delega al Governo per il recepimento delle nuove direttive su rifiuti e imballaggi (direttive 2018/851/UE e 2018/852/UE). Si ricorda che da ultimo il D.Lgs. n. 116 del 2020, nell'ambito del recepimento del pacchetto sull'economia circolare, ha recato novelle all'articolo 184-ter.
Si segnala altresì in materia che con la delibera 6 febbraio 2020, n. 67 sono state emanate, dal Sistema nazionale di protezione ambientale (SNPA), linee guida per l'applicazione della nuova disciplina end of waste. Inoltre, si ricorda che il D.M. 21 aprile 2020 ha da ultimo recato Modalità di organizzazione e di funzionamento del registro nazionale per la raccolta delle autorizzazioni rilasciate e degli esiti delle procedure semplificate concluse per lo svolgimento di operazioni di recupero.
L' art. 15, commi 4 e 5, del D.L. 183/2020 ha modificato l'arco temporale di copertura degli oneri relativi all'apposito gruppo di lavoro per l'adozione dei criteri end of waste presso il Ministero dell'ambiente (prevedendo che la copertura intervenga per il periodo 2021-2025 anziché per il periodo 2020-2024).
Per un quadro della disciplina in materia, e la normativa adottata con vari regolamenti sulla cessazione della qualifica di rifiuto, si veda anche il tema web a cura della Camera.
Nel dettaglio, la lettera a) della disposizione in esame interviene sul comma 3, primo periodo, dell’articolo 184-ter inserendo, con riferimento ai criteri dettagliati, definiti nell'ambito dei procedimenti autorizzatori, anche la previsione del previo parere obbligatorio e vincolante dell’ISPRA o dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale territorialmente competente.
La norma novellata prevede infatti che, in mancanza di criteri specifici adottati ai sensi del successivo comma 2, le autorizzazioni (di cui agli articoli 208, 209 e 211 e di cui al titolo III-bis della parte seconda del codice ambiente), per lo svolgimento di operazioni di recupero di cui alla norma in parola, siano rilasciate o rinnovate nel rispetto:
- delle condizioni di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008
- e sulla base di criteri dettagliati, definiti nell'ambito dei medesimi procedimenti autorizzatori;
Con riferimento a tale previsione, si inserisce, con la novella in esame, altresì il requisito del previo parere obbligatorio e vincolante dell’ISPRA o dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale territorialmente competente.
Si ricorda che in base al comma 3, i criteri dettagliati, definiti nell'ambito dei medesimi procedimenti autorizzatori, includono: a) materiali di rifiuto in entrata ammissibili ai fini dell'operazione di recupero; b) processi e tecniche di trattamento consentiti; c) criteri di qualità per i materiali di cui è cessata la qualifica di rifiuto ottenuti dall'operazione di recupero in linea con le norme di prodotto applicabili, compresi i valori limite per le sostanze inquinanti, se necessario; d) requisiti affinché i sistemi di gestione dimostrino il rispetto dei criteri relativi alla cessazione della qualifica di rifiuto, compresi il controllo della qualità, l'automonitoraggio e l'accreditamento, se del caso; e) un requisito relativo alla dichiarazione di conformità. Le condizioni indicate dall’art. 6, paragrafo 1, della direttiva sono sostanzialmente le quattro condizioni recepite dal comma 1 dell’art. 184-ter del Codice.
Si rammenta che, in base al citato co.2, l'operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina europea ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto.
Si rammenta che il Titolo III-bis reca l'autorizzazione integrata ambientale mentre gli articoli 208, 209 e 211 recano rispettivamente l'autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti, il rinnovo delle autorizzazioni alle imprese in possesso di certificazione ambientale e le autorizzazioni di impianti di ricerca e di sperimentazione.
La lettera b) interviene quindi sul successivo comma 3-ter, sopprimendone il secondo e il terzo periodo, che prevedono rispettivamente: il termine di sessanta giorni dall'inizio della verifica per il procedimento di controllo; il termine di quindici giorni per la comunicazione da parte di ISPRA o dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente delegata degli esiti della verifica al Ministero dell'ambiente.
Si rammenta che il suddetto comma 3-ter stabilisce che l'ISPRA, o l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente territorialmente competente delegata dal predetto Istituto, controlla a campione - sentita l'autorità competente di cui al comma 3-bis e in contraddittorio con il soggetto interessato - la conformità delle modalità operative e gestionali degli impianti, ivi compresi i rifiuti in ingresso, i processi di recupero e le sostanze o oggetti in uscita, agli atti autorizzatori rilasciati nonché alle condizioni di cui al comma 1 della norma; si redige, in caso di non conformità, apposita relazione.
In base al secondo periodo - qui oggetto di soppressione - il procedimento di controllo si conclude entro sessanta giorni dall'inizio della verifica.
Si valuti di chiarire il tenore della disposizione di cui alla lettera b), con particolare riferimento alla prevista abrogazione del secondo periodo del comma 3-ter della norma novellata, atteso che i controlli a campione, previsti dal primo periodo della norma, continuano ad essere previsti dalla normativa in vigore, ma sembrerebbero non più soggetti a un termine a seguito della novella.
In base al terzo periodo - anch'esso qui oggetto di soppressione - l'ISPRA o l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente delegata comunica entro quindici giorni gli esiti della verifica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
La relazione illustrativa al provvedimento afferma che la norma è volta a razionalizzare e semplificare la procedura in materia di End of waste prevista dall’articolo 184 ter del Codice dell’ambiente, prevedendo in particolare che il rilascio dell’autorizzazione avvenga previo parere obbligatorio e vincolante dell’Ispra o dell’agenzia regionale di protezione ambientale territorialmente competente: in tal modo - afferma la Relazione - la valutazione viene anticipata alla procedura all’esito della quale l’autorizzazione viene rilasciata da parte dell’autorità competente. In ragione di tale preventivo coinvolgimento dell’Ispra o dell’Arpa territorialmente competente, pur mantenendosi la possibilità di controllo a campione previsto al comma 3-ter, primo periodo, della norma, viene abrogata la successiva procedura di controllo che prevede il coinvolgimento del Ministero e, nel caso, l’adeguamento dell’autorizzazione rilasciata alle conclusioni ministeriali (in base al secondo e terzo periodo del 3-ter, nonché dei commi 3-quater e 3-quinqiues, oggetto di abrogazione con le successive lettere della disposizione qui in esame).
Si rammenta che il quarto periodo della norma, non novellato, prevede che al fine di assicurare l'armonizzazione, l'efficacia e l'omogeneità dei controlli di cui al presente comma sul territorio nazionale, si applicano gli articoli 4, comma 4, e 6 della legge 28 giugno 2016, n. 132. L'articolo 4, comma 4, della legge 28 giugno 2016, n. 132 prevede che l'ISPRA adotta, con il concorso delle agenzie, norme tecniche vincolanti per il Sistema nazionale in materia di monitoraggio, di valutazioni ambientali, di controllo, di gestione dell'informazione ambientale e di coordinamento del Sistema nazionale, per assicurare l'armonizzazione, l'efficacia, l'efficienza e l'omogeneità dei sistemi di controllo e della loro gestione nel territorio nazionale, nonché il continuo aggiornamento, in coerenza con il quadro normativo nazionale e sovranazionale, delle modalità operative del Sistema nazionale e delle attività degli altri soggetti tecnici operanti nella materia ambientale; l'articolo 6 reca invece disposizioni in materia di funzioni di indirizzo e di coordinamento dell'ISPRA.
La lettera c) provvede infine ad abrogare i commi 3-quater e 3-quinquies della disposizione inerenti la procedura di coinvolgimento del Ministero dell'ambiente (ora MITE), in base ai quali:
- ricevuta la comunicazione sull’esito della verifica, il Ministero dell'ambiente, nei 60 giorni successivi, adotta proprie conclusioni, motivando l'eventuale mancato recepimento degli esiti dell'istruttoria contenuti nella relazione dell’ISPRA (o dell’ARPA delegata), e le trasmette all'Autorità competente.
- In base al co. 3-quater abrogato, una volta ricevuta la comunicazione di cui al comma 3-ter, il Ministero dell'ambiente, nei sessanta giorni successivi, adotta proprie conclusioni, motivando l'eventuale mancato recepimento degli esiti dell'istruttoria contenuti nella relazione di cui al comma 3-ter, e le trasmette all'autorità competente. L'autorità competente avvia un procedimento finalizzato all'adeguamento degli impianti, da parte del soggetto interessato, alle conclusioni di cui al presente comma, disponendo, in caso di mancato adeguamento, la revoca dell'autorizzazione e dando tempestiva comunicazione della conclusione del procedimento al Ministero medesimo. Resta salva la possibilità per l'autorità competente di adottare provvedimenti di natura cautelare.
- decorsi 180 giorni dalla comunicazione all'Autorità competente delle conclusioni ministeriali, ove il procedimento finalizzato all’adeguamento non risulti avviato o concluso, il Ministro dell'ambiente può provvedere, in via sostitutiva e previa diffida, anche mediante un Commissario ad acta, all'adozione dei provvedimenti di adeguamento.
In base al co. 3-quinquies abrogato, decorsi centottanta giorni dalla comunicazione all'autorità competente, ove il procedimento di cui al comma 3-quater non risulti avviato o concluso, il Ministro dell'ambiente può provvedere, in via sostitutiva e previa diffida, anche mediante un commissario ad acta, all'adozione dei provvedimenti di cui al comma 3-quater. Al commissario non è dovuto alcun compenso per lo svolgimento delle funzioni attribuite ai sensi del presente comma e il medesimo commissario non ha diritto a gettoni, rimborsi di spese o altri emolumenti, comunque denominati.
La Relazione illustrativa, già sopra richiamata, afferma come la abrogazione della successiva procedura di controllo che prevede il coinvolgimento del Ministero avvenga in ragione del previsto preventivo coinvolgimento dell’Ispra o dell’Arpa territorialmente competente, pur mantenendosi la possibilità di controllo a campione previsto al comma 3-ter, primo periodo, della norma novellata.
Si rammenta che entrambi tali commi, ora abrogati, erano stati inseriti dall'art. 14-bis, comma 3, D.L. 3 settembre 2019, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla L. 2 novembre 2019, n. 128; per ulteriori approfondimenti, si veda anche il relativo dossier.
L’articolo 35 novella alcune disposizioni Codice dell'ambiente in materia di gestione dei rifiuti al fine di promuovere l'economia circolare.
Oltre a modifiche di carattere formale e di adeguamento della terminologia utilizzata in alcune disposizioni, l'articolo in esame:
§ dispone l'esclusione delle ceneri vulcaniche riutilizzate in sostituzione di materie prime, a determinate condizioni, dall'ambito di applicazione della disciplina sulla gestione dei rifiuti di sui alla Parte IV del medesimo Codice;
§ detta specifiche diposizioni sul trattamento dei rifiuti da articoli pirotecnici;
§ reca alcune norme di semplificazione in tema di gestione e tracciabilità dei rifiuti;
§ reca modifiche alla disciplina sulle funzioni di verifica e controllo sulla gestione dei rifiuti poste in capo al Ministero della transizione ecologica;
§ reca modifiche alle norme inerenti alle comunicazioni alla Commissione europea;
§ reca disposizioni sull'esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo di prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti;
§ detta disposizioni concernenti la sostituzione di combustibili tradizionali con CSS-combustibile (combustibile solido prodotto da rifiuti che non sia più qualificabile come rifiuto).
Il comma 1 prevede che siano apportate una serie di novelle al Codice dell'ambiente, al fine di consentire la corretta gestione dei rifiuti e la migliore attuazione degli interventi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, anche al fine di promuovere l’attività di recupero nella gestione dei rifiuti in una visione di economia circolare come previsto dal nuovo piano d’azione europeo per l’economia circolare (COM/2020/98 final).
Il nuovo piano d’azione europeo per l’economia circolare illustra nuove iniziative che interessano l’intero ciclo di vita dei prodotti al fine di modernizzare e trasformare l'economia tutelando nel contempo l’ambiente. Il piano reca l’ambizione di creare prodotti sostenibili che durino, consentendo ai cittadini di partecipare pienamente all’economia circolare e di trarre beneficio dai cambiamenti positivi che ne derivano. Per approfondimenti, si veda la scheda informativa della Commissione europea.
Per elementi di approfondimento su interventi e risorse destinate all’economia circolare dal PNRR, nell'ambito delle componenti 1 e 4 della Missione 2, si rinvia al relativo dossier dei Servizi Studi di Camera e Senato.
Definizione rifiuto urbano
Con la lettera a), vengono soppresse - ovunque ricorrano - le parole “e assimilati” nella parte IV (rubricato "Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati"), titolo I, dedicato alla gestione dei rifiuti, del Codice. Medesima soppressione è operata con riferimento all’articolo 258, comma 7, collocato nel Titolo VI, Capo I, in materia di sanzioni. Tali parole, nel citato titolo I che si compone degli articoli da 177 a 216-ter, ricorrono nell'espressione "rifiuti urbani e assimilati" (negli articoli 189, 193, 194, 196, 201 e 205).
Occorre segnalare che la definizione di rifiuto urbano vigente è stata introdotta dall'art. 1 del decreto legislativo n. 116 del 2020[27], nell'ambito del recepimento nazionale del c.d. pacchetto europeo sull'economia circolare, in attuazione di quanto previsto dall'art. 1, paragrafo 3, della direttiva 851/2018 e del criterio di delega, volto a riformare, tra l'altro, il sistema delle definizioni (articolo 16 comma 1, lettera c), della legge 117/2019). Il testo dell'art. 184, comma 2, vigente prima della modifica da parte del citato decreto legislativo n. 116, includeva tra i rifiuti urbani, tra l'altro, i rifiuti non pericolosi, diversi da quelli domestici, assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità, da parte dei regolamenti comunali, secondo determinati criteri.
Nel testo vigente, l'art. 184, comma 2, del Codice dell'ambiente qualifica come "urbani" i rifiuti tassativamente indicati dall'articolo 183, comma 1, lettera b-ter) (e relativi allegati) del Codice medesimo. Nella disciplina vigente non si ravvisa più, quindi, tale procedimento di assimilazione. La novella in esame mira quindi ad allineare la disciplina in materia alle modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 116.
La relazione illustrativa chiarisce con riferimento alla definizione di rifiuto urbano, che essa ricomprende i rifiuti indifferenziati da raccolta differenziata provenienti da altre fonti, simili per natura e composizione ai rifiuti domestici, risultando di conseguenza il termine 'e assimilati' assorbito dalla nuova definizione. La stessa relazione evidenzia poi che la modifica si rende necessaria e urgente per consentire la corretta gestione dei rifiuti e chiarire la portata nazionale della definizione facendo venir meno le attività discrezionali degli enti locali.
Sono quindi "rifiuti urbani":
1. i rifiuti domestici indifferenziati e da raccolta differenziata, ivi compresi: carta e cartone, vetro, metalli, plastica, rifiuti organici, legno, tessili, imballaggi, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, rifiuti di pile e accumulatori e rifiuti ingombranti, ivi compresi materassi e mobili;
2. i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell'allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell'allegato L-quinquies;
3. i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade e dallo svuotamento dei cestini portarifiuti;
4. i rifiuti di qualunque natura o provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette ad uso pubblico o sulle spiagge marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d'acqua;
5. i rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d'erba e potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati;
6. i rifiuti provenienti da aree cimiteriali, esumazioni ed estumulazioni, nonché gli altri rifiuti provenienti da attività cimiteriale diversi da quelli di cui ai punti 3, 4 e 5.
La lettera b-sexies) specifica che non sono rifiuti urbani: i rifiuti della produzione, dell'agricoltura, della silvicoltura, della pesca, delle fosse settiche, delle reti fognarie e degli impianti di trattamento delle acque reflue, ivi compresi i fanghi di depurazione, i veicoli fuori uso o i rifiuti da costruzione e demolizione.
Riguardo al punto n. 2, sopra riportato, esso fa riferimento ai rifiuti "provenienti da altre fonti" rispetto a quelli domestici di cui al punto n. 1. Si tratta quindi di rifiuti non domestici "simili per natura e composizioni" a quelli tassativamente indicati dall'allegato L-quater, mediante l'indicazione dei relativi codici EER, prodotti dalle attività elencate nell'allegato L-quinquies.
Modifiche all'ambito di applicazione della disciplina concernente la gestione dei rifiuti
Con la lettera b), si novella in più punti l’articolo 185 del Codice. Tale articolo reca le esclusioni dall'ambito di applicazione della disciplina in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati (di cui alla Parte IV).
Ai sensi dall'art. 185, comma 1, lettera c), sono esclusi dall'ambito di applicazione della citata disciplina, il suolo non contaminato e altro materiale allo stato naturale escavato nel corso di attività di costruzione, ove sia certo che esso verrà riutilizzato a fini di costruzione allo stato naturale e nello stesso sito in cui è stato escavato, nonché, secondo la novella in esame, le ceneri vulcaniche, riutilizzate in sostituzione di materie prime all’interno di cicli produttivi, mediante processi o metodi che non danneggino l'ambiente o costituiscano pericolo per la salute umana.
La novella, inoltre, con la modifica della lett. e) del comma 1, art. 185, e l'introduzione dei nuovi commi 4-bis e 4-ter, include nel campo di applicazione della disciplina di cui alla Parte IV i rifiuti da articoli pirotecnici, dettando apposita disciplina concernente il loro trattamento (la lettera e), in esame, lo si ricorda, esclude dalla disciplina della Parte IV i materiali esplosivi in disuso).
Tali rifiuti da articoli pirotecnici includono (ai sensi della novellata lettera e)) non solo i rifiuti derivanti dall'accensione degli stessi, ma anche quegli articoli che abbiano cessato il loro periodo di validità, siano in disuso o che non siano più idonei ad essere utilizzati per il loro fine originario. Essi (dispone il nuovo comma 4-bis dell'art. 185) sono trattati secondo le modalità di raccolta, di smaltimento e di distruzione dei prodotti esplodenti individuate dal D.M. 12 maggio 2016, n. 101, emanato in attuazione dell'art. 34, comma 2, del decreto legislativo n. 123 del 2015 ("Attuazione della direttiva 2013/29/UE concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di articoli pirotecnici"). Il trattamento dei rifiuti in oggetto avviene nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia di pubblica sicurezza concernenti la movimentazione di esplosivi. Il loro trattamento, recupero o incenerimento sono svolti in impianti autorizzati a tale scopo, secondo le disposizioni di pubblica sicurezza. Il nuovo comma 4-ter dell'art. 185 obbliga i produttori e gli importatori di articoli pirotecnici a provvedere - singolarmente o in forma collettiva - alla gestione dei rifiuti derivanti dai loro prodotti immessi sul mercato nazionale, secondo i criteri direttivi dei sistemi di gestione dettati dall’articolo 237 del Codice.
L'art. 237 stabilisce che i sistemi di gestione sono prioritariamente chiamati a prevenire la produzione di rifiuti - anche tenendo conto dell'obsolescenza programmata - ad incentivare il riciclaggio, la simbiosi industriale e altre forme di recupero, nonché la riduzione e lo smaltimento finale dei rifiuti. Inoltre, i sistemi devono essere aperti alla partecipazione degli operatori economici interessati, secondo principi di trasparenza e di non discriminazione, garantendo la continuità dei servizi di gestione dei rifiuti, Devono dare informazione ai detentori di rifiuti sulle misure di prevenzione e di riutilizzo, sui sistemi di ritiro e di raccolta dei rifiuti anche al fine di prevenire la dispersione degli stessi. La norma pone in capo ai produttori la responsabilità finanziaria in relazione alla gestione del ciclo di vita in cui il prodotto diventa rifiuto. Prevede, altresì, che i produttori, ovvero i sistemi collettivi, determinino il contributo ambientale secondo le modalità ivi previste.
Responsabilità della gestione e tracciabilità dei rifiuti.
Le lettere c) e d) novellano gli articoli 188 e 188-bis del Codice, concernenti, rispettivamente, la responsabilità della gestione e la tracciabilità dei rifiuti.
L'art. 188 stabilisce che il produttore iniziale - o altro detentore - di rifiuti provveda al loro trattamento, direttamente ovvero mediante l'affidamento ad intermediario o ad altri soggetti ivi indicati, nel rispetto delle disposizioni applicabili del Codice. Il comma 5 di tale art. 188 stabilisce che, quando i rifiuti sono conferiti a soggetti autorizzati alle operazioni di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare, la responsabilità dei produttori dei rifiuti per il corretto smaltimento è esclusa a condizione che questi ultimi abbiano ricevuto:
§ il formulario di identificazione (FIR, previsto dall'art. 193 del Codice) che accompagna il trasporto di rifiuti e dal quale devono risultare i seguenti dati: nome ed indirizzo del produttore e del detentore; origine, tipologia e quantità del rifiuto; impianto di destinazione; data e percorso dell'istradamento; nome ed indirizzo del destinatario.
§ l’attestazione di 'avvio al recupero o smaltimento', come stabilito dalla novella di cui alla lettera c), in luogo dell'attestazione di avvenuto smaltimento che era richiesta dal testo finora vigente.
L’articolo 188-bis, comma 4, come modificato dalla lettera d), prevede che i decreti ministeriali chiamati a definire la disciplina inerente all'organizzazione e funzionamento del sistema di tracciabilità dei rifiuti debbano stabilire, tra l'altro, le modalità per la verifica e l'invio della comunicazione dell’avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti, di cui all'articolo 188, comma 5, nonché le responsabilità da attribuire all'intermediario. Nel testo previgente si prevedeva (coerentemente al testo previgente dell'art. 188, comma 5) la verifica e l'invio della comunicazione di smaltimento avvenuto.
Rifiuti sanitari
La lettera e) reca una novella all'art. 193, comma 18, in materia di trasporto di rifiuti sanitari. Tale comma stabilisce che ai fini del deposito e del trasporto, i rifiuti provenienti da assistenza sanitaria, svolta al di fuori delle strutture sanitarie di riferimento (in base a quanto aggiunto dalla novella), e da assistenza domiciliare, si considerano prodotti presso l'unità locale, sede o domicilio dell'operatore che svolge tali attività. Resta ferma la disciplina in merito all'attività sanitaria e relativi rifiuti prodotti.
La modifica all'art. 258 (rubricato "Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari") apportata dalla lettera f) è di mero coordinamento.
Vigilanza e controllo
Con la lettera g) si modifica l'art. 206-bis del Codice, recante disposizioni su vigilanza e controllo sulla gestione dei rifiuti. In particolare, essa modifica in più punti il comma 1 di tale art. 206-bis, il quale attribuisce al Ministero della transizione ecologica alcuna funzioni per l'attuazione delle norme di cui alla Parte IV del Codice.
Il citato art. 206-bis, comma 1, lettera a), attribuisce al MITE la vigilanza sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti da imballaggio. Con la modifica in esame si specifica che tale funzione è svolta dal Ministero anche tramite audit nei confronti dei sistemi di gestione dei rifiuti.
La modifica alla lettera b) del comma 1 chiarisce che il MITE è chiamato ad approntare e ad aggiornare periodicamente le misure per la corretta gestione dei rifiuti, anche tramite apposite linee-guida per migliorarne la qualità e la riciclabilità (secondo l'espressione introdotta dalla novella in esame). Tale attività mira a promuovere la diffusione delle buone pratiche e delle migliori tecniche disponibili per la prevenzione, le raccolte differenziate, il riciclo e lo smaltimento dei rifiuti, nonché, aggiunge la modifica in esame, "la preparazione al riutilizzo, il riutilizzo e i sistemi di restituzione".
Con la nuova formulazione delle restanti lettere (lettera c)-g-quinquies) del comma 1 in esame, il MITE:
§ effettua l'analisi delle relazioni annuali dei sistemi di gestione dei rifiuti e la conseguente verifica delle misure adottate e del raggiungimento degli obiettivi posti dalla normativa applicabile, nazionale e dell'Unione europea, con riferimento ai target posti, al fine di accertare il rispetto della responsabilità estesa del produttore da parte dei produttori e degli importatori di beni;
La "responsabilità estesa del produttore " (c.d. extended producer responsability, EPR) costituisce un asse portante dell'economia circolare, nell'ottica di prolungare la vita dei prodotti con riutilizzo o riciclo. In tal senso, si attribuisce al produttore del prodotto la responsabilità finanziaria o finanziaria e operativa della gestione di tutta la fase del ciclo di vita del prodotto, sino alla trasformazione dello stesso in rifiuto. In tale quadro, il produttore, già dalla fase di produzione, è chiamato a progettare ed immettere sul mercato prodotti ecocompatibili, con caratteristiche tali da agevolarne il riutilizzo e il recupero delle componenti, nonché il ritiro, il riciclo e lo smaltimento finale.
§ provvede al riconoscimento dei sistemi autonomi di gestione;
Si ricorda che i produttori delle diverse filiere di rifiuti possono non aderire ai Consorzi istituiti per legge, bensì organizzare in base al quadro normativo autonomamente la gestione dei rifiuti sull’intero territorio nazionale: come chiarito dal sito del Ministero, il procedimento si fonda sulla richiesta di un riconoscimento da parte del Ministero dell’Ambiente (ora MITE), che nell’ambito delle sue attività istituzionali vigila sulla gestione dei rifiuti, assicura il rispetto del dettato normativo da parte dei Consorzi istituiti per legge ed è il soggetto deputato al riconoscimento dei sistemi autonomi, con il supporto tecnico dell’ISPRA.
Al riguardo, come evidenziato dalle citate linee guida del Mite, gli operatori economici devono dimostrare di aver organizzato il sistema secondo criteri di efficienza, efficacia ed economicità, che lo stesso sia effettivamente ed autonomamente funzionante e che sia in grado di conseguire, nell'ambito delle attività svolte, gli obiettivi fissati dalla norma primaria, garantendo l’informazione sulle modalità del sistema adottato nei confronti degli utilizzatori e degli utenti finali.
§ controlla il raggiungimento degli obiettivi posti dagli accordi di programma (ai sensi dell’articolo 219-bis del Codice) e ne monitora l’attuazione; monitora l'attuazione del Programma generale di prevenzione (previsto dall'all'articolo 225 del Codice, assumendo i poteri sostitutivi in caso di inadempienza del CONAI nella predisposizione del Programma medesimo);
§ effettua il monitoraggio dell’attuazione del Programma Nazionale di prevenzione dei rifiuti di cui all’articolo 180;
Il Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti (art. 180 del Codice) fissa idonei indicatori e obiettivi qualitativi e quantitativi per la valutazione dell'attuazione delle misure di prevenzione dei rifiuti in esso stabilite. È adottato dal MITE, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico ed il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Per il quadro relativo al programma nazionale si veda qui; esso individua alcuni indicatori finalizzati al monitoraggio delle misure attuate dai comuni per promuovere la prevenzione della produzione dei rifiuti e stabilisce che ai fini della raccolta, elaborazione e popolamento degli indicatori il Ministero dell'Ambiente si avvalga dell'ISPRA: a tal fine il 3 dicembre 2018 è stata sottoscritta una convenzione attraverso la quale l'Istituto fornisce il supporto alle attività istituzionali del Ministero, volte a garantire l'attuazione dell'articolo 206 bis del d.lgs. 152/2006. Come riportato dal sito istituzionale, l'ISPRA ha predisposto uno specifico questionario per i Comuni relativo all'attuazione delle misure di prevenzione della produzione dei rifiuti individuate dal Programma nazionale di prevenzione.
§ esercita funzioni di verifica circa i sistemi di gestione dei rifiuti in relazione alla responsabilità estesa del produttore e dei relativi requisiti minimi. A tale riguardo, si ricorda che l'articolo 178-bis del Codice disciplina la responsabilità estesa del produttore, inteso come qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi prodotti, nell'organizzazione del sistema di gestione dei rifiuti, e nell'accettazione dei prodotti restituiti e dei rifiuti che restano dopo il loro utilizzo; i regimi di responsabilità estesa del produttore, siano introdotti attraverso l'emanazione di decreti del Ministro della transizione ecologica, di concerto con il Ministro dello Sviluppo economico, sentita la Conferenza unificata, e nel rispetto dei requisiti minimi generali individuati dall’articolo 178-ter. ed introduce l'articolo 178-ter sui requisiti generali minimi in materia di responsabilità estesa del produttore.
L'ulteriore modifica all'art. 206-bis (in particolare al comma 6) è una modifica di coordinamento, anche a seguito delle modifiche sopra ricordate.
Si ricorda che il Programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio (art. 225 del Codice), elaborato dal CONAI con cadenza annuale, individua, per ogni tipologia di rifiuto, le misure per conseguire obiettivi relativi alla prevenzione della formazione dei rifiuti di imballaggio; all'accrescimento degli imballaggi riciclabili o riutilizzabili rispetto a quelli non riciclabili o riutilizzabili; miglioramento delle caratteristiche dell'imballaggio; realizzazione degli obiettivi di recupero e riciclaggio.
Rispetto al testo previgente, la nuova formulazione dell'art. 206-bis mira ad adeguare la disciplina in materia di verifiche e controlli di competenza del MITE al quadro regolatorio in materia di gestione dei rifiuti, specificando meglio alcuni compiti ed espungendo alcune attività che sono riconducibili ai compiti attribuiti all'ARERA dalla legge di bilancio 2018.
Al riguardo, la legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio per il 2018), art. 1, comma 527, ha attribuito all'ARERA (modificandone peraltro la denominazione) i seguenti poteri di regolazione e controllo in materia di rifiuti:
§ emanazione di direttive per la separazione contabile e amministrativa della gestione, valutazione dei costi delle prestazioni per area geografica e per categorie di utenti, e definizione di indici di valutazione dell'efficienza ed economicità delle gestioni;
§ definizione dei livelli di qualità dei servizi e vigilanza sulle modalità di erogazione dei servizi medesimi;
§ diffusione della conoscenza e della trasparenza delle condizioni di svolgimento dei servizi a beneficio dell’utenza;
§ tutela dei diritti degli utenti anche tramite la valutazione di reclami e segnalazioni presentati dagli stessi (come singoli o attraverso associazioni di consumatori);
§ definizione di schemi tipo dei contratti di servizio che regolano (ai sensi dell’art 203 del decreto-legislativo n.152 del 2006) i rapporti tra le Autorità d’ambito e i soggetti affidatari del servizio integrato dei rifiuti;
§ definizione e aggiornamento della metodologia per la determinazione delle tariffe volte alla determinazione del corrispettivo del servizio integrato dei rifiuti e dei singoli servizi, che deve tener conto dell’esigenza di assicurare la copertura dei costi efficienti (sia quelli gestionali, sia quelli fissi collegati agli investimenti, anche in termini di remunerazione del capitale), sulla base del principio secondo cui “chi inquina paga”;
§ fissazione dei criteri per la definizione delle tariffe di accesso agli impianti di trattamento;
§ approvazione delle tariffe proposte dall’ente di governo d’ambito per il servizio integrato e dai singoli gestori degli impianti di trattamento;
§ verifica della corretta redazione dei piani di ambito;
§ formulazione di proposte relative alle attività che devono essere assoggettate a concessione o autorizzazione;
§ formulazione di proposte di revisione della disciplina vigente, segnalando altresì i casi di gravi inadempienze e di non corretta applicazione;
predisposizione di una relazione annuale al Parlamento.
Qui di seguito un testo a fronte dell'art. 206-bis, comma 1, nel testo previgente e come modificato dal decreto-legge in esame.
Articolo 206-bis (Vigilanza e controllo in materia di gestione dei rifiuti) |
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Comma 1 (testo previgente) |
Comma 1 (testo modificato dal D.L. n. 77) |
1. Al fine di garantire l'attuazione delle norme di cui alla parte quarta del presente decreto con particolare riferimento alla prevenzione della produzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti ed all'efficacia, all'efficienza ed all'economicità della gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, nonché alla tutela della salute pubblica e dell'ambiente, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare svolge, in particolare, le seguenti funzioni: |
1. Al fine di garantire l'attuazione delle norme di cui alla parte quarta del presente decreto con particolare riferimento alla prevenzione della produzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti ed all'efficacia, all'efficienza ed all'economicità della gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, nonché alla tutela della salute pubblica e dell'ambiente, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare svolge, in particolare, le seguenti funzioni: |
a) vigila sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio; |
a) vigila sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio anche tramite audit nei confronti dei sistemi di gestione dei rifiuti di cui ai Titoli I, II e III della parte quarta del presente decreto ; |
b) provvede all'elaborazione ed all'aggiornamento permanente di criteri e specifici obiettivi d'azione, nonché alla definizione ed all'aggiornamento permanente di un quadro di riferimento sulla prevenzione e sulla gestione dei rifiuti, anche attraverso l'elaborazione di linee guida sulle modalità di gestione dei rifiuti per migliorarne efficacia, efficienza e qualità, per promuovere la diffusione delle buone pratiche e delle migliori tecniche disponibili per la prevenzione, le raccolte differenziate, il riciclo e lo smaltimento dei rifiuti; |
b) provvede all'elaborazione ed all'aggiornamento periodico di misure sulla prevenzione e sulla gestione dei rifiuti, anche attraverso l'elaborazione di linee guida sulle modalità di gestione dei rifiuti per migliorarne la qualità e la riciclabilità, al fine di promuovere la diffusione delle buone pratiche e delle migliori tecniche disponibili per la prevenzione, la preparazione al riutilizzo, il riutilizzo, i sistemi di restituzione, le raccolte differenziate, il riciclo e lo smaltimento dei rifiuti;; |
g-quinquies) verifica il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall'Unione europea in materia di rifiuti e accerta il rispetto della responsabilità estesa del produttore da parte dei produttori e degli importatori di beni. |
c) analizza le relazioni annuali dei sistemi di gestione dei rifiuti di cui al Titolo II e al Titolo III della parte quarta del presente decreto, verificando le misure adottate e il raggiungimento degli obiettivi, rispetto ai target stabiliti dall'Unione europea e dalla normativa nazionale di settore, al fine di accertare il rispetto della responsabilità estesa del produttore da parte dei produttori e degli importatori di beni; |
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d) provvede al riconoscimento dei sistemi autonomi di cui al Titolo II e al Titolo III della parte quarta del presente decreto; |
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e) controlla il raggiungimento degli obiettivi previsti negli accordi di programma ai sensi dell’articolo 219-bis e ne monitora l’attuazione; |
c) predispone il Programma generale di prevenzione di cui all'articolo 225 qualora il Consorzio nazionale imballaggi non provveda nei termini previsti; d) verifica l'attuazione del Programma generale di cui all'articolo 225 ed il raggiungimento degli obiettivi di recupero e di riciclaggio; |
f) verifica l'attuazione del Programma generale di prevenzione di cui all'articolo 225 e, qualora il Consorzio nazionale imballaggi non provveda nei termini previsti, predispone lo stesso;
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g) effettua il monitoraggio dell’attuazione del Programma Nazionale di prevenzione dei rifiuti di cui all’articolo 180; |
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h) verifica il funzionamento dei sistemi istituiti ai sensi degli articoli 178-bis e 178-ter, in relazione agli obblighi derivanti dalla responsabilità estesa del produttore e al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dall'Unione europea in materia di rifiuti. |
e) verifica i costi di gestione dei rifiuti, delle diverse componenti dei costi medesimi e delle modalità di gestione ed effettua analisi comparative tra i diversi ambiti di gestione, evidenziando eventuali anomalie; f) verifica livelli di qualità dei servizi erogati; g) predispone un rapporto annuale sulla gestione dei rifiuti, degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio e ne cura la trasmissione al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; g-bis) elabora i parametri per l'individuazione dei costi standard, comunque nel rispetto del procedimento di determinazione di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 26 novembre 2010, n. 216, e la definizione di un sistema tariffario equo e trasparente basato sul principio dell'ordinamento dell'Unione europea "chi inquina paga" e sulla copertura integrale dei costi efficienti di esercizio e di investimento; g-ter) elabora uno o più schemi tipo di contratto di servizio di cui all'articolo 203; g-quater) verifica il rispetto dei termini di cui all'articolo 204, segnalando le inadempienze al Presidente del Consiglio dei ministri;
Per la lettera g-quinquies), cfr. supra
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Preparazione per il riutilizzo in forma semplificata
La lettera h) modifica l'art. 214-ter del Codice, intervenendo così sulla disciplina del processo di trattamento "preparazione per il riutilizzo" Tale articolo demanda ad un decreto MITE il compito di definire le condizioni per l'esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo in forma semplificata, stabilendo: le modalità operative, le dotazioni tecniche e strutturali, i requisiti minimi di qualificazione degli operatori necessari per l'esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo, le quantità massime impiegabili, la provenienza, i tipi e le caratteristiche dei rifiuti, nonché le condizioni specifiche di utilizzo degli stessi in base alle quali prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti sono sottoposti a operazioni di preparazione per il riutilizzo.
Il nuovo testo risultante dalla modifica in esame specifica che le province e le città metropolitane verifichino la sussistenza dei requisiti, stabiliti dal decreto ministeriale. Successivamente all'effettuazione di tali controlli e verifiche le operazioni in oggetto possono essere avviate.
Gli esiti delle procedure semplificate per l’inizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo sono comunicati - dalle autorità competenti - al MITE.
La disciplina sulla tenuta dei relativi dati e informazioni è definita dal citato decreto ministeriale.
Secondo il testo vigente fino all'entrata in vigore del decreto-legge in esame, a decorrere dall'entrata in vigore del citato decreto ministeriale l'esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo di prodotti o componenti di prodotti diventati rifiuti, sono avviate, mediante segnalazione certificata di inizio di attività (ai sensi dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241).
Comunicazioni alla Commissione europea
La lettera i) sostituisce il vigente articolo 216-ter del Codice, relativo alle comunicazioni alla Commissione europea.
Il comma 1 reca una modifica formale alla disciplina recante la trasmissione dei programmi di gestione e di gestione dei rifiuti di cui all'articolo 199, commi 1 e 3 e lettera r). Nello specifico viene sostituito il riferimento al "Ministero dell'ambiente" con quello al "Ministero della transizione ecologica", istituito dal D.L. 1 marzo 2021, n. 22 recante Disposizioni urgenti in materia di riordino delle attribuzioni dei Ministeri, convertito con modificazioni dalla Legge 22 aprile 2021, n. 55.
I commi da 2 a 4 introducono, rispetto alla normativa vigente, una disciplina più dettagliata in materia di trasmissione di dati alla Commissione europea, specificando anche a seconda della loro tipologia, i relativi formati europei di riferimento. Tali formati sono stabiliti da appositi decisioni di esecuzione adottate a norma della direttiva 2008/98/CE, relativa ai rifiuti.
Si ricorda al riguardo che la suddetta direttiva è stata modifica dalla direttiva (ue) 2018/851, facente parte del citato c.d. "pacchetto sull'economia circolare" dell'Ue.
In tutti i casi la trasmissione dei dati sarà effettuata, per ogni anno civile, dal Ministero per la transizione ecologica. Tutti i dati saranno raccolti e comunicati per via elettronica entro diciotto mesi dalla fine dell’anno a cui si riferiscono. Il primo periodo di comunicazione avrà inizio il primo anno civile completo dopo l’adozione della decisione di esecuzione di riferimento.
Nello specifico il comma 2 si riferisce ai dati relativi agli obiettivi di preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e il recupero dei rifiuti previsti dall'articolo 181, comma 4, del d.lgs 2006/152 e che sanciscono un passaggio verso un'economia circolare.
I suddetti obiettivi, diversificati per materiale prevedono:
- entro il 2020 un aumento al 50% per carta, metalli, plastica e vetro
- entro il 2020 un aumento al 70% per rifiuti da demolizione o da costruzione
- entro il 2025 un aumento al 55% per i rifiuti urbani. Tale aumento sarà portato al 60% entro il 2030 e al 65% entro il 2035.
I dati saranno comunicati secondo il formato stabilito dalla decisione di esecuzione (ue) 2019/1004, del 7 giugno 2019, che stabilisce le regole per il calcolo, la verifica e la comunicazione dei dati sui rifiuti a norma della direttiva 2008/98/CE.
Il comma 3 si riferisce ai dati relativi al riutilizzo dei rifiuti e alla prevenzione dei rifiuti alimentari, di cui rispettivamente ai commi 5 e 6 dell'articolo 180 del d.lgs 2006/152. I dati sul riutilizzo saranno raccolti secondo il formato di cui alla decisione di esecuzione (ue) 2021/19 del 18 dicembre 2020 che stabilisce una metodologia comune e un formato per la comunicazione di informazioni in materia di riutilizzo a norma della direttiva 2008/98/CE. I dati relativi alla prevenzione alimentare saranno invece raccolti secondo il formato di cui alla decisione di esecuzione (ue) 2019/2000 del 28 novembre 2019 che stabilisce un formato per la comunicazione dei dati sui rifiuti alimentari e per la presentazione della relazione di controllo della qualità conformemente alla direttiva 2008/98/CE.
Il comma 4 si riferisce ai dati relativi agli olii industriali o lubrificanti, minerali o sintetici, immessi sul mercato nonché a quelli sulla raccolta e trattamento degli oli usati. I dati saranno raccolti secondo il formato di cui all’allegato VI della citata decisione di esecuzione 2019/1004 (ue) del 7 giugno 2019.
In base alla normativa vigente, di cui al comma 2 dell'articolo 216-ter, viene data comunicazione sull'applicazione della direttiva 2008/98/CE con cadenza triennale tramite relazioni settoriali trasmesse in base a un questionario inviato dalla Commissione europea sei prima del periodo contemplato dalle suddette relazioni. Il vigente comma 3 dell'articolo 216-ter prevede che le suddette relazioni siano inviate entro nove mesi dalla fine del triennio che decorre dal 12 dicembre 2010, e contengano tra l'altro, informazioni sulla gestione degli oli usati, sui progressi compiuti nell'attuazione dei programmi di prevenzione dei rifiuti, di cui all'articolo 199, comma 3, lettera r), e sulle misure previste dall'eventuale attuazione del principio della responsabilità estesa del produttore, di cui all'articolo 178-bis, comma 1, lettera a).
Il comma 5 stabilisce che i dati di cui ai commi 2-4 siano corredati anche da una relazione di controllo della qualità redatta secondo i formati stabiliti nelle relative decisioni di esecuzione di riferimento. Dovranno essere accompagnati inoltre da una relazione sulle misure adottate per il raggiungimento degli obiettivi di cui agli articoli 205-bis e 182-ter del d.lgs. 2006/152. Tale relazione dovrà comprendere informazioni dettagliate sui tassi di scarto medio.
In particolare, l'articolo 205-bis stabilisce regole dettagliate per il calcolo degli obiettivi di riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti. L'articolo 182-ter reca la disciplina in materia di rifiuti organici e delle attività relative al loro riciclaggio.
Il comma 6 riprendendo il vigente comma 5 dell'articolo 216-ter prevede che la parte quarta del d.lgs 2006/152 nonché i provvedimenti inerenti la gestione dei rifiuti siano comunicati alla Commissione europea.
Gestione degli imballaggi
La lettera l) novella l’articolo 221, comma 6, del Codice, in materia di gestione degli imballaggi. Al riguardo, si rammenta che il comma 5 del medesimo articolo 221 stabilisce che i produttori che non intendono aderire al Consorzio Nazionale Imballaggi (CONAI) o ad altro Consorzio per la gestione dei propri rifiuti di imballaggio, devono presentare all'Osservatorio nazionale sui rifiuti il progetto del sistema per la medesima gestione, richiedendone il riconoscimento sulla base di idonea documentazione. Secondo la novella in esame, ottenuto il riconoscimento i produttori devono presentare annualmente al Ministero della Transizione ecologica e al CONAI, l'apposita documentazione sui sistemi di gestione (prevista dall'art. 237, comma 6, del Codice). Il programma pluriennale di prevenzione della produzione di rifiuti di imballaggio e il piano specifico di prevenzione e gestione relativo ai sistemi di gestione in parola, riferiti all'anno solare successivo, sono inseriti nel programma generale di prevenzione e gestione. Quest'ultimo è previsto dall’articolo 225 del Codice. Nel testo previgente, i medesimi produttori erano tenui ad inviare al CONAI il programma specifico di prevenzione, posto a base del programmo generale di prevenzione e gestione.
Come sopra ricordato (cfr. commento alla lettera g)), ai sensi dell'art. 225 del Codice, il CONAI elabora annualmente il Programma generale di prevenzione e di gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio che individua le misure per conseguire gli obiettivi ivi indicati, con riferimento alle singole tipologie di materiale di imballaggio.
Elenco dei rifiuti
La lettera m) sostituisce integralmente (con l'Allegato III al presente decreto-legge) l'Allegato D della Parte quarta del Codice dell'ambiente, recante l'elenco dei rifiuti (nuovo elenco europeo dei rifiuti, introdotto dalla decisione 955/2014, che ha modificato la decisone 532/2000) e la relativa classificazione.
Le correzioni, segnala la relazione illustrativa, si rendono necessarie per rendere "coerente la gestione dei rifiuti con le corrette definizioni in relazione alla decisione 2014/955/UE, che altrimenti sarebbe difforme rispetto alle disposizioni UE".
Riguardo alle correzioni dei codici EER, si ricorda, preliminarmente, che i codici con asterisco (*) stanno ad indicare "rifiuti pericolosi", a meno che non si applichino le esclusioni di cui all'articolo 20 della direttiva 2008/98/CE ("relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive").
Tra le modifiche introdotte con il nuovo allegato si segnalano le seguenti:
§ si introduce il codice 01 01 relativo alla categoria "Rifiuti da estrazione di minerali" (comprensiva dei codici, già previsti nell'allegato previgente, 01 01 01 sui minerali metalliferi e 01 01 02 sui minerali non metalliferi); in tal modo viene introdotto, nell'allegato D, un codice assente nel testo finora vigente e presente nell'allegato alla decisione n. 955;
§ si introduce la voce 07 02 17* "rifiuti contenenti siliconi diversi da quelli di cui alla voce 07 02 16" (quest'ultimo codice indica i rifiuti da siliconi pericolosi); con la modifica si introduce una nuova voce, identica alla voce 07 02 17 ma contrassegnata da asterisco, che, come detto, sta ad indicare i rifiuti pericolosi;
Al riguardo si segnala che il codice '07 02 17' è recato due volte nell'allegato, in un caso senza asterisco, in un caso con asterisco (dunque con il carattere di rifiuto pericoloso), indicandosi tuttavia la medesima voce oltre che il medesimo identificativo numerico, per cui si valuti un chiarimento.
§ si espunge la voce 07 02 18 "scarti di gomma"; al riguardo si segnala che tale voce non è presente nell'allegato alla decisione n. 955;
§ si modifica la voce 09 01 01*, introducendo la seguente dicitura: soluzioni di sviluppo e soluzioni attivanti a base acquosa (che rispetto alla dicitura previgente specifica che gli "attivanti" sono comunque da riferirsi a soluzioni); la voce viene in tal modo resa omogenea a quella riportata nell'allegato alla decisione n. 955;
§ si introduce il codice 13 04 da riferire alla categoria "Oli di sentina" e si prevede una modifica del codice 13 04 02*, per specificare che il codice si riferisce ad oli di sentina "derivanti" dalle fognature dei moli; anche in questo caso si adegua la denominazione delle voci dell'allegato D alle corrispondenti voci riportate dalla decisione n. 955;
§ l'indicazione dei "fanghi di dragaggio" (codici 17 05 05* e 17 05 06) viene sostituita con la dicitura "materiali di dragaggio"; si adeguano, così, tali voci alle denominazioni riportate dalla decisione n. 955, ove si utilizza il termine "materiali" e non "fanghi".
Inoltre, con riferimento:
§ alla voce 16 02 13* apparecchiature fuori uso, contenenti componenti pericolosi diversi da quelli di cui alle voci 16 02 09 ("trasformatori e condensatori contenenti PCB", cioè contenenti policlorodifenili e policlorotrifenili) e 16 02 12 ("apparecchiature fuori uso, contenenti amianto in fibre libere"), contenenti componenti pericolosi
§ e alla voce 20 01 35* apparecchiature elettriche ed elettroniche fuori uso, diverse da quelle di cui alla voce 20 01 21* ("tubi fluorescenti ed altri rifiuti contenenti mercurio") e 20 01 23* ("apparecchiature fuori uso contenenti clorofluorocarburi"), contenenti componenti pericolosi
si specifica che tra i componenti pericolosi di apparecchiature elettriche ed elettroniche possono rientrare gli accumulatori e le batterie di cui alle voci 16 06 (batterie e accumulatori), contrassegnati come pericolosi; commutatori a mercurio, vetri di tubi a raggi catodici ed altri vetri radioattivi ecc.
Viene così inserita la nota n. 1 presente nell'allegato alla decisione europea.
Sostituzione di combustibili tradizionali con CSS-combustibile
I commi 2 e 3 del presente articolo recano disposizioni inerenti alla sostituzione di combustibili tradizionali con CSS-combustibile (combustibile solido prodotto da rifiuti che non sia più qualificabile come rifiuto) che rispetti le condizioni di utilizzo del medesimo, poste dall'art. 13 del regolamento recante la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (D.M. 14 febbraio 2013, n. 22). Tali operazioni non costituiscono variante o modifica sostanziale, ai sensi delle norme ivi richiamate, a condizione che l'operazione in questione non comporti un aumento della capacità produttiva autorizzata.
Riguardo alla disciplina relativa alla cessazione della qualifica di rifiuto (c.d. end of waste), cfr. l'art. 34, alla cui scheda si rinvia.
Il comma 2 stabilisce che tali interventi di sostituzione con CSS-combustibile in impianti o installazioni che non siano autorizzati alle operazioni di recupero dei rifiuti mediante la loro utilizzazione principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia ("operazioni R1", ai sensi dell'art. 216 e dell'Allegato C alla parte quarta del Codice ambientale), richiedono la sola comunicazione dell’intervento di modifica all’autorità competente, unitamente alla presentazione della documentazione tecnica descrittiva dell’intervento.
Riguardo agli impianti non autorizzati a svolgere le medesime operazioni R1, il comma 3 stabilisce che l'intervento richieda il solo aggiornamento del titolo autorizzatorio, anche in questo caso nel rispetto dei limiti di emissione per coincenerimento dei rifiuti, da comunicare all’autorità competente.
Le comunicazioni (concernenti l'intervento di modifica e l'aggiornamento del titolo autorizzatorio) alle autorità competenti devono essere effettuate 45 giorni prima dell'avvio della modifica.
Per quanto concerne la nozione di modifica sostanziale, le disposizioni richiamano:
§ l'articolo 5, comma 1, lettera l-bis), del Codice dell'ambiente, che definisce "modifica sostanziale" la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell'impianto, dell'opera o dell'infrastruttura o del progetto che, secondo l'autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull'ambiente o sulla salute umana". Con riferimento alla disciplina sulla VIA, deve ritenersi sostanziale quella modifica che comporti variazioni di valori soglia previsti per talune attività contemplate nell'allegato VIII del Codice ambientale;
§ l’articolo 2, comma 1, lett. g), del regolamento recante la disciplina dell'autorizzazione unica ambientale (d.P.R. n. 59 del 2013), il quale definisce "modifica sostanziale" di un impianto: ogni modifica considerata tale ai sensi delle normative di settore che disciplinano gli atti di comunicazione, notifica e autorizzazione in materia ambientale compresi nell'autorizzazione unica ambientale in quanto possa produrre effetti negativi e significativi sull'ambiente.
Per quanto concerne la nozione di variante sostanziale, i commi 2 e 3 richiamano l'articolo 208, comma 19, il quale prescrive che le procedure concernenti l'autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti si applicano anche per la realizzazione di "varianti sostanziali" in corso d'opera o di esercizio, che comportino modifiche a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all'autorizzazione rilasciata. Richiama altresì gli articoli concernenti le procedure semplificate nell'ambito della gestione dei rifiuti, in particolare: 214 (Determinazione delle attività e delle caratteristiche dei rifiuti per l'ammissione alle procedure semplificate), 214-bis (Sgombero della neve), 214-ter (Determinazione delle condizioni per l'esercizio delle operazioni di preparazione per il riutilizzo in forma semplificata, modificato dal comma 1, lett. h), dell'articolo in esame), 215 (Autosmaltimento) e 216 (Operazioni di recupero) del medesimo Codice.
Si segnala, peraltro, che la locuzione "variante sostanziale" è espressamente utilizzata, tra le norme richiamate, dal solo comma 19 dell'articolo 208.
Invarianza finanziaria
Il comma 4 dell'art. 35 in esame dispone che il MITE provveda all'attuazione delle disposizioni in esame con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L'articolo 36, al comma 1, esenta dall'autorizzazione idraulica e dall'autorizzazione per il vincolo idrogeologico le attività di manutenzione straordinaria e ripristino delle opere di sistemazione idraulica forestale in aree montane e collinari ad alto rischio idrogeologico e di frana.
Il comma 2 esenta dall'autorizzazione paesaggistica gli interventi di manutenzione e ripristino delle opere di sistemazione idraulica forestale in aree montane e collinari ad alto rischio idrogeologico e di frana, che non alterino lo stato dei luoghi e siano condotti secondo i criteri e le metodologie dell'ingegneria naturalistica, da attuare nei boschi e nelle foreste aventi le caratteristiche previste dalla normativa in materia di beni culturali e del paesaggio.
Il comma?3 assoggetta al procedimento di autorizzazione paesaggistica semplificata, anche se interessano aree vincolate ai sensi della vigente normativa concernente gli immobili e le aree di notevole interesse pubblico e nel rispetto di quanto previsto dal piano forestale di indirizzo territoriale e dai piani di gestione forestale o strumenti equivalenti, ove adottati, i seguenti interventi ed opere di lieve entità: a) interventi selvicolturali di prevenzione dei rischi secondo un piano di tagli dettagliato; b) ricostituzione e restauro di aree forestali degradate o colpite da eventi climatici estremi attraverso interventi di riforestazione e sistemazione idraulica;?c) interventi di miglioramento delle caratteristiche di resistenza e resilienza ai cambiamenti climatici dei boschi.
Il comma 1 esenta le attività di manutenzione straordinaria e ripristino delle opere di sistemazione idraulica forestale in aree montane e collinari ad alto rischio idrogeologico e di frana dalle seguenti autorizzazioni:
- l'autorizzazione idraulica prevista dal Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie (regio decreto n. 523/1904;
Al riguardo, si vedano le disposizioni del capo VII del R.D. 523/1904, in materia di polizia delle acque pubbliche, articoli da 93 a 101, nonché il relativo regolamento di esecuzione (R.D. 9 dicembre 1937, n. 2669).
- l'autorizzazione per il vincolo idrogeologico di cui al regio decreto n. 3267/1923 (Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani), recte "regio decreto-legge", e successive norme regionali di recepimento.
Riguardo all'imposizione del vincolo idrogeologico, oltre alla disciplina contenuta negli articoli 1-16 del provvedimento sopra indicato, occorre far riferimento anche agli articoli 19 e 20 del relativo regolamento di applicazione (R.D. 1126/1926). In particolare, l'articolo 7 del R.D.L. 3267/1923 prevede che per i terreni vincolati la trasformazione dei boschi in altre qualità di coltura e la trasformazione di terreni saldi in terreni soggetti a periodica lavorazione sono subordinate ad autorizzazione del Comitato forestale[28] e alle modalità da esso prescritte, caso per caso, allo scopo di prevenire i danni di cui all'art. 1, il quale sottopone a vincolo per scopi idrogeologici i terreni di qualsiasi natura e destinazione che, per effetto di forme di utilizzazione contrastanti con le norme di cui agli artt. 7, 8 e 9, possono con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque.
Si ricorda altresì che il DPR 619/1977 ha disposto, all'articolo 69, quarto comma, il trasferimento alle regioni delle funzioni concernenti la sistemazione idrogeologica e la conservazione del suolo, le opere di manutenzione forestale per la difesa delle coste nonché le funzioni relative alla determinazione del vincolo idrogeologico di cui al R.D.L. n. 3267/1923, ivi comprese quelle esercitate attualmente dalle camere di commercio. Per la realizzazione di opere di sistemazione idrogeologica e di difesa del suolo che interessino il territorio di due o più regioni, queste provvedono mediante intesa tra loro. Fermo restando quanto stabilito dall'art. 13 del R.D.L. n. 3267/1923, restano fermi i vincoli idrogeologici attualmente vigenti fino a quanto non sarà stabilita una nuova disciplina statale di principio.
Infine, l'articolo 61, comma 5, del d.lgs. n. 152/2006 (Norme in materia ambientale) ha stabilito che le funzioni relative al vincolo idrogeologico di cui al R.D.L. 30 dicembre 1923, n. 3267, sono interamente esercitate dalle regioni[29].
Nella sentenza n. 232 del 2009 (punto 3 del considerato in diritto), la Corte costituzionale ha rilevato la riconducibilità alla materia «tutela dell'ambiente» di una serie di disposizioni contenute nella Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006, intitolata «Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche» e, in particolare, nella sezione I «Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione». Già la prima delle norme contenute nella sezione I della Parte III del d.lgs. n. 152 del 2006 (art. 53), nell'individuare le finalità delle disposizioni che compongono la sezione medesima, dichiara che esse «sono volte ad assicurare la tutela ed il risanamento del suolo e del sottosuolo, il risanamento idrogeologico del territorio tramite la prevenzione dei fenomeni di dissesto, la messa in sicurezza delle situazioni a rischio e la lotta alla desertificazione». Sono scopi che attengono con buona evidenza direttamente alla tutela delle condizioni e qualità intrinseche del suolo e non già alla sua utilizzazione. Simile osservazione vale per tutte le disposizioni che compongono la sezione I. Si tratta di interventi (tra i quali anche il riordino del vincolo idrogeologico) miranti non già a disciplinare come e secondo quali regole l'uomo debba stabilire propri insediamenti (abitativi, industriali, eccetera) sul territorio, bensì a garantire un certo stato del suolo, così come le norme contro l'inquinamento delle acque mirano a garantire un determinato standard qualitativo dei corpi idrici, quelle contro l'inquinamento atmosferico uno specifico livello qualitativo dell'aria, e così via.
Il comma 2 esenta dall'autorizzazione paesaggistica gli interventi di manutenzione e ripristino delle opere di sistemazione idraulica forestale in aree montane e collinari ad alto rischio idrogeologico e di frana, che non alterino lo stato dei luoghi e siano condotti secondo i criteri e le metodologie dell'ingegneria naturalistica, da attuare nei boschi e nelle foreste indicati dall'articolo 142, comma 1, lettera g), del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004).
L'articolo 142, comma 1, lettera g), del Codice dei beni culturali e del paesaggio, assoggetta alla disciplina relativa ai beni paesaggistici i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'articolo 2, commi 2 e 6, del d.lgs. n. 227/2001 (Orientamento e modernizzazione del settore forestale). Il d.lgs. n. 227/2001 è stato abrogato dall'articolo 18 del Testo unico in materia di foreste e filiere forestali (d.lgs. n. 34/2018)
In particolare il richiamato comma 2 aveva previsto l'emanazione di apposite norme regionali per la definizione di bosco, stabilendo alcuni criteri identificativi, mentre il comma 6 aveva dettato una disciplina transitoria contenente la definizione di bosco, da applicare "nelle more dell'emanazione delle norme regionali di cui al comma 2 e ove non diversamente già definito dalle regioni stesse".
Attualmente, occorre quindi far riferimento all'articolo 3, comma 3, del d.lgs. 34/2018, il quale contiene la definizione di bosco "per le materie di competenza esclusiva dello Stato". Sono quindi definite bosco le superfici coperte da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore del 20 per cento.
Il comma 4 dell'articolo 3 del d.lgs. 34/2018 consente l'adozione da parte delle regioni, "per quanto di loro competenza e in relazione alle proprie esigenze e caratteristiche territoriali, ecologiche e socio-economiche", di una definizione integrativa di bosco rispetto a quella dettata al comma 3, nonché definizioni integrative di aree assimilate a bosco e di aree escluse dalla definizione di bosco di cui, rispettivamente, agli articoli 4 e 5 del d.lgs. 34/2018, purché non venga diminuito il livello di tutela e conservazione così assicurato alle foreste come presidio fondamentale della qualità della vita.
L'articolo 4 del d.lgs. 34/2018 elenca le aree assimilate a bosco, tra le quali rientrano, in particolare, i fondi gravati dall'obbligo di rimboschimento per le finalità di difesa idrogeologica del territorio, di miglioramento della qualità dell'aria, di salvaguardia del patrimonio idrico, di conservazione della biodiversità, di protezione del paesaggio e dell'ambiente in generale (articolo 4, comma 1, lettera b).
Infine, l'articolo 5 del d.lgs. 34/2018 elenca le aree escluse dalla definizione di bosco.
?Il comma?3 assoggetta al procedimento di autorizzazione paesaggistica semplificata di cui al Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata (DPR n. 31/2017), anche se interessano aree vincolate ai sensi dell'articolo 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004), e nel rispetto di quanto previsto dal piano forestale di indirizzo territoriale e dai piani di gestione forestale o strumenti equivalenti di cui all'articolo 6 del d.lgs. 34/2018, ove adottati, i seguenti interventi ed opere di lieve entità:
a) interventi selvicolturali di prevenzione dei rischi secondo un piano di tagli dettagliato;
b) ricostituzione e restauro di aree forestali degradate o colpite da eventi climatici estremi attraverso interventi di riforestazione e sistemazione idraulica;
c) interventi di miglioramento delle caratteristiche di resistenza e resilienza ai cambiamenti climatici dei boschi.
L'articolo 2 del DPR 31/2017 esenta dall'autorizzazione paesaggistica gli interventi e le opere di cui all'Allegato «A» nonché quelli di cui all'articolo 4 del medesimo DPR.
L'articolo 3 del DPR 31/2017 disciplina gli interventi ed opere di lieve entità soggetti a procedimento autorizzatorio semplificato. In particolare, sono soggetti al procedimento autorizzatorio semplificato gli interventi ed opere di lieve entità elencati nell'Allegato «B».
L'articolo 136 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004) elenca gli immobili ed aree di notevole interesse pubblico. Nel dettaglio, sono soggetti alle disposizioni di tutela e valorizzazione dei beni paesaggistici, per il loro notevole interesse pubblico: a) le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, ivi compresi gli alberi monumentali; b) le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza; c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici; d) le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze.
L'articolo 6, comma 3, del d.lgs. 34/2018, consente la predisposizione da parte delle regioni, nell'ambito di comprensori territoriali omogenei per caratteristiche ambientali, paesaggistiche, economico-produttive o amministrative, di piani forestali di indirizzo territoriale, finalizzati all'individuazione, al mantenimento e alla valorizzazione delle risorse silvo-pastorali e al coordinamento delle attività necessarie alla loro tutela e gestione attiva, nonché al coordinamento degli strumenti di pianificazione forestale di cui al comma 6.
Il comma 6 dell'articolo 6 in esame prevede che le regioni in attuazione dei Programmi forestali regionali di cui al comma 2 e coordinatamente con i piani forestali di indirizzo territoriale di cui al comma 3, ove esistenti, promuovono, per le proprietà pubbliche e private, la redazione di piani di gestione forestale o di strumenti equivalenti, riferiti ad un ambito aziendale o sovraziendale di livello locale, quali strumenti indispensabili a garantire la tutela, la valorizzazione e la gestione attiva delle risorse forestali.
L’articolo 37 reca misure di semplificazione per la riconversione dei siti industriali, al fine di accelerare le procedure di bonifica dei siti contaminati e la riconversione di siti industriali da poter destinare alla realizzazione dei progetti individuati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, in un’ottica di economia circolare e finanziabili con gli ulteriori strumenti di finanziamento europei. A tali fini, si recano novelle a diversi articoli del Codice dell’ambiente (D. Lgs. n. 152 del 2006)
Si ricomprende nel campo di applicazione del Regolamento aree agricole di cui al DM n. 46 del 2019 non solo le aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento, ma anche quelle che, secondo gli strumenti di pianificazione urbanistica, hanno destinazione agricola ma non sono effettivamente utilizzate per la produzione agricola e l’allevamento (lettera a). Si modificano gli articoli 242 e 248 del Codice dell’ambiente al fine di dare certezza ai tempi di esecuzione delle bonifiche e di agevolare le attività necessarie alla certificazione di avvenuta bonifica (lettere b) ed f).
Si novella l’articolo 242-ter del medesimo Codice al fine di ricomprendere anche i progetti del PNRR tra gli interventi e le opere realizzabili nei siti oggetto di bonifica (lettera c). Si novella la disciplina della gestione delle acquee sotterranee emunte, estratte dal sottosuolo, di cui all’articolo 243 del Codice dell'Ambiente, al fine di precisare che il relativo trattamento deve effettuarsi anche in caso di utilizzo nei cicli produttivi in esercizio nel sito, prevedendo altresì il dimezzamento dei termini per il rilascio dell’autorizzazione allo scarico, al fine di accelerare le attività di messa in sicurezza della falda; si modifica l’articolo 245 del Codice ambiente per incentivare le procedure di caratterizzazione da parte dei soggetti non responsabili della contaminazione (lettere d) ed e).
In materia di controlli, si prevede che i controlli debbano effettuarsi anche sul rispetto dei tempi di esecuzione; si attribuisce alla Regione il potere sostitutivo di rilascio della certificazione con la quale si accerta il completamento degli interventi di messa in sicurezza permanente ed operativa, nonché la conformità al progetto approvato, qualora la Provincia non vi provveda entro trenta giorni dal ricevimento della prevista relazione tecnica, previa diffida ad adempiere nel termine di trenta giorni. Inoltre, si prevede la possibilità di procedere alla certificazione di avvenuta bonifica limitatamente al suolo, sottosuolo e materiali di riporto qualora gli obiettivi individuati per tali matrici ambientali vengano raggiunti anticipatamente rispetto a quelli previsti per la falda acquifera, con certificazione da adottare all'esito delle verifiche tecniche; la certificazione deve comprendere anche un piano di monitoraggio (comma 1, lettera f), n. 1)-3)).Si consente a regioni, province autonome ed enti locali territoriali, individuati quali soggetti beneficiari o attuatori, di avvalersi di società in house del MITE, attraverso la stipula di apposite convenzioni, allo scopo di favorire l'accelerazione degli interventi per la messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale (lettera g).
Si recano novelle alla disciplina dei Siti di interesse nazionale (lettera h)), novellando in più punti l'articolo 252 del Codice dell'ambiente, prevedendo, tra l'altro, una procedura semplificata di applicazione a scala pilota di tecnologie di bonifica innovative anche finalizzata all'individuazione dei parametri di progetto necessari per l'applicazione a piena scala; tale applicazione non è soggetta a preventiva approvazione del MITE e può essere eseguita a condizione che avvenga in condizioni di sicurezza sanitaria ed ambientale. Si prevede (nuovo comma 9-quater) l’attribuzione al MITE della competenza ad adottare, con decreto di natura non regolamentare, i modelli delle istanze ed i contenuti minimi della documentazione tecnica da allegare per l'avvio dei procedimenti di bonifica dei siti di interesse nazionale, nonché, con decreto, le norme tecniche in base alle quali l'esecuzione del piano di caratterizzazione sia sottoposto a comunicazione di inizio di attività.
Si recano talune modifiche all'articolo 252-bis del Codice dell'Ambiente, in materia di siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale (lett. i).
Si prevede al comma 2 una clausola di invarianza finanziaria per l'attuazione delle disposizioni recate dall'articolo medesimo.
Il comma 1 dell’articolo in esame interviene sugli articoli 241 e 242 del D. Lgs. n. 152 del 2006, recante Norme in materia ambientale (Codice dell’ambiente).
Le modifiche sono destinate ad accelerare le procedure di bonifica dei siti contaminati e la riconversione di siti industriali da poter destinare alla realizzazione dei progetti individuati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza e finanziabili con gli ulteriori strumenti di finanziamento europei.
Le modifiche impattano sul Titolo V, Parte quarta, del menzionato decreto legislativo, concernenti – rispettivamente:
Ø la bonifica di siti contaminati
Ø norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati.
Più nel dettaglio, la lettera a) aggiunge un nuovo comma 1-bis all’articolo 241 del citato D. Lgs., il quale disciplina il Regolamento aree agricole.
Il nuovo comma viene introdotto al fine di prevedere che, nelle aree con destinazione agricola secondo gli strumenti urbanistici ma non utilizzate per la produzione agricola e l’allevamento da almeno dieci anni alla data di entrata in vigore della disposizione in esame, si applichino le procedure del Titolo V e le concentrazioni di soglia di contaminazione di cui alla Tabella 1, Allegato 5, Titolo V, Parte quarta, del T.U. ambiente, individuate tenuto conto delle attività effettivamente condotte all'interno delle aree. Si prevede, altresì, che - in assenza di attività commerciali e industriali - si applichi la colonna A (cfr. oltre). Si dispone, inoltre, che le disposizioni del medesimo Titolo si applichino anche in tutti i casi in cui non trovi applicazione il Regolamento aree agricole.
Il vigente articolo 241 del D. Lgs. 152/2006, composto dal solo comma 1, disciplina il Regolamento aree agricole, ovvero il regolamento relativo agli interventi di bonifica, ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d'emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento. Si prevede che esso venga adottato con decreto del Ministro dell'ambiente (ora MITE), di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute e delle politiche agricole e forestali. In attuazione di tale previsione, è stato adottato il D.M. 1 marzo 2019, n. 46. Il suddetto D.M. reca il Regolamento relativo agli interventi di bonifica, di ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d'emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento, ai sensi dell'articolo 241 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.Si ricorda, al riguardo, che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 247 del 2009 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’articolo in esame nella parte in cui non prevede che, prima dell'adozione del predetto regolamento, sia sentita la Conferenza unificata di cui all'art. 8 del D. Lgs. n. 281 del 1997.
La citata Tabella 1 (come modificata dall'art. 13, comma 3-bis, del D.L. n. 91 del 2014) reca la concentrazione soglia di contaminazione nel suolo e nel sottosuolo riferiti alla specifica destinazione d'uso dei siti da bonificare. In Tabella sono selezionate, per ogni categoria chimica, alcune sostanze frequentemente rilevate nei siti contaminati; per le sostanze non esplicitamente indicate in Tabella i valori di concentrazione limite accettabili sono ricavati adottando quelli indicati per la sostanza tossicologicamente più affine. La Tabella distingue, nella colonna A, i Siti ad uso Verde pubblico e privato e residenziale e, nella colonna B, i Siti ad uso Commerciale e Industriale (per entrambe mg kg -1 espressi come ss).
La Tabella 1 è ricompresa nell’Allegato 5 - Concentrazione soglia di contaminazione nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti, il quale – a sua volta – fa parte degli ‘Allegati al Titolo V della parte Quarta’ (intestazione così modificata dall'art. 27, comma 4, del D. Lgs. n. 46 del 2014, recante Attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali, in materia di prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento.
La successiva lettera b) aggiunge un nuovo comma e interviene sui commi 7 e 13 dell’articolo 242 del D. Lgs. n. 152 del 2006, concernente le procedure operative ed amministrative, ovvero le misure da porre in opera al verificarsi di un evento potenzialmente in grado di contaminare il sito o all’atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione.
Per l’illustrazione complessiva del richiamato articolo 242 si rinvia al successivo approfondimento, infra.
Nel dettaglio, la lettera in commento interviene sul comma 7 della disposizione del Codice dell'ambiente aggiungendo una frase all’ultimo periodo, al fine di prevedere che, con il provvedimento di approvazione regionale del progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, siano stabiliti non solo i tempi di esecuzione nonché indicate le eventuali prescrizioni per l'esecuzione dei lavori, ma anche:
Ø le verifiche intermedie per la valutazione dell’efficacia delle tecnologie di bonifica adottate
Ø e le attività di verifica in corso d’opera necessarie per la certificazione di cui all’articolo 248, comma 2, con oneri a carico del proponente.
Il citato comma 7 disciplina la procedura di bonifica che il soggetto responsabile è tenuto ad avviare nel caso in cui le attività di monitoraggio rilevino il superamento di una o più concentrazioni soglia di rischio. Esso stabilisce, infatti, che - qualora gli esiti della procedura dell'analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR) - il soggetto responsabile sottoponga alla regione, nei successivi sei mesi dall'approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito. Si prevede che la regione, acquisito il parere del comune e della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile, approvi il progetto, con eventuali prescrizioni e integrazioni, entro 60 giorni dal ricevimento, termine che può essere sospeso una sola volta, qualora la regione ravvisi la necessità di richiedere, con atto motivato, integrazioni documentali o approfondimenti al progetto, assegnando un congruo termine per l'adempimento. In tale ipotesi il termine per l'approvazione del progetto decorre dalla presentazione del progetto integrato. Il vigente ultimo periodo del comma 7 stabilisce che, con il provvedimento di approvazione del progetto in questione, siano stabiliti anche i tempi di esecuzione, indicando altresì le eventuali prescrizioni necessarie per l'esecuzione dei lavori ed è fissata l'entità delle garanzie finanziarie, in misura non superiore al 50% del costo stimato dell'intervento, che devono essere prestate in favore della regione per la corretta esecuzione ed il completamento degli interventi medesimi.
Si ricorda che in base al citato articolo 248, co. 2, il completamento degli interventi di bonifica, di messa in sicurezza permanente e di messa in sicurezza operativa, nonché la conformità degli stessi al progetto approvato sono accertati dalla provincia mediante apposita certificazione sulla base di una relazione tecnica predisposta dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente territorialmente competente.
La lettera in commento aggiunge poi (al n. 2) il nuovo comma 7-bis all’articolo 242 del T.U. ambiente.
Il nuovo comma stabilisce che, qualora gli obiettivi individuati per la bonifica del suolo, sottosuolo e materiali di riporto siano raggiunti anticipatamente rispetto a quelli previsti per la falda, è possibile procedere alla certificazione di avvenuta bonifica di cui all'articolo 248 limitatamente alle predette matrici ambientali, anche a stralcio in relazione alle singole aree catastalmente individuate; resta fermo l'obbligo di raggiungere tutti gli obiettivi di bonifica su tutte le matrici interessate da contaminazione. In tal caso si prevede la necessità di dimostrare e garantire nel tempo che le contaminazioni ancora presenti nelle acque sotterranee fino alla loro completa rimozione, non comportino un rischio per i fruitori dell’area, né una modifica del modello concettuale tale da comportare un peggioramento della qualità ambientale per le altre matrici secondo le specifiche destinazioni d'uso. Si prevede, altresì, che le sopra menzionate garanzie finanziarie di cui all’articolo 242, comma 7, del T.U. (novellato dalla disposizione in esame) ambiente, siano comunque prestate per l'intero intervento e siano svincolate solo al raggiungimento di tutti gli obiettivi di bonifica.
Infine la lettera in esame sopprime il terzo e il quarto periodo del comma 13 dell’articolo 242 del T.U. ambiente.
Il citato comma 13 prevede - al primo periodo - che la procedura di approvazione della caratterizzazione e del progetto di bonifica si svolga in Conferenza di servizi convocata dalla regione e costituita dalle amministrazioni ordinariamente competenti a rilasciare i permessi, autorizzazioni e concessioni per la realizzazione degli interventi compresi nel piano e nel progetto. Esso stabilisce, altresì (al secondo periodo) che la relativa documentazione sia inviata ai componenti della predetta Conferenza almeno 20 giorni prima della data fissata per la discussione e, in caso di decisione a maggioranza, che la delibera di adozione fornisca adeguata e analitica motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza.
La lettera in commento sopprime quindi i successivi due periodi che prevedono, rispettivamente:
Ø la competenza della provincia in materia di rilascio della certificazione di avvenuta bonifica;
Ø l’eventuale competenza della regione in caso di inadempienza della provincia entro il termine di 30 giorni dal ricevimento della delibera di adozione.
In sintesi, si rammenta che in materia di bonifica dei siti contaminati, l'articolo 242 del D. Lgs. 152/2006, come vigente prima dell'entrata in vigore del presente decreto, stabilendo le procedure operative ed amministrative, prevede che: al verificarsi di un evento potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell'inquinamento metta in opera entro 24 ore le necessarie misure di prevenzione, dandone immediata comunicazione; medesima procedura si applica all'atto di individuazione di contaminazioni storiche che possano ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione (comma 1);il responsabile dell'inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolga, nelle zone interessate dalla contaminazione, un'indagine preliminare sui parametri oggetto dell'inquinamento e, ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provveda al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con autocertificazione, al comune e alla provincia competenti per territorio entro 48 ore dalla comunicazione. L'autocertificazione conclude il procedimento di notifica di cui all’articolo in commento, ferme restando le attività di verifica e di controllo da parte dell'autorità competente da effettuarsi nei successivi 15 giorni. Nel caso in cui l'inquinamento non sia riconducibile ad un singolo evento, i parametri da valutare devono essere individuati, caso per caso, sulla base della storia del sito e delle attività ivi svolte nel tempo (comma 2);qualora l'indagine preliminare di cui al comma 2 accerti l'avvenuto superamento delle CSC anche per un solo parametro - il responsabile dell'inquinamento ne deve dare immediata notizia al comune e alle province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate. Nei successivi 30 giorni, presenta alle predette amministrazioni, nonché alla regione territorialmente competente, il piano di caratterizzazione con i requisiti di cui all'Allegato 2, parte quarta del D. Lgs. 152/2006. Entro i successivi 30 giorni la regione, convocata la conferenza di servizi, autorizza il piano di caratterizzazione con eventuali prescrizioni integrative. L'autorizzazione regionale costituisce assenso per tutte le opere connesse alla caratterizzazione, sostituendosi ad ogni altra autorizzazione, concessione, concerto, intesa, nulla osta da parte della PA (comma 3). Sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito è applicata la procedura di analisi del rischio sito specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR); in base al comma 5, qualora gli esiti della procedura dell'analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è inferiore alle CSR, la conferenza dei servizi, con l'approvazione del documento dell'analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il procedimento. In tal caso la conferenza di servizi può prescrivere lo svolgimento di un programma di monitoraggio sul sito circa la stabilizzazione della situazione riscontrata in relazione agli esiti dell'analisi di rischio e all'attuale destinazione d'uso del sito. A tal fine, il soggetto responsabile, entro 60 giorni dall'approvazione di cui sopra, invia alla provincia e alla regione competenti per territorio un piano di monitoraggio nel quale sono individuati: a) i parametri da sottoporre a controllo; b) la frequenza e la durata del monitoraggio; in base al comma 6, la regione, sentita la provincia, approva il piano di monitoraggio entro 30 giorni dal ricevimento dello stesso (termine sospendibile una sola volta, qualora l'autorità competente ravvisi la necessità di richiedere, con atto motivato, integrazioni documentali o approfondimenti del progetto, assegnando congruo termine per l'adempimento). Alla scadenza del periodo di monitoraggio, il soggetto responsabile ne dà comunicazione alla regione e alla provincia, inviando una relazione tecnica degli esiti del monitoraggio svolto. Qualora le attività di monitoraggio rilevino il superamento di una o più CSR, il soggetto responsabile dovrà avviare la procedura di bonifica di cui al comma 7. In base al comma 8, i criteri per la selezione e l'esecuzione degli interventi di bonifica e ripristino ambientale, di messa in sicurezza operativa o permanente, nonché per l'individuazione delle migliori tecniche di intervento a costi sostenibili (B.A.T.N.E.E.C. - Best Available Technology Not Entailing Excessive Costs) ai sensi delle normative comunitarie sono riportati nell'Allegato 3 alla parte quarta del decreto in commento. La messa in sicurezza operativa, riguardante i siti contaminati, garantisce adeguata sicurezza sanitaria e ambientale e impedisce un'ulteriore propagazione dei contaminanti. I progetti di messa in sicurezza operativa sono accompagnati da piani di monitoraggio dell'efficacia delle misure adottate e indicano se all'atto della cessazione dell'attività si renderà necessario un intervento di bonifica o di messa in sicurezza permanente. Possono essere altresì autorizzati interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di messa in sicurezza degli impianti e delle reti tecnologiche, purché non compromettano la possibilità di effettuare o completare gli interventi di bonifica condotti adottando appropriate misure di prevenzione dei rischi (co. 9). Nel caso di caratterizzazione, bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale di siti con attività in esercizio, la regione, in sede di approvazione del progetto, assicura che i predetti interventi siano articolati in modo da risultare compatibili con la prosecuzione dell’attività; nel caso di eventi avvenuti anteriormente all'entrata in vigore della parte quarta del decreto in esame, che si manifestino successivamente a tale data in assenza di rischio immediato per l'ambiente e la salute pubblica, il soggetto interessato comunica alla regione, alla provincia e al comune competenti l'esistenza di una potenziale contaminazione unitamente al piano di caratterizzazione del sito, al fine di determinarne l'entità e l'estensione con riferimento ai parametri indicati nelle CSC ed applichi le procedure indicate. Le indagini e le attività istruttorie sono svolte dalla provincia, che si avvale della competenza tecnica dell'ARPA e si coordina con le altre amministrazioni. Si ricorda che in base al comma 13-bis, per la rete di distribuzione carburanti si prevede si applichino le procedure semplificate di cui all'articolo 252, comma 4.
Il comma 1, lettera c), interviene con cinque novelle all'articolo 242-ter del d. lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell'Ambiente), recante interventi e opere nei siti oggetto di bonifica.
L'articolo 242-ter del Codice dell'ambiente è stato introdotto dall'articolo 52, comma 1, del d. l. c.d. "semplificazioni" n. 76 del 2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 120 del 2020, al fine di ampliare e semplificare la realizzazione di determinati interventi in aree incluse nel perimetro di terreni che sono oggetto di bonifica, a condizione che tali interventi non pregiudichino né interferiscano con l’esecuzione e il compimento della bonifica, né determinino rischi per la salute dei lavoratori. In tale ambito, si sono altresì disciplinate le procedure e le modalità di caratterizzazione, scavo e gestione dei terreni movimentati, abrogando, conseguentemente, quanto disposto dai commi da 7 a 10 dell’art. 34 del D.L. 133/2014 (cd. Decreto “Sblocca Italia”), sulla gestione dei materiali di scavo nei siti oggetto di bonifica per la realizzazione di determinate opere.
· Una prima novella concerne il comma 1 dell'articolo 242-ter, prevedendosi che - in aggiunta agli interventi e alle opere che possono già essere realizzati nei siti oggetto di bonifica, ivi compresi i siti di interesse nazionale - possano essere realizzati anche i progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (comma 1, lettera c), n. 1).
La relazione illustrativa specifica che attraverso questa previsione anche i siti non ancora bonificati possono essere immediatamente utilizzati per la realizzazione dei progetti del PNRR.
Gli interventi previsti dal comma 1 del citato art. 242-ter riguardano:
- interventi e opere richiesti dalla normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro;
- manutenzione ordinaria e straordinaria di impianti e infrastrutture, compresi adeguamenti alle prescrizioni autorizzative;
- opere lineari necessarie per l’esercizio di impianti e forniture di servizi;
- altre opere lineari di pubblico interesse;
- sistemazione idraulica;
- mitigazione del rischio idraulico;
- opere per la realizzazione di impianti per la produzione energetica da fonti rinnovabili e di sistemi di accumulo, esclusi gli impianti termoelettrici (fatti salvi i casi di riconversione da un combustibile fossile ad altra fonte meno inquinante o qualora l’installazione comporti una riduzione degli impatti ambientali rispetto all’assetto esistente), incluse le opere con le medesime connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli stessi impianti;
- tipologie di opere e interventi individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 7-bis del Codice dell’ambiente, cioè gli interventi statali sottoposti a VIA presenti nell’allegato II alla parte seconda del Codice dell’ambiente (in sostanza grandi impianti come raffinerie, elettrodotti, centrali termiche, strade, ferrovie, etc).
· Una seconda novella inserisce un nuovo comma 1-bis all'articolo 242-ter prevedendo che le disposizioni sugli interventi e le opere da realizzare nei siti oggetto di bonifica si applichino anche per la realizzazione di opere che non prevedono scavi ma comportano occupazione permanente di suolo, a condizione che sul sito oggetto di bonifica sia già stata effettuata la caratterizzazione di cui all'articolo 242 (comma 1, lettera c), n. 2), della disposizione in esame).
L’art. 242 del Codice dell’ambiente disciplina le procedure operative ed amministrative per l’effettuazione delle analisi in caso di un evento che potenzialmente potrebbe contaminare un sito; in particolare, sono disciplinate le attività riguardanti le analisi del livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) del sito.
La caratterizzazione ambientale di un sito è identificabile con l'insieme delle attività che permettono di ricostruire i fenomeni di contaminazione a carico delle matrici ambientali, in modo da ottenere le informazioni di base su cui prendere decisioni realizzabili e sostenibili per la messa in sicurezza e/o bonifica del sito. Le attività di caratterizzazione devono essere condotte in modo tale da permettere la validazione dei risultati finali da parte delle Pubbliche Autorità in un quadro realistico e condiviso delle situazioni di contaminazione eventualmente emerse.
· La terza e la quarta novella all'articolo 242-ter (nn. 3 e 4) - con cui si interviene sui commi 2 e 3 della norma novellata - sono conseguenziali alla precedente modifica, come di seguito specificato:
- il comma 2 è modificato prevedendo che l'effettuazione della caratterizzazione ambientale sul sito oggetto di bonifica di cui al nuovo comma 1-bis rientri tra le condizioni al rispetto delle quali è prevista la valutazione da parte dell’Autorità competente ai sensi del Titolo V, parte quarta del Codice dell'Ambiente (ossia la Regione o il Ministero dell’ambiente, ora MITE) nell’ambito dei procedimenti di approvazione ed autorizzazione degli interventi, e, ove prevista, nell’ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) dei medesimi interventi.
Le altre condizioni al rispetto delle quali è effettuata la valutazione dell'Autorità competente, contemplate al comma 1, sono le seguenti:
- che gli interventi siano realizzati secondo modalità e tecniche che non pregiudichino né interferiscano con l’esecuzione e il completamento della bonifica;
- che i medesimi interventi non determinino rischi per la salute dei lavoratori e degli altri fruitori dell’area nel rispetto del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Testo unico sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro).
- Il comma 3 novellato estende alla realizzazione delle opere senza scavi e con occupazione permanente di suolo (di cui al nuovo comma 1-bis) la procedura semplificata - senza cioè la preventiva autorizzazione della predetta Autorità competente - che la normativa vigente già prevede per la realizzazione degli interventi e delle opere nei siti oggetto di bonifica, ivi compresi i siti di interesse nazionale individuate dal comma 1, e per le attività di scavo previste dall’articolo 25 del D.P.R. 120/2017, da realizzare nei siti oggetto di bonifica (n. 4 della lettera c) della disposizione in esame).
Il D.P.R. 120/2017, emanato ai sensi dell’art. 8 del D.L. 133/2014 per il riordino dell’intera materia “Terre e rocce da scavo”, individua, tra l’altro, la disciplina per la gestione delle terre e rocce da scavo, anche quando sono prodotte nei siti oggetto di bonifica e per le relative attività di verifica e controllo, poste in capo alle Agenzie di protezione ambientale (ARPA); in particolare, gli artt. 25 e 26 del citato D.P.R. 120/217 sono riferiti specificamente alla gestione delle terre e rocce da scavo prodotte nei siti oggetto di bonifica già caratterizzati ed al loro riutilizzo esclusivamente interno al sito di produzione, per cui il materiale scavato, conforme alle condizioni di utilizzo, appartiene alla fattispecie delle terre e rocce da scavo escluse dall’ambito di applicazione della normativa sui rifiuti e non a quella dei sottoprodotti.
Si ricorda che con le Linee Guida del Sistema nazionale a rete (SNPA) n. 22/2019 sono state dettate linee guida sull’applicazione della disciplina per l’utilizzo di terre e rocce da scavo con riferimento ai temi trattati nel DPR 120/2017, quali: le operazioni di caratterizzazione, la gestione come sottoprodotto o nella previsione della loro esclusione dalla disciplina dei rifiuti, con particolare riferimento a contesti specifici quali ad esempio la gestione nei siti oggetto di procedimenti di bonifica, materiali contenenti amianto, presenza di materiali di riporto, chiarendo anche alcuni aspetti con riguardo alla “normale pratica industriale”; le Linee guida forniscono poi indicazioni alle agenzie del SNPA circa i criteri per la programmazione delle ispezioni, controlli e verifiche nonché sui criteri per le verifiche tecniche ed amministrative finalizzate alla valutazione preliminare del piano di utilizzo.
· Con una quinta novella all'art. 242-ter si introduce il nuovo comma 4-bis nella norma novellata, prevedendo l'applicazione della procedura di cui all'articolo 11 del D.P.R. n. 120 del 2017 per la definizione dei valori di fondo naturale (n. 5 della lettera c) in esame).
Nella relazione illustrativa si precisa che in tal modo si rendono immediatamente fruibili per nuovi investimenti aree non contaminate ma caratterizzate dalla presenza naturale di determinati elementi (quali ad es. l'arsenico).
I valori di fondo naturale (ISO 19258) sono caratteristiche statistiche del contenuto naturale pedogeochimico di una sostanza nei suoli. L'esigenza di definire tali valori si spiega col fatto che tali fenomeni naturali determinano la presenza o l'arricchimento di sostanze minerali le cui proprietà tossicologiche possono determinare effetti dannosi per la salute umana. Questi casi devono essere considerati in maniera differente rispetto ai fenomeni di inquinamento antropico, ossia generati dalle attività umane, perché in questi casi la legge ammette che i valori limite di legge (le cosiddette 'CSC', acronimo di 'Concentrazioni Soglia di Contaminazione') dei suoli e delle acque possano essere superati, a condizione che sia accertata e dimostrata l'origine naturale delle concentrazioni eccedenti.
In base alla procedura di cui all'articolo 11 del D.P.R. n. 120 del 2017 il proponente segnala il superamento delle soglie di legge e contestualmente presenta all'Agenzia di protezione ambientale (ARPA) territorialmente competente un piano di indagine per definire i valori di fondo naturale da assumere. Tale piano, condiviso con la competente Agenzia, è eseguito dal proponente con oneri a proprio carico, in contraddittorio con l'Agenzia entro 60 giorni dalla presentazione dello stesso. Sulla base delle risultanze del piano di indagine, nonché di altri dati disponibili per l'area oggetto di indagine, l'ARPA competente definisce i valori di fondo naturale. Il proponente predispone il piano di utilizzo sulla base dei valori di fondo definiti dall'ARPA.
Il comma 1, lettera d) interviene con due novelle al comma 6 dell'articolo 243 del Codice dell'Ambiente, in materia di gestione delle acque sotterranee emunte (ovvero estratte dal sottosuolo).
Con la prima modifica si prevede che il trattamento delle acque emunte - finalizzato a garantire un'effettiva riduzione delle sostanze inquinanti e di evitare il trasferimento ai corpi idrici superficiali della contaminazione presente nelle acque sotterranee - debba effettuarsi anche in caso di utilizzazione nei cicli produttivi in esercizio nel sito.
La seconda modifica - introduttiva, alla fine del comma, di un nuovo periodo - è invece volta a prevedere il dimezzamento dei termini per il rilascio dell'autorizzazione allo scarico delle acque emunte al fine di garantire la celerità degli interventi di messa in sicurezza, di emergenza e di prevenzione.
Si ricorda che l'art. 41, comma 1, D.L. 21 giugno 2013, n. 69, ha recato semplificazioni in materia di trattamento delle acque emunte nell'ambito di interventi di bonifica. La normativa in materia prevede che, al fine di impedire e arrestare l'inquinamento delle acque sotterranee nei siti contaminati, oltre ad adottare le necessarie misure di messa in sicurezza e di prevenzione dell'inquinamento delle acque, anche tramite conterminazione idraulica con emungimento e trattamento, devono essere individuate e adottate le migliori tecniche disponibili per eliminare, anche mediante trattamento secondo quanto previsto dall'articolo 242, o isolare le fonti di contaminazione dirette e indirette; in caso di emungimento e trattamento delle acque sotterranee deve essere valutata la possibilità tecnica di utilizzazione delle acque emunte nei cicli produttivi in esercizio nel sito, in conformità alle finalità generali e agli obiettivi di conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti nella parte terza del Codice.
I co. 2-4 della norma disciplinano la gestione delle acque emunte (con ricorso al barrieramento fisico, ovvero in caso di immissione di acque emunte in corpi idrici superficiali o in fognatura previo trattamento depurativo, ovvero mediante acque convogliate tramite un sistema stabile di collettamento. In base al co. 5, in deroga a quanto previsto dalla normativa indicata e ai soli fini della bonifica, è ammessa la reimmissione, previo trattamento, delle acque sotterranee nello stesso acquifero da cui sono emunte; a tal fine il progetto di cui all'articolo 242 deve indicare la tipologia di trattamento, le caratteristiche qualitative e quantitative delle acque reimmesse, le modalità di reimmissione e le misure di controllo e monitoraggio della porzione di acquifero interessata; le acque emunte possono essere reimmesse anche mediante reiterati cicli di emungimento, trattamento e reimmissione, e non devono contenere altre acque di scarico né altre sostanze ad eccezione di sostanze necessarie per la bonifica espressamente autorizzate.
Il comma 1, lettera e) modifica il comma 2 dell'articolo 245 del Codice dell'ambiente in materia di obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non responsabili della potenziale contaminazione, aggiungendo due nuovi periodi (dopo il secondo periodo del testo vigente) volti ad integrare il procedimento di identificazione del soggetto responsabile della contaminazione di un sito.
Sulla base della normativa previgente - contemplata a regime dai primi due commi dell'art. 245 - le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale possono essere sempre attivate su iniziativa degli interessati non responsabili. Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale contaminazione di un sito, il proprietario o il gestore dell'area che rilevi il superamento o il rischio del superamento del livello di concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare le prescritte misure di prevenzione. La provincia, una volta ricevute le suddette comunicazioni, si attiva, sentito il comune, per l'identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso agli interventi di bonifica. È comunque riconosciuta al proprietario o ad altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari nell'ambito del sito.
L'intervento in esame prevede che il suddetto procedimento sia interrotto qualora il soggetto non responsabile della contaminazione - entro 6 mesi dall'approvazione o comunicazione della procedura di bonifica attribuita alla competenza del MITE ai sensi dell'art. 252, comma 4 - esegua volontariamente il piano di caratterizzazione e che, in questo caso, il procedimento di identificazione del responsabile debba concludersi entro il termine perentorio di 60 giorni dal ricevimento delle risultanze dalla predetta caratterizzazione validate dall'ARPA (Agenzia regionale per la protezione ambientale) competente.
Nella relazione illustrativa si sottolinea che la modifica in esame consente di introdurre tempi certi per l'individuazione del soggetto responsabile della contaminazione da parte della Provincia e fornisce al soggetto non responsabile della contaminazione (cha ha avviato volontariamente le procedure di bonifica) lo strumento per agire in via di rivalsa nei confronti del soggetto responsabile.
Per la procedura di bonifica di cui al comma 4 dell'art. 252 del Codice dell'ambiente, si veda infra, con riferimento alle modifiche recate dal comma 1, lettera h), dell'articolo in esame.
Il comma 1, lettera f), introduce tre novelle all'articolo 248 del Codice dell'ambiente in materia di controlli:
· al comma 1, si prevede che i controlli - effettuati dalla provincia e dall'ARPA territorialmente competente sulla conformità degli interventi (di bonifica e di messa in sicurezza) ai progetti approvati - debbano effettuarsi anche sul rispetto dei tempi di esecuzione di cui all'articolo 242, comma 7.
Ai sensi dell'art. 242, comma 7, del Codice dell'Ambiente, qualora gli esiti della procedura dell'analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è superiore ai valori di concentrazione soglia di rischio (CSR), il soggetto responsabile sottopone alla regione, nei successivi sei mesi dall'approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto operativo degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale, al fine di minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito. In presenza di interventi complessi, il progetto può essere articolato per fasi progettuali distinte al fine di rendere possibile la realizzazione degli interventi per singole aree o per fasi temporali successive. La regione, acquisito il parere del comune e della provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile, approva il progetto, con eventuali prescrizioni ed integrazioni entro sessanta giorni dal suo ricevimento. Il predetto termine può essere suscettibile di sospensione per una volta sola qualora sia necessario richiedere, con atto motivato, integrazioni documentali o approfondimenti al progetto, assegnando un congruo termine per l'adempimento. Con il provvedimento di approvazione del progetto sono stabiliti anche i tempi di esecuzione, indicando altresì le eventuali prescrizioni necessarie per l'esecuzione dei lavori ed è fissata l'entità delle garanzie finanziarie, in misura non superiore al cinquanta per cento del costo stimato dell'intervento, che devono essere prestate in favore della regione per la corretta esecuzione ed il completamento degli interventi medesimi.
· La modifica recata al comma 2, con un periodo aggiunto, è volta ad attribuire alla Regione il potere sostitutivo di rilascio della certificazione con la quale - sulla base della relazione tecnica predisposta dall'ARPA territorialmente competente - si accerta il completamento degli interventi di messa in sicurezza permanente ed operativa, nonché la conformità degli stessi al progetto approvato.
Si prevede che tale potere possa essere attivato qualora la Provincia non vi provveda entro trenta giorni dal ricevimento della predetta relazione tecnica e che debba essere esercitato nei sessanta giorni successivi all'inerzia provinciale, previa diffida ad adempiere nel termine di trenta giorni.
· Con un nuovo comma 2-bis - introdotto dal n. 3) della lett. f) -si prevede la possibilità di procedere alla certificazione di avvenuta bonifica limitatamente al suolo, sottosuolo e materiali di riporto qualora gli obiettivi individuati per le predette matrici ambientali vengano raggiunti anticipatamente rispetto a quelli previsti per la falda acquifera.
La certificazione in esame deve essere adottata all'esito delle verifiche tecniche volte a garantire che le contaminazioni presenti nelle acque sotterranee fino alla loro completa rimozione non comportino un rischio per i fruitori dell'area né un peggioramento della qualità ambientale per le altre matrici di cui al nuovo comma 7-bis dell'artt. 242 (inserito dal comma 1, lettera b), n. 2) dell'articolo in esame, come supra specificato).
Si ricorda che tale nuovo comma stabilisce che, qualora gli obiettivi individuati per la bonifica del suolo, sottosuolo e materiali di riporto siano raggiunti anticipatamente rispetto a quelli previsti per la falda, è possibile procedere alla certificazione di avvenuta bonifica limitatamente alle predette matrici ambientali, anche a stralcio in relazione alle singole aree catastalmente individuate; resta fermo l'obbligo di raggiungere tutti gli obiettivi di bonifica su tutte le matrici interessate da contaminazione; in tal caso si prevede la necessità di dimostrare e garantire nel tempo che le contaminazioni ancora presenti nelle acque sotterranee fino alla loro completa rimozione non comportino un rischio per i fruitori dell’area, né una modifica del modello concettuale tale da comportare un peggioramento della qualità ambientale per le altre matrici secondo le specifiche destinazioni d'uso.
La novella dispone altresì che tale certificazione di avvenuta bonifica debba comprendere anche un piano di monitoraggio volto a verificare l'evoluzione nel tempo della contaminazione rilevata nella falda.
Il comma 1, lettera g) introduce un comma 1-bis all'art. 250 del Codice dell'Ambiente consentendo a talune regioni, province autonome ed enti locali territoriali di avvalersi - con le risorse disponibili a legislazione vigente e senza nuovi oneri a carico della finanza pubblica - attraverso la stipula di apposite convenzioni, di società in house del MITE, allo scopo di favorire l'accelerazione degli interventi per la messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale. Tali enti pubblici territoriali sono individuati quali soggetti beneficiari e/o attuatori in appositi accordi di programma sottoscritti con il MITE ai sensi dell'art. 15 della legge sul procedimento amministrativo.
Nella relazione illustrativa si specifica che la suddetta modifica è operata in analogia con quanto già previsto dall'art. 5 della delibera CIPE del 1° agosto 2019, n. 64, recante interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico e per il ripristino e la tutela della risorsa ambientale, e dalla successiva delibera CIPE del 29 settembre 2020, n. 57 recante modifiche ed integrazioni alla delibera n. 64/2019.
Con la prima disposizione si stabilisce la facoltà per i commissari straordinari di avvalersi - per il supporto tecnico specialistico e per le attività propedeutiche e strumentali alla messa a bando e alla realizzazione degli interventi finanziati attraverso il Fondo sviluppo e coesione 2014-2020 - della società in house Sogesid, entro il limite del 3 per cento del finanziamento assegnato, attraverso apposite convenzioni stipulate sulla base dei costi previsti dalla convenzione-quadro con il MITE sottoscritta in data 19 dicembre 2018.
Con la delibera n. 57 del 2020 si prevede che, per gli interventi di valore inferiore ai 10 milioni di euro, i Presidenti di Regione in qualità di Commissari straordinari ovvero i soggetti attuatori delegati, utilizzeranno per le progettazioni e le relative procedure di gara, le società in house dello Stato individuate dalla normativa nazionale e le centrali di committenza qualificate ai sensi dell’articolo 38 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n.50 “Codice dei contratti pubblici”. Il MITE, nel mese di giugno 2021, riferirà al CIPE sullo stato di attuazione della Delibera.
L'art. 250 del Codice dell'Ambiente, in materia di Bonifica da parte dell'amministrazione, prevede che qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti ovvero non siano individuabili e non provvedano né il proprietario del sito né altri soggetti interessati, le procedure e gli interventi di bonifica sono realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla regione, secondo l'ordine di priorità fissato dal piano regionale per la bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al fine di anticipare le somme per i predetti interventi le regioni possono istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio.
Le novelle in materia di Siti di interesse nazionale
Il comma 1, lettera h) apporta dieci novelle all'articolo 252 del Codice dell'ambiente, in materia di siti di interesse nazionale (SIN).
· Con la prima modifica si interviene sul comma 3, che disciplina il ruolo dei diversi soggetti istituzionali coinvolti in merito alla perimetrazione dei siti oggetto di bonifica. Si attribuisce al MITE, su proposta dell'ISPRA, il compito di adottare un decreto di natura regolamentare volto ad individuare i valori di intervento sito-specifici delle matrici ambientali in aree marine, che costituiscono i livelli di contaminazione al di sopra dei quali vanno previste misure funzionali all'uso legittimo delle aree e proporzionali all'entità della contaminazione.
Nella relazione illustrativa si specifica che l'intervento in oggetto è volto a colmare un vuoto normativo in ordine alla bonifica delle aree marine incluse nei SIN - che ostacola la conclusione dei procedimenti ed è foriero di azioni giudiziarie - posto che non è applicabile ai sedimenti marini l'analisi di rischio sito specifica ai sensi dell'allegato 1 al titolo V, parte quarta del Codice dell'Ambiente.
· La seconda e la terza novella intervengono sul comma 4, che regolamenta la procedura di bonifica dei siti di interesse nazionale.
Sulla base della disciplina vigente, la procedura di bonifica dei siti di interesse nazionale è attribuita alla competenza del MITE, sentito il Ministero delle Attività produttive. Il MITE si avvale per l'istruttoria tecnica del Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente (SNPA) e dell'Istituto superiore di sanità nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati.
Il decreto in esame interviene sulla suddetta procedura:
- con un intervento volto ad aggiornare il riferimento alla denominazione del Ministero delle Attività produttive con il riferimento al MISE;
- introducendo un nuovo periodo, volto a prevedere che la procedura di esecuzione del piano di caratterizzazione di un sito contaminato, possa essere liberamente effettuata decorsi sessanta giorni dalla comunicazione di inizio attività al Sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente (SNPA).
Tale procedura può peraltro svolgersi solo a condizione che siano rispettate le norme tecniche adottate con decreto del MITE, secondo quanto previsto dal successivo comma 9-quinquies aggiunto dal decreto in esame (v. infra). Qualora il SNPA dovesse invece accertare il mancato rispetto delle predette norme tecniche, adotterà un provvedimento motivato di natura inibitoria rispetto all'inizio o alla prosecuzione delle operazioni, salvo che il proponente non provveda a conformarsi entro il termine e secondo le prescrizioni stabiliti dal medesimo SNPA.
Si valuti di specificare il termine entro il quale si prevede che il Sistema nazionale a rete adotti il provvedimento di inibizione dell'inizio o di prosecuzione delle operazioni di esecuzione del piano di caratterizzazione, in relazione all'accertamento previsto.
· Con una quarta novella, si interviene ad abrogare il comma 4-quater - inserito dall'art. 53, comma 1, del D.L. n. 76 del 2020, come convertito - che disciplina la certificazione di avvenuta bonifica dei siti di interesse nazionale rilasciata limitatamente al suolo, sottosuolo e materiali di riporto se gli obiettivi individuati per queste matrici ambientali siano stati raggiunti anticipatamente rispetto a quelli previsti per le falde acquifere.
Nella relazione illustrativa si precisa che la disposizione abrogata non si rende più necessaria in ragione del rinvio operato dal comma 4 dell'art. 252 alle procedure di bonifica dell'art. 242, del Codice dell'Ambiente, il cui comma 7-bis consente ora - alla luce delle modifiche introdotte alla lett. b), n. 2 e alla lett. f), n. 3, del comma 1 dell'articolo in esame, come supra specificato - di applicare anche nei siti regionali (e non più ai soli SIN) la suddetta certificazione semplificata di avvenuta bonifica per suolo, sottosuolo e materiali di riporto.
Il comma 4-quater contemplava il ricorso alla procedura di certificazione di avvenuta bonifica di cui all'art. 248, anche a stralcio in relazione alle singole aree catastalmente individuate, specificando che permane l'obbligo di raggiungere tutti gli obiettivi di bonifica su tutte le matrici interessate da contaminazione. In tal caso, si prevedeva la necessità di effettuare un'Analisi di Rischio atta a dimostrare che le contaminazioni ancora presenti nelle acque sotterranee fino alla loro completa rimozione non comportino un rischio per i fruitori e le altre matrici ambientali secondo le specifiche destinazioni d'uso. Le garanzie fideiussorie, comunque prestate per l'intero intervento, dovevano essere svincolate solo al raggiungimento di tutti gli obiettivi di bonifica. Per ulteriori approfondimenti su tale disposizione, introdotta dal c.d. DL semplificazioni 76/2020, si veda il relativo dossier.
· Una quinta modifica viene apportata al comma 5, che regola la procedura di intervento sostitutivo del MITE nei casi di inerzia del soggetto responsabile dell'inquinamento o del proprietario del sito contaminato o degli altri soggetti interessati all'effettuazione della bonifica e degli altri interventi di messa in sicurezza del sito di interesse nazionale contaminato. La disposizione previgente prevedeva che intervenisse in via sostitutiva il MITE avvalendosi dell'ISPRA, dell'Istituto superiore di sanità (ISS) e dell'ENEA nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati. Con la modifica in oggetto si prevede che tali ultimi soggetti qualificati di cui si avvale il Ministero possano intervenire anche coordinandosi tra loro.
· Con la sesta e la settima novella si interviene sul comma 6, che regola gli effetti dell'autorizzazione del progetto e dei relativi interventi di bonifica che, oltre a sostituire a tutti gli effetti le necessarie autorizzazioni, concessioni, concerti, intese, nulla osta, pareri e assensi contemplati dalla normativa vigente, costituisce altresì variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori.
Con la sesta modifica si precisa che l'autorizzazione del progetto e dei relativi interventi ricomprende - anziché sostituisce, come attualmente previsto - i suddetti titoli abilitativi ed autorizzatori ed atti di assenso comunque denominati.
Con la settima modifica si inserisce un nuovo periodo al comma 6 prevedendosi l'onere in capo al proponente di allegare all'istanza oggetto di autorizzazione la documentazione e gli elaborati tecnici previsti dalle normative di settore allo scopo di consentire l'istruttoria tecnico-amministrativa finalizzata al rilascio degli atti di assenso comunque denominati necessari alla realizzazione ed all'esercizio del progetto, che vanno altresì elencati dettagliatamente con l'indicazione anche dell'Amministrazione ordinariamente competente.
· Con l'ottava modifica si abroga il comma 8, recante il procedimento di autorizzazione provvisoria di competenza del MITE per l'avvio dei lavori per la realizzazione dei relativi interventi di bonifica.
Tale procedimento, in base alla norma previgente, era avviato in attesa del perfezionamento del provvedimento definitivo di autorizzazione, su richiesta dell'interessato e ove ricorressero motivi d'urgenza e fatta salva l'acquisizione della pronunzia positiva del giudizio di compatibilità ambientale, laddove prevista.
Nella relazione illustrativa si precisa che la disposizione abrogata, oltre ad essere nei fatti inapplicata, pone problemi di compatibilità con la direttiva comunitaria, nella parte in cui sembra legittimare l'avvio dei lavori anche in assenza della VIA.
· Con la nona modifica si inserisce un nuovo comma 8-bis, volto ad introdurre una procedura semplificata di applicazione a scala pilota, in campo, di tecnologie di bonifica innovative anche finalizzata all'individuazione dei parametri di progetto necessari per l'applicazione a piena scala. Tale applicazione non è soggetta a preventiva approvazione del MITE e può essere eseguita a condizione che avvenga in condizioni di sicurezza sanitaria ed ambientale.
La novella in esame attribuisce altresì al SNPA e all'ISS - che si pronunciano entro sessanta giorni dalla presentazione dell'istanza corredata dalla necessaria documentazione tecnica - il compito di verificare il rispetto delle suddette condizioni di sicurezza.
· La decima ed ultima modifica recata all'art. 252 del Codice dell'ambiente è volta ad introdurre un nuovo comma 9-quater che attribuisce al MITE la competenza ad adottare:
- con decreto di natura non regolamentare, i modelli delle istanze ed i contenuti minimi della documentazione tecnica da allegare per l'avvio dei procedimenti di bonifica dei siti di interesse nazionale di cui al comma 4 (come novellato dal decreto in esame, con riferimento alla seconda e terza novella recata all'art. 252);
- con decreto, le norme tecniche in base alle quali l'esecuzione del piano di caratterizzazione è sottoposto a comunicazione di inizio di attività ai sensi del comma 4 (come novellato dal decreto in esame).
Siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale
Il comma 1, lettera i) introduce due modifiche all'articolo 252-bis del Codice dell'Ambiente, recante siti inquinati nazionali di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale.
L'art. 252-bis è stato inserito dall'art. 2, comma 43-ter del d.lgs. n. 4 del 2008 ed è stato successivamente sostituito dall'art. 4, comma 1, D.L. n. 145 del 2013, convertito con modificazioni dalla l. n. 9 del 2014.
Il comma 8 della norma (al primo periodo, non toccato dalla novella) prevede che gli interventi per l'attuazione del progetto integrato sono autorizzati e approvati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro dello sviluppo economico sulla base delle determinazioni assunte in Conferenza di Servizi indetta dal Ministero dell'ambiente ai sensi dell'articolo 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241.
Si ricorda, in estrema sintesi, la possibilità prevista dalla normativa da parte del MITE e del MISE di stipulare accordi di programma con uno o più proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare progetti integrati di bonifica o messa in sicurezza e di riconversione industriale e sviluppo economico in siti di interesse nazionale al fine di promuovere il riutilizzo di tali siti in condizioni di sicurezza sanitaria ed ambientale (comma 1). I commi da 2 a 11 del individuano: - le modalità, i criteri ed i contenuti obbligatori degli accordi di programma (commi 2 e 3); i requisiti dei soggetti interessati e gli impegni da essi assunti, con l’individuazione delle rispettive responsabilità (commi da 4 a 7); le modalità di approvazione degli interventi per l’attuazione dei progetti integrati (decreto ministeriale adottato sulla base delle determinazioni assunte in apposita conferenza di servizi) e gli effetti prodotti dai decreti di approvazione, che consentono la costruzione e l’esercizio degli impianti e delle opere connesse (commi 8 e 9); la costituzione di società in house (con oneri posti a carico delle risorse stanziate a legislazione vigente) per l’attuazione dei citati progetti integrati di bonifica, riconversione industriale e sviluppo economico (comma 10); l’adozione di misure volte a favorire la formazione di nuove competenze professionali, anche nell’ambito degli istituti tecnici superiori, in materia di bonifica ambientale, finanziate, nell’ambito delle risorse stanziate a legislazione vigente nonché a valere sulle risorse della programmazione 2014-2020 previamente incluse negli accordi di programma (comma 11).
Nella relazione illustrativa si precisa che le modifiche all'art. 252-bis sono volte a semplificare l'azione amministrativa, allineando le modalità di approvazione dei progetti integrati, previsti nell'ambito degli accordi di programma per la riconversione industriale di aree ricomprese nei SIN, alle modalità generali di approvazione previste dall'articolo 252 (come modificato dal decreto in esame).
· Una prima modifica - sostitutiva del secondo e terzo periodo del comma 8 - è volta a intervenire sul procedimento di autorizzazione ed approvazione degli interventi per l'attuazione del progetto integrato di messa in sicurezza o bonifica e di riconversione industriale e sviluppo economico in siti di interesse nazionale, prevedendo che alla Conferenza dei servizi propedeutica all'adozione del suddetto provvedimento autorizzatorio (recato con decreto interministeriale del MITE e del MISE) partecipino i soli soggetti pubblici firmatari dell'accordo di programma.
La precedente formulazione invece prevedeva la elencazione di più soggetti titolari del diritto di partecipazione alla Conferenza dei Servizi, quali non solo tutti i soggetti pubblici firmatari dell'accordo di programma, bensì anche:
- i titolari dei procedimenti di approvazione ed autorizzazione degli interventi, opere ed attività previste dall'accordo medesimo;
- i soggetti interessati proponenti. Tali due categorie risultano quindi espunte con la novella in parola.
Nel dettaglio, in base al secondo periodo previgente, alla Conferenza di Servizi partecipano tutti i soggetti pubblici firmatari dell'accordo di programma o titolari dei procedimenti di approvazione e autorizzazione, comunque denominati, aventi ad oggetto gli interventi, le opere e le attività previste dall'accordo medesimo, nonché i soggetti interessati proponenti.
Viene inoltre espunta la previsione, di cui al terzo periodo previgente, in base alla quale l'assenso espresso dai rappresentanti degli enti locali sulla base delle determinazioni a provvedere degli organi competenti, sostituiva ogni atto di competenza di detti enti.
Si prevede invece che, in tale procedimento, si applichino i commi 6 e 7 dell'art. 252 del Codice ambientale, come novellati dalla disposizione in esame.
In sintesi, si ricorda che sulla base del comma 6, come novellato dall'articolo 38 del decreto in esame (come riportato supra in riferimento alla sesta e settima novella recate dal comma 1, lettera h, dell'articolo) si prevede che l'autorizzazione del progetto di bonifica e dei relativi interventi ricomprenda a tutti gli effetti le autorizzazioni, le concessioni, i concerti, le intese, i nulla osta, i pareri e gli assensi previsti dalla legislazione vigente, ivi compresi, tra l'altro, quelli relativi alla realizzazione e all'esercizio degli impianti e delle attrezzature necessarie alla loro attuazione. L'autorizzazione costituisce, altresì, variante urbanistica e comporta dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori. A tal fine il proponente è tenuto ad allegare all'istanza la documentazione e gli elaborati progettuali previsti ai sensi della normativa di settore ed elencati dettagliatamente con l'indicazione anche dell'Amministrazione ordinariamente competente.
Sulla base del successivo comma 7 - che invece non è stato oggetto di modifica con il decreto in esame - si prevede, nel caso di progetti per la realizzazione di opere sottoposte a procedura di VIA, che l'approvazione del progetto di bonifica dovrà essere comprensiva anche di tale valutazione.
· La seconda modifica all'articolo 252-bis è invece volta all'abrogazione del comma 9.
Tale disposizione previgente prevedeva che - fatta salva l'applicazione delle previsioni in materia di VIA e di AIA - con i decreti di autorizzazione o approvazione degli interventi attuativi del progetto integrato di messa in sicurezza o bonifica e di riconversione industriale e sviluppo economico in siti di interesse nazionale di cui al comma 8 (ora abrogato, per effetto della norma del decreto in esame) si autorizzassero altresì gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica nonché la costruzione e l'esercizio degli impianti e delle opere connesse.
Il comma 2 dell'articolo in esame prevede infine che il MITE provveda all'attuazione delle disposizioni dell'articolo medesimo con le risorse disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L’articolo 38 interviene in primo luogo (comma 1) su alcuni aspetti della notifica digitale degli atti della pubblica amministrazione, prevedendo tra l’altro che il gestore della Piattaforma per la notificazione digitale invii al destinatario della notifica - che abbia comunicato, oltre alla PEC o altro indirizzo digitale certificato, anche un indirizzo e-mail non certificato, un numero di telefono o altro recapito digitale non certificato - un avviso di cortesia in modalità informatiche, oltre all’avviso di avvenuta ricezione. Inoltre, prevede che ai destinatari che non sono titolari di un indirizzo PEC o di altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato, la notifica sia inviata mediante raccomandata con avviso di ricevimento in luogo della notificazione a mezzo posta. In caso di irreperibilità assoluta si introduce la possibilità di individuare un recapito alternativo per l’invio della notifica per raccomandata.
Un secondo gruppo di disposizioni (commi 2 e 3) è finalizzato a favorire l’utilizzo del domicilio e delle identità digitali principalmente mediante l’introduzione del Sistema di gestione deleghe (SGD) che consente a coloro che non possiedono una identità digitale di delegare ad un altro soggetto l’accesso per proprio conto a servizi on-line.
Le altre misure prevedono:
§ l’attribuzione a tutti i cittadini del domicilio digitale al momento di entrata in vigore dell’obbligo per le PA di comunicare esclusivamente in via digitale;
§ la possibilità di utilizzare il contrassegno a stampa (o timbro digitale) per la sottoscrizione della copia analogica del documento digitale nelle comunicazioni con i soggetti che non hanno accesso al domicilio digitale;
§ l’attribuzione alle copie analogiche con l’indicazione a mezzo stampa del responsabile in sostituzione della firma autografa degli stessi effetti di legge della sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale;
§ la possibilità a regime di eleggere un domicilio digitale speciale per determinati atti, procedimenti o affari;
§ l’attribuzione all’AgID del compito di provvedere non solo al trasferimento dei domicili digitali delle persone fisiche contenuti nell’indice dei domicili digitali nell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), ma anche al loro costante aggiornamento.
Il comma 1 interviene sulla disciplina della notifica digitale degli atti delle pubbliche amministrazioni attraverso la Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione (PND) recata dall’articolo 26 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76.
Per un puntuale raffronto delle modifiche introdotte si veda il testo a fronte in calce alla scheda.
Lo sviluppo di una piattaforma digitale per le notifiche è stato previsto della legge di bilancio 2020 (L. 27 dicembre 2019, n. 160, art. 1, commi 402-403), con la finalità di rendere più semplice, efficiente, sicura ed economica la notificazione con valore legale di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni della pubblica amministrazione, anche ottenendo risparmi per la spesa pubblica e minori oneri per i cittadini.
Responsabile della piattaforma è la Presidenza del Consiglio dei ministri, che si avvale per la sua realizzazione della società PagoPa SpA (istituita dall'articolo 8, comma 2, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135).
A sua volta PagoPA affida, in tutto o in parte, lo sviluppo della piattaforma al fornitore del servizio postale universale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, anche attraverso il riuso dell'infrastruttura tecnologica esistente di proprietà del fornitore.
Per la realizzazione della piattaforma la legge di bilancio ha autorizzato la spesa di 2 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020.
Successivamente, la piattaforma è stata dettagliatamente disciplinata dall’art. 26 del D.L. 76/2020 che l’ha denominata Piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione.
Secondo la definizione di cui all’art. 26, comma 2, lett. b) del D.L. 76/2020 la piattaforma digitale è lo strumento utilizzato dalle amministrazioni per effettuare, con valore legale, le notifiche di atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni.
In attuazione di quanto disposto dall’articolo 1, comma 402, della legge di bilancio 2020 è stato sottoscritto, il 7 aprile 2020, un contratto con la Società PagoPa SpA avente ad oggetto le attività volte alla ideazione, creazione e sviluppo della Piattaforma notifiche digitali della pubblica amministrazione, della durata di 12 mesi. (Nota preliminare al bilancio di previsione della presidenza del consiglio dei ministri per l’anno 2021, dicembre 2020).
Si ricorda che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) trasmesso alla commissione europea il 30 aprile 2021 ha destinato 245 milioni di euro per l’implementazione della Piattaforma notifiche digitali nell’ambito della Missione 1, Componente 1, Asse di intervento 1, Investimento 4, Servizi digitali e cittadinanza digitale. Secondo il cronoprogramma entro il secondo trimestre 2026 l’80% delle PA (su 8.000 interessate) dovranno adottare la PND.
In particolare, il comma 1, alla lett. a), che introduce un comma 5-bis all’articolo 26 del D.L. 76/2020, prevede che il gestore della PND invii al destinatario della notifica - che abbia comunicato, oltre alla PEC o altro indirizzo digitale certificato, anche un indirizzo e-mail non certificato, un numero di telefono o altro recapito digitale non certificato - un avviso di cortesia in modalità informatiche, oltre all’avviso di avvenuta ricezione.
Si tratta dello stesso avviso di cortesia inviato - ai sensi del comma 7 dell’art. 26 del medesimo D.L. 76/2020 – a coloro che non sono titolari di un indirizzo PEC o di altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato.
L’avviso di cortesia è reso disponibile anche tramite il punto di accesso telematico ai servizi della PA istituito dall’articolo 64-bis del CAD presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, come il canale attraverso cui tutti i soggetti pubblici devono rendere fruibili i propri servizi in rete.
L’avviso di cortesia contiene le stesse informazioni dell’avviso di avvenuta ricezione con il quale il gestore della PND comunica l'esistenza e l'identificativo univoco della notificazione (IUN), nonché le modalità di accesso alla piattaforma e di acquisizione del documento oggetto di notificazione. L'avviso di avvenuta ricezione, in formato elettronico, è inviato con modalità telematica ai destinatari titolari di un indirizzo di posta elettronica certificata o di un servizio elettronico di recapito certificato qualificato.
L’invio dell’avviso di cortesia viene effettuato anche nell’ipotesi di mancato recapito dell’avviso di ricezione, per esempio a causa di saturazione della PEC (lett. b).
La lettera c), n. 2 prevede che ai destinatari che non sono titolari di un indirizzo PEC o di altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato la notifica avvenga mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento, nei casi in cui la legge lo consenta, in luogo della notificazione a mezzo posta di cui alla legge 890/1982
Inoltre, si prevede che la notificazione dell’avviso di avvenuta ricezione debba avvenire senza ritardo, in formato cartaceo e in busta chiusa, a mezzo posta direttamente dal gestore della piattaforma.
Nell’ipotesi che all’indirizzo indicato non sia possibile il recapito del plico contenente l’avviso di avvenuta ricezione per cause diverse dalla temporanea assenza o dal rifiuto del destinatario o delle altre persone alle quali può essere consegnato il plico (irreperibilità assoluta), le procedure ordinarie di notifica sono integrate in modo dettagliato dalla lettera in esame come segue.
§ l’addetto al recapito postale svolge in loco ogni opportuna indagine per accertare l’indirizzo dell’abitazione, ufficio o sede del destinatario irreperibile. Gli accertamenti svolti e il relativo esito sono verbalizzati e comunicati al gestore della piattaforma;
§ qualora sia possibile individuare un indirizzo del destinatario diverso da quello al quale è stato tentato il precedente recapito (o dagli accertamenti svolti dall’addetto al recapito postale ovvero dalla consultazione del registro dell’anagrafe della popolazione residente o dal registro delle imprese) il gestore della piattaforma invia a tale diverso indirizzo l’avviso di avvenuta ricezione;
§ in caso non sia possibile individuare un indirizzo alternativo il gestore deposita l’avviso di avvenuta ricezione sulla piattaforma e lo rende così disponibile al destinatario. Quest’ultimo può in ogni caso acquisire copia dell’avviso di avvenuta ricezione tramite il fornitore del servizio postale universale (di cui al comma 20 del D.L 76/2020) con le modalità fissate dal decreto di attuazione del D.L. 76/2020 previsto dal comma 15, come modificato dal presenta provvedimento.
La notifica dell’avviso di avvenuta ricezione si perfeziona nel decimo giorno successivo a quello di deposito nella piattaforma. Il destinatario che incorra in decadenze può essere rimesso in termini purché dimostri di non aver ricevuto la notifica per causa ad esso non imputabile.
Il comma 1, lett. c), n. 1 incide sull’avviso di avvenuta ricezione a mezzo posta secondo le modalità previste dalla legge 890/1982.
La diposizione previgente fa riferimento esclusivamente agli articoli 7, 8 e 9 della legge da ultimo citata, mentre la lettera in esame include anche l’articolo 14 della medesima legge, che dispone che la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente deve avvenire con l'impiego di plico sigillato e può eseguirsi a mezzo della posta direttamente dagli uffici finanziari, nonché, ove ciò risulti impossibile, a cura degli ufficiali giudiziari dei messi comunali ovvero dei messi speciali autorizzati dall'Amministrazione finanziaria.
La lettera d) prevede che il gestore della piattaforma renda disponibile la copia informatica dell'avviso di avvenuta ricezione cartaceo e degli atti relativi alla notificazione effettuata con le modalità di cui al comma 7, come modificato dal presente provvedimento, e non con le modalità di cui alla legge 890/1982 come disposto dalla norma previgente.
La lettera e) adegua alle modifiche introdotte dalle lettere precedenti i principi e i criteri direttivi per l’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio di attuazione della Piattaforma per la notificazione digitale.
La lettera f) prevede che il gestore della piattaforma non si avvalga del fornitore del servizio postale universale (di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261), per effettuare la spedizione dell'avviso di avvenuta ricezione. Rimane fermo il ricorso al fornitore per effettuare la consegna della copia cartacea degli atti oggetto di notificazione previste dal comma 7 e per garantire, su tutto il territorio nazionale, l'accesso universale alla piattaforma e al nuovo servizio di notificazione digitale.
Il comma 2 interviene in materia di domicilio digitale e identità digitale.
Il comma 2, lett. a), n. 1) modifica l’articolo 3-bis, comma 1-ter, del CAD, attribuendo alle Linee guida ivi previste il compito di definire anche le modalità di elezione del domicilio digitale speciale previsto dal comma 4-quinquies, come modificato dal comma in esame (v. infra).
Il domicilio digitale è l’indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata (PEC), o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, come definito dal regolamento (UE) 23 luglio 2014 n. 910 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la direttiva 1999/93/CE, valido ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale (articolo 1, comma 1, lett. n-ter del CAD).
Le citate Linee guida stabiliscono le modalità di elezione del domicilio digitale obbligatorio per i soggetti pubblici, i professionisti iscritti ad albi o elenchi e i soggetti iscritti al registro delle imprese (art. 3-bis, comma 1, CAD) e del domicilio digitale facoltativo che chiunque può attivare (art. 3-bis, comma 1-bis, CAD).
La lettera a), n. 2), modifica l’articolo 3-bis, comma 3-bis, del CAD, per garantire a tutti i cittadini l’attribuzione di un domicilio digitale al momento di entrata in vigore dell’obbligo per le PA di comunicare esclusivamente in via digitale.
L’art. 3-bis, comma 3-bis del CAD affida ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentiti l'AgID e il Garante per la protezione dei dati personali e acquisito il parere della Conferenza unificata, la determinazione della data a partire dalla quale le comunicazioni tra i soggetti pubblici e coloro che non hanno provveduto a eleggere un domicilio digitale avvengono esclusivamente in forma elettronica. Secondo la formulazione previgente alla modifica apportata dalla disposizione in esame, lo stesso decreto determina le modalità con le quali ai predetti soggetti può essere reso disponibile un domicilio digitale. Tale facoltà ora diventa un obbligo.
La disposizione in esame, fa salva la necessità, prevista dal citato articolo 3-bis, comma 3-bis, del CAD, di individuare modalità alternative di comunicazione ai cittadini che non hanno accesso ad un domicilio digitale.
Il comma 2, lettera a), n. 3), modifica il comma 4-bis dell’articolo 3-bis del CAD recante disposizioni in materia di comunicazioni con i soggetti che non hanno accesso al domicilio digitale, per la sua assenza o per il suo mancato funzionamento. In tali casi è necessario procedere alla produzione della copia analogica del documento informatico. La disposizione in esame prevede, oltre alla possibilità di sottoscrivere tale copia con firma autografa sostituita a mezzo stampa ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 12 dicembre 1993, n. 39, anche l’utilizzo del contrassegno a stampa (o timbro digitale o Glifo) cui all’articolo 23, comma 2-bis del CAD.
L’uso del contrassegno generato elettronicamente affianca quanto già previsto dal decreto legislativo 12 febbraio 1993, n.39, che dispone che gli atti amministrativi prodotti con sistemi informatici o telematici, nel pieno controllo dell’amministrazione, possono essere accompagnati, per la loro validità, dall’indicazione a stampa della fonte e del nominativo del soggetto responsabile, nonché dell’eventuale dicitura che specifica che il documento informatico da cui la copia analogica è tratta è stato prodotto ed è conservato dall’amministrazione secondo le regole tecniche previste dal Codice. Infatti, come indicato nell’articolo 3-bis, commi 4-bis, 4-ter e 4-quater del Codice, nel caso in cui il cittadino non abbia domicilio digitale, le amministrazioni possono predisporre le comunicazioni al cittadino come documenti amministrativi informatici sottoscritti con firma digitale o firma elettronica avanzata, da conservare nei propri archivi, ed inviano al cittadino, per posta ordinaria o raccomandata con avviso di ricevimento, le copie analogiche di tali documenti amministrativi informatici sottoscritte con firma autografa sostituita a mezzo stampa. Tali copie analogiche devono contenere anche una dicitura che specifica che i documenti amministrativi informatici originali sono stati predisposti e conservati presso l'amministrazione (Agid, Linee guida contrassegno elettronico, 2013).
La modifica di cui al comma 2, lettera a), n. 4), prevede che la copia analogica inviata al cittadino reca la dicitura che la stessa è stata estratta da un corrispondente documento nativo digitale disponibile presso l’amministrazione che lo ha predisposto.
Il comma 2, lettera a), n. 5, interviene sull’articolo 3-bis, comma 4-ter, del CAD. In particolare, fatte salve le ipotesi in cui il documento della pubblica amministrazione rappresenti una certificazione da utilizzare nei rapporti tra privati, alle copie analogiche con l’indicazione a mezzo stampa del responsabile in sostituzione della firma autografa ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 12 dicembre 1993, n. 39, si riconducono gli stessi effetti del contrassegno previsti dall’articolo 23, comma 2-bis, del CAD. Tale disposizione prevede che il contrassegno sostituisce a tutti gli effetti di legge la sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale.
Il comma 2, lettera a), n. 6), incide sul successivo comma 4-quinques dell’art. 3-bis del CAD prevedendo la possibilità a regime di eleggere un domicilio digitale speciale per determinati atti, procedimenti o affari (la previgente previsione normativa consentiva di esercitare tale facoltà solo fino all’adozione delle Linee guida e alla realizzazione dell’indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese).
La lettera b) del comma 2 pone in capo all’AgID il compito non solo di trasferire nell’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), a partire dal suo completamento, i domicili digitali delle persone fisiche contenuti nell’indice dei domicili digitali ma anche di provvedere al costante aggiornamento dei predetti domicili digitali.
Come si legge nella relazione illustrativa, tale previsione garantisce il progressivo allineamento delle due banche dati e, quindi, il tempestivo aggiornamento dell’ANPR.
L’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), è la banca dati nazionale nella quale stanno confluendo progressivamente le anagrafi comunali.
L’art. 2 del D.L. n. 179/2012 ha disposto l'unificazione del sistema anagrafico nazionale, già strutturato in quattro partizioni (Indice nazionale delle anagrafi-INA, anagrafe comunale, AIRE centrale e AIRE comunale) in un’unica anagrafe - l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), istituita presso il Ministero dell'interno. La finalità dell’intervento è quella di accelerare il processo di automazione amministrativa rendendo più efficiente la gestione dei dati anagrafi della popolazione e riducendone i costi.
È istituita presso il Ministero dell’interno ai sensi dell’articolo 62 del D.Lgs. n. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale). Il Decreto Ministeriale 194/2014 stabilisce i requisiti di sicurezza, le funzionalità per la gestione degli adempimenti di natura anagrafica, le modalità di integrazione con i diversi sistemi gestionali nonché i servizi da fornire alle Pubbliche Amministrazioni ed Enti che erogano pubblici servizi che, a tal fine, dovranno sottoscrivere accordi di servizio con lo stesso Ministero. ANPR non è solo una banca dati ma un sistema integrato che consente ai comuni di svolgere i servizi anagrafici di consultare o estrarre dati, monitorare le attività, effettuare statistiche.
Si ricorda che il PNRR prevede un finanziamento di 285 milioni per lo sviluppo e la diffusione dell’identità digitale (SPID e CIE) e dell’ANPR nell’ambito dell’investimento Servizi digitali e cittadinanza digitale (Missione 1, Componente 1: “Digitalizzazione della PA”).
Il comma 2, lettera c), introduce nel CAD il nuovo articolo 64-ter che istituisce il Sistema di gestione delle deleghe (SGD), affidato alla responsabilità della struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri competente per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale. Tale struttura si avvale per la realizzazione del SGD dell’Istituto poligrafico e zecca dello Stato regolando con apposita convenzione i relativi rapporti anche per ciò che concerne la nomina a responsabile del trattamento dei dati personali ai sensi dell’articolo 28 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (commi 1, 5 e 6 del nuovo art. 64-ter).
La SGD consente a chiunque di delegare l’accesso ad uno o più servizi ad un soggetto terzo titolare dell’identità digitale con livello di sicurezza almeno significativo. La delega digitale può essere creata mediante due differenti canali: quello digitale, con una delle modalità previste dall’articolo 65 del CAD e quello fisico, con l’acquisizione della delega cartacea presso lo sportello di uno dei soggetti pubblici abilitati presenti sul territorio (comma 2 del nuovo art. 64-ter).
Una volta acquisita una delega al SGD, è generato un attributo qualificato associato all’identità digitale del delegato, secondo le modalità stabilite dall’AgID con Linee guida. Tale attributo può essere utilizzato anche per l’erogazione di servizi in modalità analogica (comma 3 del nuovo art. 64-ter)
Le PA e gli altri soggetti pubblici di cui all’articolo 2, comma 2, del CAD sono tenuti ad accreditarsi al Sistema di Gestione delle Deleghe (comma 4 del nuovo art. 64-ter).
Con decreto del Presidente del Consiglio, di concerto con il Ministro dell’Interno, sentita l’AgID, il Garante per la protezione dei dati personali e la Conferenza unificata, sono definite le caratteristiche tecniche, l’architettura generale, i requisiti di sicurezza, le modalità di acquisizione della delega e di funzionamento del Sistema di Gestione Deleghe, le modalità di adesione al sistema nonché le tipologie di dati oggetto di trattamento, le categorie di interessati e, in generale, le modalità e procedure per assicurare il rispetto delle disposizioni in materia di trattamento dei dati personali. Restano ferme, in ogni caso, le specifiche disposizioni in materia di attributi qualificati già dettate dal DPCM 24 ottobre 2014 adottato ai sensi dell’articolo 64, comma 2-sexies del CAD (comma 7 del nuovo art. 64-ter).
Il comma 8 reca una disposizione di neutralità finanziaria, secondo la quale all’onere della realizzazione della SGD si provvede con le risorse disponibili a legislazione vigente.
Al contempo, il comma 3 dell’articolo in esame subordina l’effettiva efficacia della disposizione relativa all’istituzione del sistema di gestione deleghe (SGD) di cui sopra alla definitiva approvazione del PNRR da parte del Consiglio dell’Unione europea, in quanto i relativi oneri sono a carico delle risorse a carico del medesimo PNRR.
Si ricorda che il PNRR, nel testo ultimo trasmesso al Parlamento, non menziona espressamente l’istituzione del sistema di gestione deleghe (SGD) ma reca, più in generale, una serie di indirizzi e finanziamenti (pari a 285 milioni di euro) per lo sviluppo e la diffusione dell’identità digitale (SPID e CIE) e dell’ANPR nell’ambito dell’investimento Servizi digitali e cittadinanza digitale (Missione 1, Componente 1: “Digitalizzazione della PA”).
Il comma 2, lettera d), infine, modifica sull’articolo 65, comma 1, lettera c-bis) del CAD prevedendo che la trasmissione di un’istanza o di una dichiarazione, da parte di un cittadino tramite il proprio domicilio digitale, costituisce elezione di domicilio digitale speciale, ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 4-quinquies, del CAD per gli atti e le dichiarazioni a cui è riferita l’istanza o la dichiarazione.
D.L. 16 luglio 2020, n. 76 |
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Testo previgente |
Testo modificato dal D.L. 77/2021 |
Art. 26 |
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[…] |
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4. Il gestore della piattaforma, con le modalità previste dal decreto di cui al comma 15, per ogni atto, provvedimento, avviso o comunicazione oggetto di notificazione reso disponibile dall'amministrazione, invia al destinatario l'avviso di avvenuta ricezione, con il quale comunica l'esistenza e l'identificativo univoco della notificazione (IUN), nonché le modalità di accesso alla piattaforma e di acquisizione del documento oggetto di notificazione. |
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5. L'avviso di avvenuta ricezione, in formato elettronico, è inviato con modalità telematica ai destinatari titolari di un indirizzo di posta elettronica certificata o di un servizio elettronico di recapito certificato qualificato: |
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a) inserito in uno degli elenchi di cui agli articoli 6-bis, 6-ter e 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82; |
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b) eletto, ai sensi dell'articolo 3-bis, comma 4-quinquies, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 o di altre disposizioni di legge, come domicilio speciale per determinati atti o affari, se a tali atti o affari è riferita la notificazione; |
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c) eletto per la ricezione delle notificazioni delle pubbliche amministrazioni effettuate tramite piattaforma secondo le modalità previste dai decreti di cui al comma 15. |
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5-bis. Ai destinatari di cui al comma 5, ove abbiano comunicato un indirizzo email non certificato, un numero di telefono o altro analogo recapito digitale diverso da quelli di cui al comma 5, il gestore della piattaforma invia anche un avviso di cortesia in modalità informatica contenente le stesse informazioni dell’avviso di avvenuta ricezione. L’avviso di cortesia è reso disponibile altresì tramite il punto di accesso di cui all’articolo 64-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. |
6. Se la casella di posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultano saturi, il gestore della piattaforma effettua un secondo tentativo di consegna decorsi almeno sette giorni dal primo invio. Se anche a seguito di tale tentativo la casella di posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultano saturi oppure se l'indirizzo elettronico del destinatario non risulta valido o attivo, il gestore della piattaforma rende disponibile in apposita area riservata, per ciascun destinatario della notificazione, l'avviso di mancato recapito del messaggio, secondo le modalità previste dal decreto di cui al comma 15. Il gestore della piattaforma inoltre dà notizia al destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo di lettera raccomandata, senza ulteriori adempimenti a proprio carico. |
6. Se la casella di posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultano saturi, il gestore della piattaforma effettua un secondo tentativo di consegna decorsi almeno sette giorni dal primo invio. Se anche a seguito di tale tentativo la casella di posta elettronica certificata o il servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultano saturi oppure se l'indirizzo elettronico del destinatario non risulta valido o attivo, il gestore della piattaforma rende disponibile in apposita area riservata, per ciascun destinatario della notificazione, l'avviso di mancato recapito del messaggio, secondo le modalità previste dal decreto di cui al comma 15. Il gestore della piattaforma inoltre dà notizia al destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo di lettera raccomandata, senza ulteriori adempimenti a proprio carico. In tale ultimo caso, il gestore della piattaforma provvede anche all’invio dell’avviso di cortesia di cui al comma 5-bis, ove sussistano i presupposti ivi previsti. |
7. Ai destinatari diversi da quelli di cui al comma 5, l'avviso di avvenuta ricezione è notificato senza ritardo, in formato cartaceo, a mezzo posta direttamente dal gestore della piattaforma, con le modalità previste dalla legge 20 novembre 1982, n. 890 e con applicazione degli articoli 7, 8 e 9 della stessa legge. L'avviso contiene l'indicazione delle modalità con le quali è possibile accedere alla piattaforma e l'identificativo univoco della notificazione (IUN) mediante il quale, con le modalità previste dal decreto di cui al comma 15, il destinatario può ottenere la copia cartacea degli atti oggetto di notificazione. Agli stessi destinatari, ove abbiano comunicato un indirizzo email non certificato, un numero di telefono o un altro analogo recapito digitale diverso da quelli di cui al comma 5, il gestore della piattaforma invia un avviso di cortesia in modalità informatica contenente le stesse informazioni dell'avviso di avvenuta ricezione. L'avviso di cortesia è reso disponibile altresì tramite il punto di accesso di cui all'articolo 64-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. |
7. Ai destinatari diversi da quelli di cui al comma 5, l'avviso di avvenuta ricezione è notificato senza ritardo, in formato cartaceo, a mezzo posta direttamente dal gestore della piattaforma, con le modalità previste dalla legge 20 novembre 1982, n. 890 e con applicazione degli articoli 7, 8, 9 e 14 della stessa legge. In tutti i casi in cui la legge consente la notifica a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, la notificazione dell’avviso di avvenuta ricezione avviene senza ritardo, in formato cartaceo e in busta chiusa, a mezzo posta direttamente dal gestore della piattaforma, mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento. Ove all’indirizzo indicato non sia possibile il recapito del plico contenente l’avviso di avvenuta ricezione per cause diverse dalla temporanea assenza o dal rifiuto del destinatario o delle altre persone alle quali può essere consegnato il plico, l’addetto al recapito postale svolge in loco ogni opportuna indagine per accertare l’indirizzo dell’abitazione, ufficio o sede del destinatario irreperibile. Gli accertamenti svolti e il relativo esito sono verbalizzati e comunicati al gestore della piattaforma. Ove dagli accertamenti svolti dall’addetto al recapito postale ovvero dalla consultazione dei registro dell’anagrafe della popolazione residente o dal registro delle imprese sia possibile individuare un indirizzo del destinatario diverso da quello al quale è stato tentato il precedente recapito, il gestore della piattaforma invia a tale diverso indirizzo l’avviso di avvenuta ricezione; in caso contrario, deposita l’avviso di avvenuta ricezione sulla piattaforma e lo rende così disponibile al destinatario. Quest’ultimo può in ogni caso acquisire copia dell’avviso di avvenuta ricezione tramite il fornitore di cui al successivo comma 20, con le modalità fissate dal decreto di cui al comma 15. La notifica dell’avviso di avvenuta ricezione si perfeziona nel decimo giorno successivo a quello di deposito nella piattaforma. Il destinatario che incorra in decadenze e dimostri di non aver ricevuto la notifica per causa ad esso non imputabile può essere rimesso in termini. L'avviso contiene l'indicazione delle modalità con le quali è possibile accedere alla piattaforma e l'identificativo univoco della notificazione (IUN) mediante il quale, con le modalità previste dal decreto di cui al comma 15, il destinatario può ottenere la copia cartacea degli atti oggetto di notificazione. Agli stessi destinatari, ove abbiano comunicato un indirizzo email non certificato, un numero di telefono o un altro analogo recapito digitale diverso da quelli di cui al comma 5, il gestore della piattaforma invia un avviso di cortesia in modalità informatica contenente le stesse informazioni dell'avviso di avvenuta ricezione. L'avviso di cortesia è reso disponibile altresì tramite il punto di accesso di cui all'articolo 64-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. |
[…] |
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12. Il gestore della piattaforma rende altresì disponibile la copia informatica dell'avviso di avvenuta ricezione cartaceo e degli atti relativi alla notificazione ai sensi della legge 20 novembre 1982, n. 890, dei quali attesta la conformità agli originali. |
12. Il gestore della piattaforma rende altresì disponibile la copia informatica dell'avviso di avvenuta ricezione cartaceo e degli atti relativi alla notificazione effettuata con le modalità di cui al comma 7, dei quali attesta la conformità agli originali. |
[…] |
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15. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, o del Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione, sentiti il Ministro dell'economia e delle finanze e il Garante per la protezione dei dati personali per gli aspetti di competenza, acquisito il parere in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente articolo, nel rispetto del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82: |
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a) sono definiti l'infrastruttura tecnologica della piattaforma e il piano dei test per la verifica del corretto funzionamento. La piattaforma è sviluppata applicando i criteri di accessibilità di cui alla legge 9 gennaio 2004, n. 4 nel rispetto dei principi di usabilità, completezza di informazione, chiarezza di linguaggio, affidabilità, semplicità di consultazione, qualità, omogeneità e interoperabilità; |
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b) sono stabilite le regole tecniche e le modalità con le quali le amministrazioni identificano i destinatari e rendono disponibili telematicamente sulla piattaforma i documenti informatici oggetto di notificazione; |
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c) sono stabilite le modalità con le quali il gestore della piattaforma attesta e certifica, con valore legale opponibile ai terzi, la data e l'ora in cui i documenti informatici delle amministrazioni sono depositati sulla piattaforma e resi disponibili ai destinatari attraverso la piattaforma, nonché il domicilio del destinatario risultante dagli elenchi di cui al comma 5, lettera a) alla data della notificazione; |
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d) sono individuati i casi di malfunzionamento della piattaforma, nonché le modalità con le quali il gestore della piattaforma attesta il suo malfunzionamento e comunica il ripristino della sua funzionalità; |
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e) sono stabilite le modalità di accesso alla piattaforma e di consultazione degli atti, provvedimenti, avvisi e comunicazioni da parte dei destinatari e dei delegati, nonché le modalità con le quali il gestore della piattaforma attesta la data e l'ora in cui il destinatario o il delegato accedono, tramite la piattaforma, all'atto oggetto di notificazione; |
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f) sono stabilite le modalità con le quali i destinatari eleggono il domicilio digitale presso la piattaforma e, anche attraverso modelli semplificati, conferiscono o revocano ai delegati la delega per l'accesso alla piattaforma, nonché le modalità di accettazione e rinunzia delle deleghe; |
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g) sono stabiliti i tempi e le modalità di conservazione dei documenti informatici resi disponibili sulla piattaforma; |
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h) sono stabilite le regole tecniche e le modalità con le quali i destinatari indicano il recapito digitale ai fini della ricezione dell'avviso di cortesia di cui al comma 7; |
h) sono stabilite le regole tecniche e le modalità con le quali i destinatari indicano il recapito digitale ai fini della ricezione dell'avviso di cortesia di cui ai commi 5-bis e 7; |
i) sono individuate le modalità con le quali i destinatari dell'avviso di avvenuta ricezione notificato in formato cartaceo ottengono la copia cartacea degli atti oggetto di notificazione; |
i) sono individuate le modalità con le quali i destinatari dell'avviso di avvenuta ricezione notificato in formato cartaceo ottengono la copia cartacea degli atti oggetto di notificazione o, nei casi previsti dal comma 7, sesto periodo, dell’avviso di avvenuta ricezione; |
l) sono disciplinate le modalità di adesione delle amministrazioni alla piattaforma. |
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l-bis) sono disciplinate le modalità con le quali gli addetti al recapito postale comunicano al gestore della piattaforma l’esito degli accertamenti di cui al comma 7, quarto periodo. |
[…] |
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20. Il gestore si avvale del fornitore del servizio universale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, anche per effettuare |
20. Il gestore si avvale del fornitore del servizio universale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, anche per effettuare la consegna della copia cartacea degli atti oggetto di notificazione previste dal comma 7 e garantire, su tutto il territorio nazionale, l'accesso universale alla piattaforma e al nuovo servizio di notificazione digitale. |
D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 |
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Testo previgente |
Testo modificato dal DL 77/2021 |
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Art. 3-bis |
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01. Chiunque ha il diritto di accedere ai servizi on-line offerti dai soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, tramite la propria identità digitale e anche attraverso il punto di accesso telematico di cui all'articolo 64-bis. |
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1. I soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, i professionisti tenuti all'iscrizione in albi ed elenchi e i soggetti tenuti all'iscrizione nel registro delle imprese hanno l'obbligo di dotarsi di un domicilio digitale iscritto nell'elenco di cui agli articoli 6-bis o 6-ter. |
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1-bis. Fermo restando quanto previsto al comma 1, chiunque ha facoltà di eleggere il proprio domicilio digitale da iscrivere nell'elenco di cui all'articolo 6-quater. Nel caso in cui il domicilio eletto risulti non più attivo si procede alla cancellazione d'ufficio dall'indice di cui all'articolo 6-quater secondo le modalità fissate nelle Linee guida. |
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1-ter. I domicili digitali di cui ai commi 1 e 1-bis sono eletti secondo le modalità stabilite con le Linee guida. Le persone fisiche possono altresì eleggere il domicilio digitale avvalendosi del servizio di cui all'articolo 64-bis. |
1-ter. I domicili digitali di cui ai commi 1 e 1-bis e 4–quinquies sono eletti secondo le modalità stabilite con le Linee guida. Le persone fisiche possono altresì eleggere il domicilio digitale avvalendosi del servizio di cui all'articolo 64-bis. |
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1-quater. I soggetti di cui ai commi 1 e 1-bis hanno l'obbligo di fare un uso diligente del proprio domicilio digitale e di comunicare ogni modifica o variazione del medesimo secondo le modalità fissate nelle Linee guida. Con le stesse Linee guida, fermo restando quanto previsto ai commi 3-bis e 4-bis, sono definite le modalità di gestione e di aggiornamento dell'elenco di cui all'articolo 6-quater anche nei casi di decesso del titolare del domicilio digitale eletto o di impossibilità sopravvenuta di avvalersi del domicilio. |
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2. Abrogato |
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3. Abrogato |
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3-bis. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentiti l'AgID e il Garante per la protezione dei dati personali e acquisito il parere della Conferenza unificata, è stabilita la data a decorrere dalla quale le comunicazioni tra i soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, e coloro che non hanno provveduto a eleggere un domicilio digitale ai sensi del comma 1-bis, avvengono esclusivamente in forma elettronica. Con lo stesso decreto sono determinate le modalità con le quali ai predetti soggetti può essere reso disponibile un domicilio digitale ovvero altre modalità con le quali, anche per superare il divario digitale, i documenti possono essere messi a disposizione e consegnati a coloro che non hanno accesso ad un domicilio digitale. |
3-bis. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentiti l'AgID e il Garante per la protezione dei dati personali e acquisito il parere della Conferenza unificata, è stabilita la data a decorrere dalla quale le comunicazioni tra i soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, e coloro che non hanno provveduto a eleggere un domicilio digitale ai sensi del comma 1-bis, avvengono esclusivamente in forma elettronica. Con lo stesso decreto sono determinate le modalità con le quali ai predetti soggetti è attribuito un domicilio digitale ovvero altre modalità con le quali, anche per superare il divario digitale, i documenti possono essere messi a disposizione e consegnati a coloro che non hanno accesso ad un domicilio digitale. |
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4. A decorrere dal 1° gennaio 2013, salvo i casi in cui è prevista dalla normativa vigente una diversa modalità di comunicazione o di pubblicazione in via telematica, le amministrazioni pubbliche e i gestori o esercenti di pubblici servizi comunicano con il cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale dallo stesso dichiarato, anche ai sensi dell'articolo 21-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, senza oneri di spedizione a suo carico. Ogni altra forma di comunicazione non può produrre effetti pregiudizievoli per il destinatario. L'utilizzo di differenti modalità di comunicazione rientra tra i parametri di valutazione della performance dirigenziale ai sensi dell'articolo 11, comma 9, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150. |
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4-bis. Fino alla data fissata nel decreto di cui al comma 3-bis, i soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, possono predisporre le comunicazioni ai soggetti che non hanno un domicilio digitale ovvero nei casi di domicilio digitale non attivo, non funzionante o non raggiungibile, come documenti informatici sottoscritti con firma digitale o altra firma elettronica qualificata, da conservare nei propri archivi, ed inviare agli stessi, per posta ordinaria o raccomandata con avviso di ricevimento, copia analogica di tali documenti sottoscritti con firma autografa sostituita a mezzo stampa predisposta secondo le disposizioni di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39 |
4-bis. Fino alla data fissata nel decreto di cui al comma 3-bis, i soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, possono predisporre le comunicazioni ai soggetti che non hanno un domicilio digitale ovvero nei casi di domicilio digitale non attivo, non funzionante o non raggiungibile, come documenti informatici sottoscritti con firma digitale o altra firma elettronica qualificata, da conservare nei propri archivi, ed inviare agli stessi, per posta ordinaria o raccomandata con avviso di ricevimento, copia analogica di tali documenti su cui è apposto a stampa il contrassegno di cui all’articolo 23, comma 2-bis o l’indicazione a mezzo stampa del responsabile pro tempore in sostituzione della firma autografa ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39 ovvero un avviso con le indicazioni delle modalità con le quali i suddetti documenti sono messi a disposizione e consegnati al destinatario. |
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4-ter. Le disposizioni di cui al comma 4-bis soddisfano a tutti gli effetti di legge gli obblighi di conservazione e di esibizione dei documenti previsti dalla legislazione vigente laddove la copia analogica inviata al cittadino (65) contenga una dicitura che specifichi che il documento informatico, da cui la copia è tratta, è stato predisposto ed è disponibile presso l'amministrazione |
4-ter. Le disposizioni di cui al comma 4-bis soddisfano a tutti gli effetti di legge gli obblighi di conservazione e di esibizione dei documenti previsti dalla legislazione vigente laddove la copia analogica inviata al cittadino contenga una dicitura che specifichi che il documento informatico, da cui la copia è tratta, è stato predisposto come documento nativo digitale ed è disponibile presso l'amministrazione. |
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4-quater. Le modalità di predisposizione della copia analogica di cui ai commi 4-bis e 4-ter soddisfano le condizioni di cui all'articolo 23, comma 2-bis, salvo i casi in cui il documento rappresenti, per propria natura, una certificazione rilasciata dall'amministrazione da utilizzarsi nei rapporti tra privati. |
4-quater. La copia analogica con l’indicazione a mezzo stampa del responsabile in sostituzione della firma autografa ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 12 febbraio 1993, n. 39 soddisfa le condizioni di cui all'articolo 23, comma 2-bis, salvo i casi in cui il documento rappresenti, per propria natura, una certificazione rilasciata dall'amministrazione da utilizzarsi nei rapporti tra privati. |
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4-quinquies. Fino all'adozione delle Linee guida di cui al comma 1-ter del presente articolo e alla realizzazione dell'indice di cui all'articolo 6-quater, è possibile eleggere il domicilio speciale di cui all'articolo 47 del Codice civile anche presso un domicilio digitale diverso da quello di cui al comma 1-ter. In tal caso, ferma restando la validità ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale, colui che lo ha eletto non può opporre eccezioni relative alla forma e alla data della spedizione e del ricevimento delle comunicazioni o notificazioni ivi indirizzate. |
4-quinquies. È possibile eleggere anche un domicilio digitale speciale per determinati atti, procedimenti o affari. In tal caso, ferma restando la validità ai fini delle comunicazioni elettroniche aventi valore legale, colui che lo ha eletto non può opporre eccezioni relative alla forma e alla data della spedizione e del ricevimento delle comunicazioni o notificazioni ivi indirizzate. |
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5. Dall'attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. |
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Art. 6-quater |
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1. E' istituito il pubblico elenco dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione nell'indice di cui all'articolo 6-bis, nel quale sono indicati i domicili eletti ai sensi dell'articolo 3-bis, comma 1-bis. La realizzazione e la gestione del presente Indice sono affidate all'AgID, che vi provvede avvalendosi delle strutture informatiche delle Camere di commercio già deputate alla gestione dell'elenco di cui all'articolo 6-bis. E' fatta salva la facoltà del professionista, non iscritto in albi, registri o elenchi professionali di cui all'articolo 6-bis, di eleggere presso il presente Indice un domicilio digitale professionale e un domicilio digitale personale diverso dal primo. |
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2. Per i professionisti iscritti in albi ed elenchi il domicilio digitale è l'indirizzo inserito nell'elenco di cui all'articolo 6-bis, fermo restando il diritto di eleggerne uno diverso ai sensi dell'articolo 3-bis, comma 1-bis. Ai fini dell'inserimento dei domicili dei professionisti nel predetto elenco il Ministero dello sviluppo economico rende disponibili all'AgID, tramite servizi informatici individuati nelle Linee guida, i relativi indirizzi già contenuti nell'elenco di cui all'articolo 6-bis. |
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3. Al completamento dell'ANPR di cui all'articolo 62, AgID provvede al trasferimento dei domicili digitali delle persone fisiche contenuti nell'elenco di cui al presente articolo nell'ANPR. |
3. Al completamento dell'ANPR di cui all'articolo 62, AgID provvede costantemente all’aggiornamento e al trasferimento dei domicili digitali delle persone fisiche contenuti nell'elenco di cui al presente articolo nell'ANPR. |
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Art. 64-ter |
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1. È istituito il Sistema di gestione deleghe (SGD), affidato alla responsabilità della struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri competente per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale. |
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2. Il SGD consente a chiunque di delegare l’accesso a uno o più servizi a un soggetto titolare dell’identità digitale di cui all’articolo 64, comma 2-quater, con livello di sicurezza almeno significativo. La presentazione della delega avviene mediante una delle modalità previste dall’articolo 65, comma 1, ovvero presso gli sportelli di uno dei soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, presenti sul territorio. Con il decreto di cui al comma 7 sono disciplinate le modalità di acquisizione della delega al SGD |
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3. A seguito dell’acquisizione della delega al SGD, è generato un attributo qualificato associato all’identità digitale del delegato, secondo le modalità stabilite dall’AgID con Linee guida. Tale attributo può essere utilizzato anche per l’erogazione di servizi in modalità analogica. |
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4. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, sono tenuti ad accreditarsi al SGD. |
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5. Per la realizzazione, gestione e manutenzione del SGD e per l’erogazione del servizio, la struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri competente per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale si avvale dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. I rapporti tra la struttura di cui al precedente periodo e l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. sono regolati, anche ai sensi dell’articolo 28 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, con apposita convenzione. |
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6. La struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri competente per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale è il titolare del trattamento dei dati personali, ferme restando, ai sensi dell’articolo 28 del regolamento (UE) 2016/679, le specifiche responsabilità in capo all’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. e, nel caso previsto dal comma 2, ai soggetti di cui all’articolo 2, comma 2. |
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7. Fermo restando quanto previsto dal decreto di cui all’articolo 64, comma 2-sexies, relativamente alle modalità di accreditamento dei gestori di attributi qualificati, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato di concerto con il Ministro dell’interno, sentita l’AgID, il Garante per la protezione dei dati personali e la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono definite le caratteristiche tecniche, l’architettura generale, i requisiti di sicurezza, le modalità di acquisizione della delega e di funzionamento del SGD. Con il medesimo decreto, inoltre, sono individuate le modalità di adesione al sistema nonché le tipologie di dati oggetto di trattamento, le categorie di interessati e, in generale, le modalità e procedure per assicurare il rispetto dell’articolo 5 del regolamento (UE) 2016/679. |
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8. All’onere derivante dall’attuazione della presente disposizione si provvede con le risorse disponibili a legislazione vigente. |
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Art. 65 |
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1. Le istanze e le dichiarazioni presentate per via telematica alle pubbliche amministrazioni e ai gestori dei servizi pubblici ai sensi dell'articolo 38, commi 1 e 3, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, sono valide: |
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a) se sottoscritte mediante una delle forme di cui all'articolo 20; |
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b) ovvero, quando l'istante o il dichiarante è identificato attraverso il sistema pubblico di identità digitale (SPID), la carta di identità elettronica o la carta nazionale dei servizi; |
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b-bis) ovvero formate tramite il punto di accesso telematico per i dispositivi mobili di cui all'articolo 64-bis; |
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c) ovvero sono sottoscritte e presentate unitamente alla copia del documento d'identità; |
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c-bis) ovvero se trasmesse dall'istante o dal dichiarante dal proprio domicilio digitale iscritto in uno degli elenchi di cui all'articolo 6-bis, 6-ter o 6-quater ovvero, di assenza di un domicilio digitale iscritto, da un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, come definito dal Regolamento eIDAS. In tale ultimo caso, di assenza di un domicilio digitale iscritto, la trasmissione costituisce elezione di domicilio digitale ai sensi e per gli effetti dell'articolo 3-bis, comma 1-ter. Sono fatte salve le disposizioni normative che prevedono l'uso di specifici sistemi di trasmissione telematica nel settore tributario. |
c-bis) ovvero se trasmesse dall'istante o dal dichiarante dal proprio domicilio digitale iscritto in uno degli elenchi di cui all'articolo 6-bis, 6-ter o 6-quater ovvero, di assenza di un domicilio digitale iscritto, da un indirizzo elettronico eletto presso un servizio di posta elettronica certificata o un servizio elettronico di recapito certificato qualificato, come definito dal Regolamento eIDAS. In tale ultimo caso, in assenza di un domicilio digitale iscritto, la trasmissione costituisce elezione di domicilio digitale speciale, ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 4-quinquies, per gli atti e le comunicazioni a cui è riferita l’istanza o la dichiarazione. Sono fatte salve le disposizioni normative che prevedono l'uso di specifici sistemi di trasmissione telematica nel settore tributario. |
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1-bis Abrogato |
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1-ter. Il mancato avvio del procedimento da parte del titolare dell'ufficio competente a seguito di istanza o dichiarazione inviate ai sensi e con le modalità di cui al comma 1 comporta responsabilità dirigenziale e responsabilità disciplinare dello stesso. |
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2. Le istanze e le dichiarazioni di cui al comma 1 sono equivalenti alle istanze e alle dichiarazioni sottoscritte con firma autografa apposta in presenza del dipendente addetto al procedimento. |
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3. Abrogato |
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4. Il comma 2 dell'articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, è sostituito dal seguente: «2. Le istanze e le dichiarazioni inviate per via telematica sono valide se effettuate secondo quanto previsto dall'articolo 65 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82» |
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L’articolo 39, comma 1, introduce misure di semplificazione relative all’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), tra cui quelle relative ai seguenti ambiti:
§ attribuzione all’ANPR del compito di garantire ai comuni i servizi necessari all’utilizzo dell’Archivio nazionale informatizzato dei registri di stato civile;
§ integrazione delle liste elettorali nell’ANPR;
§ esenzione dell’imposta di bollo e dei diritti di segreteria per i certificati anagrafici rilasciati in modalità telematica limitatamente per il 2021;
§ utilizzo della Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) quale ulteriore modalità di fruizione dei dati anagrafici da parte dei soggetti che ne hanno diritto.
Il comma 2 reca misure per semplificare i meccanismi di condivisione dei dati e di interoperabilità tra le amministrazioni mediante:
§ l’eliminazione degli accordi quadro quale modalità attraverso la quale le pubbliche amministrazioni detentrici di dati ne assicurano la fruizione da parte dei soggetti che hanno diritto ad accedervi;
§ l’individuazione nella Piattaforma digitale nazionale dati (PDND) dello strumento per attuare il principio dell’interoperabilità dei dati delle PA;
§ l’estensione dell’ambito di operatività della PDND (in precedenza circoscritta a ISEE, ANPR, banche dati dell'Agenzie delle entrate) alle seguenti banche dati:
- Anagrafe nazionale degli abilitati alla guida;
- Sistema informativo dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE);
- Anagrafe nazionale dei numeri civici e strade urbane (ANNCSU);
- Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese.
§ l’individuazione di un termine da parte del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, all’esito dei test e delle prove tecniche di corretto funzionamento della predetta piattaforma, a decorrere dal quale sorge l’obbligo per le pubbliche amministrazioni, i gestori di servizi pubblici e le società a controllo pubblico di accreditarsi alla PDND e rendere disponibili le proprie base dati.
L’articolo 39, comma 1, modifica l’articolo 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (CAD), prevedendo alcune misure di semplificazione relative all’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), rivolte sia ai comuni, sia ai cittadini e alle imprese.
L’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), è la banca dati nazionale nella quale stanno confluendo progressivamente le anagrafi comunali.
L’art. 2 del D.L. n. 179/2012 ha disposto l'unificazione del sistema anagrafico nazionale, già strutturato in quattro partizioni (Indice nazionale delle anagrafi-INA, anagrafe comunale, AIRE centrale e AIRE comunale) in un’unica anagrafe - l'Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR), istituita presso il Ministero dell'interno. La finalità dell’intervento è quella di accelerare il processo di automazione amministrativa rendendo più efficiente la gestione dei dati anagrafi della popolazione e riducendone i costi.
È istituita presso il Ministero dell’interno ai sensi dell’articolo 62 del D.Lgs. n. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale).
Il decreto ministeriale 194/2014 stabilisce i requisiti di sicurezza, le funzionalità per la gestione degli adempimenti di natura anagrafica, le modalità di integrazione con i diversi sistemi gestionali nonché i servizi da fornire alle Pubbliche Amministrazioni ed Enti che erogano pubblici servizi che, a tal fine, dovranno sottoscrivere accordi di servizio con lo stesso Ministero. ANPR non è solo una banca dati ma un sistema integrato che consente ai comuni di svolgere i servizi anagrafici di consultare o estrarre dati, monitorare le attività, effettuare statistiche.
Si ricorda che il PNRR prevede un finanziamento di 285 milioni di euro per lo sviluppo e la diffusione dell’identità digitale (SPID e CIE) e dell’ANPR nell’ambito dell’investimento Servizi digitali e cittadinanza digitale (Missione 1, Componente 1: “Digitalizzazione della PA”). Nella Missione 1 l’obiettivo della promozione dell’interoperabilità dei dati delle p.a. costituisce inoltre uno dei cardini principali delle misure previste per la promozione della digitalizzazione.
In particolare, la lettera a) del comma 1 dispone che l’ANPR garantisce ai comuni, anche progressivamente, i servizi necessari all’utilizzo dell’Archivio nazionale informatizzato dei registri di stato civile tenuti dai comuni.
Inoltre, viene soppresso il riferimento al termine (31 dicembre 2018) entro procedere alla integrazione dei due archivi (ANPR e registri di stato civile).
L’integrazione dei registri di stato civile con l’ANPR è prevista dall’art. 62, comma 2-bis CAD, comma introdotto dall’art. 10, comma 1, lett. a) del DL 78/2015. La norma prevede altresì che l'Anagrafe nazionale fornisca (ai comuni, come specificato dalla relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del DL 78, A.S. 1977) i dati necessari ai fini della tenuta delle liste di leva.
La legislazione nelle materie relative alla cittadinanza, allo stato civile ed alle anagrafi è riservata dalla Costituzione alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, 2° comma, lett. i) Cost.). Ferma restando la competenza legislativa statale, i comuni hanno una competenza gestionale dei servizi elettorali, di stato civile, di anagrafe, di leva militare e di statistica. Le relative funzioni sono esercitate dal sindaco, quale ufficiale di governo il quale sovrintende alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione ed agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, di leva militare e di statistica (artt. 14 e 54 TUEL).
L’ordinamento dello stato civile è disciplinato dal D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
Ogni comune ha un ufficio dello stato civile e il sindaco, quale ufficiale del Governo, è l’ufficiale dello stato civile. Il sindaco può delegare le funzioni di ufficiale civile.
L’ufficiale dello stato civile esercita le seguenti funzioni:
a) forma, archivia, conserva e aggiorna tutti gli atti concernenti lo stato civile e cura la trasmissione dei dati al centro nazionale di raccolta;
b) trasmette alle pubbliche amministrazioni che ne fanno richiesta in base alle norme vigenti gli estratti e i certificati che concernono lo stato civile, in esenzione da ogni spesa;
c) rilascia, nei casi previsti, gli estratti e i certificati che concernono lo stato civile, nonché le copie conformi dei documenti depositati presso l’ufficio dello stato civile;
d) verifica, per le pubbliche amministrazioni che ne fanno richiesta, la veridicità dei dati contenuti nelle autocertificazioni prodotte dai cittadini in tutti i casi consentiti dalla legge.
L’ufficiale dello stato civile è tenuto ad uniformarsi alle istruzioni che vengono impartite dal Ministero dell’Interno. La vigilanza sugli uffici dello stato civile spetta al Prefetto.
In particolare, in ciascun ufficio dello stato civile sono registrati e conservati in un unico archivio informatico tutti gli atti formati nel comune o comunque relativi a soggetti ivi residenti, riguardanti la cittadinanza, la nascita, i matrimoni, le unioni civili e la morte. È prevista, inoltre, istituzione di un centro nazionale di raccolta dei supporti informatici contenente tutti i dati registrati negli archivi informatici comunali per assicurarne la conservazione in caso di eventi dannosi o calamitosi. Esclusivamente in caso di prolungata impossibilità di accesso ai dati conservati negli archivi comunali, il centro è tenuto a svolgere i compiti di competenza dei comuni in materia di stato civile, ad esclusione della formazione di nuovi atti e di aggiornamento di quelli esistenti (art. 10, DPR 396/2000). Il Centro nazionale di raccolta dei supporti informatici contenenti i dati registrati negli archivi informatici comunali dello stato civile è attualmente allocato presso il Centro nazionale servizi demografici (CNSD), costituito con decreto del Ministro dell’interno del 23 aprile 2002 presso la Direzione centrale per i servizi demografici, al quale è affidata la gestione unitaria delle attività e delle infrastrutture informatiche che fanno capo alla stessa Direzione centrale.
La lettera b) inserisce all’articolo 62 il nuovo comma 2-ter prevedendo anche l’integrazione delle liste elettorali nell’ANPR con le modalità demandate ad uno o più decreti del Ministero dell’interno di cui al comma 6-bis.
Ferma restando la competenza legislativa statale in materia di elezioni (ai sensi art. 117, 2° comma, lett. p) ed f) Cost.), i comuni hanno una competenza gestionale dei servizi amministrativi elettorali.
Le relative funzioni sono esercitate dal sindaco, quale ufficiale di governo il quale sovrintende agli adempimenti demandatigli dalle leggi in materia elettorale, così come alla tenuta dei registri di stato civile e di popolazione ed agli adempimenti in materia di leva militare e di statistica (artt. 14 e 54 TUEL).
Il servizio elettorale, pertanto, è una funzione di competenza dello Stato demandata ai comuni, ed esercitata dal sindaco coadiuvato dal personale dell'Ufficio elettorale.
Spettano al sindaco importanti funzioni nel procedimento elettorale preparatorio, ad esempio in occasione delle elezioni politiche i sindaci di tutti i comuni danno comunicazione del decreto di convocazione dei comizi elettorali (pubblicato nella Gazzetta ufficiale) con speciali avvisi, mentre per le elezioni comunali, i sindaci sono tenuti a pubblicare con appositi manifesti l’indicazione della data delle elezioni.
Presso ogni comune è istituita la Commissione elettorale comunale per gli adempimenti relativi alla tenuta ed aggiornamento dell’albo delle persone idonee all’ufficio di scrutatore di seggio elettorale ed alla nomina degli scrutatori nell’ambito dei procedimenti relativi alle consultazioni elettorali e referendarie.
La commissione è composta dal sindaco e da un numero variabile di consiglieri, a seconda della dimensione demografica del comune, eletti dal consiglio comunale.
Il compito principale dell'Ufficio elettorale consiste nella tenuta delle liste elettorali attraverso periodiche revisioni cancellando o iscrivendo elettori che emigrano, immigrano, perdono il diritto elettorale, riacquistano la capacità elettorale, acquisiscono la cittadinanza, ecc.
L'Ufficio elettorale, inoltre, provvede per la parte di competenza dell'amministrazione comunale, all'organizzazione dei servizi necessari per lo svolgimento di tutte le consultazioni elettorali.
La lettera c) dispone l’esenzione dell’imposta di bollo e dei diritti di segreteria per i certificati anagrafici rilasciati in modalità telematica limitatamente all’anno 2021. Inoltre, viene previsto - quale ulteriore modalità di fruizione dei dati anagrafici da parte dei soggetti che ne hanno diritto - l’utilizzo della Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) di cui all’articolo 50-ter del CAD introdotto dal DL 76/2020 semplificazioni.
Ai sensi della disposizione citata la Presidenza del Consiglio dei ministri promuove la realizzazione di una Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) finalizzata a favorire la conoscenza e l'utilizzo del patrimonio informativo pubblico e la condivisione dei dati con l'obiettivo di semplificare gli adempimenti amministrativi di cittadini e imprese. La Piattaforma, gestita dalla Presidenza del Consiglio permette l'interoperabilità dei sistemi informativi e delle basi dati mediante accreditamento, identificazione e autorizzazione dei soggetti abilitati, e la raccolta e conservazione delle informazioni di accesso e delle transazioni effettuate; raccoglie e pubblica nel Catalogo reso disponibile ai soggetti accreditati le Application Programming Interface (API) erogate dagli stessi. La Piattaforma assicura prioritariamente l'interoperabilità con ISEE, ANPR e le banche dati dell'Agenzia delle Entrate individuate dal Direttore dell'Agenzia.
Il PNRR ha messo a disposizione 556 milioni di euro per la realizzazione della PDND che costituisce il progetto principale per garantire l'interoperabilità e la condivisione di informazione tra le PA secondo il principio dell’once only (“una volta per tutte”), evitando al cittadino di dover fornire più volte la stessa informazione a diverse amministrazioni (Missione 1, Componente 1, Investimento Dati ed interoperabilità (M1-C1-I.1.3). Il cronoprogramma prevede entro il 2022 la piena operatività della piattaforma, entro il 2023 l’integrazione nella piattaforma di 400 API. La conclusione dell’investimento è fissata al secondo trimestre 2026 con circa 1.000 API integrate nella piattaforma.
La lettera d), incide sul comma 6-bis dell’articolo 62 del CAD, richiamato anche dai commi 2-bis e 2-ter, prevedendo che, oltre all’adeguamento e l’evoluzione delle caratteristiche tecniche della piattaforma di funzionamento dell’ANPR, sia garantito l’aggiornamento dei servizi resi disponibili dAll’ANPR alle pubbliche amministrazioni, agli organismi che erogano pubblici servizi, ai privati. Inoltre, viene soppressa la previsione del parere dell’AGID nella adozione dei decreti del Ministero dell’interno che stabiliscono le modalità di adeguamento e ora anche aggiornamento dei servizi disponibili in ANPR.
Il comma 2 reca misure per semplificare i meccanismi di condivisione dei dati di interoperabilità tra le amministrazioni.
Il particolare, il comma 2, lettera a), n. 1, sopprime (all’art. 50, comma 2-ter del CAD) il riferimento alla sottoscrizione di accordi quadro quale modalità attraverso la quale le pubbliche amministrazioni certificanti detentrici di dati ne assicurano la fruizione da parte dei soggetti che hanno diritto ad accedervi.
Il comma 2, lettera a), n. 3 e lettera b), n. 1) recano modifiche di coordinamento conseguenziali alla abolizione degli accordi quadro.
La medesima lettera b), n. 1, inoltre, chiarisce che la Piattaforma digitale nazionale dati (PDND) è lo strumento per attuare il principio dell’interoperabilità dei dati delle PA di cui all’articolo 50 del CAD.
La lettera a), n. 2, in linea con quanto già previsto dall’articolo 50-ter, comma 6 del CAD, introduce una disposizione che, a tutela delle amministrazioni titolari dei dati, pone in capo alle amministrazioni che ricevono e trattano i dati la qualità di titolari autonomi del trattamento con le conseguenti responsabilità.
Il comma 2, lettera b), n. 2, estende, in fase di prima applicazione della norma, l’ambito di operatività della PDND a tutte le basi dati di interesse nazionale di cui all’articolo 60 del CAD (v. infra), mentre la disposizione previgente prevedeva che fosse assicurata prioritariamente l’interoperabilità con:
§ il sistema informativo dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) di cui all'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201;
§ l'Anagrafe nazionale della popolazione residente;
§ le banche dati dell'Agenzie delle entrate individuate dal Direttore della stessa Agenzia.
La lettera b), n. 3) del comma 2, prevede che le linee guida in materia di standard tecnologici e criteri di sicurezza, di accessibilità e di interoperabilità della PDND e del processo di accreditamento e fruizione delle interfacce di programmazione delle applicazioni (API), adottate da AgID sentito il Garante per la protezione dei dati personali e acquisito il parere della Conferenza unificata, devono rispettare limiti e condizioni di accesso necessari a garantire il corretto trattamento dei dati personali.
Il comma 2, lettera b), n. 4), introducendo nell’articolo 50-ter del CAD il nuovo comma 2-bis, dispone che il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, all’esito dei test e delle prove tecniche di corretto funzionamento della predetta piattaforma, fissi un termine a decorrere dal quale sorge l’obbligo per le pubbliche amministrazioni, i gestori di servizi pubblici e le società a controllo pubblico di accreditarsi alla PDND, sviluppare le API e rendere disponibili le proprie base dati.
Il comma 2, lettera c), integra l’elenco delle basi dati di interesse nazionale individuate al comma 3-ter dell’articolo 60 del CAD. In particolare, sono state aggiunte:
§ l’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida;
§ il sistema informativo dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE);
§ l’anagrafe nazionale dei numeri civici e strade urbane (ANNCSU)
§ l’indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese di cui all’articolo 6-quater del CAD.
Inoltre, la lettera d) chiarisce che l’AgID, tenuto conto delle esigenze delle pubbliche amministrazioni e degli obblighi derivanti dai regolamenti comunitari, può aggiornare l’elenco delle basi di dati di interesse nazionale e individuare altre basi di dati ulteriori a quelle di cui sopra.
I commi 3, 4, 5 e 6 contengono disposizioni di coordinamento e transitorie.
In particolare, il comma 3 subordina l’effettiva efficacia delle disposizioni di cui sopra (ad eccezione della esenzione dell’imposta di bollo per cui si veda il comma 7) alla definitiva approvazione del PNRR da parte del Consiglio dell’Unione europea, in quanto i relativi oneri sono a carico delle risorse a carico del medesimo PNRR.
Il comma 4 elimina il riferimento agli accordi quadro di cui sopra contenuto nel decreto-legge 34/2020 abrogando il comma 3 dell’articolo 264.
Al fine di garantire il necessario coordinamento con le previsioni di cui all’articolo 50 e 50-ter del CAD, il comma 5 modifica il decreto del Presidente della Repubblica 20 dicembre 2000, n. 445, sopprimendo la parte dell’articolo 43, comma 2, relativa all’obbligo di apposita autorizzazione per l’accesso agli archivi dell’amministrazione che detiene i dati oggetto di verifica (lett. a).
Parimenti è eliminato il riferimento alle convenzioni quadro di cui all’articolo 58 del CAD contenuto nell’articolo 72 del medesimo DPR 445/2000, in quanto il citato art. 58 è stato abrogato dall’art. 64, comma 1, lett. k) del D.Lgs. 179/2016 (lett. b).
Il comma 6 dispone che l’abolizione dell’obbligo di autorizzazione per l’accesso agli archivi dell’amministrazione che detiene i dati oggetto di verifica (di cui al precedente comma 5, lett. a) acquisti efficacia a partire dalla data fissata dal Presidente del Consiglio o il Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e transizione digitale per l’accreditamento delle PA alla Piattaforma digitale nazionale dati, termine introdotto dal presente decreto con il comma 2-bis dell’art. 50 CAD.
Infine il comma 7 provvede alla quantificazione degli oneri derivanti dalla esenzione dell’imposta di bollo per il 2021 di cui sopra, valutati in 22,8 milioni di euro e alla conseguente copertura a valere di una corrispondente riduzione di spesa del fondo per finanziare l'esonero, anche parziale, dal versamento dei contribuiti previdenziali a carico delle federazioni sportive nazionali, discipline sportive associate, enti di promozione sportiva, associazioni e società sportive. Si tratta del fondo, istituito dalla legge di bilancio 2021 (L. 178/2020, art. 1, comma 34) con una dotazione di 50 milioni di euro per l'anno 2021 e di 50 milioni di euro per l'anno 2022.
D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 |
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Testo previgente |
Testo modificato dal DL 77/2021 |
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Art. 50 |
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1. I dati delle pubbliche amministrazioni sono formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili con l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione che ne consentano la fruizione e riutilizzazione, alle condizioni fissate dall'ordinamento, da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dai privati; restano salvi i limiti alla conoscibilità dei dati previsti dalle leggi e dai regolamenti, le norme in materia di protezione dei dati personali ed il rispetto della normativa comunitaria in materia di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico. |
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2. Qualunque dato trattato da una pubblica amministrazione, con le esclusioni di cui all'articolo 2, comma 6, salvi i casi previsti dall'articolo 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali, è reso accessibile e fruibile alle altre amministrazioni quando l'utilizzazione del dato sia necessaria per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell'amministrazione richiedente, senza oneri a carico di quest'ultima, salvo per la prestazione di elaborazioni aggiuntive; è fatto comunque salvo il disposto degli articoli 43, commi 4 e 71, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. |
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2-bis. Le pubbliche amministrazioni, nell'ambito delle proprie funzioni istituzionali, procedono all'analisi dei propri dati anche in combinazione con quelli detenuti da altri soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, fermi restando i limiti di cui al comma 1. La predetta attività si svolge secondo le modalità individuate dall'AgID con le Linee guida. |
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2-ter. Le pubbliche amministrazioni certificanti detentrici dei dati di cui al comma 1 ne assicurano la fruizione da parte delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici, attraverso la predisposizione di accordi quadro. Con gli stessi accordi, le pubbliche amministrazioni detentrici dei dati assicurano, su richiesta dei soggetti privati di cui all'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, conferma scritta della corrispondenza di quanto dichiarato con le risultanze dei dati da essa custoditi, con le modalità di cui all'articolo 71, comma 4 del medesimo decreto. |
2-ter. Le pubbliche amministrazioni certificanti detentrici dei dati di cui al comma 1 ne assicurano la fruizione da parte dei soggetti che hanno diritto ad accedervi. Le pubbliche amministrazioni detentrici dei dati assicurano, su richiesta dei soggetti privati di cui all'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, conferma scritta della corrispondenza di quanto dichiarato con le risultanze dei dati da essa custoditi, con le modalità di cui all'articolo 71, comma 4 del medesimo decreto. |
3. Abrogato |
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3-bis. Il trasferimento di un dato da un sistema informativo a un altro non modifica la titolarità del dato. |
3-bis. Il trasferimento di un dato da un sistema informativo a un altro non modifica la titolarità del dato e del trattamento, ferme restando le responsabilità delle amministrazioni che ricevono e trattano il dato in qualità di titolari autonomi del trattamento. |
3-ter. In caso di mancanza di accordi quadro, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione stabilisce un termine entro il quale le pubbliche amministrazioni interessate provvedono a rendere disponibili, accessibili e fruibili i dati alle altre amministrazioni pubbliche ai sensi del comma 2. L'inadempimento dell'obbligo di rendere disponibili i dati ai sensi del presente articolo costituisce mancato raggiungimento di uno specifico risultato e di un rilevante obiettivo da parte dei dirigenti responsabili delle strutture competenti e comporta la riduzione, non inferiore al 30 per cento, della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei dirigenti competenti, oltre al divieto di attribuire premi o incentivi nell'ambito delle medesime strutture. |
3-ter. |
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Art. 50-ter |
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1. La Presidenza del Consiglio dei ministri promuove la progettazione, lo sviluppo e la realizzazione di una Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) finalizzata a favorire la conoscenza e l'utilizzo del patrimonio informativo detenuto, per finalità istituzionali, dai soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, nonché la condivisione dei dati tra i soggetti che hanno diritto ad accedervi ai fini della semplificazione degli adempimenti amministrativi dei cittadini e delle imprese, in conformità alla disciplina vigente |
1. La Presidenza del Consiglio dei ministri promuove la progettazione, lo sviluppo e la realizzazione di una Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) finalizzata a favorire la conoscenza e l'utilizzo del patrimonio informativo detenuto, per finalità istituzionali, dai soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, nonché la condivisione dei dati tra i soggetti che hanno diritto ad accedervi ai fini dell’attuazione dell’articolo 50 e della semplificazione degli adempimenti amministrativi dei cittadini e delle imprese, in conformità alla disciplina vigente. |
2. La Piattaforma Digitale Nazionale Dati è gestita dalla Presidenza del Consiglio dei ministri ed è costituita da un'infrastruttura tecnologica che rende possibile l'interoperabilità dei sistemi informativi e delle basi di dati delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici per le finalità di cui al comma 1, mediante l'accreditamento, l'identificazione e la gestione dei livelli di autorizzazione dei soggetti abilitati ad operare sulla stessa, nonché la raccolta e conservazione delle informazioni relative agli accessi e alle transazioni effettuate suo tramite. La condivisione di dati e informazioni avviene attraverso la messa a disposizione e l'utilizzo, da parte dei soggetti accreditati, di interfacce di programmazione delle applicazioni (API). Le interfacce, sviluppate dai soggetti abilitati con il supporto della Presidenza del Consiglio dei ministri e in conformità alle Linee guida AgID in materia interoperabilità, sono raccolte nel "catalogo API" reso disponibile dalla Piattaforma ai soggetti accreditati. I soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, sono tenuti ad accreditarsi alla piattaforma, a sviluppare le interfacce e a rendere disponibili le proprie basi dati senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. In fase di prima applicazione, la Piattaforma assicura prioritariamente l'interoperabilità con il sistema informativo dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) di cui all'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, con l'Anagrafe nazionale della popolazione residente di cui all'articolo 62 e con le banche dati dell'Agenzie delle entrate individuate dal Direttore della stessa Agenzia. L'AgID, sentito il Garante per la protezione dei dati personali e acquisito il parere della Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, adotta linee guida con cui definisce gli standard tecnologici e criteri di sicurezza, di accessibilità, di disponibilità e di interoperabilità per la gestione della piattaforma nonché il processo di accreditamento e di fruizione del catalogo API. |
2. La Piattaforma Digitale Nazionale Dati è gestita dalla Presidenza del Consiglio dei ministri ed è costituita da un'infrastruttura tecnologica che rende possibile l'interoperabilità dei sistemi informativi e delle basi di dati delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici per le finalità di cui al comma 1, mediante l'accreditamento, l'identificazione e la gestione dei livelli di autorizzazione dei soggetti abilitati ad operare sulla stessa, nonché la raccolta e conservazione delle informazioni relative agli accessi e alle transazioni effettuate suo tramite. La condivisione di dati e informazioni avviene attraverso la messa a disposizione e l'utilizzo, da parte dei soggetti accreditati, di interfacce di programmazione delle applicazioni (API). Le interfacce, sviluppate dai soggetti abilitati con il supporto della Presidenza del Consiglio dei ministri e in conformità alle Linee guida AgID in materia interoperabilità, sono raccolte nel "catalogo API" reso disponibile dalla Piattaforma ai soggetti accreditati. I soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, sono tenuti ad accreditarsi alla piattaforma, a sviluppare le interfacce e a rendere disponibili le proprie basi dati senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. In fase di prima applicazione, la Piattaforma assicura prioritariamente l'interoperabilità con le basi dati di interesse nazionale di cui all’articolo 60, comma 3-bis |
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2-bis. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, ultimati i test e le prove tecniche di corretto funzionamento della piattaforma, fissa il termine entro il quale i soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, sono tenuti ad accreditarsi alla stessa, a sviluppare le interfacce di cui al comma 2 e a rendere disponibili le proprie base dati. |
3. Nella Piattaforma Nazionale Digitale Dati non confluiscono i dati attinenti a ordine e sicurezza pubblici, difesa e sicurezza nazionale, polizia giudiziaria e polizia economico-finanziaria. |
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4. Con decreto adottato dal Presidente del Consiglio dei ministri entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero dell'interno, sentito il Garante per la protezione dei dati personali e acquisito il parere della Conferenza Unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è stabilita la strategia nazionale dati. Con la strategia nazionale dati sono identificate le tipologie, i limiti, le finalità e le modalità di messa a disposizione, su richiesta della Presidenza del Consiglio dei ministri, dei dati aggregati e anonimizzati di cui sono titolari i soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, dando priorità ai dati riguardanti gli studenti del sistema di istruzione e di istruzione e formazione professionale ai fini della realizzazione del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione e del contrasto alla dispersione scolastica e formativa. |
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5. L'inadempimento dell'obbligo di rendere disponibili e accessibili le proprie basi dati ovvero i dati aggregati e anonimizzati costituisce mancato raggiungimento di uno specifico risultato e di un rilevante obiettivo da parte dei dirigenti responsabili delle strutture competenti e comporta la riduzione, non inferiore al 30 per cento, della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei dirigenti competenti, oltre al divieto di attribuire premi o incentivi nell'ambito delle medesime strutture. |
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6. L'accesso ai dati attraverso la Piattaforma Digitale Nazionale Dati non modifica la disciplina relativa alla titolarità del trattamento, ferme restando le specifiche responsabilità ai sensi dell'articolo 28 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 in capo al soggetto gestore della Piattaforma nonché le responsabilità dei soggetti accreditati che trattano i dati in qualità di titolari autonomi del trattamento. |
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7. Resta fermo che i soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, possono continuare a utilizzare anche i sistemi di interoperabilità già previsti dalla legislazione vigente. |
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8. Le attività previste dal presente articolo si svolgono con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente. |
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Art. 60 |
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1. Si definisce base di dati di interesse nazionale l'insieme delle informazioni raccolte e gestite digitalmente dalle pubbliche amministrazioni, omogenee per tipologia e contenuto e la cui conoscenza è rilevante per lo svolgimento delle funzioni istituzionali delle altre pubbliche amministrazioni, anche solo per fini statistici, nel rispetto delle competenze e delle normative vigenti e possiedono i requisiti di cui al comma 2 |
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2. Ferme le competenze di ciascuna pubblica amministrazione, le basi di dati di interesse nazionale costituiscono, per ciascuna tipologia di dati, un sistema informativo unitario che tiene conto dei diversi livelli istituzionali e territoriali e che garantisce l'allineamento delle informazioni e l'accesso alle medesime da parte delle pubbliche amministrazioni interessate. Tali sistemi informativi possiedono le caratteristiche minime di sicurezza, accessibilità e interoperabilità e sono realizzati e aggiornati secondo le Linee guida (498) e secondo le vigenti regole del Sistema statistico nazionale di cui al decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322, e successive modificazioni. |
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2-bis. Le pubbliche amministrazioni responsabili delle basi dati di interesse nazionale consentono il pieno utilizzo delle informazioni ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 2, secondo standard e criteri di sicurezza e di gestione definiti nelle Linee guida e mediante la piattaforma di cui all'articolo 50-ter. |
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2-ter. Abrogato |
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3. Abrogato |
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3-bis. In sede di prima applicazione, sono individuate le seguenti basi di dati di interesse nazionale: |
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a) repertorio nazionale dei dati territoriali; |
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b) anagrafe nazionale della popolazione residente; |
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c) banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all'articolo 62-bis; |
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d) casellario giudiziale; |
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e) registro delle imprese; |
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f) gli archivi automatizzati in materia di immigrazione e di asilo di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 27 luglio 2004, n. 242; |
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f-bis) Anagrafe nazionale degli assistiti (ANA); |
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f-ter) anagrafe delle aziende agricole di cui all'articolo 1, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1999, n. 503. |
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f-quater) l’archivio nazionale dei veicoli e l’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida di cui agli articoli 225 e 226 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285; |
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f-quinquies) il sistema informativo dell’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) di cui all'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2011, n. 214; |
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f-sexies) l’anagrafe nazionale dei numeri civici e strade urbane (ANNCSU), di cui all’articolo 3 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221; |
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f-septies) l’indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche, dei professionisti e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all’iscrizione in albi, elenchi o registri professionali o nel registro delle imprese di cui all’articolo 6-quater. |
3-ter. AgID, tenuto conto delle esigenze delle pubbliche amministrazioni e degli obblighi derivanti dai regolamenti comunitari, individua e pubblica l'elenco delle basi di dati di interesse nazionale. |
3-ter. AgID, tenuto conto delle esigenze delle pubbliche amministrazioni e degli obblighi derivanti dai regolamenti comunitari, individua, aggiorna e pubblica l'elenco delle basi di dati di interesse nazionale, ulteriori rispetto a quelle individuate in via prioritaria dal comma 3-bis. |
4. Agli oneri finanziari di cui al presente articolo si provvede con il fondo di finanziamento per i progetti strategici del settore informatico di cui all'articolo 27, comma 2, della legge 16 gennaio 2003, n. 3. |
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L’articolo 40 prevede alcune modifiche alle disposizioni normative concernenti in particolare i procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici di cui all’articolo 87 del Codice delle comunicazioni elettroniche (comma 2) e quelli concernenti la disciplina delle opere civili, degli scavi e dell’occupazione di suolo pubblico necessari per l’installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica, di cui all’articolo 88 decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (comma 3). Tra i vari interventi di modifica delle due disposizioni si prevede – non più in termini meramente facoltativi - la convocazione della conferenza di servizi nei casi in cui siano necessari pronunciamenti di più amministrazioni per l’autorizzazione dell’intervento, la riduzione dei tempi di convocazione della stessa e il dimezzamento dei relativi termini normativi di svolgimento. Una ulteriore innovazione concerne la modalità di superamento del dissenso espresso da parte di un’Amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o dei beni culturali: si prevede in questo caso che l’interessato possa rivolgersi al responsabile del procedimento perché, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto (quindi in questo caso 45 giorni), concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario. Pertanto non è più necessaria una delibera del Consiglio dei Ministri ai fini del superamento del dissenso.
Viene inoltre ridotto (da 6 mesi a 90 giorni) il termine di cui all’articolo 86 del Codice delle comunicazioni elettroniche, per la conclusione dei procedimenti in materia di installazione di reti di comunicazione elettronica (comma 1).
Il comma 4 introduce una deroga temporanea (fino al 2026) alle procedure per la posa in opera di infrastrutture a banda ultra larga con la metodologia della micro trincea prevedendosi un ulteriore semplificazione con particolare riferimento all’esclusione delle autorizzazioni paesaggistiche e da parte delle soprintendenze competenti per la tutela dei beni culturali.
Il comma 5 prevede (anche in tal caso fino al 2026) ulteriori semplificazioni per l’installazione di apparati con tecnologia UMTS, sue evoluzioni o altre tecnologie su infrastrutture per impianti radioelettrici preesistenti o di modifica delle caratteristiche trasmissive, e nel caso di modifiche delle caratteristiche degli impianti già provvisti di titolo abilitativo, ivi incluse le modifiche relative al profilo radioelettrico, disciplinati rispettivamente dagli articoli 87-bis e 87-ter del Codice delle comunicazioni elettroniche.
Si valuti l’opportunità di sopprimere, nella rubrica dell’articolo, il riferimento alle agevolazioni per l'infrastrutturazione digitale degli edifici e delle unità immobiliari che non trova riscontro nel contenuto della disposizione.
Il comma 1, lettera a), interviene al fine di ridurre da sei mesi a 90 giorni il termine entro il quale le autorità competenti alla gestione del suolo pubblico adottano (salvo il caso di espropriazioni) le decisioni relative le domande per la concessione del diritto di installare infrastrutture di comunicazione elettronica
A tal fine viene modificato il comma 1 dell’articolo 86 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259.
Il comma 1, lettera b), interviene invece al fine di modificare il comma 4, che precisa che resta ferma, nell’ambito delle procedure autorizzatorie, l’applicazione delle disposizioni a tutela dei beni ambientali e culturali nonché delle disposizioni a tutela delle servitù militari, introducendo un richiamo al procedimento autorizzatorio semplificato previsto dagli articoli 87 e 88 del medesimo decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259. Tali articoli formano oggetto di ampi interventi di modifica ai sensi dei commi 2 e 3 del presente articolo.
Il comma 2, lettera a) modifica il comma 4 dell’articolo 87 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, che dispone che una copia dell'istanza ovvero della denuncia sia contestualmente all’ARPA competente, che si pronuncia entro trenta giorni dalla comunicazione. Lo sportello locale competente provvede a pubblicizzare l'istanza, pur senza diffondere i dati caratteristici dell'impianto. Oltre ad un adeguamento terminologico (viene sostituita la parola denuncia con la parola segnalazione), la lettera a) del comma 2 dispone che l’istanza per l'installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi, abbia valenza di istanza unica effettuata per tutti i profili connessi agli interventi e per tutte le amministrazioni o enti comunque coinvolti nel procedimento. Si prevede inoltre che il soggetto richiedente dia notizia della presentazione dell’istanza a tutte le amministrazioni o enti coinvolti nel procedimento.
Andrebbe valutata l’opportunità di sostituire, per ragioni di coordinamento, la parola denuncia con la parola segnalazione anche all’articolo 87-bis.
Il comma 2, lettera b) novella i commi 6, 7, 8 e 9 dell’articolo 87 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, disposizione avente ad oggetto i procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici.
La novella è diretta a disciplinare in termini diversi l’articolazione della procedura, una volta formulata l'istanza di autorizzazione alla installazione di infrastrutture per impianti radioelettrici e la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi.
Infatti il comma 6 dell’articolo 87, come novellato, prevede la convocazione, a cura del responsabile del procedimento, di una conferenza di servizi decisoria entro cinque giorni lavorativi dalla presentazione dell’istanza in tutti i casi nei quali l'installazione dell’infrastruttura sia subordinata all'acquisizione di uno o più provvedimenti, determinazioni, pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di concessione, autorizzazione o assenso, comunque denominati, ivi comprese le autorizzazioni previste dal Codice dei beni culturali, da adottare a conclusione di distinti procedimenti di competenza di diverse amministrazioni o enti, inclusi i gestori di beni o servizi pubblici.
Alla conferenza di servizi prendono parte tutte le amministrazioni, enti e gestori di beni o servizi pubblici interessati dall’installazione, nonché un rappresentante dei soggetti preposti ai controlli di cui all’articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (le ARPA).
Il previgente testo del medesimo comma 6 prevedeva la convocazione della conferenza di servizi solo nel caso di dissenso di una Amministrazione interessata, ed il termine di convocazione è fissato in 30 giorni.
Il comma 7, come novellato, descrive gli effetti della conferenza di servizi decisoria. Si prevede che la determinazione positiva della stessa sostituisca ad ogni effetto tutti i provvedimenti, determinazioni, pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di concessione, autorizzazione o assenso, comunque denominati, necessari per l’installazione delle infrastrutture per impianti radioelettrici, di competenza di tutte le amministrazioni, enti e gestori di beni o servizi pubblici interessati e vale altresì come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori.
Si prevede poi che della convocazione e dell’esito della conferenza sia comunque informato il Ministero dello sviluppo economico.
Il testo previgente del comma 7 prevedeva che la conferenza di servizi dovesse pronunciarsi entro trenta giorni dalla prima convocazione e che l'approvazione, adottata a maggioranza dei presenti, sostituisse ad ogni effetto gli atti di competenza delle singole Amministrazioni valendo altresì come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori.
Il comma 8, come novellato, dispone che alla predetta conferenza di servizi si applicano le disposizioni di cui all’articolo 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater e 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, con il dimezzamento dei termini ivi indicati, ad eccezione del termine di cui al suddetto articolo 14-quinquies, e fermo restando l’obbligo di rispettare il termine perentorio finale di conclusione del procedimento (fissato dal comma 9, come novellato), in 90 giorni dalla comunicazione del progetto.
Il testo previgente del comma 8 disciplinava il caso del motivato dissenso, a fronte di una decisione positiva assunta dalla conferenza di servizi, di un'Amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico, prevedendo in tal caso che la decisione fosse rimessa al Consiglio dei Ministri trovando applicazione, in quanto compatibili con il Codice, le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
La disciplina della conferenza di servizi si rinviene agli articoli da 14 a 14-quinquies della legge n. 241 del 1990 (su cui si veda il paragrafo Conferenza di servizi del tema relativo agli Interventi sul procedimento amministrativo, pubblicato sul portale della documentazione della Camera dei deputati).
L’articolo 14-quinquies contiene una disciplina generale concernente i rimedi per le amministrazioni dissenzienti, prevedendo che avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza, entro 10 giorni dalla sua comunicazione e a condizione che abbiano espresso in modo inequivoco il proprio motivato dissenso prima della conclusione dei lavori della conferenza, le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute e della pubblica incolumità dei cittadini possono proporre opposizione al Presidente del Consiglio dei ministri. La proposizione dell'opposizione sospende l'efficacia della determinazione motivata di conclusione della conferenza. La Presidenza del Consiglio dei ministri indice, per una data non posteriore al quindicesimo giorno successivo alla ricezione dell'opposizione, una riunione con la partecipazione delle amministrazioni che hanno espresso il dissenso e delle altre amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza. In tale riunione i partecipanti formulano proposte, in attuazione del principio di leale collaborazione, per l'individuazione di una soluzione condivisa, che sostituisca la determinazione motivata di conclusione della conferenza con i medesimi effetti. Qualora all'esito delle riunioni sopra descritte sia raggiunta un'intesa tra le amministrazioni partecipanti, l'amministrazione procedente adotta una nuova determinazione motivata di conclusione della conferenza. Qualora all'esito delle suddette riunioni, e comunque non oltre quindici giorni dallo svolgimento della riunione, l'intesa non sia raggiunta, la questione è rimessa al Consiglio dei ministri.
Si valuti l’opportunità di precisare meglio a quale termine di cui all’articolo 14-quinquies si faccia specificamente riferimento.
Il comma 9, come novellato, conferma, rispetto alla disciplina previgente che le istanze di autorizzazione si intendono accolte qualora, entro il termine perentorio di novanta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda, non sia stato comunicato un provvedimento di diniego o un parere negativo da parte dell'organismo competente ad effettuare i controlli, di cui all'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (ossia le ARPA) nonché che gli Enti locali possano prevedere termini più brevi per la conclusione dei relativi procedimenti ovvero ulteriori forme di semplificazione amministrativa, nel rispetto delle disposizioni stabilite dal comma in commento.
Si prevede tuttavia che se il dissenso, congruamente motivato, proviene da parte di un’Amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o dei beni culturali, e non sia stata adottata la determinazione decisoria finale nel termine dei 90 giorni, si prevede che l’interessato possa rivolgersi al responsabile del procedimento perché, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto (quindi in questo caso 45 giorni), concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario (secondo quanto previsto dall’articolo 2, comma 9-ter, della legge 7 agosto 1990 n. 241).
Andrebbe valutata l’opportunità di chiarire se anche in tale ultima circostanza trovi applicazione la previsione di cui all’articolo 14-quinquies della legge n. 241 del 1990.
Il testo previgente del comma 9 dell’articolo 87 prevedeva invece che qualora il motivato dissenso, a fronte di una decisione positiva assunta dalla conferenza di servizi, fosse espresso da un'Amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico, la decisione venisse rimessa al Consiglio dei Ministri e trovano applicazione, in quanto compatibili con il Codice, le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
Sono inoltre introdotte ex novo le seguenti previsioni: l’amministrazione procedente comunica, entro il termine perentorio di sette giorni, decorrenti dalla scadenza dei 90 giorni sopra indicati, l’attestazione di avvenuta autorizzazione. Trascorsi i sette giorni entro i quali l’amministrazione deve provvedere è sufficiente l’autocertificazione del richiedente.
Si prevede inoltre che siano fatti salvi i casi in cui disposizioni del diritto dell'Unione europea richiedono l'adozione di provvedimenti espressi.
Il comma 3 modifica il contenuto dell’articolo 88 del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, avente ad oggetto la disciplina delle opere civili, degli scavi e dell’occupazione di suolo pubblico necessari per l’installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica.
In particolare il comma 3, lettera a) modifica il comma 1, che disciplina l’istanza da presentare a cura dei soggetti interessati all’installazione dell’infrastruttura di comunicazione elettronica per la realizzazione di opere civili o, comunque, per l'effettuazione di scavi e l'occupazione di suolo pubblico all’uopo necessari, prevedendo che spetti al richiedente dare notizia della presentazione dell’istanza a tutte le amministrazioni o enti coinvolti nel procedimento.
Il comma 3, lettera b), novella i commi 3, 4 e 5 dell’articolo 88, introducendo una disciplina innovativa sulle modalità di acquisizione dell’assenso all’esecuzione degli interventi, in particolare riorganizzando in termini analoghi al procedimento delineato con le modifiche all’articolo 87 dal comma 2 dell’articolo in commento, lo svolgimento e la conclusione della conferenza di servizi decisoria.
In dettaglio la nuova formulazione del comma 3 dell’articolo 88 prevede che quando l'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica sia subordinata all'acquisizione di uno o più provvedimenti, determinazioni, pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di concessione, autorizzazione o assenso, comunque denominati, ivi incluse le autorizzazioni previste dal codice dei beni culturali, da adottare a conclusione di distinti procedimenti di competenza di diverse amministrazioni o enti, inclusi i gestori di beni o servizi pubblici, l’amministrazione procedente che ha ricevuto l’istanza provvede sempre a convocare, entro cinque giorni lavorativi dalla presentazione dell’istanza, una conferenza di servizi, alla quale prendono parte tutte le amministrazioni, enti e gestori di beni o servizi pubblici interessati dall’installazione.
Secondo il testo previgente del comma 3 dell’articolo 88 il responsabile del procedimento aveva la facoltà (ma non l’obbligo) di convocare, con provvedimento motivato, una conferenza di servizi, alla quale prendono parte le figure soggettive direttamente interessate dall'installazione. Ciò entro trenta giorni dalla data di ricezione dell'istanza (la nuova disciplina prevede un termine di 5 giorni).
Il comma 4 come novellato disciplina gli effetti della conferenza di servizi stabilendo che la determinazione positiva della conferenza sostituisce ad ogni effetto tutti i provvedimenti, determinazioni, pareri, intese, concerti, nulla osta o altri atti di concessione, autorizzazione o assenso, comunque denominati, necessari per l’installazione dell’infrastruttura, di competenza di tutte le amministrazioni, degli enti e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati e vale altresì come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori.
Secondo il testo previgente del comma 4 dell’articolo 88 la conferenza di servizi doveva pronunciarsi entro trenta giorni dalla prima convocazione mentre l'approvazione, adottata a maggioranza dei presenti, produceva anche in quel caso la sostituzione ad ogni effetto gli atti di assenso, comunque denominati e necessari per l'effettuazione degli scavi e delle eventuali opere civili indicate nel progetto, di competenza delle amministrazioni, degli enti e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati e aveva altresì il valore di dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori.
Infine il comma 5, come novellato, precisa che alla predetta conferenza di servizi si applichino le disposizioni di cui all’articolo 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater e 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, con il dimezzamento dei termini ivi indicati, ad eccezione del termine di cui all’articolo 14-quinquies, fermo restando quanto previsto al comma 7 e l’obbligo di rispettare il termine perentorio finale di conclusione del presente procedimento indicato al comma 9 della disposizione (che ha formato anch’esso oggetto di novella ai sensi del comma 3, lettera e) del presente articolo).
Il previgente comma 5 disciplinava l’ipotesi di dissenso nell’ambito della Conferenza di servizi da parte di un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico, prevedendo che in tal caso la decisione fosse rimessa al Consiglio dei ministri.
Il comma 3, lettera c) modifica il comma 7 dell’articolo 88, in modo da includere nell’ambito dei termini ridotti di conclusione della conferenza di servizi, previsti dal comma 7 in commento, anche per le richieste di autorizzazione per l’esecuzione di attraversamenti e parallelismi riguardanti il sedime ferroviario e autostradale (sono già previste le richieste concernenti porti, interporti, aree del demanio idrico, marittimo, forestale e altri beni immobili appartenenti allo Stato, alle Regioni, agli enti locali e agli altri enti pubblici).
Il comma 7 dell’articolo 88 dispone che trascorso il termine di trenta giorni dalla presentazione della domanda, senza che l'Amministrazione abbia concluso il procedimento con un provvedimento espresso ovvero abbia indetto un'apposita conferenza di servizi, la medesima si intende in ogni caso accolta. Nel caso di attraversamenti di strade e comunque di lavori di scavo di lunghezza inferiore ai duecento metri, il termine è ridotto a dieci giorni. Nel caso di apertura buche, apertura chiusini per infilaggio cavi o tubi, posa di cavi o tubi aerei o altri elementi di rete su infrastrutture e siti esistenti, allacciamento utenti il termine è ridotto a otto giorni.
Viene inoltre previsto che decorsi i termini sopra indicati, l’amministrazione procedente comunichi, entro il termine perentorio di sette giorni, l’attestazione di avvenuta autorizzazione, scaduto il quale è sufficiente l’autocertificazione del richiedente.
Il comma 3, lettera d) dispone l’abrogazione del comma 7-bis dell’articolo 88.
Tale comma, introdotto dal decreto-legge n. 135 del 2018 stabiliva che in riferimento ad interventi per l'installazione di reti di comunicazione elettronica a banda ultralarga, in deroga a quanto previsto dall'articolo 22, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, l'autorizzazione prevista dall'articolo 21, comma 4, relativa agli interventi in materia di edilizia pubblica e privata, ivi compresi gli interventi sui beni di cui all'articolo 10, comma 4, lettera g), del medesimo decreto legislativo n. 42 del 2004, venisse rilasciata entro il termine di novanta giorni dalla ricezione della richiesta da parte della soprintendenza a condizione che detta richiesta fosse corredata di idonea e completa documentazione tecnica.
Il comma 3, lettera e) novella il comma 9 dell’articolo 88. La disposizione prevede che la conferenza di servizi deve concludersi entro il termine perentorio massimo di novanta giorni dalla data di presentazione dell’istanza (mantenendo fermo quanto previsto dal comma 7).
Si prevede poi che, fatti salvi i casi in cui disposizioni del diritto dell'Unione europea richiedono l’adozione di provvedimenti espressi, la mancata comunicazione della determinazione decisoria della conferenza di servizi entro il predetto termine perentorio equivale ad accoglimento dell’istanza, salvo che non sia stato espresso un dissenso, congruamente motivato, da parte di un’Amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o dei beni culturali. In tal caso, qualora non sia stata adottata la determinazione decisoria finale nel termine di 90 giorni sopra indicato, si prevede che l’interessato possa rivolgersi al responsabile del procedimento perché, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto (quindi in questo caso 45 giorni), concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario (secondo quanto previsto dall’articolo 2, comma 9-ter, della legge 7 agosto 1990 n. 241).
Andrebbe valutata l’opportunità di chiarire se anche in tale ultima circostanza trovi applicazione la previsione di cui all’articolo 14-quinquies della legge n. 241 del 1990.
Il testo previgente del comma 9 dell’articolo 88 prevedeva invece che qualora il motivato dissenso, a fronte di una decisione positiva assunta dalla conferenza di servizi, fosse espresso da un'Amministrazione preposta alla tutela ambientale, alla tutela della salute o alla tutela del patrimonio storico-artistico, la decisione venisse rimessa al Consiglio dei Ministri e trovano applicazione, in quanto compatibili con il Codice, le disposizioni di cui agli articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
Quanto agli effetti si precisa che l’accoglimento dell’istanza sostituisce ad ogni effetto gli atti di assenso, comunque denominati e necessari per l’effettuazione degli scavi e delle eventuali opere civili indicate nel progetto, di competenza delle amministrazioni, degli enti e dei gestori di beni o servizi pubblici interessati e vale altresì come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori, anche ai sensi degli articoli 12 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327. Della convocazione e dell'esito della conferenza viene tempestivamente informato il Ministero.
Decorso il termine sopra citato, l’amministrazione procedente comunica, entro il termine perentorio di sette giorni, l’attestazione di avvenuta autorizzazione, scaduto il quale è sufficiente l’autocertificazione del richiedente.
Il comma 4 prevede che fino al 31 dicembre 2026, in deroga agli articoli 5 e 7 del decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 33, nonché ai regolamenti adottati dagli enti locali la posa in opera di infrastrutture a banda ultra larga viene effettuata con la metodologia della micro trincea, attraverso l'esecuzione di uno scavo e contestuale riempimento di ridotte dimensioni (larghezza da 2,00 a 4,00 cm, con profondità variabile da 10 cm fino a massimo 35 cm), in ambito urbano ed extraurbano, anche in prossimità del bordo stradale o sul marciapiede. Ciò a condizione che sia tecnicamente fattibile per l’operatore.
Lo scopo della deroga è quello di consentire il tempestivo raggiungimento degli obiettivi di trasformazione digitale di cui al regolamento (UE) 2021/240 del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 febbraio 2021 e al regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021.
Si tratta del regolamento che istituisce uno strumento di sostegno tecnico (regolamento (UE) 2021/240) con risorse pari 864 milioni di euro e del regolamento che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza (regolamento (UE) 2021/241) con risorse pari a 360 miliardi di euro.
Per i predetti interventi di posa in opera di infrastrutture a banda ultra larga effettuati con la metodologia della micro trincea, nonché per quelli effettuati con tecnologie di scavo a basso impatto ambientale con minitrincea, non sono richieste le autorizzazioni di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e non si applicano le previsioni di cui all’articolo 7, commi 2-bis e 2-ter, del decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 33.
L’articolo 7, commi 2-bis e 2-ter del decreto legislativo n. 33 del 2016 dispongono che, qualora siano utilizzate infrastrutture fisiche esistenti e tecnologie di scavo a basso impatto ambientale in presenza di sottoservizi per gli interventi che non comportino nuova edificazione o scavi a quote diverse da quelle già impegnate dai manufatti esistenti e per gli immobili sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, l'avvio dei lavori è subordinato esclusivamente alla trasmissione, da parte dell'operatore di comunicazione elettronica, alla soprintendenza e all'autorità locale competente, di documentazione cartografica prodotta dall'Operatore medesimo relativamente al proprio tracciato e a quello dei sottoservizi e delle infrastrutture esistenti, nonché di documentazione fotografica sullo stato attuale della pavimentazione. La disposizione si applica anche alla realizzazione dei pozzetti accessori alle infrastrutture stesse, qualora essi siano realizzati in prossimità dei medesimi sottoservizi preesistenti. L'operatore di rete comunica, con un preavviso di almeno quindici giorni, l'inizio dei lavori alla soprintendenza competente. Qualora la posa in opera dei sottoservizi interessi spazi aperti nei centri storici, è altresì depositato presso la soprintendenza apposito elaborato tecnico che dia conto delle modalità di risistemazione degli spazi oggetto degli interventi. Qualora siano utilizzate tecnologie di scavo a basso impatto ambientale con minitrincea, ai fini dell'autorizzazione archeologica le attività di scavo sono precedute da indagini non invasive, concordate con la soprintendenza, in relazione alle caratteristiche delle aree interessate dai lavori. A seguito delle suddette indagini, dei cui esiti, valutati dalla soprintendenza, si tiene conto nella progettazione dell'intervento, in considerazione del limitato impatto sul sottosuolo, le tecnologie di scavo in minitrincea si considerano esentate dalla procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico. In ogni caso il soprintendente può prescrivere il controllo archeologico in corso d'opera per i lavori di scavo.
Le autorizzazioni di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004 concernono gli interventi su beni culturali, e per gli interventi che possano avere impatti di carattere paesaggistico.
L’operatore di rete si limita a comunicare, con un preavviso di almeno quindici giorni, l’inizio dei lavori alla soprintendenza competente, allegando la documentazione cartografica prodotta dall’operatore medesimo relativamente al proprio tracciato e, nel caso la posa in opera interessi spazi aperti nei centri storici, un elaborato tecnico che dia conto delle modalità di risistemazione degli spazi oggetto degli interventi.
L’ente titolare o gestore della strada o autostrada, ferme restando le caratteristiche di larghezza e profondità proposte dall'operatore in funzione delle esigenze di posa dell'infrastruttura a banda ultra larga, può concordare con l'operatore stesso accorgimenti in merito al posizionamento dell'infrastruttura allo scopo di garantire le condizioni di sicurezza dell’infrastruttura stradale.
Il comma 5 dispone infine fino al 31 dicembre 2026, che gli interventi di cui agli articoli 87 bis e 87 ter del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, siano realizzati previa comunicazione di avvio dei lavori all’amministrazione comunale, corredata da un’autocertificazione descrittiva degli interventi e delle caratteristiche tecniche degli impianti senza che sia necessario richiedere le autorizzazioni di cui al decreto legislativo 2 gennaio 2004, n. 42, purché comportino aumenti delle altezze non superiori a 1,5 metri e aumenti della superficie di sagoma non superiori a 1,5 metri quadrati.
Gli impianti sono attivabili qualora, entro trenta giorni dalla richiesta di attivazione all'organismo competente di cui all'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, non sia stato comunicato dal medesimo un provvedimento negativo.
Anche in tal caso la finalità dell’intervento è quella di consentire il tempestivo raggiungimento degli obiettivi di trasformazione digitale di cui al regolamento (UE) 2021/240 del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 febbraio 2021 e al regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021.
L’articolo 87-bis del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 prevede che nel caso di installazione di apparati con tecnologia UMTS, sue evoluzioni o altre tecnologie su infrastrutture per impianti radioelettrici preesistenti o di modifica delle caratteristiche trasmissive, fermo restando il rispetto dei limiti, dei valori e degli obiettivi di cui all'articolo 87 è sufficiente la segnalazione certificata di inizio attività, conforme ai modelli predisposti dagli enti locali e, ove non predisposti, al modello B di cui all'allegato n. 13. Qualora entro trenta giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda sia stato comunicato un provvedimento di diniego da parte dell'ente locale o un parere negativo da parte dell'organismo competente di cui all'articolo 14 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, la denuncia è priva di effetti.
L’articolo 87 ter del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 dispone che nel caso di modifiche delle caratteristiche degli impianti già provvisti di titolo abilitativo, ivi incluse le modifiche relative al profilo radioelettrico, che comportino aumenti delle altezze non superiori a 1 metro e aumenti della superficie di sagoma non superiori a 1,5 metri quadrati, è sufficiente un'autocertificazione descrittiva della variazione dimensionale e del rispetto dei limiti, dei valori e degli obiettivi di cui all'articolo 87, da inviare contestualmente all'attuazione dell'intervento ai medesimi organismi che hanno rilasciato i titoli. I medesimi organismi si pronunciano entro trenta giorni dal ricevimento dell'autocertificazione.
L’articolo 41 introduce un articolato procedimento sanzionatorio per le pubbliche amministrazioni per le violazioni degli obblighi in materia di transizione digitale.
In primo luogo, le violazioni, accertate dall’AgID, rilevano ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comportano responsabilità dirigenziale e disciplinare.
Inoltre, all’accertamento delle violazioni consegue l’irrogazione da parte dell’AgID di una sanzione amministrativa pecuniaria da 10 mila a 100 mila euro per:
§ mancata ottemperanza alla richiesta di dati, documenti o informazioni o trasmissione di informazioni o dati parziali o non veritieri;
§ violazione dell’obbligo di accettare i pagamenti spettanti attraverso sistemi di pagamento elettronico;
§ mancata disponibilità di dati in formato elettronico entro la data stabilita dal Presidente del Consiglio;
§ l'inadempimento dell'obbligo di rendere disponibili e accessibili le proprie basi dati;
§ violazione dell’obbligo di utilizzare esclusivamente identità digitali per l’identificazione degli utenti dei servizi on-line;
§ violazione dell’obbligo di rendere disponibili i propri servizi in rete;
§ non ottemperanza al rispetto delle regole in materia di livelli minimi di sicurezza, capacità elaborativa, risparmio energetico e affidabilità delle infrastrutture digitali e in materia di caratteristiche di qualità, di sicurezza, di performance e scalabilità, interoperabilità, portabilità dei servizi cloud.
In terzo luogo, si prevede l’intervento sostitutivo del Governo nei confronti dell’amministrazione inadempiente con la nomina di un commissario ad acta.
Infine, si attribuisce all’AgID il compito di individuare i termini e le modalità con cui le amministrazioni centrali e locali devono effettuare le migrazioni dei Centri per l'elaborazione delle informazioni (CED) e i relativi sistemi informatici verso le strutture previste che garantiscono i necessari requisiti di sicurezza e affidabilità.
Come espressamente indicato le finalità della norma sono:
§ assicurare l’attuazione dell’Agenda digitale italiana ed europea;
§ assicurare a digitalizzazione dei cittadini, delle pubbliche amministrazioni e delle imprese, anche in relazione agli obiettivi fissati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza;
§ garantire il coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale e la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale nelle materie (di cui all’articolo 5, comma 3, lettera b-bis), della legge 23 agosto 1988, n. 400) dell'innovazione tecnologica, dell'attuazione dell'agenda digitale italiana ed europea, della strategia italiana per la banda ultralarga, della digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni e delle imprese, nonché della trasformazione, crescita e transizione digitale del Paese, in ambito pubblico e privato, dell'accesso ai servizi in rete, della connettività, delle infrastrutture digitali materiali e immateriali e della strategia nazionale dei dati pubblici.
In particolare, il comma 1 introduce il nuovo articolo 18-bis nel Codice dell’amministrazione digitale CAD (D.Lgs, 82/2005) recante disposizioni in materia di violazioni degli obblighi di transizione digitale da parte delle pubbliche amministrazioni e degli altri soggetti tenuti al rispetto dei medesimi obblighi: autorità indipendenti, gestori dei servizi pubblici, società in controllo pubblico (ai sensi dell’art. 2, comma 2, CAD).
In primo luogo, il comma 1 del nuovo art. 18-bis attribuisce all’AgID compiti generali di vigilanza, verifica, controllo e monitoraggio sul rispetto delle disposizioni del CAD e di ogni altra norma in materia di innovazione tecnologica e digitalizzazione della pubblica amministrazione, ivi comprese le Linee guida e del Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione.
Inoltre, per l’esercizio di tali compiti si riconosce all’AgID il potere di acquisizione di documenti e informazioni nei confronti delle PA. La violazione dell’obbligo di messa a disposizione di documenti e informazioni è punita con una specifica sanzione amministrativa pecuniaria (vedi oltre il comma 5 del nuovo art. 18-bis).
I commi 2 e 3 del nuovo art. 18-bis delineano un procedimento di accertamento delle violazioni articolato come segue:
§ l’AgID, in caso di violazione degli obblighi di transizione digitale, procede alla contestazione della violazione nei confronti del trasgressore assegnandogli un termine perentorio, proporzionato rispetto al tipo e alla gravità della sanzione, per inviare scritti difensivi e documentazione e per chiedere di essere sentito;
§ qualora accerti la sussistenza delle violazioni contestate, l’AgID assegna al trasgressore un termine perentorio per conformare la propria condotta agli obblighi previsti dalla disciplina vigente;
§ l’AgID segnala le violazioni all’ufficio competente per i procedimenti disciplinari di ciascuna amministrazione, ai competenti organismi indipendenti di valutazione e, in ogni caso, a ciascuna amministrazione per i rispettivi provvedimenti di competenza in materia disciplinare e di valutazione della performance;
§ le segnalazioni delle violazioni sono pubblicate su un’apposita area del sito internet istituzionale dell’AgID.
L’accertamento delle violazioni comporta tre ordini di misure applicate contestualmente:
§ responsabilità dirigenziale e disciplinare;
§ sanzioni amministrative pecuniarie;
§ esercizio del potere sostitutivo.
Per quanto riguarda il primo ordine di misure, il comma 4 del nuovo art. 18-bis prevede che le violazioni accertate dall’AgID rilevano ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comportano responsabilità dirigenziale e disciplinare.
Il D.Lgs. 150 del 2009 obbliga ciascuna amministrazione a dotarsi, con specifico provvedimento, di un sistema di misurazione e valutazione idoneo a rilevare sia la performance organizzativa (che prende in considerazione i risultati prodotti da un soggetto nel suo insieme o dalle singole articolazioni della sua struttura), sia la performance individuale dei dipendenti (dirigenti e personale non dirigente) che prende in considerazione il raggiungimento di specifici obiettivi ed il contributo individuale alla performance organizzativa (art. 3, co. 2, e art. 7).
Al fine di promuovere il merito ed il miglioramento della performance organizzativa ed individuale, la legge prevede l’utilizzo di trattamenti premianti selettivi legati alla valutazione e la valorizzazione dei dipendenti con le migliori perfomance attraverso l’attribuzione di incentivi sia economici che di carriera (art. 18).
La valutazione negativa della performance, purché resa nel rispetto delle disposizioni del D.Lgs. 150, rileva ai fini dell’accertamento della responsabilità dirigenziale e ai fini dell’irrogazione del licenziamento disciplinare per insufficiente rendimento, ai sensi dell’art. 55-quater, co. 1, lett. f-quinquies), del testo unico delle disposizioni sul lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (D.Lgs. 165/2001).
La responsabilità dirigenziale si fonda sulle previsioni dell’art. 21 del D.Lgs. 165/2001, il quale richiama il mancato raggiungimento degli obiettivi, accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione o l'inosservanza delle direttive imputabili al dirigente, quali elementi che comportano, previa contestazione e ferma restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilità di rinnovo dell’incarico dirigenziale. In relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, revocare prima della scadenza l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli delle amministrazioni dello Stato ovvero recedere dal rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo.
La responsabilità disciplinare si concretizza in una violazione del codice disciplinare rinvenibile nel contratto collettivo richiamato dal contratto individuale o nella violazione dei precetti fissati dagli artt. 55 e seguenti del D.Lgs. n. 165 del 2001 o dal codice di comportamento. La titolarità ad accertare la responsabilità disciplinare risiede in capo al dirigente di struttura o all’Ufficio per i procedimenti disciplinari.
In secondo luogo, come anticipato, l’accertamento delle violazioni comportano l’irrogazione da parte dell’AgID di una sanzione amministrativa pecuniaria da 10 mila a 100 mila euro qualora la PA interessata non ottemperi all’obbligo di conformare la propria condotta nel termine fissato dall’AgID (comma 5 del nuovo art. 18-bis).
La sanzione di cui sopra è irrogata in presenza delle seguenti violazioni:
a) mancata ottemperanza alla richiesta di dati, documenti o informazioni
b) trasmissione di informazioni o dati parziali o non veritieri;
c) violazione dell’obbligo ad accettare i pagamenti spettanti attraverso sistemi di pagamento elettronico (art. 5 CAD);
d) mancata disponibilità di dati delle PA in formato elettronico entro la data stabilita dal Presidente del Consiglio (art. 50, comma 3-ter CAD);
e) l'inadempimento dell'obbligo di rendere disponibili e accessibili le proprie basi dati ovvero i dati aggregati e anonimizzati (art. 50-ter, comma 5, CAD);
f) violazione dell’obbligo di utilizzare esclusivamente identità digitali per l’identificazione degli utenti dei servizi on-line (art. 64, comma 3- bis, CAD);
g) violazione dell’obbligo di rendere fruibili i propri servizi in rete (64-bis CAD);
h) non ottemperanza al rispetto delle regole fissate dall’AgID in materia di livelli minimi di sicurezza, capacità elaborativa, risparmio energetico e affidabilità delle infrastrutture digitali per la pubblica amministrazione e in materia di caratteristiche di qualità, di sicurezza, di performance e scalabilità, interoperabilità, portabilità dei servizi cloud per la pubblica amministrazione. (art. 33-septies, comma 4, D.L. 179/2012, si veda in proposito AgID, Linee Guida per la razionalizzazione della infrastruttura digitale della Pubblica Amministrazione, 6 ottobre 2013).
Ciascuna delle disposizioni del CAD che dispongono gli obblighi di cui ai punti da d) a g) di cui sopra prevede che l’inadempimento di tali obblighi costituisce mancato raggiungimento di uno specifico risultato e di un rilevante obiettivo da parte dei dirigenti responsabili delle strutture competenti e comporta la riduzione, non inferiore al 30 per cento, della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei dirigenti competenti, oltre al divieto di attribuire premi o incentivi nell'ambito delle medesime strutture.
Tali disposizioni sono fatte salve dalla norma in commento. Così come è fatta salva la previsione analoga prevista in caso di inottemperanza del rispetto del codice di condotta tecnologica.
Il codice di condotta tecnologica è disciplinato dall’articolo 13-bis del CAD, introdotto dal DL 76/2020. Esso è adottato dal Capo dipartimento della struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri competente per la trasformazione digitale, sentiti l'AgID e il nucleo per la sicurezza cibernetica e acquisito il parere della Conferenza unificata. Il codice di condotta tecnologica disciplina le modalità di progettazione, sviluppo e implementazione dei progetti, sistemi e servizi digitali delle amministrazioni pubbliche, nel rispetto del principio di non discriminazione, dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone e della disciplina in materia di perimetro nazionale di sicurezza cibernetica.
I proventi delle sanzioni pecuniarie di cui sopra vengono versati in apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati allo stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze e sono destinato in misura uguale a all’AgID e al Fondo per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione.
Il decreto-legge 34/2020 (cd decreto Rilancio) ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze - un Fondo per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione con una dotazione di 50 milioni per il 2020 (art. 239).
Tali risorse sono trasferite al bilancio autonomo della Presidenza del consiglio dei ministri, per essere assegnate al Ministro delegato per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione, che provvede alla gestione.
Il Fondo è destinato alla copertura delle spese per interventi, acquisti e misure di sostegno a favore di:
- una "strategia di condivisione e utilizzo del patrimonio informativo pubblico" a fini istituzionali;
- la diffusione dell'identità digitale, del domicilio digitale e delle firme elettroniche;
- la realizzazione ed erogazione di servizi in rete, dell'accesso ai servizi in rete tramite le piattaforme abilitanti previste da disposizioni del Codice dell'amministrazione digitale (decreto legislativo n. 82 del 2005), recate dai seguenti articoli: 5 (sistema di pagamento elettronico, attraverso un sistema pubblico di connettività che assicuri una piattaforma tecnologica per l'interconnessione e l'interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati), 62 (Anagrafe nazionale della popolazione residente), 64 (sistema pubblico per la gestione delle identità digitali e modalità di accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni), e 64-bis (accesso telematico ai servizi della pubblica amministrazione), nonché per i servizi e le attività di assistenza tecnico-amministrativa necessarie.
La legge di bilancio 2021 (L. 178/2020, art. 1, commi 620 e 621) ha previsto rispettivamente:
- la trasferibilità alle varie amministrazioni pubbliche delle risorse del Fondo per l'innovazione tecnologica e digitale;
- l'attribuzione alla struttura della Presidenza del Consiglio competente per l'innovazione tecnologica e l'innovazione, delle attività tese a far funzionare la piattaforma per il tracciamento dei contatti e l'allerta Covid-19.
Al procedimento sanzionatorio si applica, in quanto compatibile, la disciplina generale sulle sanzioni amministrative prevista dalla legge n. 689 del 1981
In terzo luogo, si avvia un procedimento che può portare all’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Presidente del Consiglio o del Ministro della transizione digitale nei confronti della PA inadempiente nei casi previsti per l’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria di cui sopra e di violazione degli obblighi relativi al codice di condotta tecnologica, di cui al citato art. 13-bis del CAD (comma 6 del nuovo art. 18-bis).
Il procedimento prevede quanto segue:
§ l’AgID segnala la presunta violazione alla struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri competente per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale;
§ ricevuta la segnalazione la struttura diffida ulteriormente il trasgressore a conformarsi, entro un congruo termine, agli obblighi dalla disciplina vigente, avvisando che, in caso di inottemperanza, potranno essere esercitati i poteri sostitutivi del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato;
§ decorso inutilmente il termine e valutata la gravità della violazione, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, può nominare un commissario ad acta incaricato di provvedere in sostituzione (al commissario non spettano compensi, indennità o rimborsi);
§ se l’inerzia o il ritardo riguardano le amministrazioni locali, si procede all’esercizio del potere sostitutivo di cui agli articoli 117, comma 5, e 120, comma 2, della Costituzione, ai sensi all’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.
Il secondo comma dell’art. 120 Cost., come sostituito dall’art. 6 della legge costituzionale n. 3 del 2001, di riforma del Titolo V della Costituzione, disciplina l’esercizio da parte dello Stato di poteri sostitutivi rispetto agli organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni.
Tali poteri sono attivabili quando si riscontri che tali enti non abbiano adempiuto a norme e trattati internazionali o alla normativa comunitaria oppure vi sia pericolo grave per la sicurezza e l’incolumità pubblica, ovvero lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
La disposizione costituzionale demanda ad una successiva legge statale di attuazione il compito di disciplinare l’esercizio dei poteri sostituitivi nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione.
L’articolo 8 della L. 131/2003, nel dettare le norme attuative dell’articolo 120, comma secondo, della Costituzione, ha in primo luogo delineato (comma 1) un meccanismo che ruota attorno alla fissazione di un congruo termine per l’adozione da parte dell’ente degli “atti dovuti o necessari”.
La fissazione del termine e la previsione, dopo il suo inutile decorso, dell’intervento sostitutivo del Governo viene a configurare un’ipotesi di inadempienza avente ad oggetto atti che, in quanto “dovuti” dovrebbero trovare un proprio fondamento in una disposizione di legge o comunque normativa.
È prevista una procedura che può essere qualificata come “generale” (comma 1), sulla quale si innestano, poi, le procedure “settoriali” previste dai successivi commi per le specifiche ipotesi ivi indicate. Alla fissazione del “congruo termine” per l’adozione degli atti “dovuti o necessari” provvede il Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. Decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei Ministri, sentito l’organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio, esercita il potere sostitutivo, che può esprimersi adottando direttamente i “provvedimenti necessari, anche normativi”, ovvero nominando un apposito Commissario. Alla riunione del Consiglio dei Ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale della Regione interessata al provvedimento.
Il successivo articolo 10 della L. 131/2003 affida l’esecuzione di provvedimenti costituenti esercizio del potere sostitutivo direttamente adottati dal Consiglio dei ministri al Rappresentante dello Stato, ossia al prefetto titolare dell’Ufficio territoriale del Governo del capoluogo di Regione, cui sono trasferite le funzioni del Commissario del Governo compatibili con la riforma costituzionale del 2001.
Il comma 1 dell’articolo 8, facendo espresso riferimento a provvedimenti “anche normativi”, prefigura la possibile adozione, da parte del Governo, di atti di natura regolamentare, nonché di natura legislativa. L’articolo 8 (comma 2) individua la prima “disciplina settoriale” che si innesta sul tronco della procedura generale di cui al comma 1, ed ha ad oggetto le ipotesi di violazione della normativa comunitaria.
La L. 131/2003 prevede una seconda “procedura settoriale” (art. 8, comma 3) per i casi in cui l’esercizio del potere sostitutivo riguardi gli enti locali (Comuni, province o Città metropolitane).
In questi casi si prevede che la nomina del Commissario debba tenere conto dei princìpi di sussidiarietà e di leale collaborazione e si richiede, per l’adozione dei provvedimenti sostitutivi da parte del Commissario stesso, che sia sentito il Consiglio delle autonomie locali (qualora tale organo sia stato istituito).
Poiché anche tale disposizione pare innestarsi come specificazione di una particolare fase procedurale, nell’ambito della disciplina generale delineata dal comma 1, essa non comporta l’esclusione dell’esercizio dei poteri sostitutivi nei riguardi degli enti locali secondo l’altra opzione indicata dal comma 1, ossia attraverso l’adozione, direttamente da parte del Consiglio dei ministri, dei provvedimenti necessari, anche normativi.
L’articolo 8 prevede poi una “procedura d’urgenza” (comma 4), ricalcando almeno in parte quanto disposto dall’articolo 5, comma 3 del decreto legislativo n. 112 del 1998: si tratta di una procedura speciale, cui il Governo può fare ricorso nei casi di assoluta urgenza, qualora l’intervento sostitutivo non sia procrastinabile senza mettere in pericolo le finalità tutelate dall’articolo 120 della Costituzione: in questi casi, i provvedimenti necessari sono adottati dal Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali. I provvedimenti in questione sono poi immediatamente comunicati alla Conferenza Stato-Regioni o alla Conferenza Stato-Città e autonomie locali, allargata ai rappresentanti delle comunità montane, che possono chiederne il riesame.
Il comma 5 dell’articolo 8 evidenzia infine che i provvedimenti sostitutivi “devono essere proporzionati alle finalità perseguite”; in base al comma 6, il Governo può promuovere la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire l'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni.
Sull’esercizio del potere sostitutivo si veda anche (supra) l’art. 12 del decreto-legge in esame.
Le procedure di contestazione, accertamento, segnalazione e irrogazione delle sanzioni sono disciplinate dall’AgID con proprio regolamento (comma 7 del nuovo art. 18-bis CAD).
Il comma 2, lettera a), attribuisce al regolamento AgID previsto dal comma 4 dell’articolo 33-septies del decreto-legge 18 ottobre 2021, n. 179 il compito di individuare i termini e le modalità con cui le amministrazioni centrali e locali devono effettuare le migrazioni dei Centri per l'elaborazione delle informazioni (CED) e i relativi sistemi informatici verso le strutture previste che garantiscono i necessari requisiti di sicurezza e affidabilità.
La lettera b) del comma 2, reca una disposizione di coordinamento introducendo, nello stesso articolo 33-septies, il comma 4-quinquies che disciplina il trattamento sanzionatorio in caso di violazione degli obblighi previsti dallo stesso articolo 33-septies facendo rinvio al nuovo art. 18-bis del CAD di cui sopra.
Il comma 3, infine, introduce una modifica ai poteri del difensore civico digitale per coordinare il suo operato con il nuovo procedimento sanzionatorio delineato dall’art. 18-bis del CAD di cui sopra.
Il CAD (art. 17, comma 1-quater) prevede la figura del difensore civico digitale istituito presso l’AgID con compiti di controllo e segnalazione delle violazioni delle norme del CAD. Chiunque può presentare al difensore civico per il digitale, attraverso apposita area presente sul sito istituzionale dell'AgID, segnalazioni relative a presunte violazioni del presente Codice e di ogni altra norma in materia di digitalizzazione da parte delle PA.
Secondo la disciplina previgente, ricevuta la segnalazione, il difensore civico, se la ritiene fondata, invita il soggetto responsabile della violazione a porvi rimedio tempestivamente e comunque non oltre 30 giorni. Il difensore segnala le inadempienze all'ufficio competente per i procedimenti disciplinari di ciascuna amministrazione. Il mancato avvio delle attività necessarie a porre rimedio e il mancato rispetto del termine perentorio per la loro conclusione rileva ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comporta responsabilità dirigenziale e disciplinare ai sensi degli articoli 21 e 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Con la modifica apportata dal comma in esame, al difensore civico spetta esclusivamente il potere di raccogliere le segnalazioni e di procedere al loro esame preliminare: accertata la non manifesta infondatezza della segnalazione, il difensore la trasmette all’AgID e il procedimento confluisce in quello introdotto dal nuovo art. 18-bis del CAD
.
Come esplicitato nella relazione illustrativa le disposizioni dell’articolo in esame sono volte a contribuire alla realizzazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), di cui al Regolamento (UE) 2021/240 del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 febbraio 2021 e al Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021 - piano che, con riguardo ad uno dei pilastri dedicato alla transizione digitale, pone l’interoperabilità, il cloud first, l’erogazione di servizi in rete e la transizione digitale della pubblica amministrazione - tra i progetti più importanti.
PNRR
La Digitalizzazione della pubblica amministrazione costituisce il primo asse della componente 1 “Digitalizzazione, innovazione e sicurezza nella PA” compresa nella Missione 1 “Digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo” del PNRR e rappresenta, al contempo, uno dei temi trasversali del Piano.
Per la digitalizzazione della PA si prevedono sette interventi e tre riforme recanti risorse pari complessivamente a 6,146 miliardi di euro.
Ulteriori risorse, pari a 1,4 miliardi di euro, sono rese disponibili dalla programmazione nazionale aggiuntiva ad opera del decreto-legge 59/2021 riguardante il Fondo complementare al PNRR (art, 1, comma 2, lett. a), nn. 1 e 2 e lett. f), n. 1). Si tratta di risorse che si aggiungono prevalentemente a quelle previste sull’investimento 1.4 “Servizi digitali e cittadinanza digitale”.
Degli interventi previsti in questa sede rilevano principalmente i seguenti.
Dati ed interoperabilità (M1-C1-I.1.3) 646 milioni
L’investimento ha l’obiettivo di garantire l'interoperabilità e la condivisione di informazione tra le PA secondo il principio dell’once only (“una volta per tutte”), evitando al cittadino di dover fornire più volte la stessa informazione a diverse amministrazioni.
Un primo progetto consiste nello sviluppo della Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND) (istituita dall’art. 50-ter del CAD) che consentirà alle amministrazioni di rendere disponibili le proprie informazioni attraverso interfacce digitali API Application Programming Interface.
Un secondo progetto riguarda lo Sportello digitale unico (previsto dal regolamento (UE) 2018/1724) che consentirà l’armonizzazione tra gli Stati Membri e la digitalizzazione di procedure e servizi.
Tempistica:
Piattaforma Digitale Nazionale Dati
Milestones
T4 2022 piena operatività della Piattaforma
T4 2024 400 API integrate nella piattaforma
Target T2 2026 1.000/1.100 API integrate nella piattaforma
Sportello digitale unico
Target T4 2023 21 procedure pienamente conformi alle norme UE e accessibili on-line.
Servizi digitali e cittadinanza digitale (M1-C1-I.1.4) 2.013 milioni
L’investimento è finalizzato allo sviluppo dell’offerta di servizi digitali delle PA in favore di cittadini, residenti e imprese, in linea con gli obiettivi del "Digital Compass" dell'Europa, secondo cui entro nel 2030 i principali servizi pubblici saranno disponibili online.
L’intervento comporta il rafforzamento di servizi già esistenti quali identità digitale (SPID e CIE), firma elettronica, strumenti di pagamento digitale per pubblico e privato (PagoPA), piattaforma AppIO. Inoltre, si prevede di introdurre nuovi servizi o attuarne di già previsti, quali la Piattaforma unica di notifiche digitali (L. 160/2019, art. 1, co. 402; D.L. 76/2020, art. 26) e la sperimentazione in ambito mobilità (Mobility as a Service) per migliorare l’efficienza dei sistemi di trasporto urbano.
Milestones
T4 2023
65% di PA adotta PagoPA e 40% di PA adotta AppIO, assicurando un aumento del 20% dei loro servizi.
10% delle PA (su 8.000 interessate) adottano la Piattaforma notifiche digitali
avvio di 3 progetti pilota di Mobility as a service solutions nelle città metropolitane
T2 2024
4% delle PA (su 16.076 interessate) aderiscono ad un modello comune di siti e servizi web
T1 2025
Lancio di ulteriori 7 progetti Mobility as a service solutions.
Target
T2 2025
55 tra regioni, città metropolitane e enti locali che hanno rafforzato l’accessibilità ai servizi digitali
T1 2026
70% della popolazione (42 mln) dotata di identità digitale (SPID o CIE)
T2 2026
80% delle PA (su 16.076 interessate) aderiscono ad un modello comune di siti e servizi web
80% di PA adottano PagoPA e AppIO, assicurando un aumento del 20% dei loro servizi
100% delle PA (su 16.076 interessate) adottano SPID e CIE
80% delle PA (su 8.000 interessate) adottano la Piattaforma notifiche digitali.
Delle tre riforme previste qui rileva la terza: Introduzione linee guida “cloud first” e interoperabilità (M1-C1-R.1.3).
Essa prevede entro il quarto trimestre 2021 l’adozione di un intervento legislativo nell’ambito del decreto-legge semplificazioni.
Si prevedono in particolare le seguenti misure:
- introduzione di disincentivi per le amministrazioni che non avranno effettuato la migrazione al cloud entro un termine predefinito, in considerazione che la migrazione ridurrà i costi ICT delle amministrazioni;
- revisione delle regole di contabilità che disincentivano la migrazione (al momento, infatti, la migrazione al cloud comporta di “tradurre” capex in opex).
- semplificazione delle procedure per lo scambio di dati tra le amministrazioni, che attualmente richiedono documenti/autorizzazioni dedicati, per favorire una piena interoperabilità tra le PA.
Inoltre, saranno adottati provvedimenti di attuazione, in particolare il regolamento AGID sui livelli minimi di sicurezza delle PA (ex art. 33-septies DL 179/2012) e le linee guida AGID sull’interoperabilità (ex. Artt. 50 e 50-ter CAD).
L'articolo 42 reca alcune disposizioni attuative in materia di certificazioni verdi COVID-19, con riferimento alla Piattaforma nazionale-DGC (digital green certificate) - relativa all'emissione e alla validazione delle medesime certificazioni - e all'accesso da parte dell'interessato alla certificazione.
Si ricorda che le certificazioni in oggetto sono disciplinate, in via principale, dall'articolo 9 del D.L. 22 aprile 2021, n. 52, attualmente in fase di conversione alle Camere; esse attestano la vaccinazione contro il COVID-19 o la guarigione dalla medesima malattia o l'effettuazione di un test molecolare o di un test antigenico rapido, con risultato negativo (con riferimento al virus SARS-CoV-2) e rilevano esclusivamente per specifici fini, stabiliti dal legislatore. La disciplina sulle certificazioni è in larga parte transitoria, in attesa dell'entrata in vigore di norme europee in materia, relative alle medesime fattispecie summenzionate. Le norme europee in corso di adozione[30] sono intese in via principale a garantire l'interoperabilità tra gli Stati membri delle certificazioni, fermo restando che queste ultime rilevano solo ai fini posti dal legislatore interno. Le disposizioni di cui al presente articolo 42 costituiscono misure di attuazione valide anche per la fase in cui troverà applicazione il quadro normativo europeo.
In particolare, il comma 1 dell'articolo 42 in esame specifica che la Piattaforma nazionale-DCG è realizzata, attraverso l'infrastruttura del Sistema Tessera Sanitaria[31], dalla società Sogei S.p.A.[32] ed è gestita dalla stessa società per conto del Ministero della salute, il quale è il titolare del trattamento dei relativi dati. Il disposto del comma 1 è presente anche nel comma 1 del suddetto articolo 9 del D.L. n. 52, nel testo approvato dalla Commissione affari sociali della Camera; si valuti l'opportunità di un coordinamento al fine di evitare duplicazioni normative.
Il comma 2 del presente articolo 42 prevede che le certificazioni in oggetto siano rese disponibili all'interessato, oltreché mediante l'inserimento nel Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) e mediante l'accesso (tramite autenticazione) alla suddetta Piattaforma nazionale-DCG, anche tramite il punto di accesso telematico attivato presso la Presidenza del Consiglio dei ministri per i servizi pubblici in rete[33], nonché tramite l'applicazione cosiddetta APP Immuni[34], e demanda al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanarsi ai sensi del comma 10 del suddetto articolo 9 del D.L. n. 52, la definizione delle modalità attuative delle forme di rilascio in oggetto.
Si ricorda che le certificazioni in esame, ai sensi dei commi da 3 a 5 del suddetto articolo 9 del D.L. n. 52, possono essere rilasciate anche in formato cartaceo.
I commi 3 e 4 del presente articolo 42 prevedono che la trasmissione alla summenzionata Piattaforma, da parte delle regioni e delle province autonome, dei dati di contatto relativi ai soggetti a cui siano state somministrate, prima dell'entrata in vigore del suddetto decreto di cui al comma 10 dell'articolo 9 del D.L. n. 52, una o più dosi del vaccino contro il COVID-19 sia effettuata mediante il Sistema Tessera Sanitaria e che la medesima trasmissione, con riferimento alle somministrazioni successive, sia operata tramite l'Anagrafe nazionale vaccini[35]; tale trasmissione alla Piattaforma è intesa a consentire la comunicazione all'interessato di un codice univoco, che permetta al medesimo soggetto di acquisire il certificato dai canali di accesso alla Piattaforma.
Ai fini della trasmissione all'interessato - mediante messaggi di telefonia mobile - dei codici suddetti, viene autorizzata una spesa di 3.318.400 euro per il 2021; per la copertura finanziaria di tale stanziamento si riduce, in misura corrispondente, la dotazione, relativa al 2021, del fondo di parte corrente, istituito[36] nello stato di previsione del Ministero della salute per il 2021, concernente la reiscrizione in bilancio di risorse dello stato di previsione già soppresse in quanto oggetto di residui passivi perenti[37].
L’articolo 43 consente al Ministero delle infrastrutture e delle mobilità sostenibili di avvalersi della Sogei S.p.A., tramite apposite convenzioni, per servizi informatici e per la realizzazione di progetti mediante piattaforme informatiche.
In dettaglio, il comma 1 consente al Ministero delle infrastrutture e delle mobilità sostenibili di avvalersi della Sogei S.p.A., per servizi informatici strumentali al raggiungimento dei propri obiettivi istituzionali e funzionali, nonché per la realizzazione di programmi e progetti da realizzare mediante piattaforme informatiche rivolte ai destinatari degli interventi.
Si prevede che l'oggetto e le condizioni di tali servizi siano definiti mediante apposite convenzioni.
Si ricorda che la SOGEI- Società Generale d’informatica - è una società per azioni, costituita nel 1976 e posseduta al 100% del MEF, che ha per oggetto sociale prevalente la prestazione di sevizi strumentali all’esercizio delle funzioni pubbliche attribuite al Ministero dell’Economia e finanze ed alle Agenzie fiscali, in particolare relative alla conduzione del sistema informativo della fiscalità per l’amministrazione fiscale e le attività connesse, le attività informatiche riservate allo Stato e quelle di sviluppo dei sistemi informatici, nonché le altre attività informatiche di competenza del MEF. La SOGEI può svolgere inoltre altre attività in base a disposizioni legislative e regolamentari, nonché in base all’art. 51 del DL n. 124/2019, offre servizi informatici, tramite convenzioni, alla Presidenza del Consiglio, all’Avvocatura dello stato, alle Capitanerie di porto ed alla società di gestione della piattaforma pagoPA.
Scopo dichiarato del comma 1 è di migliorare l'efficacia e l'efficienza dell'azione amministrativa e di favorire la sinergia tra processi istituzionali afferenti ambiti affini, favorendo la digitalizzazione dei servizi e dei processi, attraverso interventi di consolidamento delle infrastrutture, razionalizzazione dei sistemi informativi e interoperabilità tra le banche dati, anche al fine di conseguire gli obiettivi di cui al Regolamento (UE) 2021/240 e al Regolamento (UE) 2021/241 nonché quelli previsti dal decreto ministeriale di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legge 6 maggio 2021, n. 59.
Il richiamato regolamento UE n. 2021/240 ha istituito uno strumento di sostegno tecnico e stabilisce l'obiettivo generale e gli obiettivi specifici dello strumento, il suo bilancio per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2021 e il 31 dicembre 2027, le forme di finanziamento dell'Unione e le regole di erogazione dei finanziamenti. Il regolamento UE n. 2021/241 ha istituito il dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF) il suo finanziamento, le forme di finanziamento dell'Unione erogabili nel suo ambito e le regole di erogazione di tale finanziamento, che avviene tramite il programma Next Generation EU.
Con l’art. 1 del decreto legge 6 maggio 2021, n. 59 è stato approvato il Piano nazionale per gli investimenti complementari finalizzato ad integrare con risorse nazionali gli interventi del Piano nazionale di ripresa e resilienza per complessivi 30.622,46 milioni di euro per gli anni dal 2021 al 2026. Il richiamato comma 7 prevede l’emanazione di un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze ai fini del monitoraggio degli interventi.
Il comma 1 dispone inoltre che resti fermo quanto previsto dall'articolo 1, comma 1043, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 e dal decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 229 relativamente al monitoraggio dello stato di attuazione delle opere pubbliche.
Il richiamato comma 1043 della legge di bilancio 2021 prevede che le amministrazioni e gli organismi titolari dei progetti finanziati per l'attuazione del programma Next Generation EU siano responsabili della relativa attuazione conformemente al principio della sana gestione finanziaria e alla normativa nazionale ed europea, in particolare per quanto riguarda la prevenzione, l'individuazione e la correzione delle frodi, la corruzione e i conflitti di interessi, e realizzano i progetti nel rispetto dei cronoprogrammi per il conseguimento dei relativi target intermedi e finali. Al fine di supportare le attività di gestione, di monitoraggio, di rendicontazione e di controllo delle componenti del Next Generation EU, il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato sviluppa e rende disponibile un apposito sistema informatico.
Il comma 2 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'attuazione del comma 1 pari a 500.000 euro annui a decorrere dall'anno 2021, ai quali si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del Fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2021 - 2023, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali», della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2021, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
L'articolo 44 interviene con una serie di semplificazioni procedurali in materia di opere pubbliche la cui realizzazione dovrà rispettare una tempistica particolarmente stringente anche in considerazione del fatto che le opere stesse sono state indicate nel PNRR o sono state incluse nel cosiddetto Fondo complementare.
L'articolo in questione individua una procedura speciale all'interno della quale il Consiglio superiore dei lavori pubblici assume un ruolo di particolare centralità.
Vengono inoltre assicurati, al fine di garantire tempi certi di conclusione dei relativi procedimenti autorizzativi, una sensibile riduzione dei tempi per l'espressione, da parte dei diversi soggetti coinvolti, dei diversi pareri previsti.
In particolare, nell’ottica di conseguire gli obiettivi di cui al PNRR, l'articolo in questione interviene sul Consiglio superiore dei lavori pubblici del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, quale organo individuato ad esprimere le valutazioni di natura tecnica sui progetti inerenti la realizzazione di opere pubbliche, nonché sulla fase autorizzatoria, creando un procedimento ad hoc per una serie di opere.
Il comma 1, stabilisce che la procedura speciale, qui delineata, si applichi esclusivamente alle opere contenute nell’elenco riportato in allegato al presente decreto che, per comodità si riportano di seguito:
1) Realizzazione asse ferroviario Palermo-Catania-Messina;
2) Potenziamento linea ferroviaria Verona–Brennero;
3) Realizzazione della linea ferroviaria Salerno-Reggio Calabria;
4) Realizzazione della linea ferroviaria Battipaglia-Potenza-Taranto;
5) Realizzazione della linea ferroviaria Roma-Pescara;
6) Potenziamento della linea ferroviaria Orte-Falconara;
7) Realizzazione delle opere di derivazione della Diga di Campolattaro (Campania);
8) Messa in sicurezza e ammodernamento del sistema idrico del Peschiera (Lazio);
9) Interventi di potenziamento delle infrastrutture del Porto di Trieste (progetto Adriagateway);
10) Realizzazione della Diga foranea di Genova.
In particolare, lo stesso comma 1 prevede che la stazione appaltante trasmetta il progetto di fattibilità tecnica ed economica al Consiglio superiore dei lavori pubblici per l’espressione del parere.
Una volta ricevuto il progetto e al fine di consentire nell’immediato una prima valutazione sotto il profilo dell’idoneità tecnica, il Comitato speciale del Consiglio superiore dei lavori pubblici di cui all’articolo 47 del provvedimento in questione, verifica, entro quindici giorni, l’esistenza di evidenti errori o incompletezze sostanziali, anche avuto riguardo agli aspetti ambientali, paesaggistici e culturali.
In caso di errori o incompletezze tali da non consentire l’espressione del parere, il progetto è restituito alla stazione appaltante con l’indicazione degli errori riscontrati e delle eventuali modifiche necessarie ai fini dell’espressione del parere in senso favorevole.
La stazione appaltante procede alle modifiche ed alle integrazioni richieste dal Comitato speciale entro il termine perentorio di quindici giorni dalla data di restituzione del progetto. Il termine per l’espressione del parere è fissato in trenta giorni dalla ricezione del progetto di fattibilità tecnica ed economica ovvero, in caso di richiesta di modifiche, in venti dalla ricezione del progetto modificato secondo le indicazioni fornite dal Comitato. Decorsi tali termini, il parere si intende reso in senso favorevole.
I commi 2 e 3 si soffermano sull’iter procedimentale relativo alla verifica preventiva dell’interesse archeologico ed alla VIA, i cui esiti dovranno poi essere acquisiti nel corso della conferenza di servizi.
Nel caso di interesse archeologico, il progetto di fattibilità tecnica ed economica è trasmesso dalla stazione appaltante alla competente soprintendenza decorsi quindici giorni dalla trasmissione al Consiglio superiore dei lavori pubblici del progetto di fattibilità tecnica ed economica ovvero contestualmente alla ritrasmissione al citato Consiglio nei casi in cui si rendessero necessarie modifiche o integrazioni.
Nel caso in cui è richiesta la VIA, invece, il progetto di fattibilità tecnica ed economica è trasmesso dalla stazione appaltante, entro i termini sopra previsti, all’autorità competente unitamente alla documentazione acquisita all’esito dello svolgimento del dibattito pubblico.
Il comma 4 assegna un termine di quindici giorni alla stazione appaltante per convocare la conferenza di servizi per l’approvazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica in relazione agli interventi presenti nel richiamato allegato.
La conferenza di servizi è svolta in forma semplificata e nel corso della stessa sono acquisite e valutate le eventuali prescrizioni e direttive adottate dal Consiglio superiore dei lavori pubblici nonché gli esiti del dibattito pubblico e le eventuali preliminari osservazioni concernenti la verifica preventiva dell’interesse archeologico e la valutazione di impatto ambientale. La determinazione conclusiva della conferenza tiene luogo dei pareri, nulla osta e autorizzazioni necessari ai fini della localizzazione dell’opera, della conformità urbanistica e paesaggistica dell’intervento, della risoluzione delle interferenze e delle relative opere mitigatrici e compensative.
La determinazione conclusiva della conferenza perfeziona, ad ogni fine urbanistico ed edilizio, l’intesa tra Stato e regione in ordine alla localizzazione dell’opera, ed ha altresì effetto di variante con conseguente obbligo per gli enti locali di provvedere alla messa in atto delle necessarie misure di salvaguardia delle aree interessate e delle relative fasce di rispetto ed impossibilità di autorizzare interventi edilizi incompatibili con la localizzazione dell’opera. La variante urbanistica, peraltro, determina l’assoggettamento dell’area a vincolo preordinato all’esproprio.
La determinazione conclusiva comprende, altresì, il provvedimento di VIA e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l'esercizio del progetto, recandone l'indicazione esplicita.
Il comma 5 prevede che, nell’ottica acceleratoria, in caso di approvazione non unanime ma sulla base delle posizioni prevalenti ovvero nel caso in cui siano stati espressi dissensi qualificati, la questione è posta all’esame del Comitato speciale del Consiglio superiore dei lavori pubblici per la relativa definizione conclusiva.
Il comma 6 prevede che entro cinque giorni dalla conclusione della conferenza di servizi il progetto sia trasmesso, unitamente alla determinazione conclusiva della conferenza e alla relativa documentazione, al Comitato speciale del Consiglio superiore dei lavori pubblici, opportunamente integrato, in caso di determinazione non assunta all’unanimità, con la partecipazione dei rappresentanti delle amministrazioni che hanno espresso il dissenso e di tutte le altre amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza.
Decorsi quindici giorni, il Comitato speciale adotta una decisione motivata, che deve essere comunicata immediatamente alla stazione appaltante, con la quale individua le eventuali integrazioni e modifiche al progetto di fattibilità tecnico-economica che si rendessero necessarie all’esito delle prescrizioni e dei pareri acquisiti in sede di conferenza di servizi.
In caso di determinazione conclusiva della conferenza non unanime assunta sulla base delle posizioni prevalenti, il medesimo Comitato speciale individua le integrazioni e modifiche occorrenti per pervenire, in attuazione del principio di leale collaborazione, ad una soluzione condivisa e sostituisce la determinazione della conferenza con i medesimi effetti. In relazione alle integrazioni ovvero alle modifiche apportate da parte della Comitato speciale è acquisito, ove necessario, il parere dell’autorità che ha rilasciato il provvedimento di VIA, che si esprime entro venti giorni dalla richiesta e, in tal caso, il Comitato speciale adotta la determinazione motivata entro i successivi dieci. Ove non si pervenga ad una soluzione condivisa ai fini dell’adozione della determinazione motivata ed esclusivamente in presenza di dissensi qualificati, il Comitato speciale, entro tre giorni dalla scadenza del termine dei quindici giorni allo stesso assegnato per l’espressione del parere in tale seconda fase conclusiva, demanda la risoluzione della questione al Consiglio dei ministri.
La deliberazione del Consiglio dei ministri produce gli stessi effetti scaturenti da una decisione assunta dalla conferenza di servizi.
Alle riunioni del Consiglio dei Ministri possono partecipare, senza diritto di voto, i Presidenti delle regioni o delle province autonome interessate.
Il comma 7 prevede che la verifica del progetto definitivo e del progetto esecutivo di cui al codice degli appalti debba estendersi anche all’ottemperanza alle prescrizioni impartite in sede di conferenza di servizi e di VIA, nonché di quelle impartite dal Comitato speciale o dalla Cabina di regia. All’esito della verifica la stazione appaltante procede direttamente all’approvazione del progetto definitivo ovvero del progetto esecutivo.
Il comma 8, infine, pone in capo alla stazione appaltante l’obbligo di indire la procedura di aggiudicazione non oltre novanta giorni dalla data della determinazione motivata resa dal Comitato speciale ovvero, in caso di mancato accordo, dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della decisione del Consiglio dei ministri.
L'articolo 45 prevede l’istituzione, fino al 31 dicembre 2026, presso il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, di un Comitato speciale, cui compete l’espressione dei pareri in relazione agli interventi indicati nell’Allegato IV del decreto in esame e sulle cui procedure si rinvia a quanto illustrato nella scheda di lettura dell'articolo 44.
In particolare, in base a quanto previsto dal comma 1, il Comitato è presieduto dal Presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici ed è composto da:
a) sette dirigenti di livello generale in servizio presso le amministrazioni dello Stato, designati dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai rispettivi Ministri, dei quali uno appartenente alla Presidenza del Consiglio dei ministri, uno appartenente al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, uno appartenente al Ministero della transizione ecologica, uno appartenente al Ministero della cultura, uno appartenente al Ministero dell’interno, uno appartenente al Ministero dell’economia e delle finanze, uno, almeno di livello di direttore generale, appartenente al Ministero della difesa;
b) tre rappresentanti designati dalla Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, scelti tra soggetti in possesso di adeguate professionalità;
c) tre rappresentanti designati dagli Ordini professionali, di cui uno designato dall'Ordine professionale degli ingegneri, uno designato dall'Ordine professionale degli architetti ed uno designato dall'Ordine professionale dei geologi;
d) quattordici esperti scelti fra docenti universitari di chiara ed acclarata competenza;
e) un magistrato amministrativo, con qualifica di Consigliere, un consigliere della Corte dei conti e un avvocato dello Stato.
Il comma 2 prevede che si lavori del Comitato possono essere invitati a partecipare, in qualità di esperti per la trattazione di speciali problemi, studiosi e tecnici anche non appartenenti a pubbliche amministrazioni, senza diritto di voto.
Il comma 3 disciplina le modalità di nomina dei componenti del Comitato, che avviene con decreto del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili.
L'incarico ha una durata fissata in tre anni, prorogabili per un secondo triennio, ma, in ogni caso, non oltre il 31 dicembre 2026.
Il comma 4 stabilisce che per lo svolgimento dell’attività istruttoria il Comitato possa avvalersi di una struttura di supporto, istituita presso il Consiglio Superiore dei lavori pubblici, cui è preposto un dirigente di livello generale, in aggiunta all’attuale dotazione organica del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, e composta da un dirigente di livello non generale e da dieci unità di personale di livello non dirigenziale, individuate tra il personale di ruolo delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Inoltre, nel medesimo comma, si prevede che la struttura di supporto può altresì avvalersi, mediante apposite convenzioni e nel limite complessivo di spesa di euro 500.000 per l’anno 2021 e di euro 1 milione per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026, di società controllate da Amministrazioni dello Stato specializzate nella progettazione o realizzazione di opere pubbliche.
Il comma 5 reca la copertura finanziaria.
L'articolo 46 introduce una serie di modifiche all'attuale disciplina normativa del dibattito pubblico contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 76 del 2018.
In particolare, il comma 1 dell'articolo in questione, demanda ad un apposito decreto del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, da adottare, su proposta della Commissione nazionale per il dibattito pubblico, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della disposizione in esame, l’individuazione delle soglie dimensionali delle opere da sottoporre obbligatoriamente a dibattito pubblico inferiori a quelle previste dall'Allegato 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 maggio 2018, n. 76.
A tale riguardo è utile ricordare che il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 76 del 10 maggio 2018 ha disciplinato le modalità di svolgimento, le tipologie e le soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 22, comma 2, del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016), nel testo modificato dall'articolo 12 del decreto legislativo n. 56 del 2017 (primo correttivo al Codice dei contratti pubblici). In particolare, il comma 2 dell'articolo 22 del Codice dei contratti pubblici aveva previsto l'adozione, entro un anno dalla sua entrata in vigore, di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la disciplina dei criteri per l'individuazione delle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull'ambiente, sulle città e sull'assetto del territorio, distinte per tipologia e soglie dimensionali, per cui è obbligatorio il ricorso alla procedura di dibattito pubblico, nonché le modalità di svolgimento e il termine di conclusione della medesima procedura. Il primo correttivo al Codice dei contratti pubblici ha precisato che i nuovi interventi ai quali occorre fare riferimento per l'applicazione dell'istituto del dibattito pubblico sono quelli avviati dopo la data di entrata in vigore del medesimo decreto (cioè dopo il 24 agosto 2018) ed ha stabilito, inoltre, le modalità di monitoraggio sull'applicazione dell'istituto del dibattito pubblico.
Il decreto citato si compone di 10 articoli e di un allegato: l'articolo 1 individua l'oggetto del dibattito pubblico; l'articolo 2 contiene le definizioni; l'articolo 3 individua l'ambito di applicazione; l'articolo 4 disciplina il ruolo, la composizione e le funzioni della Commissione nazionale per il dibattito pubblico; gli articoli 5, 6, 7, 8, 9 disciplinano le modalità di indizione, svolgimento e conclusione del dibattito pubblico; l'articolo 10 contiene le disposizioni transitorie e finali. L'Allegato 1 contiene le tipologie e le soglie dimensionali delle opere sottoposte obbligatoriamente a dibattito pubblico.
Il suddetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ha dato quindi attuazione ad una normativa incentrata su di un modello di democrazia partecipativa destinato agli interventi maggiori (ad esempio elettrodotti oltre 40 km; strade ed autostrade che prevedano un costo stimato superiore a 500 milioni di euro, etc.) mutuato, tendenzialmente, dall'ordinamento francese, con l'obiettivo di rendere trasparente il confronto con i territori sulle opere pubbliche e di interesse pubblico, attraverso una procedura che consenta di informare e far partecipare le comunità interessate, con garanzie sul coinvolgimento, risposte adeguate e tempi chiari.
Per quanto attiene agli ulteriori profili contenuti nell'articolo 46 del decreto-legge attualmente in esame, lo stesso comma 1 stabilisce che in relazione agli interventi di cui all’Allegato IV al presente decreto, il dibattito pubblico abbia durata massima di trenta giorni e che tutti i termini previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 76 del 2018 vengano ridotti della metà.
Nei casi in cui debba farsi ricorso alla procedura del dibattito pubblico, la stazione appaltante provvede ad avviare il relativo procedimento contestualmente alla trasmissione del progetto di fattibilità tecnica ed economica al Consiglio superiore dei lavori pubblici per l’acquisizione del parere, di cui all’articolo 45, comma 1 del decreto-legge in questione.
In caso di restituzione del progetto, il dibattito pubblico è sospeso con avviso pubblicato sul sito istituzionale della stazione appaltante. In tali ipotesi, il termine riprenderà a decorrere dalla data di pubblicazione sul medesimo sito istituzionale dell’avviso di trasmissione del progetto di fattibilità tecnica ed economica integrato o modificato secondo le indicazioni fornite dal Consiglio superiore di lavori pubblici. Gli esiti del dibattito pubblico e le osservazioni raccolte sono valutate nell’ambito della conferenza di servizi di cui all’articolo 45, comma 4 del presente decreto.
Il comma 2 prevede la copertura finanziaria relativa agli oneri derivanti dalle spese sostenute dai membri del Commissione nazionale per il dibattito pubblico in attuazione dei compiti attribuiti dal comma 1.
L’articolo 47 - per perseguire le finalità relative alle pari opportunità, sia generazionali che di genere – prevede l’adempimento di specifici obblighi, anche assunzionali, nonché l’eventuale assegnazione di un punteggio aggiuntivo all’offerente o al candidato che rispetti determinati requisiti, nell’ambito delle procedure di gara relative agli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dal Dispositivo di ripresa e resilienza (di cui ai regolamenti (UE) 2021/240 e 2021/241) e dal Piano nazionale per gli investimenti complementari (di cui al D.L. 59/2021), finalizzato ad integrare gli interventi del PNRR con risorse nazionali.
Di seguito, i requisiti e le condizioni posti dalla disposizione in commento in relazione alle suddette procedure.
Relazione di genere sulla situazione del personale
Per le aziende, anche di piccole dimensioni (con almeno 15 dipendenti), che partecipano alle gare di appalto o che risultano affidatarie dei contratti, si prevede l’obbligo di consegnare una relazione sulla situazione del personale maschile e femminile (commi 2 e 3).
In particolare, per le aziende pubbliche e private che occupano più di cento dipendenti - che in base alla normativa vigente (di cui all’art. 46 del D.Lgs. 198/2006) almeno ogni due anni devono redigere un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile– l’obbligo di presentare copia dell’ultimo rapporto interviene, a pena di esclusione, al momento della presentazione della domanda di partecipazione o dell’offerta (comma 2).
L’azienda deve inoltre:
§ attestare che tale copia sia conforme al rapporto già presentato agli organismi individuati dalla normativa vigente (rappresentanze sindacali aziendali e consigliera e consigliere regionale di parità);
§ attestare la contestuale trasmissione del rapporto ai suddetti organismi, qualora tale trasmissione non sia avvenuta nei termini previsti dal richiamato art. 46 del D.Lgs. 198/2006, fissato, in via generale, al 30 aprile dell’anno successivo alla scadenza di ciascun biennio e prorogato al 30 giugno 2020 per il biennio 2018-2019 in ragione dell’emergenza da Covid-19).
Sul punto, la Relazione illustrativa allegata al provvedimento specifica che la sanzione dell’esclusione è applicata unicamente all’operatore economico che non rediga il rapporto o non lo consegni al momento della presentazione dell’offerta, e non anche nel caso in cui il rapporto sia stato redatto in ritardo.
La violazione del suddetto obbligo determina l’applicazione delle penali previste dal contratto di appalto - commisurate alla gravità della violazione e proporzionali rispetto all’importo del contratto o alle prestazioni del contratto (nel rispetto dell’importo complessivo previsto dall’articolo 51 del presente decreto, alla cui scheda di lettura si rimanda) -, nonché l’impossibilità per l’operatore economico di partecipare, in forma singola ovvero in raggruppamento temporaneo, per un periodo di dodici mesi, ad ulteriori procedure di affidamento afferenti gli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse del PNRR o del Fondo nazionale per gli investimenti complementari (comma 6, secondo periodo).
Gli operatori economici diversi da quelli suddetti e che occupano un numero pari o superiore a quindici dipendenti e inferiore a cento – che quindi in base al più volte richiamato art. 46 del Codice delle pari opportunità non sono tenuti a redigere il predetto rapporto - devono presentare alla stazione appaltante, entro sei mesi dalla conclusione del contratto, una relazione di genere sulla situazione del personale maschile e femminile avente contenuto analogo a quello del rapporto biennale che deve essere redatto dalle aziende con oltre cento dipendenti (comma 3).
In base al richiamato art. 46 del D.Lgs. 198/2006 il suddetto rapporto biennale deve riguardare la situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell'intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta.
Come specificato dalla Relazione illustrativa allegata al provvedimento, la disposizione in commento limita tale obbligo al solo aggiudicatario, considerato che, come detto, tali operatori economici non sono tenuti a redigere il rapporto di genere.
La relazione di genere in oggetto è tramessa altresì alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parità. Sul punto, si valuti l’opportunità di specificare se anche tale trasmissione debba avvenire contestualmente alla presentazione della relazione alla stazione appaltante, vale a dire entro sei mesi dalla conclusione del contratto.
In caso di inadempimento di tale obbligo si applicano le penali previste dai contratti di appalto (vedi ante) (comma 6, primo periodo).
I suddetti rapporti e relazioni sulla situazione del personale sono pubblicati sul sito internet del committente, nella sezione “Amministrazione trasparente” - ai sensi dell’articolo 29 del D.Lgs. 50/2016[38] - e comunicati alla Presidenza del consiglio dei ministri ovvero ai Ministri o alle autorità delegati per le pari opportunità e della famiglia e per le politiche giovanili e il servizio civile universale (comma 9).
Clausola di priorità per giovani e donne: obbligo di assunzione
Si dispone che le stazioni appaltanti inseriscano nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti specifiche clausole dirette all’inserimento - come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell’offerta - di criteri volti a promuovere l’imprenditoria giovanile, la parità di genere e l’assunzione di giovani con età inferiore a trentasei anni e di donne di qualsiasi età (comma 4, primo periodo).
Salvo il ricorrere di determinate circostanze (di cui al comma 7 - vedi infra), requisito necessario dell’offerta è l’assunzione dell’obbligo da parte dell’offerente di assicurare all’occupazione giovanile e femminile una quota pari almeno al 30 per cento delle assunzioni necessarie per l’esecuzione del contratto o per la realizzazione di attività ad esso connesse o strumentali (comma 4, terzo periodo).
Le stazioni appaltanti possono escludere l’inserimento nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti di tale clausola che obbliga all’assunzione della suddetta percentuale di giovani e donne, o stabilire una quota inferiore, dandone adeguata e specifica motivazione, se l’oggetto del contratto, la tipologia o la natura del progetto o altri elementi puntualmente indicati ne rendano l’inserimento impossibile o contrastante con obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche (comma 7).
Viene, infine, specificato che il contenuto di tali clausole è determinato tenendo conto di diversi elementi, tra cui i principi di libera concorrenza, proporzionalità e non discriminazione, l’oggetto del contratto, la tipologia del singolo progetto in relazione ai profili occupazionali richiesti, i principi dell’Unione europea e gli indicatori degli obiettivi attesi in termini di occupazione femminile e giovanile al 2026[39] (comma 4, secondo periodo).
Ulteriori misure premiali
Attraverso le predette clausole, le stazioni appaltanti inseriscono nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, oltre ai requisiti necessari dell’offerta, ulteriori misure premiali che possono prevedere l’assegnazione di un punteggio aggiuntivo all’offerente o al candidato che (comma 5):
§ nei tre anni antecedenti la data di scadenza del termine di presentazione delle offerte, non risulti destinatario di accertamenti relativi ad atti o comportamenti discriminatori connessi a motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica, di religione, di età, di sesso, di orientamento sessuale, di handicap o a convinzioni personali (ex artt. 44 del D.Lgs. 286/1998, 4 del D.Lgs. 215/2003, 4 del D.Lgs. 216/2003, 3 della L. 67/2006 e 55-quinquies del D.Lgs. 198/2006) o al mancato rispetto del divieto di licenziamento per causa di matrimonio o per gravidanza e maternità (ex art. 54 del D.Lgs. 151/2001 che vieta il licenziamento dall’inizio della gravidanza al termine del congedo obbligatorio di maternità);
§ utilizzi o si impegni ad utilizzare specifici strumenti di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro per i propri dipendenti, nonché modalità innovative di organizzazione del lavoro;
§ si impegni ad assumere, oltre alla soglia minima percentuale prevista come requisito di partecipazione, giovani, con età inferiore a trentasei anni, e donne per l’esecuzione del contratto o per la realizzazione di attività ad esso connesse o strumentali;
§ abbia, nell’ultimo triennio, rispettato i principi della parità di genere e adottato specifiche misure per promuovere le pari opportunità generazionali e di genere, anche tenendo conto del rapporto tra uomini e donne nelle assunzioni, nei livelli retributivi e nel conferimento di incarichi apicali;
§ abbia presentato o si impegni a presentare per ciascuno degli esercizi finanziari ricompresi nella durata del contratto di appalto una dichiarazione volontaria di carattere non finanziario sulla sostenibilità sociale e ambientale dei processi produttivi (ex art. 7 del D.Lgs. 254/2016)
Si ricorda che il d.lgs. 254/2016 ha introdotto l’obbligo di redigere e pubblicare una dichiarazione di carattere non finanziario (Dnf) per gli enti di interesse pubblico di grandi dimensioni. La Dnf deve contenere per ogni esercizio finanziario informazioni relative ai temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, volte ad assicurare la comprensione dell’attività di impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta.
Ai sensi del citato articolo 7 del d.lgs. 254/2016, i soggetti non obbligati possono, su base volontaria, redigere e pubblicare dichiarazioni individuali o consolidate non finanziarie e apporre su dette dichiarazioni la dicitura di conformità al predetto decreto legislativo.
Linee guida
Si prevede, infine, la possibilità che le modalità e i criteri applicativi delle misure previste dalla disposizione in commento, nonché le misure premiali e la predisposizione di modelli di clausole da inserire nei bandi di gara (differenziate per settore, tipologia e natura del contratto o del progetto) siano definite con linee guida del Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero dei Ministri o delle autorità delegati per le pari opportunità e della famiglia e per le politiche giovanili e il servizio civile universale, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legge in esame (ossia entro il 31 luglio 2021) (comma 8).
L'articolo 48 introduce misure di semplificazioni in materia di affidamento dei contratti pubblici PNRR e PNC, in relazione alle procedure afferenti agli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dal PNRR e dal PNC e dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione europea.
Il comma 1, in relazione alle procedure afferenti agli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dal PNRR e dal PNC e dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione europea, prevede l’applicazione delle disposizioni semplificate di cui al Titolo V del decreto in esame e di quanto previsto nei commi di seguito illustrati.
Il comma 2 stabilisce che, per ogni procedura è nominato, un responsabile unico del procedimento che, con propria determinazione adeguatamente motivata, valida e approva ciascuna fase progettuale o di esecuzione del contratto, anche in corso d'opera, fermo restando quanto previsto dall’articolo 26, comma 6, del decreto legislativo n. 50 del 2016 (cosiddetto codice degli appalti).
A tale proposito si ricorda che il citato articolo 26, comma 6, del codice degli appalti prevede che l'attività di verifica è effettuata dai seguenti soggetti:
a) per i lavori di importo pari o superiore a venti milioni di euro, da organismi di controllo accreditati ai sensi della norma europea UNI CEI EN ISO/IEC 17020;
b) per i lavori di importo inferiore a venti milioni di euro e fino alla soglia di cui all'articolo 35 del medesimo codice degli appalti, dai soggetti che dispongano di un sistema interno di controllo di qualità ovvero dalla stazione appaltante nel caso in cui disponga di un sistema interno di controllo di qualità;
c) per i lavori di importo inferiore alla soglia di cui all'articolo 35 del codice degli appalti e fino a un milione di euro, la verifica può essere effettuata dagli uffici tecnici delle stazioni appaltanti ove il progetto sia stato redatto da progettisti esterni o le stesse stazioni appaltanti dispongano di un sistema interno di controllo di qualità ove il progetto sia stato redatto da progettisti interni;
per i lavori di importo inferiore a un milione di euro, la verifica è effettuata dal responsabile unico del procedimento.
Il comma 3 prevede che le stazioni appaltanti possano ricorrere alla procedura di cui all’articolo 63 del citato decreto legislativo n. 50 del 2016 per i settori ordinari, e di cui all’articolo 125, per i settori speciali (articoli del codice degli appalti che prevedono l'utilizzo della procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara), nella misura strettamente necessaria, quando, per ragioni di estrema urgenza derivanti da circostanze imprevedibili, non imputabili alla stazione appaltante, l’applicazione dei termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie può compromettere la realizzazione degli obiettivi o il rispetto dei tempi di attuazione di cui al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) nonché al Piano nazionale per gli investimenti complementari al medesimo PNRR e ai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione Europea.
Il comma 4, in relazione alle procedure afferenti agli investimenti pubblici individuati al comma 1 dell'articolo in questione (opere relative al PNRR o al PNC), prevede che, in caso di impugnazione degli atti relativi alle procedure di affidamento si applichino le disposizioni del codice del processo amministrativo concernenti le controversie relative alle infrastrutture strategiche.
Il comma 5 stabilisce che è ammesso l’affidamento di progettazione ed esecuzione dei relativi lavori anche sulla base del progetto di fattibilità tecnica ed economica di cui al codice degli appalti.
L’affidamento, pertanto, avviene mediante acquisizione del progetto definitivo in sede di offerta ovvero, in alternativa, mediante offerte aventi a oggetto la realizzazione del progetto definitivo, del progetto esecutivo e il prezzo. In entrambi i casi, l’offerta relativa al prezzo indica distintamente il corrispettivo richiesto per la progettazione definitiva, per la progettazione esecutiva e per l’esecuzione dei lavori.
In ogni caso, alla conferenza di servizi indetta ai fini dell’approvazione del progetto definitivo partecipa anche l’affidatario dell’appalto, che provvede, ove necessario, ad adeguare il progetto alle eventuali prescrizioni susseguenti ai pareri resi in sede di conferenza di servizi. A tal fine, entro cinque giorni dall’aggiudicazione ovvero dalla presentazione del progetto definitivo da parte dell’affidatario, qualora lo stesso non sia stato acquisito in sede di gara, il responsabile unico del procedimento avvia le procedure per l’acquisizione dei pareri e degli atti di assenso necessari per l’approvazione del progetto.
Il comma 6 prevede che le stazioni appaltanti nel procedere agli affidamenti di cui al comma 1, possano prevedere, nel bando di gara o nella lettera di invito, l’assegnazione di un punteggio premiale per l’uso nella progettazione dei metodi e strumenti elettronici specifici
Tali strumenti utilizzano piattaforme interoperabili a mezzo di formati aperti non proprietari, al fine di non limitare la concorrenza tra i fornitori di tecnologie e il coinvolgimento di specifiche progettualità tra i progettisti.
Da ultimo, con il comma 7, si introducono ulteriori misure di semplificazione procedurale in relazione al parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici previsto dalla normativa vigente.
A tal fine, il parere del Consiglio Superiore dei lavori pubblici è reso esclusivamente sui progetti di fattibilità tecnica ed economica di lavori pubblici di competenza statale, o comunque finanziati per almeno il 50 per cento dallo Stato, di importo pari o superiore ai 100 milioni di euro.
In tali casi, il parere reso dal Consiglio Superiore, non riguarda anche la valutazione di congruità del costo.
L’articolo 49 introduce modifiche alla disciplina del subappalto, suddivise tra modifiche di immediata vigenza e modifiche con efficacia differita a decorrere dal 1° novembre 2021.
Il comma 1 reca modifiche con immediata vigenza dalla data di entrata in vigore del decreto, volte a disporre che, fino al 31 ottobre 2021, in deroga all’art. 105, commi 2 e 5, del Codice dei contratti pubblici, il subappalto non può superare la quota del 50 per cento dell’importo complessivo del contratto, sopprimendo conseguentemente l’art. 1, comma 18, primo periodo, del D.L. n. 32/2018 (cd. decreto sblocca cantieri) – il quale, fino al 30 giugno 2021, aveva fissato al 40 per cento detto limite – nonché a modificare l’art. 105 del Codice al fine di:
- prevedere che non può essere affidata a terzi l’integrale esecuzione delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto e la prevalente esecuzione delle lavorazioni relative al complesso delle categorie prevalenti e dei contratti ad alta intensità di manodopera;
- sopprimere la previsione secondo cui il ribasso non può essere superiore al venti per cento;
- riferire direttamente al subappaltatore l’obbligo di garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto;
- stabilire l’obbligo per il subappaltatore di riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, qualora le attività oggetto di subappalto coincidano con quelle caratterizzanti l’oggetto dell’appalto ovvero riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti.
Il comma 2 apporta una serie di novelle all’art. 105 del Codice destinate ad entrare in vigore dal 1° novembre 2021, volte a:
- eliminare per il subappalto il limite del 30 per cento (anche per le opere per le quali non è ammesso l’avvalimento);
- affidare alle stazioni appaltanti il compito di indicare nei documenti di gara, previa adeguata motivazione nella determina a contrarre, eventualmente avvalendosi del parere delle Prefetture competenti, le prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto da eseguire a cura dell’aggiudicatario in ragione delle specifiche caratteristiche dell’appalto, dell’esigenza di rafforzare il controllo delle attività di cantiere e dei luoghi di lavoro e di garantire una più intensa tutela delle condizioni di lavoro e della salute e sicurezza dei lavoratori, ovvero di prevenire il rischio di infiltrazioni criminali, a meno che i subappaltatori siano iscritti nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori di cui al comma 52 dell’art. 1 della L. n. 190/2012 ovvero nell’anagrafe antimafia degli esecutori;
- prevedere la responsabilità in solido tra contraente generale e subappaltatore nei confronti della stazione appaltante in relazione alle prestazioni oggetto del contratto di subappalto.
Il comma 3 detta disposizioni rivolte alle amministrazioni competenti al fine di assicurare la piena operatività della Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici e di disporre l’adozione da parte delle stesse amministrazioni del documento relativo alla congruità dell’incidenza della manodopera e del regolamento che individua le diverse tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa nell'attività di impresa.
Il comma 4 autorizza infine la spesa di 1 milione di euro per l'anno 2021 e di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026 per garantire la piena operatività e l’implementazione della banca dati nazionale dei contratti pubblici e provvede alla copertura dei relativi oneri.
L’art. 49 introduce modifiche alla disciplina del subappalto suddivise tra:
§ modifiche di immediata vigenza;
§ e modifiche per le quali è prevista l’efficacia differita a partire dal 1° novembre 2021.
La relazione illustrativa evidenzia, in linea generale, che “la proposta è volta ad apportare delle modifiche all’articolo 105 del Codice dei contratti pubblici in materia di subappalto al fine di risolvere alcune criticità evidenziate dalla Commissione UE con la procedura di infrazione n. 2018/ 2273, in particolare con riferimento alla criticità della disposizione contenuta nell’articolo 105 che pone un limite percentuale al subappalto prestabilito per legge su tutti gli appalti”.
Si ricorda che la revisione della disciplina del subappalto è indicata nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, trasmesso dal Governo alla Commissione europea il 30 aprile 2021, quale uno dei principali criteri direttivi della delega legislativa (oggetto di un disegno di legge delega che il Governo si impegna a presentare al Parlamento entro il 2021) preordinata a completare a regime la revisione della disciplina dei contratti pubblici, unitamente alle misure più urgenti da adottare con decreto-legge, nell’ambito della relativa riforma di accompagnamento Per approfondimenti si rinvia al relativo dossier.
Il comma 1 reca disposizioni destinate a modificare la disciplina del subappalto con decorrenza immediata dalla data di entrata in vigore del decreto in esame.
Nel dettaglio, la lettera a):
§ introduce una norma la quale dispone che, fino al 31 ottobre 2021, in deroga all’art. 105, commi 2 e 5, del D. Lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici, d’ora in avanti Codice), il subappalto non può superare la quota del 50 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture;
Si ricorda che, in base al disposto dell’art. 105 del Codice, il subappalto è il contratto con il quale l'appaltatore affida a terzi l'esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto. Lo stesso articolo stabilisce che i soggetti affidatari dei contratti pubblici eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto, e detta le condizioni alle quali è ammesso il subappalto.
§ abroga conseguentemente l’art. 1, comma 18, primo periodo, del D.L. n. 32/2018 (cd. decreto sblocca cantieri).
Il comma 18 dell’art. 1 del D.L. n. 32/2019 ha dettato una disciplina transitoria del subappalto nelle more di una complessiva revisione del Codice dei contratti pubblici. La norma, fino al 30 giugno 2021 (termine inizialmente fissato al 31 dicembre 2020 e successivamente così prorogato dall'art. 13, comma 2, lettera c), del D.L. 183/2020), in deroga all'art. 105, comma 2, del medesimo Codice (il quale, nel testo vigente fino al 31 ottobre 2021, ancorché derogato dal comma in esame, fissa al 30 per cento dell’importo complessivo del contratto la quota massima del subappalto: v. infra), fatto salvo quanto previsto dal comma 5 del medesimo art. 105, ha previsto che il subappalto è indicato dalle stazioni appaltanti nel bando di gara e non può superare la quota del 40 per cento dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture. Il citato comma 18 ha precisato, inoltre, che, fino al 31 dicembre 2021, sono altresì sospese l'applicazione del comma 6 dell'art. 105 (obbligo di indicazione della terna di subappaltatori) e del terzo periodo del comma 2 dell'art. 174 (il quale prevede che gli operatori economici indichino in sede di offerta le parti del contratto di concessione che intendono subappaltare a terzi), nonché le verifiche in sede di gara, di cui all'art. 80 del medesimo Codice, riferite al subappaltatore (verifiche relative all'assenza di motivi di esclusione dalla procedura d'appalto inerenti, ad esempio, a precedenti condanne penali, interdittive antimafia o carenza dei requisiti di integrità o affidabilità). Per approfondire gli interventi recati dal D.L. 32/2019 al Codice, si rinvia al relativo dossier e al tema web sui Contratti pubblici.
Si segnala, inoltre, che la disciplina del subappalto è oggetto di modifiche anche da parte dell’art. 8 del disegno di legge europea 2019-2020 (A.S.2169), approvato dalla Camera e attualmente all’esame del Senato. In particolare, l’art. 8 novella alcuni articoli del Codice dei contratti pubblici, al fine di conformare l’ordinamento italiano a quanto indicato nella procedura di infrazione europea n. 2018/2273. In primo luogo, viene modificato l'art. 80, commi 1 e 5, del Codice, in materia di motivi di esclusione dalla partecipazione di un operatore economico ad una procedura per l’assegnazione di un appalto pubblico, al fine di eliminare la possibilità che un operatore economico possa essere escluso da una procedura di gara, quando la causa di esclusione riguardi non già l'operatore medesimo, bensì un suo subappaltatore, nei casi di obbligo di indicare la terna di subappaltatori in sede di offerta. In secondo luogo, l’art. 8, comma 2, del disegno di legge europea 2019-2020 sopprime il secondo periodo del comma 18 dell’art. 1 del D.L. n. 32/2019 e reca modifiche all'art. 105, commi 4 e 6, del Codice, volte ad eliminare l’obbligo per il concorrente di indicare la terna di subappaltatori in sede di offerta, per appalti di lavori, servizi e forniture di importo pari o superiore alle soglie di rilevanza europea (obbligo censurato dalla Commissione europea con la procedura di infrazione n. 2018/2273), o, indipendentemente dall'importo a base di gara, per le attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa. Per approfondimenti, si rinvia al relativo dossier.
La procedura di infrazione europea
Il 24 gennaio 2019, la Commissione europea ha inviato una lettera di costituzione in mora nell’ambito della procedura di infrazione n. 2018/2273, con la quale ha contestato all’Italia l’incompatibilità di alcune disposizioni dell’ordinamento interno in materia di contratti pubblici rispetto a quanto disposto dalle direttive europee relative alle concessioni (direttiva 2014/23), agli appalti pubblici nei settori ordinari (direttiva 2014/24) e agli appalti pubblici nei settori speciali (direttiva 2014/25). A seguito della valutazione della risposta del Governo, la Commissione europea ha indirizzato all’Esecutivo una lettera di costituzione in mora complementare del 27 novembre 2019, rilevando i problemi di conformità sollevati in precedenza e non ancora risolti e individuando ulteriori disposizioni della legislazione italiana non conformi alle citate direttive, tra le quali quelle concernenti il divieto di subappaltare più del 30 per cento di un contratto pubblico, il divieto generale per i subappaltatori (previsto dall’art. 105, comma 19, del Codice) di fare ricorso a loro volta ad altri subappaltatori (cd. subappalto a cascata), il divieto di sub-avvalimento (per il quale il soggetto delle cui capacità l’operatore intende avvalersi non può affidarsi a sua volta alle capacità di un altro soggetto) e il divieto per diversi offerenti in una procedura di gara di avvalersi dello stesso soggetto, per il soggetto di cui un offerente intende avvalersi di presentare un’offerta nella stessa procedura di gara e per l’offerente in una procedura di gara di essere subappaltatore di un altro offerente nella stessa procedura di gara.
Di rilievo, per un esame della disciplina del subappalto, anche alla luce delle disposizioni introdotte dall’art. 1, comma 18, del D.L. 32/2019, è anche la segnalazione n. 8/2019, approvata con delibera ANAC n. 1035 del 13 novembre 2019. Con la citata segnalazione l’Autorità ha raccomandato l’adozione di un intervento legislativo organico nella materia del subappalto “mediante una opportuna ‘compensazione’ tra i diritti di libertà riconosciuti a livello europeo e le esigenze nazionali di sostenibilità sociale, ordine e sicurezza pubblica, che sono sempre stati alla base della limitazione all’utilizzo dell’istituto”.
Il tema dei limiti al subappalto e della riforma dell’istituto è stato affrontato dal Presidente dell’ANAC nell’audizione informale svoltasi presso le Commissioni riunite VIII e XIV della Camera nella seduta del 10 novembre 2020 (qui il testo della relazione del Presidente dell’ANAC) nel corso della quale lo stesso ha segnalato la necessità di allineare la disciplina nazionale alle norme europee “eliminando la previsione di una percentuale fissa al subappalto, anche al fine di tenere in debita considerazione, in un momento di grande difficoltà per il Paese, le esigenze del mercato dei contratti pubblici e in particolare delle PMI, e di prevedere un sistema di autorizzazione e controlli al subappalto che evitino, per quanto possibile, l’insinuarsi nel sistema di fenomeni corruttivi”.
Da ultimo, a favore della necessità di eliminare, in quanto contrastante con la disciplina euro-unitaria, la previsione generale e astratta di una soglia massima di affidamento subappaltabile, nell’ottica della semplificazione della normativa del Codice per favorire il rapido dispiegamento degli investimenti pubblici del PNRR, unitamente a misure per la specializzazione delle stazioni appaltanti e la digitalizzazione delle procedure, si è espressa l’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella segnalazione del 22 marzo 2021 recante “Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2021”.
La lettera b) reca modifiche a regime all’art. 105 del Codice, di immediata vigenza, finalizzate a:
§ affiancare, alla previsione del comma 1 secondo cui il contratto non può essere ceduto a pena di nullità, l’ulteriore previsione (nuovo secondo periodo del comma 1) secondo cui, sempre a pena di nullità e fatto salvo quanto previsto dall’art. 106, comma 1, lettera d), non può essere affidata a terzi:
- l’integrale esecuzione delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto;
- nonché la prevalente esecuzione delle lavorazioni relative al complesso delle categorie prevalenti e dei contratti ad alta intensità di manodopera.
Si ricorda che la lettera d) del comma 1 dell’art. 106 del Codice prevede che i contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento, tra gli altri casi, anche qualora un nuovo contraente sostituisce quello a cui la stazione appaltante aveva inizialmente aggiudicato l'appalto, a causa di una delle seguenti circostanze: 1) clausola di revisione inequivocabile; 2) all'aggiudicatario iniziale succede, per causa di morte o a seguito di ristrutturazioni societarie, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l'applicazione del presente codice; 3) nel caso in cui l'amministrazione aggiudicatrice o l'ente aggiudicatore si assuma gli obblighi del contraente principale nei confronti dei suoi subappaltatori.
Viene mantenuto invariato il terzo periodo del comma 1 a norma del quale è ammesso il subappalto secondo le disposizioni del presente articolo.
§ modificare il primo periodo del comma 14, al fine di:
- sopprimere la previsione secondo cui il ribasso non può essere superiore al venti per cento dei prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione all’affidatario principale;
La modifica appare in linea con quanto affermato, in un giudizio su una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato, dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza 27 novembre 2019, C-402/18, in cui la Corte ha affermato che la normativa europea (nella specie, oggetto del rinvio pregiudiziale era la direttiva 2004/18/CE) osta a una normativa nazionale che limita la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate di oltre il 20 per cento rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione. Sotto il profilo della tutela salariale per i lavoratori impiegati nel contesto di un subappalto, il limite del 20 per cento – secondo il giudice europeo – non lascia spazio ad una valutazione caso per caso da parte dell’amministrazione aggiudicatrice, dal momento che si applica indipendentemente da qualsiasi presa in considerazione della tutela sociale garantita dalle leggi, dai regolamenti e dai contratti collettivi applicabili ai lavoratori interessati.
- riferire direttamente al subappaltatore, per le prestazioni affidate in subappalto, l’obbligo (che invece nel testo previgente è riferito all’affidatario principale) di garantire gli stessi standard qualitativi e prestazionali previsti nel contratto di appalto;
- stabilire espressamente l’obbligo per il subappaltatore di riconoscere ai lavoratori un trattamento economico e normativo non inferiore a quello che avrebbe garantito il contraente principale, inclusa l’applicazione dei medesimi contratti collettivi nazionali di lavoro, qualora le attività oggetto di subappalto coincidano con quelle caratterizzanti l’oggetto dell’appalto ovvero riguardino le lavorazioni relative alle categorie prevalenti e siano incluse nell’oggetto sociale del contraente principale.
La relazione illustrativa evidenzia che “tale disposizione si rende necessaria per garantire la tutela dei lavoratori dagli eccessivi ribassi applicati ai subappaltatori anche alla luce della soppressione della previsione che stabilisce un limite percentuale (20 per cento) al ribasso” resasi a sua volta “necessaria per risolvere la procedura di infrazione sul punto la quale ritiene l’ordinamento interno non compatibile con le direttive eurounitarie laddove si prevede un limite prestabilito per legge per il ribasso d’asta”.
La nozione di categoria prevalente è definita dall’art. 3, comma 1, lettera oo-bis) del Codice come “la categoria di lavori, generale o specializzata, di importo più elevato fra le categorie costituenti l'intervento e indicate nei documenti di gara”.
Si ricorda inoltre che il comma 2 dell’art. 12 del D.L. n. 47/2014 ha previsto che, in tema di affidamento di contratti pubblici di lavori, l'affidatario, in possesso della qualificazione nella categoria di opere generali ovvero nella categoria di opere specializzate indicate nel bando di gara o nell'avviso di gara o nella lettera di invito come categoria prevalente può eseguire direttamente tutte le lavorazioni di cui si compone l'opera o il lavoro, anche se non è in possesso delle relative qualificazioni, oppure subappaltare dette lavorazioni specializzate esclusivamente ad imprese in possesso delle relative qualificazioni.
Il comma 2 introduce una serie di novelle all’art. 105 del Codice destinate, invece, ad entrare in vigore dal 1° novembre 2021.
Nel dettaglio, la lettera a) sostituisce il terzo periodo del comma 2 dell’art. 105 del Codice al fine di:
§ eliminare per il subappalto il limite del 30 per cento dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture;
Anche in questo caso, la modifica appare coerente con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (cfr. da ultimo la citata sentenza 27 novembre 2019, C-402/18), secondo la quale la normativa europea osta a una normativa nazionale che limita al 30 per cento la quota parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi (per violazione della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi, nonché dei principi che ne derivano, in particolare la parità di trattamento, la non discriminazione, la proporzionalità. la trasparenza e l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza), dal momento che il divieto in modo generale e astratto del ricorso al subappalto per una quota parte che superi una percentuale fissa dell’importo dell’appalto pubblico si applica indipendentemente dal settore economico interessato dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori e non lascia spazio alcuno a una valutazione caso per caso da parte dell’ente aggiudicatore.
Nella giurisprudenza nazionale, si veda, tra le altre, la sentenza del Consiglio di Stato (V Sez.) 17 dicembre 2020, n. 08101 con la quale il giudice amministrativo, nel richiamare le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea Sezione Quinta, 26 settembre 2019, C-63/18 e 27 novembre 2019, C-402/18, ha affermato il principio secondo cui la norma del Codice dei contratti pubblici che pone limiti al subappalto deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l’ordinamento euro-unitario.
§ affidare alle stazioni appaltanti il compito di indicare nei documenti di gara, nel rispetto dei principi di cui all’art. 30, previa adeguata motivazione nella determina a contrarre, eventualmente avvalendosi del parere delle Prefetture competenti, le prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto da eseguire a cura dell’aggiudicatario, in casi di particolare rilevanza predeterminati per legge che la norma in esame individua in ragione:
- delle specifiche caratteristiche dell’appalto, ivi comprese quelle di cui all’art. 89, comma 11 (opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica e che non possono essere pertanto oggetto di avvalimento);
- dell’esigenza, tenuto conto della natura o della complessità delle prestazioni o delle lavorazioni da effettuare, di rafforzare il controllo delle attività di cantiere e più in generale dei luoghi di lavoro e di garantire una più intensa tutela delle condizioni di lavoro e della salute e sicurezza dei lavoratori;
- ovvero di prevenire il rischio di infiltrazioni criminali, a meno che i subappaltatori siano iscritti nell’elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori di cui al comma 52 dell’art. 1 della L. n. 190/2012 ovvero nell’anagrafe antimafia degli esecutori istituita dall’art. 30 del D.L. n. 189/2016.
Per quanto riguarda l’elenco dei fornitori, la disposizione richiama gli elenchi che debbono essere tenuti da ogni prefettura in attuazione dell’art. 1, comma 52, della legge n. 190/2012 (c.d. Legge Severino). Tale disposizione, infatti, obbliga, le pp.aa., gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, le società o imprese comunque controllate dallo Stato, i contraenti generali nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici, prima di stipulare contratti per una serie di attività ritenute maggiormente a rischio di infiltrazione mafiosa (ed elencate dal successivo comma 53[40]) ad acquisire sempre la comunicazione e l'informazione antimafia liberatoria, a prescindere dalle soglie stabilite dal c.d. Codice antimafia (d.lgs. n. 159/2011). Tali verifiche antimafia devono essere svolte attraverso la consultazione, anche in via telematica, di apposito elenco di fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori non soggetti a tentativi di infiltrazione mafiosa operanti nei medesimi settori, tenuto appunto da ogni prefettura, alla quale spetta l’effettuazione di verifiche periodiche circa la perdurante insussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa e, in caso di esito negativo, disporre la cancellazione dell'impresa dall'elenco.
Per quanto riguarda l’Anagrafe antimafia degli esecutori, la disposizione richiama l’art. 30 del D.L. n. 189/2016, in base al quale gli operatori economici interessati a partecipare, a qualunque titolo e per qualsiasi attività, agli interventi di ricostruzione, pubblica e privata, nelle zone interessate dal sisma dell'Italia centrale, devono essere iscritti, a domanda, in un apposito elenco, denominato Anagrafe antimafia degli esecutori. L’elenco è tenuto da una apposita Struttura di missione istituita presso il Ministero dell'Interno per coordinare le attività volte alla prevenzione e al contrasto delle infiltrazioni della criminalità organizzata nei lavori di ricostruzione. Spetta a tale struttura, in deroga alle procedure previste dal Codice antimafia (d.lgs. n. 159/2011), eseguire le verifiche e rilasciare l'informazione antimafia, in coordinamento con le prefetture e mediante consultazione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia.
Per l’estensione dell’Anagrafe antimafia degli esecutori agli interventi per la ricostruzione nei comuni interessati dagli eventi sismici del mese di aprile 2009 nella regione Abruzzo si rinvia alla scheda sull’art. 54 del presente dossier.
La lettera b) abroga, sempre a decorrere dal 1° novembre 2021, il comma 5 dell’art. 105, disponendo così l’abolizione del limite del 30 per cento per il subappalto e del divieto di suddivisione (in lotti) senza ragioni obiettive anche per le opere per le quali non è ammesso l’avvalimento ai sensi dell’art. 89, comma 11, del Codice (c.d. opere super specialistiche).
Il comma 11 dell’art. 89 del Codice prevede che non è ammesso l'avvalimento qualora nell'oggetto dell'appalto o della concessione di lavori rientrino opere per le quali sono necessari lavori o componenti di notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica, quali strutture, impianti e opere speciali. È considerato rilevante, ai fini della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo, che il valore dell'opera superi il dieci per cento dell'importo totale dei lavori. Con il regolamento di cui all'art. 216, comma 27-octies, è definito l'elenco delle opere di cui al comma 11, nonché i requisiti di specializzazione richiesti per la qualificazione ai fini dell'ottenimento dell'attestazione di qualificazione degli esecutori di cui all'articolo 84, che possono essere periodicamente revisionati. Fino alla data di entrata in vigore del regolamento unico di esecuzione ed attuazione del Codice, si applica la disposizione transitoria ivi prevista (e, in forza della stessa, il D.M. 10 novembre 2016, n. 248).
Si ricorda che a norma del comma 1 del citato art. 89 l'operatore economico, singolo o in raggruppamento di cui all'art. 45, per un determinato appalto, può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all'art. 83, comma 1, lettere b) e c), necessari per partecipare ad una procedura di gara, e, in ogni caso, con esclusione dei requisiti di cui all'art. 80, avvalendosi delle capacità di altri soggetti, anche partecipanti al raggruppamento, a prescindere dalla natura giuridica dei suoi legami con questi ultimi.
La lettera c) modifica il primo periodo del comma 8 dell’art. 105, affermando la responsabilità solidale di contraente principale e subappaltatore nei confronti della stazione appaltante, in relazione alle prestazioni oggetto del contratto di subappalto. Attualmente, invece, nei confronti della stazione appaltante il contraente principale è responsabile in via esclusiva (e risponde, dunque, anche dei fatti commessi dal subappaltatore).
Si ricorda che in base all’art. 1292 del codice civile, l'obbligazione è in solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all'adempimento per la totalità e l'adempimento da parte di uno libera gli altri.
La riforma non interviene sul secondo periodo del comma 8, e dunque è confermata la responsabilità solidale di aggiudicatario e subappaltatore in relazione agli obblighi retributivi e contributivi.
Il comma 3 detta disposizioni rivolte alle amministrazioni competenti e finalizzate ad una più coerente attuazione delle modifiche recate dall’articolo in esame.
Più in particolare, si prevede che le amministrazioni competenti:
§ assicurano la piena operatività della Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici di cui all’art. 81 del Codice, come modificato dall’art. 54 del decreto in esame, alla cui scheda si rinvia (lettera a);
Il comma 1 dell’art. 81 del Codice – nel testo risultante dalla modifica apportata dall’art. 54, comma 5, lettera d), numero 1, del decreto-legge in esame - stabilisce che, fermo restando quanto previsto dagli artt. 85 e 88, la documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-professionale ed economico e finanziario, per la partecipazione alle procedure disciplinate dal presente codice e per il controllo in fase di esecuzione del contratto della permanenza dei suddetti requisiti, è acquisita esclusivamente attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, di cui all’articolo 213, comma 8.
Si ricorda che l'art. 213 del Codice affida all'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) la vigilanza e il controllo sui contratti pubblici e l'attività di regolazione degli stessi e prevede che l'Autorità predispone e invia al Governo e al Parlamento una relazione annuale sull'attività svolta in cui devono essere evidenziate le disfunzioni riscontrate nell'esercizio delle proprie funzioni. Tale relazione fornisce annualmente una fotografia del settore dei contratti pubblici. Lo stesso art. 213, al fine di consentire all'ANAC di svolgere i compiti ad essa attribuiti, affida all'ANAC la gestione della Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici, nella quale confluiscono, oltre alle informazioni acquisite per competenza tramite i propri sistemi informatizzati, tutte le informazioni contenute nelle banche dati esistenti, anche a livello territoriale, onde garantire accessibilità unificata, trasparenza, pubblicità e tracciabilità delle procedure di gara e delle fasi a essa prodromiche e successive. Per la gestione di tale Banca dati di cui, l'Autorità si avvale (sempre in forza dell'art. 213) dell'Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, composto da una sezione centrale e da sezioni regionali aventi sede presso le regioni e le province autonome. L'Osservatorio opera mediante procedure informatiche, sulla base di apposite convenzioni, anche attraverso collegamento con i relativi sistemi in uso presso le sezioni regionali e presso altre Amministrazioni pubbliche e altri soggetti operanti nel settore dei contratti pubblici. L'Autorità stabilisce le modalità di funzionamento dell'Osservatorio nonché le informazioni obbligatorie, i termini e le forme di comunicazione che le stazioni appaltanti e gli enti aggiudicatori sono tenuti a trasmettere all'Osservatorio. Nell'ultima relazione al Parlamento viene evidenziato che «La Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP), nel 2018 ha ricevuto dalla Commissione europea il 1° premio nell'ambito della competizione "Better Governance through Procurement Digitalization", sulla base della sua "completezza, integrità dei dati, interoperabilità, disponibilità di funzioni di accesso ed analisi delle informazioni, governance e sostenibilità" risultando il miglior esempio di "National Contract Register" nell'Unione europea. Attualmente la Banca Dati, che contiene informazioni su circa 50 milioni di appalti pubblici a partire dal 2007, supporta l'Autorità nelle sue funzioni di vigilanza e regolazione, e tutte le altre Amministrazioni interessate al ciclo di vita dei contratti pubblici per finalità di programmazione, contenimento della spesa, monitoraggio. Per confermare e migliorare i risultati raggiunti, la Banca Dati è in continua evoluzione su tre direttrici principali: 1) la progressiva e completa apertura in ottica open data con la pubblicazione di tutti i dati relativi ai contratti pubblici; 2) il costante supporto alla piena attuazione della digitalizzazione degli appalti pubblici in Italia; 3) la sempre maggiore integrazione nel contesto delle banche dati europee».
L'istituzione del sistema di verifica dei requisiti, integrato nella BDNCP e denominato AVCPASS, consente a stazioni appaltanti o enti aggiudicatori l'acquisizione della documentazione comprovante il possesso dei requisiti di carattere generale, tecnico-organizzativo ed economico-finanziario per l'affidamento dei contratti pubblici, ed agli operatori economici di inserire a sistema i documenti richiesti. Come precisato nella deliberazione n. 111 del 20 dicembre 2012 dell’Autorità, l'acquisizione dei citati dati avviene tramite adeguati sistemi di cooperazione applicativa dagli Enti Certificanti, che consentono di rendere disponibili nel sistema AVCPass i seguenti documenti: visura Registro delle Imprese (fornita da Unioncamere); Certificato del casellario giudiziale integrale (fornito dal Ministero della Giustizia); Anagrafe delle sanzioni amministrative; certificati di regolarità fiscale (fornito dall'Agenzia delle Entrate) e contributiva; comunicazioni antimafia (fornite dal Ministero dell'Interno).
§ adottano il documento relativo alla congruità dell’incidenza della manodopera, di cui all’art. 105, comma 16, del Codice e all’art. 8, comma 10-bis, D.L. n. 76/2020 (lettera b);
Il comma 16 dell’art. 105 del Codice prevede che al fine di contrastare il fenomeno del lavoro sommerso ed irregolare, il documento unico di regolarità contributiva è comprensivo della verifica della congruità della incidenza della mano d'opera relativa allo specifico contratto affidato. Tale congruità, per i lavori edili è verificata dalla Cassa edile in base all'accordo assunto a livello nazionale tra le parti sociali firmatarie del contratto collettivo nazionale comparativamente più rappresentative per l'ambito del settore edile ed il Ministero del lavoro e delle politiche sociali; per i lavori non edili è verificata in comparazione con lo specifico contratto collettivo applicato.
Il comma 10-bis dell’art. 8 del D.L. n. 76/2020 stabilisce che al Documento unico di regolarità contributiva è aggiunto quello relativo alla congruità dell'incidenza della manodopera relativa allo specifico intervento, secondo le modalità indicate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Sono fatte salve le procedure i cui bandi o avvisi sono pubblicati prima della data di entrata in vigore del decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di cui al periodo precedente.
§ adottano entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in esame il regolamento che individua le diverse tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa nell'attività di impresa, di cui all’art. 91, comma 7, del Codice antimafia (d.lgs. n. 159/2011) (lettera c).
Si ricorda che il comma 7 dell’art. 91 del D.Lgs. n. 159/2011 demanda ad un regolamento, da adottare con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dello sviluppo economico, ai sensi dell'art. 17, comma 3, della L. n. 400/1988, il compito di individuare le diverse tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa nell'attività di impresa per le quali, in relazione allo specifico settore d'impiego e alle situazioni ambientali che determinano un maggiore rischio di infiltrazione mafiosa, è sempre obbligatoria l'acquisizione della documentazione antimafia, indipendentemente dal valore del contratto, subcontratto, concessione, erogazione o provvedimento.
Il comma 4 autorizza, infine, la spesa di 1 milione di euro per l'anno 2021 e di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2026 per garantire la piena operatività e l’implementazione della banca dati di cui al comma 3, lettera a) e dispone la copertura dei relativi oneri mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'art. 1, comma 200, della L. n. 190/2014.
L’art. 1, comma 220, della L. n. 190/2014 (legge di stabilità 2015) ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestano nel corso della gestione, con la dotazione di 27 milioni di euro per l'anno 2015 e di 25 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2016.
L’articolo 50 prevede che, al fine di garantire il rispetto dei tempi di attuazione deli investimenti di cui al Piano nazionale di ripresa e resilienza nonché al Piano nazionale per gli investimenti complementari al medesimo PNRR e ai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione Europea, in caso di inerzia nella stipulazione del contratto, nella consegna dei lavori, nella costituzione del collegio consultivo tecnico, negli atti e nelle attività relativi alla sospensione dell’esecuzione dell’opera pubblica di cui all’art. 5 del DL n. 76/2020, e nel rispetto degli altri termini, anche endoprocedimentali, previsti per l’adozione delle determinazioni relative all’esecuzione dei contratti pubblici PNRR e PNC, l’esercizio del potere sostitutivo abbia luogo entro un termine ridotto alla metà di quello originariamente previsto (comma 2). Si prevede, inoltre, che il contratto diviene efficace con la stipulazione senza essere sottoposto alla condizione sospensiva (prevista dall’art. 32, comma 12, del Codice dei contratti pubblici) dell'esito positivo dell'eventuale approvazione e degli altri controlli previsti dalle norme proprie delle stazioni appaltanti (comma 3). Viene, infine, introdotto un “premio di accelerazione” per i casi di anticipata ultimazione dei lavori ed è contestualmente innalzato l’importo delle penali per il ritardato adempimento (comma 4)
Il comma 1 stabilisce che le disposizioni recate dai commi 2-4 si applicano al fine di conseguire gli obbiettivi:
§ di cui al regolamento (UE) 2021/240 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 febbraio 2021 e al regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021 in relazione alla esecuzione dei contratti pubblici finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dai citati regolamenti;
Il regolamento (UE) 2021/240 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021 istituisce uno strumento di sostegno tecnico con l’obiettivo generale di promuovere la coesione economica, sociale e territoriale dell’Unione sostenendo gli sforzi degli Stati membri volti ad attuare le riforme. Per “sostegno tecnico” (art. 2, par. 1) si intendono le misure che aiutano le autorità nazionali ad attuare riforme istituzionali, amministrative e strutturali che siano sostenibili, rafforzino la resilienza, potenzino la coesione economica, sociale e territoriale e sostengano la pubblica amministrazione nella preparazione di investimenti sostenibili e capaci di rafforzare la resilienza. A norma dell’art. 4 del regolamento, lo strumento persegue obiettivi specifici che consistono nell’assistere le autorità nazionali nel miglioramento della loro capacità di: a) concepire, elaborare e attuare le riforme; b) preparare, modificare, attuare e rivedere i piani per la ripresa e la resilienza a norma del regolamento (UE) 2021/241.
Il regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021 istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery and Resilience Facility - RRF); per una illustrazione del regolamento si rinvia alla Nota UE n. 67/1 del Servizio studi del Senato.
§ nonché dalle risorse del PNC (Piano nazionale per gli investimenti complementari);
§ e dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione Europea.
Il comma 2 prevede che, al fine di garantire il rispetto dei tempi di attuazione di cui al Piano nazionale di ripresa e resilienza nonché al Piano nazionale per gli investimenti complementari al medesimo PNRR e ai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione Europea, l’esercizio del potere sostitutivo in caso di inerzia, d’ufficio o su richiesta dell’interessato, da parte del responsabile o dell’unità organizzativa di cui all’art. 2, comma 9-bis, della L. n. 241/1990 abbia luogo entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto qualora siano decorsi inutilmente i termini:
§ per la stipulazione del contratto;
Si ricorda che l'art. 4, comma 1, del D.L. n. 76/2020 ha novellato l’art. 32 del Codice dei contratti pubblici, in materia di procedure per la conclusione del contratto di affidamento, prevedendo, tra l'altro, che la stipulazione del contratto “deve avere luogo” entro sessanta giorni successivi al momento in cui è divenuta efficace l'aggiudicazione e che la mancata stipulazione del contratto nel termine previsto deve essere motivata con specifico riferimento all’interesse della stazione appaltante e all'interesse nazionale alla sollecita esecuzione del contratto.
Ai sensi del comma 9 del citato art. 32 il contratto non può comunque essere stipulato prima di trentacinque giorni dall'invio dell'ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione. Il comma 10 stabilisce peraltro che il termine dilatorio di cui al comma 9 non si applica: a) se, a seguito di pubblicazione di bando o avviso con cui si indice una gara o dell'inoltro degli inviti nel rispetto del presente codice, è stata presentata o è stata ammessa una sola offerta e non sono state tempestivamente proposte impugnazioni del bando o della lettera di invito o queste impugnazioni risultano già respinte con decisione definitiva; b) nel caso di un appalto basato su un accordo quadro di cui all'art. 54, nel caso di appalti specifici basati su un sistema dinamico di acquisizione di cui all'art. 55, nel caso di acquisto effettuato attraverso il mercato e nel caso di affidamenti effettuati ai sensi dell'art. 36, comma 2, lettere a) e b) (contratti sotto soglia).
§ la consegna dei lavori;
Nelle more dell’adozione del nuovo regolamento unico di esecuzione e attuazione del Codice, ai sensi dell'art. 111, comma 1 del Codice dei contratti pubblici la consegna dei lavori resta disciplinata dall’art. 5 del D.M. 7 marzo 2018, n. 49 recante “Approvazione delle linee guida sulle modalità di svolgimento delle funzioni del direttore dei lavori e del direttore dell'esecuzione”. Il comma 1 stabilisce, in particolare, stabilisce che il direttore dei lavori, previa disposizione del RUP, provvede alla consegna dei lavori, per le amministrazioni statali, non oltre quarantacinque giorni dalla data di registrazione alla Corte dei conti del decreto di approvazione del contratto, e non oltre quarantacinque giorni dalla data di approvazione del contratto quando la registrazione della Corte dei conti non è richiesta per legge; per le altre stazioni appaltanti il termine di quarantacinque giorni decorre dalla data di stipula del contratto. Il comma 3 precisa che, qualora l'esecutore non si presenti, senza giustificato motivo, nel giorno fissato dal direttore dei lavori per la consegna, la stazione appaltante ha facoltà di risolvere il contratto e di incamerare la cauzione, oppure, di fissare una nuova data per la consegna, ferma restando la decorrenza del termine contrattuale dalla data della prima convocazione.
§ la costituzione del collegio consultivo tecnico (di cui all’art. 6 del D.L. n. 76/2020);
L'art. 6 del D.L. n. 76/2020 prevede, fino al 31 dicembre 2021, la obbligatoria costituzione presso ogni stazione appaltante, con funzioni in materia di sospensione dell'esecuzione dell'opera pubblica e di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie, di un collegio consultivo tecnico per i lavori relativi ad opere pubbliche pari o superiore alle soglie di rilevanza europea. La norma precisa che il collegio va costituito prima dell'avvio dell'esecuzione o comunque non oltre dieci giorni da tale data, ovvero entro trenta giorni per i contratti la cui esecuzione sia già iniziata.
§ gli atti e le attività di cui all’art. 5 del decreto-legge 16 luglio 2020 n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120;
L’art. 5 del D.L. n. 76/2020 (cd. decreto semplificazioni) – per il cui commento si rinvia alla scheda del relativo dossier – disciplina, fino al 31 dicembre 2021 e in deroga all’art. 107 del D. Lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici), i casi di sospensione dell'esecuzione dell'opera pubblica con riferimento ai contratti pubblici il cui valore sia pari o superiore alla soglia di rilevanza europea, stabilendo che la sospensione può avvenire, esclusivamente per il tempo strettamente necessario al loro superamento, per le seguenti ragioni:
- cause previste da disposizioni di legge penale, dal codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al D. Lgs. n. 159/2011, nonché da vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea;
- gravi ragioni di ordine pubblico, salute pubblica o dei soggetti coinvolti nella realizzazione delle opere, ivi incluse le misure adottate per contrastare l’emergenza sanitaria globale da COVID-19;
- gravi ragioni di ordine tecnico, idonee a incidere sulla realizzazione a regola d’arte dell’opera, in relazione alle modalità di superamento delle quali non vi è accordo tra le parti;
- gravi ragioni di pubblico interesse.
Si ricorda che l'art. 107 del Codice dei contratti pubblici riconduce invece la possibilità di sospensione dei lavori alle seguenti fattispecie:
- il direttore dei lavori può disporre la sospensione dell'esecuzione del contratto in tutti i casi in cui ricorrano circostanze speciali che impediscono in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d'arte, e che non siano prevedibili al momento della stipulazione del contratto (comma 1);
- il RUP può disporre la sospensione dei lavori per ragioni di necessità o di pubblico interesse, tra cui l'interruzione di finanziamenti per esigenze sopravvenute di finanza pubblica, disposta con atto motivato delle amministrazioni competenti (comma 2);
- si provvede alla sospensione parziale dei lavori non eseguibili, qualora, successivamente alla consegna dei lavori, insorgano, per cause imprevedibili o di forza maggiore, circostanze che impediscano parzialmente il regolare svolgimento dei lavori; l'esecutore è tenuto a proseguire le parti di lavoro eseguibili (comma 4);
- sospensioni totali o parziali dei lavori possono essere disposte dalla stazione appaltante per cause diverse da quelle di cui ai commi 1, 2 e 4 (comma 6).
Tra i termini previsti dal citato art. 5 si segnalano i seguenti:
- per le ipotesi di sospensione di cui al comma 1, lettere b) e d) del citato art. 5 (gravi ragioni di ordine pubblico o salute pubblica e gravi ragioni di pubblico interesse), il termine di 15 giorni dalla comunicazione al collegio consultivo tecnico della sospensione dei lavori, entro cui la stazione appaltante propone all’autorità competente l’autorizzazione alla prosecuzione dei lavori, e il termine di 10 giorni dalla suddetta proposta entro cui la stazione appaltante o l’autorità competente autorizzano la prosecuzione dei lavori (comma 2);
- per le ipotesi di sospensione di cui al comma 1, lettera c) (gravi ragioni di ordine tecnico), il termine di 15 giorni dalla comunicazione della sospensione dei lavori ovvero della causa che potrebbe determinarla, entro cui il collegio consultivo tecnico adotta una determinazione con cui accerta l'esistenza di una causa tecnica di legittima sospensione dei lavori e indica le modalità con cui proseguire i lavori (comma 3);
- il ritardo, non giustificato dalle esigenze di cui al comma 1, nell’avvio o nell’esecuzione dei lavori per un termine di almeno un decimo del tempo previsto o stabilito per la realizzazione dell'opera e, comunque, pari ad almeno trenta giorni per ogni anno previsto o stabilito per la realizzazione dell'opera, decorso il quale si applicano le disposizioni del comma 4 in materia di risoluzione di diritto del contratto e di scelta della modalità alternativa di prosecuzione di lavori (esecuzione in via diretta, scorrimento della graduatoria di gara, nuova procedura di affidamento, proposta di nomina di un commissario straordinario) (comma 5).
§ nonché gli altri termini, anche endoprocedimentali, previsti dalla legge, dall’ordinamento della stazione appaltante o dal contratto per l’adozione delle determinazioni relative all’esecuzione dei contratti pubblici PNRR e PNC.
Si ricorda che l’art. 2, comma 9-bis, della L. n. 241/1990 – come risultante dalle modifiche apportate dall’art. 61 del decreto-legge in esame (alla cui scheda si rinvia) – assegna all'organo di governo il compito di individuare un soggetto nell'ambito delle figure apicali dell'amministrazione o una unità organizzativa cui attribuire il potere sostitutivo in caso di inerzia. Nell'ipotesi di omessa individuazione il potere sostitutivo si considera attribuito al dirigente generale o, in mancanza, al dirigente preposto all'ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell'amministrazione.
Il successivo comma 9-ter – anch’esso riscritto dall’art. 61 del decreto-legge in esame – dispone che, decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento o quello superiore di cui al comma 7, il responsabile o l’unità organizzativa di cui al comma 9-bis, d’ufficio o su richiesta dell’interessato, esercita il potere sostitutivo e, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, conclude il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario (prevedendo l’esercizio anche d’ufficio del potere sostitutivo, rispetto alla formulazione previgente che lo subordinava alla richiesta del privato).
Si valuti l’opportunità di precisare che il potere sostitutivo è esercitato nei confronti del responsabile unico del procedimento di cui all’art. 48, comma 2, del decreto in esame.
Andrebbe, inoltre, valutata l’opportunità di chiarire se per “termini originariamente previsti” – scaduti i quali si attiva il potere sostitutivo – si intendano quelli previsti a regime dal Codice dei contratti pubblici ovvero quelli stabiliti in deroga da norme successive (quali, ad esempio, l’art. 5 del DL 76/2020), provvedendosi altresì a determinare i nuovi e più ridotti termini entro cui deve essere esercitato il potere sostitutivo in relazione a termini originari non dimezzabili in quanto costituiti da un numero di giorni dispari.
Il comma 3 dispone che il contratto diviene efficace con la stipulazione e non trova applicazione l’art. 32, comma 12, del D. Lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici).
L’art. 32, comma 12, del Codice dei contratti pubblici prevede che il contratto è sottoposto alla condizione sospensiva dell'esito positivo dell'eventuale approvazione e degli altri controlli previsti dalle norme proprie delle stazioni appaltanti. Il successivo comma 13 precisa che l'esecuzione del contratto può avere inizio solo dopo che lo stesso è divenuto efficace (ai sensi del comma 12), salvo che, in casi di urgenza, la stazione appaltante ne chieda l'esecuzione anticipata, nei modi e alle condizioni previste al comma 8.
Il comma 4 introduce un premio di accelerazione per i casi di anticipata ultimazione dei lavori ed innalza l’importo delle penali per il ritardato adempimento.
Nel dettaglio, al primo periodo si dispone che la stazione appaltante prevede, nel bando o nell’avviso di indizione della gara, che, qualora l’ultimazione dei lavori avvenga in anticipo rispetto al termine ivi indicato, è riconosciuto, a seguito dell’approvazione da parte della stazione appaltante del certificato di collaudo o di verifica di conformità, un premio di accelerazione per ogni giorno di anticipo determinato sulla base degli stessi criteri stabiliti per il calcolo della penale, mediante utilizzo delle somme per imprevisti indicate nel quadro economico dell’intervento, nei limiti delle relative disponibilità, sempre che l’esecuzione dei lavori sia conforme alle obbligazioni assunte.
La relazione tecnica evidenzia come il comma 4 non comporti nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica in quanto il premio verrà corrisposto mediante utilizzo delle somme indicate nel quadro economico dell’intervento alla voce imprevisti.
Il secondo periodo stabilisce che, in deroga all’art. 113-bis del D. Lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici), le penali dovute per il ritardato adempimento possono essere calcolate in misura giornaliera compresa tra lo 0,6 per mille e l’1 per mille dell’ammontare netto contrattuale, da determinare in relazione all’entità delle conseguenze legate al ritardo, e non possono comunque superare, complessivamente, il 20 per cento di detto ammontare netto contrattuale.
L’art. 113-bis, comma 4, del Codice dei contratti pubblici prevede che i contratti di appalto prevedono penali per il ritardo nell'esecuzione delle prestazioni contrattuali da parte dell'appaltatore commisurate ai giorni di ritardo e proporzionali rispetto all'importo del contratto o alle prestazioni del contratto. Le penali dovute per il ritardato adempimento sono calcolate in misura giornaliera compresa tra lo 0,3 per mille e l'1 per mille dell'ammontare netto contrattuale, da determinare in relazione all'entità delle conseguenze legate al ritardo, e non possono comunque superare, complessivamente, il 10 per cento di detto ammontare netto contrattuale.
L'articolo 51 reca una serie di modifiche al decreto-legge n. 76 del 2020, cosiddetto decreto-legge "semplificazioni" che si riportano di seguito illustrandole schematicamente.
In particolare, il comma 1:
- alla lettera a) prevede la modifica dell’articolo 1 del citato decreto- legge, al fine di prorogare dal 31 dicembre 2021 al 30 giugno 2023 le procedure per l'incentivazione degli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale in relazione all'aggiudicazione dei contratti pubblici sotto soglia previste dall’articolo 1, comma 1, del citato decreto-legge n. 76 del 2020.
Si ricorda che tali procedure riguardano, in sintesi, modalità di affidamento semplificate per il sottosoglia (aumento della soglia per procedere con affidamenti diretti e possibilità di utilizzare le procedure negoziate senza pubblicazione del bando).
Al punto 2 si interviene sul comma 2 del medesimo articolo 1 confermando l’affidamento diretto per i lavori fino a 150.000 euro ed elevando a 139.000 euro il limite per l’affidamento diretto, anche senza consultazione di più operatori economici, delle forniture e servizi (ivi inclusi servizi di ingegneria e architettura) nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza ed economicità.
Si prevede, inoltre, la procedura negoziata con 5 operatori per i lavori oltre i 150.000 euro e fino a un milione e per forniture e servizi (ivi inclusi servizi di ingegneria e architettura).
In ragione delle modifiche di cui al punto 2) si semplifica l’affidamento dei contratti sotto soglia di forniture e servizi, uniformando le Amministrazioni centrali e le altre pubbliche amministrazioni, posto che le prime potranno procedere con affidamento diretto fino ad un importo di 139.000 euro e a gara comunitaria per affidamenti pari o superiori al predetto importo mentre le seconde potranno procedere mediante affidamento diretto fino a 139.000 euro, mediante procedura negoziata con 5 inviti fino alla soglia di cui all’articolo 35 del codice dei contratti pubblici e per importi pari o superiori alla soglia di cui all’art. 35 del codice dei contratti a gara comunitaria (procedura aperta o ristretta).
- alla lettera b) si modifica l’articolo 2 del decreto legge n. 76 del 2020.
In particolare, al punto 1) si novella il comma 1, prevedendo la proroga fino al 30 giugno 2023 delle disposizioni di semplificazione previste nel medesimo articolo 2. Inoltre, al punto 2) si prevede, mediante un’integrazione del comma 3, che le procedure di affidamento semplificate previste nel suddetto comma si applichino, nel caso sussista la necessità, anche agli interventi inerenti al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR);
- la lettera c) proroga fino al 30 giugno 2023 le disposizioni di semplificazione previste dall’articolo 3, commi 1 e 2, in materia di verifiche antimafia e protocolli di legalità che consentono alle pubbliche amministrazioni di corrispondere ai privati agevolazioni o benefici economici, anche in assenza della documentazione antimafia, con il vincolo della restituzione laddove in esito alle verifiche antimafia dovesse essere pronunciata una interdittiva e di stipulare contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture sulla base di una informativa antimafia liberatoria provvisoria, valida per 60 giorni, con il vincolo del recesso se le verifiche successive dovessero comportare una interdittiva antimafia.
- la lettera d) modifica l’articolo 5 del decreto-legge n. 76 del 2020 in materia di sospensione dell'esecuzione dell'opera pubblica al fine di prorogarne l’efficacia sino al 30 giugno 2023 (punto 1) nonché di chiarire (punto 2) che, nelle ipotesi previste dal comma 1, lettere b) - gravi ragioni di ordine pubblico, salute pubblica o dei soggetti coinvolti nella realizzazione delle opere, ivi incluse le misure adottate per contrastare l'emergenza sanitaria globale da COVID-19 - e d) - gravi ragioni di ordine tecnico, idonee a incidere sulla realizzazione a regola d'arte dell'opera, in relazione alle modalità di superamento delle quali non vi è accordo tra le parti -, le stazioni appaltanti o le autorità competenti autorizzano nei successivi dieci giorni la prosecuzione dei lavori nel rispetto delle esigenze sottese ai provvedimenti di sospensione adottati, salvi i casi di assoluta e motivata incompatibilità tra causa della sospensione e prosecuzione dei lavori, sulla base del parere (e non già determinazione) del Collegio consultivo tecnico.
- la lettera e) apporta modifiche all’articolo 6 del decreto-legge n. 76 del 2020, recante la disciplina del Collegio consultivo tecnico. In particolare, al punto 1) si prorogano al 30 giugno 2023 tutte le previsioni ivi contenute, in scadenza al 31 dicembre 2021. Al punto 2) si modifica il comma 2 precisando che le parti possono concordare che ciascuna di esse nomini uno o due componenti del collegio individuati anche tra il proprio personale dipendente ovvero tra persone ad esse legate da rapporti di lavoro autonomo o di collaborazione anche continuativa in possesso dei requisiti previsti.
Al punto 3), al fine in rafforzare il valore delle determinazioni assunte dal Collegio consultivo tecnico, nonché la loro efficacia conformativa, si modifica il comma 3, stabilendo che laddove il provvedimento che definisce il giudizio corrisponda interamente al contenuto della determinazione del collegio consultivo, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che non ha osservato la determinazione, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto.
Al punto 4) si interviene sul comma 7, sopprimendo il secondo periodo (il quale prevede che, in mancanza di determinazioni o pareri, ai componenti il Collegio spetta un gettone unico onnicomprensivo).
Al punto 5) si prevede l’inserimento nell’articolo 6 del nuovo comma 8- bis. In particolare, il comma 8-bis prevede che, con provvedimento del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, previo parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, sono approvate apposite Linee guida volte a definire i requisiti professionali e i casi di incompatibilità dei membri e del Presidente del collegio consultivo tecnico, i criteri preferenziali per la loro scelta, i parametri per la determinazione dei compensi rapportati al valore e alla complessità dell’opera, nonché all’entità e alla durata dell’impegno richiesto ed al numero e alla qualità delle determinazioni assunte, le modalità di costituzione e funzionamento del collegio e il coordinamento con gli altri istituti consultivi, deflattivi e contenziosi esistenti. Infine, si stabilisce che con il medesimo decreto, è istituito presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un Osservatorio permanente per assicurare il monitoraggio sull’attività dei collegi consultivi tecnici, al quale ciascun Presidente dei predetti collegi è tenuto a trasmettere gli atti di nomina e le determinazioni assunte dal collegio entro cinque giorni dall’adozione. Ai componenti dell’osservatorio non spettano indennità, gettoni di presenza, rimborsi spese o altri emolumenti comunque denominati.
- la lettera f) proroga fino al 30 giugno 2023 le disposizioni di semplificazione previste dall’articolo 8, comma 1, che prevede che: la consegna dei lavori in via d’urgenza è sempre autorizzata; si possa ovviare alla visita dei luoghi, nonché alla consultazione sul posto dei documenti di gara quando non necessario; si possano applicare le riduzioni dei termini per motivi di urgenza per le procedure ordinarie; si possano prevedere affidamenti anche nel caso in cui questi non siano stati preventivamente inseriti in programmazione a condizione che si provveda ad aggiornare i documenti programmatori;
- la lettera g) proroga fino al 30 giugno 2023 le disposizioni di semplificazione previste dall’articolo 13, comma 1, recante “Accelerazione del procedimento in conferenza di servizi”;
- la lettera h) proroga fino al 30 giugno 2023 le disposizioni di semplificazione previste dall’articolo 21, comma 2, in materia di responsabilità erariale, che prevede che la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l'azione di responsabilità è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta, con la precisazione che tale limitazione di responsabilità non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente.
Il comma 2 dell'articolo in questione precisa che la proroga sino al 30 giugno 2023 relativa alle previsioni recate dall’articolo 2, comma 1 del decreto-legge n. 76 del 2020, non opera con riferimento alle disposizioni recate dal comma 4 del medesimo articolo 2 che, seppure limitatamente ad alcuni specifici settori, sino al 31 dicembre 2021 autorizza le stazioni appaltanti ad operare in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea.
Il comma 3 specifica che le modifiche apportate dal comma 1, lettera a), numero 2), numeri 2.1 e 2.2, all’articolo 1, comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge n. 76 del 2020, si applicano alle procedure avviate dopo l’entrata in vigore del presente decreto. Per le procedure i cui bandi o avvisi di indizione della gara siano pubblicati prima dell’entrata in vigore del presente decreto, ovvero i cui inviti a presentare le offerte o i preventivi siano inviati entro la medesima data, continua ad applicarsi il citato articolo 1 del decreto-legge n. 76 del 2020 nella formulazione antecedente alle modifiche apportate con il presente decreto.
L’articolo 52, lettera a), proroga l’efficacia di diverse disposizioni contenute nell’art. 1 del D.L. 32/2019 (c.d. decreto “sblocca cantieri”) di sospensione di norme del Codice dei contratti pubblici. Vengono in particolare prorogate le norme riguardanti:
- le procedure previste a favore dei comuni non capoluogo di provincia per acquisti di lavori, servizi e forniture (con esclusione degli acquisti per gli interventi contenuti nel PNRR e nel PNC) (fino al 30 giugno 2023);
- la sospensione del divieto di “appalto integrato” (fino al 30 giugno 2023);
- la sospensione dell’obbligo di scelta dei commissari aggiudicatori tra gli esperti iscritti all'Albo istituito presso l'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) (fino al 30 giugno 2023);
- la procedura che dispone l’esame delle offerte prima della verifica dell'idoneità degli offerenti partecipanti alla gara aperta (fino al 30 giugno 2023);
- la restrizione dei casi in cui è richiesto il parere obbligatorio del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici (fino al 30 giugno 2023);
- l’introduzione della verifica preventiva dell'interesse archeologico tra le riserve in materia di accordo bonario (fino al 30 giugno 2023);
- gli affidamenti di opere con il finanziamento della sola progettazione e di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria con la sola redazione della progettazione definitiva (fino all’anno 2023);
- l’approvazione da parte del soggetto aggiudicatore delle varianti ai progetti definitivi per le infrastrutture strategiche (fino all’anno 2023).
- l’obbligo di indicazione della terna di subappaltatori (fino al 31 dicembre 2023);
- le verifiche in sede di gara sui motivi di esclusione dell’operatore, anche a carico del subappaltatore (fino al 31 dicembre 2023).
L’articolo 52 prevede, inoltre, l’abrogazione della norma che prevede la presentazione da parte del Governo della relazione al Parlamento sugli effetti delle sospensioni sperimentali di norme del Codice previste dall’art. 1 del D.L. 32/2019 per gli anni 2019 e 2020.
In primo luogo, la lettera a), n. 1.1, modificando il comma l dell’art. 1 del D.L. 32/2019, proroga dal 31 dicembre 2021 al 30 giugno 2023 la sospensione dell’applicazione di determinate norme del Codice dei contratti pubblici, contenute nelle lettere a)-c) del medesimo comma 1 dell’art. 1 del D.L. 32/2019, sulle procedure per gli acquisti di lavori, servizi e forniture da parte dei comuni non capoluogo di provincia, sul divieto di appalto integrato e sulla scelta dei membri della commissione che individua il soggetto affidatario del contratto (vedi infra).
In secondo luogo, la lettera a), n. 1.2, integrando la disposizione prevista alla lettera a) del medesimo art. 1, comma 1, del D.L. 32/2019, ora prorogata al 30 giugno 2023, esclude dalla sospensione dell’applicazione delle procedure indicate all’art. 37, comma 4 del D.L. 32/2019 (vedi infra), in merito agli acquisti di lavori, forniture e servizi effettuati dai comuni non capoluogo di provincia, gli acquisti effettuati con gli investimenti pubblici finanziati, in tutto o in parte, dalle risorse del Regolamento 2021/240 (che istituisce lo strumento di sostegno tecnico, anche per l’attuazione delle riforme incluse nei Piani nazionali di ripresa e resilienza) e del Regolamento 2021/241 (che istituisce il dispositivo per il Piano per la ripresa e la resilienza - PNRR), nonché dalle risorse del Piano nazionale per gli investimenti complementari (PNC) di cui all’art. 1 del D.L. 59/2021.
La norma in esame specifica che - nelle more di una disciplina diretta ad assicurare la riduzione, il rafforzamento e la qualificazione delle stazioni appaltanti - per le procedure afferenti alle opere PNRR e PNC, i comuni non capoluogo di provincia procedono all’acquisizione di forniture, servizi e lavori - oltre che secondo le modalità indicate dal citato art. 37, comma 4, del D.L. 32/2019 - anche attraverso le unioni di comuni, le province, le città metropolitane e i comuni capoluoghi di province.
Entrando nel dettaglio delle disposizioni prorogate dal n. 1.1 della lettera a), il comma 1 dell’art. 1 del D.L. 32/2019 stabilisce fino al 31 dicembre 2021 (termine ora prorogato al 30 giugno 2023, e in precedenza prorogato al 31 dicembre 2021 dall’art. 8, comma 7, lett. a), del D.L. 76/2020, in luogo del termine originario del 31 dicembre 2020 previsto nel D.L. 32/2019) - nelle more della riforma complessiva del settore degli appalti pubblici e, comunque, nel rispetto dei principi e delle norme sancite dall'Unione europea (in particolare delle direttive su appalti e concessioni, nn. 2014/23/UE, 2014/24/UE, 2014/25/UE) – la non applicazione, a titolo sperimentale, delle seguenti norme del Codice dei contratti pubblici, indicate nelle seguenti lettere a)-c) del medesimo comma 1 dell’art. 1 del D.L. 32/2019:
- art. 37, comma 4, che disciplina le modalità con cui i comuni non capoluogo di provincia devono provvedere agli acquisti di lavori, servizi e forniture (lett. a).
Il comma 4 dell’art. 37 prevede che, qualora la stazione appaltante sia un comune non capoluogo di provincia (ferme restando le facilitazioni previste dai commi 1 e 2 dello stesso articolo 37 per gli acquisti di importo contenuto), si proceda secondo una delle seguenti modalità:
a) ricorrendo a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati;
b) mediante unioni di comuni costituite e qualificate come centrali di committenza, ovvero associandosi o consorziandosi in centrali di committenza nelle forme previste dall'ordinamento;
c) ricorrendo alla stazione unica appaltante costituita presso le province, le città metropolitane ovvero gli enti di area vasta.
- art. 59, comma 1, quarto periodo, che stabilisce il divieto di “appalto integrato” (salvo le eccezioni contemplate nel periodo stesso[41]), cioè il divieto di affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione dei lavori (lett. b).
In deroga a tale divieto, l’art. 216, comma 4-bis, del Codice, ha già introdotto una disposizione transitoria volta a prevedere la non applicazione del divieto per le opere i cui progetti definitivi risultino definitivamente approvati dall'organo competente alla data di entrata in vigore del Codice (19 aprile 2016) con pubblicazione del bando entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della disposizione (vale a dire entro il 20 maggio 2018, dato che il comma 4-bis è stato introdotto dall’art. 128 del D. Lgs. 56/2017, pubblicato nella G.U. del 5 maggio 2017 ed entrato in vigore dopo 15 giorni dalla pubblicazione, come previsto dall’art. 131 del medesimo decreto legislativo). Si ricorda che nei considerando della c.d. direttiva appalti (n. 2014/24/UE) si legge che “vista la diversità degli appalti pubblici di lavori, è opportuno che le amministrazioni aggiudicatrici possano prevedere sia l'aggiudicazione separata che l'aggiudicazione congiunta di appalti per la progettazione e l'esecuzione di lavori. La presente direttiva non è intesa a prescrivere un'aggiudicazione separata o congiunta degli appalti”.
- art. 77, comma 3, in merito all'obbligo di scegliere i commissari tra gli esperti iscritti all'Albo istituito presso l'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) di cui all'art. 78, fermo restando l'obbligo di individuare i commissari secondo regole di competenza e trasparenza, preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante (lett. c).
L’art. 77 del Codice dei contratti pubblici prevede - per i casi di aggiudicazione con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa - che la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico sia affidata ad una commissione giudicatrice, composta da esperti nello specifico settore cui afferisce l'oggetto del contratto. A tal fine, l’art. 78 ha previsto la creazione presso l'ANAC di un Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici, al fine di rafforzare regole di garanzia, trasparenza ed imparzialità. Nelle more dell’adozione della disciplina in materia di iscrizione all'Albo, l’art. 216, comma 12, ha disposto che “la commissione giudicatrice continua ad essere nominata dall'organo della stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto, secondo regole di competenza e trasparenza preventivamente individuate da ciascuna stazione appaltante”. Con le Linee Guida n. 5 dell'ANAC sono stati dettati i criteri di scelta dei commissari di gara e di iscrizione degli esperti nell’Albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici. Inoltre, con l’Atto di segnalazione n. 1 del 9 gennaio 2019 della Autorità nazionale anticorruzione concernente la disciplina dell'Albo nazionale dei componenti delle commissioni giudicatrici di cui all'art. 77 del Codice, l'ANAC aveva già segnalato al Governo e al Parlamento l'opportunità di apportare urgenti modifiche alla disciplina in tema di nomina delle commissioni giudicatrici di cui all'art. 77 del Codice. Tale modifica - secondo l'Autorità - "si rende necessaria alla luce della mancata o insufficiente iscrizione, da parte dei professionisti interessati, nelle sottosezioni dell'Albo dei commissari, circostanza che renderebbe, di fatto, non attuabile la modalità di nomina dei componenti del seggio di gara prevista dalle norme sopra richiamate".
Si ricorda che nell’art. 1, comma 1 del D.L. 32/2019, oggetto della modifica in esame, si specifica che la sospensione delle norme del Codice ivi richiamate è valida a partire dalle procedure per le quali i bandi o gli avvisi, con cui si indice la procedura di scelta del contraente siano pubblicati successivamente alla data di entrata in vigore del medesimo DL 32/2019 (19 aprile 2019), nonché, in caso di contratti senza pubblicazione di bandi o di avvisi, per le procedure in relazione alle quali, alla data di entrata in vigore del medesimo decreto, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte.
La lettera a), n. 2), abroga il comma 2 dell’art. 1 del D.L. 32/2019 che prevede, entro il termine del 30 novembre 2021 (termine prorogato dal 30 novembre 2020 al 30 novembre 2021 dall'art. 8, comma 7, lett. b), del D.L. 76/2020), la presentazione da parte del Governo di una relazione al Parlamento sugli effetti della sospensione prevista dall’art. 1 del D.L. 32/2019, per gli anni 2019 e 2020, al fine di consentire al Parlamento di valutare l'opportunità del mantenimento o meno della sospensione stessa.
La lettera a), n. 3), proroga dal 31 dicembre 2021 al 30 giugno 2023 (termine che l'art. 8, comma 7, lett. c), del D.L. 76/2020 aveva già prorogato dal 31 dicembre 2020 al 31 dicembre 2021), l’applicazione, prevista dall'art. 1, comma 3, del DL n. 32/2019 anche per i settori ordinari, delle disposizioni dell'art. 133, comma 8, del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 50/2016) valide per i settori speciali, le quali prevedono che nelle procedure aperte, gli enti aggiudicatori possono decidere che le offerte siano esaminate prima della verifica dell'idoneità degli offerenti e che tale facoltà può essere esercitata se specificamente prevista nel bando di gara o nell'avviso con cui si indice la gara.
I «settori ordinari» dei contratti pubblici sono i settori diversi da quelli del gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica, come definiti dalla parte II del Codice, in cui operano le amministrazioni aggiudicatrici.
I «settori speciali» dei contratti pubblici sono i settori del gas, energia termica, elettricità, acqua, trasporti, servizi postali, sfruttamento di area geografica, come definiti dalla parte II del Codice
L’art. 133, comma 8, del Codice dei contratti pubblici consente agli enti aggiudicatori - limitatamente alle procedure aperte[42] - di espletare l'operazione di esame delle offerte, prima dell'operazione di verifica dell'idoneità degli offerenti. Resta fermo - ai sensi dell'art. 133, comma 8 - che tale facoltà possa essere esercitata, se specificamente prevista nel bando di gara o nell'avviso con cui si indice la gara. Inoltre, le amministrazioni aggiudicatrici che si avvalgono di tale possibilità devono garantire che la verifica dell'assenza di motivi di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione sia effettuata in maniera imparziale e trasparente, in modo che nessun appalto sia aggiudicato a un offerente che avrebbe dovuto essere escluso oppure che non soddisfa i criteri di selezione stabiliti dall'amministrazione aggiudicatrice. Resta salva, infine, a seguito dell'aggiudicazione, la necessità di verificare il possesso dei requisiti richiesti ai fini della stipula del contratto.
La lettera a), ai nn. 4) e 5), estende fino all’anno 2023, le semplificazioni previste per gli anni 2019, 2020 e 2021 dai commi 4 e 6 dell’art. 1 del D.L. 32/2019, per l’affidamento, rispettivamente, delle opere di cui risulta finanziata solo l’attività di progettazione e dei contratti di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria solo in base al progetto definitivo.
Nello specifico, il n. 4) della lettera a) estende l’applicazione fino all’anno 2023 della disposizione transitoria recata dal primo periodo del comma 4 dell’art. 1 del D.L. 32/2019 (prevista in origine per gli anni 2019 e 2020, e poi estesa anche all’anno 2021 dall'art. 13, comma 2, lett. a), del D.L. 183/2020), che dispone, per gli anni 2019, 2020 e 2021, che i soggetti attuatori di opere per le quali deve essere realizzata la progettazione possono avviare le relative procedure di affidamento, anche in caso di disponibilità di finanziamenti limitati alle sole attività di progettazione. Il secondo periodo del medesimo comma dispone che le opere la cui progettazione è stata realizzata ai sensi del periodo precedente sono considerate prioritariamente ai fini dell'assegnazione dei finanziamenti per la loro realizzazione.
Il n. 5) della lettera a) estende l’applicazione fino all’anno 2023 della disposizione transitoria recata dal comma 6 dell’art. 1 del D.L. 32/2019 (prevista in origine per gli anni 2019 e 2020, e poi estesa anche all’anno 2021 dall'art. 13, comma 2, lett. b), del D.L. 183/2020), che prevede l’applicazione di una disciplina semplificata per i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria (ad esclusione degli interventi di manutenzione straordinaria che prevedano il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali di opere o impianti), precipuamente finalizzata a consentire l’affidamento sulla base del progetto definitivo e l’esecuzione a prescindere dall'avvenuta redazione e approvazione del progetto esecutivo.
Nel dettaglio, il comma 6 dell’art. 1 del D.L. 32/2019 prevede che i contratti di lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, ad esclusione degli interventi di manutenzione straordinaria che prevedono il rinnovo o la sostituzione di parti strutturali delle opere o di impianti, possono essere affidati, nel rispetto delle procedure di scelta del contraente previste dal d.lgs.50/2016, sulla base del progetto definitivo costituito almeno da una relazione generale, dall'elenco dei prezzi unitari delle lavorazioni previste, dal computo metrico-estimativo, dal piano di sicurezza e di coordinamento con l'individuazione analitica dei costi della sicurezza da non assoggettare a ribasso. L'esecuzione dei predetti lavori può prescindere dall'avvenuta redazione e approvazione del progetto esecutivo.
Il n. 6) della lettera a) estende dal 31 dicembre 2021 al 30 giugno 2023, l’applicazione di quanto previsto dal comma 7 dell’art. 1 del D.L. 32/2019 in materia di deroghe sul parere obbligatorio del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici[43].
Nello specifico, la norma in esame prevede l’applicazione fino al 30 giugno 2023 delle seguenti deroghe all'art. 215, comma 3 del Codice dei contratti pubblici, introdotte, fino al 31 dicembre 2021, dall'art. 8, comma 7, lett. d), del D.L.76/2020:
- parere obbligatorio del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici per i soli progetti di fattibilità tecnica ed economica di competenza statale (o comunque finanziati per almeno il 50% dallo Stato) di importo pari o superiore a 100 milioni di euro;
- parere obbligatorio dei comitati tecnici amministrativi (C.T.A) presso i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche per progetti di importo da 50 a 100 milioni di euro;
- per lavori pubblici inferiori a 50 milioni di euro non è previsto il parere del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici.
-
Il comma 7 dell’art. 1 del D.L. 32/2019, nel testo vigente prima delle modifiche recate dall'art. 8, comma 7, lett. d), del D.L.76/2020, prevedeva una deroga all’art. 215, comma 3 del Codice dei contratti pubblici, valida fino al 31 dicembre 2020, che elevava da 50 a 75 milioni di euro i limiti di importo per l'espressione del parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Per importi inferiori a 75 milioni di euro il parere obbligatorio era espresso dai comitati tecnici amministrativi (c.d. C.T.A.) presso i provveditorati interregionali per le opere pubbliche.
Si ricorda che l’art. 215, comma 3 del Codice prevede che il Consiglio superiore dei lavori pubblici esprima: 1) parere obbligatorio sui progetti definitivi di lavori pubblici di competenza statale, o comunque finanziati per almeno il 50 per cento dallo Stato, di importo superiore ai 50 milioni di euro; 2) parere sui progetti delle altre stazioni appaltanti che siano pubbliche amministrazioni, sempre superiori ai 50 milioni di euro, ove esse ne facciano richiesta; 3) per i lavori pubblici di importo inferiore a 50 milioni di euro, le competenze del Consiglio superiore sono esercitate dai comitati tecnici amministrativi presso i Provveditorati interregionali per le opere pubbliche. Qualora il lavoro pubblico di importo inferiore a 50 milioni di euro, presenti elementi di particolare rilevanza e complessità il provveditore sottopone il progetto, con motivata relazione illustrativa, al parere del Consiglio superiore.
La norma in esame integra, inoltre, il citato comma 7 dell’art. 1 del D.L. 32/2019, al fine di escludere dalle previste deroghe il parere obbligatorio del Consiglio dei lavori pubblici sulla costruzione e l'esercizio delle dighe di ritenuta contenuto nel D.P.R. 1 novembre 1959, n. 1363, recante l’approvazione del regolamento per la compilazione dei progetti, la costruzione e l'esercizio delle dighe di ritenuta, che disciplina, in materia, le funzioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
In base all’art. 1 del D.M. del 16 ottobre 2020 (Parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici sui progetti delle concessionarie statali), comma 2, fino alla scadenza del termine di cui all'art. 1, comma 7, del decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32, ora prorogato fino al 30 giugno 2023, sono sottoposti al parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici, esclusivamente, i progetti di fattibilità tecnica ed economica relativi alle opere da realizzare da parte di ANAS e delle altre concessionarie autostradali di importo pari o superiore a quello previsto dal primo periodo del comma 7 del citato art. 1, cioè di importo pari o superiore ai 100 milioni di euro.
Il n. 7) della lettera a) estende dal 31 dicembre 2021 al 30 giugno 2023 l’applicazione della norma transitoria prevista dal comma 10 dell’art. 1 del D.L. 32/2019, in materia di iscrizione di riserva degli aspetti progettuali riguardanti la verifica preventiva dell'interesse archeologico.
Nello specifico, il comma 10 dell’art. 1 del D.L. 32/2019 (c.d. sblocca cantieri), prevede che fino al 31 dicembre 2020 (termine poi esteso al 31 dicembre 2021 dall’art. 13, comma 2, lettera b-bis) del D.L. 183/2020, ed ora prorogato fino al 30 giugno 2023) possono essere oggetto di riserva anche gli aspetti progettuali dell'art. 25 (disciplina della procedura per la verifica preventiva dell'interesse archeologico). In conseguenza di quanto previsto, tali aspetti progettuali rientrano nell'ambito di applicazione dell'istituto dell’accordo bonario di cui all'art. 205 del Codice.
In base all’art. 23 del Codice dei contratti pubblici, la progettazione in materia di lavori pubblici si articola in progetto di fattibilità tecnica ed economica, progetto definitivo e progetto esecutivo. La redazione del progetto di fattibilità prevede tra l’altro lo svolgimento anche delle verifiche preventive dell'interesse archeologico, ai sensi del comma 6 dell’art. 23.
Per la verifica preventiva dell'interesse archeologico, come stabilito dall’art. 25 del Codice dei contratti pubblici, le stazioni appaltanti inviano alle sovrintendenze competenti prima dell'approvazione del progetto copia del progetto di fattibilità dell'intervento o di uno stralcio di esso sufficiente ai fini archeologici, ivi compresi gli esiti delle indagini geologiche e archeologiche preliminari, con particolare attenzione ai dati di archivio e bibliografici reperibili, all'esito delle ricognizioni volte all'osservazione dei terreni, alla lettura della geomorfologia del territorio, nonché, per le opere a rete, alle fotointerpretazioni. Il sovrintendente, ove lo ritenga necessario in base all'esistenza di un interesse archeologico nelle aree oggetto di progettazione, può richiedere motivatamente, entro trenta giorni dal ricevimento del progetto di fattibilità ovvero dello stralcio, la sottoposizione dell'intervento alla procedura di verifica preventiva. Per i progetti di grandi opere infrastrutturali o a rete il termine della richiesta per la procedura di verifica preventiva dell'interesse archeologico è stabilito in sessanta giorni. Detta procedure di verifica preventiva consiste nel compimento di determinate indagini e nella redazione dei documenti integrativi del progetto di fattibilità.
L’art. 205 del Codice disciplina l’accordo bonario per i lavori. In particolare, oltre alle riserve sui documenti contabili, specifica anche che “non possono essere oggetto di riserva gli aspetti progettuali che sono stati oggetto di verifica ai sensi dell'articolo 26”. Il citato art. 205 del Codice disciplina, in sintesi, la procedura di accordo bonario (al fine di non arrivare ad un contenzioso in sede giudiziale tra le parti coinvolte) per i lavori affidati da amministrazioni aggiudicatrici ed enti aggiudicatori, ovvero dai concessionari, qualora, in seguito all'iscrizione di riserve sui documenti contabili, l'importo economico dell'opera possa variare tra il 5 ed il 15 per cento dell'importo contrattuale. Tale normativa è applicabile anche agli appalti di servizi e forniture in base a quanto previsto dall’art. 206 del Codice.
Nell’art. 26 del Codice dei contratti pubblici, in cui si disciplina la verifica preventiva della progettazione, al comma 1, si prevede che la stazione appaltante, nei contratti relativi ai lavori, verifica la rispondenza degli elaborati progettuali ai documenti di cui all'articolo 23 sulla progettazione, nonché la loro conformità alla normativa vigente. In particolare, il comma 6, lettera b), individua tra i soggetti che possono svolgere l’attività di verifica, per i lavori di importo inferiore a venti milioni di euro e fino alla soglia di rilevanza europea di cui all'art. 35, oltre che gli uffici tecnici delle stazioni appaltanti ove il progetto sia stato redatto da progettisti esterni, anche le stesse stazioni appaltanti (dotate di un sistema interno di controllo di qualità ove il progetto sia stato redatto da progettisti interni), per effetto della modifica introdotta dall’art. 1, comma 20, lettera c) del D.L. 32/2019.
Il n. 8) della lettera a) estende fino all’anno 2023 la disposizione, contenuta nel comma 15 dell’art. 1 del D.L. 32/2019, come integrata dall’art. 42, comma 1 lettere a), b) e c) del D.L. 76/2020, che disciplina - per gli interventi ricompresi tra le infrastrutture strategiche, di cui all'art. 216, comma 1-bis, del Codice dei contratti pubblici – l’approvazione delle varianti da apportare al progetto definitivo, approvato dal CIPE, sia in sede di redazione del progetto esecutivo sia in fase di realizzazione delle opere.
In origine, la norma oggetto della proroga in esame era applicabile solo per gli anni 2019 e 2020. Successivamente, è stata estesa anche agli anni 2021 e 2022 dall’art. 42, comma 1 lettera a) del D.L. 76/2020.
In particolare, la norma oggetto di proroga prevede l’approvazione delle citate varianti al progetto definitivo, esclusivamente, da parte del soggetto aggiudicatore, anche ai fini della localizzazione e, ove occorrente, previa convocazione da parte di quest'ultimo della Conferenza di servizi, qualora non superino del 50 per cento il valore del progetto approvato; in caso contrario, tali varianti sono approvate dal CIPE. In caso di approvazione da parte del soggetto aggiudicatore, il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili informa il CIPE.
Il Codice dei contratti pubblici ha abrogato la disciplina speciale (che era contenuta nel capo IV del titolo III della parte II dell'abrogato decreto legislativo n. 163 del 2006) con cui sono state programmate, progettate e realizzate le infrastrutture strategiche dal 2001 (l'abrogazione, in particolare, ha riguardato i commi da 1 a 5 della legge n. 443/2001, cd. "legge obiettivo"). Nel contempo, è stata introdotta una nuova disciplina per la programmazione e la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese, che dovrà essere definita nel Documento pluriennale di pianificazione (DPP) che peraltro allo stato non risulta ancora adottato. In sintesi, la disciplina delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari si basa sull'adozione di due strumenti di pianificazione e programmazione: il piano generale dei trasporti e della logistica (PGTL), che contiene le linee strategiche delle politiche della mobilità delle persone e delle merci nonché dello sviluppo infrastrutturale del Paese; il documento pluriennale di pianificazione (DPP), che contiene l'elenco degli interventi relativi al settore dei trasporti e della logistica la cui progettazione di fattibilità è valutata meritevole di finanziamento, da realizzarsi in coerenza con il piano generale dei trasporti e della logistica.
In base al disposto del comma 1-bis dell’art. 216 del Codice, i progetti relativi agli interventi ricompresi tra le infrastrutture strategiche, già inseriti negli strumenti di programmazione approvati e per i quali la procedura di VIA sia già stata avviata alla data di entrata in vigore del Codice (vale a dire il 19 aprile 2016), sono approvati secondo la disciplina previgente il D.Lgs. 50/2016, cioè il D.Lgs. 163/2006.
In tema di monitoraggio delle infrastrutture strategiche e prioritarie si veda l’ultimo “Rapporto infrastrutture strategiche 2021”, pubblicato dalla Camera dei deputati, anche con riferimento (v. cap. 1) ai profili problematici della disciplina normativa in materia di programmazione delle infrastrutture strategiche e prioritarie a seguito delle stratificazioni succedutesi nel tempo, nonché il connesso Sistema Informativo legge opere Strategiche (SILOS), anch’esso disponibile sul sito web della Camera dei deputati, che contiene una tabella generale degli interventi e 200 schede riguardanti le opere infrastrutturali deliberate dal CIPE e le tratte ferroviarie Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina.
Il n. 9) della lettera a) proroga dal 31 dicembre 2021 (termine così determinato dall'art. 13, comma 2, lett. c), del D.L. 183/2020, e originariamente fissato al 31 dicembre 2020 dal D.L. 32/2019) al 31 dicembre 2023, le sospensioni previste dal secondo periodo del comma 18 dell’art. 1 del D.L. 32/2019, nelle more di una complessiva revisione del Codice dei contratti pubblici, riguardanti:
§ l’obbligo di indicazione della terna di subappaltatori in sede di gara per gli affidamenti di appalti pubblici e concessioni, previsto, rispettivamente, dal comma 6 dell'art. 105 (appalti di lavori, servizi e forniture pubbliche) e dal terzo periodo del comma 2 dell'art. 174 (appalti di concessioni pubbliche);
§ le verifiche in sede di gara volte alla esclusione di un operatore economico dalla partecipazione a una procedura d'appalto o concessione, in base ai motivi di esclusione previsti all'art. 80 del Codice, anche riferite al suo subappaltatore.
Al Senato la disciplina del subappalto è oggetto di modifiche anche da parte dell’art. 8 del disegno di legge europea 2019-2020 (A.S.2169-A), già approvato dalla Camera. In particolare, l’art. 8 novella alcuni articoli del Codice dei contratti pubblici, al fine di conformare l’ordinamento italiano a quanto indicato nella procedura di infrazione europea n. 2018/2273 (per un esame delle modifiche proposte si rinvia al relativo dossier).
Si evidenzia, inoltre, che l’art. 1, comma 18, primo periodo, del D.L. 32/2019, che ha previsto l’innalzamento del limite del subappalto dal 30 al 40 per cento fino al 30 giugno 2021, risulta abrogato dall’art. 49 del decreto-legge in esame, alla cui scheda di lettura si rinvia anche per le altre modifiche in tema di subappalto ivi previste.
In merito alla normativa che viene richiamata dalla norma in esame, si ricorda che il comma 6 dell’art. 105 del Codice prevede, per gli appalti pubblici (lavori servizi e forniture) di valore pari o superiore alle soglie di rilevanza europea, nonché per gli appalti che, pur essendo di valore inferiore alle soglie, riguardano specifiche attività individuate dalla normativa italiana come particolarmente esposte al rischio d’infiltrazione mafiosa, l’obbligo per gli operatori di indicare nelle loro offerte una terna di subappaltatori.
L’art. 174, che disciplina il subappalto nelle concessioni pubbliche, al comma 2, terzo periodo, prevede che in sede di offerta gli operatori economici, che non siano microimprese, piccole e medie imprese, per le concessioni di lavori, servizi e forniture di importo pari o superiore alle soglie europea, indichino una terna di nominativi di sub-appaltatori nei seguenti casi: a) concessione di lavori, servizi e forniture per i quali non sia necessaria una particolare specializzazione; b) concessione di lavori, servizi e forniture per i quali risulti possibile reperire sul mercato una terna di nominativi di subappaltatori da indicare, atteso l'elevato numero di operatori che svolgono dette prestazione.
Si ricorda infine che in base all’art. 80, commi 1 e 5, del Codice, l’operatore economico può essere escluso in sede di verifica di gara anche con riferimento al suo subappaltatore per una condanna con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena per determinati reati e risulta altresì prevista l’esclusione, anche riferita a un suo subappaltatore, nei casi di gravi infrazioni alle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, fallimento o in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo, dubbi adeguatamente dimostrati da parte della stazione appaltante sulla sua integrità o affidabilità.
L'articolo 53 prevede alcune semplificazioni con riguardo agli acquisiti dei beni e dei servizi informatici strumentali alla realizzazione del PNRR al fine di assicurare che gli acquisti di tali beni e servizi possa avvenire in maniera rapida ed efficace.
In particolare, il comma 1 prevede il ricorso al solo affidamento diretto per tutti gli appalti volti all'approvvigionamento di tali beni e servizi fino al raggiungimento della soglia comunitaria.
Il ricorso a tale procedura è inoltre sempre ammesso anche qualora ricorra la rapida obsolescenza tecnologica delle soluzioni disponibili tale da non consentire il ricorso ad altra procedura di affidamento.
Il comma 2, stabilisce, sempre a fini di semplificazione e accelerazione, che le amministrazioni che debbono procedere con la fornitura dei relativi beni e servizi informatici, possano stipulare immediatamente il relativo contratto, previa acquisizione di un’autocertificazione dell’operatore economico aggiudicatario attestante il possesso dei requisiti.
I commi 3 e 4, al fine di consentire al Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri di coordinare gli acquisti ICT strettamente finalizzati alla realizzazione del PNRR, garantendo il rispetto del cronoprogramma dei singoli progetti, nonché la coerenza tecnologica e infrastrutturale dei progetti di trasformazione digitale, attribuisce al Dipartimento stesso la possibilità di rendere pareri obbligatori e vincolanti sugli elementi essenziali delle procedure di affidamento, potendo indirizzare le amministrazioni aggiudicatrici con prescrizioni riguardanti l’oggetto, le clausole principali, i tempi e le modalità di acquisto.
Il comma 5 reca alcune modifiche al codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
In particolare, si prevede che tutte le informazioni che costituiscono gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione, alla scelta del contraente, all’aggiudicazione e all’esecuzione di lavori, opere, servizi e forniture relativi all’affidamento di appalti pubblici di servizi, forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici di progettazione, di concorsi di idee e di concessioni, compresi quelli tra enti nell'ambito del settore pubblico sono gestite e trasmesse tempestivamente alla Banca Dati Nazionale dei Contratti pubblici dell’ANAC attraverso le piattaforme telematiche ad essa interconnesse.
L’ANAC garantisce, attraverso la Banca Dati Nazionale dei Contratti pubblici, la pubblicazione dei dati ricevuti ad eccezione di quelli che riguardano contratti secretati.
Si prevede, inoltre, che l'ANAC individui, con proprio provvedimento, sentiti il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e l’AGID, i dati concernenti la partecipazione alle gare e il loro esito, in relazione ai quali è obbligatoria la verifica attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici, i termini e le regole tecniche per l’acquisizione, l’aggiornamento e la consultazione dei predetti dati nonché i criteri e le modalità relative all’accesso e al funzionamento della banca dati.
Si stabilisce, inoltre, che nelle procedure di aggiudicazione di contratti di appalti o di concessioni, i lavori della commissione giudicatrice debbano essere svolti di regola a distanza con procedure telematiche idonee a salvaguardare la riservatezza delle comunicazioni.
Il comma in questione interviene, inoltre, sulla disciplina del fascicolo virtuale dell'operatore economico, istituito presso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici.
Viene qui precisato che in tale fascicolo virtuale debbono essere presenti i dati necessari alla verifica dell’assenza di motivi di esclusione, l’attestazione SOA per i soggetti esecutori di lavori pubblici, nonché i dati e i documenti relativi ai criteri di selezione che l’operatore economico è tenuto a caricare.
Il fascicolo virtuale dell’operatore economico è utilizzato per la partecipazione alle singole gare, fermo restando che i dati e documenti contenuti nel fascicolo virtuale, nei termini di efficacia di ciascuno di essi, possono essere utilizzati anche per gare diverse.
Il comma 6, infine, prevede alcune abrogazioni che tengono conto delle novità introdotte con l'articolo in esame.
L'articolo 54 dispone che si applichi agli interventi di ricostruzione relativi al sisma del 2009 in Abruzzo la disciplina sull'Anagrafe antimafia degli esecutori, prevista per gli interventi di ricostruzione relativi al sisma che ha interessato le regioni dell'Italia centrale nel 2016.
Il comma 1 dell'articolo 54 stabilisce che l'Anagrafe antimafia degli esecutori - disciplinata dall'articolo 30, comma 6, del decreto-legge n. 189 del 2016 (come convertito dalla legge n. 229 del 2016) - operi anche per gli interventi di ricostruzione relativi al sisma che ha colpito la regione Abruzzo nel mese di aprile del 2009, estendendo in tal modo la disciplina su analoga materia prevista in relazione al sisma che, nel 2016, ha colpito i territori delle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. La disposizione si applica a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in esame.
Si prevede che gli operatori economici interessati, a qualunque titolo, agli interventi di ricostruzione a seguito del sisma in Abruzzo del 2009, debbano essere iscritti a tale Anagrafe.
L'art. 30, comma 6, del decreto-legge n. 189 del 2016, prevede che gli operatori economici interessati a partecipare, a qualunque titolo e per qualsiasi attività, agli interventi di ricostruzione, pubblica e privata, nei Comuni interessati dagli eventi sismici del 2016, devono essere iscritti, a domanda, in un apposito elenco, denominato Anagrafe antimafia degli esecutori. Ai fini dell'iscrizione è necessario che le verifiche di cui agli articoli 90 e seguenti del decreto legislativo n. 159 del 2011 ("Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché' nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia"), eseguite ai sensi del comma 2 anche per qualsiasi importo o valore del contratto, subappalto o subcontratto, si siano concluse con esito liberatorio. Tutti gli operatori economici interessati sono comunque ammessi a partecipare alle procedure di affidamento per gli interventi di ricostruzione pubblica, previa dimostrazione o esibizione di apposita dichiarazione sostitutiva dalla quale risulti la presentazione della domanda di iscrizione all'Anagrafe. Resta fermo il possesso degli altri requisiti previsti dal Codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, dal bando di gara o dalla lettera di invito.
Il comma 1 del medesimo art. 30, istituisce nell'ambito del Ministero dell'interno, una apposita Struttura di missione, ai fini dello svolgimento, in forma integrata e coordinata, di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e al contrasto delle infiltrazioni della criminalità organizzata nell'affidamento e nell'esecuzione dei contratti pubblici e di quelli privati che fruiscono di contribuzione pubblica, aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture, connessi agli interventi per la ricostruzione nei Comuni colpiti dal sisma del 2016. Si stabilisce che, qualora al momento dell'aggiudicazione disposta l'operatore economico non risulti ancora iscritto all'Anagrafe, il Commissario straordinario comunichi tempestivamente alla Struttura la graduatoria dei concorrenti, affinché vengano attivate le verifiche finalizzate al rilascio dell'informazione antimafia (di cui al comma 2) con priorità rispetto alle richieste di iscrizione pervenute. A tal fine, le linee guida (previste al comma 3) dovranno prevedere procedure rafforzate che consentano alla Struttura di svolgere le verifiche in tempi celeri. A tale riguardo, si veda, per le linee guida, la Deliberazione 1° dicembre 2016, n. 72/2016 e la Deliberazione 3 marzo 2017, n. 26/2017.
Sono abrogati i commi 1, 2 e 4 dell'articolo 16 del decreto-legge n. 39 del 2009 (come convertito dalla legge n. 77 del 2009). Tali commi recavano specifiche disposizioni per la prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata negli interventi per l'emergenza e la ricostruzione nella regione Abruzzo.
L'abrogato articolo 16, comma 1, demandava al Prefetto de L'Aquila il coordinamento e l'unità di indirizzo di tutte le attività finalizzate alla prevenzione delle infiltrazioni della criminalità organizzata nell'affidamento ed esecuzione di contratti pubblici, nonché nelle erogazioni e concessioni di provvidenze pubbliche connessi agli interventi per l'emergenza e la ricostruzione. A tal fine, ai sensi del comma 2, il Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere - costituito ai sensi dell’art. 180, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006 - veniva posto a immediato e diretto supporto del Prefetto de L'Aquila, attraverso una Sezione specializzata istituita presso la Prefettura, quale raccordo operativo tra gli uffici già esistenti, non configurabile come articolazione organizzativa di livello dirigenziale. In base al comma 4, al predetto Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere era demandato il compito di definire linee guida per i controlli antimafia sui contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi e forniture anche in deroga a quanto previsto dal regolamento sulle certificazioni antimafia di cui al d.P.R. n. 252 del 1998, nonché eventuali subappalti e subcontratti derivanti dal contratto pubblico.
Il comma 2 abroga l'art. 2-bis, comma 33, del decreto-legge n. 148 del 2017 (come convertito dalla legge n. 172 del 2017). Quest'ultimo recava l’istituzione di una sezione speciale dell’Anagrafe antimafia degli esecutori, tenuta dalla Struttura di missione istituita nell’ambito del Ministero dell’Interno, di cui all'articolo 30, comma 6, del decreto-legge n. 189 del 2016. In tale sezione speciale confluiva l'elenco degli operatori economici interessati all'esecuzione degli interventi di ricostruzione.
L’articolo 67-quater, comma 9, del decreto-legge n. 83 del 2012, aveva precedentemente istituito, al fine di garantire la massima trasparenza e tracciabilità nell'attività di riparazione e di ricostruzione degli edifici danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009, il citato elenco degli operatori economici interessati all'esecuzione degli interventi di ricostruzione. Gli Uffici speciali di cui al comma 2 dell'articolo 67-ter del medesimo decreto n. 83 fissano i criteri generali e i requisiti di affidabilità tecnica per l'iscrizione volontaria nell'elenco. L'iscrizione nell'elenco è, comunque, subordinata al possesso dei requisiti di cui alle indicate disposizioni del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture e alle verifiche antimafia effettuate dalle prefetture-uffici territoriali del Governo competenti. Gli aggiornamenti periodici delle verifiche sono comunicati dalle prefetture-uffici territoriali del Governo agli Uffici speciali ai fini della cancellazione degli operatori economici dall'elenco. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono stabiliti procedure anche semplificate per il riconoscimento dei contributi alla ricostruzione privata, ulteriori requisiti minimi di capacità e di qualificazione dei professionisti e delle imprese che progettano ed eseguono i lavori di ricostruzione, sanzioni per il mancato rispetto dei tempi di esecuzione, nonché prescrizioni a tutela delle condizioni alloggiative e di lavoro del personale impiegato nei cantieri della ricostruzione.
L'articolo 55, comma 1, lettera a) intende garantire una maggiore celerità nell’attuazione e nell’esecuzione degli interventi di edilizia scolastica nonché delle azioni e misure finanziate a favore delle istituzioni scolastiche per la realizzazione dei progetti inseriti nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
In particolare, per quanto riguarda il comma 1, lettera a), n. 1 si prevede che il Ministero dell’istruzione, al fine di garantire una rapida attuazione e l’organicità degli interventi, predisponga apposite linee guida tecniche suddivise in base alle principali tipologie di interventi autorizzati, esplicative delle regole di monitoraggio e delle tempistiche definite dai regolamenti europei in materia, e con le stesse definisca anche i termini improrogabili, rispettivamente, per la progettazione, per l’affidamento, per l’esecuzione e per il collaudo dei lavori, in coerenza con i target e gli obiettivi definiti nell’ambito del PNRR.
Lo stesso comma 1, alla lettera a), al n. 3 prevede, altresì, la proroga al 31 dicembre 2026 dei poteri commissariali in capo ai Sindaci e ai Presidenti di provincia e delle città metropolitane in ambito di edilizia scolastica.
A tale riguardo si ricorda che la norma in questione era stata già oggetto di proroga al 31 dicembre 2021, a seguito dell'approvazione della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (articolo 1, comma 812).
Da ultimo, il comma 1, lettera a), n. 5, prevede – sempre con riferimento agli interventi di edilizia scolastica autorizzati nell’ambito del PNRR – la riduzione alla metà dei termini per il rilascio dell’autorizzazione delle Soprintendenze in caso di edifici vincolati e il ricorso all’istituto della conferenza di servizi per acquisire il relativo atto autorizzativo.
La disposizione in questione, infine, riduce a trenta giorni il termine per il rilascio del parere del soprintendente in caso di autorizzazioni paesaggistiche.
L'articolo 55, comma 1, lettera a), n. 4) consente agli enti locali beneficiari dei finanziamenti a valere sul PNRR, che si trovino in esercizio provvisorio e che non hanno quindi approvato il bilancio di previsione, di poter procedere all’iscrizione delle risorse derivanti dai citati finanziamenti in bilancio per le annualità dal 2021 al 2026, in deroga a quanto previsto dalle disposizioni contabili in materia.
Nel dettaglio, l'articolo 55, comma 1, lettera a), n. 4), prevede che, al fine di accelerare l'esecuzione degli interventi in materia di istruzione ricompresi nel PNRR e garantirne l'organicità, per gli interventi di nuova costruzione, riqualificazione e messa in sicurezza degli edifici pubblici adibiti ad uso scolastico ed educativo da realizzare nell'ambito del PNRR, gli enti locali che si trovano in esercizio provvisorio di bilancio sono autorizzati, per le annualità dal 2021 al 2026, ad iscrivere in bilancio i relativi finanziamenti concessi per l'edilizia scolastica nell'ambito del PNRR mediante apposita variazione, in deroga a quanto previsto dall'articolo 163 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Testo unico degli enti locali - TUEL) e dall'allegato 4/2 al decreto legislativo n. 118 del 2011.
Si rammenta che l'articolo 163 (Esercizio provvisorio e gestione provvisoria) del TUEL prevede che, se il bilancio di previsione non è approvato dal Consiglio entro il 31 dicembre dell'anno precedente, la gestione finanziaria dell'ente si svolge nel rispetto dei principi applicati della contabilità finanziaria riguardanti l'esercizio provvisorio o la gestione provvisoria. Nel corso dell'esercizio provvisorio o della gestione provvisoria, gli enti gestiscono gli stanziamenti di competenza previsti nell'ultimo bilancio approvato per l'esercizio cui si riferisce la gestione o l'esercizio provvisorio, ed effettuano i pagamenti entro i limiti determinati dalla somma dei residui al 31 dicembre dell'anno precedente e degli stanziamenti di competenza al netto del fondo pluriennale vincolato (comma 1).
Nel caso in cui il bilancio di esercizio non sia approvato entro il 31 dicembre e non sia stato autorizzato l'esercizio provvisorio, o il bilancio non sia stato approvato entro i termini previsti ai sensi del comma 3, è consentita esclusivamente una gestione provvisoria nei limiti dei corrispondenti stanziamenti di spesa dell'ultimo bilancio approvato per l'esercizio cui si riferisce la gestione provvisoria. Nel corso della gestione provvisoria l'ente può assumere solo obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi, quelle tassativamente regolate dalla legge e quelle necessarie ad evitare che siano arrecati danni patrimoniali certi e gravi all'ente. Nel corso della gestione provvisoria l'ente può disporre pagamenti solo per l'assolvimento delle obbligazioni già assunte, delle obbligazioni derivanti da provvedimenti giurisdizionali esecutivi e di obblighi speciali tassativamente regolati dalla legge, per le spese di personale, di residui passivi, di rate di mutuo, di canoni, imposte e tasse, ed, in particolare, per le sole operazioni necessarie ad evitare che siano arrecati danni patrimoniali certi e gravi all'ente (comma 2).
L'esercizio provvisorio è autorizzato con legge o con decreto del Ministro dell'interno che, ai sensi di quanto previsto dall'art. 151, primo comma, differisce il termine di approvazione del bilancio, d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomia locale, in presenza di motivate esigenze. Nel corso dell'esercizio provvisorio non è consentito il ricorso all'indebitamento e gli enti possono impegnare solo spese correnti, le eventuali spese correlate riguardanti le partite di giro, lavori pubblici di somma urgenza o altri interventi di somma urgenza. Nel corso dell'esercizio provvisorio è consentito il ricorso all'anticipazione di tesoreria di cui all'art. 222 (comma 3).
Nel corso dell'esercizio provvisorio, gli enti possono impegnare mensilmente, unitamente alla quota dei dodicesimi non utilizzata nei mesi precedenti, per ciascun programma, le spese di cui al comma 3, per importi non superiori ad un dodicesimo degli stanziamenti del secondo esercizio del bilancio di previsione deliberato l'anno precedente, ridotti delle somme già impegnate negli esercizi precedenti e dell'importo accantonato al fondo pluriennale vincolato, con l'esclusione delle spese:
a) tassativamente regolate dalla legge;
b) non suscettibili di pagamento frazionato in dodicesimi;
c) a carattere continuativo necessarie per garantire il mantenimento del livello qualitativo e quantitativo dei servizi esistenti, impegnate a seguito della scadenza dei relativi contratti (comma 5).
Nel corso dell'esercizio provvisorio, sono consentite le variazioni di bilancio previste dall'art. 187, comma 3-quinquies, quelle riguardanti le variazioni del fondo pluriennale vincolato, quelle necessarie alla reimputazione agli esercizi in cui sono esigibili, di obbligazioni riguardanti entrate vincolate già assunte, e delle spese correlate, nei casi in cui anche la spesa è oggetto di reimputazione l'eventuale aggiornamento delle spese già impegnate. Tali variazioni rilevano solo ai fini della gestione dei dodicesimi. (comma 7).
Si rammenta altresì che l'allegato 4/2 decreto legislativo n. 118 del 2011 riguarda il principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria. Nella relazione illustrativa di accompagnamento al provvedimento, il Governo chiarisce che in assenza di deroghe ai principi contabili, le risorse concesse non potrebbero essere utilizzate se non con l’approvazione dello strumento contabile.
L'articolo 55, comma 1, lettera b), n. 1) prevede che le istituzioni scolastiche provvedono agli acquisti per le azioni inserite nell’ambito del PNRR mediante ricorso agli strumenti di cui all’articolo 1, commi 449 e 450, della legge finanziaria 2007. Laddove ciò non consenta di rispettare le tempistiche e le condizioni poste dal Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021, le istituzioni scolastiche possono procedere autonomamente all’acquisto dei beni e servizi necessari secondo le disposizioni di semplificazione ed accelerazione degli acquisiti previste dalle precedenti disposizioni del provvedimento.
Nel dettaglio, l'articolo 55, comma 1, lettera b), n. 1), prevede che, al fine di accelerare l'esecuzione degli interventi in materia di istruzione ricompresi nel PNRR e garantirne l'organicità, per le misure relative alla transizione digitale delle scuole, al contrasto alla dispersione scolastica e alla formazione del personale scolastico da realizzare nell'ambito del PNRR, al fine di rispettare le tempistiche e le condizioni poste dal Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021, le istituzioni scolastiche, qualora non possano far ricorso agli strumenti di cui all'articolo 1, commi 449 e 450, della legge finanziaria 2007 (legge n. 296 del 2006), possono procedere anche in deroga alla citata normativa nel rispetto delle disposizioni del presente titolo.
Il regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021 istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza[44].
Si rammenta altresì che:
- il comma 449 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007 citato riguarda l’obbligo di approvvigionamento tramite l’utilizzo delle convenzioni-quadro per tutte le amministrazioni statali centrali e periferiche, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie;
- il comma 450 del medesimo articolo riguarda l’obbligo di ricorso al Mercato elettronico della pubblica amministrazione – MEPA per gli acquisti di beni e servizi di importo pari o superiore a 5.000 euro e al di sotto della soglia di rilievo comunitario. Tale disposizione, menzionando l'obbligo per le amministrazioni statali di ricorrere al mercato elettronico della pubblica amministrazione, ne esclude l’applicazione per le "scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative e le istituzioni universitarie", per gli acquisti di beni e servizi di importo pari o superiore a 5.000 euro e al di sotto della soglia di rilievo comunitario, senza alcuna precisazione in merito alla tipologia di acquisti effettuati. In particolare, la disposizione stabilisce che per gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado, le istituzioni educative, tenendo conto delle rispettive specificità, sono definite, con decreto del MIUR (ora Ministero dell'istruzione - MI), linee guida indirizzate alla razionalizzazione e al coordinamento degli acquisti di beni e servizi omogenei per natura merceologica tra più istituzioni.
Il MIUR, a dicembre 2018, ha adottato le Istruzioni di carattere generale relative all’applicazione del codice dei contratti pubblici, in cui già si prevede la possibilità per le scuole, per gli acquisti di importo inferiore alla soglia di rilievo comunitario, di ricorrere al MEPA.
Nella nota n. 562 del 28 marzo 2020 sono state fornite alle scuole le indicazioni operative per le modalità di acquisto.
I principali strumenti di acquisto del Programma di razionalizzazione degli acquisti nella PA di Consip, a disposizione delle Pubbliche Amministrazioni, sono:
§ Mercato elettronico della Pubblica Amministrazione (Mepa)
§ Sistema dinamico di acquisto della Pubblica Amministrazione (Sdapa)
§ Gare su delega e gare in ASP (Application Service Provider).
Gli strumenti di acquisto sono oggetto di obbligo/facoltà di utilizzo da parte delle PA, con diversi profili dipendenti dalla tipologia di amministrazione (centrale, regionale, territoriale, ente del servizio sanitario nazionale, scuola/università, organismo di diritto pubblico), di acquisto (sopra soglia comunitaria o sotto soglia comunitaria) e dalla categoria merceologica.
Si ricorda che la legge finanziaria per il 2007 (art. 1, comma 457, legge n. 296/2006) ha previsto l’operatività di un sistema a rete, costituito da Consip SpA, che opera come centrale di committenza nazionale, e dalle centrali di committenza regionali, per razionalizzare la spesa della PA e per realizzare sinergie nell’utilizzo degli strumenti informatici per l'acquisto di beni e servizi.
Per quanto riguarda in particolare il Mercato elettronico della pubblica amministrazione – MEPA, si tratta di uno strumento di acquisto e di negoziazione che consente acquisti telematici per importi inferiori alla soglia di rilievo europeo basati su un sistema che attua procedure di scelta del contraente interamente gestite per via telematica (articolo 3, comma 1, lettera bbbb), del d.lgs. 50/2016, recante il Codice dei contratti pubblici)
Le soglie di rilevanza comunitaria sono indicate dall'art. 35 del d.lgs. 50/2016 mentre la disciplina dei contratti sotto soglia è contenuta nell’art. 36 del d.lgs. 50/2016.
Come ricorda il Governo nella relazione illustrativa di accompagnamento, tale disposizione ripropone quanto già previsto dall’articolo 120 del decreto-legge n. 18 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2020, e dall’articolo 21 del decreto-legge n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 176 del 2020.
Al fine di accelerare l'attuazione delle misure relative alla transizione digitale delle scuole, al contrasto alla dispersione scolastica e alla formazione del personale scolastico da realizzare nell'ambito del PNRR, l'articolo 55, comma 1, lettera b), dai numeri 2 a 4 opera semplificazioni della normativa vigente, con riguardo: i) alle competenze in capo ai dirigenti scolastici in ordine alle procedure di affidamento dei relativi interventi; ii) al monitoraggio spettante ai revisori dei conti sull'utilizzo delle risorse assegnate alle istituzioni scolastiche, da esercitare attraverso una piattaforma digitale ad hoc messa a disposizione dal Ministero del istruzione; iii) alla disciplina per l'attuazione degli interventi per il cablaggio e la sistemazione degli spazi delle scuole, attraverso l'attribuzione alle istituzioni scolastiche della facoltà di procedere direttamente alla realizzazione dei suddetti interventi, che altrimenti sarebbero spettati agli enti locali.
La disposizione opera un richiamo alle misure contenute nel PNRR che interessano le citate finalità (transizione digitale delle scuole, contrasto alla dispersione scolastica e formazione del personale scolastico), prevalentemente rientranti nella Missione 4, componente 1 del Piano, nell'ambito della quale sono previste 4 misure, che racchiudono 12 distinti investimenti e 9 linee di riforma.
Al fine di evitare possibili dubbi in sede applicativa, si valuti l'opportunità di precisare se si intende far riferimento a tutte le misure di interesse del settore istruzione contenute nel Piano di competenza delle istituzioni scolastiche (indirettamente interessate dalle finalità richiamate, che presentano peraltro elementi di trasversalità) o se solo alcune di esse debbano essere considerate ai fini della disciplina in esame.
Con specifico riferimento al punto n. 2 della lettera b), esso stabilisce che, per le predette misure da realizzare nell'ambito del PNRR, gli affidamenti per i relativi interventi siano demandati ai dirigenti scolastici che operano anche in deroga alla disciplina di cui all'articolo 45, comma 2, lettera a), del Regolamento recante istruzioni generali sulla gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche di cui al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 28 agosto 2018, n. 129, che limita l'esercizio delle loro competenze nel caso di superamento della soglia di 10.000 euro.
Il dirigente scolastico è comunque tenuto ad operare nel rispetto delle soglie previste dalla legislazione vigente.
La disposizione di cui all'art.45, comma 2, lettera a), del citato DM, oggetto di deroga ai sensi della disposizione in commento, in particolare, affida al Consiglio di istituto il compito di determinare criteri e limiti a cui il dirigente scolastico deve soggiacere per l'affidamento di lavori, servizi e forniture, ai sensi del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 e delle relative previsioni di attuazione, di importo superiore a 10.000,00 euro.
Le disposizioni vigenti in materia di soglie (richiamate dalla disposizione in commento) sono quelle dettate dal decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 ("Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale"), come modificato dal presente decreto. Al riguardo, pare particolarmente rilevante quanto disposto dall'art. 51 del DL in esame, il cui comma 1, al punto 2.1, oltre a confermare l’affidamento diretto per i lavori fino a 150.000 euro, eleva a 139.000 euro il limite per l’affidamento diretto, anche senza consultazione di più operatori economici, delle forniture e servizi (fra cui quelli di ingegneria e architettura) e, al punto 2.2, dispone che la procedura negoziata con 5 operatori possa essere attivata per i lavori oltre i 150.000 euro e fino a un milione e per forniture e servizi (fra cui quelli di ingegneria ed architettura) da 139.000 euro fino alle soglie comunitarie e che, per i lavori di importo pari o superiore ad un milione e fino a soglia comunitaria, l’invito deve riguardare almeno dieci operatori. Si segnala altresì l'art.53 in materia di semplificazioni degli acquisti di beni e servizi informatici strumentali alla realizzazione del PNRR e in materia di procedure di e-procurement e acquisto di beni e servizi informatici (si vedano le relative schede del presente Dossier).
Ai sensi della lettera b), punto 3, i revisori dei conti effettuano il monitoraggio sull'utilizzo delle risorse assegnate alle istituzioni scolastiche, utilizzando una piattaforma digitale ad hoc messa a disposizione dal Ministero dell'istruzione e alla quale è possibile accedere anche tramite il sistema pubblico di identità digitale, secondo indicazioni che saranno fornite a cura del Ministero dell'istruzione, sentito il Ministero dell'economia e delle finanze.
La disposizione precisa che la predetta attività di monitoraggio viene svolta fermi restando i compiti di controllo di regolarità amministrativa e contabile in capo ai revisori dei conti delle istituzioni scolastiche, secondo quanto previsto dal citato Regolamento (di cui al DM n.129/2018).
L'art. 49 del medesimo Regolamento, nello specifico, affida il controllo di regolarità amministrativa e contabile presso ciascuna istituzione scolastica statale a due revisori, individuati tra soggetti in possesso di adeguata professionalità in rappresentanza, l'uno, del Ministero dell'istruzione (allora dell'istruzione, dell'università e della ricerca) e, l'altro, del Ministero dell'economia e delle finanze. L'incarico di revisore, conferito per tutte le istituzioni scolastiche incluse nel medesimo ambito territoriale, ha durata triennale, rinnovabile una sola volta per lo stesso ambito territoriale. Nel caso di dimissioni o revoca dall'incarico di uno dei revisori dei conti, la durata dell'incarico del sostituto non può eccedere quella del revisore in carica.
La lettera b), al punto 4), attribuisce alle istituzioni scolastiche beneficiarie di risorse destinate al cablaggio e alla sistemazione degli spazi delle scuole la facoltà di procedere direttamente all'attuazione dei suddetti interventi, a condizione che non rivestano carattere strutturale e previa comunicazione agli enti locali proprietari degli edifici.
La norma deroga alla normativa vigente ai sensi della quale l'attività di manutenzione ordinaria degli edifici (e non solo, v. subito infra), fra cui rientra quella in oggetto, spetta agli enti locali, ferma restando la possibilità di affidarla alle istituzioni stesse, previa richiesta da parte di queste ultime e messa a disposizione delle necessarie risorse da parte dei medesimi enti locali.
Alla manutenzione ordinaria degli edifici scolastici (così come invero alla manutenzione straordinaria, nonché alla loro realizzazione e fornitura) provvedono, ai sensi dell'art.3 della legge 11 gennaio 1996, n.23, gli enti locali.
Più in dettaglio, il comma 1, lettera a), dell'art.3 demanda ai comuni siffatta competenza con riferimento agli edifici da adibire a sede di scuole materne, elementari e medie. La successiva lettera b) affida alle province (e s'intende anche alle città metropolitane a seguito della loro istituzione ai sensi della legge n.56 del 2014), la richiamata competenza con riguardo agli edifici da destinare a sede di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore, compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, di conservatori di musica, di accademie, di istituti superiori per le industrie artistiche, nonché di convitti e di istituzioni educative statali.
Rientra nell'ambito di competenza degli enti locali anche l'effettuazione delle spese varie di ufficio e per l'arredamento e quelle per le utenze elettriche e telefoniche, per la provvista dell'acqua e del gas, per il riscaldamento e per i relativi impianti (comma 2).
Si prevede inoltre (comma 3) che per "l'allestimento e l'impianto di materiale didattico e scientifico che implichi il rispetto delle norme sulla sicurezza e sull'adeguamento degli impianti", l'ente locale competente sia tenuto a fornire il proprio parere preventivo sull'adeguatezza dei locali ovvero ad assumere formale impegno ad adeguare tali locali contestualmente all'impianto delle attrezzature.
Ciò premesso, agli enti locali è consentito delegare alle singole istituzioni scolastiche, su loro richiesta, funzioni relative alla manutenzione ordinaria degli edifici destinati ad uso scolastico e, conseguentemente, mettere a disposizione le conseguenti risorse finanziarie per far fronte a tali attività (comma 4).
Va peraltro aggiunto che il citato DM n.129/2018, all'art. 39, specifica che le istituzioni scolastiche, anche al difuori dell'ipotesi della delega da parte dell'ente locale, possono in ogni caso procedere all'affidamento di interventi, indifferibili ed urgenti, di piccola manutenzione e riparazione degli edifici scolastici e delle loro pertinenze, nella misura strettamente necessaria a garantire lo svolgimento delle attività didattiche. In tali casi, le istituzioni scolastiche anticipano i fondi necessari all'esecuzione degli interventi, dandone immediata comunicazione all'ente locale competente, ai fini del rimborso.
Infine, alle istituzioni è consentito effettuare anche interventi di manutenzione straordinaria tramite fondi proprie e comunque d'intesa con l'ente proprietario.
L'articolo 56 concerne l'attuazione dei programmi di competenza del Ministero della salute ricompresi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNNR). Il comma 1 riguarda i programmi di edilizia sanitaria che siano ricompresi nel suddetto ambito, ponendo un complesso di deroghe alle disposizioni statali, regionali e degli enti locali in materia. Il comma 2 prevede che ai programmi di competenza del Ministero della salute ricompresi nel suddetto PNNR si applichino gli istituti della programmazione negoziata - intesa istituzionale di programma, accordo di programma quadro, patto territoriale - e la disciplina del contratto istituzionale di sviluppo.
Si ricorda che il PNNR italiano è stato trasmesso il 30 aprile 2021 alla Commissione europea. Esso costituisce un atto necessario ai fini dell'attivazione, in favore del nostro Paese e secondo le indicazioni poste dal medesimo Piano, delle risorse del Dispositivo per la ripresa e la resilienza. Il suddetto Dispositivo è previsto dal regolamento 2021/241/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021, e consente, come noto, l'attribuzione di risorse europee agli Stati membri sia a fondo perduto sia a titolo di prestiti[45].
Ai fini del riconosciuto delle suddette risorse, il relativo intervento deve essere completato entro il 31 agosto 2026[46].
Riguardo ai programmi compresi nel PNNR di competenza del Ministero della salute, si rinvia al dossier dei Servizi Studi di Camera dei deputati e Senato della Repubblica del 27 maggio 2021, "Il Piano nazionale di ripresa e resilienza".
Il comma 1 del presente articolo 56, in primo luogo, prevede, per i programmi di edilizia sanitaria, ricompresi nel PNNR e di competenza del Ministero della salute e che rientrino nell'ambito delle fattispecie oggetto del permesso di costruire, che quest'ultimo sia rilasciato in deroga alla disciplina urbanistica e alle disposizioni di legge statali e regionali in materia di localizzazione delle opere pubbliche. In secondo luogo, si prevede che, qualora i medesimi programmi rientrino nelle fattispecie oggetto della segnalazione certificata di inizio attività, essi possono essere eseguiti in deroga alle disposizioni del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, delle leggi regionali, dei piani regolatori e dei regolamenti edilizi locali, ferme restando il rispetto delle disposizioni, nazionali o regionali, igienico-sanitarie, antisismiche, di prevenzione incendi e di statica degli edifici, di tutela del paesaggio e dei beni culturali, sui vincoli idrogeologici e sul risparmio energetico. Si valuti l'opportunità, considerata la formulazione letterale di quest'ultima deroga, di chiarire se resti fermo l'obbligo della segnalazione certificata di inizio attività nonché di formulare le norme di salvezza summenzionate anche con riferimento alle precedenti deroghe, relative al permesso di costruire.
Si ricorda che il permesso di costruire, ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del citato testo unico, e successive modificazioni, è richiesto per gli interventi di nuova costruzione e per quelli di ristrutturazione urbanistica, nonché per gli interventi di ristrutturazione edilizia ivi individuati alla lettera c)[47]; i commi 2 e 3 dello stesso articolo 10 prevedono che le regioni possano assoggettare ulteriori interventi al permesso di costruire (anziché alla segnalazione certificata di inizio attività). Il comma 1 del presente articolo 56 richiama il solo comma 1 del suddetto articolo 10; si consideri l'opportunità di valutare se occorra richiamare l'intero articolo 10.
Gli interventi che rientrano nell'ambito della segnalazione certificata di inizio attività sono individuati dall'articolo 22 del suddetto testo unico, e successive modificazioni, ferme restando le eventuali disposizioni regionali di ampliamento dell'ambito del permesso di costruire ovvero di estensione (ai sensi del comma 4 del citato articolo 22) dell'ambito della segnalazione certificata di inizio attività ad ulteriori tipologie di intervento.
Si ricorda altresì che, ai sensi dell'articolo 23, comma 01, del medesimo testo unico, per i suddetti interventi di ristrutturazione edilizia, di cui al citato articolo 10, comma 1, lettera c), nonché, in presenza di particolari condizioni, per gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica, si può ricorrere alla segnalazione certificata di inizio attività - in alternativa al permesso di costruire -. Si valuti l'opportunità di chiarire in quale dei due ambiti di deroghe di cui al comma 1 del presente articolo 56 rientrino queste fattispecie, considerato che il citato articolo 23 non viene richiamato.
Si consideri l'opportunità di valutare se le deroghe di cui al comma 1 alle disposizioni regionali richiedano una specificazione, nella presente sede legislativa ovvero nell'ambito di procedimenti in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome, dei relativi motivi o degli ambiti oggetto delle deroghe medesime.
Le norme urbanistiche ed edilizie rientrano[48] nell'ambito della materia "governo del territorio", la quale afferisce alla sfera di attribuzione legislativa concorrente fra Stato e regioni[49].
La consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale ammette che lo Stato possa avocare a sé competenze spettanti alle regioni in un quadro regolamentare in cui sia rispettato il principio di leale collaborazione; tale orientamento è stato espresso per la prima volta con la sentenza n. 303 del 2003[50], che, da un lato, ha riconosciuto la legittimità dell'attrazione allo Stato, per ragioni di sussidiarietà e di adeguatezza, delle funzioni amministrative e delle correlative funzioni legislative e, dall'altro, ha affermato che "l’attrazione allo Stato di funzioni amministrative da regolare con legge non è giustificabile solo invocando l’interesse a un esercizio centralizzato di esse, ma è necessario un procedimento attraverso il quale l’istanza unitaria venga saggiata nella sua reale consistenza e quindi commisurata all’esigenza di coinvolgere i soggetti titolari delle attribuzioni attratte, salvaguardandone la posizione costituzionale".
Il comma 2 prevede che ai programmi di competenza del Ministero della salute ricompresi nel suddetto PNNR si applichino gli istituti della programmazione negoziata - intesa istituzionale di programma, accordo di programma quadro, patto territoriale - e la disciplina del contratto istituzionale di sviluppo.
Si ricorda, in via di sintesi, che il richiamato articolo 2, comma 203, della L. 23 dicembre 1996, n. 662, e successive modificazioni, definisce:
- l'intesa istituzionale di programma come l'accordo tra amministrazione centrale ed amministrazione regionale o delle province autonome, con il quale tali soggetti si impegnano a collaborare, sulla base di una ricognizione programmatica delle risorse finanziarie disponibili, dei soggetti interessati e delle procedure amministrative occorrenti, per la realizzazione di un piano pluriennale di interventi, d'interesse comune o funzionalmente collegati;
- l'accordo di programma quadro come l'accordo, promosso dalle amministrazioni summenzionate, con enti locali ed altri soggetti, pubblici e privati, in attuazione di un'intesa istituzionale di programma, per la definizione di un programma esecutivo di interventi, di interesse comune o funzionalmente collegati;
- il patto territoriale come l'accordo, promosso da enti locali, parti sociali o altri soggetti, pubblici o privati, relativo all'attuazione di un programma di interventi contraddistinto da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale.
Il contratto istituzionale di sviluppo, di cui all'articolo 6 del D.Lgs. 31 maggio 2011, n. 88, e successive modificazioni, e all'articolo 7, comma 1, del D.L. 20 giugno 2017, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2017, n. 123, è stipulato dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro competente con le regioni e le altre amministrazioni competenti per l'attuazione di un complesso di interventi; esso definisce anche il cronoprogramma, le responsabilità dei contraenti, i criteri di valutazione e di monitoraggio e le sanzioni per le eventuali inadempienze.
Le suddette norme sul contratto istituzionale di sviluppo, richiamate dal comma 2 del presente articolo 56, fanno riferimento per la stipulazione del contratto al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro delegato per il Sud e la coesione territoriale, mentre altre norme[51] - non richiamate dal suddetto comma 2 - prevedono la stipulazione di contratti istituzionali di sviluppo da parte dell'Amministrazione competente. Si valuti l'opportunità di chiarire quale sia, ai fini in oggetto di cui al comma 2, il soggetto competente, a livello di amministrazione centrale, alla stipulazione del contratto istituzionale di sviluppo.
Si ricorda altresì che, in base all'articolo 10, comma 3, lettera e), del D.L. 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 ottobre 2013, n. 125, e successive modificazioni, l'Agenzia per la coesione territoriale promuove il ricorso ai contratti istituzionali di sviluppo nonché l'attivazione dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa-Invitalia S.p.A. in qualità di centrale di committenza.
L’articolo 57 modifica alcune procedure sul funzionamento, le procedure e la governance delle ZES, relative a: la composizione del Comitato di indirizzo, la procedura di nomina dei Commissari straordinari per le ZES, cui viene conferita anche la funzione di stazione appaltante; il supporto amministrativo alla loro attività anche attraverso l’Agenzia per la Coesione e l’introduzione dell’autorizzazione unica in ottica di semplificazione; l’incremento del limite al credito d’imposta per gli investimenti nelle ZES, esteso all’acquisto di immobili strumentali agli investimenti.
In dettaglio, il comma 1 dell’art. 57 apporta numerose modifiche al decreto-legge n. 91 del 2017 che ha definito le procedure e le condizioni per istituire Zone economiche speciali (ZES) in alcune aree del Paese, in particolare nelle regioni definite dalla normativa europea come "meno sviluppate" o "in transizione", definendone le procedure e le condizioni.
Le modifiche sono di seguito descritte.
La lettera a) del comma 1, apporta una serie di modifiche all’articolo 4 del DL n. 91/2017, incidendo sulle procedure di gestione delle ZES, in particolare relative alla figura del commissario del governo:
1) si novella il comma 6, secondo periodo, eliminando il rinvio alle procedure previste dall’art. 11 della legge n. 400/1988 per la nomina del commissario straordinario del governo (che presiede il Comitato di indirizzo delle ZES, che è l’organo di amministrazione delle ZES), e introducendo, tra i componenti del Comitato di indirizzo, un rappresentante dei consorzi di sviluppo industriale (di cui all'articolo 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317), ovvero di quelli costituiti ai sensi della vigente legislazione delle regioni a statuto speciale, presenti sul territorio”;
Attualmente la nomina, secondo l’art. 11 della legge n. 400/88, è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, con definizione con il medesimo decreto dei compiti del commissario e delle dotazioni di mezzi e di personale e comunicazione al Parlamento della nomina. Nel decreto è stabilito il trattamento retributivo del Commissario;
2) si introduce il nuovo comma 6-bis che innova le procedure per la nomina del Commissario: la nomina avviene sempre con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ma questo viene adottato su proposta del Ministro per il Sud e la coesione territoriale, d’intesa con il Presidente della Regione interessata.
Si ricorda che con la legge di bilancio per il 2020 (art. 1, co. 316 della legge n. 160 del 2019) è stata modificata la governance delle Zone economiche speciali, stabilendo che il soggetto per l'amministrazione dell'area ZES, ossia il Comitato di indirizzo, sia composto anche da un Commissario straordinario del Governo, che lo presiede. Precedentemente il Comitato di indirizzo era invece presieduto dal Presidente dell'Autorità di sistema portuale.
La lettera a) del comma 1 prevede inoltre che nel caso di mancato perfezionamento dell'intesa nel termine di sessanta giorni dalla formulazione della proposta, il Ministro per il sud e la coesione territoriale sottopone la questione al Consiglio dei ministri che provvede con deliberazione motivata.
Nel decreto è stabilita la misura del compenso spettante al Commissario, previsto dal comma 6, nel rispetto dei limiti di cui all'articolo 13 del decreto-legge n. 66 del 2014 (ossia un compenso massimo di € 240.000,00 lorde).
Si dispone altresì che i Commissari nominati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge cessano, ove non confermati, entro sessanta giorni dalla medesima data.
3) si sostituisce il comma 7-quater prevedendo che l’Agenzia per la Coesione territoriale supporti l’attività dei Commissari e garantisca, sulla base degli orientamenti della cabina di regia delle ZES (prevista dall’articolo 5, comma 1, lettera a-quater), il coordinamento della loro azione nonché la pianificazione nazionale degli interventi nelle ZES, tramite proprio personale amministrativo e tecnico a ciò appositamente destinato, con le risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente. Si prevede inoltre che la medesima Agenzia fornisca supporto ai singoli Commissari, con personale tecnico e amministrativo in numero adeguato alle esigenze operative e dotato di idonee competenze, attraverso specifiche iniziative di rafforzamento amministrativo, al fine di garantire efficacia e operatività dell’azione commissariale, con oneri a carico del Programma operativo complementare al Programma nazionale Governance e capacità istituzionale 2014 – 2020 (che prevede di mettere a disposizione personale tecnico e amministrativo individuato ai sensi dell’art. 7, co. 6 del decreto legislativo n. 165/2001). Il Commissario straordinario si avvale inoltre delle strutture delle amministrazioni centrali o territoriali e di società controllate dallo Stato o dalle regioni.
La relazione tecnica quantifica in 10 unità di personale a livello locale (1 project manager, e 3 unità senior, 3 unità middle e 3 unità junior di presidio) per ciascuna ZES e 8 unità a livello centrale (1 project manager, e 2 unità senior, 2 unità middle e 3 unità junior di presidio). Il costo è coperto ai sensi del comma 3.
Si ricorda che il decreto-legge n.76 del 2020 ha attribuito ulteriori funzioni al commissario straordinario del Governo, per le quali può avvalersi del supporto dell'Agenzia per la Coesione territoriale:
a) assicurare il coordinamento e l'impulso, anche operativo, delle iniziative volte a garantire l'attrazione, l'insediamento e la piena operatività delle attività produttive nell'ambito della ZES, ferme restando le competenze delle amministrazioni centrali e territoriali coinvolte nell'implementazione dei piani di sviluppo strategico, anche nell'ottica di coordinare le specifiche linee di sviluppo dell'area con le prospettive strategiche delle altre ZES istituite e istituende, preservando le opportune specializzazioni di mercato;
b) operare quale referente esterno del Comitato di indirizzo per l'attrazione e l'insediamento degli investimenti produttivi nelle aree ZES;
c) contribuire a individuare, tra le aree identificate all'interno del piano di sviluppo strategico, le aree prioritarie per l'implementazione del piano, e curarne la caratterizzazione necessaria a garantire gli insediamenti produttivi;
d) promuovere la sottoscrizione di appositi protocolli e convenzioni tra le amministrazioni locali e statali coinvolte nell'implementazione del piano strategico, volti a disciplinare procedure semplificate e regimi procedimentali speciali per gli insediamenti produttivi nelle aree ZES.
Il Commissario può anche stipulare, previa autorizzazione del Comitato di indirizzo, accordi o convenzioni quadro con banche e intermediari finanziari.
4) si introduce il nuovo comma 7-quinquies, in base al quale il Commissario straordinario può assumere le funzioni di stazione appaltante fino al 31/12/2026 e operare con poteri straordinari in deroga alle disposizioni di legge in materia di contratti pubblici, ai fini della più efficace e tempestiva realizzazione degli interventi del PNNR relativi alla infrastrutturazione delle ZES; viene fatto salvo il rispetto dei principi di cui agli articoli 30, 34 e 42 del Codice degli appalti (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), nonché delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159), e dei vincoli inderogabili derivanti dall'appartenenza all'Unione europea, ivi inclusi quelli derivanti dalle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE. Si dispone che per l'esercizio di queste funzioni il Commissario straordinario provveda anche a mezzo di ordinanze.
Il comma 2 dell’art. 57 dispone che l'efficacia di tali disposizioni, da attuare con le risorse previste per la realizzazione di progetti compresi nel PNRR, sia subordinata alla definitiva approvazione del PNRR da parte del Consiglio dell'Unione europea
Si ricorda che il decreto-legge n. 135 del 2018 aveva introdotto per le ZES, la riduzione di un terzo dei termini procedurali relativi:
- alla conclusione dei procedimenti amministrativi, previsti dall'articolo 2 della legge n. 241 del 1990, sul procedimento amministrativo e dei procedimenti concernenti le segnalazioni certificate di inizio attività;
- alle procedure di VIA (Valutazione d'Impatto Ambientale), VAS (Valutazione Ambientale Strategica) e AIA (Autorizzazione Ambientale Integrata);
- in materia di AUA (Autorizzazione Unica Ambientale);
- in materia di autorizzazione paesaggistica;
- in materia edilizia;
- in materia di concessioni demaniali portuali;
- l’obbligo della procedura della conferenza di servizi decisoria semplificata, con termini ridotti della metà per la conclusione di procedimenti che coinvolgano altre amministrazioni con poteri di assenso;
- a cura del Comitato di indirizzo della ZES (su impulso del Commissario straordinario del Governo in base al successivo DL 76/20220), il raccordo tra gli sportelli unici istituiti ai sensi della normativa vigente e lo sportello unico di cui alla legge n. 84 del 1994 – SUA (il quale, per tutti i procedimenti amministrativi ed autorizzativi concernenti le attività economiche, ad eccezione di quelli concernenti lo Sportello unico doganale e dei controlli e la sicurezza, svolge funzione unica di front office rispetto ai soggetti deputati ad operare in porto).
5) si aggiunge il nuovo comma 8-bis, in base al quale le Regioni devono adeguare la propria programmazione o la riprogrammazione dei fondi strutturali alle esigenze di funzionamento e sviluppo della ZES, nonché concordare le relative linee strategiche con il Commissario, garantendo la massima sinergia delle risorse materiali e strumentali approntate per la piena realizzazione del piano strategico di sviluppo.
La lettera b) del comma 1 apporta una serie di modifiche all’articolo 5 del DL 91/2017, in materia di termini dei procedimenti e benefici fiscali per le attività nelle ZES. In dettaglio:
1) si modifica la lettera a-bis) del comma 1, introducendo il riferimento al nuovo procedimento di autorizzazione unica (previsto dal nuovo articolo 5-bis ,introdotto dalla successiva lett. c) del comma 1), per quanto riguarda i termini di adozione delle autorizzazioni di competenza di più amministrazioni che devono essere adottati con la conferenza semplificata (articolo 14-bis della legge n. 241 del 1990) ed i cui termini sono ridotti della metà. Si prevede che siano altresì ridotti alla metà i termini di cui all’articolo 17-bis, comma 1, della legge 7 agosto 1990 n. 241, che disciplina il silenzio e l'inerzia nei rapporti tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici;
2) si modifica la lettera a-ter), prevedendo che il Comitato di indirizzo, su impulso del Commissario, assicuri il raccordo tra gli sportelli unici e i nuovi procedimenti di autorizzazione unica introdotti con il nuovo articolo 5-bis;
3) si introduce il nuovo comma 1-bis, in base al quale i termini (di cui al comma 1) previsti per il rilascio di autorizzazioni, approvazioni, intese, concerti, pareri, concessioni, accertamenti di conformità alle prescrizioni delle norme e dei piani urbanistici ed edilizi, nulla osta ed atti di assenso, comunque denominati, degli enti locali, regionali, delle amministrazioni centrali nonché di tutti gli altri competenti enti e agenzie, sono da considerarsi perentori. Decorsi inutilmente tali termini, gli atti si intendono resi in senso favorevole.
4) si sostituisce il comma 2, in materia di benefici fiscali per gli investimenti nelle ZES, aumentando da 50 milioni a 100 milioni di euro il limite massimo, per ciascun progetto di investimento, a cui viene commisurato il credito d’imposta previsto; si estende inoltre il credito d’imposta all’acquisto di immobili strumentali agli investimenti, anche mediante contratti di locazione finanziaria.
La lettera c) aggiunge un nuovo articolo 5-bis al DL n. 91/2017, relativo all’Autorizzazione unica. In dettaglio il nuovo articolo prevede che:
- le opere per la realizzazione di progetti infrastrutturali nelle zone economiche speciali (ZES) da parte di soggetti pubblici e privati siano considerati di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti (comma 1), fatto salvo quanto previsto in materia di autorizzazione di impianti e infrastrutture energetiche ed in materia di opere ed altre attività ricadenti nella competenza territoriale degli aeroporti;
- i progetti all’interno delle ZES siano soggetti ad autorizzazione unica, nel rispetto delle normative vigenti in materia di valutazione di impatto ambientale, che, ove necessario, costituisce variante agli strumenti urbanistici e di pianificazione territoriale, ad eccezione del piano paesaggistico regionale; si tratta dei progetti inerenti alle attività economiche ovvero l’insediamento e l’esercizio di attività industriali, produttive e logistiche, che non soggetti a segnalazione certificata di inizio attività;
- l'autorizzazione unica sia rilasciata dal Commissario straordinario della ZES in esito ad apposita conferenza di servizi, in applicazione dell'articolo 14-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241 ed in essa confluiscono tutti gli atti di autorizzazione, assenso e nulla osta comunque denominati, previsti dalla vigente legislazione in relazione all'opera da eseguire, al progetto da approvare o all'attività da intraprendere; alla conferenza di servizi siano convocate tutte le amministrazioni competenti, anche per la tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali, demaniale, antincendio, della salute dei cittadini e preposte alla disciplina doganale;
- il rilascio dell'autorizzazione unica, sostituisca ogni altra autorizzazione, approvazione e parere comunque denominati e consenta la realizzazione di tutte le opere, prestazioni e attività previste nel progetto;
Si prevede infine che le previsioni di cui ai commi da 2 a 5 del nuovo articolo 5-bis si applichino altresì alle opere e altre attività all'interno delle ZES e ricadenti nella competenza territoriale delle Autorità di sistema portuali e, in tal caso, l'autorizzazione unica prevista di citati commi sia rilasciata dall'Autorità di sistema portuale.
Il comma 3 provvede infine alla copertura degli oneri derivanti dal comma 1, lettera a), numero 3 (attività di supporto ai Commissari da parte dell’Agenzia per la coesione territoriale), pari a 4,4 milioni per il 2023 e 8,8 milioni per ciascuno degli anni dal 2024 al 2034, attraverso corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 1, comma 200, della legge n. 190 del 2014 (Fondo per le esigenze indifferibili).
Alla copertura degli oneri derivanti dal comma 1, lettera b), numero 4, (incremento ed estensione del credito di imposta nelle ZES) che sono valutati in 45,2 milioni per ciascuno degli anni 2021 e 2022, il comma 4 provvede si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC), ciclo di programmazione 2021-2027.
La disciplina delle ZES
Si ricorda che le ZES si possono istituire in regioni con PIL pro capite inferiore al 75% della media europea: in Italia sono le regioni Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia e Campania, mentre sono regioni in transizione (con PIL pro capite tra il 75% e il 90% della media europea) le regioni Sardegna, Abruzzo e Molise.
La Zona economica speciale è definita come un'area geograficamente delimitata e chiaramente identificata, situata entro i confini dello Stato, costituita anche da aree non territorialmente adiacenti, purché presentino un nesso economico funzionale, e che comprenda almeno un'area portuale facente parte della rete globale delle Reti di trasporto transeuropee, definite dal regolamento (UE) n.1315 dell'11 dicembre 2013.
Lo scopo delle Zone economiche speciali è quello di creare condizioni favorevoli in termini economici, finanziari e amministrativi, che consentano lo sviluppo delle imprese già operanti e l'insediamento di nuove imprese. Tali imprese sono tenute al rispetto della normativa nazionale ed europea, nonché alle prescrizioni adottate per il funzionamento della stessa ZES e beneficiano di speciali condizioni. In particolare, le imprese che avviano un programma di attività economiche imprenditoriali o effettuano investimenti incrementali all'interno delle ZES possono usufruire di riduzione dei termini dei procedimenti e di semplificazione degli adempimenti rispetto alla normativa vigente
Per approfondimenti sulle ZES si veda il relativo paragrafo pubblicato sul Portale della documentazione della Camera dei deputati.
Articolo 58
(Semplificazione del processo di attuazione della Strategia Nazionale per le Aree Interne)
L’articolo 58 interviene sul procedimento di attuazione della Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), prevedendo che all’attuazione degli interventi si provveda mediante nuove modalità che saranno individuate da una apposita delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS), anziché mediante lo strumento dell’Accordo di programma quadro, come previsto dalla normativa previgente.
A tal fine l’articolo 58 modifica l’articolo 1, comma 15, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di bilancio per il 2014) il quale, nel disciplinare l'attuazione degli interventi destinati alle aree interne del Paese, prevedeva, nel testo previgente, la cooperazione tra i diversi livelli istituzionali mediante la sottoscrizione di accordi di programma-quadro.
La legge n. 147 del 2013, che regolamenta il contributo delle risorse nazionali alla Strategia definita nell’Accordo di Partenariato 2014-2020, stabilisce che l’attuazione degli interventi venga perseguita mediante la sottoscrizione di Accordi di Programma Quadro, come definiti dall’articolo 2, comma 203, lettera c), della legge n. 662 del 1996, tra le diverse amministrazioni interessate, con il coordinamento del Ministro per la Coesione territoriale che si avvale, a tal fine, dell’Agenzia per la Coesione territoriale.
Secondo quanto riportato nella Relazione illustrativa del decreto-legge in esame (A.C. 3146), a partire dal 2014 e fino al 18 marzo 2021, sono stati sottoscritti 46 Accordi di Programma Quadro (di cui 3 in fase di perfezionamento), mentre ancora 7 sono in condivisione preliminare e 17 in fase di istruttoria; tuttavia, l’estrema complessità della procedura per la sottoscrizione degli Accordi si è rivelata non del tutto adeguata alle finalità assegnate allo strumento, tanto più in considerazione dell’estensione dell’ambito di operatività della Strategia con l’avvio del nuovo periodo di programmazione delle risorse europee e nazionali 2021-2017. Nella Relazione si sottolinea, altresì, il lentissimo avanzamento finanziario nell’utilizzo delle risorse: ad ottobre 2020 i pagamenti erano pari a circa il 5% del totale del costo programmato. Oggi il valore delle risorse destinate ai 46 accordi di programma fin qui sottoscritti è pari a oltre 834 milioni di euro.
L’articolo 58 ha, dunque, lo scopo di modificare il processo di attuazione degli interventi previsti della Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), prevedendo a tal fine una apposita delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS), che definirà le modalità e le forme di cooperazione tra le diverse amministrazioni interessate, da realizzarsi con il coordinamento del Ministro per la Coesione territoriale che si avvale, a tal fine, dell’Agenzia per la Coesione territoriale.
Nelle more di adozione di tale delibera del CIPESS, e comunque non oltre il termine del 31 dicembre 2021, la norma dispone che la cooperazione tra le amministrazioni continuerà ad essere perseguita mediante il ricorso alla sottoscrizione dello strumento dell’Accordo di programma quadro.
La Strategia nazionale per le aree interne del Paese costituisce una delle linee strategiche di intervento dei Fondi strutturali europei del ciclo di programmazione 2014-2020, definite nell’ambito dell’Accordo di Partenariato, e rappresenta una azione diretta al sostegno della competitività territoriale sostenibile, al fine di contrastare, nel medio periodo, il declino demografico che caratterizza talune aree del Paese, definite come quelle aree più lontane dai poli di servizio essenziale primario e avanzato, che corrispondono al 60% della superficie territoriale, al 52% dei Comuni e al 22% della popolazione italiana. La Strategia, che ha lo scopo di creare nuove possibilità di reddito e di assicurare agli abitanti maggiore accessibilità ai servizi essenziali, con riferimento prioritariamente ai servizi di trasporto pubblico locale, di istruzione e socio-sanitari, è sostenuta sia dai fondi europei (FESR, FSE e FEASR), per il cofinanziamento di progetti di sviluppo locale, sia da risorse nazionali.
Per la Strategia Nazionale per le Aree Interne il legislatore ha stanziato risorse nazionali, a partire dall'esercizio 2014, per complessivi 481,2 milioni per il periodo 2015-2023, a valere sulle risorse del Fondo per l'attuazione delle politiche comunitarie (art. 5 della legge n. 187 del 1983, c.d. Fondo IGRUE).
Il processo di selezione delle aree è stato completato nel corso del 2017 e ha interessato 72 aree, composte da 1.060 Comuni, da poco meno di 2 milioni abitanti (dato al 2020) e un territorio di circa 51mila kmq, pari ad un sesto del territorio nazionale. Come illustrato nell’ultima Relazione sugli interventi nelle aree sottoutilizzate, allegata al DEF 2021, al 31 dicembre 2020, le aree interne che hanno definito strategie d’area sono 71, con un totale di investimenti programmati di circa 1,167 miliardi di euro. Lo sforzo, che ha accumunato Amministrazioni centrali, Regioni e comunità locali, ha consentito di approvare, nel corso del 2020, 24 strategie di area (un terzo delle aree interne selezionate), portando a conclusione la fase di sperimentazione definita nell’Accordo di partenariato 2014-2020.
I finanziamenti statali sono stati assegnati dal CIPE con le delibere 28 gennaio 2015, n. 9, 10 agosto 2016, n. 43, 7 agosto 2017, n. 80 e 25 ottobre 2018, n. 52.
Inoltre, con la Delibera CIPE n. 14/2019 sono state assegnate ai Patti per il Sud ulteriori risorse del Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020 in favore delle Regioni, per un importo complessivo pari a 80 milioni di euro destinati all’attuazione di un “Piano straordinario di messa in sicurezza delle strade nei piccoli comuni delle aree interne”. Per tale finalità, a ciascuna Regione del Sud è stato destinato un importo pari a 10 milioni di euro.
L’articolo 59 novella la disciplina relativa alla perequazione infrastrutturale, recata all’articolo 22 della legge n. 42 del 2009 (di delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione), con l'intento di semplificarne le procedure. Nel complesso risulta confermato l'impianto presente nel testo previgente, risultante dalle modifiche introdotte con la legge di bilancio per il 2021 (legge n. 178 del 2020), basato sulla ricognizione della dotazione infrastrutturale del Paese, sull'individuazione del divario tra le diverse aree geografiche del territorio nazionale e sulla conseguente adozione di misure volte ad assorbirlo, attraverso interventi finanziati da un fondo con una dotazione pari a 4,6 miliardi di euro.
L’articolo 59 novella la disciplina relativa alla perequazione infrastrutturale, recata all’articolo 22 della legge n. 42 del 2009 (di delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione), con l'intento di semplificarne le procedure.
Per un raffronto puntuale tra il testo previgente e il testo risultante dalle modifiche introdotte dall’articolo 59 in esame si rinvia al testo a fronte al termine della presente scheda.
Il nuovo comma 1 dell'art.22 della L. n.42/2009 distingue due tipologie di ricognizione infrastrutturale dirette ad assicurare il recupero del divario infrastrutturale tra le diverse aree geografiche del territorio nazionale, anche infra-regionali:
i) una prima tipologia, riguardante le infrastrutture statali (primo periodo), è demandata ad un decreto del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, da adottarsi, entro e non oltre il 30 novembre 2021, sentite le amministrazioni competenti. Nello specifico, con il predetto provvedimento si effettua, limitatamente alle infrastrutture statali, la ricognizione del numero e della classificazione funzionale delle strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche, nonché del numero e dell'estensione, con indicazione della relativa classificazione funzionale, delle infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie, portuali e aeroportuali;
ii) una seconda tipologia di ricognizione, che riguarda le infrastrutture non di competenza statale. A tal fine la disposizione prevede che gli enti territoriali, nonché gli "altri soggetti pubblici e privati" siano tenuti a effettuare la ricognizione, per quanto di rispettiva competenza, entro il 31 ottobre 2021. Le Regioni e le province autonome sono tenute a comunicare gli esiti della ricognizione effettuata dagli enti territoriali (afferenti al medesimo territorio) entro il 31 dicembre 2021.
Ai sensi della presente disposizione gravano obblighi in capo agli enti territoriali e ai "soggetti pubblici e privati competenti". Al riguardo, si valuti l'opportunità di precisare se l'onere ricada in ragione della proprietà dell'infrastruttura o dell'utilizzo della stessa.
Inoltre si valuti l'opportunità di specificare, con riferimento alle ricognizioni in capo ai soggetti diversi dagli enti territoriali e specie con riguardo ai soggetti privati, attraverso quali modalità debba essere assicurato l'adempimento di siffatto obbligo di comunicazione delle ricognizioni.
La disposizione in esame innova la disciplina previgente in cui la ricognizione era posta in capo esclusivamente al Presidente del Consiglio dei ministri e non si distingueva fra la ricognizione delle infrastrutture statali e quella delle altre infrastrutture. A tal fine si aveva riguardo ad uno o più D.P.C.M (e non al decreto del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili), da adottare su proposta dei Ministri competenti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e con il Ministro per il Sud e la coesione territoriale. Nel testo previgente il coinvolgimento degli enti territoriali era limitato alla previsione secondo cui la ricognizione si sarebbe avvalsa dei dati e delle informazioni forniti dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome.
Il termine per l'adozione del provvedimento statale con cui si procede alla ricognizione, ora fissato per il 30 novembre 2021, nel testo previgente era il 30 giugno 2021.
Si segnala inoltre che nel testo previgente del citato art.22:
i) nel novero delle infrastrutture oggetto della ricognizione erano incluse anche le reti idrica, elettrica e digitale, nonché di trasporto e distribuzione del gas (comma 1, lettera a)).
ii) il provvedimento statale avrebbe dovuto altresì definire gli standard di riferimento per la perequazione infrastrutturale in termini di servizi minimi per le predette tipologie di infrastrutture (comma 1, lettera b));
iii) la ricognizione avrebbe dovuto tener conto, in particolare, dei seguenti elementi: estensione delle superfici territoriali; valutazione della rete viaria con particolare riferimento a quella del Mezzogiorno; deficit infrastrutturale e deficit di sviluppo; densità della popolazione e densità delle unità produttive; particolari requisiti delle zone di montagna; carenze della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio; specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione (comma 1-bis);
iv) al Presidente del Consiglio dei ministri (o al Ministro dallo stesso delegato) erano demandati, anche per il tramite della Struttura di missione Investitalia e del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica (DIPE) della Presidenza del Consiglio dei ministri, il coordinamento delle attività propedeutiche all'emanazione dei citati DPCM con cui definire la modalità di effettuazione della ricognizione nonché, in collaborazione con i Ministeri competenti, la definizione degli schemi-tipo per la ricognizione e degli standard di riferimento (comma 1-ter).
Il comma 1-bis dell'art.22 della L. 42/2009, introdotto dall'articolo in esame, demanda ad una delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS):
i) la definizione dei criteri di priorità e le azioni da perseguire per il recupero del divario infrastrutturale risultante dalla richiamata ricognizione. A tal fine la delibera tiene conto: delle carenze della dotazione infrastrutturale sussistenti in ciascun territorio; dell'estensione delle superfici territoriali e della specificità insulare; della densità della popolazione e delle unità produttive.
I parametri da ultimo richiamati erano indicati, nel testo previgente, come criteri sulla base dei quali effettuare la ricognizione. Quanto ai criteri di priorità per l'assegnazione dei finanziamenti, la loro individuazione era demandata ai DPCM senza ulteriore specificazione (v.infra).
Ai sensi dell'art.1-bis del decreto-legge 14 ottobre 2019, n. 111, con l'obiettivo di rafforzare il coordinamento delle politiche pubbliche in materia di sviluppo sostenibile di cui alla risoluzione A/70/L.I adottata dall'Assemblea generale dell'Organizzazione delle nazioni unite il 25 settembre 2015, a decorrere dal 1° gennaio 2021 il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) ha assunto la denominazione di Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS);
ii) l'individuazione dei Ministeri competenti e della quota di finanziamento, con ripartizione annuale, a valere sulle risorse del Fondo perequativo infrastrutturale (disciplinato dal comma 1-ter, v. infra). A tal fine si tiene conto di quanto già previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e dal Piano complementare.
Come noto, il PNRR si inserisce all’interno del programma Next Generation EU (NGEU) elaborato dall’Unione Europea per sostenere lo sviluppo dei Paesi a seguito della crisi pandemica. La principale componente del programma NGEU è il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza, che ha una durata di sei anni (dal 2021 al 2026). Il PNRR presentato dall’Italia si compone di una serie di investimenti e di riforme, cui sono destinate risorse pari a 222,1 miliardi di euro, di cui 191,5 miliardi sono finanziate attraverso il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza e 30,6 miliardi attraverso il Fondo complementare. Quest'ultimo è stato istituito con il decreto legge n.59 del 2021, a valere sullo scostamento pluriennale di bilancio chiesto dal Consiglio dei ministri ed approvato dal Parlamento il 22 aprile scorso. Il totale dei fondi previsti ammonta a di 222,1 miliardi (cui vanno aggiunti 13 miliardi resi disponibili dal Programma React-EU per gli anni 2021-2023).
La richiamata delibera del CIPESS è adottata, entro il 31 marzo 2022, su proposta del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, di concerto con i Ministri per gli affari regionali e le autonomie, dell'economia e delle finanze, e per il Sud e la coesione territoriale, sentiti i Ministri competenti, previa intesa in sede di Conferenza unificata.
Nel testo previgente l'individuazione sia delle infrastrutture necessarie a colmare il deficit di servizi rispetto agli standard di riferimento per la perequazione infrastrutturale, sia dei criteri di priorità per l’assegnazione dei finanziamenti era demandata ad ulteriori DPCM (comma 1-quater dell'art.22 della l.n.42/2009). Siffatti decreti avrebbero dovuto essere adottati entro sei mesi dalla ricognizione della dotazione infrastrutturale, su proposta dei Ministri competenti, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con il Ministro per il Sud e la coesione territoriale e con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in Conferenza unificata.
Il comma 1-ter dell'art.22 della L. 42/2009 disciplina il Fondo perequativo infrastrutturale per il finanziamento delle infrastrutture necessarie ad assorbire il divario infrastrutturale. La disposizione recepisce il contenuto presente nel testo previgente del comma 1-quater del medesimo articolo, introdotto con la legge di bilancio per il 2021. Detto Fondo, istituito presso lo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, ha una dotazione complessiva di 4,6 miliardi di euro per gli anni dal 2022 al 2033, così ripartita: 100 milioni per l’anno 2022, 300 milioni per ciascuno degli anni 2023-2027, 500 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2028-2033.
È altresì confermato che al Fondo non si applica l’articolo 7-bis del decreto-legge n. 243 del 2016[52], che introduce, al fine di favorire il riequilibrio territoriale, un criterio di assegnazione preferenziale di risorse a favore degli interventi nei territori delle regioni del Mezzogiorno.
La disposizione da ultimo richiamata stabilisce che le Amministrazioni centrali dello Stato siano tenute ad assicurare l'obiettivo di destinare agli interventi nelle regioni del Mezzogiorno un volume complessivo annuale di stanziamenti ordinari in conto capitale proporzionale alla popolazione di riferimento (corrispondente, cioè, 34 per cento degli stanziamenti complessivi).
Rispetto al testo previgente, risulta invece innovativo l'ultimo periodo del comma 1-ter, con cui si prevede che il Dipartimento per gli Affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri possa stipulare una apposita convenzione per il supporto tecnico–operativo alle attività di competenza nel limite massimo di 200.000 euro per il 2021.
La convenzione è stipulata ai sensi degli articoli 5 e 192 del Codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n.50.
L’articolo 5 del Codice dei contratti reca i principi comuni in materia di esclusione, dall'ambito di applicazione del codice stesso, di una concessione o di un appalto pubblico aggiudicati (da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore) a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato.
Il comma 1 individua le condizioni che devono essere contestualmente soddisfatte affinché si ricada nella fattispecie di affidamento in house, che, in quanto tale, non rientra nella disciplina del Codice: un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore deve esercitare sulla persona giuridica un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi (lett. a), inteso come "un'influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della persona giuridica controllata", che può essere esercitata da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dal soggetto aggiudicatore; oltre l'80 per cento delle attività della persona giuridica controllata deve essere effettuato nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall'amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall'amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore (lett. b); nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati previste dalla legislazione nazionale, in conformità dei trattati, che non esercitano un'influenza determinante sulla persona giuridica controllata (lett. c).
Ai sensi dell'art.192 del Codice degli appalti, per quanto rileva in questa sede, si prevede che ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuino preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche (comma 2). Inoltre, si dispone in ordine alle forme di pubblicità degli atti connessi all'affidamento degli appalti pubblici e dei contratti di concessione tra enti nell'ambito del settore pubblico, da assicurarsi tramite pubblicazione nel profilo del committente nella sezione Amministrazione trasparente in formato open-data (comma 3).
Il nuovo comma 1-quater dell'art.22 della L.42/2009, introdotto dall'articolo 59 del presente decreto-legge, affida a ciascun Ministero competente, cui sono assegnate risorse del Fondo, il compito di adottare un Piano che individui:
i) gli interventi da realizzare, che non devono essere già oggetto di integrale finanziamento a valere su altri fondi nazionali o comunitari e che devono essere corredati del Codice unico di progetto (art. 11, comma 2-bis, della legge n. 3 del 2003).
Il Codice Unico di Progetto (CUP) è il codice che identifica un progetto d'investimento pubblico ed è lo strumento centrale per il funzionamento del Sistema di Monitoraggio degli Investimenti Pubblici (MIP). Ai sensi del richiamato art.11, comma 2-bis, gli atti amministrativi, adottati dalle Amministrazioni pubbliche, che dispongono un finanziamento o autorizzano l'esecuzione di progetti di investimento pubblico sono nulli in assenza dei corrispondenti codici unici che costituiscono elemento essenziale dell'atto stesso.
ii) l'importo del relativo finanziamento;
iii) i soggetti attuatori, in relazione al tipo e alla localizzazione dell'intervento;
iv) il cronoprogramma della spesa, con indicazione delle risorse annuali necessarie alla realizzazione degli interventi;
v) le modalità di revoca e di eventuale riassegnazione delle risorse in caso di mancato avvio nei termini previsti dell'opera da finanziare.
Il predetto Piano è approvato, entro 30 giorni dalla delibera del CIPESS, con decreto del Ministro competente d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze.
Esso è altresì comunicato alla Conferenza Unificata Stato-Regioni.
Tenuto conto che gli interventi recati nei Piani ministeriali potrebbero incidere anche su ambiti materiali di interesse degli enti territoriali, inclusi quelli in cui è prevista una specifica competenza di Regioni e Province autonome ai sensi del Titolo V, Parte seconda, della Costituzione, si valuti l'opportunità di rafforzare il coinvolgimento della Conferenza unificata in sede di approvazione dei medesimi Piani .
Il comma 1-quinquies conferma i contenuti già presenti nel testo previgente (al comma 1-sexies), ai sensi del quale il monitoraggio della realizzazione degli interventi è effettuato attraverso il sistema di cui al decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 229[53]. A tal fine, si precisa che la classificazione degli interventi dovrà avvenire sotto la voce “Interventi per il recupero del deficit infrastrutturale legge di bilancio 2021”.
Il citato D.lgs. n. 229 contempla specifici obblighi di monitoraggio per le amministrazioni pubbliche e per i soggetti, anche privati, che realizzano opere pubbliche.
Il comma 2 dell’articolo 59, infine, reca la copertura degli oneri in esso recati, quantificati in di 200.000 euro, che sono posti a carico del Fondo per le esigenze indifferibili (di cui all'articolo 1, comma 200, della legge n. 190 del 2014).
Nella scheda di approfondimento che segue si dà conto delle principali novità introdotte con la legge di bilancio per il 2021 rispetto alla versione originaria del testo.
L’articolo 1, comma 815, della legge di bilancio 2021 aveva recentemente riscritto l'art.22 della L.42/2009, che era rimasto a lungo inattuato. Dopo aver dato conto delle novità introdotte con l'articolo in esame, in questa sede si dà conto degli aspetti innovativi introdotti con l'ultima legge di bilancio rispetto alla disciplina originaria.
Il comma 1 dell'art.22, come novellato con la legge di bilancio, demandava, come detto, ad uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di effettuare una ricognizione delle dotazioni infrastrutturali esistenti, mentre nel testo originario veniva attribuito al Ministro dell'economia e delle finanze, "d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia" una "ricognizione degli interventi infrastrutturali", sulla base delle norme vigenti.
Con l'art.1, comma 815, si specifica che la finalità degli interventi perequativi, consistente nel recupero del deficit infrastrutturale tra le diverse aree geografiche del territorio nazionale, riguarda anche infra-regionali. Tale ultimo riferimento ai territori intraregionali, ancorché potenzialmente desumibile dalla disciplina originaria, veniva reso esplicito. La novità (mantenuta anche nel testo riformulato da ultimo dall'art.59 del presente decreto-legge) consiste nello specificare che la perequazione deve essere intesa non come volta a beneficiare esclusivamente le regioni con minore grado di sviluppo infrastrutturale, bensì come diretta a colmare eventuali divari strutturali riguardanti territori anche situati all'interno di regioni che, nelle restanti parti, siano adeguatamente dotate di capitale fisico.
Nel testo originario era disciplinata una fase transitoria (definita agli articoli 20 e 21 della medesima legge n.42/2009) nella quale individuare, sulla base della richiamata ricognizione, interventi perequativi che tengano conto anche della virtuosità degli enti nell'adeguamento al processo di convergenza ai costi o al fabbisogno standard. Siffatti interventi da effettuare nelle aree sottoutilizzate avrebbero dovuto essere individuati nell'allegato infrastrutture al Documento di programmazione economico-finanziaria.
Quanto agli ambiti oggetto della ricognizione, essi erano sostanzialmente confermati rispetto a quelli già previsti: strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche, nonché rete stradale, autostradale, ferroviaria, portuale, aeroportuale[54], idrica, elettrica e digitale e di trasporto e distribuzione del gas.
Risultava invece innovativa la scelta di precisare che la ricognizione si avvale dei dati e delle informazioni forniti dalla Conferenza delle regioni e delle Province autonome.
Ai medesimi DPCM è demandata altresì la definizione degli standard di riferimento per la perequazione infrastrutturale in termini di servizi minimi per le predette tipologie di infrastrutture.
Il comma 1-bis dell'art.22 della legge n.42 del 2009, anch'esso introdotto con la legge di bilancio, riguardava i parametri su cui operare la ricognizione infrastrutturale. Esso riproduceva tendenzialmente i contenuti della disposizione originaria, di cui al comma 1, secondo periodo, dell'art.22 medesimo (venuti meno nel testo ora vigente).
Ai fini della ricognizione, si sarebbe dovuto tener conto, in particolare:
a) dell'estensione delle superfici territoriali;
b) della valutazione della rete viaria con particolare riferimento a quella del Mezzogiorno;
c) del deficit infrastrutturale e del deficit di sviluppo;
d) della densità della popolazione e della densità delle unità produttive;
e) di particolari requisiti delle zone di montagna;
f) delle carenze della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio;
g) della specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione.
Ai sensi del comma 1-ter dell'art.22 della legge n.42/2009, risultante dal comma 815, il coordinamento delle attività propedeutiche all’emanazione dei richiamati DPCM spettava al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro dallo stesso delegato, anche per il tramite della Struttura di missione Investitalia e del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri. Tali aspetti presentavano un carattere innovativo rispetto alla disciplina previgente, così come la previsione secondo cui il Presidente del Consiglio (o il Ministro delegato), in collaborazione con i Ministeri competenti e avvalendosi delle anzidette strutture, era chiamato a definire gli schemi-tipo per la ricognizione e gli standard di riferimento.
Il comma 1-quater dell'art.22 della l.n.42/2009 risultante dalle modifiche introdotte con la legge di bilancio per il 2021, contenente disposizioni precedentemente non previste, demandava ad ulteriori DPCM l'individuazione sia delle infrastrutture necessarie a colmare il deficit di servizi rispetto agli standard di riferimento per la perequazione infrastrutturale, sia dei criteri di priorità per l’assegnazione dei finanziamenti.
Tali decreti avrebbero dovuto essere adottati, entro sei mesi dalla richiamata ricognizione della dotazione infrastrutturale, su proposta dei Ministri competenti, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con il Ministro per il Sud e la coesione territoriale e con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in Conferenza unificata.
Fra i principali elementi di novità introdotte nell'ultima manovra economica, vi è la previsione, come detto confermata anche dall'art.59 del presente decreto-legge, con cui è stato istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, il “Fondo perequativo infrastrutturale” per il finanziamento delle infrastrutture necessarie ad assorbire il divario infrastrutturale, con la dotazione complessiva, pari a 4.600 milioni di euro per gli anni dal 2022 al 2033.
Anche i commi 1-quinquies e comma 1-sexies dell'art.22 della l.n.42/2009, relativi, rispettivamente, alla ripartizione del Fondo perequativo infrastrutturale e al monitoraggio della realizzazione degli interventi presentavano carattere innovativo.
Art. 22 - legge n. 42 del 2009 |
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Testo previgente |
Art. 59 D.L. 77/2021 |
1. Al fine di assicurare il recupero del deficit infrastrutturale tra le diverse aree geografiche del territorio nazionale, anche infra-regionali, entro e non oltre il 30 giugno 2021, con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri competenti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e con il Ministro per il Sud e la coesione territoriale: a) è effettuata la ricognizione delle dotazioni infrastrutturali esistenti riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche, nonché la rete stradale, autostradale, ferroviaria, portuale, aeroportuale, idrica, elettrica e digitale e di trasporto e distribuzione del gas. La ricognizione si avvale dei dati e delle informazioni forniti dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome; b) sono definiti gli standard di riferimento per la perequazione infrastrutturale in termini di servizi minimi per le predette tipologie di infrastrutture.
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1. Al fine di assicurare il recupero del divario infrastrutturale tra le diverse aree geografiche del territorio nazionale, anche infra-regionali, con decreto adottato entro e non oltre il 30 novembre 2021 il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, sentite le amministrazioni competenti, effettua, limitatamente alle infrastrutture statali la ricognizione del numero e della classificazione funzionale delle strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche, nonché del numero e dell'estensione, con indicazione della relativa classificazione funzionale, delle infrastrutture stradali, autostradali, ferroviarie, portuali e aeroportuali. In relazione alle infrastrutture di cui al primo periodo non di competenza statale, la ricognizione è effettuata dagli enti territoriali, nonché dagli altri soggetti pubblici e privati competenti, entro e non oltre la data del 31 ottobre 2021. La ricognizione effettuata dagli enti territoriali è comunicata dalle singole Regioni e dalle Province autonome, entro e non oltre la data del 31 dicembre 2021, al Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri. |
1-bis. La ricognizione di cui al comma 1, lettera a), è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi: a) estensione delle superfici territoriali; b) valutazione della rete viaria con particolare riferimento a quella del Mezzogiorno; c) deficit infrastrutturale e deficit di sviluppo; d) densità della popolazione e densità delle unità produttive; e) particolari requisiti delle zone di montagna; f) carenze della dotazione infrastrutturale esistente in ciascun territorio; g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione. |
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1-ter. Il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro dallo stesso delegato, anche per il tramite della Struttura di missione Investitalia e del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri, coordina le attività propedeutiche all'emanazione dei decreti di cui al comma 1 e, in collaborazione con i Ministeri competenti, definisce gli schemi-tipo per la ricognizione di cui al comma 1, lettera a), e gli standard di riferimento di cui al comma 1, lettera b). |
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1-quater. Entro sei mesi dalla ricognizione di cui al comma 1, lettera a), con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri competenti, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con il Ministro per il Sud e la coesione territoriale e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono individuate le infrastrutture necessarie a colmare il deficit di servizi rispetto agli standard di riferimento per la perequazione infrastrutturale, nonché stabiliti i criteri di priorità per l'assegnazione dei finanziamenti. |
1-bis. All'esito della ricognizione di cui al comma 1, con delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS), su proposta del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, di concerto con i Ministri per gli affari regionali e le autonomie, dell'economia e delle finanze, e per il Sud e la coesione territoriale, sentiti i Ministri competenti, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, da adottare entro il 31 marzo 2022, sono stabiliti i criteri di priorità e le azioni da perseguire per il recupero del divario risultante dalla ricognizione predetta, avuto riguardo alle carenze della dotazione infrastrutturale sussistenti in ciascun territorio, all'estensione delle superfici territoriali e alla specificità insulare, alla densità della popolazione e delle unità produttive, e si individuano i Ministeri competenti e la quota di finanziamento con ripartizione annuale, tenuto conto di quanto già previsto dal PNRR e dal Piano complementare di cui al decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, a valere sulle risorse del fondo cui al comma 1-ter. |
1-quater (secondo periodo). Per il finanziamento delle infrastrutture necessarie di cui al periodo precedente, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze è istituito il "Fondo perequativo infrastrutturale" con una dotazione complessiva di 4.600 milioni di euro per gli anni dal 2022 al 2033, di cui 100 milioni di euro per l'anno 2022, 300 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2023 al 2027, 500 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2028 al 2033. Al predetto Fondo non si applica l'articolo 7-bis del decreto-legge 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 18. |
1-ter. Per il finanziamento degli interventi di cui al comma 1-quater, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze è istituito il "Fondo perequativo infrastrutturale" con una dotazione complessiva di 4.600 milioni di euro per gli anni dal 2022 al 2033, di cui 100 milioni di euro per l'anno 2022, 300 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2023 al 2027, 500 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2028 al 2033. Al predetto Fondo non si applica l'articolo 7- bis del decreto-legge 29 dicembre 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 18. Il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri per il supporto tecnico - operativo alle attività di competenza, può stipulare apposita convenzione ai sensi degli articoli 5 e 192 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, nel limite massimo di 200.000 euro per l'anno 2021. |
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1-quater. Entro trenta giorni dalla delibera CIPESS di cui al comma 1-bis, ciascun Ministero competente, assegnatario delle risorse di cui al comma 1-bis individua, in un apposito Piano da adottare con decreto del Ministro competente d'intesa con il Ministro dell'economia e delle finanze, gli interventi da realizzare, che non devono essere già oggetto di integrale finanziamento a valere su altri fondi nazionali o comunitari, l'importo del relativo finanziamento, i soggetti attuatori, in relazione al tipo e alla localizzazione dell'intervento, il cronoprogramma della spesa, con indicazione delle risorse annuali necessarie per la loro realizzazione, nonché le modalità di revoca e di eventuale riassegnazione delle risorse in caso di mancato avvio nei termini previsti dell'opera da finanziare. Gli interventi devono essere corredati, ai sensi dell'articolo 11, comma 2 bis, della legge 16 gennaio 2003, n. 3 del Codice unico di progetto. Il Piano di cui al primo periodo è comunicato alla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. |
1-quinquies. Alla ripartizione del Fondo di cui al comma 1-quater si provvede con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei Ministri competenti, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, che individua gli interventi da realizzare, l'importo del relativo finanziamento, i soggetti attuatori e il cronoprogramma della spesa, con indicazione delle risorse annuali necessarie per la loro realizzazione. |
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1-sexies. Il monitoraggio della realizzazione degli interventi finanziati di cui al comma 1-quater è effettuato attraverso il sistema di cui al decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 229, classificando gli interventi sotto la voce "Interventi per il recupero del deficit infrastrutturale legge di bilancio 2021”. |
1-quinquies. Identico |
L’articolo 60 rafforza il ruolo dell’Agenzia per la coesione territoriale ai fini dell’esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienze o ritardi, da parte delle amministrazioni pubbliche responsabili dell'attuazione dei fondi strutturali, che determinino rischi di definanziamento.
In particolare, l’articolo 60 interviene sulle modalità di esercizio dei poteri ispettivi e di monitoraggio nell’utilizzo dei fondi strutturali o del Fondo per lo sviluppo e la coesione, nonché sul potere sostitutivo in caso di inerzia o ritardo nell'attuazione degli interventi, attraverso un rafforzamento del ruolo dell’Agenzia per la coesione territoriale.
A tal fine viene modificato l’articolo 12 del decreto-legge n. 133 del 2014.
L’articolo 12, comma 2, del decreto-legge n. 133 del 2014 prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri esercita i poteri ispettivi e di monitoraggio volti ad accertare il rispetto della tempistica e degli obiettivi dei piani, programmi ed interventi finanziati dall'UE o dal Fondo per lo sviluppo e la coesione, anche avvalendosi delle amministrazioni statali e non statali dotate di specifica competenza tecnica.
Il successivo comma 3 stabilisce che in caso di accertato inadempimento, inerzia o ritardo nell'attuazione degli interventi, il Presidente del Consiglio dei ministri esercita i poteri sostitutivi previsti dall'articolo 9, comma 2, del decreto-legge n. 69 del 2013[55].
Una prima modifica riguarda il comma 2 dell’articolo 12, prevedendo che l’esercizio dei poteri ispettivi e di monitoraggio, volti ad accertare il rispetto della tempistica e degli obiettivi dei programmi finanziati dall'UE o dal Fondo per lo sviluppo e la coesione, possa essere esercitato, oltre che dal Presidente del Consiglio dei ministri (come già previsto), anche dal Ministro per il Sud e la coesione territoriale, in quanto delegato dal Presidente del Consiglio, che si avvale dell’Agenzia per la coesione territoriale, oltre che delle amministrazioni statali e non statali dotate di specifica competenza tecnica.
Analogamente, viene modificato il comma 3 dell’articolo 12, prevedendo che, in caso di accertato inadempimento, inerzia o ritardo nell'attuazione dei suddetti interventi, i poteri sostitutivi possono essere esercitati oltre che dal Presidente del Consiglio dei Ministri, anche dal Ministro per il Sud e la coesione territoriale, in quanto ministro delegato, per il tramite dell'Agenzia per la coesione territoriale.
La norma, come riformulata, prevede inoltre che l'Agenzia possa assumere le funzioni di soggetto attuatore, avvalendosi di una centrale di committenza ai fini dell'effettiva realizzazione degli interventi.
L’articolo 61 introduce modifiche alla legge sul procedimento amministrativo (L. n. 241 del 1990) in materia di poteri sostitutivi attivabili in caso di inerzia dell’amministrazione a provvedere. Con una prima modifica, si prevede che il potere sostitutivo può essere attribuito non solo ad una figura apicale, ma anche ad un’unità organizzativa. In secondo luogo, si introduce la possibilità che l’attivazione del potere sostitutivo possa avvenire anche d’ufficio, oltre che su istanza del privato.
Con l’articolo 61 si apre il Titolo VI del decreto legge in esame, che introduce alcune modifiche alla legge 7 agosto 1990 n. 241, che reca le norme generali sul procedimento amministrativo.
La legge 241/1990 sancisce regole generali valide per tutti i procedimenti amministrativi che si svolgono nell’ambito delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali. Tale disciplina è stata oggetto negli anni di un continuo processo di revisione da parte del legislatore per adeguare la fisionomia normativa degli istituti alle esigenze emerse nella prassi applicativa e nella giurisprudenza.
L’intervento di maggior rilievo si è avuto nel corso della XIV legislatura, in particolare ad opera della legge n. 15/2005, che ha ampiamente novellato la legge introducendo l’intero Capo IV-bis, che disciplina l’efficacia e l’invalidità del provvedimento, nonché gli istituti di autotutela amministrativa.
Nella XVI legislatura ulteriori correzioni a vari aspetti della disciplina generale del procedimento sono state apportate dalla legge n. 69/2009, nonché da alcune disposizioni del D.L. 5/2012 (c.d. decreto Semplifica Italia) e della L. 190/2012 (c.d. legge anticorruzione), con la duplice finalità di rafforzare gli strumenti di tutela a disposizione dei privati nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei privati che esercitano funzioni amministrative, nonché di assicurare maggiore certezza e celerità per l’adozione del provvedimento finale.
Nel corso della XVII legislatura è stato approvato un ulteriore pacchetto di riforme, animato dall'intento di semplificare l’organizzazione della pubblica amministrazione, riconducibile in prevalenza alle disposizioni della legge n. 124/2015 e dei decreti attuativi. Gli interventi hanno riguardato la disciplina della conferenza di servizi, il regime delle autorizzazioni amministrative e la segnalazione certificata di inizio attività (c.d. SCIA), i termini dei procedimenti, nonché la disciplina dell’autotutela amministrativa (revoca, sospensione, annullamento d'ufficio degli atti amministrativi). Tra le novità di rilievo, vi è la previsione in via generale del meccanismo del silenzio assenso anche nei rapporti tra amministrazioni o tra amministrazioni e gestori di beni o servizi pubblici.
Nell’attuale legislatura il decreto-legge n. 76 del 2020 (articolo 12) ha stabilito alcune modifiche alla legge generale in funzione di semplificazione e accelerazione dell’azione amministrativa.
In dettaglio l'articolo 61 modifica l’articolo 2 della legge n. 241 del 1990 che disciplina la conclusione del procedimento, con la finalità, esplicitata nella relazione illustrativa, di rafforzare il potere sostitutivo già previsto dalla legge nei casi di mancato rispetto del termine per provvedere.
Ai sensi del vigente art. 2, co. 9-bis e seguenti, L. 241/1990, infatti, qualora il termine per la conclusione del procedimento sia inutilmente decorso, l’interessato può rivolgersi ad una figura interna all’amministrazione, titolare del potere sostitutivo, che appunto si sostituisce al dirigente o al funzionario inadempiente e conclude il procedimento medesimo o attraverso le strutture competenti o ricorrendo alla nomina di un commissario.
In ogni caso, il provvedimento finale deve essere adottato entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto.
A tale disciplina sono apportati due correttivi.
Con la modifica introdotta dalla lettera a) al comma 9-bis, primo periodo, del citato articolo 2, è introdotta la facoltà per l’organo di governo di individuare, ai fini dell’attribuzione del potere, “un’unità organizzativa”, in luogo di una figura apicale dell’amministrazione. Ciascuna amministrazione potrà quindi scegliere tra una figura apicale ovvero un’unità organizzativa.
Conseguentemente, viene precisato, al terzo periodo, che l’indicazione del soggetto “o dell’unità organizzativa” è oggetto di un obbligo di pubblicità sul sito internet istituzionale dell’amministrazione.
Resta confermato quanto stabilito dal secondo periodo dell’art. 2, co. 9-bis, che prevede alcuni criteri suppletivi ove l’organo di governo non provveda all’individuazione: infatti, in tal caso, il potere sostitutivo si intende attribuito al dirigente generale. In mancanza di questi, al dirigente preposto all’ufficio o in mancanza al funzionario di più elevato livello presente nell’amministrazione.
Non è invece oggetto di modifica il quarto periodo del comma 2-bis, in base al quale, in caso di ritardo, il “soggetto” titolare del potere sostitutivo comunica senza indugio il nominativo del responsabile per valutare l’opportunità di avviare il procedimento disciplinare, secondo le disposizioni del proprio ordinamento e dei contratti collettivi nazionali di lavoro, e, in caso di mancata ottemperanza a tali disposizioni, assume, oltre alla propria responsabilità, anche quella del responsabile. In proposito andrebbe valutata l’opportunità di riformulare anche il testo del quarto periodo, aggiungendo il riferimento all’unità organizzativa che può essere titolare del potere sostitutivo.
La lettera b) sostituisce integralmente il comma 9-ter dell’articolo 2, il quale, nella formulazione previgente al decreto, garantisce al privato in attesa del provvedimento dell’amministrazione, ove il termine per la conclusione del procedimento sia inutilmente decorso, la possibilità di rivolgersi direttamente al titolare del potere sostitutivo (individuato ai sensi del comma precedente) affinché concluda il procedimento medesimo o attraverso le strutture competenti o ricorrendo alla nomina di un commissario.
Con la modifica, oltre ad introdurre il riferimento all’unità organizzativa in alternativa al responsabile individuale, è introdotta la possibilità, che decorso il termine, il potere sostitutivo possa essere attivato anche d’ufficio e non più, come finora, solo su istanza del privato interessato.
La disciplina generale dei termini dei procedimenti amministrativi
La legge generale sul procedimento amministrativo (L. 241/1990, art. 2) stabilisce un principio di carattere generale in base al quale tutti i procedimenti che conseguono obbligatoriamente ad una istanza e quelli attivati d’ufficio devono necessariamente concludersi con un provvedimento espresso adottato in termini definiti.
Ciascuna amministrazione statale fissa i termini di conclusione dei procedimenti di propria competenza con singoli regolamenti adottati nella forma di decreto del Presidente della Consiglio su proposta del Ministro competente. In ogni caso, il termine non può eccedere i 90 giorni. Anche gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di propria competenza, sempre nel limite dei 90 giorni.
In mancanza di determinazione di termini, il procedimento deve concludersi entro 30 giorni, a meno che un diverso termine sia stabilito per legge. È ammessa in generale la possibilità per la PA di sospendere il termine per un periodo non superiore a 30 giorni
La legge ammette, inoltre, anche la possibilità di prevedere termini superiori ai 90 giorni in considerazione della «sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento». In questi casi, tuttavia, il termine massimo di durata non può oltrepassare comunque i 180 giorni (ad esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l'immigrazione). I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.
Oltre alla disciplina generale dei termini procedimentali per le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali prevista dalla L. 241 del 1990, occorre considerare che esistono norme speciali previste da leggi di settore.
La legge disciplina anche le conseguenze del mancato rispetto dei termini procedimentali e del tardivo adempimento da parte dell’amministrazione procedente.
Oltre alla attivazione del potere sostitutivo oggetto della disposizione in esame, la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente (art. 2, co. 9, L. 241 del 1990).
Per i casi di ritardo doloso o colposo del termine di conclusione del procedimento, la legge prevede il risarcimento del danno ingiusto cagionato in favore del privato (c.d. danno da ritardo ex art. 2-bis, co. 1, L. 241 del 1990).
Dal 2013 la legge prevede anche l’ipotesi di un indennizzo da ritardo determinato dalla pubblica amministrazione (che può essere sia quella che ha dato avvio al procedimento, sia altra amministrazione, che intervenga nel corso del procedimento e che abbia causato il ritardo), ma anche dai soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative, nella conclusione di procedimenti ad istanza di parte: a differenza del risarcimento l’indennizzo non può essere richiesto nei procedimenti avviati d'ufficio, presuppone il decorso del tempo quale mero nesso causale e deve essere preceduto dall'attivazione del potere sostitutivo (art. 2-bis, co. 1-bis, L. 241 del 1990).
L’articolo 62 introduce, nei casi di formazione del silenzio assenso, l’obbligo per l’amministrazione di rilasciare in via telematica, su richiesta del privato, un’attestazione dell’intervenuto accoglimento della domanda entro dieci giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente il termine, l’attestazione dell’amministrazione può essere sostituita da una autodichiarazione del privato.
Come esplicitato nella relazione illustrativa, la finalità della norma è “consentire la piena operatività e il rafforzamento dell’efficacia del silenzio assenso” riconoscendo il diritto dell’interessato ad un’attestazione che ne dimostri l’avvenuta formazione.
A tal fine la disposizione in esame introduce un nuovo comma 2-bis all’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241 che include il silenzio assenso tra gli istituti di semplificazione amministrativa, generalizzando il ricorso all’istituto.
Si ricorda che tale norma stabilisce che nei procedimenti a istanza di parte, esclusi quelli per i quali opera la SCIA-segnalazione certificata di inizio attività, volti al rilascio di provvedimenti amministrativi, «il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda», se la stessa amministrazione non comunica all’interessato, nel termine per provvedere (indicato ai sensi dell’art. 2, co. 2 e 3 della medesima L. 241), il provvedimento di diniego ovvero se, entro 30 giorni dalla presentazione dall’istanza, non indice una conferenza di servizi. I termini per la formazione del silenzio assenso decorrono dalla data di ricevimento della domanda del privato.
Si ricorda che ai sensi dell’articolo 21 della legge n. 241 del 1990, con la domanda l'interessato deve dichiarare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti.
Il silenzio assenso non opera per gli atti e i procedimenti finalizzati alla tutela del patrimonio culturale e paesaggistico e dell’ambiente, a quelli rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, alla salute e alla pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con appositi D.P.C.M adottati su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i ministri competenti.
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione dell’istituto, si ricorda infine che un elenco dei casi di silenzio-assenso è contenuto nel D.Lgs. 25 novembre 2016, n. 222 (c.d. SCIA 2), che riporta nella tabella A allegata la ricognizione delle attività e dei procedimenti nei settori del commercio e delle attività assimilabili, dell'edilizia e dell'ambiente (per un totale di 246 attività/procedimenti). Per ciascun procedimento o attività, la tabella indica il regime amministrativo applicabile (autorizzazione, silenzio assenso, SCIA, SCIA unica, SCIA condizionata, comunicazione) l'eventuale concentrazione dei regimi e i riferimenti normativi.
Nei casi in cui equivale ad accoglimento della domanda, il silenzio ha valore di provvedimento e, pertanto, l’amministrazione può, in via di autotutela, annullare o revocare l’atto implicito di assenso (art. 20, comma 3, L. 241 del 1990).
La disciplina del silenzio assenso opera dunque attualmente in sostanza come un incentivo a provvedere, ma non offre totale certezza al privato in merito alla valutazione compiuta da parte dell’amministrazione sull’istanza presentata dall’interessato.
Infatti, il decorso dei termini per la formazione del silenzio assenso, senza che l’amministrazione abbia emanato un provvedimento di diniego, potrebbe essere compatibile sia con una valutazione positiva dell’istanza da parte dell’amministrazione, sia con un’istruttoria ancora non completa o con una pura inerzia, che comunque consentirebbe all’amministrazione di intervenire in via di autotutela.
Con il nuovo comma 2-bis si intende ridurre i profili di incertezza riconoscendo in capo all’istante la possibilità di richiedere all’amministrazione una attestazione telematica che dichiari l’intervenuto accoglimento della domanda. In base alla disposizione, decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l’attestazione è sostituita da una dichiarazione del privato ai sensi dell’art. 47 del dPR 28 dicembre 2000, n. 445 (Testo unico sulla documentazione ammnistrativa).
La dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà è il documento, sottoscritto dall'interessato, concernente stati, qualità personali e fatti, a sua diretta conoscenza e non ricompresi nell'elencazione dell'articolo 46 (dichiarazione sostitutiva di certificazione) L'atto deve essere sottoscritto con firma autenticata (articolo 47 del D.P.R. 445/2000).
Con la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà l’interessato non sostituisce una certificazione, ma un atto di notorietà, che appartiene alla categoria delle verbalizzazioni. Ai sensi dell’art. 47 del testo unico, con la dichiarazione sostituiva dell’atto di notorietà possono essere attestati:
§ stati, fatti e qualità personali a diretta conoscenza dell’interessato;
§ stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui si abbia diretta conoscenza, con dichiarazione resa nell'interesse proprio del dichiarante. Tale principio risponde ad esigenze di certezza del diritto e di rispetto della privacy;
§ fatti, qualità personali e stati a conoscenza del diretto interessato, non compresi nell’elenco dei dati autocertificabili con dichiarazione sostitutiva di certificazione;
§ lo smarrimento di documenti di riconoscimento o attestanti stati e qualità personali dell’interessato, ai fini del rilascio dei duplicati di documenti, nei casi in cui la legge non preveda la denuncia all’autorità giudiziaria.
L’articolo 63 riduce da diciotto a dodici mesi il termine entro il quale le pubbliche amministrazioni possono procedere all’annullamento di ufficio dei provvedimenti amministrativi di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici.
A tal fine, la disposizione modifica l’articolo 21-nonies, comma 1, della legge 7 agosto 1990, n. 241, che disciplina in via generale, nell’ambito dei procedimenti di autotutela della pubblica amministrazione, l’annullamento d’ufficio, con il quale l’amministrazione rimuove il provvedimento di primo grado. L’annullamento può essere disposto dallo stesso organo che ha emanato il provvedimento o da altro organo previsto dalla legge.
Secondo la giurisprudenza consolidata, che è stata recepita nella legge n. 241/1990 con la riforma del 2005, i presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d'ufficio, che ha effetti ex tunc, sono:
a) l’illegittimità originaria del provvedimento, ex art. 21-octies comma 1 della legge 241/1990, ossia nei casi classici di provvedimento illegittimo per violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza[56];
b) l’interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione, diverso dal mero ripristino della legalità;
c) l'assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari. Ne risulta che l’annullamento è provvedimento discrezionale, chiamato a ponderare l’interesse pubblico alla rimozione del provvedimento invalido con gli altri interessi dei soggetti coinvolti.
L’esercizio di questo potere discrezionale non esime l’amministrazione dal dare conto della sussistenza dei menzionati presupposti.
Ai sensi dell’art. 21-nonies, co. 1, della L. 241 del 1990 l’annullamento d’ufficio va adottato «entro un termine ragionevole», decorso il quale l’amministrazione decade dal potere. Ciò a garanzia della certezza del diritto e della tutela dell’affidamento legittimo di coloro ai quali il provvedimento di primo grado da eliminare abbia recato vantaggio.
Per eliminare incertezze nei rapporti giuridici rispetto alla valutazione discrezionale della ragionevolezza del termine, la legge n. 124 del 2015 (art. 6) ha specificato che tale termine non deve essere comunque superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione del provvedimento di primo grado per i casi di annullamento d’ufficio dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, anche ove si tratti di provvedimenti formatisi a seguito di silenzio-assenso.
La disposizione in esame abbrevia tale termine a dodici mesi, motivando nella relazione illustrativa del provvedimento che ciò è funzionale a “consentire un più efficace bilanciamento tra la tutela del legittimo affidamento del privato interessato e l’interesse pubblico”.
Per completezza, si ricorda, che in deroga alla previsione dell’art. 21-nonies, co. 1, il D.L. 34 del 2020 (art. 264, co. 1, lett. b)) ha ridotto a tre mesi il termine entro il quale le pubbliche amministrazioni possono procedere all’annullamento d’ufficio dei provvedimenti illegittimi “adottati in relazione all’emergenza Covid-19”. La deroga è stata temporalmente delimitata fino al 31 dicembre 2020.
In relazione alla modifica introdotta, occorre tuttavia considerare che l’articolo 21-nonies della L. 241/1990, al comma 2-bis, dispone anche che i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, «possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1». Per ragioni di coerenza interna del testo normativo si valuti l’opportunità di modificare anche il comma 2-bis nella parte in cui continua a far riferimento al termine di diciotto mesi.
L’articolo 64, commi da 1 a 6, introduce varie novità in materia di attività e progetti di ricerca, con particolare riferimento all’assetto delle competenze.
Nello specifico:
· il comma 1 modifica le procedure di valutazione dei progetti di ricerca finanziati a carico del Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST);
· i commi da 2 a 4 istituiscono il Comitato nazionale per la valutazione della ricerca (CNVR), in sostituzione del Comitato nazionale dei garanti per la ricerca (CNGR);
· il comma 5 modifica le competenze dell’Agenzia nazionale per la ricerca, in particolare sopprimendo quelle relative alla valutazione dell’impatto dell’attività di ricerca;
· il comma 6 incrementa di € 5 mln per il 2021 e di € 20 mln annui a decorrere dal 2022 le risorse del Fondo per la valutazione e la valorizzazione dei progetti di ricerca.
Procedure di valutazione dei progetti di ricerca finanziati dal FIRST
Il comma 1 modifica le procedure di valutazione dei progetti di ricerca finanziati a carico del Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST), di cui all’art. 1, co. 870, della L. 296/2006[57].
In particolare, elimina la previsione in base alla quale la valutazione dei progetti di ricerca fondamentale libera e fondamentale di tipo strategico finanziati a carico del FIRST è effettuata tramite appositi comitati, tenendo conto, in particolare, dei principi della tecnica di valutazione tra pari.
A tal fine, novella l’art. 20 della L. 240/2010.
Il citato art. 20 della L. 240/2010 – come risultante dalle modifiche apportate, da ultimo, dall'art. 63, co. 4, del D.L. 83/2012 (L. 134/2012) – aveva disposto, per quanto qui maggiormente interessa, che i progetti di ricerca fondamentale libera e fondamentale di tipo strategico finanziati a carico del FIRST sono assoggettati a valutazione tramite appositi comitati, secondo criteri stabiliti con decreto ministeriale di natura non regolamentare, tenendo conto in particolare dei principi della tecnica di valutazione tra pari.
La relazione illustrativa evidenzia che le modifiche sono volte a rendere più flessibili gli strumenti posti nella disponibilità del Ministro dell’università e della ricerca per l’adozione del decreto che deve indicare i criteri per la valutazione dei progetti di ricerca.
L'art. 1, co. 870, della L. 296/2006 ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'università e della ricerca (MUR) il Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST) nel quale sono confluite le risorse annuali per i progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN) delle università, nonché le risorse del Fondo per le agevolazioni alla ricerca (FAR), del Fondo per gli investimenti della ricerca di base (FIRB), e, per quanto di competenza del MUR, del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS). In virtù dell'art. 60 del D.L. 83/2012 (L. 134/2012), come modificato dall'art. 1, co. 260, della L. 208/2015, a valere sul FIRST sono ammissibili i seguenti interventi:
· interventi di ricerca fondamentale, diretti a sostenere l'avanzamento della conoscenza;
· interventi di ricerca industriale, estesi a eventuali attività non preponderanti di sviluppo sperimentale, orientati a favorire la specializzazione del sistema industriale nazionale;
· appalti pre-commerciali di ricerca e sviluppo sperimentale, anche attraverso interventi cofinanziati con pubbliche amministrazioni, in risposta a esigenze di particolare rilevanza sociale;
· azioni di innovazione sociale;
· interventi integrati di ricerca e sviluppo sperimentale, infrastrutturazione, formazione di capitale umano di alto livello qualitativo, di trasferimento tecnologico e spin off di nuova imprenditorialità innovativa, finalizzati in particolare allo sviluppo di grandi aggregazioni (cluster) tecnologiche pubblico-private di scala nazionale;
· interventi nazionali di ricerca fondamentale o di ricerca industriale inseriti in accordi e programmi comunitari e internazionali;
· attività di ricerca industriale, sviluppo precompetitivo, diffusione di tecnologie, fino all'avvio e comunque finalizzate a nuove iniziative economiche ad alto contenuto tecnologico, per l'utilizzazione industriale dei risultati della ricerca da parte di soggetti assimilati in fase d'avvio, su progetto o programma, anche autonomamente presentato, da coloro che si impegnano a costituire o a concorrere alla nuova società.
Con il DM 593/2016 l’allora MIUR ha stabilito nuove procedure per regolare l’utilizzo e la gestione del FIRST con riferimento al sostegno alle attività di ricerca industriale, estese a non preponderanti processi di sviluppo sperimentale e delle connesse attività di formazione del capitale umano, nonché di ricerca fondamentale, inserite in accordi e programmi europei e internazionali.
Per ulteriori dettagli, si veda qui.
Con il DM 679/2019 sono state definite nuove disposizioni procedurali per gli interventi diretti al sostegno delle attività di ricerca fondamentale, per adeguare le disposizioni previste dal DM 594/2016 (per ulteriori dettagli, si veda qui) con particolare riferimento alle modalità procedurali di valutazione, al fine di garantire una maggiore trasparenza nell'iter valutativo dei progetti.
Istituzione del Comitato nazionale per la valutazione della ricerca (CNVR)
I commi da 2 a 4 istituiscono il Comitato nazionale per la valutazione della ricerca (CNVR), in sostituzione del Comitato nazionale dei garanti della ricerca (CNGR).
A tal fine, il comma 2 sostituisce l’art. 21 della L. 240/2010, che aveva previsto l’istituzione del CNGR al fine di promuovere la qualità della ricerca e assicurare il buon funzionamento delle procedure di valutazione tra pari previste di cui al già citato art. 20 della stessa L. 240/2010.
L'art. 21 della L. 240/2010 – come risultante dalle modifiche apportate, da ultimo, dall’art. 1, co. 551, della L. 178/2020 (L. di bilancio 2021) – aveva istituito il Comitato nazionale dei garanti per la ricerca (CNGR), composto da 7 studiosi, italiani o stranieri, di elevata qualificazione scientifica internazionale, appartenenti a una pluralità di aree disciplinari, tra i quali almeno 2 donne e 2 uomini, nominati dal Ministro, il quale sceglieva in un elenco – con validità biennale – composto da non meno di 10 e non più di 15 persone, definito da un comitato di selezione. Il comitato di selezione, istituito con decreto del Ministro, era composto da 5 membri di alta qualificazione, designati, uno ciascuno, dal Ministro, dal presidente del Consiglio direttivo dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), dal vice presidente del Comitato di esperti per la politica della ricerca (CEPR), dal presidente dell'European Research Council (ERC), dal presidente dell'European Science Foundation (ESF).
I componenti del CNGR restavano in carica per un triennio e non potevano essere nuovamente nominati prima che fossero trascorsi almeno 5 anni. Essi cessavano automaticamente dalla carica al compimento del settantesimo anno di età. Se uno dei componenti cessava dalla carica prima della scadenza del proprio mandato, il componente che veniva nominato in sostituzione restava in carica per la durata residua del mandato. Il predetto componente era scelto dal Ministro nel medesimo elenco, purché nello stesso fosse comunque possibile ottemperare a quanto previsto. In caso contrario, si procedeva a costituire un nuovo elenco con le stesse modalità indicate.
I dipendenti pubblici potevano essere collocati in aspettativa per la durata del mandato.
Il CNGR definiva le proprie regole di organizzazione e funzionamento ed eleggeva al proprio interno il presidente, a maggioranza dei 2/3 dei suoi componenti[58].
Con riguardo ai compiti, in particolare, il CNGR:
· indicava i criteri generali per le attività di selezione e valutazione dei progetti di ricerca, tenendo in massima considerazione le raccomandazioni approvate da organismi internazionali cui l'Italia aderisce in virtù di convenzioni e trattati;
· nominava gli studiosi che facevano parte dei comitati di selezione previsti dal già citato art. 20 della L. 240/2010 e coordinava le attività dei comitati suddetti;
· con specifici accordi di programma dotati di adeguata copertura degli oneri da essi derivanti, poteva provvedere all'espletamento delle procedure di selezione dei progetti o programmi di ricerca attivati da enti pubblici o privati.
Inoltre, esso aveva assorbito i compiti delle Commissioni di garanzia previste per il finanziamento degli investimenti sulla ricerca di base (FIRB) e per i programmi di ricerca di interesse nazionale (PRIN).
Nell'esercizio delle sue funzioni, il CNGR si avvaleva delle risorse umane, strumentali e finanziarie del MUR.
Infine, doveva predisporre rapporti specifici sull'attività svolta e una relazione annuale in materia di valutazione della ricerca, da trasmettere al Ministro, il quale doveva curare la pubblicazione e la diffusione dei rapporti e delle relazioni del CNGR.
Qui il sito ufficiale del CNGR.
Successivamente, l’art. 1, co. 551, della L. 178/2020 (L. di bilancio 2021), al fine di semplificare lo svolgimento delle attività di selezione e di valutazione dei programmi e dei progetti di ricerca, nonché di valutazione dell'attuazione e dei risultati dei medesimi, ha stabilito che il MUR si avvale di esperti tecnico-scientifici e professionali, individuati singolarmente o organizzati in comitati o in commissioni, per le attività di analisi tecnico-scientifiche, finanziarie e amministrativo-contabili e per le conseguenti attività di verifica, monitoraggio e controllo. Gli oneri derivanti sono posti a carico, nel limite massimo del 7%, delle risorse destinate al finanziamento dei programmi e dei progetti di ricerca (al riguardo, si veda, infra, quanto dispone il co. 6 del testo in esame).
Ha stabilito, inoltre, che tali disposizioni si applicano anche alle spese per il funzionamento e per i compensi relativi alle procedure di selezione e di valutazione dei progetti di ricerca del CNGR[59].
Rispetto a tale quadro, il comma 2 – eliminando, innanzitutto, in conseguenza di quanto disposto dal comma 1, il riferimento alla valutazione tra pari – istituisce il CNVR che si differenzia dal CNGR, in particolare, per una più ampia composizione, diversi meccanismi di scelta dei componenti, un limite di mandato temporalmente più lungo e non rinnovabile, ulteriori compiti, l’eliminazione del limite di età per l’esercizio del mandato.
In particolare, dispone che il CNVR è composto da 15 studiosi (anziché 7), italiani o stranieri, di elevata qualificazione scientifica internazionale, appartenenti a una pluralità di aree disciplinari, nominati con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, di cui:
- 10 componenti sono scelti dal Ministro dell’università e della ricerca nel rispetto del principio della parità di genere (senza più la previsione di previa definizione di un elenco da parte di un comitato di selezione);
- 5 componenti sono designati, uno ciascuno, dal presidente del Consiglio direttivo dell'ANVUR, dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI), dalla Consulta dei presidenti degli enti pubblici di ricerca (CONPER)[60], dal presidente dell'ERC e dal presidente dell'ESF.
Il CNVR è regolarmente costituito con almeno 10 componenti.
L’incarico di componente del CNVR è di durata quinquennale (anziché triennale), non rinnovabile (neanche dopo il trascorso di alcuni anni). Non è più previsto un limite massimo di età per l’esercizio del mandato.
Il compenso dei componenti del Comitato è stabilito nel decreto di nomina, nel limite previsto dal citato art. 1, co. 551, della L. 178/2020 (L. di bilancio 2021).
Con riguardo ai compiti del CNVR, lo stesso comma 2, con riferimento a quelli previamente attribuiti al CNGR, dispone che:
- nell’indicazione dei criteri generali per le attività di selezione e valutazione dei progetti di ricerca, il CNVR, oltre che tenere in massima considerazione le raccomandazioni approvate da organizzazioni internazionali di cui l'Italia è parte (come già previsto con riferimento al CNGR), deve rispettare i principi definiti con il decreto del Ministro dell’università e della ricerca di cui al già citato art. 20 della L. 240/2010;
- lo svolgimento, ora possibile anche parzialmente, delle procedure di selezione dei progetti o programmi di ricerca di altri enti, pubblici o privati, avviene previo accordo o convenzione con essi (anziché con specifici accordi di programma, come previsto con riferimento al CNGR).
Altresì, attribuisce al CNVR gli ulteriori compiti di:
- nominare i componenti dei comitati di valutazione, qualora previsti dal medesimo decreto di cui all’art. 20 della L. 240/2010;
- definire i criteri per la individuazione e l’aggiornamento di liste di esperti tecnico-scientifici e professionali per l’affidamento di incarichi di valutazione tecnico-scientifica dei progetti di ricerca, istituite con decreto del Ministro dell’università e della ricerca.
Si intenderebbe che si tratti di liste riferite agli esperti di cui all’art. 1, co. 551, della L. 178/2020 (v. ante).
Inoltre lo stesso comma 2 conferma che:
- in caso di cessazione di un componente del CNVR prima della scadenza del proprio mandato, il componente che viene nominato in sostituzione resta in carica per la durata residua del mandato;
- i dipendenti pubblici possono essere collocati in aspettativa per la durata del mandato;
- il CNVR definisce le proprie regole di organizzazione e funzionamento ed elegge al proprio interno il presidente, a maggioranza dei due terzi dei suoi componenti;
- il CNVR predispone rapporti specifici sull'attività svolta e una relazione annuale in materia di valutazione della ricerca, che trasmette al Ministro, il quale cura la pubblicazione e la diffusione dei rapporti e delle relazioni del CNVR;
- nell’esercizio delle sue funzioni, il CNVR si avvale delle risorse umane, strumentali e finanziarie del MUR.
Il comma 3, primo e secondo periodo, dispone che, in sede di prima applicazione, il CNVR è composto dai componenti del CNGR in carica alla data di entrata in vigore del decreto-legge ed è integrato nella sua piena composizione dal Ministro dell’università e della ricerca nel rispetto del principio della parità di genere.
Sono fatti salvi gli atti inerenti le procedure valutative del CNGR in essere alla data di entrata in vigore del decreto-legge.
In conseguenza delle novità, il comma 4 novella l’art. 1, co. 551, della L. 178/2020 (L. di bilancio 2021), sostituendo il riferimento al CNGR con il CNVR.
A sua volta, il comma 3, terzo periodo, stabilisce che il riferimento al CNGR, ovunque ricorra, deve intendersi al CNVR.
Modifica delle competenze dell’Agenzia nazionale per la ricerca
Il comma 5 modifica le competenze dell’Agenzia nazionale per la ricerca (ANR), in particolare sopprimendo quelle relative alla valutazione dell’impatto dell’attività di ricerca.
Preliminarmente, si sottolinea che relazione illustrativa evidenzia che, in relazione agli obiettivi posti dal PNRR, alla luce della mancata attivazione dell’Agenzia, tali compiti non possono non essere esercitati che dal Ministero. In altro punto, tuttavia, la stessa relazione illustrativa sottolinea che i medesimi compiti, per i medesimi motivi, devono essere necessariamente posti in capo al Comitato nazionale per la valutazione della ricerca (CNVR) (v. ante).
Al riguardo, si valuti l’opportunità di un chiarimento.
L’art. 1, co. 240-248 e 250-252, della L. 160/2019 (L. di bilancio 2020), al fine di potenziare la ricerca svolta da università, enti e istituti di ricerca pubblici e privati, ha istituito l’ANR, sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio e del Ministero (ora) dell’università e della ricerca, dotata di autonomia statutaria, organizzativa, tecnico-operativa e gestionale.
In particolare, l’Agenzia:
· promuove il coordinamento delle attività di ricerca di università, enti e istituti di ricerca pubblici, incrementando la sinergia e la cooperazione tra di essi e con il sistema economico-produttivo, pubblico e privato (co. 241);
· favorisce l’internazionalizzazione delle attività di ricerca (co. 241);
· promuove e finanzia progetti di ricerca da realizzare in Italia ad opera di soggetti pubblici e privati, anche esteri, altamente strategici per lo sviluppo sostenibile e l’inclusione sociale (co. 242, lett. a));
· valuta l’impatto dell’attività di ricerca, tenendo conto dei risultati dell’attività dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), in particolare al fine di incrementare l’economicità, l’efficacia e l’efficienza del finanziamento pubblico nel settore, incluse le risorse pubbliche del Fondo nazionale per l’innovazione[61] gestito da Cassa Depositi e Prestiti, nonché per attrarre finanziamenti provenienti dal settore privato (co. 242, lett. b));
· definisce un piano di semplificazione delle procedure amministrative e contabili relative ai progetti di ricerca (co. 242, lett. c)).
In particolare, il comma 5 abroga la lett. b) del co. 242 dell’art. 1 della L. 160/2019 che, come già detto, aveva attribuito all’Agenzia la valutazione dell’impatto dell’attività di ricerca, tenendo conto dei risultati dell’attività dell’ANVUR.
Al riguardo, si ricorda che, nel Dossier del Servizio Studi n. 230/3 vol. I, del 17 dicembre 2019, si era evidenziata, con riferimento allo specifico punto, l’opportunità di esplicitare meglio il rapporto fra le competenze dell’ANR e quelle dell’ANVUR.
Si era, infatti, ricordato che l’ANVUR, ente di ricerca con personalità giuridica di diritto pubblico, è stata istituita dall’art. 2, co. 138 e ss., del D.L. 262/2006 (L. 286/2006), al fine di razionalizzare il sistema di valutazione della qualità delle attività delle università e degli enti di ricerca pubblici e privati destinatari di finanziamenti pubblici, nonché dell'efficienza ed efficacia dei programmi statali di finanziamento e di incentivazione delle attività di ricerca e di innovazione. I risultati delle attività di valutazione dell'ANVUR costituiscono criterio di riferimento per l'allocazione dei finanziamenti statali alle università e agli enti di ricerca.
In base alle disposizioni istitutive, gli organi dell'ANR sono costituiti da direttore, comitato direttivo, comitato scientifico e collegio dei revisori dei conti. In particolare:
· il direttore – che dura in carica 4 anni – è il legale rappresentante dell'Agenzia, la dirige e ne è responsabile, presiede il comitato direttivo e svolge gli ulteriori compiti attribuitigli dallo statuto.
Egli è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ed è scelto dallo stesso tra studiosi, italiani o stranieri, di elevata qualificazione scientifica, con una profonda conoscenza del sistema della ricerca in Italia e all’estero e con pluriennale esperienza in enti o organismi, pubblici o privati, operanti nel settore della ricerca, nell’ambito di una rosa di 25 nominativi, preventivamente selezionati da una Commissione di valutazione;
· il comitato direttivo, i cui compiti non sono stati indicati, è composto da 8 membri, anche in questo caso selezionati tra studiosi, italiani o stranieri, di elevata qualificazione scientifica, con una profonda conoscenza del sistema della ricerca in Italia e all’estero e con pluriennale esperienza in enti o organismi, pubblici o privati, operanti nel settore della ricerca, nell’ambito di una rosa di 25 nominativi, preventivamente selezionati da una Commissione di valutazione. Di tali membri, uno è scelto dal Ministro dell’università e della ricerca, uno dal Ministro dello sviluppo economico, uno dal Ministro della salute, uno dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, uno dalla Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI), uno dal Consiglio universitario nazionale (CUN), uno dalla Consulta dei Presidenti degli enti pubblici di ricerca e uno dall'Accademia dei lincei. La composizione del comitato direttivo deve assicurare la parità di genere. Anche i membri del comitato direttivo sono nominati con DPCM e durano in carica per 4 anni;
· il comitato scientifico vigila sul rispetto dei principi di libertà e autonomia della ricerca scientifica ed è composto da 5 membri nominati dal direttore all'interno di una rosa di 25 nominativi, preventivamente selezionati da parte di una Commissione di valutazione sulla base di criteri di competenza e professionalità. La composizione del comitato scientifico deve garantire una rappresentanza del genere meno rappresentato non inferiore al 45%;
· il collegio dei revisori dei conti svolge le funzioni di controllo amministrativo e contabile ed è composto da 3 membri effettivi e 2 supplenti, nominati con decreto del Ministro dell’università e della ricerca. Un membro effettivo, che assume le funzioni di Presidente, e un membro supplente sono designati dal Ministro dell'economia e delle finanze. I componenti del collegio durano in carica 3 anni e possono essere rinnovati una sola volta.
La Commissione di valutazione incaricata di selezionare la rosa nell’ambito della quale sono scelti il direttore dell’Agenzia e i membri del comitato direttivo è istituita con DPCM ed è composta da 5 membri di alta qualificazione scelti - a seguito delle modifiche introdotte con il D.L. 76/2020 (art. 19, co. 6, che ha modificato l’art. 1, co. 245, della L. 160/2019) – uno dal Ministro dell'università e della ricerca, uno dal presidente del Consiglio direttivo dell’ANVUR, uno dal presidente dell'European Research Council, uno dal presidente dell'European Science Foundation, uno dal presidente della CRUI, d’intesa con il presidente della Consulta dei presidenti degli enti pubblici di ricerca.
La definizione delle procedure e delle modalità per l'individuazione dei componenti della Commissione di valutazione incaricata di selezionare la rosa nell’ambito della quale sono scelti i membri del comitato scientifico, invece, è stata demandata allo statuto.
Lo statuto dell’Agenzia, che ne disciplina le attività e le regole di funzionamento, deve essere approvato con DPCM, su proposta del Ministro dell’università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, che sarebbe dovuto essere emanato entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.
Il medesimo DPCM definisce, altresì, la dotazione organica dell’Agenzia, nel limite massimo di 34 unità complessive, di cui 3 dirigenti di seconda fascia, nonché i compensi spettanti ai componenti degli organi di amministrazione e controllo.
Al personale dell’Agenzia si applicano le disposizioni del d.lgs. 165/2001 – recante le norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche – ed il contratto collettivo del comparto Istruzione e Ricerca[62].
Al contempo, la stessa L. di bilancio 160/2019 aveva autorizzato, sempre al fine di potenziare la ricerca svolta da università, enti e istituti di ricerca pubblici e privati, la spesa di € 25 mln per il 2020, € 200 mln per il 2021 e € 300 mln annui a decorrere dal 2022, di cui, € 0,3 mln nel 2020 e € 4 mln annui a decorrere dal 2021 destinati alle spese per il funzionamento e il personale dell'ANR.
Successivamente, le risorse per il 2021 sono state ridotte di € 96,5 mln dal D.L. 162/2019 (L. 8/2020)[63] e di € 78,5 mln dal D.L. 41/2021 (L. 69/2021)[64].
Al riguardo, la relazione tecnica all’A.S. 2144, relativo al D.L. 41/2021, evidenziava che la riduzione del Fondo “lascia, in ogni caso, invariati per il 2021 i 25 milioni di euro che sono stati ritenuti necessari per finanziare i progetti di ricerca e l’operatività dell’agenzia nel suo primo anno di vita: attività, queste, che avrebbero dovuto prendere avvio nel 2020 e che potranno realizzarsi solo a partire dall’anno in corso, previa adozione del DPCM – previsto dal comma 251 della legge n. 160 del 2019 e tuttora non adottato – per l’approvazione dello statuto recante la disciplina dell’attività e del funzionamento dell’agenzia medesima”.
Sul punto, tuttavia, si veda quanto disposto dal co. 6 del testo in esame.
Disposizioni relative al Fondo per la valutazione e la valorizzazione dei progetti di ricerca
Il comma 6 incrementa di € 5 mln per il 2021 e di € 20 mln annui a decorrere dal 2022 le risorse del Fondo per la valutazione e la valorizzazione dei progetti di ricerca.
L’incremento è disposto in relazione alle accresciute esigenze in tema di selezione e valutazione dei programmi e dei progetti di ricerca connessi all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
Al riguardo, si ricorda, preliminarmente, che il Fondo per la valutazione e la valorizzazione dei progetti di ricerca è stato istituito nello stato di previsione del MUR, con una dotazione di € 10 mln annui a decorrere dal 2021, dall’art. 1, co. 550, della L. 178/2020 (L. di bilancio 2021).
In particolare, il Fondo è stato finalizzato a consentire al MUR la possibilità di avvalersi, con modalità definite mediante convenzione, dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa-Invitalia per i servizi di supporto specialistico e le attività di analisi, di valutazione economica e finanziaria nonché per la verifica, il monitoraggio e il controllo connessi agli interventi nel settore della ricerca, con particolare riferimento alla programmazione strategica del Programma nazionale per la ricerca (PNR) e dei progetti finanziati con risorse nazionali, dell'Unione europea e tramite il Fondo per lo sviluppo e la coesione.
In particolare, il comma 6 dispone che il Fondo è incrementato di € 5 mln per il 2021 e di € 20 mln (annui) a decorrere dal 2022.
Le risorse incrementali, nonché le somme eventualmente non impiegate per l’attivazione delle convenzioni con Invitalia, sono finalizzate:
§ a promuovere l’attività di valutazione degli esperti tecnico-scientifici e professionali – di cui, come già detto ante, lo stesso MUR si avvale, ai sensi dell’art. 1, co. 551, della stessa L. 178/2020, per lo svolgimento delle attività di selezione e di valutazione dei programmi e dei progetti di ricerca, nonché di valutazione dell'attuazione e dei risultati dei medesimi – anche in deroga al limite massimo del 7% delle risorse destinate al finanziamento dei programmi e dei progetti di ricerca, di cui allo stesso art. 1, co. 551;
§ alla stipula di accordi o convenzioni con enti ed istituzioni, anche esteri, di riconosciuto prestigio nell’ambito della valutazione della ricerca, in ordine allo svolgimento di attività di supporto specialistico e di analisi, di valutazione economica e finanziaria ovvero di verifica, monitoraggio e controllo sugli interventi nel settore della ricerca, con particolare riferimento a quelli previsti dal PNRR.
Al riguardo, la relazione illustrativa fa presente che le accresciute esigenze determinate dal PNRR impongono che l’Amministrazione si rivolga, oltre che ad Invitalia, anche ad altri soggetti valutatori, quali ad esempio quelli appartenenti ad istituzioni di ricerca internazionali o a fondazioni di ricerca, per accedere alle loro banche dati e/o al loro supporto specialistico.
Ai relativi oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui all’art. 1, co. 240, della L. 160/2019, relativamente alla quota destinata ai compiti dell’Agenzia nazionale per la ricerca in materia di valutazione dell’impatto di attività di ricerca, ora soppressi dal co. 5 dell’articolo in esame.
L’articolo 64, comma 7, autorizza la spesa di € 12 mln per il 2021 da assegnare alle istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) a titolo di cofinanziamento di interventi di investimento finalizzati alla rigenerazione delle periferie urbane disagiate attraverso la realizzazione di nuove sedi, ovvero finalizzati alla tutela di strutture di particolare rilievo storico ed architettonico delle medesime istituzioni.
Preliminarmente, si evidenzia che l’oggetto del comma 7 dell’articolo 64 non è riconducibile all’ambito delineato dalla rubrica del medesimo articolo 64 (“Semplificazione delle procedure di valutazione dei progetti di ricerca ed ulteriori misure attuative del PNRR nel campo della ricerca”).
Si valuti, dunque, l’opportunità di una diversa collocazione delle disposizioni in esame.
Il sistema dell’alta formazione artistica e musicale è costituito, in base all’art. 2 della L. 508/1999, da Accademie di belle arti, Accademia nazionale di arte drammatica, Istituti superiori per le industrie artistiche (ISIA), nonché, con la trasformazione in Istituti superiori di studi musicali e coreutici, Conservatori di musica, Accademia nazionale di danza e Istituti musicali pareggiati.
Con specifico riferimento agli interventi di edilizia delle istituzioni AFAM, si ricorda, anzitutto, che l’art. 1, co. 131, della L. 311/2004 (L. finanziaria 2005) ha autorizzato, a decorrere dal 2005, la spesa di € 10 mln annui per la realizzazione di interventi di edilizia (e per l'acquisizione di attrezzature didattiche e strumentali di particolare rilevanza) a favore delle istituzioni AFAM[65].
Nel prosieguo, i co. 2-bis e 2-ter dell’art. 10 del D.L. 104/2013 (L. 128/2013), inseriti dall’art. 1, co. 173, della L. 107/2015, hanno previsto che, al fine di favorire interventi straordinari di ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico, efficientamento energetico di immobili di proprietà pubblica adibiti all’attività delle medesime istituzioni, e di immobili adibiti ad alloggi e residenze per studenti delle stesse, nonché la costruzione di nuovi edifici, le istituzioni AFAM possono essere autorizzate dal Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministero dell’università e della ricerca, a stipulare mutui trentennali, con oneri di ammortamento a totale carico dello Stato, con la Banca europea per gli investimenti, la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, la società Cassa depositi e prestiti e i soggetti autorizzati all'esercizio dell'attività bancaria. A tale fine, sono stanziati contributi pluriennali pari a € 4 mln annui per la durata dell'ammortamento del mutuo a decorrere dal 2016, mediante riduzione dell'autorizzazione di spesa di cui al citato art. 1, co. 131, della L. 311/2004.
La disciplina applicativa è stata definita con decreto 6 aprile 2018 del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con l’allora Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, che, in particolare, ha previsto l’assegnazione di un contributo diretto alle Istituzioni (Programmi A) per la complessiva somma di € 16 mln, relativa alla quota degli anni 2016, 2017, 2018, 2019[66], e la stipula di mutui (programmi B), per l’importo complessivo di € 4 mln annui (comprensivi della quota capitale e degli interessi), a decorrere dal 2020, previa presentazione della richiesta da parte delle Istituzioni, valutazione dei programmi presentati e approvazione della graduatoria finale[67].
In base allo stesso comma 7, alla copertura del relativo onere si provvede:
§ quanto a € 8 mln per il 2021, mediante corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa di cui al già citato art. 1, co. 131, della L. 311/2004, “come rifinanziata dall’articolo 1, comma 14, della legge 27 dicembre 2019, n. 160”;
§ quanto a € 4 mln per il 2021, mediante utilizzo delle somme, conservate nel conto dei residui, di cui all’autorizzazione di spesa recata dallo stesso art. 1, co. 131, della L. 311/2004 “come rifinanziata dall’articolo 1, comma 14, della legge 27 dicembre 2019, n. 160”. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio anche in conto residui.
Al riguardo, si ricorda che l’art. 1, co. 14, della L. 160/2019 ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, per gli anni dal 2020 al 2034, il Fondo finalizzato al rilancio degli investimenti delle amministrazioni centrali dello Stato e allo sviluppo del Paese.
Il co. 25 dello stesso art. 1 ha affidato la ripartizione del fondo ad uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con i Ministri interessati, sulla base di programmi settoriali presentati dalle amministrazioni centrali dello Stato per le materie di competenza.
Nella seduta della VII Commissione della Camera dell’8 settembre 2020, ai fini dell’espressione dei rilievi alla V Commissione sullo schema di DPCM (AG 188), il relatore aveva fatto presente che, sulla base dei chiarimenti inviati dal MUR, per quanto riguarda lo stesso Ministero la quota di competenza del Fondo era riconducibile a tre ambiti, dei quali, per quanto qui interessa, uno relativo a finanziamenti per interventi di edilizia destinati alle Istituzioni AFAM statali, per complessivi € 48 mln.
Le risorse sono state dunque ripartite con DPCM 23 dicembre 2020, che ha assegnato al MUR complessivi € 1.006,9 mln per il periodo 2020-2034, di cui € 52,9 mln per il 2021.
La formulazione utilizzata, dunque, sembrerebbe far intendere che, con successivo decreto ministeriale di riparto, una parte delle risorse del DPCM 23 dicembre 2020 attribuite al MUR siano state appostate sul citato cap. 7312.
Si valuti l’opportunità di un chiarimento.
Per completezza, si ricorda che l’art. 1, co. 535, della L. 178/2020 (L. di bilancio 2021) ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell’università e della ricerca un Fondo, con una dotazione di € 7 mln per il 2021, destinato a coprire le spese per interventi strutturali e di messa in sicurezza, nonché per interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, relativi ad edifici di particolare valore storico-artistico che non sono di proprietà dello Stato e ospitano conservatori di musica.
I criteri e modalità di erogazione delle risorse sono stati definiti con Decreto interministeriale n.150 del 11 febbraio 2021.
L’articolo 64, comma 8, innalza (dal 50) al 75% del costo totale la quota massima di cofinanziamento dello Stato per la realizzazione di interventi per alloggi e residenze per studenti universitari e delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM), di cui alla L. 338/2000.
Il comma 9 precisa che agli oneri derivanti si fa fronte con le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e che, pertanto, l’efficacia delle disposizioni è subordinata alla definitiva approvazione dello stesso.
Preliminarmente, si evidenzia che l’oggetto dei commi 8 e 9 dell’articolo 64 non è riconducibile all’ambito delineato dalla rubrica del medesimo articolo 64 (“Semplificazione delle procedure di valutazione dei progetti di ricerca ed ulteriori misure attuative del PNRR nel campo della ricerca”).
Si valuti, dunque, l’opportunità di una diversa collocazione delle disposizioni in esame.
Al riguardo, si ricorda, preliminarmente, che l’art. 1 della L. 338/2000, dettando disposizioni in materia di alloggi e residenze per gli studenti universitari, ha previsto il concorso dello Stato alla realizzazione di interventi necessari al recupero o all’adeguamento di immobili, ovvero alla costruzione degli stessi o all’acquisto di aree da utilizzare per la costruzione di alloggi e residenze universitarie da parte di regioni, province autonome, enti per il diritto allo studio, collegi e consorzi universitari, cooperative di studenti senza fini di lucro e organizzazioni non lucrative di utilità sociale operanti nel settore del diritto allo studio[68], a tal fine stanziando 60 miliardi di lire per ciascuno degli anni dal 2000 al 2001 e rimettendo alla legge di bilancio la determinazione dell’ammontare della spesa per gli anni successivi[69]. Il cofinanziamento si attua attraverso un contributo non superiore al 50% del costo totale previsto da progetti esecutivi immediatamente realizzabili.
La definizione delle procedure e delle modalità per la presentazione dei progetti e per l’erogazione dei finanziamenti è stata rimessa ad un decreto del Ministro dell’università e della ricerca, sentite la Conferenza dei rettori delle università italiane (CRUI) e la Conferenza Stato-regioni. I soggetti sopra citati elaborano progetti per la realizzazione degli interventi, attenendosi alle indicazioni individuate con il decreto. Previa istruttoria di una apposita commissione istituita presso il MUR[70], il Ministro individua i progetti ammessi al cofinanziamento e procede alla ripartizione dei fondi con un piano a carattere triennale. Le somme attribuite con il piano sono effettivamente erogate sulla base degli stati di avanzamento dei lavori, secondo i tempi e le modalità previsti nei progetti. Il piano prevede anche le modalità di revoca dei finanziamenti concessi nel caso in cui non siano rispettate le scadenze previste nei progetti presentati per il cofinanziamento e l’assegnazione dei finanziamenti stessi a progetti ammessi con riserva.
Da ultimo, è intervenuto il DM 29 novembre 2016, n. 937, con il quale è stato emanato il c.d. IV bando, che, in particolare, ha disposto che:
§ potevano presentare richiesta di cofinanziamento: regioni; organismi regionali di gestione per il diritto allo studio universitario; organismi e aziende regionali per l'edilizia residenziale pubblica; università statali, ad esclusione delle università telematiche, e loro enti strumentali aventi personalità giuridica, ovvero fondazioni universitarie di cui all'art. 59, co. 3, della L. 388/2000; università non statali legalmente riconosciute, ad esclusione delle università telematiche, e loro enti strumentali aventi personalità giuridica, ovvero fondazioni e associazioni senza scopo di lucro promotrici delle suddette università e ad esse stabilmente collegate; istituzioni AFAM e loro enti strumentali aventi personalità giuridica; collegi universitari legalmente riconosciuti; cooperative di studenti il cui statuto preveda tra gli scopi la costruzione e/o la gestione di strutture residenziali universitarie; organizzazioni non lucrative di utilità sociale provviste di riconoscimento giuridico, il cui statuto preveda tra gli scopi la costruzione e/o la gestione di strutture residenziali universitarie; fondazioni e istituzioni senza scopo di lucro con personalità giuridica, di diritto italiano o europeo, il cui statuto preveda tra gli scopi l'housing sociale e/o la costruzione e/o la gestione di strutture residenziali universitarie;
§ sono ammissibili al cofinanziamento:
- A1) interventi di manutenzione straordinaria, recupero, ristrutturazione edilizia ed urbanistica, restauro, risanamento, all'interno dei quali possono essere comprese operazioni di abbattimento delle barriere architettoniche e adeguamento alle vigenti disposizioni in materia antisismica e di igiene e sicurezza, di immobili adibiti o da adibire a strutture residenziali universitarie, nell'ambito dei quali è obbligatorio effettuare interventi di efficientamento e/o miglioramento energetico, ove non si attesti che l'immobile risulti essere già stato oggetto di tali ultimi interventi;
- A2) interventi di efficientamento e/o miglioramento energetico di strutture residenziali universitarie;
- B) interventi di nuova costruzione o ampliamento di strutture residenziali universitarie;
- C) acquisto di edifici da adibire a strutture residenziali universitarie[71].
Lo stesso art. 1 della L. 338/2000 ha, altresì, disposto che gli alloggi e le residenze hanno la finalità di ospitare gli studenti universitari – con priorità per quelli capaci e meritevoli privi di mezzi – ma anche quella di offrire agli altri iscritti alle università servizi di supporto alla didattica e alla ricerca e attività culturali e ricreative. A tal fine, la definizione degli standard minimi qualitativi degli interventi, nonché le linee guida relative ai parametri tecnici ed economici per la loro realizzazione è stata affidata ad un decreto del Ministro dell’università e della ricerca, da emanare sentiti il Ministro dei lavori pubblici e la Conferenza Stato-regioni.
Da ultimo, è intervenuto il DM 28 novembre 2016, n. 936.
Qui la pagina dedicata sul sito del Ministero.
Sui posti alloggio disponibili, si vedano, da ultimo, i dati presenti nel FOCUS “Il Diritto allo Studio Universitario nell’anno accademico 2019-2020”, edito dal Ministero ad aprile 2021.
In particolare, il comma 8, al fine di innalzare la quota massima di cofinanziamento statale (dal 50) al 75% del costo totale dell’intervento, novella l’art. 1, co. 2, della L. 338/2000.
Il comma 9 dispone che agli oneri derivanti si fa fronte con le risorse previste per l’attuazione di progetti compresi nel PNRR e che, pertanto, l’efficacia delle disposizioni resta subordinata alla definitiva approvazione del medesimo PNRR da parte del Consiglio dell’Unione europea.
La relazione illustrativa fa presente, infatti, che la proposta nasce dalla necessità di attuare la misura del PNRR indicata al M4C1.1 Miglioramento qualitativo e ampliamento quantitativo dei servizi di istruzione e formazione e, segnatamente, “Investimenti 1.7” – rectius: “Intervento di riforma 1.7” –: Alloggi per gli studenti e riforma della legislazione sugli alloggi per studenti.
Sottolinea, inoltre, che, aumentando la quota di cofinanziamento dal 50% al 75%, si determina un ampliamento delle possibilità di coinvolgimento degli investitori privati che, soprattutto in alcune aree svantaggiate del Paese, non hanno aderito finora ai bandi promossi ai sensi della L. 338/2000.
Al riguardo, si ricorda che il PNRR trasmesso alla Commissione europea il 4 maggio 2021 destina all’intervento di riforma 1.7 € 960 mln, attribuiti a titolo di prestito, di cui € 40 mln nel 2022, € 160 mln nel 2023, € 320 mln nel 2024, € 280 mln nel 2025, € 160 mln nel 2026.
L’obiettivo dell’intervento è quello triplicare i posti per gli studenti fuorisede, portandoli da 40.000 a oltre 100.000 entro il 2026.
L'articolo 65 prevede alcune modifiche all'articolo 12 del decreto-legge n. 109 del 2018 con l'obiettivo di definire meglio le competenze e le attività dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali (ANSFISA), eliminando possibili profili di interferenza o sovrapposizioni con le attività svolte dagli enti gestori o concessionari, dal Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili, in qualità di concedente, nonché dalla Commissione permanente per le gallerie, istituita presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici.
In particolare, si prevede che, fermi i compiti, gli obblighi e le responsabilità degli enti proprietari e dei soggetti gestori in materia di sicurezza, l'Agenzia promuove e assicura la vigilanza sulle condizioni di sicurezza del sistema ferroviario nazionale e delle infrastrutture stradali e autostradali, sia direttamente sulla base dei programmi di cui alla lettera a) del comma 4 del citato decreto-legge n. 109 del 2018, sia nelle forme e secondo le modalità indicate nei successivi commi da 3 a 5 del decreto stesso.
Nel complesso le modifiche normative, come accennato in precedenza, intervengono per meglio precisare e definire le funzioni già attribuite a legislazione vigente alla citata Agenzia, con riferimento alla sicurezza delle infrastrutture stradali e autostradali, fermi restando i compiti e le responsabilità dei soggetti gestori.
Si tratta, in particolare, delle seguenti principali attività:
1) esercizio dell'attività ispettiva finalizzata alla verifica dell’attività di manutenzione svolta dai gestori, nonché l'attività ispettiva e di verifica a campione sulle infrastrutture, obbligando i gestori a mettere in atto le necessarie misure di controllo del rischio, in quanto responsabili dell'utilizzo sicuro delle infrastrutture, nonché all’esecuzione dei necessari interventi di messa in sicurezza, dandone comunicazione al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili ed alla Commissione permanente per le gallerie di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 5 ottobre 2006, n. 264, per le valutazioni e le eventuali iniziative di competenza;
2) promozione dell’adozione da parte dei gestori delle reti stradali ed autostradali di Sistemi di Gestione della Sicurezza per le attività di verifica e manutenzione delle infrastrutture certificati da organismi di parte terza riconosciuti dall'Agenzia;
3) tenuta dell’elenco dei soggetti che possono effettuare i controlli della sicurezza stradale;
4) classificazione dei tratti ad elevata concentrazione di incidenti, nonché classificazione della sicurezza della rete esistente, anche al fine di definire, con proprio provvedimento, criteri e modalità per l’applicazione delle misure di sicurezza;
5) effettuazione, in attuazione del programma annuale di attività, anche sulla base delle segnalazioni effettuate dal Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili o di altre pubbliche amministrazioni, delle ispezioni di sicurezza anche compiendo verifiche sulle attività di controllo già svolte dai gestori eventualmente effettuando ulteriori verifiche in sito;
6) adozione delle misure di sicurezza temporanee da applicarsi ai tratti di rete stradale interessati da lavori stradali, fissando le modalità di svolgimento delle ispezioni volte ad assicurare la corretta applicazione delle stesse;
7) proposta al Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili dell'adozione del piano nazionale per l'adeguamento e lo sviluppo delle infrastrutture stradali e autostradali nazionali ai fini del miglioramento degli standard di sicurezza, da sviluppare anche attraverso il monitoraggio sullo stato di conservazione e sulle necessità di manutenzione delle infrastrutture stesse.
Si prevede, infine, che l’Agenzia adotti, entro il 31 dicembre di ciascun anno, il programma delle attività di vigilanza sulle condizioni di sicurezza delle infrastrutture stradali e autostradali, da espletarsi nel corso dell’anno successivo, dandone comunicazione al Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile ed alla Commissione permanente per le gallerie di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 5 ottobre 2006, n. 264.
Inoltre si prevede che relativamente alle attività dell’anno 2021, il citato programma è adottato entro il 31 agosto 2021.
Da ultimo si dispone che entro il 31 gennaio di ciascun anno, l’Agenzia trasmette al Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibile e alle competenti Commissioni parlamentari una relazione sulle attività svolte nel corso dell’anno precedente.
L’articolo 66, comma 1, proroga al 31 maggio 2022 (precedentemente 31 maggio 2021) il termine entro il quale gli enti del Terzo settore possono modificare i propri statuti con le modalità e le maggioranze previste per le deliberazioni dell'assemblea ordinaria, al fine di adeguarli alle nuove disposizioni introdotte dal Codice del terzo settore,
Pertanto, entro la data del 31 maggio 2022, ODV (Organizzazioni di Volontariato), ed APS (Associazioni di Promozione Sociale), iscritte nei rispettivi registri, dovranno verificare l'adeguatezza del proprio statuto ed apportare le relative modifiche con le modalità previste per l’assemblea ordinaria (anziché straordinaria), al fine di rendere gli statuti conformi alla disciplina del Codice del Terzo settore (D. Lgs. 117/2017). Per le Onlus, si ricorda che la relativa disciplina sarà definitivamente abrogata solo a partire dal periodo di imposta successivo a quello in cui sarà operativo il Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS) e a quello in cui la Commissione europea avrà dato la propria autorizzazione al nuovo regime fiscale del Terzo settore. Nel periodo transitorio, un ente iscritto all'anagrafe Onlus potrà continuare ad applicare le disposizioni fiscali contenute nel D. Lgs. n. 460 del 1997. Si ricorda inoltre che, nel caso in cui una Onlus decida di non iscriversi al RUNTS, dovrà devolvere il proprio patrimonio, mentre l'iscrizione al RUNTS le permetterà di entrare a far parte degli enti del Terzo settore (ETS) senza soluzione di continuità con la vecchia qualifica e di mantenere l'intero patrimonio detenuto, continuando a perseguire i propri fini con la nuova qualifica di ETS.
In via generale si rammenta che il Codice del Terzo settore prescrive l'obbligo, per gli enti qualificati nello statuto come ETS, di iscriversi nel RUNTS e di indicare gli estremi dell'iscrizione negli atti, nella corrispondenza e nelle comunicazioni al pubblico. L'iscrizione al RUNTS dà diritto ad accedere alle agevolazioni previste per il Terzo settore e dà la possibilità di stipulare convenzioni con le amministrazioni pubbliche per lo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale.
Il decreto 15 settembre 2020, istitutivo del RUNTS, ha definito le procedure di iscrizione degli enti, le modalità di deposito degli atti, le regole per la predisposizione, la tenuta e la conservazione del Registro. Il RUNTS, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ma gestito su base territoriale da ciascuna Regione e Provincia autonoma, non è ancora operativo. Si sottolinea che la proroga in esame non ha alcun effetto sull’avvio della operatività del Registro, in quanto, come sottolineato dalla Relazione illustrativa, ha esclusivamente la finalità di concedere agli ETS maggior tempo per l’adeguamento in modalità semplificata dei loro statuti.
Il comma 2 dell'articolo 66 integra la disciplina in materia di "Carta europea della disabilità in Italia". Le nuove disposizioni sono intese a circoscrivere l'ambito delle informazioni, relative al soggetto titolare della Carta, accessibili, per i soggetti erogatori di beni o servizi, tramite la Carta medesima.
Si ricorda che la Carta in esame è stata introdotta dall'articolo 1, comma 563, della L. 30 dicembre 2018, n. 145, e dal relativo D.P.C.M. attuativo del 6 novembre 2020[72]. La Carta è intesa ad agevolare l’accesso a benefìci, supporti ed opportunità utili alla promozione dei diritti delle persone con disabilità (con possibili agevolazioni anche in altri Paesi che riconoscano la Carta). Il suddetto D.P.C.M. del 6 novembre 2020 ha definito i criteri per il rilascio della Carta nonché le modalità per l’individuazione degli aventi diritto e per la realizzazione e la distribuzione della stessa a cura dell’INPS[73].
Il presente comma 2 dell'articolo 66 - novellando il citato comma 563 - prevede, in primo luogo, che l'INPS consenta ai soggetti erogatori di beni o servizi in favore delle persone con disabilità l'accesso, attraverso lo strumento della Carta e su richiesta dell'interessato, alle informazioni - strettamente necessarie per le finalità in oggetto - contenute nei verbali di accertamento dello stato invalidante. La novella, inoltre, demanda all'INPS di individuare, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, la tipologia di dati soggetti al trattamento, le operazioni eseguibili - necessarie al funzionamento della Carta e all'accesso alle predette informazioni - nonché le misure per garantire la tutela dei diritti fondamentali dell'interessato.
Riguardo ai summenzionati verbali di accertamento, la novella fa riferimento - mediante il richiamo della L. 15 ottobre 1990, n. 295 - a quelli delle commissioni mediche (costituite presso le aziende sanitarie locali) competenti per l'accertamento delle invalidità civili o della condizione di handicap. Si consideri l'opportunità di valutare se tale riferimento sia esaustivo, in quanto l'ambito dei soggetti che possono richiedere la Carta concerne anche altre categorie[74].
Le novelle in esame - come rileva la relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del presente decreto[75] - sono intese a recepire alcune osservazioni espresse dal Garante per la protezione dei dati personali, in sede di valutazione dello schema di convenzione (attuativa della Carta) tra la Presidenza del Consiglio dei ministri-Ufficio per le politiche in favore delle persone con disabilità, l'INPS e l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato.
Si ricorda che, in base all'articolo 2 del citato D.P.C.M. del 6 novembre 2020, hanno diritto a richiedere la Carta: gli invalidi civili (di qualsiasi età); i portatori di handicap grave; i ciechi civili; i sordi civili; gli invalidi al lavoro; gli invalidi sul lavoro; i soggetti aventi alcune delle minorazioni contemplate dalle norme sui trattamenti di guerra.
Il medesimo D.P.C.M. prevede che la produzione della Carta spetti all'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (ad esso la produzione della singola Carta è affidata da parte dell'INPS, dopo che quest'ultimo abbia verificato la sussistenza dei requisiti del richiedente).
L'articolo 67 dispone che il decreto-legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il decreto-legge è dunque vigente dal 1° giugno 2021.
L’allegato I introduce, nel testo del Codice dell’ambiente (D.Lgs. 152/2006), il nuovo allegato I-bis alla parte seconda. In tale nuovo allegato sono elencate, come indicato nel titolo dello stesso, le opere, gli impianti e le infrastrutture necessarie al raggiungimento degli obiettivi fissati dal PNIEC che, in virtù dell’art. 17, sono sottoposti all’istruttoria di VIA (valutazione di impatto ambientale) da parte della Commissione tecnica PNRR-PNIEC.
Con il Regolamento (UE) 2018/1999 è stato istituito un sistema di Governance dell'Unione dell'Energia, che mira a pianificare e tracciare le politiche e misure messe in atto dagli Stati Membri dell'UE al fine del raggiungimento degli obiettivi in materia di sicurezza energetica, mercato interno dell’energia, efficienza energetica, decarbonizzazione, nonché ricerca, innovazione e competitività, che rappresentano le 5 dimensioni in cui è articolata la strategia dell’Unione dell’energia. Il meccanismo di governance è basato principalmente sulle strategie a lungo termine e sui piani nazionali integrati per l'energia e il clima (PNIEC) che coprono periodi di dieci anni a partire dal decennio 2021-2030. Nell'ambito di questo inquadramento, il 31 dicembre 2019 è stato inviato alla Commissione il testo definitivo del PNIEC dell'Italia con orizzonte al 2030 (peraltro ora in fase di revisione a seguito dell’innalzamento al 55 per cento degli obiettivi UE di riduzione delle emissioni al 2030), il cui obiettivo è quello di realizzare una nuova politica energetica che assicuri la piena sostenibilità ambientale, sociale ed economica e accompagni tale transizione.
Su tali cinque dimensioni si sviluppa il PNIEC italiano che, come evidenziato nello stesso piano, “condivide l’approccio olistico proposto dal Regolamento Governance, che mira a una strategia organica e sinergica sulle cinque dimensioni dell’energia”.
Per approfondimenti in materia si rinvia alla scheda web Governance europea e nazionale su energia e clima.
L’elenco delle opere, degli impianti e delle infrastrutture necessarie al raggiungimento degli obiettivi fissati dal PNIEC, recato dall’allegato I-bis, è organizzato secondo le dimensioni dell’Unione dell’energia.
1 Dimensione della decarbonizzazione
Rientrano in tale dimensione: le infrastrutture per il phase out della generazione elettrica alimentata a carbone (1.1); i nuovi impianti per la produzione di energia e vettori energetici da fonti rinnovabili, residui e rifiuti, nonché ammodernamento, integrali ricostruzioni, riconversione e incremento della capacità esistente, relativamente alla generazione di energia elettrica e termica nonché alla produzione di carburanti sostenibili (1.2); infrastrutture e impianti per la produzione, il trasporto e lo stoccaggio di idrogeno (1.3); altre opere funzionali alla decarbonizzazione del sistema energetico e dell'industria (1.4).
2 Dimensione dell'efficienza energetica
Rientrano in tale dimensione: la riqualificazione energetica profonda di zone industriali o produttive, aree portuali, urbane e commerciali (2.1); reti di telecalore/teleriscaldamento/teleraffrescamento (2.2); impianti di Cogenerazione ad Alto Rendimento (2.3); impianti di recupero di calore di scarto (2.4).
3 Dimensione della sicurezza energetica
Rientrano in tale dimensione:
- per il settore elettrico (3.1): lo sviluppo della rete di trasmissione nazionale; la riqualificazione delle reti di distribuzione; lo sviluppo della capacità di accumulo elettrochimico e pompaggio;
- per il settore del gas (3.2): il miglioramento della flessibilità della rete nazionale e regionale di trasporto e ammodernamento delle stesse reti finalizzato all' aumento degli standard di sicurezza e controllo; impianti per l'integrazione delle fonti di gas rinnovabili attraverso l'utilizzo delle infrastrutture esistenti del sistema gas per il relativo trasporto/stoccaggio/distribuzione; impianti per la diversificazione della capacità di importazione; infrastrutture di stoccaggio/trasporto/distribuzione di GNL e GPL e impianti di liquefazione di GNL;
- per il settore dei prodotti petroliferi (3.3): interventi per la riconversione delle raffinerie esistenti e nuovi impianti per la produzione di prodotti energetici derivanti da fonti rinnovabili, residui e rifiuti, nonché l'ammodernamento e l'incremento della capacità esistente anche finalizzata alla produzione di carburanti rinnovabili non biologici o da carbonio riciclato; interventi di decommissioning delle piattaforme di coltivazione di idrocarburi ed infrastrutture connesse.
[1] Il 30 aprile 2021 il PNRR dell'Italia è stato ufficialmente trasmesso dal Governo alla Commissione europea (e, subito dopo, al Parlamento): per approfondimenti sul testo del PNRR si rinvia all’apposito dossier dei Servizi studi di Camera e Senato. Per un quadro del percorso istituzionale, con particolare riferimento al ruolo del Parlamento, che ha portato alla elaborazione del PNRR, si rinvia all’apposito tema web pubblicato sul sito della Camera dei deputati.
[2] Il Piano nazionale per gli investimenti complementari, di cui all'articolo 1 del decreto legge 6 maggio 2021, n. 59, è stato costituito al fine di integrare, con risorse nazionali, gli interventi del PNRR. Il Piano è stato dotato di complessivi 30,6 miliardi di euro per gli anni dal 2021 al 2026. Per una analisi dettagliata degli interventi ricompresi nel Piano si rinvia al dossier di documentazione predisposto dai Servizi Studi di Camera e Senato del 18 maggio 2021.
[3] Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima, recepisce le novità contenute nel decreto legge “Clima” (D.L. 111/2019) nonché quelle sugli investimenti per il Green New Deal previste nella Legge di Bilancio 2020 (L. 160/2019). Nel PNIEC, inviato alla Commissione europea in attuazione del Regolamento (UE) 2018/1999, vengono stabiliti gli obiettivi nazionali al 2030 sull’efficienza energetica, sulle fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di CO2, nonché gli obiettivi in tema di sicurezza energetica, interconnessioni, mercato unico dell’energia e competitività, sviluppo e mobilità sostenibile, delineando per ciascuno di essi le misure che saranno attuate per assicurarne il raggiungimento.
[4] Sono presenti (al momento di pubblicazione del presente fascicolo) quatto Sottosegretari alla Presidenza del Consiglio: con le funzioni di segretario del Consiglio dei ministri; affari europei; informazione ed editoria; coordinamento della politica economica.
[5] La disposizione richiama l'articolo 7, comma 4, del decreto legislativo n. 303 del 1999 recante l'ordinamento della Presidenza del Consiglio, secondo cui "il Presidente del Consiglio, con propri decreti, individua gli uffici di diretta collaborazione propri e, sulla base delle relative proposte, quelli dei Ministri senza portafoglio o sottosegretari della Presidenza, e ne determina la composizione".
[6] Per dettagli sul contenuto del regolamento, si rinvia alla Nota UE n. 67/1, pubblicata dal Servizio studi del Senato della Repubblica nel febbraio 2021.
[7] Per dettagli sul contenuto del regolamento, si rinvia alla Nota UE n. 67/1, pubblicata dal Servizio studi del Senato della Repubblica nel febbraio 2021.
[8] Sul Servizio centrale per il PNRR si veda l’articolo 6 (e la relativa scheda nel presente dossier).
[9] L’articolo 24 del Regolamento (UE) 2021/241 detta disposizioni concernenti il pagamento, la sospensione e la risoluzione degli accordi riguardanti i contributi finanziari e i prestiti; il comma 2, in particolare, dispone che dopo aver raggiunto i traguardi e gli obiettivi concordati e indicati nel piano per la ripresa e la resilienza, lo Stato membro presenta alla Commissione una richiesta debitamente motivata relativa al pagamento del contributo finanziario e, se del caso, del prestito. Gli Stati membri possono presentare alla Commissione tali richieste di pagamento due volte l'anno
[10] L'articolo 1, comma 1043, della legge n.178/2020 (legge di bilancio per il 2021), al fine di supportare le attività di gestione, di monitoraggio, di rendicontazione e di controllo delle componenti del Next Generation EU, prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze - Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, sviluppi e renda disponibile un apposito sistema informatico (senza, peraltro, indicare un termine).
[11] In proposito si veda l’articolo di G. Ruberto, “La disciplina degli affidamenti in house nel d.lgs. n. 50/2016, tra potestà legislativa statale e limiti imposti dall’ordinamento dell’Unione europea” sulla rivista online www.federalismi.it del 24 febbraio 2021.
[12] Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica
[13] Lettera l) del comma 703, della legge 190/2014.
[14] Ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
[15] Ovvero gli enti di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 118 del 2011, il quale disciplina l’armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi.
[16] Si ricorda che l’articolo 34-bis della legge di contabilità e finanza pubblica reca la disciplina in materia di conservazione in bilancio dei residui passivi e di eliminazione dei residui stessi dal conto del bilancio. In particolare, il comma 3 riguarda il mantenimento in bilancio delle somme stanziate per spese in conto capitale non impegnate alla chiusura dell'esercizio (c.d. residui di stanziamento). Mentre le somme di parte corrente non impegnate alla chiusura dell’esercizio di competenza sono registrate in economia, per gli stanziamenti in conto capitale è autorizzata in via generale la conservazione in bilancio anche se entro la fine dell’esercizio finanziario tali spese non sono state impegnate. Il loro mantenimento in bilancio è autorizzato nei limiti di un solo anno successivo all’esercizio di iscrizione in bilancio. Per gli stanziamenti iscritti in bilancio in forza di disposizioni legislative che siano entrate in vigore nell'ultimo quadrimestre dell'esercizio finanziario, il periodo di conservazione è protratto di un ulteriore anno.
Il comma 4 riguarda il mantenimento in bilancio dei residui propri delle spese in conto capitale. Per i residui propri relativi a spese in conto capitale, i termini di conservazione in bilancio sono fissati a tre anni. Decorsi i suddetti termini, i residui si intendono perenti agli effetti amministrativi, e sono eliminati dal conto del bilancio. Poiché a tali residui continuano a sottostare i relativi impegni giuridici di spesa, il relativo importo viene riscritto come debito nel conto del patrimonio. Le somme eliminate possono riprodursi in bilancio con riassegnazione alle pertinenti unità elementari di bilancio degli esercizi successivi.
[17] Si rammenta che la legge di contabilità prevede una notevole flessibilità degli stanziamenti delle leggi pluriennali di spesa, con l’obiettivo di adeguarne le quote stanziate annualmente alle previsioni del piano finanziario dei pagamenti (c.d. Cronoprogramma dei pagamenti). In particolare, il citato comma 2 dell’articolo 30 prevede che le somme stanziate annualmente nel bilancio dello Stato, relative ad autorizzazioni di spese pluriennali non a carattere permanente non impegnate alla chiusura dell'esercizio possono, in alternativa al loro mantenimento in bilancio come residuo di stanziamento, essere reiscritte, con la legge di bilancio, nella competenza degli esercizi successivi in relazione a quanto previsto nel piano finanziario dei pagamenti, dandone evidenza in apposito allegato.
[18] Ovvero, per impianti con potenza termica installata pari o superiore ai 300 MW, dal Ministero dello sviluppo economico.
[19] Per gli impianti offshore l'autorizzazione è rilasciata dal Ministero dei trasporti, sentiti il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e, con le modalità di cui al comma 4 del medesimo articolo 12, previa concessione d'uso del demanio marittimo da parte della competente autorità marittima.
[20] In particolare, confermano che il procedimento unico si svolge tramite conferenza di servizi, nell'ambito della quale confluiscono tutti gli apporti amministrativi necessari per la costruzione e l'esercizio dell'impianto, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili (punto 14.1).
[21] La questione è posta, di norma, all'ordine del giorno della prima riunione del Consiglio dei ministri successiva alla scadenza del termine per raggiungere l'intesa. Alla riunione del Consiglio dei ministri possono partecipare i Presidenti delle regioni o delle province autonome interessate.
[22] Gli articoli 24 -33 del decreto legislativo n. 28/2011, di recepimento della Direttiva 2009/28/UE cd. RED I, da ultimo modificati dall’articolo 56 del D.L. n. 76/2020, definiscono le modalità e i criteri per l’incentivazione dell’energia elettrica da fonte rinnovabile, rinviando, in particolare:
· al comma 5 e 6, a decreti interministeriali (del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare– ora del MITE- e, per i profili di competenza con il Ministro delle politiche agricole e forestali, sentite l’ARERA e la Conferenza Unificata), la definizione delle modalità per l’attuazione dei sistemi di incentivazione, nel rispetto dei criteri individuati dallo stesso articolo.
· al comma 7, all’ARERA la definizione delle modalità attraverso le quali le risorse per l'erogazione degli incentivi, trovano copertura nel gettito della componente A3 – ora Asos - delle tariffe dell'energia elettrica.
Dunque, in virtù dell’articolo 24, i cui principi e criteri sono di derivazione comunitaria, sono stati adottati, nel corso degli anni una serie di decreti interministeriali di sostegno alle FER elettriche. Quanto al fotovoltaico, si rammenta, in particolare, il cd. “Conto energia” (cfr., in particolare, il D.M. 5 luglio 2012, cd. V° Conto energia), il cui accesso si è però esaurito nel 2013 per raggiungimento del costo indicativo cumulato annuo degli incentivi “Conto energia” di 6,7 miliardi di euro. Gli impianti fotovoltaici non possono quindi più accedere a questa forma di incentivazione, la quale comunque continua ad essere erogata a quegli impianti che, nei tempi consentiti, vi avevano avuto accesso.
Attualmente, le procedure di accesso sono ancora in corso per il D.M. 4 luglio 2019, cd. FER 1, in vigore dal 10 agosto 2019, che ha introdotto nuovi meccanismi d'incentivazione per gli impianti fotovoltaici di nuova costruzione, eolici on-shore, idroelettrici e a gas di depurazione.
[23] Il D.M. 4 luglio 2019 (cd. FER 1) ha rinnovato i preesistenti meccanismi di incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti alimentati da fonti rinnovabili (D.M. 6 luglio 2012 e D.M. 23 giugno 2016), introducendo per la prima volta in Italia un sistema di competizione tecnologicamente neutrale. In particolare, il decreto individua, in funzione della fonte, della tipologia d'impianto e della categoria d'intervento, quattro differenti gruppi:
· gruppo A, al quale appartengono gli impianti: eolici on shore di nuova costruzione, integrale ricostruzione, riattivazione o potenziamento; fotovoltaici di nuova costruzione;
· gruppo A-2, al quale appartengono gli impianti fotovoltaici di nuova costruzione, i cui moduli sono installati in sostituzione di coperture di edifici e fabbricati rurali su cui è operata la completa rimozione dell'eternit o dell'amianto;
· gruppo B, al quale appartengono gli impianti: idroelettrici di nuova costruzione, integrale ricostruzione (esclusi gli impianti su acquedotto), riattivazione o potenziamento; a gas residuati dei processi di depurazione di nuova costruzione, riattivazione o potenziamento;
· gruppo C, al quale appartengono gli impianti oggetto di rifacimento: eolici on shore; idroelettrici; a gas residuati dei processi di depurazione.
Per ciascun gruppo sono previsti distinti contingenti di potenza incentivabile, da assegnare con sette successive procedure competitive di registro o asta, sulla base di specifici criteri di priorità o del ribasso sul livello di incentivazione offerto dagli operatori in sede di partecipazione alla singola procedura.
[24] Ai sensi del secondo periodo del comma 3, secondo periodo, gli interventi diversi dalla modifica sostanziale, anche relativi a progetti autorizzati e non ancora realizzati, sono assoggettati alla procedura abilitativa semplificata di cui all’articolo 6, fatta salva l’applicabilità della procedura semplificata di Dichiarazione di inizio lavori asseverata.
[25] Sono soggetti a regime di comunicazione gli impianti compatibili con il regime di Scambio sul Posto (SSP) che non alterano i volumi, le superfici, le destinazioni l'uso, il numero delle unità immobiliari, non implicano incremento dei parametri urbanistici e non riguardano le parti strutturali dell'edificio. Cfr. sito GSE.
[26] Con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi.
[27] "Attuazione della direttiva (UE) 2018/851 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti e attuazione della direttiva (UE) 2018/852 che modifica la direttiva 1994/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio".
[28] Le funzioni dei Comitati forestali sono state trasferite ai Consigli provinciali dell'economia, indi alle Camere di commercio e infine alle regioni.
[29] Tale trasferimento era stato già disposto dall'articolo 10, comma 6, della L. 183/1989, successivamente abrogata dal d.lgs. 152/2006.
[30] In merito, si ricorda, in primo luogo, la proposta della Commissione europea di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio COM/2021/130 final, "su un quadro per il rilascio, la verifica e l'accettazione di certificati interoperabili relativi alla vaccinazione, ai test e alla guarigione per agevolare la libera circolazione durante la pandemia di COVID-19 (certificato verde digitale)" (la proposta è stata presentata dalla Commissione il 17 marzo 2021). Complementare a tale proposta è la proposta della Commissione europea di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio COM(2021) 140 final, "su un quadro per il rilascio, la verifica e l'accettazione di certificati interoperabili relativi alla vaccinazione, ai test e alla guarigione per i cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti o regolarmente residenti nel territorio degli Stati membri durante la pandemia di COVID-19 (certificato verde digitale)" (anche tale proposta è stata presentata dalla Commissione il 17 marzo 2021).
Il 20 maggio 2021 il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno raggiunto, riguardo alle proposte in esame, un accordo. Il testo di compromesso si differenzia dalle proposte della Commissione per alcuni elementi; riguardo a questi ultimi, in particolare, si ricorda che: è stata accolta la dicitura, proposta dal Parlamento europeo, di "certificato Covid-19 dell'Ue", in luogo di "certificato verde digitale"; la disciplina in esame resterà in vigore per 12 mesi (a decorrere dal 1° luglio 2021); per le eventuali restrizioni (quarantena o esecuzione di un test) adottate dagli Stati membri e valide anche per gli ingressi di viaggiatori in possesso di un certificato, si prevede che lo Stato membro pubblichi tali misure almeno 24 ore prima dell'entrata in vigore delle stesse; i Paesi dell'Unione dovranno accettare i certificati di vaccinazione rilasciati in altri Stati membri a persone a cui sia stato somministrato un vaccino autorizzato dall'Ema (spetterà ai Paesi dell'Unione decidere se accettare anche i certificati delle vaccinazioni effettuate con gli altri prodotti, utilizzati in base alle procedure di autorizzazione di emergenza nazionali o rientranti in quelli elencati dall'Oms per uso di emergenza); i cittadini i cui certificati siano stati rilasciati prima del 1º luglio 2021 potranno viaggiare all'interno dell'Unione, utilizzando tali certificati, per un periodo di sei settimane (articolo 14).
[32] Società il cui capitale è controllato per intero dal Ministero dell'economia e delle finanze.
[33] Riguardo al suddetto punto di accesso, cfr. l'articolo 64-bis del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni.
[34] Applicazione per il tracciamento di contatti tra persone e che fa riferimento ad una piattaforma istituita presso il Ministero della salute. Riguardo a tale applicazione, cfr. l'articolo 6 del D.L. 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 giugno 2020, n. 70, e successive modificazioni.
[35] Anagrafe istituita dal D.M. 17 settembre 2018. Si ricorda che essa è alimentata dalle corrispondenti anagrafi regionali (o delle province autonome).
[36] Ai sensi dell'articolo 34-ter, comma 5, della L. 31 dicembre 2009, n. 196.
[37] Si ricorda che i residui passivi consistono nelle somme già impegnate (sotto il profilo contabile) e non ancora spese (in termini di cassa) e che essi sono soggetti a perenzione qualora il pagamento non si verifichi.
[38] In base a tale disposizione, devono essere pubblicati nella richiamata sezione "Amministrazione trasparente" del profilo del committente tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle procedure per l'affidamento di appalti pubblici di servizi, forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici di progettazione, di concorsi di idee e di concessioni, alla composizione della commissione giudicatrice e ai curricula dei suoi componenti ove non considerati riservati ovvero secretati ai sensi della normativa vigente.
[39] Si ricorda che in base a quanto riportato nel PNRR nel periodo 2024-2026 si attende un incremento pari al 3,2 per cento dell’occupazione giovanile e al 4 per cento di quella femminile.
[40] Si tratta delle attività di estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti; confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume; noli a freddo di macchinari; fornitura di ferro lavorato; noli a caldo; autotrasporti per conto di terzi; guardiania dei cantieri; servizi funerari e cimiteriali; ristorazione, gestione delle mense e catering; servizi ambientali, comprese le attività di raccolta, di trasporto nazionale e transfrontaliero, anche per conto di terzi, di trattamento e di smaltimento dei rifiuti, nonché le attività di risanamento e di bonifica e gli altri servizi connessi alla gestione dei rifiuti.
[41] Le eccezioni previste riguardano: i casi di affidamento a contraente generale, finanza di progetto, affidamento in concessione, partenariato pubblico privato, contratto di disponibilità, locazione finanziaria, nonché delle opere di urbanizzazione a scomputo.
[42] Le procedure di affidamento, in cui ogni operatore economico interessato può presentare un'offerta, previa pubblicazione di un bando o avviso di indizione di gara (art. 60 del Codice dei contratti pubblici).
[43] Nel 2006, in esito alle disposizioni della legge 5 marzo 1997, n.59, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112 e della legge 11 febbraio 1994, n. 109, con il DPR 27 aprile 2006, n.204, si è provveduto al riordinamento del Consiglio superiore dei lavori pubblici quale Organo di consulenza obbligatorio del Governo e Organo di consulenza facoltativo per le regioni e gli altri enti pubblici competenti in materia di lavori pubblici.
[44] Per dettagli sul contenuto del regolamento, si rinvia alla Nota UE n. 67/1, pubblicata dal Servizio studi del Senato della Repubblica nel febbraio 2021.
[45] Il suddetto Dispositivo costituisce, per quantità di risorse allocate, il maggiore tra gli strumenti finanziari del programma Next Generation EU e, più in generale, il maggiore tra gli strumenti definiti dal Quadro finanziario pluriennale europeo 2021-2027.
[46] Cfr. l'articolo 18, comma 4, lettera i), del regolamento 2021/241/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021.
[47] Per i suddetti interventi di ristrutturazione, nonché, in presenza di particolari condizioni, per gli altri interventi summenzionati, si può ricorrere alla segnalazione certificata di inizio attività - in alternativa al permesso di costruire - ai sensi dell'articolo 23, comma 01, del suddetto testo unico.
[48] Ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione.
[49] Nelle materie di legislazione concorrente spetta (ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione) "alle regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato".
[50] Sentenza depositata il 1° ottobre 2003.
[51] Cfr. l'articolo 9-bis del D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.
[52] "Interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento a situazioni critiche in alcune aree del Mezzogiorno".
[53] Recante "Attuazione dell'articolo 30, comma 9, lettere e), f) e g), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, in materia di procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione delle opere pubbliche, di verifica dell'utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti e costituzione del Fondo opere e del Fondo progetti".
[54] Nel testo previgente, invero, si faceva riferimento "alle strutture portuali ed aeroportuali".
[55] D.L. n. 69 del 2013, art. 9, co. 2: Al fine di non incorrere nelle sanzioni previste dall'ordinamento dell'Unione europea per i casi di mancata attuazione dei programmi e dei progetti cofinanziati con fondi strutturali europei e di sottoutilizzazione dei relativi finanziamenti in caso di inerzia o inadempimento delle amministrazioni pubbliche responsabili degli interventi, il Governo, allo scopo di assicurare la competitività, la coesione e l'unità economica del Paese, esercita il potere sostitutivo ai sensi dell'articolo 120, secondo comma, della Costituzione secondo le modalità procedurali individuate dall'articolo 8 della legge n. 131 del 2003, dagli articoli 5 e 11 della legge n. 400 del 1988, e dalle disposizioni vigenti in materia di interventi sostitutivi finalizzati all'esecuzione di opere e di investimenti nel caso di inadempienza di amministrazioni statali ovvero di quanto previsto dai contratti istituzionali di sviluppo e dalle concessioni nel caso di inadempienza dei concessionari di servizi pubblici, anche attraverso la nomina di un commissario straordinario, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il quale cura tutte le attività di competenza delle amministrazioni pubbliche necessarie per l'autorizzazione e per l'effettiva realizzazione degli interventi programmati, nel limite delle risorse allo scopo finalizzate.
[56] In un secondo momento è stata infatti esclusa esplicitamente la possibilità di procedere ad annullamento di ufficio nei casi di cui all’articolo 21-octies, co. 2, della legge 241/1990, ossia dei provvedimenti che presentino vizi cd. formali o relativi alla mancata comunicazione di avvio del procedimento (tale modifica è stata introdotta dall’art. 25, co. 1, lett. b-quater, D.L. 133/2014).
[57] Il Fondo è allocato sui capp. 7245 e 7345 dello stato di previsione del Ministero dell’università e della ricerca.
[59] Conseguentemente, ha abrogato l'art. 21, co. 3, della L. 240/2010, secondo cui:
· il decreto del Ministro che nomina i componenti del CNGR determinava le indennità spettanti ai suoi componenti;
· la spesa per il funzionamento del CNGR e per i compensi relativi alle procedure di selezione e valutazione dei progetti di ricerca era compresa nell'ambito dei fondi riguardanti il finanziamento dei progetti o programmi di ricerca, per un importo massimo non superiore al 3% dei predetti fondi.
[60] L’istituzione della Consulta dei presidenti degli enti pubblici di ricerca – cui partecipano di diritto tutti i presidenti degli enti o loro delegati – è stata prevista dall’art. 8, co. 1-5, del d.lgs. 218/2016. In particolare, la Consulta è convocata dal Presidente ogni qual volta lo ritenga necessario e almeno una volta all'inizio e alla fine di ogni anno per la condivisione e la verifica delle scelte programmatiche annuali generali di ciascun ente e della loro coerenza con il Programma nazionale della ricerca (PNR). Inoltre, essa formula proposte per la redazione, l'attuazione e l'aggiornamento del PNR alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ai Ministeri vigilanti; elabora, per quanto di competenza, proposte alla Presidenza del Consiglio dei ministri sulle tematiche inerenti la ricerca; relaziona periodicamente alla Presidenza del Consiglio dei ministri e ai Ministeri vigilanti sullo stato di attuazione della Carta europea dei ricercatori e del codice di condotta per l'assunzione dei ricercatori.
[61] Il Fondo nazionale per l'innovazione è un soggetto multifondo che opera esclusivamente attraverso metodologie di c.d. Venture Capital secondo modalità dettate con DM 27 giugno 2019.
[63] L’art. 6, co. 5-septies, del D.L. 126/2019 (L. 159/2019) ha incrementato il Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO) di € 96,5 mln per il 2021 al fine – previsto dal co. 5 sexies – dell’assunzione di ricercatori universitari a tempo determinato di tipo B, a decorrere dal 2021, allo scopo attingendo al “Fondo per l'Agenzia nazionale per la ricerca – ANR”.
[64] L’art. 33, co. 1 e 2, del D.L. 41/2021 (L. 69/2021) ha incrementato di € 78,5 mln per il 2021 il “Fondo per le esigenze emergenziali del sistema dell’università, delle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica e degli enti di ricerca”, istituito nello stato di previsione del Ministero dell’università e della ricerca dal D.L. 18/2020 (L. 27/2020) e incrementato, da ultimo, dalla L. di bilancio 2021, allo scopo attingendo al medesimo “Fondo per l'Agenzia nazionale per la ricerca – ANR”.
[65] Le risorse sono appostate sul cap. 7312 dello stato di previsione del MUR. Da ultimo, lo stanziamento relativo al triennio 2019-2021, pari complessivamente a € 3.242.385, è stato ripartito con DM n. 86 del 20 maggio 2020. Qui l’allegato.
[66] Con decreto MIUR 1146 del 13 dicembre 2019 è stata approvata la graduatoria finale. L’autorizzazione all'utilizzo dei contributi pluriennali è stata disposta con decreto interministeriale MUR-MEF n. 657 del 18 settembre 2020. Qui l’allegato.
[67] Con decreto MUR n. 645 del 10 settembre 2020 è stata approvata la graduatoria finale, che indica l’importo massimo dell’investimento finanziabile per ogni istituzione.
[68] Nel prosieguo, l’art. 144, co. 18, della L. 388/2000 ha disposto che gli interventi di cui L. 338/2000 possono essere effettuati anche da fondazioni e istituzioni senza scopo di lucro operanti nel settore del diritto allo studio.
[69] Le risorse sono appostate sul cap. 7273 dello stato di previsione del Ministero dell’università e della ricerca che, in base al DM 30 dicembre 2020, di riparto in capitoli del bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2021 e per il triennio 2021-2023, per il 2021 ha una dotazione pari a € 34,8 mln.
[70] Da ultimo, la Commissione è stata istituita, con durata triennale, con DM 321/2019. Alcuni membri sono stati sostituiti, da ultimo, con DM 158/2021.
[71] Con esclusione dell'acquisto, da parte di cooperative di studenti, organizzazioni non lucrative di utilità sociale e fondazioni di edifici già adibiti a tale scopo.
[72] Il D.P.C.M. è stato emanato di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali, delle infrastrutture e dei trasporti e per i beni e le attività culturali e per il turismo, come previsto dal citato comma 563 (nonché sentito il Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione).
[73] Si ricorda che il citato comma 563 prevede che le caratteristiche tecniche della Carta siano conformi alle indicazioni operative elaborate dalla Commissione europea ai fini del reciproco riconoscimento dello stato di disabilità dei cittadini negli Stati membri dell’Unione europea.
[74] Riguardo ad esse, cfr. infra.
[75] La relazione illustrativa è reperibile nell'A.C. n. 3146.