Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni |
Titolo: | D.L. 53/2019 - Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica |
Riferimenti: | AC N.1913/XVIII |
Serie: | Progetti di legge Numero: 169/1 |
Data: | 19/07/2019 |
Organi della Camera: | Assemblea, I Affari costituzionali, II Giustizia |
Servizio Studi
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Dossier n. 136/1
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Progetti di legge n. 169/1
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D19053a
INDICE
§ Articolo 1 (Misure a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e in materia di immigrazione)
§ Articolo 3 (Modifica all’articolo 51 del codice di procedura penale)
§ Articolo 3-bis (Modifica all’articolo 380 del codice di procedura penale)
§ Articolo 4 (Potenziamento delle operazioni di polizia sotto copertura)
§ Articolo 6 (Modifiche alla legge 22 maggio 1975, n. 152)
§ Articolo 7 (Modifiche al codice penale)
§ Articolo 8-bis (Potenziamento dei presìdi delle forze di polizia)
§ Articolo 9, comma 1 (Protezione dei dati personali)
§ Articolo 9, comma 2 (Proroghe in materia di intercettazioni)
§ Articolo 11 (Disposizioni sui soggiorni di breve durata)
§ Articolo 12 (Fondo di premialità per le politiche di rimpatrio)
§ Articolo 12-bis (Misure urgenti per assicurare la funzionalità del Ministero dell'interno)
§ Articolo 13, comma 1, lett. b) e c) (Disposizioni a tutela degli arbitri)
§ Articolo 14 (Ampliamento delle ipotesi di fermo di indiziato di delitto)
§ Articolo 15 (Disposizioni in materia di arresto in flagranza differita)
§ Articolo 16 (Modifiche al codice penale)
§ Articolo 16-bis (Modifiche al codice penale)
L’articolo 1, che integra l’articolo 11 del decreto legislativo n. 286/1998 (testo unico immigrazione), prevede che il Ministro dell’interno – con provvedimento da adottare di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e informato il Presidente del Consiglio - possa limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale nei seguenti casi:
· per motivi di ordine e sicurezza pubblica;
Si ricorda che la nozione di “sicurezza” è richiamata più volte nella prima parte della Carta costituzionale (art. 13, libertà personale, art. 16, libertà di circolazione, art. 17 libertà di riunione). A sua volta, nell’ambito delle materie di competenza legislativa esclusiva statale, l’endiadi “ordine pubblico e sicurezza” è oggetto dell’art. 117, secondo comma, lett. h) Cost. declinato dalla Corte costituzionale come “materia che attiene alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine pubblico, inteso quale «complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge la civile convivenza nella comunità nazionale»” (ex multis sentenze n. 118 del 2013, n. 35 del 2011, n. 129 del 2009 e n. 108 del 2017). E’ inoltre materia di competenza legislativa esclusiva statale la “sicurezza dello Stato” (art. 117, secondo comma, lett. d) Cost.) ed è richiamata dagli articoli 120 e 126 della Costituzione in materia, rispettivamente, di potere sostitutivo dello Stato e di scioglimento del Consiglio regionale e rimozione del Presidente della giunta.
· quando si concretizzino le condizioni di cui all’articolo 19, paragrafo 2, lettera g), della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del Mare di Montego Bay limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti.
L’articolo 19, paragrafo 2, lettera g) della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982[1], e resa esecutiva dall’Italia con la legge 2 dicembre 1994, n. 689 considera come “pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato” costiero il passaggio di una nave straniera se, nel mare territoriale, la nave è impegnata, tra le altre, in un’attività di carico o scarico di materiali, valuta o persone in violazione delle leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione vigenti nello Stato costiero.
La disposizione in esame richiama nello specifico, ai fini dell’adozione del provvedimento ivi previsto, le violazioni delle leggi di immigrazione vigenti. La relazione illustrativa del decreto-legge evidenzia che tale disposizione è adottata “in una specifica ottica di prevenzione” per impedire il c.d. ‘passaggio pregiudizievole’ o ‘non inoffensivo’ di una specifica nave in relazione alla quale si possano concretizzare, limitatamente alle violazioni delle leggi in materia di immigrazione, le condizioni di cui al citato art. 19, paragrafo 2 della Convenzione di Montego Bay. Viene evidenziato inoltre che l’esercizio delle prerogative che la legge pone in capo al Ministero dell’interno assumono particolare rilievo in un periodo storico “contrassegnato da persistenti e ricorrenti minacce, anche di tipo terroristico internazionale”.
Viene così posto in capo ai rappresentanti dei Dicasteri (informato il Presidente del Consiglio) la determinazione del concretizzarsi delle condizioni di “violazione delle leggi di immigrazione”.
Il decreto legislativo n. 286 del 1998 (testo unico) costituisce il principale corpus normativo in materia di immigrazione, cui si è affiancato negli ultimi anni il D.Lgs. 142 del 2015 (c.d. decreto accoglienza) che ha provveduto al recepimento alle direttive dell’Unione europea n. 32 e n. 33 del 2013 definendo le condizioni e le procedure dell'accoglienza per i richiedenti protezione internazionale.
Il testo unico immigrazione ed il decreto accoglienza sono stati oggetto negli ultimi anni di modifiche ed integrazioni da parte del decreto-legge n. 13/2017, che ha previsto alcuni interventi urgenti in materia di immigrazione, successivamente, della L. n. 47/2017 sui minori stranieri non accompagnati con il correttivo D.Lgs. n. 220/2017 e, nella legislatura in corso, dal decreto-legge n. 113/2018 in materia di sicurezza ed immigrazione.
In particolare, nell’ambito del Capo II del testo unico immigrazione sono disciplinate le misure per il contrasto all’immigrazione clandestina: l’articolo 10 dispone che la polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal testo unico per l'ingresso nel territorio dello Stato. L’art. 10-bis interviene in materia di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, l’art. 10-ter reca norme per l'identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare, l’art. 11 è finalizzato al potenziamento e coordinamento dei controlli di frontiera e l’art. 12 prevede disposizioni contro le immigrazioni clandestine sanzionando in particolare coloro che promuovano, dirigano, organizzino, finanzino o effettuino il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compiano altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato. Il comma 2 specifica che, fermo restando quanto previsto dall'articolo 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato.
L’art. 11 dà in particolare facoltà alle forze dell’ordine operanti nelle zone di confine e in mare di procedere al controllo, alle ispezioni e alle perquisizioni dei mezzi di trasporto nel corso delle operazioni di contrasto dei traffici legati all’immigrazione clandestina, e, in caso di necessità, al sequestro di tali mezzi e degli altri beni eventualmente utilizzati (art. 11, commi 7 e 8, TU).
Un’altra misura, specificatamente rivolta al contrasto dell’immigrazione clandestina via mare, consente alle navi italiane di fermare e ispezionare le navi delle quali si sospetti che siano adibite al traffico di migranti. Esse possono, inoltre, in caso di effettivo coinvolgimento nel traffico illecito, sequestrare e condurre le navi in un porto dello Stato (art. 12, comma 9-bis e seguenti, TU).
L’adozione del provvedimento previsto dalla disposizione in commento è consentito “nell’esercizio delle funzioni di coordinamento previste dall’articolo 11, comma 1-bis, del testo unico immigrazione e nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia”.
Per quanto riguarda l’esercizio delle funzioni di coordinamento il comma 1-bis dell’articolo 11 TU - introdotto dalla L. 189/2002 e richiamato espressamente dalla disposizione del decreto-legge in commento – sono in particolare demandate al Ministro dell’interno:
- l’emanazione delle misure necessarie per il coordinamento unificato dei controlli sulla frontiera marittima e terrestre italiana, sentito, ove necessario, il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica[2];
- la promozione di apposite misure di coordinamento tra le autorità italiane competenti in materia di controlli sull’immigrazione e le autorità europee competenti nella stessa materia in base all’Accordo di Schengen.
Il comma 1 del medesimo articolo 11 inoltre, relativamente ai controlli di frontiera, attribuisce la funzione di controllo delle frontiere al Ministro dell’interno e al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Spetta ai titolari dei due dicasteri adottare, per la rispettiva competenza, il piano generale per il potenziamento e il perfezionamento delle misure di controllo delle frontiere (art. 11, comma 1, TU).
Da ultimo, il Ministro dell’interno ha esercitato la funzione di coordinamento con l’emanazione di una direttiva in data 13 giugno 2019; in precedenza, negli ultimi mesi, erano state adottate le direttive del Ministro dell’Interno del 15 aprile 2019, del 18 marzo 2019, del 28 marzo 2019 e del 4 aprile 2019 sempre in materia di coordinamento unificato dell’attività di sorveglianza delle frontiere marittime e per il contrasto all’immigrazione illegale ex articolo 11 del testo unico immigrazione.
Con tali atti si dispone, in particolare, alle competenti Autorità, destinatarie del provvedimento, di “vigilare” affinché il comandante e la proprietà della nave “si attengano alle vigenti normative nazionali ed internazionali in materia di coordinamento delle attività di soccorso in mare”, “rispettino le prerogative di coordinamento delle Autorità straniere legittimamente titolate ai sensi della vigente normativa internazionale al coordinamento delle operazioni di soccorso in mare nelle proprie acque di responsabilità dichiarate e non contestate dai paesi costieri limitrofi” e non reiterino condotte in contrasto con la vigente normava in materia di soccorso in mare e immigrazione nonché con le istruzioni di coordinamento delle competenti autorità.
Le direttive evidenziano inoltre che il rispetto e la salvaguardia della vita umana in mare comportano l’obbligo di applicare le vigenti normative internazionali, evitando ogni comportamento che concorra alla determinazione di situazioni di rischio per la vita umana e ad incentivare i pericolosi attraversamenti via mare da parte di immigrati. La suddetta attività, svolta con modalità sistematiche, accresce il pericolo di situazioni di rischio per la vita umana in mare e determina, a prescindere dalla configurabilità di ogni altra responsabilità, la violazione delle norme nazionali ed europee in materia di sorveglianza delle frontiere marittime e di contrasto all’immigrazione illegale. Tale attività altresì può determinare rischi di ingresso sul territorio nazionale di soggetti coinvolti in attività terroristiche o comunque pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica, in quanto trattasi nella totalità di cittadini stranieri privi di documenti di identità e la cui nazionalità è presunta sulla base delle rispettive dichiarazioni.
In merito agli “obblighi internazionali dell’Italia”, tale espressione sembra ricomprendere tutti gli obblighi assunti dall’Italia in virtù dell’adesione a trattati internazionali, inclusa l’appartenenza all’Unione europea e, più in generale, la conformità alla normativa internazionale ed ai relativi princìpi generali (art. 10 Cost.).
Tra gli altri può richiamarsi quanto disposto dalla Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (cosiddetta Convenzione SAR), adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979[3] che obbliga gli Stati contraenti a dividere, sulla base di accordi regionali, il mare in zone di propria competenza S.A.R. (soccorso e salvataggio).
A sua volta la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974[4] (cosiddetta Convenzione SOLAS), adottata a Londra il 12 novembre 1974[5], obbliga il comandante di una nave - che sia in posizione tale da poter prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare - a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se è possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione.
La richiamata Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 dispone inoltre che ogni Stato esiga che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l'equipaggio e i passeggeri, presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita e proceda quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo qualora sia a conoscenza del loro bisogno di assistenza, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa (art. 98).
Dal 1° luglio 2006 sono inoltre entrati in vigore per l’Italia gli emendamenti alle Convenzioni SOLAS e SAR, adottati dall’Organizzazione marittima mondiale (International Maritime Organization - IMO). Questi impongono agli Stati competenti per la regione SAR di cooperare nelle operazioni di soccorso e di prendersi in carico i naufraghi individuando e fornendo al più presto, la disponibilità di un luogo di sicurezza (Place of Safety - POS) inteso come luogo in cui le operazioni di soccorso si intendono concluse e la sicurezza dei sopravvissuti garantita[6].
Si ricorda inoltre che nell’ambito dell’Unione europea alla missione Triton è subentrata l’operazione Themis, che opera nel Mediterraneo centrale assistendo l'Italia circa i flussi provenienti da Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Turchia e Albania. L'operazione continua ad occuparsi, come le precedenti missioni, della ricerca e del soccorso dei migranti in mare, ma si concentra anche sul contrasto ad attività criminali e a minacce terroristiche.
Il Governo italiano e l’agenzia Frontex hanno reso noto che la novità più importante nella nuova missione riguarda il fatto che i migranti soccorsi nell’ambito dell’operazione devono essere fatti sbarcare nel porto più vicino al punto in cui è stato effettuato il salvataggio in mare. Themis inoltre continuerà ad occuparsi della ricerca e del soccorso dei migranti in mare ma, allo stesso tempo, avrà un focus rafforzato sulle attività delle forze dell'ordine (Ministero dell’interno, Comunicato del 1° febbraio 2018).
Nell'ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, a partire dal giugno 2015 è attiva l'operazione dell’Unione europea nel Mediterraneo centromeridionale denominata EUNAVFOR MED Sophia, che consiste nell'individuare, fermare ed eliminare imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai passatori o dai trafficanti nel Mediterraneo centromeridionale.
All'operazione sono stati progressivamente assegnati ulteriori compiti di sostegno: formare la guardia costiera e la marina libiche; contribuire all'attuazione dell'embargo dell'ONU sulle armi in alto mare al largo delle coste libiche; svolgere attività di sorveglianza e raccolta di informazioni sul traffico illecito delle esportazioni di petrolio dalla Libia.
Il Governo italiano, ha sollecitato una revisione del piano operativo di EUNAVFOR MED Sophia, nella parte in cui (tramite rinvio alle regole di ingaggio della non più in vigore missione Triton di Frontex) si prevede che lo sbarco di migranti eventualmente soccorsi debba avvenire in porti italiani. Il 29 marzo 2019, il Consiglio dell'UE ha prorogato fino al 30 settembre 2019 il mandato di EUNAVFOR MED operazione SOPHIA. Il Consiglio dell'UE ha precisato che il comandante dell'operazione ha ricevuto istruzioni di sospendere temporaneamente, per motivi operativi, lo spiegamento delle forze navali dell'operazione per la durata di tale proroga, e che gli Stati membri dell'UE continueranno a lavorare, nelle sedi appropriate, a una soluzione al problema degli sbarchi nell'ambito del seguito da dare alle conclusioni del Consiglio europeo di giugno 2018. Il Consiglio ha infine comunicato che l'operazione continuerà ad attuare opportunamente il suo mandato, aumentando la sorveglianza con mezzi aerei e rafforzando il sostegno alla guardia costiera e alla marina libiche nei compiti di contrasto in mare attraverso un monitoraggio potenziato, anche a terra, e continuando la formazione.
Al riguardo, si ricorda che l’Italia partecipa alla missione EUNAVFOR MED - SOPHIA con 520 unità militari per una media annua di 470 unità in funzione dei giorni di impiego. Si prevede, inoltre, l’invio di 1 unità navale e 3 unità aeree.
In relazione alle attività di sostegno alla guardia costiera e alla marina libiche si ricorda, altresì, la Missione di assistenza del personale del Corpo della Guardia di Finanza alla Guardia costiera libica e il dispositivo aeronavale nazionale di sorveglianza e di sicurezza nel Mediterraneo centrale, (cosiddetta “Operazione Mare Sicuro”), comprensivo del supporto alla Guardia costiera libica richiesto dal Consiglio presidenziale - Governo di accordo nazionale libico (GNA) di cui alle schede 23 e 38 dell’allegato n. 1 della richiamata deliberazione del 23 aprile 2019.
Per un approfondimento si rinvia ai seguenti dossier: Autorizzazione e proroga missioni internazionali 2019; La partecipazione italiana alle missioni in Libia.
Si specifica che il Ministro dell’interno, nell’esercitare i nuovi poteri conferitegli dalla disposizione, agisce quale Autorità nazionale di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 1 della legge 1° aprile 1981, n. 121.
La legge 121/1981 (ordinamento dell’amministrazione della pubblica sicurezza), attribuisce al Ministro dell'interno le seguenti funzioni:
- responsabilità della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica;
- autorità nazionale di pubblica sicurezza;
- alta direzione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica;
- coordinamento in materia i compiti e le attività delle forze di polizia (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, Polizia penitenziaria);
- adozione dei provvedimenti per la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica.
L’articolo 1 in esame esclude dall’ambito di applicazione della norma il naviglio militare e le navi in servizio governativo non commerciale.
La medesima esclusione è prevista all’art. 2 del decreto-legge, che reca le sanzioni conseguenti all’inottemperanza alle limitazioni o divieti disposti in base alla norma in commento.
Al riguardo, si ricorda che ai sensi del Codice dell’ordinamento militare (D.Lgs. 66/2010) sono:
• navi militari (art. 239, comma 1), le navi che:
- sono iscritte nel ruolo del naviglio militare, classificate, per la Marina militare, in base alle caratteristiche costruttive e d'impiego, in navi di prima linea, navi di seconda linea e naviglio specialistico e collocate nelle categorie e nelle posizioni stabilite con decreto del Ministro della difesa;
- sono comandate ed equipaggiate da personale militare, sottoposto alla relativa disciplina;
- recano i segni distintivi della Marina militare o di altra Forza armata o di Forza di polizia a ordinamento militare;
• navi da guerra (art. 239, comma 2), navi che appartengono alle Forze armate di uno Stato, che portano i segni distintivi esteriori delle navi militari della sua nazionalità e sono poste sotto il comando di un ufficiale di marina al servizio dello Stato e iscritto nell'apposito ruolo degli ufficiali o in documento equipollente, il cui equipaggio è sottoposto alle regole della disciplina militare;
• navi e galleggianti in servizio governativo non commerciale (art. 281, comma 1, lett. c), navi impiegate in attività d'istituto delle amministrazioni dello Stato, alle quali sono attribuite competenze in materia di: pubblica sicurezza, protezione dagli incendi, protezione dell'ambiente marino, trasporto di mezzi e di personale per la pubblica utilità e per le esigenze dell'amministrazione penitenziaria, intervento in caso di calamità; sperimentazione tecnologica e ricerca scientifica oceanografica o ambientale marina.
La disposizione prevede che il “provvedimento” del Ministro dell’interno sia adottato di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, secondo le rispettive competenze, informandone il Presidente del Consiglio dei ministri.
Si ricorda che l’articolo 12 del testo unico immigrazione disciplina i casi che si verificano in acque territoriali (o nella zona contigua) e quello che si verifica al di fuori di esse.
Nel primo caso (comma 9-bis dell’art. 12 TU), è la nave italiana in servizio di polizia che può fermare la nave sospetta, ispezionarla e, se sono rinvenuti elementi che confermino il coinvolgimento in un traffico di migranti, sequestrarla, conducendola in un porto nazionale. Il successivo comma 9-ter, prevede che le navi della Marina militare (fermo restando l’assolvimento dei loro compiti istituzionali) possano concorrere alle attività di cui al comma 9-bis.
Nel secondo caso (intervento al di fuori delle acque territoriali, comma 9-quater) i medesimi poteri sono posti in capo sia alle navi della Marina militare, sia alle navi in servizio di polizia, e possono essere esercitati a prescindere dalla bandiera battuta dalla nave fermata, purché nei limiti consentiti dalla legge o dal diritto internazionale.
Le modalità di intervento delle navi militari e il raccordo tra le loro attività e quelle svolte dalle navi in servizio di polizia sono rimesse dal comma 9-quinquies a un decreto interministeriale adottato dai ministri dell’interno, della difesa, dell’economia e delle finanze e delle infrastrutture e dei trasporti.
Tale disposizione è stata attuata con l’adozione del decreto del Ministro dell’interno 14 luglio 2003, Disposizioni in materia di contrasto all’immigrazione clandestina. Il decreto affida le attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell’immigrazione clandestina ai mezzi aereonavali della Marina militare, delle Forze di polizia e delle Capitanerie di porto. Alla Marina militare spettano in modo prevalente le attività in acque internazionali, mentre le attività nelle acque territoriali e nelle zone contigue sono attribuite principalmente alle Forze di Polizia (Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di finanza, cui compete il coordinamento in caso di interventi di più corpi). Al Corpo delle capitanerie di porto sono affidati compiti soccorso, assistenza e salvataggio. Il coordinamento di tutte le attività è esercitato dalla Direzione centrale della polizia di frontiera del Ministero dell’interno.
Successivamente, nel luglio 2004, Polizia di Stato, Marina militare, Guardia di finanza e Comando delle capitanerie di porto hanno sottoscritto l’Accordo tecnico operativo per gli interventi connessi con il fenomeno dell’immigrazione clandestina via mare, che stabilisce le procedure da seguire in caso di rilevazioni di natanti sospetti, comprese quelle per determinare il necessario flusso informativo verso una unica sala operativa presso il Dipartimento della pubblica sicurezza (Ministero dell’interno, Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere, Relazione annuale al Parlamento ex art. 3 D.Lgs. 286/1998. Anno 2004 (doc. CCXII, n. 2), p. 13.
Si ricorda, inoltre, che il D.Lgs. 177/2016, recante disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia, all'articolo 2 ha provveduto a disciplinare i compiti delle diverse Forze di polizia nei rispettivi comparti di specialità, attribuendo, tra gli altri, alla Polizia di Stato compiti di sicurezza delle frontiere, e al Corpo della Guardia di finanza funzioni attinenti la sicurezza in mare, facendo salve le attribuzioni assegnate dalla legislazione vigente al Corpo delle capitanerie di porto - Guardia costiera. Tali attribuzioni si riferiscono, quindi, all’assolvimento dei compiti di ordine e sicurezza pubblica e non sono attinenti, invece, alla sicurezza della navigazione e al soccorso in mare, funzioni alle quali è preposta la Guardia costiera.
A questo proposito si ricorda che il Corpo delle Capitanerie di Porto -Guardia Costiera è un Corpo della Marina Militare che svolge compiti e funzioni collegate in prevalenza con l'uso del mare per i fini civili e con dipendenza funzionale da vari ministeri che si avvalgono della loro opera, primo fra tutti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Il Corpo ha un consistenza complessiva di 10592 militari tra ruolo ufficiali (1357), ruolo marescialli (2531), ruolo sergenti (1770), graduati (3132) e truppa (1802). Dispone di circa 600 mezzi navali (compresi battelli e gommoni) dislocati in oltre 113 porti della Penisola e delle isole, 6 pattugliatori d’altura e 330 motovedette alturiere e costiere. Si avvale, inoltre, di 57 operatori subacquei che costituiscono i 5 nuclei subacquei del Corpo e svolgono compiti ad alto contenuto specialistico con particolare riferimento alle attività connesse alla salvaguardia della vita umana in mare.
Per quanto riguarda il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti si ricorda che l’art. 83 del Codice della navigazione, novellato dalla legge 14 marzo 2001, n. 51, prevede che il Ministro delle infrastrutture e trasporti possa limitare o vietare il transito e la sosta di navi mercantili nel mare territoriale, per motivi di ordine pubblico, di sicurezza della navigazione e, di concerto con il Ministro dell’ambiente, per motivi di protezione dell’ambiente marino, determinando le zone alle quali il divieto si estende.
L’esercizio di tale potere in base alla Convenzione UNCLOS, che obbliga gli Stati a esigere che il comandante della nave presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita, non può essere esercitato in maniera discriminatoria.
Tale potere è stato utilizzato in due casi per motivi di protezione ambientale:
- con i D.M. 21.02.2003 e 18 aprile 2003, il Ministro dei trasporti, di concerto con quello dell’Ambiente, ha vietato l’accesso ai porti nazionali alle navi cisterna monoscafo per esigenze di protezione ambientale;
- con i D.M. 2 marzo 2012 e. 30 aprile 2012, il Ministro dei trasporti, di concerto con quello dell’Ambiente, a seguito del sinistro della m/n Costa Concordia, ha vietato la navigazione, l’ormeggio e la sosta delle navi mercantili e passeggeri entro certi limiti di distanza dalle aree marine protette nazionali.
Si ricorda che la relazione illustrativa evidenzia che la modifica disposta dall’articolo 1 “declina con specifico riferimento ai profili che più attengono al fenomeno migratorio via mare, competenze e prerogative che la vigente normativa già attribuisce al Ministro dell’interno in via generale” (…). Si prevede inoltre che il provvedimento sia adottato di concerto con i Ministri della difesa e delle infrastrutture e dei trasporti, informandone il Presidente del Consiglio. L’intervento normativo si rende necessario, indifferibile ed urgente in considerazione dell’evidenza che gli scenari geopolitici internazionali possono rischiare di riaccendere l’ipotesi di nuove ondate di migrazione. Un’eventualità, questa, che comunque non può essere sottovalutata anche in considerazione dell’approssimarsi della stagione estiva che, da sempre, fa registrare il picco massimo di partenze di imbarcazioni cariche di migranti (in cui, peraltro, con maggiore facilità, possono celarsi anche cellule terroristiche)”.
Riforma della guardia di frontiera e costiera europea
Nel settembre del 2018, la Commissione europea ha avviato l’iter legislativo della proposta di regolamento COM(2018)631 relativo alla guardia di frontiera e costiera europea e che abroga l'azione comune n. 98/700/GAI del Consiglio, il regolamento (UE) n. 1052/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (UE) 2016/1624 del Parlamento europeo e del Consiglio.
La nuova disciplina è volta a potenziare il sistema della Guardia di frontiera e costiera europea, tra l'altro, prevedendo in seno all'Agenzia europea omonima (meglio conosciuta con il nome di Frontex) la costituzione di un corpo permanente di 10 mila unità operative, entro il 2020 (termine che il Consiglio dell’UE e il Parlamento europeo hanno convenuto di prorogare al 2027), abilitate a svolgere compiti che implicano competenze esecutive. Il regolamento rafforza inoltre il mandato dell'Agenzia prevedendo un suo maggior coinvolgimento nel sostegno alle procedure di rimpatrio effettuate dagli Stati membri e nella cooperazione con i Paesi terzi interessati.
Il 20 febbraio 2019, il Consiglio ha concordato la sua posizione negoziale sulla proposta della Commissione e, sulla base di tale mandato, il 28 marzo 2019 è stato raggiunto un accordo politico con il Parlamento europeo. Il 1° aprile 2019, tale accordo è stato confermato in sede di Consiglio. A tal proposito, si segnala che il Rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione europea, Ambasciatore Maurizio Massari (in sede di audizione del 2 aprile 2019 presso le Commissioni Politiche dell’Unione europea del Senato e della Camera dei deputati) ha precisato che, in tale occasione, l’Italia, insieme alla Spagna e alla Slovenia, ha espresso voto contrario alla proposta, in quanto: la misura dell’istituzione del corpo permanente risulterebbe troppo onerosa (quantificata in circa 11 miliardi di euro, che secondo la Commissione potrebbero essere ridotti a 9 miliardi); la proposta sottrarrebbe, pertanto, risorse nazionali necessarie agli Stati membri per la gestione delle rispettive frontiere; essa, peraltro, non risulterebbe efficace per quanto riguarda la politica di rimpatrio.
Sulla base dell’accordo citato, il 17 aprile 2019, Parlamento europeo ha approvato la posizione in prima lettura sulla riforma, che è tuttora in attesa dell’adozione formale da parte del Consiglio.
L’articolo 2, modificato nel corso dell’esame in Commissione, integra l’articolo 12 del testo unico immigrazione, introducendo una sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione, da parte del comandante di una nave, del divieto di ingresso, transito o sosta nel mare territoriale disposto con provvedimento adottato ai sensi dell’art. 1 del decreto-legge. La sanzione consiste nel pagamento di una somma da 150 mila a 1 milione di euro (l’importo della sanzione è stato oggetto di modifica nel corso dell’esame in sede referente: nel testo del decreto la sanzione è da 10 mila a 50 mila euro) e si applica la sanzione accessoria della confisca dell’imbarcazione.
La formulazione originaria del decreto-legge sanziona, unitamente al comandante, anche l’armatore e il proprietario della nave, tenuti tutti a pagare la medesima sanzione amministrativa per la violazione del divieto, notificato agli stessi “ove possibile”. Nel corso dell’esame in sede referente tale disposizione è stata modificata, trasformando la responsabilità del proprietario dell’imbarcazione e dell’armatore della nave da responsabilità diretta a responsabilità solidale. Rispetto al testo in vigore, dunque, la sanzione amministrativa è una sola: responsabile dell’illecito è il comandante della nave mentre armatore - e proprietario del mezzo, come previsto dall’art. 6 della legge n. 689 del 1981 - dovranno procedere al pagamento solo se non vi provvede il comandante (potendosi poi rivalere nei confronti dell’autore della violazione).
Rispetto alla formulazione in vigore, inoltre, le Commissioni hanno soppresso l’obbligo di notifica del divieto di ingresso al comandante della nave, oltre che “ove possibile” ad armatore e proprietario.
Si valuti la soppressione dell’obbligo di notifica al comandante della nave alla luce dell’articolo 3 legge n. 689 del 1981, che richiede, per applicare la sanzione amministrativa, che l’azione sia “cosciente e volontaria”.
L’articolo 2 fa salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato.
Con questa affermazione il legislatore intende presumibilmente precisare che l’illecito amministrativo derivante dalla violazione dell’ordine impartito al comandante non esclude l’applicazione delle pene previste dall’ordinamento quando la condotta del comandante integri anche un reato, ad esempio di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Peraltro, si ricorda che l’art. 650 del codice penale (Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità) punisce con l’arresto fino a 3 mesi o l’ammenda fino a 206 euro chiunque non osservi un provvedimento legalmente dato dall’autorità per ragioni, ad esempio, di sicurezza pubblica o ordine pubblico, salvo che il fatto non costituisca un più grave reato.
In merito, la giurisprudenza, in assenza di una esplicita volontà legislativa contraria, interpreta la clausola di sussidiarietà contenuta nell'art. 650 ben più ampiamente rispetto al dettato letterale della norma, escludendo la configurabilità del reato di cui all'art. 650 ogni qual volta il provvedimento dell'autorità rimasto inosservato sia munito di proprio specifico meccanismo sanzionatorio, di qualunque natura esso sia, penale o amministrativa.
La formulazione dell’art. 2, che fa esplicitamente salve le sanzioni penali, determina per la medesima condotta (violazione del divieto di ingresso, transito o sosta) sia l’applicazione della sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 150 mila a un milione di euro (così elevata rispetto al testo del decreto che prevede un minimo di 10 mila e un massimo di 50 mila) sia l’applicazione della pena prevista dall’art. 650 c.p.
Si ricorda che nel nostro ordinamento il principio del ne bis in idem non è applicabile ai rapporti tra sanzioni penali e sanzioni amministrative; ciò nonostante, la giurisprudenza della Cassazione e della Corte europea dei diritti (sviluppatesi in relazione agli illeciti attinenti all’abuso di mercato) hanno specificato che il doppio binario è accettabile qualora sia dimostrata la “connessione sostanziale” tra i due procedimenti, dovendo essi perseguire scopi complementari, mostrarsi prevedibili ex ante all’autore della condotta, evitare, per quanto possibile, ogni duplicazione nel raccoglimento e nella valutazione delle prove, ed infine dovendo l’una sanzione, nell’atto di essere determinata ed eseguita, tenere conto dell’altra. Inoltre, le stesse Corti convergono sulla convinzione che la sanzione amministrativa, quando sia particolarmente afflittiva, assuma una natura sostanzialmente penale (cfr. da ultimo, Cass., Sez. V, sentenza 16 luglio 2018, n. 45829).
Oltre alla sanzione amministrativa pecuniaria, all’autore della violazione si applica anche la sanzione amministrativa accessoria della confisca dell’imbarcazione utilizzata per commettere la violazione.
In merito, nel corso dell’esame in sede referente, è stata apportata una modifica al testo del decreto: rispetto alla formulazione originaria, che prevede la sanzione accessoria della confisca della nave e il sequestro cautelare solo in caso di reiterazione della violazione, le Commissioni hanno previsto l’immediato sequestro - e la conseguente confisca - senza attendere una seconda violazione.
Dall’eliminazione della necessità della reiterazione discende, per coordinamento, la soppressione del richiamo ai commi quarto, quinto e sesto dell’articolo 8-bis della legge n. 689 del 1981, concernenti la reiterazione dell’illecito. Per l’applicazione delle sanzioni amministrative si fa dunque ora integrale rinvio alla suddetta legge.
In base alla legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria avviene secondo il seguente procedimento:
- accertamento, contestazione-notifica al trasgressore;
- pagamento in misura ridotta o inoltro di memoria difensiva all'autorità amministrativa: archiviazione o emanazione di ordinanza ingiunzione di pagamento da parte dell'autorità amministrativa;
- eventuale opposizione all'ordinanza ingiunzione davanti all'autorità giudiziaria (in questo caso il tribunale);
- accoglimento dell'opposizione, anche parziale, o rigetto (sentenza ricorribile per cassazione);
- eventuale esecuzione forzata per la riscossione delle somme.
All’irrogazione delle sanzioni, accertate dagli organi competenti al controllo, provvede il prefetto.
Le Commissioni hanno inoltre previsto, che a seguito del provvedimento definitivo di confisca, gli oneri di custodia delle imbarcazioni sottoposte a sequestro cautelare siano imputati all’armatore e al proprietario della nave.
Sempre nel corso dell’esame in sede referente, è stato inserito nell’art. 12 del TU immigrazione il comma 6-ter, in base al quale le navi sequestrate, in applicazione della sanzione amministrativa accessoria, possono essere affidate in custodia dal prefetto, previa richiesta, agli organi di polizia, alle Capitanerie di porto o alla Marina militare perché ne facciano uso per attività istituzionali, facendosi carico dei relativi oneri. Dunque, gli oneri del sequestro sono di norma attribuiti a proprietario e armatore, salva l’ipotesi in cui le imbarcazioni siano assegnate per fini istituzionali alle suddette amministrazioni.
La disposizione riprende la formulazione dell’art. 40 del c.d. Codice antimafia (d.lgs. n. 159 del 2011) che consente l’impiego di beni mobili sequestrati, anche iscritti in pubblici registri, nell’ambito di procedimenti di prevenzione, da parte di organi di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che ne facciano richiesta per l’impiego nelle attività istituzionali.
Qualora al sequestro faccia seguito la confisca definitiva dell’imbarcazione, in base al nuovo comma 6-ter, la stessa sarà acquisita al patrimonio dello Stato per essere:
assegnata all’amministrazione che l’ha utilizzata durante il sequestro, oppure
assegnata ad altre pubbliche amministrazioni per fini istituzionali, oppure
venduta anche per parti separate.
Qualora l’imbarcazione non sia utilmente impiegabile e sia rimasta invenduta per due anni, si procederà alla distruzione, applicando le pertinenti disposizioni del TU in materia doganale (DPR n. 43 del 1973).
In base all’art. 301-bis, terzo comma, del DPR n. 43 del 1973, se non c’è alcuna istanza di affidamento in custodia giudiziale, i beni sequestrati sono ceduti ai fini della loro distruzione, sulla base di apposite convenzioni. In caso di distruzione, la cancellazione dei veicoli dai pubblici registri è eseguita in esenzione da qualsiasi tributo o diritto, su richiesta dell'Amministrazione finanziaria. L'ispettorato compartimentale dei Monopoli di Stato e il ricevitore capo della dogana, competenti per territorio, possono stipulare convenzioni per la distruzione, in deroga alle norme sulla contabilità generale dello Stato, direttamente con una o più ditte del settore.
Le navi militari e le navi in servizio governativo non militare sono escluse dall’ambito di applicazione della disposizione, come previsto anche dall’art. 1 del decreto-legge in esame (v. scheda art. 1).
Nella relazione illustrativa si evidenzia che la disposizione in esame, richiamando la normativa internazionale, fa implicito riferimento alla applicazione delle norme contenute nella Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare (SOLAS), fatta a Londra il 12 novembre 1974 e ratificata dall’Italia con la legge n. 313/1980, nella Convenzione internazionale sulla sicurezza ed il salvataggio marittimo (SAR), fatta ad Amburgo il 27 aprile 1979, resa esecutiva dall’Italia con la legge n. 147/1989 e alla quale è stata data attuazione con il D.P.R. n. 662/1994, nonché nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), stipulata a Montego Bay il 10 dicembre 1982 e ratificata dall’Italia con la legge n. 689/1994, i cui contenuti peraltro sono stati oggetto di evidenza anche in recenti direttive, emanate dal Ministro dell’Interno. Per un esame di tale quadro normativo si veda la scheda sull’articolo 1 del presente provvedimento.
Il comma 1-bis, aggiunto nel corso dell’esame in sede referente, prevede che le somme derivanti dall’applicazione delle sanzioni amministrative nonché quelle derivanti dalla vendita delle navi o di parti di esse, confluiscano in un apposito fondo da istituire nello stato di previsione del Ministero dell’Interno per essere utilizzate, su richiesta delle amministrazioni interessate, quale concorso agli oneri di custodia e gestione delle navi assegnate o delle spese di distruzione.
E’ specificata nel dettaglio la procedura di ripartizione delle risorse del suddetto fondo tra le amministrazioni interessate:
· entro il 31 luglio di ciascun anno le amministrazioni che intendono partecipare al riparto devono comunicare al Ministero dell’interno gli oneri sostenuti per la gestione, custodia e distruzione delle navi;
· entro il 31 ottobre le risorse del fondo sono ripartite tra le suddette amministrazioni con decreto del Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministro della difesa e con quello dell’economia e delle finanze;
· le somme non impegnate entro la fine dell’esercizio possono esserlo nell’esercizio successivo.
Il comma 2 reca la copertura finanziaria dei relativi oneri, quantificati in:
650.000 euro per il 2019;
1.300.000 di euro annui a decorrere dal 2020.
Ad essi si fa fronte - quanto a euro 500.000 per l'anno 2019 e a euro 1.000.000 annui a decorrere dall'anno 2020 - mediante corrispondente riduzione del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2019, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'interno e - quanto a euro 150.000 per l'anno 2019 e a euro 300.000 a decorrere dall'anno 2020 - mediante utilizzo delle risorse iscritte, per l'anno 2019, nel fondo per il federalismo amministrativo di parte corrente, di cui alla legge n. 59 del 1997, nell'ambito dello stato di previsione del Ministero dell'interno.
Nel corso dell’esame referente è stata parzialmente incrementata la quantificazione degli oneri e adeguata la relativa copertura finanziaria. E’ stato altresì specificato – recependo i rilievi contenuti nel parere espresso dalla V Commissione Bilancio della Camera nella seduta del 9 luglio 2019 – che, trattandosi di una spesa che si configura come un fabbisogno, il testo della disposizione deve configurare i predetti oneri in termini di previsioni di spesa (“valutati in”) anziché come limiti di spesa (“pari a”).
L’articolo 3 del decreto-legge interviene sull’art. 51 del codice di procedura penale, relativo alle indagini di competenza della procura distrettuale, per estenderne l’applicazione anche alle fattispecie associative realizzate al fine di commettere il reato di favoreggiamento, non aggravato, dell’immigrazione clandestina. Conseguentemente, sarà inoltre possibile svolgere intercettazioni preventive per l'acquisizione di notizie utili alla prevenzione di tale delitto.
In particolare, il provvedimento d’urgenza modifica il comma 3-bis dell’art. 51 c.p.p., che attribuisce all’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente, le indagini preliminari per alcuni delitti associativi.
Prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 53 del 2019, in base al comma 3-bis, erano attribuite alla procura distrettuale le indagini relative ai seguenti delitti, consumati o tentati:
- associazione a delinquere finalizzata a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601, 601-bis e 602 c.p. (art. 416, sesto comma, c.p.);
- associazione a delinquere finalizzata a commettere taluno dei delitti di pedopornografia e di violenza sessuale in danno di minori (art. 416, settimo comma c.p.);
- associazione a delinquere finalizzata a commettere taluno dei delitti di cui all'articolo 12, commi 3 e 3-ter, TU immigrazione;
- associazione a delinquere finalizzata a commettere un delitto di contraffazione (artt. 473 e 474 c.p.)
- tratta di persone e riduzione in schiavitù (artt. 600, 601, 602 c.p.);
- associazione a delinquere di tipo mafioso, anche straniera (art. 416-bis), voto di scambio politico-mafioso (art. 416-ter c.p.) e delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni mafiose;
- attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.);
- sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione (art. 630 c.p.);
- associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 TU stupefacenti);
- associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater, TU stupefacenti).
In particolare, l’attribuzione alla procura distrettuale delle indagini sui delitti previsti dal TU immigrazione è stata prevista dall’art. 18 del recente decreto-legge n. 13 del 2017[7], che si è limitato a fare riferimento ai commi 3 e 3-ter dell’art. 12 del d.lgs. n. 286 del 1998. Il decreto-legge in commento integra l’elencazione dell’art. 51 c.p.p. con riferimento ai delitti previsti dal TU immigrazione, aggiungendo alle già previste indagini per i delitti di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina (di cui all’art. 12, commi 3 e 3-ter del d.lgs. n. 286 del 1998), anche le indagini per il delitto di favoreggiamento semplice (di cui all’art. 12, comma 1 del TU).
Per comprendere le ragioni dell’inserimento di questa fattispecie pare opportuno ricordare il contenuto e confrontare la fattispecie punita dal comma 1 e aggravata ai sensi dei comma 3 e 3-ter dell’art. 12.
Art. 12, TU immigrazione |
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Comma 1 |
Comma 3 |
1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona. |
3. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui: a) il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; b) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale; c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale; d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti. |
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Comma 3-ter |
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3-ter. La pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000 euro per ogni persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3: a) sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento; b) sono commessi al fine di trarne profitto, anche indiretto. |
Appare di tutta evidenza come il testo del comma 3 dell'art. 12, nella sua prima parte ("salvo che il fatto costituisca più grave reato ... è punito"), risulti assolutamente identico al testo del comma 1, da questo però distinguendosi, oltre che per la ben più grave pena detentiva edittale, per la sua seconda parte, introdotta dalla locuzione "nel caso in cui", alla quale segue l'elenco di cinque ipotesi molto diverse tra loro, che attengono, alternativamente, al numero degli stranieri agevolati (lett. a) o dei concorrenti nel reato (lett. d, prima parte); alle modalità del fatto (che espongano a pericolo la vita o l'incolumità del trasportato o lo sottopongano a trattamento inumano o degradante: lett. b e c); ai mezzi utilizzati (servizi internazionali di trasporto o documentazione alterata, contraffatta o comunque illegalmente ottenuta: lett. d, seconda parte); alla disponibilità, infine, di armi o materie esplodenti da parte degli autori del fatto (lett. e).
Dottrina e giurisprudenza si sono dunque interrogate sulla natura del comma 3, per alcuni autonoma fattispecie di reato e per altri circostanza aggravante del reato previsto dal comma 1. La questione è stata recentemente risolta dalle Sezioni Unite penali della Corte di cassazione che hanno affermato che l’art. 12, comma 3, del TU immigrazione configura una circostanza aggravante del reato di pericolo di cui al comma 1 del medesimo articolo (cfr. sentenza n. 40982 del 2018).
Se, dunque, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge la procura distrettuale era competente solo per il favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina (commi 3 e 3-ter dell’art. 12), lasciando alla procura circondariale la competenza per le indagini sul reato semplice di favoreggiamento (comma 1 dell’art. 12), con la riforma si dispone di accentrare tutte le indagini sul favoreggiamento presso la procura distrettuale.
Il comma 2 dell’articolo 3 del decreto-legge contiene una disposizione transitoria ai sensi della quale la competenza della procura distrettuale opererà in relazione ai procedimenti penali iniziati successivamente all’entrata in vigore del decreto-legge.
Individuando l’inizio del procedimento penale nell’iscrizione della notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335 c.p.p., si ha come conseguenza che potranno continuare a indagare le procure circondariali sulle notizie di reato iscritte prima del 14 giugno 2019; successivamente, gli atti dovranno essere trasmessi alla procura distrettuale.
Si ricorda, infine, che per tutti i delitti elencati nell’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, e dunque ora anche per il delitto semplice di favoreggiamento dell’immigrazione clandestine (di cui all’art. 12, comma 1, TU), l’ordinamento consente intercettazioni e controlli preventivi sulle comunicazioni.
L’art. 226 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, infatti, dispone che il Ministro dell'interno o, su sua delega, il direttore della Direzione investigativa antimafia, i responsabili dei Servizi di sicurezza, nonché il questore o il comandante provinciale dei Carabinieri e della Guardia di finanza, richiedono al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui si trova il soggetto da sottoporre a controllo ovvero, nel caso non sia determinabile, del distretto in cui sono emerse le esigenze di prevenzione, l'autorizzazione all'intercettazione di comunicazioni o conversazioni, anche per via telematica, nonché all'intercettazione di comunicazioni o conversioni tra presenti quando sia necessario per l'acquisizione di notizie concernenti la prevenzione di delitti di cui – tra gli altri – all’art. 51, comma 3-bis c.p.p.
Il procuratore della Repubblica, qualora vi siano elementi investigativi che giustifichino l'attività di prevenzione e lo ritenga necessario, autorizza l'intercettazione per la durata massima di 40 giorni, prorogabile per periodi successivi di 20 giorni ove permangano i presupposti di legge.
In ogni caso gli elementi acquisiti attraverso le attività preventive non possono essere utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi. In ogni caso le attività di intercettazione preventiva e le notizie acquisite a seguito delle attività medesime, non possono essere menzionate in atti di indagine né costituire oggetto di deposizione né essere altrimenti divulgate.
La Relazione illustrativa del disegno di legge di conversione in merito afferma che «l’intervento attuato prima della consumazione del reato appare, oltre che efficace, auspicabile sol pensando che esso può permettere di impedire a monte l’organizzazione di trasporti di stranieri irregolari, laddove l’intervento successivo alla commissione del reato non elimina le criticità derivanti dalla gestione dei medesimi irregolari giunti su suolo italiano».
L’articolo 3-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, modifica la disciplina dell’arresto obbligatorio in flagranza di reato per prevederlo anche nei confronti di chiunque sia colto in flagranza di un delitto di resistenza o violenza contro nave da guerra, in base all’art. 1100 del codice della navigazione.
Si ricorda che l’articolo 1100 del Codice della navigazione punisce con la reclusione da tre a dieci anni il comandante o l'ufficiale della nave, che commette atti di resistenza o di violenza contro una nave da guerra nazionale. La stessa disposizione riduce la pena da un terzo alla metà per coloro che sono concorsi nel reato.
In base all’articolo 1087 del codice della navigazione, peraltro, l’art. 1100 non si applica alla navigazione interna (acque territoriali), come in più occasioni ricordato dalla Corte di cassazione (cfr. Cass. pen. Sez. VI, 24/06/2003, n. 34028; Cass. pen. Sez. VI, 24/06/2003, n. 34028).
L’articolo 4 destina risorse alla copertura degli oneri conseguenti ad operazioni di polizia sotto copertura, effettuate da operatori di Stati esteri con i quali siano stati stipulati appositi accordi.
L'articolo fa riferimento agli oneri connessi all'implementazione dell'utilizzo delle operazioni sotto copertura, quale strumento investigativo delle Forze di polizia (oggetto della disciplina posta dall'articolo 9 della legge n. 146 del 2006) anche con riferimento al contrasto del delitto di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.
La disposizione, come anticipato, fa riferimento al concorso degli operatori di polizia di Stati esteri, con i quali siano stati stipulati appositi accordi per il loro impiego nel territorio italiano.
Per tali operazioni, è previsto lo stanziamento di:
· 500.000 euro per il 2019;
· 1 milione per il 2020;
· 1,5 milioni per il 2021.
Alla copertura degli oneri finanziari si provvede mediante utilizzo di parte delle entrate affluite al bilancio dello Stato (che restano acquisite all'erario) quali contributo - volto ad alimentare il Fondo di solidarietà per le vittime di richieste estorsive - sui premi assicurativi, raccolti nel territorio dello Stato, nei rami incendio, responsabilità civile diversi, auto rischi diversi e furto (contribuzione prevista dall'articolo 18, comma 1, lettera a) della legge n. 44 del 1999).
Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Nel corso dell’esame referente è stato specificato – recependo i rilievi contenuti nel parere espresso dalla V Commissione Bilancio della Camera nella seduta del 9 luglio 2019 – che gli oneri in questione sono “valutati” in 500.000 euro per l'anno 2019, in 1.000.000 di euro per l'anno 2020 e in 1.500.000 euro per l'anno 2021 e a tal fine è stanziata una somma corrispondente quale copertura finanziaria. Sono stati dunque configurati gli oneri derivanti dall'articolo 4 in termini di previsioni di spesa anziché in termini di limiti massimi di spesa, posto che, come emerso dall’iter parlamentare e, in particolare, dai chiarimenti forniti dal Governo, si tratta di oneri che rappresentano un fabbisogno.
La legge n. 146 del 2006 reca la ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001.
Il suo articolo 9 disciplina le operazioni sotto copertura.
Esso sancisce la non punibilità (nelle forme e nei limiti ivi previsti) per:
a) gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia, nei limiti delle proprie competenze, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ad alcuni delitti, anche per interposta persona, danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro o altra utilità, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto, prezzo o mezzo per commettere il reato o ne accettano l'offerta o la promessa o altrimenti ostacolano l'individuazione della loro provenienza o ne consentono l'impiego ovvero corrispondono denaro o altra utilità in esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri, promettono o danno denaro o altra utilità richiesti da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio o sollecitati come prezzo della mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o per remunerarlo o compiono attività prodromiche e strumentali (i delitti considerati dalla norma sono quelli previsti dagli articoli 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 346-bis, 353, 353-bis, 452-quaterdecies, 453, 454, 455, 460, 461, 473, 474, 629, 630, 644, 648-bis e 648-ter, nonché nel libro secondo, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale; i delitti concernenti armi, munizioni, esplosivi, ai delitti previsti dall'articolo 12, commi 1, 3, 3-bis e 3-ter, del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, decreto legislativo n. 286 del 1998; i delitti previsti dal Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, d.P.R. n. 309 del 1990, e dall'articolo 3 della legge n. 75 del 1958);
b) gli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti agli organismi investigativi della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri specializzati nell'attività di contrasto al terrorismo e all'eversione e del Corpo della guardia di finanza competenti nelle attività di contrasto al finanziamento del terrorismo, i quali, nel corso di specifiche operazioni di polizia e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti commessi con finalità di terrorismo o di eversione, anche per interposta persona, compiono le attività di cui alla lettera a).
Tra i delitti richiamati dall'articolo 9, comma 1, lettera a) della legge n. 146 del 2006 figurano quelli previsti dai commi 1, 3, 3-bis e 3-ter dell'articolo 12 del Testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998).
Le disposizioni richiamate dall’articolo 12 (recante "disposizioni contro le immigrazioni clandestine") prevedono, nell'ordine, quanto segue.
Comma 1: salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del Testo unico sull'immigrazione, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni (e con la multa di 15.000 euro per ogni persona). Il comma 2 aggiunge che non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato.
Comma 3: salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni (e con la multa di 15.000 euro per ogni persona) nel caso in cui: a) il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; b) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale; c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale; d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti.
Comma 3-bis: se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata.
Comma 3-ter: la pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà (e si applica la multa di 25.000 euro per ogni persona) se i fatti di cui ai commi 1 e 3: a) sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento; b) sono commessi al fine di trarne profitto, anche indiretto.
L’articolo 5, modificato nel corso dell’esame in sede referente, prevede che per i soggiorni non superiori alle ventiquattro ore la comunicazione, da parte dei gestori di strutture ricettive alla questura territorialmente competente, delle generalità delle persone alloggiate, debba avvenire entro sei ore, anziché entro ventiquattro ore dal loro arrivo.
Nel testo originario del decreto-legge è prevista la comunicazione “immediata” da parte dei gestori.
Come aggiunto nel corso dell’esame in sede referente, l’entrata in vigore della disposizione è subordinata alla adozione di un decreto del Ministero dell’interno che integri le modalità di comunicazione telematica alle questure.
Secondo la disposizione vigente (articolo 109 del Testo unico di pubblica sicurezza approvato con regio decreto n. 773 del 1931), l’obbligo di comunicazione - entro ventiquattro ore, ridotto a sei ore dal provvedimento in esame, per i soggiorni non superiori a un giorno - vige per i gestori di esercizi alberghieri e di altre strutture ricettive (comprese quelle che forniscono alloggio in tende, roulotte) nonché per i proprietari o gestori di case e di appartamenti per vacanze e gli affittacamere (compresi i gestori di strutture di accoglienza non convenzionali), ad eccezione dei rifugi alpini inclusi in apposito elenco istituito dalla regione o dalla provincia autonoma.
Tali soggetti possono dare alloggio esclusivamente a persone munite della carta d'identità (o di altro documento idoneo ad attestarne l'identità secondo le norme vigenti) e sono tenuti a comunicare - entro il termine sopra ricordato - le generalità delle persone alloggiate alle questure territorialmente competenti, avvalendosi di mezzi informatici o telematici o mediante fax.
Il decreto del Ministero dell’interno 7 gennaio 2013, recante le modalità di comunicazione alle autorità di pubblica sicurezza dell'arrivo di persone alloggiate in strutture ricettive, prevede che le generalità delle persone alloggiate presso le strutture vengono trasmesse a cura dei gestori delle stesse strutture, entro 24 ore successive all'arrivo delle persone alloggiate, e comunque all'arrivo stesso per soggiorni inferiori alle 24 ore, alle questure territorialmente competenti (art. 1).
Nel corso dell’esame in sede referente sono stati aggiunti i commi 1-bis e 1-ter.
Il comma 1-bis prevede che, al fine di consentire il collegamento diretto tra i sistemi informatici delle autorità di pubblica sicurezza e i sistemi gestionali delle strutture ricettive, il Ministro dell’interno, con proprio decreto, integri le modalità di comunicazione, con mezzi informatici o telematici, dei dati delle persone alloggiate.
Le modalità di comunicazione sono disciplinate dal citato decreto del Ministero dell’interno 7 gennaio 2013. Si prevede che, i gestori delle strutture ricettive inseriscano, previa abilitazione della questura competente, i dati degli alloggiati in un apposito sistema web oriented esposto su rete internet, con possibilità di consultare solo i dati relativi al giorno di trasmissione. La struttura ricettiva può anche trasferire, direttamente nell'applicazione, i dati già digitalizzati, utilizzando programmi applicativi a proprie spese. Nei casi in cui sussistano problematiche di natura tecnica al sistema web che impediscano la trasmissione, la comunicazione delle generalità dei soggetti alloggiati è effettuata mediante trasmissione a mezzo fax ovvero tramite posta elettronica certificata alla questura territorialmente competente.
Il comma 1-ter subordina l’entrata in vigore dell’obbligo di comunicazione entro 6 ore di cui al comma 1, all’adozione del decreto del Ministro dell’interno di integrazione delle modalità di comunicazione dei dati degli alloggiati di cui al comma 1-bis. La disposizione in esame, pertanto, entrerà in vigore il 90° successivo alla pubblicazione del succitato decreto ministeriale nella Gazzetta Ufficiale.
L’articolo 6, modificato nel corso dell’esame in sede referente, interviene sulla legge 22 maggio 1975, n. 152 (cd. “Legge Reale”), con particolare riguardo al regolare svolgimento delle manifestazioni in luogo pubblico e aperto al pubblico.
In primo luogo, la lettera a), modifica l’articolo 5 della citata legge, che vieta l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona:
· senza giustificato motivo in luogo pubblico o aperto al pubblico (primo periodo del primo comma);
· in ogni caso in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino (secondo periodo del primo comma).
Con la riforma, la pena edittale - che nella disciplina previgente è fissata per entrambe le modalità di commissione della contravvenzione nell'arresto da uno a due anni e nell'ammenda da 1.000 a 2.000 euro - è inasprita per l’ipotesi di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico ed è determinata nell’arresto da due a tre anni e nell’ammenda da 2.000 a 6.000 euro.
La lettera b) invece, a seguito delle modifiche apportate in sede referente, inserisce un nuovo articolo 5-bis nella citata legge n. 152/1975, ai sensi del quale è punito, con la reclusione da uno a quattro anni, chi, nel corso delle manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare gas contenenti principi attivi urticanti, ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti o, comunque, atti a offendere.
Si tratta della medesima condotta già punita qualora realizzata in occasione di manifestazioni sportive. Infatti, la riforma fa espressamente salva la disciplina prevista dalla legge n. 401/1989 in materia di manifestazione sportive e, in particolare, i reati di cui agli articoli 6-bis e 6-ter della medesima legge (lancio di materiale pericoloso, scavalcamento, invasione di campo e possesso di artifizi pirotecnici in occasione di manifestazioni sportive).
L’art. 6-bis della legge n. 401 del 1989 punisce con la reclusione da uno a quattro anni, chi nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive lancia o utilizza, in modo da creare un concreto pericolo per le persone, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l'emissione di fumo o di gas visibile, ovvero bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti, o, comunque, atti ad offendere.
Il reato di cui all’art. 6-bis è un reato di pericolo concreto e per la sua realizzazione non è necessario un danno o sue ulteriori conseguenze. Peraltro, se il fatto produce un danno alle persone la pena è aumentata fino alla metà. Questa aggravante non è riprodotta nella nuova fattispecie introdotta nell’art. 5-bis della Legge Reale.
L’art. 6-ter, incrimina il possesso di artifizi pirotecnici in occasioni di manifestazioni sportive, punendo con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 1.000 a 5.000 euro chiunque, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, ovvero in quelli interessati alla sosta, al transito, o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime o, comunque, nelle immediate adiacenze di essi, nelle ventiquattro ore precedenti o successive allo svolgimento della manifestazione sportiva, e a condizione che i fatti avvengano in relazione alla manifestazione sportiva stessa, è trovato in possesso di razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile, ovvero di bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti, o, comunque, atti ad offendere.
La modifica apportata nel corso dell’esame in sede referente consiste nella distinzione dell’ipotesi del pericolo per l’integrità delle persone da quello per l’integrità delle cose disponendosi, nel secondo caso, la pena più lieve della reclusione da 6 mesi a 2 anni.
L’articolo 7 apporta modifiche al codice penale al fine di rafforzare il vigente quadro normativo a presidio del regolare e pacifico svolgimento delle manifestazioni in luogo pubblico e aperto al pubblico.
Nel corso dell’esame in sede referente sono state inasprite le pene per i delitti di oltraggio a pubblico ufficiale e oltraggio a un magistrato in udienza.
Si ricorda che per luogo pubblico si intende il luogo in cui tutti possono accedere liberamente; mentre per luogo aperto al pubblico si intende quello nel quale l'accesso è possibile solo dopo l'espletamento di particolari formalità: pagamento del biglietto, esibizione dell'invito etc.
In particolare, la lettera a) del comma 1, modifica il primo comma dell'articolo 339 c.p., prevedendo un'ulteriore circostanza aggravante per i reati di cui agli articoli 336 (Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale), 337 (Resistenza a un pubblico ufficiale) e 338 (Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti) c.p., qualora le condotte siano poste in essere durante manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico.
Formulazione vigente |
Articolo come modificato dal D.L. |
Articolo 339 c.p. (Circostanze aggravanti) |
Articolo 339 c.p. (Circostanze aggravanti) |
Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte. |
Le pene stabilite nei tre articoli precedenti sono aumentate se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da segrete associazioni, esistenti o supposte. |
Se la violenza o la minaccia è commessa da più di cinque persone riunite, mediante uso di armi anche soltanto da parte di una di esse, ovvero da più di dieci persone, pur senza uso di armi, la pena è, nei casi preveduti dalla prima parte dell'articolo 336 e dagli articoli 337 e 338, della reclusione da tre a quindici anni e, nel caso preveduto dal capoverso dell'articolo 336, della reclusione da due a otto anni. |
Identico |
Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche, salvo che il fatto costituisca più grave reato, nel caso in cui la violenza o la minaccia sia commessa mediante il lancio o l'utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici, in modo da creare pericolo alle persone. |
Identico |
La lettera b) del comma 1 introduce una circostanza aggravante del reato di cui all’articolo 340 c.p. (Interruzione di ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità), nel caso in cui la condotta incriminata sia posta in essere nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico. In questi casi è prevista la pena della reclusione fino a due anni.
Formulazione vigente |
Articolo come modificato dal D.L. |
Articolo 340 c.p. (Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità) |
Articolo 340 c.p. (Interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità) |
Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge cagiona un'interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità è punito con la reclusione fino a un anno. |
Identico |
|
Quando la condotta di cui al primo comma è posta in essere nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, si applica la reclusione fino a due anni. |
I capi, promotori od organizzatori sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni. |
Identico |
La lettera c) del comma 1 modifica l'articolo 419 c.p., introducendo una specifica aggravante qualora le condotte di devastazione e saccheggio vengano perpetrate nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico.
Formulazione vigente |
Articolo come modificato dal D.L. |
Articolo 419 c.p. (Devastazione e saccheggio) |
Articolo 419 c.p. (Devastazione e saccheggio) |
Chiunque, fuori dei casi preveduti dall'articolo 285, commette fatti di devastazione o di saccheggio è punito con la reclusione da otto a quindici anni. |
Identico |
La pena è aumentata se il fatto è commesso su armi, munizioni o viveri esistenti in luogo di vendita o di deposito. |
La pena è aumentata se il fatto è commesso nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero su armi, munizioni o viveri esistenti in luogo di vendita o di deposito. |
La lettera d) interviene infine sull’articolo 635 c.p., il quale disciplina il reato di danneggiamento. La disposizione introduce nell'articolo del codice un ulteriore comma, ai sensi del quale chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con la reclusione da uno a cinque anni (numero 2).
La nuova ipotesi è punita con la pena della reclusione da uno a cinque anni, e pertanto è possibile - come precisa la relazione illustrativa - l’arresto facoltativo in flagranza ex art. 381 c.p.p..
Conseguentemente all'introduzione della nuova autonoma ipotesi di danneggiamento è soppresso al primo comma dell'articolo 635 c.p. ogni riferimento alle manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico (numero 1). Per coordinamento è infine modificato il quarto comma dell'articolo 635 c.p. (numero 3)
Formulazione vigente |
Articolo come modificato dal D.L. |
Articolo 635 c.p. (Danneggiamento) |
Articolo 635 c.p. (Danneggiamento) |
Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui con violenza alla persona o con minaccia ovvero in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico o del delitto previsto dall'articolo 331, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. |
Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui con violenza alla persona o con minaccia ovvero in occasione del delitto previsto dall'articolo 331, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. |
Alla stessa pena soggiace chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili le seguenti cose altrui: 1. edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all'esercizio di un culto o cose di interesse storico o artistico ovunque siano ubicate o immobili compresi nel perimetro dei centri storici, ovvero immobili i cui lavori di costruzione, di ristrutturazione, di recupero o di risanamento sono in corso o risultano ultimati o altre delle cose indicate nel numero 7) dell'articolo 625; 2. opere destinate all'irrigazione; 3. piantate di viti, di alberi o arbusti fruttiferi, o boschi, selve o foreste, ovvero vivai forestali destinati al rimboschimento; 4. attrezzature e impianti sportivi al fine di impedire o interrompere lo svolgimento di manifestazioni sportive. |
Identico |
|
Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico è punito con la reclusione da uno a cinque anni. |
Per i reati di cui al primo e al secondo comma, la sospensione condizionale della pena è subordinata all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna. |
Per i reati di cui ai commi precedenti, la sospensione condizionale della pena è subordinata all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna. |
Nel corso dell’esame in sede referente, le Commissioni riunite sono intervenute su altri due articoli del codice penale, con la finalità di inasprimento delle pene.
In particolare, con la modifica dell’art. 341-bis del codice (lett. b-bis), è introdotto il minimo edittale per il delitto di oltraggio a pubblico ufficiale.
Se attualmente la condotta di chi, in luogo pubblico o aperto al pubblico, e in presenza di più persone, offende l'onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni è punita con la reclusione fino a 3 anni, ora la pena è stabilita nella reclusione da 6 mesi a 3 anni.
Analogamente, la lett. b-ter) introduce il minimo edittale della reclusione di 6 mesi per il delitto di oltraggio a magistrato in udienza (art. 343 c.p.), attualmente punito con la reclusione fino a 3 anni.
Si ricorda che la fattispecie punisce chiunque offende l'onore o il prestigio di un magistrato in udienza.
L’articolo 8 introduce misure straordinarie per l’eliminazione dell’arretrato relativo ai procedimenti di esecuzione delle sentenze penali di condanna.
Come sottolinea la relazione illustrativa tali misure straordinarie sono volte a neutralizzare i riflessi negativi sull’ordine pubblico derivanti dalla ritardata esecuzione di sentenze di condanna per reati anche gravi, i cui effetti risultano pregiudizievoli per l’ordine e la sicurezza pubblica, anche in relazione alla mancata iscrizione delle sentenze di condanna nel casellario giudiziale, grazie alla quale i condannati risultano incensurati e quindi possono, di fatto, in caso di reiterazione, ottenere il beneficio della sospensione condizionale della pena pur non avendone titolo. La stessa relazione precisa inoltre che "La dimensione del fenomeno, amplificato dal recente reiterarsi di gravi episodi delittuosi, che hanno suscitato vivo allarme nell’opinione pubblica, suggerisce un intervento straordinario, prevedendo il supporto di un contingente di personale, appositamente assunto con contratti a tempo determinato, che possa implementare l’azione delle strutture amministrative interessate".
Ai sensi del comma 1 dell'articolo in commento, il Ministero della giustizia è chiamato, nel biennio 2019-2020, a dare attuazione ad un programma di interventi, temporaneo ed eccezionale, finalizzato ad eliminare, anche mediante l’uso di strumenti telematici, l'arretrato relativo ai procedimenti di esecuzione delle sentenze penali di condanna, nonché ad assicurare la piena efficacia dell’attività di prevenzione e repressione dei reati.
A tal fine, il Ministero è autorizzato ad effettuare, in conformità a quanto disposto dall’articolo 36, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, assunzioni a tempo determinato di durata annuale, fino ad un massimo di 800 unità di personale amministrativo non dirigenziale, di cui 200 unità di Area I/Fascia retributiva 2[8] e 600 unità di Area II/Fascia retributiva 2[9], anche in sovrannumero ed in aggiunta alle facoltà assunzionali ordinarie e straordinarie previste a legislazione vigente.
Il comma 2 dell'articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede che le amministrazioni pubbliche possono stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell'impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l'applicazione nelle amministrazioni pubbliche. Tali contratti possono essere stipulati soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale e nel rispetto delle condizioni e modalità di reclutamento stabilite dall'articolo 35. Sempre ai sensi del comma 2 dell'articolo 36, i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato possono essere stipulati nel rispetto degli articoli 19 e seguenti del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. I contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato sono disciplinati dagli articoli 30 e seguenti del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, fatta salva la disciplina ulteriore eventualmente prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l'esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. Per prevenire fenomeni di precariato, le amministrazioni pubbliche, nel rispetto delle disposizioni del presente articolo, sottoscrivono contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato.
Tali assunzioni possono essere effettuate:
· secondo le modalità semplificate di cui all’articolo 14, comma 10-ter, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (conv. L. n. 26 del 2019), già previste per il reclutamento del personale dell’amministrazione giudiziaria, attraverso la forma del concorso unico di cui all'articolo 4, comma 3-quinquies, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (conv. L. n. 125 del 2013),
I commi 10-bis e 10-ter dell'articolo 14 del decreto-legge n. 4 del 2019 (conv. L. n. 26 del 2019) dettano disposizioni volte a rimediare alle scoperture di personale negli uffici giudiziari derivanti dall’attuazione della disciplina sull’accesso anticipato al trattamento pensionistico (cd. quota 100). In particolare il comma 10-bis autorizza, per l’anno 2019, il reclutamento di personale dell’amministrazione giudiziaria. Il comma 10-ter stabilisce che, al reclutamento del personale previsto dal comma 10-bis, si provvede mediante procedure pubbliche espletate nelle forme del concorso unico di cui all’art. 4, comma 3-quinquies, del decreto-legge n. 101 del 2013[10] e in deroga alle previsioni dei commi 4 e 4-bis dell’art. 35 del TU pubblico impiego[11].
Le concrete modalità di reclutamento prevedono la relativa richiesta al Dipartimento della funzione pubblica del Ministero della pubblica amministrazione che ne cura lo svolgimento con priorità e modalità semplificate. Anche qui si stabilisce la possibilità di deroga al regolamento della disciplina dei concorsi nella pubblica amministrazione (DPR 487 del 1994).
Tale deroga concerne anzitutto la possibilità di nomina e composizione di commissioni e sottocommissioni d’esame (in particolare, queste ultime potranno essere nominate anche per le prove scritte derogando ai requisiti di nomina dei componenti e ad esse dovranno aver assegnati almeno 250 candidati). E' inoltre possibile derogare alla disciplina delle prove d’esame in relazione, tra le altre: alla possibilità di far svolgere una prova preselettiva, anche con domande a risposta multipla (da correggere con l’ausilio di sistemi informatici e telematici); di prevedere forme semplificate di svolgimento degli scritti; di far svolgere – per profili tecnici - anche prove pratiche in aggiunta o in sostituzione di quelle scritte; di prevedere un particolare calcolo del punteggio d’esame. Un’ultima deroga al DPR del 1994 riguarda la disciplina della formazione delle graduatorie del concorso con l’inclusione tra i vincitori del concorso dei disabili risultati idonei (nei limiti numerici previsti dalla legge); ai fini della deroga, questi ultimi devono, tuttavia, risultare disoccupati al momento di formazione della graduatoria nonché essere iscritti nell’elenco tenuto dai servizi per il “collocamento mirato” nel cui ambito territoriale si trova la residenza dell'interessato.
· mediante l’avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento secondo le procedure previste dall’articolo 35, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165;
La lettera b) del comma 1 dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede che l'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della legislazione vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità.
· mediante lo scorrimento delle graduatorie vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto.
La disposizione prevede, infine, che l'amministrazione giudiziaria può indicare un punteggio aggiuntivo in favore dei soggetti che abbiano i titoli di preferenza di cui all'articolo 50, commi 1-quater e 1-quinquies, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (conv. L. n. 114 del 2014).
I commi 1-quater e 1-quinquies dell'articolo 50, introdotti dall'articolo 21-ter del decreto-legge n. 83 del 2015 (conv. L. n. 132 del 2015), recano disposizioni relative ai c.d. tirocinanti della giustizia, ovvero coloro che svolgono il tirocinio formativo presso l'ufficio per il processo. Lo svolgimento positivo di questa attività formativa costituisce titolo di preferenza nei concorsi nella pubblica amministrazione. Inoltre si prevede che nelle procedure concorsuali indette dall'amministrazione della giustizia siano introdotti meccanismi finalizzati a valorizzare l'esperienza formativa acquisita mediante il completamento del periodo di perfezionamento presso l'ufficio per il processo.
Il comma 2 reca disposizioni per la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’attuazione dell’articolo, che vengono quantificati in 3.861.324 euro per l’anno 2019 e in 27.029.263 euro per l’anno 2020.
Alla copertura dei predetti oneri si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo, di parte corrente, per il federalismo amministrativo, di cui alla legge 15 marzo 1997, n. 59, iscritto nello stato di previsione della spesa del Ministero dell’interno.
Al comma 3 si autorizza il Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
L’articolo 8-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, dispone che, per la progettazione necessaria agli enti previdenziali pubblici per la valutazione degli investimenti immobiliari, siano utilizzate le risorse disponibili a legislazione vigente iscritte nei pertinenti capitoli dello stato di previsione del Ministero dell’dell’economia e delle finanze trasferite o da trasferire all’Agenzia del demanio.
Come esplicitato dall’articolo in commento, la norma è volta ad agevolare la destinazione di immobili pubblici a presìdi delle Forze di polizia.
L’articolo 8, comma 4 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 - in materia di razionalizzazione di immobili pubblici - prevede che gli enti previdenziali possano destinare una parte delle loro risorse all’acquisto di immobili di proprietà delle amministrazioni pubbliche, da adibire ad uffici in locazione passiva delle amministrazioni pubbliche, previa realizzazione, a cura e spese dei medesimi enti, degli interventi e delle opere necessari alla rifunzionalizzazione degli immobili stessi, secondo specifiche indicazioni fornite dall’Agenzia del demanio.
Si ricorda che al fine di razionalizzare gli spazi complessivi per l'utilizzo degli immobili in uso governativo e di ridurre la spesa relativa agli immobili condotti in locazione dallo Stato (articolo 1, commi 204 e seguenti, della legge n. 296 del 2006), l'Agenzia del demanio definisce il piano di razionalizzazione degli spazi che viene inviato, previa valutazione del Ministro dell'economia e delle finanze in ordine alla sua compatibilità con gli obiettivi di riduzione del costo d'uso e della spesa corrente, ai Ministri interessati per le valutazioni di competenza ed è pubblicato nel sito internet dell'Agenzia del demanio.
L’articolo in esame destina risorse statali alla progettazione necessaria agli enti previdenziali pubblici per effettuare la valutazione degli investimenti immobiliari da adibire a presìdi delle Forze di polizia
La norma chiarisce che si tratta di risorse disponibili a legislazione vigente iscritte nei pertinenti capitoli dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze trasferite o da trasferire all’Agenzia del demanio, previo accordo tra gli enti interessati e la medesima Agenzia limitatamente al processo di individuazione dei predetti investimenti.
L’articolo aggiuntivo, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, dispone l’aumento dell’attribuzione annua di ore di lavoro straordinario per il personale operativo del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di 259.890 ore per l’anno 2019 e di 340.000 ore a decorrere dal 2020.
Attualmente l’art. 11 della legge n. 246 del 2000 prevede che per fronteggiare esigenze di servizio imprevedibili ed indilazionabili, l'attribuzione annua di ore di lavoro straordinario è fissata a 240.000 ore a decorrere dal 2001.
Alla relativa copertura finanziaria si provvede – quanto a 380.000 euro per l’anno 2019 – mediante utilizzo delle risorse del fondo per il federalismo amministrativo di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell’interno e – quanto a 1.910.000 euro a decorrere dal 2020 - mediante corrispondente riduzione del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2019, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'interno.
La tariffa media oraria del personale operativo, ai fini del calcolo della copertura finanziaria, è calcolata in circa 14 euro.
L’articolo 8-quater, introdotto nel corso dell’esame del provvedimento in sede referente, consente, al comma 1, l’incremento di un posto di funzione dirigenziale generale nella dotazione organica del Ministero dell’interno, con la soppressione conseguente di posti di funzione dirigenziale di livello non generale.
Il comma 2 prevede la ricollocazione del personale assegnato alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, in caso di cessazione dell’attività delle stesse, presso le sedi centrali e periferiche dell’amministrazione civile del Ministero dell’interno.
Nel dettaglio, il comma 1 consente l’incremento della dotazione organica del Ministero dell’interno di un posto di funzione dirigenziale generale successivamente all’entrata in vigore del nuovo regolamento di organizzazione del Ministero, previsto dall’articolo 32 del decreto-legge 113/2018, che ad oggi non risulta adottato.
La disposizione richiamata, in particolare, ha previsto l’adozione del nuovo regolamento di organizzazione del Ministero dell’interno entro il 31 dicembre 2018, necessaria per rendere effettive le modifiche ivi previste, ossia la riduzione di 29 posti di livello dirigenziale generale del Ministero dell’interno in ottemperanza alle prescrizioni previste dal decreto-legge n. 95/2012 (c.d. decreto spending review), nonché per rendere effettivo quanto previsto dal D.P.C.M. 22 maggio 2015, che in precedenza aveva disposto la riduzione della pianta organica del Ministero.
Nel dettaglio, l’articolo 32 del D.L. 113 del 2018 ha disposto la riduzione di 29 posti di livello dirigenziale generale del Ministero dell’interno al fine di garantire gli obiettivi complessivi di economicità e di revisione della spesa previsti dalla legislazione vigente. La diminuzione di 29 posti di livello dirigenziale generale è così articolata:
• riduzione di 8 posti di livello dirigenziale generale assegnati ai prefetti nell’ambito degli Uffici centrali del Ministero dell’interno, con conseguente rideterminazione della dotazione organica dei prefetti;
• la soppressione di 21 posti di prefetto collocati a disposizione per specifiche esigenze in base alla normativa vigente.
Per ciò che concerne il calcolo degli Uffici dirigenziali di livello generale, relativi sia alla carriera prefettizia che alla dirigenza contrattualizzata di I° fascia, così come previsto dall’art. 2, comma 1, lett. a) del DL 95/2012, è stata individuata quale base di computo per la riduzione disposta, sul quale applicare il taglio del 20%, il numero di 147 unità, cui corrispondono altrettanti uffici di livello dirigenziale generale.
In base alla formulazione letterale della disposizione, l’incremento è finalizzato a garantire “una maggiore funzionalità delle attività economico-finanziarie derivanti dalla predetta riorganizzazione”.
L’organizzazione del Ministero dell’interno a livello centrale, con particolare riferimento agli Uffici di livello dirigenziale generale, è contenuta nel DPR n. 398/2001 e successive modificazioni e integrazioni.
Tale Amministrazione è composta da n. 5 Dipartimenti, istituiti sulla base del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 e s.m., quali "strutture di primo livello", per assicurare l'esercizio organico ed integrato delle funzioni del Ministero, e dei regolamenti successivi che ne hanno determinato funzioni e organizzazione (D.P.R. n. 398/2001, modificato da D.P.R. n. 154/2006, D.P.R. n. 210/2009 e D.P.R. n. 112/2018), rappresentano il segmento operativo della politica dell’Amministrazione e rispondono funzionalmente al Ministro.
Le cinque strutture di primo livello in cui è articolato il Ministero dell'interno sono:
a) Dipartimento per gli affari interni e territoriali;
b) Dipartimento della pubblica sicurezza;
c) Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione;
d) Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile;
e) Dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie.
I Dipartimenti sono retti ciascuno da un Prefetto - Capo Dipartimento - Titolare del Centro di Responsabilità. Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza è diretto da un Prefetto con le funzioni di Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza.
I Dipartimenti sono a loro volta articolati in Direzioni Centrali, a ciascuna del le quali è preposto un Prefetto, oppure un Dirigente Generale (Area I, Polizia di Stato, Vigili del Fuoco). Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza è organizzato in Direzioni Centrali e in Uffici di pari livello, anche a carattere interforze.
Sempre a livello centrale, con il D.P.R. 21 marzo 2002, n. 98 sono stati individuati gli Uffici di diretta collaborazione del Ministro.
Il posto aggiuntivo di funzione dirigenziale di livello generale è da assegnare al personale dell’area delle funzioni centrali.
In proposito, in base alla Tabella allegata al DPCM 22 maggio 2015, che da ultimo ha rideterminato la pianta organica del Ministero, le posizioni dirigenziali generali (dirigenti I fascia) sono quattro. In base alla modifica proposta le unità salirebbero dunque a cinque.
Il D.P.C.M. 22 maggio 2015 ha fissato la pianta organica del Ministero in 22.140 unità di cui 1.390 della carriera prefettizia, 201 dirigenti (4 dirigenti I fascia e 197 dirigenti II fascia) e 20.549 unità di personale afferenti alle aree prima seconda e terza.
Al fine di assicurare l’invarianza finanziaria della misura prevista, si stabilisce che i maggiori oneri derivanti dall’incremento vengano compensati attraverso la contestuale soppressione di un numero di posti di funzione dirigenziale di livello non generale equivalente sotto il profilo finanziario.
Per la piena efficacia ed attuazione della modifica prevista dovrà seguire, come richiamato dalla disposizione, la modifica del regolamento di organizzazione del Ministero.
Il comma 2 modifica l’art. 12, co. 1, del D.L. 13 del 2017 (convertito da legge n. 46/2017) che ha autorizzato il Ministero dell’interno ad assumere fino a 250 unità di personale a tempo indeterminato per il biennio 2017-2018, da destinare agli uffici delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e della Commissione nazionale per il diritto di asilo.
Si ricorda che le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, che decidono in merito alle domande di protezione internazionale, sono distribuite sul territorio nazionale. Il Sistema nazionale per l’esame delle istanze di asilo si articola, ai sensi dell’art. 4, commi 2 e 2-bis, del d.lgs. n. 25/2008, in 20 Commissioni territoriali affiancate da 30 Sezioni.
Negli ultimi anni, nell’ottica dell’accelerazione del processo di esame delle istanze di protezione internazionale, il sistema delle Commissioni territoriali è stato potenziato. Il D.L. 13 del 2017 (art. 12, co. 1) ha autorizzato l’assunzione fino ad un massimo di 250 unità di personale a tempo indeterminato, mediante procedure concorsuali, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente ed anche in deroga alle procedure di mobilità.
Come emerso nel corso dell’indagine conoscitiva sul fenomeno migratorio, in corso di svolgimento presso la I Commissione della Camera, all’esito dell’espletamento delle procedure concorsuali di cui all’art. 12 del decreto legge n. 13/2017, i 250 funzionari hanno assunto l’incarico di componenti delle Commissioni e Sezioni territoriali, a partire dal 9 luglio 2018. Il potenziamento dei Collegi è stato completato il 4 febbraio 2019 con l’assunzione dei 162 funzionari amministrativi risultati idonei nello stesso concorso che sono stati assegnati alle sedi in base al carico di lavoro dei singoli Collegi.
La disposizione, aggiungendo un comma 1.1. al citato articolo 12, dispone che all’atto della cessazione dell’attività delle Commissioni territoriali, determinata con “provvedimento di natura non regolamentare”, il personale ivi assegnato è ricollocato presso le sedi centrali e periferiche dell’amministrazione civile del Ministero dell’interno. La ricollocazione del personale avviene – previo eventuale esperimento di una procedura di mobilità su base volontaria - nel rispettivo ambito regionale e sulla base delle esigenze organizzative e funzionali dell’amministrazione.
In relazione alla cessazione dell’attività di alcune Commissioni territoriali, è emerso nel corso dell’audizione del Presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo in sede di indagine conoscitiva (seduta dell’11 giugno) che “il decremento dei flussi migratori e la mutata entità della presenza dei richiedenti asilo nei Centri di accoglienza ha inciso sulle attività dei collegi deputati al riconoscimento della protezione internazionale, determinandone una variazione in diminuzione del carico di lavoro. Conseguentemente, si prevede di procedere, a brevissimo, all’adozione di un decreto per la redistribuzione delle Commissioni e Sezioni Territoriali secondo un programma cadenzato che potrebbe concludersi al 31 dicembre 2019”.
Si ricorda altresì che il D.L. 113 del 2018, sempre al fine di accelerare l’esame delle domande di asilo, ha previsto (art. 9, co 2-bis) la possibilità di istituire, a decorrere dal 1° gennaio 2019 e con durata massima di otto mesi fino a dieci ulteriori Sezioni temporanee. La disposizione ha trovato attuazione a decorrere dal 4 marzo 2019 con l’istituzione di 5 Sezioni temporanee che opereranno, sino al 3 novembre 2019, a Milano, Genova, Bologna, Firenze e Roma (dati raccolti in sede di indagine conoscitiva sul fenomeno migratorio in corso alla Camera). Pertanto le sezioni sono passate temporaneamente da 30 a 35.
Tali sezioni si vanno ad aggiungere a quelle specificamente previste nelle zone di frontiera e nelle zone di transito dal nuovo comma 1-quater dell’articolo 28-bis del D.lgs. 25/2008, introdotto dal D.L. 113 del 2018 (art. 9, co. 1, lett. b), numero 1).
Di seguito il prospetto delle Commissioni e sezioni operative consegnato in sede di indagine conoscitiva.
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Infine, si prevede che in caso di ricostituzione delle Commissioni territoriali, il personale sia ricollocato presso le sedi di provenienza, fermo restando la dotazione organica complessiva del Ministero.
Si ricorda in proposito che la legge stabilisce il numero massimo delle Commissioni territoriali e delle sezioni. Con decreto del Ministro dell’interno si procede, nel limite di legge, a istituire i singoli collegi.
L’articolo 9 ripristina la vigenza - fino al 31 dicembre 2019 - dell'articolo 57 del Codice in materia di protezione dei dati personali.
Quell'articolo del Codice concerne il trattamento dei dati effettuato dal Centro elaborazioni dati del Dipartimento di pubblica sicurezza e da organi, uffici o comandi di polizia, per finalità di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, prevenzione, accertamento o repressione dei reati.
La sua abrogazione è attualmente prevista dall'articolo 49 del decreto legislativo n. 51 del 2018. Essa vi è prevista come decorrente da un anno dall'entrata in vigore di tale decreto legislativo: dunque decorrente dall'8 giugno 2019.
Si intende così che la 'posticipazione' di tale termine, che ora si viene a prevedere, importi - giacché quel termine è ormai scaduto - il riacquisto della vigenza dell'articolo 57 del Codice (a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge).
Per sciogliere la catena normativa qui incisa, occorre risalire all'articolo 53 del Codice in materia di protezione dei dati personali (decreto legislativo n. 196 del 2003), quale vigente fino all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 51 del 2018.
L'articolo 53 richiamato prevedeva una sorta di regime 'speciale' per il trattamento di dati personali effettuato dal Centro elaborazione dati del Dipartimento di pubblica sicurezza o da forze di polizia sui dati destinati a confluirvi in base alla legge, ovvero da organi di pubblica sicurezza o altri soggetti pubblici per finalità di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, prevenzione, accertamento o repressione dei reati.
La 'specialità' era data dalla non applicazione di alcune disposizioni del medesimo Codice cd. della privacy.
L'articolo 57 del medesimo Codice, al contempo, prevedeva che per il sopra richiamato trattamento dei dati effettuato dal Centro elaborazioni dati e da organi, uffici o comandi di polizia, le modalità di attuazione dei principi del Codice fossero da definirsi con specifico decreto del Presidente della Repubblica, con particolare riguardo ad alcuni profili e principi[12]. A ciò provvide il regolamento recato dal D.P.R. n. 15 del 2018.
Successivamente è intervenuto il decreto legislativo n. 51 del 2018. Esso reca attuazione della direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016. Quella direttiva reca apposita disciplina relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati.
La direttiva europea 2016/680 procede in combinato disposto con il regolamento (UE) 2016/679 (atto di diretta applicazione: il coordinamento con la normativa nazionale è intervenuto con il decreto legislativo n. 101 del 2018).
Il complesso di tale disciplina europea ha importato una non marginale rivisitazione del Codice cd. della privacy.
Per la parte relativa agli articoli 53 e 57 del Codice, peraltro, la trasposizione della normativa europea nell'ordinamento italiano si è profilata come abrogazione tout court di quei due articoli, la cui disciplina risultava assorbita dal dispositivo della direttiva europea.
Pertanto l'articolo 49 del decreto legislativo n. 51 del 2018 ha disposto l'abrogazione di quei due articoli del Codice (insieme con alcuni altri), con il differimento tuttavia dell'abrogazione dell'articolo 57 del Codice decorso un anno dalla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo.
Questo, onde dar tempo per il 'trapasso' al nuovo assetto ordinamentale (posto che i regolamenti adottati in attuazione degli articoli 53 e 57 del Codice continuano ad applicarsi fino all'adozione di diversa disciplina, prevede il medesimo articolo 49, comma 3, del decreto legislativo n. 51).
Il termine di decorrenza dell'abrogazione dell'articolo 57 del Codice quindi è scaduto l'8 giugno 2018.
È dunque intervenuta l'abrogazione dell'articolo 57 del Codice della privacy.
La disposizione del decreto-legge dispone ora che quel medesimo articolo 57 riacquisti vigenza (dalla data di entrata in vigore del decreto-legge), fino al 31 dicembre 2019.
Tale maggiore lasso di tempo è inteso come necessario (si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione) per evitare un 'vuoto', posto che un emanando d.P.R. in materia (su cui deve essere acquisito il parere del Consiglio di Stato) deve altresì tener conto di quanto previsto dal decreto-legge n. 113 del 2018 (al suo articolo 18), in materia di accesso al Centro elaborazione dati del Dipartimento di pubblica sicurezza, da parte dei Corpi e servizi di polizia municipale.
L'articolo 9, comma 2, proroga al 1° gennaio 2020 il termine a partire dal quale acquista efficacia la riforma della disciplina delle intercettazioni introdotta dal decreto legislativo n. 216 del 2017.
Tale proroga, si precisa nella relazione illustrativa, si rende necessaria in quanto l'operatività della nuova disciplina è subordinata al completamento delle complesse misure organizzative in atto, anche relativamente alla predisposizione di apparati elettronici e digitali. Allo stato, infatti, le attività di collaudo dei sistemi presso i singoli uffici giudiziari delle procure della Repubblica, nonché quelle di adeguamento dei locali, risultano ancora in corso.
La lettera a), del comma 2 dell'articolo 9, modifica l’art. 9, comma 1, del decreto legislativo n. 216 del 2017, di riforma della disciplina delle intercettazioni di comunicazioni e conversazioni che ha previsto che le disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 4, 5 e 7 si applicano alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi del giudice emessi dopo il 31 luglio 2019. Il decreto-legge proroga tale termine al 1° gennaio 2020.
Il decreto legislativo n. 216 del 2017 ha attuato la delega volta a riformare la disciplina delle intercettazioni di comunicazioni e conversazioni, conferita al Governo dalla legge n. 103 del 2017 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario) sulla base di specifici principi e criteri direttivi. L’articolo 9 del decreto legislativo prevedeva nella sua versione originaria che le disposizioni di riforma della disciplina delle intercettazioni (con alcune eccezioni) avrebbero dovuto applicarsi alle operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi del giudice emessi dopo il centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore dello stesso decreto (e quindi il 26 luglio 2018). Tale termine è stato quindi prorogato, dapprima, dal decreto-legge n. 91 del 2018, al 1°aprile 2019, e successivamente, dalla legge n. 145 del 2018 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021) al 1°agosto 2019.
La proroga disposta dal decreto-legge non riguarda gli articoli 1 e 6 del decreto legislativo 216/2017:
· l’art. 1 inserisce nel codice penale il delitto di diffusione di riprese e registrazioni fraudolente per punire con la reclusione fino a quattro anni chiunque, partecipando a incontri o conversazioni private con la persona offesa, ne registra il contenuto all'insaputa dell'interlocutore (microfoni o telecamere nascoste) per diffonderlo allo scopo di recare un danno all'altrui reputazione;
· l’art. 6 semplifica i presupposti per disporre le intercettazioni nei procedimenti per i reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, quando tali reati siano puniti con pena detentiva non inferiore nel massimo a 5 anni. Se si procede per tali delitti, infatti, si deroga ai presupposti dell’art. 267 c.p.p. e l'intercettazione dovrà risultare necessaria (non più assolutamente indispensabile) e saranno sufficienti indizi di reato (anche non gravi).
La lettera b) del comma 2 dell'articolo 9 del decreto legge in esame, modifica invece il comma 2 del citato articolo 9 del decreto legislativo n. 216 del 2017.
In particolare è prorogato al 1°gennaio 2020 il termine a partire dal quale acquista efficacia la disposizione (art. 2, comma 1, lett. b) del citato decreto legislativo n.216 del 2017) che introduce un’eccezione al generale divieto di pubblicazione degli atti (art. 114 c.p.c.), tale da consentire la pubblicabilità dell’ordinanza di custodia cautelare di cui all’art. 292 c.p.c.
La proroga di cui alla lett. b) è conseguente a quella disposta dalla lett. a) del medesimo comma 2 della disposizione in commento che, come si è detto, procrastina l’applicazione della riforma delle intercettazioni al 1° gennaio 2020.
L'articolo 114, comma 2, c.p.c. dispone il divieto di pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti da segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare. Il D.Lgs 216 del 2017, all’art. 2, comma 1, lett. b) esclude dal suddetto divieto di pubblicazione l’ordinanza (con la quale il giudice concede la misura cautelare) indicata dall’art. 292 c.p.c.
Si ricorda peraltro che l’art. 292 è esso stesso oggetto di riforma da parte del D.lgs. 216 del 2017. In particolare l’art. 3, comma 6, lettera f) di tale provvedimento ha introdotto, nell’art. 292 c.p.c. un nuovo comma 2-quater, il quale prevede che quando è necessario per l'esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi, delle comunicazioni e conversazioni intercettate sono riprodotti soltanto i brani essenziali. Tale disposizione come si è visto, per effetto della proroga disposta dalla lettera a) si applicherà esclusivamente alle intercettazioni disposte dopo il 31 dicembre 2019.
In relazione ai profili oggetto della proroga, la riforma prevista dal decreto legislativo n. 216 del 2017, in estrema sintesi:
· a tutela della riservatezza delle comunicazioni dei difensori nei colloqui con l'assistito, ne vieta la trascrizione, anche sommaria;
· prevede - con riguardo alla garanzia di riservatezza delle comunicazioni non penalmente rilevanti o contenenti dati sensibili - che quando l'ufficiale di polizia giudiziaria ascolta una comunicazione di questa natura non la trascriva, neanche sommariamente. L'ufficiale avrà, tuttavia, un obbligo di annotazione, anche sommaria, dei contenuti di quelle comunicazioni affinché il PM possa, eventualmente, compiere valutazioni diverse, chiedendo la trascrizione anche di quelle comunicazioni quando le ritenga utili alle indagini;
· in relazione alla procedura di selezione delle intercettazioni, disciplina la fase del deposito dei verbali e delle registrazioni, con la possibilità offerta alle parti di prenderne cognizione, e la fase dell'acquisizione del materiale intercettato al fascicolo delle indagini. Tale fase segue una duplice procedura, a seconda che le intercettazioni debbano o meno essere utilizzate per motivare una misura cautelare: nel primo caso, l'acquisizione è disposta dal PM a seguito del provvedimento del giudice che adotta la misura cautelare; nel secondo caso è disposta dal giudice che ha autorizzato le operazioni all'esito di un contradditorio tra accusa e difesa che può essere anche solo cartolare;
· prevede, a tutela dei difensori, che questi possano ottenere la trasposizione su supporto informatico delle registrazioni acquisite al fascicolo, e copia dei verbali delle operazioni. La trascrizione delle intercettazioni, attualmente prevista al termine dell'udienza di stralcio, dovrà invece essere effettuata all'apertura del dibattimento; solo in quella fase le parti potranno estrarre copia delle intercettazioni;
· stabilisce che tutti gli atti delle intercettazioni non acquisiti al fascicolo siano restituiti al PM per la conservazione nell'archivio riservato tenuto presso l'ufficio del PM e siano coperti da segreto; ogni accesso all'archivio dovrà essere registrato. Il GIP potrà accedere e ascoltare le registrazioni; i difensori delle parti potranno ascoltare le registrazioni ma non potranno ottenere copia delle registrazioni e degli atti;
· per quanto riguarda l'uso delle intercettazioni nel procedimento cautelare, prevede che, tanto nella richiesta di misura cautelare fatta dal PM, quanto nell'ordinanza del giudice che concede la misura, possano essere riprodotti solo i brani essenziali delle comunicazioni intercettate, che risultino necessari a sostenere la richiesta del PM o a motivare la decisione del giudice. Anche in questa fase, i difensori potranno esaminare gli atti e le registrazioni, ma non estrarre copia.
· dispone, poi, che sia il PM ad acquisire al fascicolo delle indagini le intercettazioni utilizzate per l'adozione di una misura cautelare; ciò farà seguito, peraltro, a un vaglio di rilevanza del materiale presentato dal PM a corredo della richiesta, effettuato dal giudice della cautela, che dovrà restituire al PM gli atti contenenti le comunicazioni e conversazioni intercettate ritenute dal giudice non rilevanti o inutilizzabili per la conservazione nell'archivio riservato;
· disciplina le intercettazioni tra presenti mediante immissione di captatori informatici in dispositivi elettronici portatili (c.d. trojan). I dettagli tecnici dei programmi informatici da utilizzare e che devono assicurare la possibilità di disattivare il dispositivo alla fine delle operazioni rendendolo inservibile sono stati definiti dal decreto ministeriale 20 aprile 2018.
L’articolo 10 integra di 500 unità, dal 20 giugno 2019 e fino al 14 luglio 2019, il contingente di personale militare di cui al comma 688 dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2018 (legge n. 205 del 2017) da destinare alle esigenze di sicurezza connesse allo svolgimento dell'Universiade Napoli 2019, limitatamente ai servizi di vigilanza a siti e obiettivi sensibili,
Il comma 688 dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2018 ha prorogato fino al 31 dicembre 2019 e limitatamente a 7.050 unità l'operatività del piano di impiego di cui all’articolo 7-bis del decreto-legge 23 maggio 2008 n. 92 (c.d. “operazione strade sicure”), concernente l'utilizzo di un contingente di personale militare appartenente alle Forze armate per il controllo del territorio in concorso e congiuntamente alle Forze di polizia. Da ultimo, l’articolo 27 del decreto legge n. 32 del 2019 ha integrato di ulteriori 15 unità, fino al 31 dicembre 2019, il contingente di personale militare di cui al richiamato piano di impiego operativo da destinare al presidio della zona rossa dei comuni di Casamicciola Terme e Lacco Ameno dell’isola d’Ischia, interessati dagli eventi sismici verificatisi il 21 agosto 2017.
La possibilità di fare ricorso alle Forze armate per far fronte a talune gravi emergenze di ordine pubblico sul territorio nazionale è stata contemplata per la prima volta nel corso della XI legislatura (1992-1994). Nelle successive legislature in diverse occasioni e attraverso specifici provvedimenti legislativi, si è nuovamente disposto l'invio di contingenti di personale militare da affiancare alle forze dell'ordine nell'ambito di operazioni di sicurezza e di controllo del territorio e di prevenzione dei delitti di criminalità organizzata. Il principale riferimento normativo in merito alle possibilità di impiego delle Forze armate in compiti di ordine pubblico è attualmente rappresentato dall'articolo 89 del Codice dell'ordinamento militare (d.lgs n. 66 del 2010) il quale include tra i compiti delle Forze Armate, oltre alla difesa della patria, il concorso alla "salvaguardia delle libere istituzioni".
Per quanto concerne le disposizioni di carattere ordinamentale applicabili al personale militare impiegato nelle richiamate attività di vigilanza connesse allo svolgimento dell'Universiade Napoli 2019 l’articolo 10 rinvia alle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 7-bis del decreto legge n. 92 del 2008, in base alle quali:
1. il personale militare è posto a disposizione dei prefetti interessati;
2. il piano di impiego del personale delle Forze armate è adottato con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della difesa, sentito il Comitato nazionale dell'ordine e della sicurezza pubblica integrato dal Capo di stato maggiore della difesa e previa informazione al Presidente del Consiglio dei Ministri. Il Ministro dell'interno riferisce in proposito alle competenti Commissioni parlamentari;
3. nel corso delle operazioni i militari delle Forze armate agiscono con le funzioni di agenti di pubblica sicurezza.
In relazione al richiamato contingente di personale delle forze armate utilizzato nel piano di impiego operativo (comma 74 dell'articolo 24 del decreto legge n. 78 del 2009) la disposizione in esame autorizza la spesa di euro 1.214.141 euro per l'anno 2019.
Alla relativa copertura si provvede a valere mediante corrispondente utilizzo delle risorse iscritte sul Fondo per il federalismo amministrativo di parte corrente di cui alla legge 15 marzo 1997, n. 59, dello stato di previsione del Ministero dell'interno.
La XXX Universiade, che si svolgerà a Napoli dal 3 al l4 luglio 2019, è una manifestazione sportiva multidisciplinare rivolta ad atleti universitari provenienti da ogni parte del mondo.
Al riguardo, si ricorda che, al fine di assicurare la realizzazione dell’Universiade 2019, l’art. 1, co. 375-388, della L. 205/2017 (L. di bilancio 2018) – come modificato dall’art. 10 del D.L. 91/2018 (L. 108/2018) – ha previsto la nomina di un commissario straordinario, individuato nel Direttore dell'Agenzia regionale Universiade 2019 (ARU).
Il commissario straordinario è stato chiamato a predisporre un piano degli interventi – volto alla progettazione e realizzazione di lavori e all'acquisizione di servizi e beni, anche per eventi strettamente connessi allo svolgimento della manifestazione sportiva –, nei termini e con le modalità previste dall’art. 61 del D.L. 50/2017 per gli eventi di sci alpino 2020 e 2021, tenendo conto dei progetti e degli interventi già approvati dagli enti interessati e dalla Federazione internazionale dello sport universitario.
Gli interventi previsti nel piano approvato sono dichiarati di pubblica utilità e di urgenza e qualificati come di preminente interesse nazionale.
Allo scopo di assicurare la realizzazione degli interventi del piano è stata costituita una cabina di coordinamento, che è composta dal commissario straordinario, dal Presidente della Regione Campania o da un suo delegato, dai sindaci delle città capoluogo di provincia della Campania o loro delegati, nonché dei comuni ove vengano localizzati gli interventi, dai presidenti di FISU, CUSI, CONI o un suo delegato, e dal presidente dell'ANAC o un suo delegato.
La consegna delle opere doveva avvenire entro il 31 maggio 2019 (salvo per quelle che, in quanto non indispensabili al regolare svolgimento degli eventi sportivi, potranno essere ultimate dopo).
Ai fini indicati, è stata autorizzata la spesa di € 100.000 per ciascuno degli anni 2018 e 2019.
Ogni sei mesi e al termine dell'incarico, il commissario invia, tra gli altri, alle competenti Commissioni parlamentari e al Presidente del Consiglio dei ministri, una relazione sulle attività svolte, insieme alla rendicontazione contabile delle spese sostenute[13].
Al termine delle Universiadi, le opere realizzate in attuazione del piano degli interventi restano acquisite al patrimonio della regione Campania o degli altri enti locali territorialmente competenti.
L’articolo 10-bis reca una autorizzazione di spesa per garantire la fruizione dei pasti al personale delle Forze di Polizia in occasione di servizi di ordine pubblico svolti fuori sede in località in cui non siano disponibili strutture adibite a mensa di servizio ovvero esercizi privati convenzionati di ristorazione.
L’autorizzazione di spesa ammonta a 1.330.000 euro per l’anno 2019, 4.000.000 di euro per l’anno 2020 e 5.000.000 di euro a decorrere dall’anno 2021.
La copertura è assicurata da una corrispondente riduzione del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell’ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2019, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dell’interno.
Per la disciplina relativa ai pasti del personale delle Forze di Polizia si veda la scheda relativa all’articolo 12-bis, comma 2, del provvedimento in esame.
L’articolo 10-ter, introdotto nel corso dell’esame del provvedimento in sede referente, dispone l’istituzione dell’Ispettorato scuole della Polizia di Stato con funzioni di raccordo e coordinamento degli istituti, scuole e centri di formazione e addestramento del personale della Polizia.
In particolare, la disposizione aggiunge i commi da 2-bis a 2-quater all’articolo 6 della legge 78 del 2000.
In base al nuovo comma 2-bis, all’Ispettorato scuole è preposto un dirigente generale “nell’ambito della dotazione organica vigente e fermo restando il numero complessivo degli uffici dirigenziali non generali, in cui si articola il Dipartimento della pubblica sicurezza”.
Al fine di evitare certezze interpretative, andrebbe valutata l’opportunità di chiarire a quale dotazione organica si faccia riferimento (quella complessiva del Ministero o quella del Dipartimento di PS) e se l’Ispettorato sia istituito nell’ambito del medesimo Dipartimento.
In proposito, si ricorda che attualmente, il Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno (art. 4, D.P.R. n. 398/2001) si articola in 14 tra Direzioni centrali e Uffici di pari livello, anche interforze. Si tratta dei seguenti uffici:
§ Segreteria del Dipartimento;
§ Ufficio per l'amministrazione generale del Dipartimento;
§ Ufficio per il coordinamento e la pianificazione delle Forze di polizia;
§ Ufficio centrale ispettivo;
§ Direzione centrale della polizia criminale;
§ Direzione centrale della polizia di prevenzione;
§ Direzione centrale per la polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della Polizia di Stato;
§ Direzione centrale dei servizi antidroga;
§ Direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere (istituita dalla L. 189/2002, art. 35);
§ Direzione centrale per gli affari generali e le politiche del personale della Polizia di Stato;
§ Direzione centrale per gli istituti di istruzione;
§ Direzione centrale di sanità;
§ Direzione centrale dei servizi tecnico-logistici e della gestione patrimoniale;
§ Direzione centrale per i servizi di ragioneria.
A capo del Dipartimento è posto un prefetto, che assume le funzioni di Capo della Polizia – direttore generale della pubblica sicurezza. Sono previsti tre vice direttori generali, con funzioni specifiche.
Dal Dipartimento dipendono, inoltre, la Direzione investigativa antimafia e i due Istituti di formazione per le Forze di polizia:
§ l'Istituto superiore di polizia per la formazione, la qualificazione e l'aggiornamento dei funzionari della Polizia di Stato;
§ la Scuola di perfezionamento per le Forze di polizia per l'alta formazione e l'aggiornamento dei funzionari e degli ufficiali delle Forze di polizia.
Oltre a questi istituti, vi sono numerosi centri di formazione dislocati sul territorio dove sono addestrati sia coloro che già appartengono alla Polizia di Stato, sia gli allievi vincitori di concorso che per iniziare la loro attività sono avviati a frequentare un corso, di differente durata e difficoltà, in base alla qualifica da ricoprire.
La disposizione prevede testualmente che “attraverso l’Ispettorato le competenti articolazioni del Dipartimento della pubblica sicurezza svolgono le funzioni di raccordo e di uniformità di azione degli istituti, scuole, centri di formazione e addestramento della Polizia di Stato”.
Dall’Ispettorato vengono a dipendere i predetti istituti, scuole e centri di formazione, nonché, limitatamente allo svolgimento delle attività di formazione e di addestramento, i centri che svolgono anche attività operative di tipo specialistico.
Al contempo, la disposizione specifica che resta ferma la dipendenza diretta dal Dipartimento della pubblica sicurezza delle già citate:
§ Scuola di perfezionamento per le forze di polizia di cui all’articolo 22 della legge 1° aprile 1981, n. 121;
I corsi svolti dalla scuola sono indirizzati all'altra formazione e all'aggiornamento dei funzionari e degli ufficiali delle forze di polizia per un'adeguata e qualificata preparazione nelle materie attinenti ai compiti istituzionali. Il regolamento della Scuola è stato adottato con D.P.R. 11 giugno 1986, n. 423.
§ Istituto superiore di polizia, come riorganizzato ai dell’articolo 67 del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334.
Tale scuola è istituita nell'àmbito dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza per la formazione, l'aggiornamento professionale e la specializzazione del personale appartenente ai ruoli dei dirigenti e direttivi della Polizia di Stato. Il regolamento di riorganizzazione dell’Istituto è stato adottato con D.P.R. 1° agosto 2006, n. 256, modificato da ultimo con D.P.R. 27 del 2018.
Il comma 2-ter rinvia ad un decreto del Ministro dell’interno la definizione dell’articolazione e delle competenze del neo istituito Ispettorato.
Si ricorda che la determinazione del numero e delle competenze degli uffici, dei servizi e delle divisioni in cui si articola il Dipartimento della pubblica sicurezza, nonché la determinazione delle piante organiche e dei mezzi a disposizione sono effettuate con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia (art. 5, co. 7, L. n. 121/1981).
Il successivo comma 2-quater prevede la neutralità finanziaria delle previsioni contenute nei precedenti commi, stabilendo che ai relativi adempimenti si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
L’articolo 11 introduce nuove fattispecie di ingresso in Italia - per missione, per gara sportiva e, come aggiunto nel corso dell’esame in sede referente, per ricerca scientifica - tra quelle per le quali il permesso di soggiorno non sia necessario (in caso di soggiorni non superiori a tre mesi).
L'articolo novella la legge n. 68 del 2007, recante "Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio".
Di questa legge, la disposizione qui novellata (articolo 1, comma 1) prevede che per l'ingresso in Italia per visite, affari, turismo e studio, non sia richiesto il permesso di soggiorno, qualora la durata del soggiorno sia non superiore a tre mesi.
In tal caso è sufficiente il visto d'ingresso (rilasciato dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello Stato di origine o di stabile residenza dello straniero); ed al momento dell'ingresso (o in caso di provenienza da Paesi dell'area Schengen, entro otto giorni dall'ingresso) lo straniero dichiara la sua presenza all'autorità di frontiera (o al questore della provincia in cui si trova).
Dunque tale regime 'agevolato' vale, secondo la norma vigente, per quattro tipologie e finalità di ingresso: visite; affari; turismo; studio.
La novella ne aggiunge altre tre: missione; gara sportiva e ricerca scientifica.
Conseguentemente, viene meno l'obbligo per l'interessato di acquisire (entro otto giorni dal suo ingresso in Italia) il permesso di soggiorno per gara sportiva o per missione. Rimane, immodificato, l'obbligo di acquisire il visto d'ingresso per gara sportiva o per missione (di cui al decreto interministeriale n. 850 del 2011).
Siffatta semplificazione è disposta - si legge nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione (C. 1913 - che fa riferimento ai visti per missione e per gara sportiva riferendosi al testo iniziale del decreto-legge) - con carattere di urgenza in ragione dello svolgimento delle Universiadi di Napoli (previsto dal 3 al 14 luglio 2019). Si prevede una partecipazione di 8.000 atleti (più il loro staff). Tale afflusso di persone importerebbe un'attività amministrativa da parte della questura di Napoli assai intensa e concentrata, qualora essa dovesse procedere al rilascio dei permessi di soggiorno per gara sportiva o per missione.
In relazione alle suddette tipologie di soggiorno il citato D.M. 11 maggio 2011, n. 850 – che individua le tipologie dei visti corrispondenti ai diversi motivi d'ingresso - dispone quanto segue (nel decreto il riferimento è al visto per “ricerca” senza la specificazione “ricerca scientifica”):
Visto per "gara sportiva" (V.S.U.)
Il visto per gara sportiva consente l'ingresso, ai fini di un soggiorno di breve durata, allo sportivo straniero, agli allenatori, ai direttori tecnico-sportivi, ai preparatori atletici che intendano partecipare o siano invitati a partecipare, a carattere professionistico o dilettantistico, a singole competizioni o ad una serie di manifestazioni sportive organizzate dalle Federazioni sportive nazionali o dalle Discipline sportive associate riconosciute dal Comitato Olimpico nazionale Italiano, in territorio nazionale.
Per la partecipazione a tali gare, di carattere ufficiale o amichevole, ma esclusivamente nell'ambito di discipline sportive organizzate dalle Federazioni Sportive Nazionali o dalle Discipline associate riconosciute dal Comitato Olimpico, è necessaria la comunicazione del C.O.N.I. che attesti la notorietà della competizione, confermi l’invito a partecipare rivolto all’atleta o al gruppo sportivo, e richieda il rilascio del relativo visto d’ingresso. (…) Per l’ottenimento del visto d’ingresso per gara sportiva è in ogni caso richiesto il possesso di adeguati mezzi economici di sostentamento, non inferiori all'importo stabilito dal Ministero dell'interno con la direttiva di cui all'art. 4, comma 3 del testo unico n. 286/1998 e successive modifiche ed integrazioni, la disponibilità di un alloggio (prenotazione alberghiera o dichiarazione di ospitalità, prestata da cittadino dell’U.E. o straniero regolarmente residente in Italia), ed il possesso di un’assicurazione sanitaria, di cui alla Decisione del Consiglio del 22 dicembre 2003, nei termini ed alle condizioni stabilite dalle relative Linee Guida.
Visto per "missione" (V.S.U. o V.N.)
Il visto per missione consente l'ingresso in Italia, ai fini di un soggiorno di breve o lunga durata, a tempo determinato, allo straniero che per ragioni legate alla sua funzione politica, governativa o di pubblica utilità debba recarsi in territorio italiano.
Hanno accesso a tale categoria di visto gli stranieri che rivestano cariche governative o siano dipendenti di pubblica amministrazione, di enti pubblici, o di Organizzazioni internazionali, inviati in Italia nell'espletamento delle loro funzioni, ovvero i privati cittadini che per l'importanza della loro attività e per gli scopi del soggiorno possano ritenersi di pubblica utilità per le relazioni tra lo Stato di appartenenza e l'Italia.
Il visto per missione può essere rilasciato anche in favore di giornalisti corrispondenti ufficiali da accreditare in Italia. In tal caso, le richieste di visto dovranno essere avanzate per le vie diplomatiche, e la concessione del visto è in ogni caso subordinata all’acquisizione del preventivo nulla osta del Ministero degli affari esteri, Servizio Stampa.
Analogo visto per missione può essere rilasciato agli stranieri componenti lo stretto nucleo familiare convivente del titolare, anche quando quest'ultimo sia esente dal visto.
Visto per "ricerca" (V.S.U. o V.N.)
Il visto per ricerca consente l’ingresso, ai fini di un soggiorno di breve o di lunga durata, allo straniero, in possesso di un titolo di studio superiore che nel Paese in cui è stato conseguito dia accesso a programmi di dottorato, il quale sia chiamato in Italia per lo svolgimento di un’attività di ricerca da parte di un’università o di un istituto di ricerca aventi i requisiti previsti dall’art. 27-ter , comma 1 e 2 del testo unico n. 286/98 e successive modifiche ed integrazioni. L’attività di ricerca cui è chiamato lo straniero può essere svolta, a seconda dell’apposita convenzione di accoglienza stipulata con l’università o l’istituto di ricerca, nelle forme di lavoro subordinato, lavoro autonomo, o nell’ambito di una borsa di addestramento alla ricerca. I requisiti e le condizioni per l’ottenimento del visto sono stabiliti dall’art. 27-ter del testo unico n. 286/98 e successive modifiche ed integrazioni. Ai fini del rilascio del visto d’ingresso di lunga durata, lo Sportello Unico per l’Immigrazione provvederà a comunicare per via telematica alla competente rappresentanza diplomatico-consolare il proprio nulla osta per ricerca. Il relativo visto è rilasciato prioritariamente rispetto a quello delle altre tipologie. Il nullaosta per “ricerca” rilasciato dallo Sportello Unico per l’Immigrazione ai sensi di quanto previsto dall’articolo 27-ter del testo unico 286/1998 e successive modifiche ed integrazioni e trasmesso per via telematica direttamente agli Uffici Consolari, deve essere utilizzato, ai fini del rilascio del visto, entro sei mesi dalla data di emissione. Il visto d’ingresso per lo svolgimento in Italia di un’attività di ricerca nel campo delle professioni sanitarie è subordinato, oltre che al possesso di tutti i requisiti di norma previsti, anche al preventivo riconoscimento del titolo di studio da parte del Ministero della salute. Nei casi in cui non sia previsto lo svolgimento di attività di tipo sanitario, il responsabile legale della struttura sanitaria ove verrà svolta l’attività di ricerca dovrà rilasciare una specifica dichiarazione in tal senso ad uso delle Rappresentanze diplomatico-consolari.
Il 6 giugno 2019, il Consiglio dell’UE ha adottato una serie di modifiche al regolamento (CE) n. 810/2009 che istituisce un codice comunitario dei visti.
La riforma della disciplina in materia di visti codice mira a garantire procedure più rapide e chiare per i viaggiatori in regola, tra l’altro:
· consentendo di presentare le domande da 6 mesi a 15 giorni prima del viaggio
· prevedendo la possibilità di compilare e firmare il modulo di domanda per via elettronica
· introducendo un metodo armonizzato per il rilascio dei visti per ingressi multipli ai viaggiatori in regola con pregressa esperienza positiva sotto il profilo dei visti per un periodo in graduale aumento da 1 a 5 anni.
Sono inoltre previsti l’aumento dei diritti per i visti a 80 euro, e l’introduzione di un meccanismo per riesaminare ogni tre anni l'eventualità di modificare tali diritti.
È infine introdotto un meccanismo in forza del quale si utilizza il trattamento delle domande di visto come leva rispetto alla cooperazione in materia di riammissione dei migranti irregolari.
In particolare, nell'ambito di questo meccanismo, la Commissione valuterà periodicamente la cooperazione con i paesi terzi in materia di riammissione. Se un paese non collabora, la Commissione suggerirà al Consiglio di adottare una decisione di esecuzione che applichi specifiche misure restrittive in materia di visti per quanto riguarda il trattamento delle domande e, da ultimo, i diritti per i visti. Se invece il paese collabora, la Commissione può suggerire che il Consiglio adotti una decisione di esecuzione che disponga o la riduzione dei diritti per i visti, o tempi più brevi per decidere in merito alle domande di visto oppure periodi di validità più lunghi dei visti per ingressi multipli.
Alla data del 24 giugno 2019, il nuovo regolamento risulta ancora in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’UE.
L’articolo 12 istituisce, presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, un fondo per le politiche di rimpatrio volto a sostenere iniziative di cooperazione o intese bilaterali per la riammissione degli stranieri irregolari presenti nel territorio nazionale e provenienti da Paesi extra-UE.
Il fondo ha una dotazione inziale di 2 milioni di euro per l’anno 2019, che potranno essere incrementati da una quota annua fino a 50 milioni di euro determinata annualmente con decreto interministeriale.
In particolare, (comma 1) il fondo è destinato a finanziare:
· interventi di cooperazione attraverso il sostegno al bilancio generale o settoriale;
· intese bilaterali.
Il sostegno al bilancio è uno degli strumenti per il finanziamento utilizzati dalla cooperazione allo sviluppo, disciplinata dalla legge 11 agosto 2014, n. 125 . In questo caso le risorse non sono destinate a finanziare un progetto specifico ma confluiscono direttamente nel bilancio dello Stato beneficiario. Il sostegno al bilancio generale consiste in finanziamenti del bilancio dello Stato per sostenere l’attuazione delle riforme macroeconomiche (programmi di aggiustamento strutturale, strategie di riduzione della povertà, promosse da organizzazioni internazionali). Il sostegno settoriale al bilancio, come il sostegno al bilancio generale, è un contributo finanziario al bilancio del governo destinatario. Tuttavia, il sostegno settoriale al bilancio è destinato a settori specifici id intervento, quali l’istruzione o la sanità.
La dotazione del fondo, inizialmente pari a 2 milioni per il 2019 (comma 1), potrà essere successivamente incrementata da una quota annua al massimo di 50 milioni di euro all’anno, a valere su una quota delle risorse derivanti dalle misure di razionalizzazione della spesa per la gestione dei centri per l’immigrazione e dagli interventi per la riduzione del costo giornaliero per l’accoglienza dei migranti posti in essere dal Ministero dell’interno in attuazione della legge di bilancio 2019. Il riferimento non riguarda la totalità di tali risorse, bensì dagli eventuali risparmi ulteriori alla soglia minima fissata dalla medesima legge di bilancio. La quota è individuata annualmente con il decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze ivi previsto, sentito il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale (comma 2).
L’articolo 1, comma 767, secondo periodo, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019) prescrive una razionalizzazione di spesa da parte del Ministero dell’interno. La norma specifica che la razionalizzazione debba coinvolgere la gestione dei centri per l’immigrazione, in conseguenza, si legge nella disposizione, della contrazione del fenomeno migratorio. Inoltre, il medesimo comma prevede, al contempo, interventi per la riduzione del costo giornaliero per l’accoglienza dei migranti. Da tali misure, prescrive la legge, devono derivare risparmi connessi all’attivazione, locazione e gestione dei centri di trattenimento e di accoglienza per stranieri irregolari per un ammontare almeno pari a 400 milioni di euro per l’anno 2019, a 550 milioni di euro per l’anno 2020 e a 650 milioni di euro annui a decorrere dal 2021.
Eventuali risparmi realizzati in eccesso rispetto alle predette soglie, e annualmente accertati con decreto interministeriale da adottare entro il 30 settembre di ciascun anno, sono destinati alle esigenze di funzionamento del Ministero dell’interno. Per essi si prevede l’istituzione di un apposito fondo nel programma "Servizi e affari generali per le amministrazioni di competenza" della missione "Servizi istituzionali e generali delle amministrazioni pubbliche" del Ministero medesimo.
La medesima legge di bilancio dispone, infine, che le somme accertate ai sensi del comma 2 e iscritte sul fondo siano ripartite tra i capitoli di funzionamento del Ministero dell’interno, con decreto del Ministro medesimo, previo assenso del Ministero dell’economia e delle finanze-Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato-Ispettorato generale del bilancio (art. 1, comma 768).
Alla copertura degli oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del Fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019 – 2021, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2019, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (comma 3).
L’allontanamento degli stranieri, quale sistema di contrasto alla immigrazione irregolare, trova applicazione nel nostro ordinamento attraverso diverse misure.
Una di questa è l’espulsione amministrativa, che può essere eseguita con l’accompagnamento alla frontiera da parte delle forze dell’ordine, disposto dal prefetto in determinati casi (rischio di fuga, presentazione di domanda di permesso di soggiorno fraudolenta ecc.).
Se l’espulsione non può essere eseguita immediatamente, gli stranieri sono trattenuti presso appositi Centri di permanenza per i rimpatri (CPR) istituiti dal D.L. 13/2017 in sostituzione dei centri di identificazione ed espulsione (i CIE, che a loro volta avevano sostituito i centri di permanenza temporanea ed assistenza – CPTA), per il tempo strettamente necessario alla loro identificazione ed espulsione.
Qualora non ricorrano le condizioni per l’accompagnamento immediato alla frontiera, lo straniero può chiedere al prefetto, ai fini dell’esecuzione dell’espulsione, la concessione di un periodo per la partenza volontaria, anche attraverso programmi di rimpatrio volontario ed assistito (RVA).
Al finanziamento di tali programmi si provvede attingendo al Fondo rimpatri, cui si aggiungono le risorse disponibili dei fondi europei per il rimpatrio.
Tra le misure previste dai programmi RVA è prevista anche la collaborazione con i Paesi di destinazione dei cittadini stranieri, per la promozione del reinserimento degli interessati.
Hanno la stessa finalità di agevolare i rimpatri gli accordi bilaterali di riammissione e gli accordi di riammissione UE, stipulati con i Paesi terzi a più forte pressione migratoria.
Secondo i dati inclusi nella documentazione menzionata dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Moavero Milanesi, nell’audizione sulle politiche internazionali in materia d’immigrazione, svoltasi il 6 marzo 2019 presso il Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e di vigilanza in materia di immigrazione, il Ministero dell’interno ha sottoscritto accordi di riammissione ed intese tecniche di varia natura con Algeria, Costa d’Avorio, Egitto, Filippine, Ghana, Gibuti, Kosovo, Marocco, Niger, Nigeria, Senegal, Sudan e Tunisia.
L’Unione europea ha invece sottoscritto accordi riammissione con Albania, Armenia, Azerbaijan, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Georgia, Hong Kong, Macao, Macedonia del Sud, Moldova, Montenegro, Pakistan, Russia, Serbia, Sri Lanka, Turchia ed Ucraina. Nell’ambito di quest’ultima categoria l’Italia ha sottoscritto protocolli bilaterali attuativi con Albania, Bosnia-Erzegovina, Moldova, Montenegro, Russia e Serbia, mentre è in corso di parafatura un’intesa con lo Sri Lanka ed in via di negoziazione un’intesa con l’Ucraina.
Con l’istituzione del Fondo di premialità per le politiche di rimpatrio la disposizione in esame si prefigge l’obiettivo di introdurre un ulteriore strumento per una “politica estera dell’immigrazione” finalizzato a favorire la riammissione degli stranieri nei Paesi di origine.
Si ricorda che l’art. 2, comma 6 della legge n. 125/2014 nel determinare i criteri dell’azione italiana nell’ambito della cooperazione internazionale allo sviluppo, menziona espressamente che essa è finalizzata a definire “politiche migratorie condivise con i Paesi partner, ispirate alla tutela dei diritti umani ed al rispetto delle norme europee e internazionali”.
Il rimpatrio volontario assistito
Il rimpatrio volontario assistito RVA consiste nella possibilità di ritorno offerta ai migranti che non possano o non vogliano restare nel Paese ospitante e che desiderano, in modo volontario e spontaneo, ritornare nel proprio Paese d´origine. L’istituto del rimpatrio volontario assistito è stato introdotto nell’ordinamento dal D.L. 89/2011, in attuazione della direttiva 2008/115/CE del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. In particolare il decreto-legge ha modificato l’articolo 13 del testo unico sull’immigrazione (Espulsione amministrativa), l’articolo 14 (Esecuzione dell’espulsione) e introdotto l’articolo 14-ter (Programmi di rimpatrio assistito). Le disposizioni sul rimpatrio volontario assistito non si applicano a coloro i quali sono destinatari di un provvedimento di espulsione come sanzione penale o conseguenza di questa, o sono destinatari di un provvedimento di estradizione o di un mandato di arresto europeo o di un mandato di arresto da parte della Corte penale internazionale.
Il RVA avviene sulla base di programmi di rimpatrio attuati dal Ministero dell’interno, anche in collaborazione con le organizzazioni internazionali o intergovernative esperte nel settore dei rimpatri, con gli enti locali e con associazioni attive nell’assistenza agli immigrati.
Al finanziamento dei programmi di rimpatrio volontario assistito si provvede nei limiti: a) delle risorse disponibili del Fondo rimpatri, individuate annualmente con decreto del Ministro dell’interno; b) delle risorse disponibili dei fondi europei destinati a tale scopo, secondo le relative modalità di gestione.
Il quadro normativo è stato successivamente integrato dal decreto ministeriale 27 ottobre 2011, recante Linee guida per l’attuazione dei programmi di rimpatrio volontario e assistito, le quali si applicano ai cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea e agli apolidi che fanno richiesta di partecipazione ai programmi di rimpatrio volontario e assistito.
I programmi di rimpatrio volontario e assistito possono prevedere le seguenti attività:
- divulgazione di informazioni sulla possibilità di usufruire di sostegno al rimpatrio e sulle modalità di partecipazione ai relativi programmi;
- assistenza al cittadino straniero in fase di presentazione della richiesta e di altri adempimenti necessari per il rimpatrio;
- informazione sui diritti e doveri del cittadino straniero connessi alla partecipazione al programma di rimpatrio;
- organizzazione dei trasferimenti, assistenza del cittadino straniero, con particolare riguardo ai soggetti vulnerabili;
- corresponsione di un contributo economico per le prime esigenze nonché assistenza ed eventuale sostegno del cittadino straniero, al momento dell’arrivo nel Paese di destinazione;
- collaborazione con i Paesi di destinazione del cittadino straniero, al fine di promuovere adeguate condizioni di inserimento.
Il Fondo rimpatri
Il Fondo rimpatri, istituito presso il Ministero dell’interno, è disciplinato dall’articolo 14-bis del TU, introdotto dalla L. 94/2009. Esso è finalizzato a finanziare le spese per il rimpatrio (volontario e non) degli stranieri nei Paesi di origine o di provenienza.
Il Fondo è alimentato dalla metà del gettito del contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno di cui all’art. 5, comma 2-ter del testo unico. Contributo introdotto dalla medesima legge 94/2009 e la cui misura è stata fissata da ultimo dal decreto interministeriale 5 maggio 2017, che ha dimezzato gli importi determinati in precedenza dal D.M. 6 ottobre 2011. Attualmente il contributo è di euro 40 per i permessi di soggiorno di durata superiore a tre mesi e inferiore o pari a un anno; in euro 50 per quelli di durata superiore a un anno e inferiore o pari a due anni; in euro 100 per il rilascio del permesso di soggiorno Ce per soggiornanti di lungo periodo. Gli importi sono stati così rideterminati a seguito della pronuncia della Corte di giustizia europea (sent. 2 settembre 2015 C-309/14) che li aveva ritenuti sproporzionati rispetto alla finalità perseguita dalla direttiva 2003/109/CE relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo, e atti a creare un ostacolo all’esercizio dei diritti conferiti da quest’ultima.
Il Fondo è allocato nel capitolo 2817 dello stato di previsione del Ministero dell’interno, con una dotazione di 11,4 milioni per il 2019, 11,5 per il 2020 e 10 per il 2021 (Decreto Ministero dell’economia e delle finanze 31 dicembre 2018, Ripartizione in capitoli delle Unità di voto parlamentare relative al bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e per il triennio 2019-2021).
Il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, al fine di garantire l’esecuzione delle procedure di espulsione, respingimento o allontanamento degli stranieri irregolari dal territorio dello Stato, anche in considerazione dell’eccezionale afflusso di cittadini stranieri provenienti dal Nord Africa, ha autorizzato in favore del Ministero dell’interno per l’anno 2017, la spesa di euro 19.125.000 a valere sulle risorse del programma Fondo Asilo, migrazione e integrazione cofinanziato dall’Unione europea nell’ambito del periodo di programmazione 2014/2020 (vedi oltre).
Inoltre, al fine di incrementare il ricorso al rimpatrio volontario, la legge di bilancio 2018 aveva autorizzato la spesa di 500.000 euro per il 2018 e 1,5 milioni per ciascuno degli anni 2019 e 2020 per l’avvio sperimentale di un Piano nazionale per la realizzazione di interventi di ritorno volontario assistito comprensivi di misure di reintegrazione (RVA&R) e di reinserimento dei rimpatriati nel Paese di origine (L. 205/2017, art. 1, comma 1122, lett. b).
In base alle nuove disposizioni, il Piano prevedeva:
- l’attivazione di massimo trenta sportelli comunali per attività di informazione, di orientamento e di assistenza sociale e legale per gli stranieri che possono accedere ai programmi esistenti di ritorno volontario e assistito. Gli sportelli sono attivati in concorso con le associazioni maggiormente rappresentative degli enti locali e in accordo con prefetture, questure e con le organizzazioni internazionali;
- la formazione specialistica di personale interno;
- l’informazione sui progetti di reintegrazione nei Paesi di origine.
Le linee guida e le modalità di attuazione del Piano erano rimesse ad un decreto del Ministro dell’interno da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge. Tali somme erano allocate nel capitolo 2302 dello stato di previsione del ministero dell’interno.
Con il primo decreto sicurezza del 2018, gli stanziamenti destinati al progetto RVA&R sono trasferiti al Fondo rimpatri, cosicché le risorse possano essere destinate anche a forme di rimpatrio diverse dal rimpatrio volontario e assistito (D.L. 113/2018, art. 6).
I finanziamenti UE
Il Fondo Asilo Migrazione e Integrazione 2014-2020, istituito con il Regolamento UE 516/2014, ha l’obiettivo generale di “contribuire alla gestione efficace dei flussi migratori e all’attuazione, al rafforzamento e allo sviluppo della politica comune di asilo, protezione sussidiaria e protezione temporanea e della politica comune dell’immigrazione, nel pieno rispetto dei diritti e dei principi riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” (art. 1 Reg. UE 516/2014).
Il Fondo offre un supporto agli Stati per perseguire i seguenti obiettivi particolari:
- rafforzare e sviluppare tutti gli aspetti del sistema europeo comune di asilo, compresa la sua dimensione esterna;
- sostenere la migrazione legale verso gli Stati membri in funzione del loro fabbisogno economico ed occupazionale e promuovere l’effettiva integrazione dei cittadini di Paesi terzi;
- promuovere strategie di rimpatrio eque ed efficaci negli Stati membri, che contribuiscano a contrastare l’immigrazione illegale, con particolare attenzione al carattere durevole del rimpatrio e alla riammissione effettiva nei paesi di origine e di transito;
- migliorare la solidarietà e la ripartizione delle responsabilità fra gli Stati membri, specie quelli più esposti ai flussi migratori e di richiedenti asilo, anche attraverso la cooperazione pratica.
Le risorse globali previste in origine dal Regolamento per il FAMI ammontavano a 3.137 milioni di euro per 7 anni (art. 14 Reg. UE 516/2014).
Parte di queste risorse sono impiegate nell’ambito dei programmi nazionali adottati di concerto con i Paesi membri (art. 19).
Il Programma nazionale per l’Italia è stato adottato nel 2015 e successivamente modificato, da ultimo il 21 maggio 2019.
Il PN è articolato al suo interno in tre Obiettivi Specifici afferenti rispettivamente al sistema di Asilo (Obiettivo Specifico 1 – Asilo), alle misure di integrazione (Obiettivo Specifico 2 – Integrazione/Migrazione legale) e agli interventi di rimpatrio sia volontario sia forzato (Obiettivo Specifico 3 – Rimpatri). Nell’ambito di ciascun Obiettivo Specifico sono delineate molteplici azioni che si riferiscono a diversi settori di intervento.
La dotazione originaria prevista per l’Italia era pari a 310.355.777 euro Attualmente le risorse complessive, riferite all’ultima versione approvata del PN, ammontano a 394.185.470 euro di quota comunitaria (di cui 184.876.596,36 per asilo e solidarietà e 209.308.873,64 per integrazione e rimpatrio), cui si aggiunge una pari somma di risorse nazionali.
I progetti RVA
Con le risorse europee del ciclo di programmazione 2014-2020 e con le risorse nazionali del 2017 sono stati finanziati alcuni progetti RVA attualmente tutti conclusi.
I progetti hanno previsto l’adozione di misure volte alla realizzazione di un piano individuale o familiare di reintegrazione, anche attraverso l’erogazione di un sussidio di beni e servizi compreso tra i 1.500 e i 2.000 euro, oltre ad un contributo di prima sistemazione pari a 400 euro al momento della partenza.
Inoltre, sono state adottate misure finalizzate a diffondere l’informazione e la conoscenza qualificata del RVA, quali l’attivazione di un numero verde dedicato, la previsione di una campagna informativa nazionale, l’attivazione di regional counsellors che hanno svolto attività divulgativa sul territorio.
In numero totale dei RVA effettuati dall’Italia a partire dall’estate 2016, nell’ambito di 7 progetti complessivi, ammonta a 2.312 persone, con un picco nel 2018 di 1.185. Nel 2019 (al 20 aprile) risultano 122 RVA.
Nell’ottobre 2018, con avviso pubblico FAMI, sono stati selezionati e ammessi a finanziamento 6 nuovi progetti di RVA che prevedono di realizzare 1.600 rimpatri entro il dicembre 2021. Il finanziamento è pari complessivamente 7.244 milioni di euro.
Fonte: Camera dei deputati, Documento acquisito in occasione dell’audizione del Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione nel corso dell’indagine conoscitiva in materia di politiche dell’immigrazione, diritto d’asilo e gestione dei flussi migratori, 29 maggio 2019.
Il 12 settembre 2018, la Commissione europea ha la proposta di direttiva (COM(2018)634) di revisione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, che risulta ancora all’esame delle istituzioni legislative; la proposta è stata presentata dalla Commissione europea al fine di accelerare le procedure di rimpatrio, impedire le fughe e i movimenti secondari, e aumentare i tassi di rimpatrio.
Sulla proposta, il 7 giugno 2019, il Consiglio dell’UE ha approvato una posizione negoziale parziale, i cui elementi chiave sono:
· procedure più chiare e rapide per l'emissione di decisioni di rimpatrio e per i ricorsi, compreso l'obbligo di emettere una decisione di rimpatrio contemporaneamente o subito dopo una decisione sulla cessazione del soggiorno regolare;
· obbligo di cooperazione per le persone oggetto di una procedura di rimpatrio - possibilità d'intervenire in caso di mancata cooperazione;
· norme sui rimpatri volontari, incluso l'obbligo di predisporre programmi mirati negli Stati membri;
· un elenco comune - non esaustivo - di criteri obiettivi per determinare il rischio di fuga;
· possibilità di trattenere cittadini di paesi terzi se costituiscono un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale;
· in ultima istanza, e qualora sia fornita tutta una serie di garanzie, la possibilità di rimpatriare un cittadino di paese terzo verso qualsiasi paese terzo sicuro.
Secondo il Consiglio, il mandato parziale garantisce il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti, in particolare del principio di non respingimento.
Il Parlamento europeo non ha ancora adottato una posizione sulla proposta.
L’articolo 12-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, reca alcune misure in favore del personale delle Forze di polizia, del Corpo dei vigili del fuoco, della carriera prefettizia e dei dirigenti dell’Amministrazione dell’interno.
Il comma 1 stanzia risorse per il miglioramento e il ricambio del vestiario del personale della Polizia di Stato.
Il comma 2 fissa a 7 euro l’importo dei buoni pasto del personale dirigente di cui all’art. 46 del D.Lgs. 95/2017 che reca la disciplina dei trattamenti accessori e degli istituti normativi per i dirigenti delle Forze di polizia e delle Forze armate.
Il comma 3 reca l’incremento degli stanziamenti di spesa per la retribuzione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e fissa un limite massimo di spesa per l’impiego di tale personale; inoltre, riduce la durata del corso di formazione per allievi vigili del fuoco, limitatamente al biennio 2019-2020, a 6 mesi di cui almeno 1 di applicazione pratica.
Il comma 4 istituisce un fondo da destinare all'incremento dei Fondi per la retribuzione di posizione e di risultato del personale della carriera prefettizia e del personale di livello dirigenziale contrattualizzato dell'Amministrazione civile dell'interno. Si prevede, inoltre, la possibilità di incrementare ulteriormente sia tali fondi, sia il fondo risorse decentrate del personale contrattualizzato non dirigente di cui alla legge 145/2018, art. 1, comma 149.
Il comma 5 incrementa il fondo da ripartire nel corso della gestione per provvedere ad eventuali sopravvenute maggiori esigenze di spese per acquisto di beni e servizi.
Il comma 6 reca la copertura degli oneri derivanti da alcune delle disposizioni introdotte dall’articolo in esame.
Nel dettaglio, il comma 1 autorizza la spesa di 2 milioni di euro per l'anno 2019 e di 4,5 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2026 da destinare al miglioramento e al ricambio del vestiario del personale della Polizia di Stato.
Una disposizione analoga, in favore del Corpo di polizia penitenziaria, è stata introdotta dal decreto-legge n. 113 del 2018 che, per le esigenze del Corpo connesse all'approvvigionamento di nuove uniformi e di vestiario, ha autorizzato la spesa di euro 4 milioni 635 mila per l'anno 2018 (art. 22-bis, comma 2; il comma 1 stanziava altre risorse, sempre in favore del Corpo, da destinare ad interventi urgenti connessi al potenziamento, all'implementazione e all'aggiornamento dei beni strumentali, nonché alla ristrutturazione e alla manutenzione degli edifici e all'adeguamento dei sistemi di sicurezza).
Il comma 2 fissa a 7 euro l’importo dei buoni pasto del personale dirigente di cui all’art. 46 del D.Lgs. 95/2017, che reca la disciplina dei trattamenti accessori e degli istituti normativi per i dirigenti delle Forze di polizia e delle Forze armate. Viene in ogni caso fatta salva l’autonomia negoziale.
Lo scopo dell’intervento normativo consiste nell’assicurare il medesimo trattamento, per quanto riguarda il valore del buono pasto, a tutto il personale del Comparto sicurezza e difesa e della Capitaneria di porto con qualifica dirigenziale, equiparando in particolare l’importo del buono pasto a quello del personale non dirigente (attualmente fissato in 7 euro).
Più specificatamente, per quanto riguarda i destinatari della disposizione che è rivolta al “personale di cui all'articolo 46 del decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 95”, articolo che definisce i “trattamenti accessori e degli istituti normativi per i dirigenti delle Forze di polizia e delle Forze armate”.
All’articolo 46 il riferimento è, in primo luogo, ai dirigenti delle Forze di polizia ad ordinamento civile, per i quali (art. 46, comma 1), viene istituita un'area negoziale, limitata agli istituti normativi in materia di rapporto di lavoro e ai trattamenti accessori, nel rispetto del principio di sostanziale perequazione dei trattamenti dei dirigenti delle Forze di polizia e delle Forze armate.
In tali materie si prevede la stipula di un accordo sindacale da una delegazione di parte pubblica, composta dai ministri competenti e da una delegazione sindacale, individuate con decreto del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione L'accordo è recepito con decreto del Presidente della Repubblica (art. 46, comma 3).
Le misure così adottate possono essere estese, con DPCM, anche al personale dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento militare e a quello delle Forze armate al fine di assicurare la sostanziale perequazione dei trattamenti economici accessori e degli istituti normativi dei dirigenti delle Forze di polizia ad ordinamento militare e delle Forze armate con quelli dei dirigenti delle Forze di polizia ad ordinamento civile (art. 46, comma 6).
La disposizione in commento costituisce dunque una misura transitoria che si inserisce, limitatamente ai buoni pasto, nelle misure previste dal D.Lgs. 95/2017: se ne prevede infatti la decorrenza dal 1° marzo 2019 e l’applicazione fino alla data di adozione dei provvedimenti previsti a regime dal citato articolo 46, commi 3 e 6 del D.Lgs. 95/2017 (v. supra).
Si ricorda che il D.Lgs. 95/2017 ha provveduto al riordino dei ruoli del personale delle Forze di polizia. L'intervento è correlato al riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze armate attuato contestualmente dal D.Lgs. 94/2017, adottato in attuazione della legge 244/2012.
Il Governo è altresì delegato all’adozione – entro il 30 settembre 2019 - di decreti legislativi integrativi e correttivi in materia di riordino dei ruoli delle Forze armate e delle Forze di polizia nei limiti delle risorse del fondo di cui all’articolo 35 del decreto-legge n. 113 del 2018, Fondo in cui confluiscono le autorizzazioni di spesa già previste per il riordino dei ruoli e delle carriere del personale e delle Forze di polizia e delle Forze armate e non utilizzate, cui si sono aggiunti ulteriori stanziamenti.
Nel vigente quadro ordinamentale, la concessione di buoni pasto al personale delle Forze di polizia è subordinata alla presenza di determinate condizioni che non consentano il servizio di mensa (si veda in proposito la Circolare del Capo della Polizia – Direttore generale della pubblica sicurezza del 17 gennaio 2019).
La legge dispone in particolare la costituzione di “mense obbligatorie di servizio” per il personale delle Forze di polizia che si trova in particolari situazioni di impiego e ambientali (L. 203/1989), quali:
a) personale impiegato in servizi di ordine e sicurezza pubblica o di soccorso pubblico in reparto organico o a questo aggregato, ovvero impiegato in speciali servizi operativi, durante la permanenza nel servizio;
b) personale impiegato in servizi di istituto, specificamente tenuto a permanere sul luogo di servizio o che non può allontanarsene per il tempo necessario per la consumazione del pasto presso il proprio domicilio;
c) personale impiegato in servizi di istituto in località di preminente interesse operativo ed in situazioni di grave disagio ambientale;
d) personale alloggiato collettivamente in caserma o per il quale l'alloggio collettivo in caserma è specificatamente richiesto ai fini della disponibilità per l'impiego.
Qualora non sia possibile assicurare, direttamente o mediante appalti, il funzionamento della mensa, nelle situazioni di impiego e ambientali di cui alle lettere a), b) e c), di cui sopra, il Ministro dell'interno è autorizzato a provvedere alla stipula di convenzioni con altre Amministrazioni o Enti pubblici dello Stato che gestiscono mense per il proprio personale, oppure alla stipula di convenzioni con privati.
Nella sola ipotesi di cui alla lettera b), ossia per il personale impiegato in servizi di istituto, tenuto a permanere sul luogo di servizio, quando si provvede attraverso convenzioni con esercizi privati, sussiste un limite all’onere a carico dell’Amministrazione pari a euro 4,65. Lo prevede il DPR 254/1999 (Accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare relativi al quadriennio normativo 1998-2001 ed al biennio economico 1998-1999), all’articolo 35, comma 1. Il medesimo articolo 35, al comma 2, prevede, inoltre, in presenza delle stesse condizioni di cui alla lett. b), la possibilità di provvedere, in alternativa alle convenzioni con esercizi privati, attraverso la concessione di un buono pasto giornaliero anch’esso dell’importo di 4,65 euro.
Il valore del buono pasto è stato rideterminato di 7 euro, sia per il personale delle forze di Polizia ad ordinamento civile (D.P.R. 51/2009, art. 7), sia per quello ad ordinamento militare (D.P.R. 51/2009, art. 30), con esclusione dei rispettivi dirigenti (D.P.R. 51/2009, art. 1). Anche per le Forze armate l’importo del buono pasto ammonta a 7 euro (DPR 52/2009, art. 7).
Nel 2000, quindi prima della rivalutazione, la possibilità di usufruire di alcuni benefici introdotti dal DPR 254/1999, tra cui la concessione di buoni pasto dell’importo di 4,65 è stata estesa anche ai dirigenti civili e militari delle Forze di polizia rispettivamente interessate con le stesse decorrenze per la parte normativa e dal 1° gennaio 2000 per la parte economica (L. 356/2000, art. 4, comma 1).
La medesima disposizione (art. 4, comma 2) ha esteso la concessione dei buoni pasto ai colonnelli e generali e gradi corrispondenti dell'Esercito, della Marina, comprese le Capitanerie di porto, e dell'Aeronautica.
Sotto altro profilo, si ricorda infine che la legge di bilancio 2018 (commi 703 e 704) ha previsto la concessione di buoni pasto giornalieri, in luogo del servizio mensa, al personale della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza impiegato in servizi di istituto in località di preminente interesse operativo ed in situazioni di grave disagio ambientale (articolo 1, comma 1, lettera c), della L. 203/1989), quando sia impossibile assicurare il funzionamento della mensa obbligatoria di servizio, direttamente o mediante appalti, presso l'organismo interessato o presso altro ufficio o reparto della stessa sede (articolo 2, comma 1, della L. 203/1989).
Il buono pasto ha lo stesso valore di quello visto sopra per il personale tenuto a permanere sul luogo di servizio o che non possa allontanarsene per il tempo necessario per la consumazione del pasto presso il proprio domicilio (articolo 1, comma 1, lettera b), della legge n. 203 del 1989).
La disposizione in commento provvede poi alla copertura degli oneri, quantificati in euro 298.544 per l'anno 2019 e a euro 895.632 a decorrere dall'anno 2020, comprensivi degli effetti indotti sulla carriera dirigenziale penitenziaria.
Alla copertura degli oneri si provvede mediante utilizzo:
delle risorse di cui all’art. 3, comma 1, del DPCM 21 marzo 2018 (v. infra), per la quota parte destinata a ciascun Corpo di polizia e delle Forze armate, ivi incluso il Corpo delle Capitanerie di porto;
degli effetti degli oneri indotti sulla carriera dirigenziale penitenziaria, come incrementata dall'articolo 1, comma 442, lettera a), della legge 30 dicembre 2018, n.?145.
Il DPCM 21 marzo 2018 ha provveduto al riparto delle risorse stanziate dalla legge di bilancio 2018 (art. 1, comma 680, L. 205/2017) pari a 50 milioni di euro per l'anno 2018, 100 milioni di euro per l'anno 2019 e 150 milioni di euro a decorrere dall'anno 2020.
Tali risorse sono finalizzate a:
· incrementare le risorse dei Fondi per i servizi istituzionali del personale del comparto sicurezza-difesa e del Fondo per il trattamento accessorio del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
· rivalutare le misure orarie per il compenso del lavoro straordinario;
· perequare i trattamenti accessori e degli istituti normativi per i dirigenti delle Forze di polizia e delle Forze armate di cui al citato articolo 46 del D.Lgs. 95/2017.
In particolare, la disposizione in esame prevede l’utilizzo delle risorse destinate a quest’ultima finalità e quantificate dall’articolo 3, comma 1 del DPCM 21 marzo 2018 come esplicitato nella tabella che segue.
Una ulteriore somma, di corrispondente importo, è stata stanziata dall'articolo 1, comma 442, lettera a) della legge di bilancio n. 145 del 2018.
Il comma 3 reca disposizioni riguardanti il Corpo nazionale dei vigili del fuoco prevedendo:
· l’incremento degli stanziamenti di spesa per la retribuzione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
· la determinazione della durata del corso di formazione per allievi vigili del fuoco, limitatamente al biennio 2019-2020, in 6 mesi (a regime è attualmente fissata a 9 mesi).
Per quanto riguarda il personale volontario, si ricorda che il personale del CNVF è strutturato in due categorie: personale di ruolo e personale volontario (D.Lgs. 139/2006, art. 6). Solamente il rapporto d'impiego del personale di ruolo è disciplinato in regime di diritto pubblico.
Il personale volontario può essere richiamato in servizio temporaneo:
· in occasione di calamità naturali o catastrofi e destinato in qualsiasi località (art. 9, comma 1, D.lgs. 139/2006) e
· in caso di necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale motivate dall'autorità competente che opera il richiamo; per le esigenze dei distaccamenti volontari del Corpo nazionale, connesse al servizio di soccorso pubblico; per frequentare periodici corsi di formazione, secondo i programmi stabiliti dal Ministero dell'interno (art. 9, comma 2, D.Lgs. 139/2006).
La diposizione in esame (comma 3, lett. a) stabilisce che gli stanziamenti di spesa per la retribuzione del personale volontario richiamato per le finalità di cui sopra, iscritti nello stato di previsione del Ministero dell'interno, nell'ambito della missione «Soccorso civile», siano incrementati di
· 449.370 euro per l'anno 2019;
· 407.329 euro per l'anno 2020;
· 1.362.890 euro per l'anno 2021;
· 1.500.000 euro a decorrere dall'anno 2022.
Nel d.d.l. di assestamento per il 2019 (A.S. 1388) gli stanziamenti di spesa dei capitoli destinati alla retribuzione del personale volontario dei Vigili del fuoco risultano pari a 26,7 mln di euro per il 2019 e 19,8 mln per ciascuno dei due anni successivi (cap. 1802) per le competenze fisse e accessorie e 1,8 mln di euro per il 2019 e 1,37 mln per ciascuno dei due anni successivi (cap. 1822) a titolo di Irap sulle retribuzioni.
Al contempo è stabilita una soglia complessiva di spesa per l'impiego del personale volontario del Corpo, pari a 27,52 milioni di euro per il 2019; 21,57 milioni di euro per il 2020; 22,53 milioni di euro per il 2021; 22,67 milioni di euro dal 2022.
Inoltre, il comma 3 in commento (lett. b), individua, in via transitoria, la durata del corso di formazione per gli allievi vigili del fuoco, in 6 mesi, di cui uno di applicazione pratica. La riduzione della durata del corso è limitata dalla disposizione in esame al biennio 2019-2020.
Attualmente, prima della nomina a vigile del fuoco, gli allievi vigili del fuoco frequentano, presso le scuole centrali antincendi o le altre strutture centrali e periferiche del Corpo, un corso di formazione della durata di 9 mesi, di cui 6 mesi di formazione teorico-pratica e 3 mesi di applicazione pratica. Al termine del corso, gli allievi vigili del fuoco conseguono la nomina a vigile del fuoco, sulla base di un giudizio di idoneità formulato dal dirigente del comando o dell'ufficio presso cui hanno prestato servizio. Essi prestano giuramento e sono immessi nel ruolo secondo la graduatoria finale del periodo di formazione (D.Lgs. 217/2005, art. 6, come modificato dal D.Lgs. 217/2018; prima di tale modifica il corso era di 12 mesi, di cui 9 mesi di formazione presso la scuola per la formazione di base e 3 mesi di applicazione pratica presso i comandi provinciali dei vigili del fuoco o gli altri uffici del Corpo nazionale dei vigili del fuoco).
In precedenza, l’art. 10, comma 10 del decreto-legge n. 70 del 2011 aveva previsto che la durata del corso di formazione in questione (di cui all'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217) fosse stabilita in 6 mesi, di cui almeno uno di applicazione pratica.
A tal fine è disposta una autorizzazione di spesa di 350.630 euro per l'anno 2019, di 592.671 euro per l'anno 2020 e di 137.110 euro per l'anno 2021.
Le altre novelle contenute nella lettera b) sono di coordinamento normativo e riferite al D.Lgs. 127/2018, che ha previsto disposizioni integrative e correttive al D.lgs. 97/2017,di riordino e riassetto della disciplina del Corpo dei vigili del fuoco, in attuazione della delega disposta dalla legge 124/2015 di riorganizzazione della p.a.
Il comma 4 istituisce nello stato di previsione del Ministero dell'interno un fondo da destinare all'incremento dei Fondi per la retribuzione di posizione e di risultato del personale della carriera prefettizia e del personale di livello dirigenziale contrattualizzato dell'Amministrazione civile dell'interno (lett. a).
Si prevede, inoltre, la possibilità di incrementare ulteriormente sia tali fondi, sia il fondo risorse decentrate del personale contrattualizzato non dirigente di cui alla legge 145/2018, art. 1, comma 149 (lett. b).
In proposito, si ricorda che l’articolo 12-ter – inserito nel corso dell’esame in sede referente - autorizza la spesa di 100.000 euro per l'anno 2019 e di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021 per alimentare il Fondo risorse decentrate per la remunerazione delle maggiori attività rese dal personale contrattualizzato non dirigenziale dell'amministrazione civile dell'interno.
Nel dettaglio, la disposizione in esame aggiunge un periodo all'articolo 1, comma 149, della legge di bilancio 2019 (L. 145/2018) per istituire un fondo da destinare all'incremento dei Fondi per la retribuzione di posizione e di risultato del personale della carriera prefettizia e del personale di livello dirigenziale contrattualizzato dell'Amministrazione civile dell'interno. Il fondo ha una dotazione di 1,5 milioni di euro per l'anno 2019, 2,5 milioni di euro per l'anno 2020 e 6 milioni di euro a decorrere dall'anno 2021. Al riparto delle risorse tra i due Fondi si provvede con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze (lett. a).
Tale fondo potrà essere ulteriormente incrementato in caso di risparmi strutturali fino ad un massimo di 1,5 milioni di euro a decorrere dal 2019 (lett. b).
La disposizione prevede, come anticipato, che anche il fondo risorse decentrate del personale contrattualizzato non dirigente - istituito dalla legge 145/2018, art. 1, comma 149, primo periodo - possa essere rifinanziato fino ad un massimo di 3,5 milioni di euro sempre a decorrere dal 2019.
Questi ulteriori finanziamenti potranno essere coperti mediante risparmi strutturali di spesa corrente derivanti dall'ottimizzazione e dalla razionalizzazione dei settori di spesa relativi all'acquisizione dei servizi di noleggio e assicurazione degli automezzi del programma “Contrasto al crimine, tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica” nell'ambito della missione “Ordine pubblico e sicurezza”, iscritti nello stato di previsione del Ministero dell'interno. Le misure e i conseguenti risparmi sono individuati con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro il 31 ottobre 2019.
Il comma 5 incrementa il fondo da ripartire nel corso della gestione per provvedere ad eventuali sopravvenute maggiori esigenze di spese per acquisto di beni e servizi (iscritto nello stato del Ministero dell'interno, è da intendersi) di 4.500.000 euro per ciascuna delle annualità del biennio 2019-2020, di 2.500.000 euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2026 e di 7.000.000 euro a decorrere dall'anno 2027.
Si tratta del fondo di cui all'articolo 23, comma 1, della legge 289/2002 che dispone che in ciascuno stato di previsione della spesa è istituito un fondo da ripartire nel corso della gestione per provvedere ad eventuali sopravvenute maggiori esigenze di spese per acquisto di beni e servizi. La ripartizione del fondo è disposta con decreti del Ministro competente, comunicati, anche con evidenze informatiche, al Ministero dell'economia e delle finanze, tramite gli Uffici centrali del bilancio, nonché alle competenti Commissioni parlamentari e alla Corte dei conti.
Il comma 6 reca la copertura degli oneri derivanti dalle seguenti disposizioni
· comma 1: vestiario Polizia di Stato;
· comma 3 lettera a): retribuzione volontari vigili del fuoco;
· comma 3 lettera b): corso formazione vigili del fuoco;
· comma 4, lettera a): retribuzione prefetti e dirigenti del Ministero dell’interno;
· comma 5: fondo da ripartire in corso di gestione.
Complessivamente, gli oneri sono quantificati in:
· 8,8 milioni di euro per l'anno 2019;
· 12,5 milioni di euro per l'anno 2020;
· 14,5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021.
Alla copertura si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2019, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'interno.
L’articolo aggiuntivo – inserito nel corso dell’esame in sede referente - autorizza la spesa di 100.000 euro per l'anno 2019 e di 1 milione di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021 per alimentare il Fondo risorse decentrate per la remunerazione delle maggiori attività rese dal personale contrattualizzato non dirigenziale dell'amministrazione civile dell'interno.
Il personale dell’Amministrazione civile del Ministero dell’interno, in servizio presso le strutture centrali e periferiche, include il personale della carriera prefettizia e il personale dirigenziale e non dirigenziale contrattualizzato. L’incremento riguarda il Fondo delle risorse decentrate per il personale non dirigenziale contrattualizzato. A sua volta, il comma 4 dell’art. 12-bis (v. relativa scheda), introdotto nel corso dell’esame in sede referente, istituisce un fondo da destinare all'incremento dei Fondi per la retribuzione di posizione e di risultato del personale della carriera prefettizia e del personale di livello dirigenziale contrattualizzato dell'Amministrazione civile dell'interno. Si prevede, inoltre, la possibilità di incrementare ulteriormente sia tali fondi, sia il fondo risorse decentrate del personale contrattualizzato non dirigente di cui alla legge 145/2018, art. 1, comma 149.
La copertura finanziaria dei relativi oneri è così stabilita:
a) quanto a 100.000 euro per l'anno 2019 mediante utilizzo delle risorse iscritte nel Fondo per il federalismo amministrativo di parte corrente, di cui alla legge 15 marzo 1997, n.?59, dello stato di previsione del Ministero dell'interno;
Il Fondo per il federalismo amministrativo di parte corrente è iscritto sul capitolo 1319 dello stato di previsione del Ministero dell’interno; su di esso confluiscono le risorse di parte corrente attribuite agli enti locali in conseguenza degli effetti recati dal D.Lgs. n. 112/1998, concernente il conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali. Nel disegno di legge di assestamento per il 2019 (A.S. 1388) il capitolo di bilancio presenta una dotazione pari a 50,6 mln di euro non variato rispetto alla legge di bilancio.
b) quanto a 1 milione di euro per l'anno 2020 e a 1 milione di euro per l'anno 2021, mediante corrispondente riduzione del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2019-2021, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2019 allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'interno.
Gli articoli da 13 a 17, che costituiscono il Capo III del decreto-legge, dettano disposizioni urgenti per il contrasto dei fenomeni di violenza connessi a manifestazioni sportive.
Il provvedimento d’urgenza anticipa così l’entrata in vigore di disposizioni attualmente inserite nel disegno di legge A.C. 1603-ter, il cui esame presso la Commissione Giustizia alla Camera dei deputati si è concluso il 18 luglio 2019.
In estrema sintesi, attraverso le disposizioni di questo capo il decreto-legge:
• interviene sulla disciplina del c.d. DASPO, divieto di accesso alle competizioni sportive, per ampliarne la portata;
• estende anche agli arbitri e agli altri soggetti chiamati ad assicurare la regolarità delle competizioni sportive le tutele attualmente previste dall’ordinamento per gli addetti ai varchi di accesso agli impianti;
• estende il campo d’applicazione del divieto, per le società sportive, di corrispondere titoli di accesso o altre agevolazioni, nonché di contrattare, con i soggetti destinatari di DASPO, di misure di prevenzione o con i pregiudicati per specifici reati.
• interviene sul c.d. Codice antimafia per consentire il fermo di indiziato di delitto, in deroga ai limiti di pena previsti dal codice di procedura penale, anche per coloro che risultino gravemente indiziati di un delitto commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive.
• stabilizza nel nostro ordinamento l’istituto dell’arresto in flagranza differita sia per reati violenti commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, per i quali è obbligatorio o facoltativo l'arresto, sia quando per gli stessi reati, compiuti alla presenza di più persone anche in occasioni pubbliche, sia obbligatorio l’arresto.
• apporta modifiche al codice penale, volte al rafforzamento delle misure di contrasto dei fenomeni di violenza nelle competizioni sportive.
• amplia l’ambito applicativo della disciplina sanzionatoria della vendita non autorizzata di biglietti per le competizioni sportive e del cd. bagarinaggio, ossia la stessa vendita a prezzi maggiorati.
L’unica disposizione dell’A.C. 1603-ter che non è stata inserita nel decreto-legge è quella che affida al Governo una delega per l’adozione di un testo unico di riordino della disciplina sulla prevenzione e il contrasto alla violenza nelle manifestazioni sportive, dettando alcuni principi e criteri direttivi. Come è noto, infatti, le deleghe legislative non possono essere inserite in decreti-legge.
In particolare, il comma 1 dell’articolo 13 interviene sulla legge n. 401 del 1989, relativa a Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive.
La lettera a) modifica l’articolo 6 della citata legge, che disciplina il c.d. DASPO, divieto di accesso alle competizioni sportive.
Il DASPO nelle manifestazioni sportive è una “misura di prevenzione atipica” (Cass. Sez. 1, n. 42744 del 15/10/2003). Anche la Corte costituzionale intervenuta più volte sull’istituto, ha inquadrato la misura del DASPO tra quelle di prevenzione, che possono quindi essere inflitte indipendentemente dalla commissione di un reato (cfr sentenza n. 512 del 2002). In base alla disciplina anteriore al decreto-legge in commento, la misura poteva essere emessa:
a) nei confronti delle persone denunciate o condannate, anche con sentenza non definitiva, nel corso degli ultimi 5 anni, per uno dei seguenti reati: porto d’armi od oggetti atti ad offendere; uso di caschi protettivi od altro mezzo idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona; esposizione o introduzione di simboli o emblemi discriminatori o razzisti; lancio di oggetti idonei a recare offesa alla persona, indebito superamento di recinzioni o separazioni dell’impianto sportivo, invasione di terreno di gioco e possesso di artifizi pirotecnici;
b) nei confronti di chi abbia preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive o che abbia, nelle medesime circostanze, incitato, inneggiato, o indotto alla violenza;
c) nei confronti degli indiziati di reati di terrorismo, anche internazionale, e di altri reati contro la personalità interna dello Stato e l’ordine pubblico (art. 4, comma, 1, lett. d) del Codice antimafia).
Recentemente la Corte di Cassazione (Sez. III, sentenza 16.01.2017 n. 1767) ha specificato che l’espressione “in occasione o a causa di manifestazioni sportive” non deve essere intesa nel senso che gli atti di violenza o comunque le restanti condotte che possano giustificare la adozione dei provvedimenti di DASPO debbano essersi verificati durante lo svolgimento della manifestazione sportiva ma nel senso che con essa abbiano un immediato nesso eziologico, ancorché non di contemporaneità. La ratio della disposizione in questione è, infatti, quella di prevenire fenomeni di violenza, tali da mettere a repentaglio l’ordine e la sicurezza pubblica, laddove questi siano connessi non con la pratica sportiva ma con l’insorgenza di quegli incontrollabili stati emotivi e passionali che, tanto più ove ci si trovi di fronte ad una moltitudine di persone, spesso covano e si nutrono della appartenenza a frange di tifoserie organizzate, perlopiù, ma non esclusivamente, operanti nell’ambito del gioco del calcio. Per la Corte un’eventuale limitazione della portata della norma, che ne confinasse l’applicazione alla sola durata della manifestazione sportiva, ridurrebbe di molto la efficacia dissuasiva della medesima, posto che renderebbe inapplicabile la relativa disciplina ogniqualvolta gli eventi, pur determinati da una mal governata passione sportiva e dalla distorsione del ruolo del tifoso, si realizzino in un momento diverso dal verificarsi del fattore che li ha scatenati.
Il Daspo viene emesso dal questore o dall’autorità giudiziaria (con la sentenza di condanna per i reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, come sopra specificati).
Il provvedimento può prevedere come prescrizione ulteriore l’obbligo di presentazione in un ufficio o comando di polizia durante lo svolgimento di manifestazioni specificatamente indicate. Tale prescrizione, comportando una limitazione della libertà personale dell’interessato, è sottoposta alla procedura di convalida del provvedimento davanti al GIP competente, sulla base del luogo dove ha sede l’ufficio del questore che ha emesso il provvedimento.
Con riferimento alla durata, il divieto e l'ulteriore prescrizione (obbligo di comparizione) non possono avere durata inferiore a un anno e superiore a cinque anni e sono revocati o modificati qualora, anche per effetto di provvedimenti dell'autorità giudiziaria, siano venute meno o siano mutate le condizioni che ne hanno giustificato l'emissione. In caso di condotta di gruppo, la durata non può essere inferiore a tre anni nei confronti di coloro che ne assumono la direzione. Nei confronti dei recidivi è sempre disposta la prescrizione dell’obbligo di comparizione e la durata del nuovo divieto e della prescrizione non può essere inferiore a cinque anni e superiore a otto anni.
Il contravventore alle suddette disposizioni è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 10.000 euro a 40.000 euro. Le stesse disposizioni si applicano nei confronti delle persone che violano in Italia il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive adottato dalle competenti Autorità di uno degli altri Stati membri dell'Unione europea.
Il DASPO viene sempre notificato all'interessato ma, nel caso in cui ad esso si aggiunga l'obbligo di comparizione, esso è comunicato anche alla Procura della Repubblica presso il Tribunale competente (art. 6, comma 3, legge n. 401/89). In quest’ultimo caso, il Procuratore della Repubblica, entro 48 ore dalla sua notifica all'interessato, ne chiede la convalida al G.i.p. presso il medesimo Tribunale, che deve provvedere entro le successive 48 ore pena la perdita di efficacia. Tuttavia, il questore può autorizzare l'interessato, in caso di gravi e documentate esigenze, a comunicare per iscritto il luogo in cui questi sia reperibile durante le manifestazioni sportive.
Il DASPO è ricorribile in sede giurisdizionale-amministrativa (ossia al TAR e, in secondo grado, al Consiglio di Stato). Invece, l’ordinanza del G.I.P. che lo convalida nelle ipotesi di cui all’art. 6 commi 2 e 3 L. 401/89 è ricorribile per Cassazione, ma il ricorso non ha effetto sospensivo.
Rispetto alla normativa previgente, come si evince dal testo a fronte che segue, il decreto-legge:
· aggiunge il reato di rissa (art. 588 c.p.) tra quelli che, in caso di denuncia o di condanna anche non definitiva, possono comportare l’applicazione del DASPO (nuovo comma 1, lett. c), dell’art. 6);
Si ricorda che l’art. 588 c.p. punisce con la multa fino a 309 euro chiunque partecipa a una rissa (primo comma). Se nella rissa taluno rimane ucciso o riporta una lesione personale, la pena, per il solo fatto della partecipazione alla rissa, è della reclusione da tre mesi a cinque anni. La stessa pena si applica se l'uccisione o la lesione personale, avviene immediatamente dopo la rissa e in conseguenza di essa. La Relazione illustrativa del disegno di legge di conversione motiva l’inserimento di questa fattispecie con «l’elevato rischio per la sicurezza pubblica che deriverebbe dalla realizzazione di simili condotte nell’ambito di una manifestazione sportiva».
· specifica che i fatti che determinano il questore o l’autorità giudiziaria ad emettere il divieto di accesso alle competizioni sportive possono essere stati commessi anche non in occasione o a causa di manifestazioni sportive (nuovo comma 1, lett. c) e d), dell’art. 6);
La Relazione illustrativa fa l’esempio di comportamenti posti in essere nel corso di manifestazioni politiche, che convincono le autorità ad applicare il divieto di accesso agli stadi, in quanto i reati per i quali si procede sarebbero comunque indice di particolare allarme sociale. Il Governo ritiene infatti che occorra evitare che soggetti coinvolti in indagini per reati contro l’ordine pubblico «possano accedere alle manifestazioni sportive, luoghi in cui condotte analoghe potrebbero comportare una condizione di particolare rischio per l’ordine e l’incolumità pubblica».
· introduce un nuovo comma 1-ter, nel quale sposta il contenuto dei previgenti secondo e ultimo periodo del comma 1, e precisa che il DASPO per fatti commessi all’estero può essere disposto a seguito di accertamenti svolti, non solo dall’autorità straniera competente, ma anche dalle forze di polizia italiane che cooperano con detta autorità in relazione alla specifica manifestazione sportiva;
Si ricorda che a livello internazionale, a seguito degli episodi particolarmente gravi avvenuti durante lo svolgimento di manifestazioni sportive internazionali, si è giunti alla firma, e successiva ratifica, della Convenzione Europea sulla violenza e i disordini degli spettatori durante le manifestazioni sportive, segnatamente nelle partite di calcio, conclusa a Strasburgo il 19 agosto del 1985 dagli Stati membri del Consiglio d'Europa e dagli altri Stati parte nella Convenzione culturale europea.
Successivamente, sono seguiti numerosi provvedimenti a livello UE tra cui la Decisione del Consiglio del 25 aprile 2002, concernente la sicurezza in occasione di partite di calcio internazionali , che istituisce punti nazionali d'informazione sul calcio per lo scambio delle informazioni e l'agevolazione della cooperazione internazionale tra forze di polizia (Gazzetta ufficiale n. L 121 dell’8 maggio 2002).
· aumenta al comma 5 la durata della misura di prevenzione applicabile ai recidivi ed a coloro che abbiano violato un precedente DASPO: nei confronti di persona già destinataria del DASPO, la durata del nuovo divieto – cui si accompagna sempre l’obbligo di presentarsi all’ufficio di polizia in concomitanza con le manifestazioni sportive – non potrà essere inferiore a 5 anni né superiore a 10 (in precedenza da 5 a 8 anni mentre il testo originario del decreto-legge prevede da 6 a 10 anni);
· interviene sul comma 7, relativo al DASPO comminato dal giudice a seguito di sentenza di condanna per violazione di un precedente provvedimento di divieto di accesso a manifestazioni sportive: anche in questo caso la durata massima del provvedimento viene portata a 10 anni, rispetto ai previgenti 8 anni;
· subordina (comma 8-bis) il provvedimento di riabilitazione, che il destinatario può chiedere trascorsi 3 anni dalla cessazione del divieto, a condotte di ravvedimento operoso consistenti, a seguito delle modifiche approvate in sede referente, alternativamente,
- nella riparazione dei danni causati mediante risarcimento anche in forma specifica;
- nella collaborazione con le autorità ai fini dell’individuazione di altri autori o partecipanti ai fatti che hanno determinato il DASPO;
- nello svolgimento di lavori di pubblica utilità, consistente nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività.
· inserisce il comma 8-ter, per consentire al questore, quando il DASPO colpisca soggetti definitivamente condannati per delitti non colposi, di aggiungere al divieto di partecipazione alle manifestazioni sportive anche i divieti normalmente impartiti ai destinatari dell’avviso orale (disciplinato dall’art. 3 del d.lgs. n. 159 del 2011): si tratta del divieto di possedere o utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di aumentarne la potenza o la capacità offensiva, ovvero comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli di polizia, armi a modesta capacità offensiva, riproduzioni di armi di qualsiasi tipo, compresi i giocattoli riproducenti armi, altre armi o strumenti, in libera vendita, in grado di nebulizzare liquidi o miscele irritanti non idonei ad arrecare offesa alle persone, prodotti pirotecnici di qualsiasi tipo, nonché sostanze infiammabili e altri mezzi comunque idonei a provocare lo sprigionarsi delle fiamme, nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di conversazioni e messaggi.
In analogia con quanto previsto per l’avviso orale dal Codice antimafia, anche in questo caso gli ulteriori divieti possono essere applicati in presenza di qualsiasi condanna per delitto non colposo: non si fa infatti riferimento a condanne per delitti ricompresi nell’elenco di quelli che giustificano il DASPO nei confronti dell’indagato.
Contro l’applicazione di questi ulteriori divieti, il destinatario del DASPO può presentare opposizione davanti al tribunale in composizione monocratica.
In caso di violazione dei divieti, si applica l’art. 76, comma 2, del Codice antimafia, che prevede la reclusione da 1 a 8 anni e la multa da 1.549 a 5.164 euro. Gli strumenti, gli apparati, i mezzi e i programmi posseduti o utilizzati sono confiscati ed assegnati alle Forze di polizia, se ne fanno richiesta, per essere impiegati nei compiti di istituto.
Normativa previgente |
A.C. 1913-A |
L. 13/12/1989, n. 401 |
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Art. 6 Divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive |
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1. Nei confronti delle persone che risultano denunciate o condannate anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni per uno dei reati di cui all'articolo 4, primo e secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, all'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, all'articolo 6-bis, commi 1 e 2, e all'articolo 6-ter, della presente legge, nonché per il reato di cui all'articolo 2-bis del decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41, e per uno dei delitti contro l'ordine pubblico e dei delitti di comune pericolo mediante violenza, di cui al libro II, titolo V e titolo VI, capo I, del codice penale, nonché per i delitti di cui all'articolo 380, comma 2, lettere f) ed h) del codice di procedura penale, ovvero per aver preso parte attiva ad episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza, il questore può disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive specificamente indicate, nonché a quelli, specificamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime. Il divieto di cui al presente comma può essere disposto anche per le manifestazioni sportive che si svolgono all'estero, specificamente indicate, ovvero dalle competenti Autorità degli altri Stati membri dell'Unione europea per le manifestazioni sportive che si svolgono in Italia. Il divieto di cui al presente comma può essere adottato anche nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159. Il divieto di cui al presente comma può essere, altresì, disposto nei confronti di chi, sulla base di elementi di fatto, risulta avere tenuto, anche all'estero, una condotta, sia singola che di gruppo, evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva ad episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o a creare turbative per l'ordine pubblico nelle medesime circostanze di cui al primo periodo. Il divieto per fatti commessi all'estero, accertati dall'autorità straniera competente, è disposto dal questore della provincia del luogo di residenza ovvero del luogo di dimora abituale del destinatario della misura. |
1. Il questore può disporre il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive specificamente indicate, nonché a quelli, specificamente indicati, interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle manifestazioni medesime nei confronti di: a) coloro che risultino denunciati per aver preso parte attiva a episodi di violenza su persone o cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o che nelle medesime circostanze abbiano incitato, inneggiato o indotto alla violenza; b) coloro che, sulla base di elementi di fatto, risultino avere tenuto, anche all'estero, sia singolarmente che in gruppo, una condotta evidentemente finalizzata alla partecipazione attiva a episodi di violenza, di minaccia o di intimidazione, tali da porre in pericolo la sicurezza pubblica o da creare turbative per l'ordine pubblico nelle medesime circostanze di cui alla lettera a); c) coloro che risultino denunciati o condannati, anche con sentenza non definitiva, nel corso dei cinque anni precedenti per alcuno dei reati di cui all'articolo 4, primo e secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, all'articolo 5 della legge 22 maggio 1975, n. 152, all'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205, agli articoli 6-bis, commi 1 e 2, e 6-ter della presente legge, per il reato di cui all'articolo 2-bis del decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41, o per alcuno dei delitti contro l'ordine pubblico o dei delitti di comune pericolo mediante violenza, di cui al libro II, titoli V e VI, capo I del codice penale o per il delitto di cui all’articolo 588 dello stesso codice, ovvero per alcuno dei delitti di cui all'articolo 380, comma 2, lettere f) ed h) del codice di procedura penale, anche se il fatto non è stato commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive; d) ai soggetti di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d), del codice della leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, anche se la condotta non è stata posta in essere in occasione o a causa di manifestazioni sportive. |
1-bis. Il divieto di cui al comma 1 può essere disposto anche nei confronti di soggetti minori di diciotto anni che abbiano compiuto il quattordicesimo anno di età. Il provvedimento è notificato a coloro che esercitano la potestà genitoriale. |
1-bis. Identico. |
[v. sopra, comma 1, secondo periodo]
[v. sopra, comma 1, ultimo periodo]
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1-ter. Il divieto di cui al comma 1 può essere disposto anche per le manifestazioni sportive che si svolgono all'estero, specificamente indicate. Il divieto di accesso alle manifestazioni sportive che si svolgono in Italia può essere disposto anche dalle competenti Autorità degli altri Stati membri dell'Unione europea, con i provvedimenti previsti dai rispettivi ordinamenti. Per fatti commessi all’estero, accertati dall'autorità straniera competente o dagli organi delle Forze di polizia italiane che assicurano, sulla base di rapporti di cooperazione, il supporto alle predette autorità nel luogo di svolgimento della manifestazione, il divieto è disposto dal questore della provincia del luogo di residenza ovvero del luogo di dimora abituale del destinatario della misura. |
2. Alle persone alle quali è notificato il divieto previsto dal comma 1, il questore può prescrivere, tenendo conto dell'attività lavorativa dell'invitato, di comparire personalmente una o più volte negli orari indicati, nell'ufficio o comando di polizia competente in relazione al luogo di residenza dell'obbligato o in quello specificamente indicato, nel corso della giornata in cui si svolgono le manifestazioni per le quali opera il divieto di cui al comma 1. |
2. Identico. |
2-bis. La notifica di cui al comma 2 deve contenere l'avviso che l'interessato ha facoltà di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice competente per la convalida del provvedimento. |
2-bis. Identico. |
3. La prescrizione di cui al comma 2 ha effetto a decorrere dalla prima manifestazione successiva alla notifica all'interessato ed è immediatamente comunicata al procuratore della Repubblica presso il tribunale o al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, se l'interessato è persona minore di età, competenti con riferimento al luogo in cui ha sede l'ufficio di questura. Il pubblico ministero, se ritiene che sussistano i presupposti di cui al comma 1, entro quarantotto ore dalla notifica del provvedimento ne chiede la convalida al giudice per le indagini preliminari. Le prescrizioni imposte cessano di avere efficacia se il pubblico ministero con decreto motivato non avanza la richiesta di convalida entro il termine predetto e se il giudice non dispone la convalida nelle quarantotto ore successive. Nel giudizio di convalida, il giudice per le indagini preliminari può modificare le prescrizioni di cui al comma 2. |
3. Identico. |
4. Contro l'ordinanza di convalida è proponibile il ricorso per Cassazione. Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'ordinanza. |
4. Identico. |
5. Il divieto di cui al comma 1 e l'ulteriore prescrizione di cui al comma 2 non possono avere durata inferiore a un anno e superiore a cinque anni e sono revocati o modificati qualora, anche per effetto di provvedimenti dell'autorità giudiziaria, siano venute meno o siano mutate le condizioni che ne hanno giustificato l'emissione. In caso di condotta di gruppo di cui al comma 1, la durata non può essere inferiore a tre anni nei confronti di coloro che ne assumono la direzione. Nei confronti della persona già destinataria del divieto di cui al primo periodo è sempre disposta la prescrizione di cui al comma 2 e la durata del nuovo divieto e della prescrizione non può essere inferiore a cinque anni e superiore a otto anni. La prescrizione di cui al comma 2 è comunque applicata quando risulta, anche sulla base di documentazione videofotografica o di altri elementi oggettivi, che l'interessato ha violato il divieto di cui al comma 1. Nel caso di violazione del divieto di cui al periodo precedente, la durata dello stesso può essere aumentata fino a otto anni. |
5. Il divieto di cui al comma 1 e l'ulteriore prescrizione di cui al comma 2 non possono avere durata inferiore a un anno e superiore a cinque anni e sono revocati o modificati qualora, anche per effetto di provvedimenti dell'autorità giudiziaria, siano venute meno o siano mutate le condizioni che ne hanno giustificato l'emissione. In caso di condotta di gruppo di cui al comma 1, la durata non può essere inferiore a tre anni nei confronti di coloro che ne assumono la direzione. Nei confronti della persona già destinataria del divieto di cui al primo periodo è sempre disposta la prescrizione di cui al comma 2 e la durata del nuovo divieto e della prescrizione non può essere inferiore a cinque anni e superiore a dieci anni. La prescrizione di cui al comma 2 è comunque applicata quando risulta, anche sulla base di documentazione videofotografica o di altri elementi oggettivi, che l'interessato ha violato il divieto di cui al comma 1. Nel caso di violazione del divieto di cui al periodo precedente, la durata dello stesso può essere aumentata fino a otto anni. |
6. Il contravventore alle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 10.000 euro a 40.000 euro. Le stesse disposizioni si applicano nei confronti delle persone che violano in Italia il divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive adottato dalle competenti Autorità di uno degli altri Stati membri dell'Unione europea. |
6. Identico. |
7. Con la sentenza di condanna per i reati di cui al comma 6 e per quelli commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni il giudice dispone, altresì, il divieto di accesso nei luoghi di cui al comma 1 e l'obbligo di presentarsi in un ufficio o comando di polizia durante lo svolgimento di manifestazioni sportive specificamente indicate per un periodo da due a otto anni, e può disporre la pena accessoria di cui all'articolo 1, comma 1-bis, lettera a), del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205. Il capo della sentenza non definitiva che dispone il divieto di accesso nei luoghi di cui al comma 1 è immediatamente esecutivo. Il divieto e l'obbligo predetti non sono esclusi nei casi di sospensione condizionale della pena e di applicazione della pena su richiesta. |
7. Con la sentenza di condanna per i reati di cui al comma 6 e per quelli commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni il giudice dispone, altresì, il divieto di accesso nei luoghi di cui al comma 1 e l'obbligo di presentarsi in un ufficio o comando di polizia durante lo svolgimento di manifestazioni sportive specificamente indicate per un periodo da due a dieci anni, e può disporre la pena accessoria di cui all'articolo 1, comma 1-bis, lettera a), del decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 1993, n. 205. Il capo della sentenza non definitiva che dispone il divieto di accesso nei luoghi di cui al comma 1 è immediatamente esecutivo. Il divieto e l'obbligo predetti non sono esclusi nei casi di sospensione condizionale della pena e di applicazione della pena su richiesta. |
8. Nei casi di cui ai commi 2, 6 e 7, il questore può autorizzare l'interessato, per gravi e comprovate esigenze, a comunicare per iscritto allo stesso ufficio o comando di cui al comma 2 il luogo di privata dimora o altro diverso luogo, nel quale lo stesso interessato sia reperibile durante lo svolgimento di specifiche manifestazioni agonistiche. |
8. Identico. |
8-bis. Decorsi almeno tre anni dalla cessazione del divieto di cui al comma 1, l'interessato può chiedere la cessazione degli ulteriori effetti pregiudizievoli derivanti dall'applicazione del medesimo divieto. La cessazione è richiesta al questore che ha disposto il divieto o, nel caso in cui l'interessato sia stato destinatario di più divieti, al questore che ha disposto l'ultimo di tali divieti ed è concessa se il soggetto ha dato prova costante ed effettiva di buona condotta, anche in occasione di manifestazioni sportive. |
8-bis. Decorsi almeno tre anni dalla cessazione del divieto di cui al comma 1, l'interessato può chiedere la cessazione degli ulteriori effetti pregiudizievoli derivanti dall'applicazione del medesimo divieto. La cessazione è richiesta al questore che ha disposto il divieto o, nel caso in cui l'interessato sia stato destinatario di più divieti, al questore che ha disposto l'ultimo di tali divieti ed è concessa se il soggetto ha adottato condotte di ravvedimento operoso, quali la riparazione integrale del danno eventualmente prodotto, mediante il risarcimento anche in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile, o la concreta collaborazione con l’autorità di polizia o con l’autorità giudiziaria per l’individuazione degli altri autori o partecipanti ai fatti per i quali è stato adottato il divieto di cui al comma 1 o lo svolgimento di lavori di pubblica utilità secondo modalità stabilite con decreto del Ministro dell’Interno d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e, senza oneri a carico della finanza pubblica, consistente nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività presso lo Stato, le regioni, le province e i comuni e ha dato prova costante ed effettiva di buona condotta, anche in occasione di manifestazioni sportive. |
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8-ter. Con il divieto di cui al comma 1, il questore può imporre ai soggetti che risultano definitivamente condannati per delitti non colposi anche i divieti di cui all’articolo 3, comma 4, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, avverso i quali può essere proposta opposizione ai sensi del comma 6 del medesimo articolo 3. Nel caso di violazione dei divieti di cui al periodo precedente, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 76, comma 2, del citato codice di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011. |
Le lettere b) e c) del comma 1 dell’articolo 13, non modificate in sede referente, intervengono, rispettivamente, sugli articoli 6-quater e 6-quinquies della legge n. 401 del 1989, per estendere anche agli arbitri e agli altri soggetti chiamati ad assicurare la regolarità delle competizioni sportive, le tutele attualmente previste dall’ordinamento per gli addetti ai varchi di accesso agli impianti.
In particolare,
· inserendo un ulteriore comma all’art. 6-quater, la riforma (lett. b) prevede la pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni a carico di chiunque commette fatti di violenza o minaccia nei confronti degli arbitri e degli altri soggetti che assicurano la regolarità tecnica delle manifestazioni sportive. E’ prevista infatti l’applicazione delle pene previste per i reati di violenza o minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 c.p.) e di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.).
Si ricorda che l’art. 336 c.p. punisce con la reclusione da 6 mesi a 5 anni chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell'ufficio o del servizio; la pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa. L’art. 337 c.p. punisce con la reclusione da 6 mesi a 5 anni chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza.
· inserendo un ulteriore comma all’art. 6-quinquies, la riforma (lett. c) prevede l’applicazione delle pene previste per il reato di lesioni personali gravi o gravissime a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive (art. 583-quater c.p.) quando le lesioni siano arrecate ad arbitri o ad altri soggetti che assicurano la regolarità tecnica delle manifestazioni sportive. In particolare, l’art. 583-quater c.p. prevede la reclusione da 4 a 10 anni in caso di lesioni gravi e la reclusione da 8 a 16 anni per le lesioni gravissime.
Normativa previgente |
Decreto-legge n. 53 del 2019 |
L. 13/12/1989, n. 401 |
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Art. 6-quater Violenza o minaccia nei confronti degli addetti ai controlli dei luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive |
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1. Chiunque commette uno dei fatti previsti dagli articoli 336 e 337 del codice penale nei confronti dei soggetti incaricati del controllo dei titoli di accesso e dell'instradamento degli spettatori e di quelli incaricati di assicurare il rispetto del regolamento d'uso dell'impianto dove si svolgono manifestazioni sportive, purché riconoscibili e in relazione alle mansioni svolte, è punito con le stesse pene previste dai medesimi articoli. Si applicano le disposizioni di cui all'articolo 339, terzo comma, del codice penale. Tali incaricati devono possedere i requisiti morali di cui all'articolo 11 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. |
1. Identico. |
1-bis. Nei confronti delle società sportive che abbiano incaricato dei compiti di cui al comma 1 persone prive dei requisiti previsti dall'articolo 11 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, è irrogata, dal prefetto della provincia in cui le medesime società hanno la sede legale o operativa, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 20.000 a 100.000 euro. |
1-bis. Identico. |
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1-ter. Le disposizioni di cui al comma 1, primo e secondo periodo, si applicano altresì a chiunque commette uno dei fatti previsti dagli articoli 336 e 337 del codice penale nei confronti degli arbitri e degli altri soggetti che assicurano la regolarità tecnica delle manifestazioni sportive. |
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Art. 6-quinquies Lesioni personali gravi o gravissime nei confronti degli addetti ai controlli dei luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive |
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1. Chiunque commette uno dei fatti previsti dall'art. 583-quater del codice penale nei confronti dei soggetti indicati nell'articolo 2-ter del decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41, nell'espletamento delle mansioni svolte in occasione delle manifestazioni sportive, è punito con le stesse pene previste dal medesimo articolo 583-quater. |
1. Identico. |
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1-bis. Le disposizioni di cui al comma 1, si applicano altresì a chiunque commette uno dei fatti previsti dall’art. 583-quater del codice penale nei confronti degli arbitri o altri soggetti che assicurano la regolarità tecnica delle manifestazioni sportive. |
Il comma 2 dell’articolo 13 modifica l’articolo 8 del decreto-legge n. 8 del 2007[14] per estendere il campo d’applicazione del divieto, per le società sportive, di corrispondere titoli di accesso o altre agevolazioni, nonché di contrattare, con i soggetti destinatari di DASPO, di misure di prevenzione o con i pregiudicati per specifici reati.
Prima dell’entrata in vigore del decreto-legge in commento, l’art. 8, comma 1, del D.L. 8/2007 prevedeva il divieto di corrispondere determinati benefici (sovvenzioni, contributi e facilitazioni di qualsiasi natura, ivi inclusa l'erogazione a prezzo agevolato o gratuito di biglietti e abbonamenti o titoli di viaggio) ai seguenti soggetti:
- destinatari di provvedimenti che vietano l’accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive, ai sensi dell’art. 6 della L. 401/1989 (DASPO);
- destinatari di misure di prevenzione personali, ai sensi della L. 1423/1956;
condannati, anche con sentenza non definitiva, per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive.
Inoltre, la disposizione vieta alle società sportive di corrispondere contributi, sovvenzioni, facilitazioni di qualsiasi genere ad associazioni di tifosi, comunque denominate[15].
Il comma 2 del medesimo art. 8 demanda ad un decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive, la definizione delle modalità di verifica, attraverso la questura, della sussistenza dei requisiti ostativi per i nominativi comunicati dalle società sportive. In attuazione di tale disposizione è intervenuto il DM 15 agosto 2009 che, in particolare, all’art. 3, dispone che le società, prima della corresponsione delle agevolazioni (ovvero della cessione dei titoli di accesso), devono comunicare alla questura, anche per via telematica, attraverso un sistema dedicato, i dati anagrafici del soggetto destinatario. Le società provvedono con le stesse modalità, anche in caso di sostituzione del nominativo del beneficiario dell'agevolazione (o del destinatario del titolo di accesso).
Rispetto alla normativa previgente, il decreto-legge:
· distribuisce su due distinti commi (comma 1 e comma 1-bis) i divieti di corrispondere benefici e di contrattare in precedenza disciplinati dal comma 1 dell’art. 8 del decreto-legge n. 8/2007;
· specifica che, tanto il divieto di corrispondere benefici, quanto quello di contrattare, opera nei confronti dei soggetti destinatari di DASPO non solo per la durata del provvedimento, ma anche oltre la scadenza, finché non intervenga la riabilitazione (v. sopra, art. 6, comma 8-bis della legge n. 401 del 1989);
· sostituisce il riferimento alla legge n. 1423 del 1956 con quello al Codice antimafia (D.Lgs. n. 159 del 2011) mantenendo inalterato il campo d’applicazione del divieto, che fa sempre riferimento ai destinatari di una misura di prevenzione personale, in quanto ritenuti pericolosi per la sicurezza pubblica (art. 6 del D.Lgs. n. 159/2011);
· specifica, anche in relazione ai destinatari di una misura di prevenzione personale, che il divieto per le società opera anche oltre la scadenza della misura, finché non intervenga la riabilitazione disciplinata dal Codice antimafia;
Si ricorda che l’art. 70 del D.Lgs. n. 159 del 2011 prevede che, dopo 3 anni dalla cessazione della misura di prevenzione personale, l'interessato possa chiedere alla corte di appello nel cui distretto ha sede l'autorità giudiziaria che ha applicato la misura di prevenzione la riabilitazione, che sarà concessa se il soggetto ha dato prova costante ed effettiva di buona condotta (comma 1). La riabilitazione comporta la cessazione di tutti gli effetti pregiudizievoli riconnessi allo stato di persona sottoposta a misure di prevenzione nonché la cessazione dei divieti previsti dall'articolo 67[16] (comma 2). Si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di procedura penale riguardanti la riabilitazione (comma 3). Quando è stata applicata una misura di prevenzione personale nei confronti di indiziati di mafia o di altri gravi reati di competenza della procura distrettuale, la riabilitazione può essere richiesta dopo cinque anni dalla cessazione della misura di prevenzione personale (comma 4).
Normativa previgente |
Decreto-legge n. 53 del 2019 |
D.L. 8 febbraio 2007, n. 8 |
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Art. 8 Divieto di agevolazioni nei confronti di soggetti destinatari dei provvedimenti di cui all'articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401 |
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1. È vietato alle società sportive corrispondere in qualsiasi forma, diretta o indiretta, a soggetti destinatari di provvedimenti di cui all'articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, o di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, ovvero a soggetti che siano stati, comunque, condannati, anche con sentenza non definitiva, per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero per reati in materia di contraffazione di prodotti o di vendita abusiva degli stessi, sovvenzioni, contributi e facilitazioni di qualsiasi natura, ivi inclusa l'erogazione a prezzo agevolato o gratuito di biglietti e abbonamenti o titoli di viaggio, nonché stipulare contratti con soggetti destinatari dei provvedimenti di cui all'articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, aventi ad oggetto la concessione dei diritti di cui all'articolo 20, commi 1 e 2, del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30. È parimenti vietato alle società sportive corrispondere contributi, sovvenzioni, facilitazioni di qualsiasi genere ad associazioni di tifosi comunque denominate, salvo quanto previsto dal comma 4. |
1. È vietato alle società sportive corrispondere, in qualsiasi forma, diretta o indiretta, sovvenzioni, contributi e facilitazioni di qualsiasi natura, compresa l’erogazione di biglietti e abbonamenti o di titoli di viaggio a prezzo agevolato o gratuito: a) ai destinatari dei provvedimenti previsti dall’articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, per la durata del provvedimento e fino a che non sia intervenuta la riabilitazione ai sensi dell’articolo 6, comma 8-bis, della medesima legge n. 401 del 1989; b) ai destinatari dei provvedimenti previsti dall’articolo 6 del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, per la durata del provvedimento e fino a che non sia intervenuta la riabilitazione ai sensi dell’articolo 70 del medesimo codice di cui al decreto legislativo n. 159 del 2011; c) ai soggetti che siano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive ovvero per reati in materia di contraffazione di prodotti o di vendita abusiva degli stessi. |
[v. sopra, comma 1[ |
1-bis. Alle società sportive è vietato altresì stipulare con soggetti destinatari dei provvedimenti di cui all’articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, per la durata del provvedimento e fino a che non sia intervenuta la riabilitazione, contratti aventi ad oggetto la concessione dei diritti previsti dall’articolo 20, commi 1 e 2, del codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30. È parimenti vietato alle società sportive corrispondere contributi, sovvenzioni e facilitazioni di qualsiasi genere ad associazioni di sostenitori, comunque denominate, salvo quanto previsto dal comma 4. |
2. Con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per le politiche giovanili e le attività sportive, sono definite, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le modalità di verifica, attraverso la questura, della sussistenza dei requisiti ostativi di cui al comma 1 per i nominativi comunicati dalle società sportive interessate. |
2. Identico. |
3. Alle società sportive che non osservano i divieti di cui al comma 1 è irrogata dal prefetto della provincia in cui la società ha sede legale la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 50.000 a 200.000 euro. |
3. Alle società sportive che non osservano i divieti di cui ai commi 1 e 1-bis è irrogata dal prefetto della provincia in cui la società ha sede legale la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 50.000 a 200.000 euro. |
4. Le società sportive possono stipulare con associazioni legalmente riconosciute, aventi tra le finalità statutarie la promozione e la divulgazione dei valori e dei princìpi della cultura sportiva, della non violenza e della pacifica convivenza, come sanciti dalla Carta olimpica, contratti e convenzioni in forma scritta aventi ad oggetto progetti di interesse comune per la realizzazione delle predette finalità, nonché per il sostegno di gemellaggi con associazioni legalmente riconosciute dei sostenitori di altre società sportive aventi i medesimi fini statutari. I contratti e le convenzioni stipulati con associazioni legalmente riconosciute che abbiano tra i propri associati persone a cui è stato notificato il divieto di cui al comma 1 dell'articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, e successive modificazioni, sono sospesi per la durata di tale divieto, salvo che intervengano l'espulsione delle persone destinatarie del divieto e la pubblica dissociazione dell'associazione dai comportamenti che lo hanno determinato. |
4. Identico. |
5. Per quanto non previsto dal presente articolo si applicano le disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni. |
5. Identico. |
L’articolo 14, non modificato nel corso dell’esame in sede referente, interviene sul c.d. Codice antimafia (D.Lgs. n. 159 del 2011[17]) per consentire il fermo di indiziato di delitto, in deroga ai limiti di pena previsti dal codice di procedura penale, anche per coloro che risultino gravemente indiziati di un delitto commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive.
Si ricorda che il fermo è una misura precautelare a cui viene sottoposta una persona gravemente indiziata di determinati delitti: comporta uno stato di privazione della libertà personale ed è adottabile, anche fuori dai casi di flagranza, dal pubblico ministero e, in via sussidiaria, dagli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria. Ai sensi dell’art. 384 c.p.p., i suoi presupposti sono:
- l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza,
- il pericolo di fuga dell’indagato,
- la commissione di delitti particolarmente gravi con riferimento alla pena edittale (delitti punibili con l’ergastolo o con la reclusione non inferiore nel minimo ai due anni e nel massimo ai sei anni) e alla natura del delitto (delitti concernenti le armi da guerra e gli esplosivi o commesso per finalità di terrorismo).
Dopo il fermo, la polizia giudiziaria è tenuta a compiere le seguenti attività:
- dare immediata informativa al pubblico ministero del luogo in cui è stato eseguito il fermo;
- dare immediato avviso al fermato di nominare un difensore di fiducia e immediato avviso dell’avvenuto fermo al difensore di fiducia o eventualmente a quello nominato d’ufficio;
- mettere il fermato a disposizione del pubblico ministero entro e non oltre le ventiquattro ore dal fermo, pena l’inefficacia dello stesso (art. 386 c.p.p.).
L’art. 77 del decreto legislativo n. 159 del 2011 (c.d. Codice antimafia) consente il fermo dei soggetti ai quali può essere applicata una misura di prevenzione personale (indicati dall’art. 4 del d.lgs. n. 159 del 2011), anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’art. 384 c.p.p., purché siano indiziati di un reato per il quale è consentito l'arresto facoltativo in flagranza (art. 381 c.p.p.).
Per quanto riguarda i reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, già prima del decreto-legge in esame il fermo di indiziato di delitto era consentito nei confronti delle «persone indiziate di avere agevolato gruppi o persone che hanno preso parte attiva, in più occasioni, alle manifestazioni di violenza di cui all'articolo 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, nonché alle persone che, per il loro comportamento, debba ritenersi, anche sulla base della partecipazione in più occasioni alle medesime manifestazioni, ovvero della reiterata applicazione nei loro confronti del divieto previsto dallo stesso articolo, che sono dediti alla commissione di reati che mettono in pericolo l'ordine e la sicurezza pubblica, ovvero l'incolumità delle persone in occasione o a causa dello svolgimento di manifestazioni sportive»; tali soggetti, infatti, sono già possibili destinatari di misure di prevenzione in base all’art. 4, comma 1, lett. i) del Codice antimafia.
Il decreto-legge interviene sull’art. 77 del d.lgs. n. 159 del 2011 per consentire il fermo degli indiziati di un delitto commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive anche quando il reato commesso sia punito con pene inferiori rispetto a quelle richieste dall’art. 384 c.p.p. (ergastolo o reclusione non inferiore nel minimo ai due anni e nel massimo ai sei anni). Per procedere al fermo sarà comunque richiesto che il reato per il quale si procede sia contemplato tra quelli per i quali è consentito l’arresto facoltativo in flagranza.
Normativa previgente |
Decreto-legge n. 53 del 2019 |
D.Lgs. 06/09/2011, n. 159 |
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Art. 77 Fermo di indiziato di delitto |
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1. Nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 4 il fermo di indiziato di delitto è consentito anche al di fuori dei limiti di cui all'articolo 384 del codice di procedura penale, purché si tratti di reato per il quale è consentito l'arresto facoltativo in flagranza ai sensi dell'articolo 381 del medesimo codice. |
1. Nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 4 e di coloro che risultino gravemente indiziati di un delitto commesso in occasione o a causa di manifestazioni sportive il fermo di indiziato di delitto è consentito anche al di fuori dei limiti di cui all'articolo 384 del codice di procedura penale, purché si tratti di reato per il quale è consentito l'arresto facoltativo in flagranza ai sensi dell'articolo 381 del medesimo codice. |
Si ricorda che, in base all’art. 381 c.p.p. gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di arrestare chiunque è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni ovvero di un delitto colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria hanno altresì facoltà di arrestare chiunque è colto in flagranza di uno dei seguenti delitti:
a) peculato mediante profitto dell'errore altrui previsto dall'articolo 316 del codice penale;
b) corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio prevista dagli articoli 319 comma 4 e 321 del codice penale;
c) violenza o minaccia a un pubblico ufficiale prevista dall'articolo 336 comma 2 del codice penale;
d) commercio e somministrazione di medicinali guasti e di sostanze alimentari nocive previsti dagli articoli 443 e 444 del codice penale;
e) corruzione di minorenni prevista dall'articolo 530 del codice penale;
f) lesione personale prevista dall'articolo 582 del codice penale;
f-bis) violazione di domicilio prevista dall'articolo 614 , primo e secondo comma, del codice penale;
g) furto previsto dall'articolo 624 del codice penale;
h) danneggiamento aggravato a norma dell'articolo 635 comma 2 del codice penale;
i) truffa prevista dall'articolo 640 del codice penale;
l) appropriazione indebita prevista dall'articolo 646 del codice penale;
l-bis) offerta, cessione o detenzione di materiale pornografico previste dagli articoli 600-ter, quarto comma, e 600-quater del codice penale, anche se relative al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1 del medesimo codice;
m) alterazione di armi e fabbricazione di esplosivi non riconosciuti previste dagli articoli 3 e 24 comma 1 della legge 18 aprile 1975, n. 110;
m-ter) falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, prevista dall'articolo 495 del codice penale;
m-quater) fraudolente alterazioni per impedire l'identificazione o l'accertamento di qualità personali, previste dall'articolo 495-ter del codice penale;
m-quinquies) delitto di lesioni colpose stradali gravi o gravissime previsto dall'articolo 590-bis, secondo, terzo, quarto e quinto comma, del codice penale.
L’articolo 15, non modificato nel corso dell’esame in sede referente, stabilizza nel nostro ordinamento l’istituto dell’arresto in flagranza differita nei seguenti casi:
· per i reati violenti commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, per i quali è obbligatorio o facoltativo l'arresto;
· per i reati commessi con violenza alle persone o alle cose, compiuti alla presenza di più persone anche in occasioni pubbliche, per i quali è obbligatorio l’arresto.
L’arresto in flagranza differita - introdotto nell’ordinamento dal D.L. n. 28 del 2005 - è disciplinato dall’art. 8, comma 1-ter, della citata legge n. 401 del 1989.
Nei casi di reati commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, per i quali è obbligatorio o facoltativo l'arresto ai sensi degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, quando non è possibile procedere immediatamente all'arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell'articolo 382 c.p.p. colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l'arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro 48 ore dal fatto. L'arresto è, inoltre, consentito in caso di violazione del divieto di accedere ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive (Daspo). Il comma 1-quater dello stesso art. 8 consente, poi, quando l'arresto è stato eseguito per uno dei reati indicati, e nel caso di violazione del Daspo, l'applicazione delle misure coercitive anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1, lettera c), e 280 del codice di procedura penale.
Il decreto-legge n. 14 del 2017, inoltre, ha consentito l’arresto in flagranza differita (art. 10, comma 6-quater) anche nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose, compiuti alla presenza di più persone anche in occasioni pubbliche, per i quali è obbligatorio l'arresto, quando non è possibile procedere immediatamente all'arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica; anche in questo caso si procede all’identificazione del responsabile sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerga inequivocabilmente il fatto e l’autore.
Lo strumento dell’arresto differito - anche a seguito dei numerosi dubbi di legittimità costituzionale (legati alla nozione di flagranza, che presuppone uno stretto collegamento con la commissione del fatto-reato) – è stato introdotto in entrambi i casi in via transitoria: originariamente la misura poteva essere applicata fino al 30 giugno 2005, termine poi prorogato più volte con provvedimenti d’urgenza, fino al differimento al 30 giugno 2020 previsto dal decreto-legge n. 14 del 2017 (art. 10, comma 6-ter).
Ai fini della stabilizzazione dell’istituto l’articolo 15 interviene, quindi, sull’articolo 10 del decreto-legge n. 14 del 2017 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città) sopprimendo - ai commi 6-ter e 6-quater - il riferimento temporale al 30 giugno 2020, termine dell’efficacia delle disposizioni sull’arresto in flagranza differita per i reati collegati alle manifestazioni sportive (comma 6-ter) e per quelli commessi in presenza di più persone, anche nelle occasioni pubbliche (comma 6-quater).
Alla soppressione di cui al comma 6-ter consegue, per i reati nelle manifestazioni sportive e in caso di violazione del Daspo, anche la messa a regime della possibile applicazione di misure coercitive in deroga ai limiti ordinari di pena previsti dal codice di rito penale.
La relazione illustrativa del disegno di legge di conversione motiva l’intervento «in considerazione del fatto che lo strumento dell’arresto differito ha rappresentato uno dei cardini del composito e complesso sistema delle misure di contrasto della violenza sportiva, rappresentando uno dei principali fattori alla base della positiva inversione di tendenza registratasi con riguardo agli episodi di violenza durante le manifestazioni sportive e, soprattutto, nell’ambito delle competizioni calcistiche».
L’articolo 16, modificato nel corso dell’esame in sede referente, apporta modifiche agli articoli 61 e 131-bis del codice penale, ed è volto al rafforzamento delle misure di contrasto dei fenomeni di violenza nelle competizioni sportive.
In particolare, il comma 1, lettera a) integra la formulazione dell’art. 61, primo comma, del codice penale con l’introduzione di una nuova aggravante comune (nuovo numero 11-septies), consistente nell’aver commesso il fatto-reato in occasione o a causa di manifestazioni sportive, o durante i trasferimenti da o verso i luoghi in cui si svolgono dette manifestazioni.
Ai sensi dell’art. 64 c.p. - in assenza di concorso di circostanze - la presenza di tale nuova aggravante comune comporta l’aumento della pena edittale fino a un terzo.
Con le stesse finalità, il comma 1, lettera b), novella l’art. 131-bis del codice penale relativo all’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
Si ricorda che l’art. 131-bis c.p. è stato introdotto dal d.lgs n. 28 del 2015 ed esclude, al primo comma, la punibilità di reati sanzionati con pena detentiva fino a 5 anni (o con pena pecuniaria sola o congiunta a detta pena) quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale (i parametri di valutazione di cui all’art. 133 fanno riferimento alla gravità del reato e alla capacità a delinquere del reo, a loro volta desunti da ulteriori, specifici elementi).
Il secondo comma precisa, tuttavia, che non possono mai costituire offese di particolare tenuità quelle in cui l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.
All’art. 131-bis, secondo comma, è aggiunto un periodo che prevede una ulteriore ipotesi di esclusione della particolare tenuità del fatto quando si procede per delitti commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi.
La Relazione illustrativa del disegno di legge di conversione del decreto sottolinea l’intento di garantire la punibilità di condotte che, per il particolare allarme sociale che determinano, non si ritiene possano mai costituire ipotesi di lieve entità.
Nel corso dell’esame in sede referente, le Commissioni riunite hanno previsto l’esclusione della particolare tenuità del fatto anche quando si procede per i delitti di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 c.p.), di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.) e di oltraggio a pubblico ufficiale (art. 341-bis c.p.) commessi nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni.
Si ricorda che gli articoli 336 e 337 c.p. prevedono che i relativi delitti possano essere commessi usando violenza, minaccia o resistenza anche ad un incaricato di servizio.
L’art. 358 c.p. specifica che agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Il secondo comma precisa che per pubblico servizio deve intendersi un'attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest'ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale
Si osserva che la disposizione sembra escludere la tenuità solo in relazione ai fatti commessi nei confronti del pubblico ufficiale, e non anche dell’incaricato di un pubblico servizio.
L’articolo 16-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, prevede la possibilità per il sindaco di ordinare l’allontanamento dalle stazioni ferroviarie e marittime, dagli aeroporti e dalle banchine degli autobus per coloro che in tali luoghi commettono atti di bagarinaggio.
In particolare, integrando la formulazione dell’art. 9, comma 2, del decreto-legge n. 14 del 2017 (Sicurezza delle città), la disposizione prevede che, ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dalla normativa vigente, il sindaco possa ordinare l’allontanamento dai citati luoghi anche di “chiunque, non appartenente alle società appositamente incaricate, vende i titoli di accesso alle manifestazioni sportive” (art. 1-sexies del d.l. n. 28 del 2003).
L’art. 9, comma 2, attualmente prevede la misura dell’allontanamento di chi:
- viene trovato in stato di ubriachezza;
- compie atti contrari alla pubblica decenza;
- esercita il commercio abusivo;
- esercita l'attività di parcheggiatore o guardiamacchine abusivo.
Si ricorda che ai c.d. bagarini sarà altresì applicata la sanzione amministrativa prevista dall’art. 1-sexies del decreto-legge n. 28 del 2003 (da 2.500 a 10.000 euro), che può essere aumentata fino alla metà del massimo per il contravventore che ceda o metta in vendita i titoli di accesso a prezzo maggiorato rispetto a quello praticato dalla società. Nei confronti dei medesimi soggetti può altresì essere applicato il DASPO..
Normativa vigente |
A.C. 1913-A |
D.L. 20 febbraio 2017, n. 14 |
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Capo II |
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Art. 9 |
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1. Fatto salvo quanto previsto dalla vigente normativa a tutela delle aree interne delle infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze, chiunque ponga in essere condotte che impediscono l'accessibilità e la fruizione delle predette infrastrutture, in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti, è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 100 a euro 300. Contestualmente all'accertamento della condotta illecita, al trasgressore viene ordinato, nelle forme e con le modalità di cui all'articolo 10, l'allontanamento dal luogo in cui è stato commesso il fatto. |
1. Identico. |
2. Ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative previste dagli articoli 688 e 726 del Codice penale e dall'articolo 29 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, nonché dall'articolo 7, comma 15-bis, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, il provvedimento di allontanamento di cui al comma 1 del presente articolo è disposto altresì nei confronti di chi commette le violazioni previste dalle predette disposizioni nelle aree di cui al medesimo comma. |
2. Ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative previste dagli articoli 688 e 726 del Codice penale e dall'articolo 29 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, nonché dall'articolo 7, comma 15-bis, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 oltreché dall’articolo 1-sexies del decreto-legge 24 febbraio 2003, n. 28, convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2003, n. 88, il provvedimento di allontanamento di cui al comma 1 del presente articolo è disposto altresì nei confronti di chi commette le violazioni previste dalle predette disposizioni nelle aree di cui al medesimo comma. |
3. Fermo il disposto dell'articolo 52, comma 1-ter, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e dell'articolo 1, comma 4, del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222, i regolamenti di polizia urbana possono individuare aree urbane su cui insistono presidi sanitari, scuole, plessi scolastici e siti universitari, musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura o comunque interessati da consistenti flussi turistici, aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli, ovvero adibite a verde pubblico, alle quali si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo. |
3. Identico. |
4. Per le violazioni di cui al comma 1, fatti salvi i poteri delle autorità di settore aventi competenze a tutela di specifiche aree del territorio, l'autorità competente è il sindaco del comune nel cui territorio le medesime sono state accertate, che provvede ai sensi degli articoli 17 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689. I proventi derivanti dal pagamento delle sanzioni amministrative irrogate sono devoluti al comune competente, che li destina all'attuazione di iniziative di miglioramento del decoro urbano. |
4. Identico. |
L’articolo 17 amplia l’ambito applicativo della disciplina sanzionatoria della vendita non autorizzata di biglietti per le competizioni sportive e del cd. bagarinaggio, ossia la stessa vendita a prezzi maggiorati.
L’art. 1-sexies del D.L. n. 28 del 2003 (Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive) punisce con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500 a 10.000 euro chiunque, non appartenente alle società appositamente incaricate, vende i titoli di accesso nei luoghi in cui si svolge la manifestazione sportiva o in quelli interessati alla sosta, al transito o al trasporto di coloro che partecipano o assistono alla manifestazione medesima. La sanzione può essere aumentata fino alla metà del massimo per il contravventore che ceda o metta in vendita i titoli di accesso a prezzo maggiorato rispetto a quello praticato dalla società appositamente incaricata per la commercializzazione dei tagliandi. Competente per l’irrogazione delle sanzioni è il Prefetto del luogo del commesso illecito.
La previgente formulazione dell’art. 1-sexies del DL 28/2013 limita la punibilità alla vendita abusiva e al bagarinaggio commesso in tutti i luoghi interessati dai singoli eventi sportivi, quali l’impianto sportivo, i parcheggi, le aree di sosta autostradali.
Rispetto alla disciplina previgente, il decreto-legge in commento:
· tramite la soppressione (al comma 1 dell’art. 1-sexies citato) del riferimento ai luoghi di commissione dell’illecito, consente la punibilità (con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500 a 10.000 euro) di tutte le condotte di vendita non autorizzata di biglietti per accedere alle manifestazioni sportive, dunque sia quelle che avvengano fuori dei luoghi interessati all’evento sportivo, sia quelle effettuate “on line”.
· specifica (nuovo comma 1-bis dell’art. 1-sexies) che il divieto di vendita non autorizzata dei biglietti opera anche nei confronti di enti forniti di personalità giuridica e di società e associazioni anche prive di personalità giuridica (i soggetti di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2001).
L’articolo 17-bis riduce da tre mesi a cinque settimane la durata del corso di formazione per l’accesso alla qualifica di capo squadra del Corpo nazionale dei vigili del fuoco esclusivamente per la procedura concorsuale con decorrenza 1° gennaio 2019.
In dettaglio, il comma 1 prevede che alla procedura concorsuale per l’accesso alla qualifica di capo squadra dei vigili del fuoco con decorrenza 1° gennaio 2019, per un numero di posti corrispondenti a quelli vacanti al 31 dicembre 2018, nel ruolo dei capi squadra e dei capi reparto, si applichino le disposizioni di cui all’articolo 14-septies, comma 3, del D.Lgs. 97/2017 - recante il riordino del Corpo dei vigili del fuoco - articolo introdotto dal D.Lgs. 127/2018.
Il comma 2 reca la copertura finanziaria dell’onere conseguente, pari a 260.000 euro per l’anno 2019, cui si fa fronte utilizzando le risorse iscritte per il medesimo anno nel Fondo per il federalismo amministrativo di parte corrente, di cui alla legge 15 marzo 1997, n. 59, dello stato di previsione del Ministero dell’interno.
Il ruolo dei capi squadra e dei capi reparto è articolato in tre qualifiche: capo squadra, capo squadra esperto e capo reparto (DPR 217/2005, art. 10). L'accesso alla qualifica di capo squadra avviene, nel limite dei posti disponibili al 31 dicembre di ciascun anno, con concorso interno per titoli e superamento di un successivo corso di formazione professionale, della durata non inferiore a tre mesi, riservato al personale che, al 31 dicembre, rivesta la qualifica di vigile del fuoco coordinatore (DPR 217/2005, art. 12)
L’articolo 14-septies, comma 3, del D.Lgs. 97/2017, richiamato dalla norma in esame, ha autorizzato una procedura concorsuale straordinaria per l'accesso alla qualifica di capo squadra con decorrenza 1° gennaio 2018, per un numero di posti corrispondenti a quelli vacanti al 31 dicembre 2017 nel ruolo dei capi squadra e dei capo reparto. Per l'espletamento di tale procedura il medesimo articolo 14-septies, dispone l’applicazione, oltre che del decreto del Ministro dell'interno 12 ottobre 2007, n. 236 – recante la procedura concorsuale ordinaria – anche dell'articolo 3, comma 6, del D.L. 79/2012, che, appunto, riduce a 5 settimane la durata dei corsi di formazione per l’accesso alla qualifica di capo squadra, limitatamente alla copertura dei posti di capo squadra nel ruolo dei capi squadra e dei capi reparto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, disponibili al 31 dicembre di ciascuno degli anni dal 2008 al 2017.
Si ricorda infine che l’art. 12-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, al comma 3 riduce in via transitoria (limitatamente al biennio 2019-2020) la durata del corso di formazione per allievi vigili del fuoco a 6 mesi di cui almeno 1 di applicazione pratica.
[1] Più in generale, secondo la Convenzione di Montego Bay, le navi di tutti gli Stati, costieri o privi di litorale, godono del diritto di passaggio inoffensivo attraverso il mare territoriale (art. 17). L’articolo 21 della medesima Convenzione consente allo Stato costiero di emanare leggi e regolamenti, conformemente alle disposizioni della presente Convenzione e ad altre norme del diritto internazionale, relativamente al passaggio inoffensivo attraverso il proprio mare territoriale, in merito ad una serie di materie, tra cui, la prevenzione di violazioni delle leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione dello Stato costiero. Viene, inoltre, sancito il diritto di protezione dello Stato costiero che può adottare le misure necessarie per impedire nel suo mare territoriale ogni passaggio che non sia inoffensivo (art. 25).
[2] Il Comitato nazionale dell’ordine e della sicurezza pubblica è un organo ausiliario di consulenza del Ministro dell’interno per l’esercizio delle sue attribuzioni di alta direzione e di coordinamento in materia di ordine e sicurezza pubblica.
[3] L’autorizzazione alla ratifica della Convenzione è intervenuta con la legge 3 aprile 1989, n. 147.
[4] La cui adesione da parte italiana è stata autorizzata dalla legge 23 maggio 1980, n. 313.
[5] La cui autorizzazione alla ratifica è intervenuta con la richiamata legge n. 313 del 1980.
[6] Il quadro internazionale in materia è richiamato anche nelle pronunce della Cassazione penale sulla materia (si veda ad es. Cass. Pen. 1165/2015 e Cass. Pen. 36052/2014).
[7] D.L. 17/02/2017, n. 13, Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale.
[8] Nella prima area funzionale (articolata in tre fasce retributive) rientrano i lavoratori che svolgono attività ausiliarie e di supporto.
[9] Nella seconda area funzionale (articolata in sei fasce retributive) rientrano i lavoratori che, con conoscenze teoriche e pratiche di medio livello, svolgono attività lavorative anche specialistiche, connesse al proprio settore di competenza.
[10] Per quanto concerne il concorso unico il richiamato comma 3-quinquies dell'articolo 4 del decreto-legge n. 101 del 2013 stabilisce che a partire dal 1° gennaio 2014 il reclutamento dei dirigenti e di tutte le figure professionali comuni alle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 35 comma 4 del d.lgs. n. 165/2001 (cioè le seguenti amministrazioni che abbiamo più di 200 unità di dipendenti: amministrazioni dello Stato anche ad ordinamento autonomo, le agenzie - compresa quella per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali - gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca; restano esclusi dall’elenco regioni, enti locali e sanità) si svolge attraverso concorsi unici, organizzati dal Dipartimento della funzione pubblica, previa ricognizione del fabbisogno preso le amministrazioni interessate e nel rispetto dei vincoli finanziari in materia di assunzione a tempo indeterminato.
[11] La deroga all’art. 35 del citato TU concerne, rispettivamente, (comma 4) l’adozione del piano triennale sulla cui base le amministrazioni devono determinare l’avvio delle procedure di reclutamento e la necessaria, relativa autorizzazione con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell’economia nonché (comma 4-bis) l’applicazione di tale procedura autorizzatoria anche ai reclutamenti a tempo determinato per contingenti superiori alle cinque unità, inclusi i contratti di formazione e lavoro.
[12] Ossia: a) il principio secondo cui la raccolta dei dati sia correlata alla specifica finalità perseguita, in relazione alla prevenzione di un pericolo concreto o alla repressione di reati, in particolare per quanto riguarda i trattamenti effettuati per finalità di analisi; b) l'aggiornamento periodico dei dati, anche relativi a valutazioni effettuate in base alla legge, alle diverse modalità relative ai dati trattati senza l'ausilio di strumenti elettronici e alle modalità per rendere conoscibili gli aggiornamenti da parte di altri organi e uffici cui i dati sono stati in precedenza comunicati; c) i presupposti per effettuare trattamenti per esigenze temporanee o collegati a situazioni particolari; d) l'individuazione di specifici termini di conservazione dei dati in relazione alla natura dei dati o agli strumenti utilizzati per il loro trattamento, nonché alla tipologia dei procedimenti nell'ambito dei quali essi sono trattati o i provvedimenti sono adottati; e) la comunicazione ad altri soggetti, anche all'estero o per l'esercizio di un diritto o di un interesse legittimo, e la loro diffusione, ove necessaria in conformità alla legge; f) l'uso di particolari tecniche di elaborazione e di ricerca delle informazioni (anche mediante il ricorso a sistemi di indice).
[13] Il Commissario straordinario per la realizzazione dell'Universiade Napoli 2019, con lettera in data 10 aprile 2019, ha trasmesso la prima relazione sulle attività svolte, corredata della rendicontazione contabile delle spese sostenute, riferita al periodo dal 26 luglio 2018 al 25 gennaio 2019 (Doc. CCXLVII, n. 1).
[14] “Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche, nonché norme a sostegno della diffusione dello sport e della partecipazione gratuita dei minori alle manifestazioni sportive”, convertito in legge, con modificazioni dall'art. 1, della legge 4 aprile 2007, n. 41.
[15] In deroga a ciò, il comma 4 del medesimo art. 8 consente alle società sportive di stipulare con associazioni legalmente riconosciute e aventi tra le finalità statutarie la promozione e la divulgazione dei valori e dei principi della cultura sportiva, della non violenza e della pacifica convivenza, come sanciti dalla Carta olimpica, contratti e convenzioni in forma scritta aventi ad oggetto progetti di interesse comune per la realizzazione delle richiamate finalità, nonché per il sostegno di gemellaggi con associazioni legalmente riconosciute dei sostenitori di altre società sportive aventi i medesimi fini statutari. Tuttavia, i contratti e le convenzioni stipulati con associazioni che abbiano tra i propri associati persone a cui sia stato notificato il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive (di cui all’art. 6, co. 1, L. 401/1989) sono sospesi per la durata di tale divieto, salvo che intervengano l’espulsione delle persone destinatarie dello stesso e la pubblica dissociazione dell’associazione dei comportamenti che lo hanno determinato.
[16] Tra l’altro, l’art. 67 esclude che i destinatari di misure di prevenzione possano ottenere licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio; concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l'esercizio di attività imprenditoriali; concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici; iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l'esercizio del commercio all'ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all'ingrosso; attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici; altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati; contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali; licenze per detenzione e porto d'armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti.
[17] D.Lgs. 06/09/2011, n. 159, Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136.