Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni
Titolo: Modifiche al TU stupefacenti, in materia di coltivazione, cessione e consumo della cannabis e dei suoi derivati
Riferimenti: AC N.2307/XVIII AC N.2965/XVIII
Serie: Documentazione per l'attività consultiva della I Commissione   Numero: 181
Data: 22/06/2022
Organi della Camera: I Affari costituzionali


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Modifiche al TU stupefacenti, in materia di coltivazione, cessione e consumo della cannabis e dei suoi derivati

22 giugno 2022
Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale


Indice

Contenuto|Relazioni allegate o richieste|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Rispetto degli altri princìpi costituzionali|


Il testo unificato C. 2307-2965, elaborato dalla Commissione Giustizia, si compone di 8 articoli ed è volto ad affermare la liceità della coltivazione e della detenzione per uso personale di non oltre 4 piante femmine di cannabis, che non dovrà più essere considerato neanche illecito amministrativo. Inoltre, il provvedimento:

Con riguardo alle tematiche trattate nel testo, si ricorda che il 4 dicembre 2019 la Commissione Giustizia ha iniziato l'esame in sede referente della proposta di legge C. 2160 Molinari, volta ad inasprire le pene per le ipotesi di lieve entità del delitto di produzione, traffico e detenzione di stupefacenti, prevedendo inoltre l'arresto obbligatorio per colui che sia colto in flagranza di tale reato (v. dossier n. 238). A tale proposta è stata successivamente abbinata, il 12 febbraio 2020, la proposta di legge C. 2307 Magi recante modifiche al TU stupefacenti in materia di riduzione della pena per la produzione, l'acquisto e la cessione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope nei casi di lieve entità. In data 12 aprile 2021 è stata quindi abbinata la proposta C. 2965 Licatini, volta ad escludere la sussistenza del reato di coltivazione di sostanze stupefacenti nei casi di coltivazioni di cannabis di minime dimensioni, svolte in forma domestica e che appaiono destinate in via esclusiva ad un uso personale del coltivatore. In data 14 luglio 2021 il relatore ha presentato una proposta di testo unificato, da adottare come testo base. In relazione ai contenuti di tale testo il gruppo della Lega ha chiesto il disabbinamento della propria proposta C. 2160. In data 8 settembre la Commissione ha approvato il disabbinamento dell'AC 2160 e ha deliberato di adottare il testo unificato presentato dal relatore come testo base.

Contenuto

L'Coltivazione e detenzione in forma individuale di cannabis per uso personalearticolo 1 interviene sul TU stupefacenti per consentire la coltivazione e la detenzione in forma individuale, e per uso personale, di massimo 4 piante femmine di cannabis idonee e finalizzate alla produzione di sostanza stupefacente.

Si ricorda che le piante di cannabis di sesso maschile od ermafrodita producono una percentuale irrisoria di THC, inidonea a produrre effetti stupefacenti; le piante di sesso femminile costituiscono la categoria che produce, tramite i fiori, il citato principio attivo.
Quadro normativo vigente La cannabis è inserita, in quanto droga leggera, nella tabella II allegata al TU stupefacenti.
L' art. 28 del D.P.R. 309/1990 prevede sanzioni penali per la coltivazione illecita di sostanze stupefacenti, inserite nelle tabelle I e II del TU. In particolare, l'art. 28 distingue:
  • la coltivazione non autorizzata, per la quale prevede le sanzioni penali e amministrative stabilite per la fabbricazione illecita delle sostanze stupefacenti (comma 1). In particolare, in base al vigente art. 73 del TU stupefacenti, chiunque senza l'autorizzazione coltiva sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I (si tratta delle c.d. droghe pesanti), è punito con la reclusione da 6 a 20 anni e con la multa da euro 25.822 a euro 258.228. La coltivazione delle sostanze di cui alla tabella II (c.d. droghe leggere o, più precisamente, cannabis indica) è oggi punita con la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 5.164 a 77.468 euro;
  • la coltivazione autorizzata che si svolge in violazione delle prescrizioni impartite. In questo caso, in base al comma 2, salvo che il fatto costituisca reato, il trasgressore è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro. Le piante coltivate illegalmente sono comunque soggette a sequestro e confisca (comma 3).
L' art. 26 del D.P.R. 309/1990 vieta, nel territorio dello Stato, la coltivazione delle piante comprese nelle tabelle I e II, ad eccezione della canapa coltivata esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali, diversi da quelli di cui all'articolo 27, consentiti dalla normativa dell'Unione europea.La coltivazione di tali piante da parte di istituti universitari e laboratori pubblici aventi fini istituzionali di ricerca, può essere tuttavia autorizzata dal Ministro della sanità per scopi scientifici, sperimentali o didattici.
Tale disciplina è integrata da quella dell' art. 17 del D.P.R. 309/1990, secondo la quale chiunque intenda coltivare (produrre, fabbricare, impiegare, importare, esportare, ricevere per transito, commerciare a qualsiasi titolo o comunque detenere per il commercio) sostanze stupefacenti o psicotrope, comprese nelle tabelle di cui all'articolo 14 deve munirsi dell' autorizzazione del Ministero della salute.
L' art. 27 del D.P.R. 309/1990 prevede che la richiesta di autorizzazione alla coltivazione deve contenere il nome del richiedente coltivatore responsabile, l'indicazione del luogo, delle particelle catastali e della superficie di terreno sulla quale sarà effettuata la coltivazione, nonché la specie di coltivazione e i prodotti che si intende ottenere. Il richiedente deve indicare l'esatta ubicazione dei locali destinati alla custodia dei prodotti ottenuti. Sia la richiesta che l'eventuale decreto ministeriale di autorizzazione sono trasmessi alla competente unità sanitaria locale nonché al Comando generale della Guardia di finanza e al Ministero dell'agricoltura e delle foreste ai quali spetta l'esercizio della vigilanza e del controllo di tutte le fasi della coltivazione fino all'avvenuta cessione del prodotto. L'autorizzazione è valida oltre che per la coltivazione, anche per la raccolta, la detenzione e la vendita dei prodotti ottenuti, da effettuarsi esclusivamente alle ditte titolari di autorizzazione per la fabbricazione e l'impiego di sostanze stupefacenti.
Sulla illiceità o liceità penale della coltivazione di cannabis la Giurisprudenza giurisprudenza ha assunto posizioni contrastanti nel tempo, che hanno reso più volte necessario delle Sezioni Unite della Corte di cassazione. La linea interpretativa più severa sulla coltivazione è stata indicata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 28605 del 2008, che ha affermato:
- che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale;
- che ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l'offensività della condotta ovvero l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile.
A sorreggere tale specifico principio le Sezioni Unite richiamano anzitutto gli argomenti svolti dalla Corte costituzionale, nella sentenza n. 360 del 1995, nella quale la Consulta afferma che la condotta della coltivazione di piante da cui sono estraibili i principi attivi di sostanze stupefacenti costituisce tipico reato di pericolo presunto, sul rilievo che ben può valutarsi come "pericolosa", ossia idonea ad attentare al bene della salute dei singoli per il solo fatto di arricchire la provvista esistente di materia prima e quindi di creare potenzialmente più occasioni di spaccio di droga. La stessa Corte ha peraltro precisato che altra questione, tipicamente interpretativa e quindi riservata al giudice ordinario, è quella della verifica dell'offensività specifica della singola condotta in concreto accertata.
La decisione del 2008 è oggi superata dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 12346 del 2019, nella quale la Suprema Corte ha affermato che "Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all'ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numera di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell'ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all' uso personale del coltivatore". 
Tuttora aperta è la questione giurisprudenziale del numero di piante consentite. Nella sentenza n. 6599 del 2021, infatti, la Sez. VI della Cassazione ha affermato che integra una coltivazione domestica non punibile la messa a coltura di undici piantine di marijuana, collocate in vasi all'interno di un'abitazione, senza la predisposizione di accorgimenti, come impianti di irrigazione e/o di illuminazione, finalizzati a rafforzare la produzione, le quali, in relazione al grado di sviluppo raggiunto, avrebbero consentito l'estrazione di un quantitativo minimo di sostanze stupefacente ragionevolmente destinata all'uso personale dell'imputato; poco prima però la stessa sezione (sentenza n. 3593 del 2020) aveva escluso la coltivazione domestica non punibile per la messa a coltura di undici piantine di marjuana, non potendosi ritenere che la condotta riguardi uno scarso numero di piante, né che sia ricavabile un modestissimo quantitativo di stupefacente, risultando di per sé insufficiente la sola intenzione di destinare la coltivazione alle esigenze di consumo personale.

In particolare, laAutorizzazione non necessaria lettera a) interviene sull'art. 17 del TU stupefacenti per specificare che l'autorizzazione, obbligatoria per chiunque intenda coltivare sostanze stupefacenti, non è richiesta quando la coltivazione riguardi quattro piante femmine di cannabis, la cui coltivazione è consentita dall'art. 26, comma 1-bis (v. infra).

Le lettere b) e c) novellano l'art. 26 del TU stupefacenti per consentire a Consentite 4 piante femminepersone maggiorenni la coltivazione e la detenzione esclusivamente per uso personale di non oltre 4 piante femmine di cannabis, idonee e finalizzate alla produzione di sostanza stupefacente e del prodotto da esse ottenuto (nuovo comma 1-bis). Tale coltivazione è conseguentemente inserita tra le eccezioni ai divieti di coltivazione (modifica del comma 1). 

L'Modifiche all'art. 73 del DPR n. 309 del 1990articolo 2 interviene sull'art. 73 del TU stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990), che punisce la coltivazione, produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione, vendita, offerta o messa in vendita, cessione o ricezione, a qualsiasi titolo, distribuzione,commercio, acquisto, trasporto, esportazione, importazione, procacciamento ad altri, invio, passaggio o spedizione in transito, consegna per qualunque scopo o comunque illecita detenzione (al di fuori delle autorizzazioni e della destinazione all'uso personale) di sostanze stupefacenti o psicotrope.

Evoluzione normativa La disposizione è stata oggetto di numerose modifiche nel corso degli ultimi anni, dovute ad interventi del legislatore ed a pronunce della Corte costituzionale: sull'art. 73 sono infatti intervenuti dapprima il decreto-legge n. 272 del 2005 , che ha eliminato la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere; poi il decreto-legge n. 146 del 2013, che ha trasformato l'attenuante della lieve entità in autonoma fattispecie di reato a pena ridotta; quindi la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014, che ha dichiarato l'incostituzionalità del decreto-legge del 2005, determinando la revivescenza della disciplina previgente; poi il decreto-legge n. 36 del 2014, con il quale il legislatore ha dato seguito alla sentenza della Corte costituzionale; ed infine la sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019 che, con un intervento manipolativo, ha modificato il minimo edittale della pena prevista per il delitto.
Occorre dunque ripercorrere sinteticamente questi passaggi per ricostruire la normativa attualmente in vigore.
L' originario art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 differenziava il trattamento sanzionatorio dei reati aventi ad oggetto le droghe "pesanti" (puniti al comma 1 con la reclusione da 8 a 20 anni e con la multa) rispetto a quello dei reati aventi ad oggetto le droghe "leggere" (puniti al comma 4 con la reclusione da 2 a 6 anni e con la multa). La stessa distinzione tra droghe "pesanti" e "leggere" era riproposta anche per i fatti di lieve entità, in relazione ai quali il comma 5 del medesimo art. 73 stabiliva un'attenuante ad effetto speciale cosiddetta autonoma o indipendente, che puniva con la reclusione da 1 a 6 anni i fatti concernenti le droghe "pesanti" e da 6 mesi a 4 anni quelli relativi alle droghe "leggere", oltre alle rispettive sanzioni pecuniarie.
L' art. 4-bis del D.L. n. 272 del 2005 (come modificato in sede di conversione dalla legge n. 49 del 2006) aveva soppresso la distinzione fondata sul tipo di sostanza stupefacente, comminando la pena della reclusione da 6 a 20 anni e la multa per i fatti non lievi, nonché la pena della reclusione da 1 a 6 anni e la multa per i casi in cui fosse applicabile l'attenuante del fatto di lieve entità (c.d. riforma Fini-Giovanardi).
A distanza di alcuni anni, in XVII legislatura, con l'art. 2, comma 1, lettera a), del D.L. 23 dicembre 2013, n. 146 (conv. dalla legge n. 10 del 2014) è stato sostituito il comma 5 dell'art. 73, trasformando la circostanza attenuante del fatto di lieve entità in fattispecie autonoma di reato e riducendo il limite edittale massimo della pena detentiva da 6 a 5 anni di reclusione.
Tale modifica non è stata intaccata dalla sentenza n. 32 del 2014 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità della riforma Fini-Giovanardi, a seguito della quale hanno ripreso vigore le disposizioni dell'art. 73 nella originaria formulazione. L'incostituzionalità non atteneva al merito della riforma quanto alle modalità della sua approvazione, attraverso l'inserimento della Fini-Giovanardi nel procedimenti di conversione di un decreto-legge che si occupava di svariate materie e che, anche nel titolo, metteva insieme il finanziamento alle Olimpiadi Invernali di Torino e le disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi.
Per dare seguito alla sentenza della Corte il legislatore è intervenuto sull'art. 73 TU con il D.L. n. 36 del 2014 (conv. dalla legge n. 79 del 2014), che tra l'altro, all'art. 1, comma 24-ter, lettera a), ha ulteriormente diminuito il massimo edittale della pena prevista per il fatto di lieve entità, fissandolo nella misura di 4 anni di reclusione oltre la multa.
Interpellata sul risultante quadro normativo, caratterizzato da una profonda frattura (4 anni) tra il trattamento sanzionatorio del fatto di non lieve entità (reclusione da 8 a 20 anni) e quello del fatto lieve (reclusione da 6 mesi a 4 anni), senza che il legislatore nel frattempo, nonostante i ripetuti moniti (cfr. sentenza n. 179 del 2017), avesse provveduto a colmarla, la Corte costituzionale con la sentenza n. 40 del 2019 ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 73, comma 1, del TU nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di 8 anni anziché 6 anni (il minimo edittale di 6 anni era stato previsto dal decreto-legge del 2005, poi dichiarato incostituzionale).
Il quadro sanzionatorio vigente Oggi, dunque, la produzione, il traffico e la detenzione illeciti di stupefacenti sono così puniti:
  • con la reclusione da 6 a 20 anni e la multa da 25.822 a 258.228 euro quando le condotte illecite non sono lievi e riguardano droghe "pesanti" (comma 1);
  • con la reclusione da 8 a 22 anni e la multa da 25.822 a 309.874 euro quando il traffico di droghe "pesanti" sia effettuato da un soggetto autorizzato (commi 2 e 3);
  • con la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 5.164 a 77.468 euro quando le condotte illecite riguardano droghe "leggere" (comma 4);
  • con la reclusione da 6 mesi a 4 anni e la multa da 1.032 a 10.329 euro quando - salvo che il fatto costituisca più grave reato - le condotte di produzione, traffico e detenzione «per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze», sono di lieve entità (comma 5).
    La Corte di cassazione ha affermato che la fattispecie di lieve entità prevista dal comma 5 può essere riconosciuta solo nella ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (cfr. Cass., sez VII penale, ordinanza n. 6621 del 2019; sez. VII penale, ordinanza n. 3350 del 2019; sez. IV penale, sentenza n. 2312 del 2019).
    Quando la fattispecie lieve è commessa da un tossicodipendente, il giudice può applicare, in luogo delle suddette pene, il lavoro di pubblica utilità per una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva (comma 5-bis). Analogamente si procede quando un tossicodipendente commette, in relazione alla propria condizione di dipendenza, un reato diverso dai fatti di lieve entità relativi agli stupefacenti (purché non sia un reato contro la persona o uno dei gravi delitti per i quali è consentita una più lunga durata delle indagini preliminari), per il quale il giudice infligga una pena non superiore a un anno di detenzione (comma 5-ter).
Le pene sono aumentate se i fatti sono commessi da 3 o più persone (comma 6) e diminuite per colui che si adopera per collaborare con le autorità (comma 7). In caso di condanna o patteggiamento della pena, è sempre ordinata la confisca penale, anche per equivalente (comma 7-bis).

In particolare, la lettera a) sostituisce il comma 2 dell'art. 73, che attualmente punisce con la reclusione da 8 a 22 anni e la multa da 25.822 a 309.874 euro la coltivazione, produzione, detenzione e traffico di droghe "pesanti" (di cui alle tabelle I e III), effettuate da un soggetto autorizzato, prevedendo una modifica delle pene, con la riduzione da 22 a 20 anni la pena detentiva massima, l'aumento da 25.822 a 31.000 euro della pena pecuniaria minima e la riduzione da 309.874 a 301.000 euro della pena pecuniaria massima.

Attualmente, per effetto delle modifiche introdotte dal decreto-legge n. 36 del 2014, le tabelle allegate al TU sono 5:
  • la tabella I, prevista dall'art. 14, co. 1, lett. a), è relativa alle c.d. "droghe pesanti" e include oppio e derivati oppiacei (quali la morfina, l'eroina e il metadone), foglie di coca e derivati, amfetamina e derivati amfetaminici (ecstasy e designer drugs) e allucinogeni, le sostanze ottenute per sintesi o semisintesi che siano riconducibili per struttura chimica o per effetto farmaco-tossicologico al tetraidrocannabinolo, ogni altra pianta o sostanza naturale o sintetica che possa provocare allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali e tutte le sostanze ottenute per estrazione o per sintesi chimica che provocano la stessa tipologia di effetti a carico del sistema nervoso centrale;
  • la tabella II è relativa alle "droghe leggere". Ai sensi dell'art. 14, co. 1, lettera b), la tabella fa riferimento alla cannabis ed alle preparazioni contenenti cannabis;
  • la tabella III, ai sensi dell'art. 14, co. 1, lettera c), include i barbiturici che hanno notevole capacità di indurre dipendenza fisica o psichica o entrambe, nonché altre sostanze ad effetto ipnotico-sedativo ad essi assimilabili; ai fini sanzionatori, la tabella è pertanto equiparata alle "droghe pesanti";
  • la tabella IV, ai sensi dell'art. 14, co. 1, lettera d), include le sostanze per le quali sono stati accertati pericoli di dipendenza fisica o psichica di intensità e gravità minori di quelli prodotti dalle sostanze elencate nelle tabelle I e III; è equiparata ai fini sanzionatori alle "droghe leggere";
  • la tabella V non rileva ai fini dell'applicazione delle disposizioni sanzionatorie penali. Ai sensi dell'art. 14, co. 1, lettera e), riguarda infatti i medicinali, ed è suddivisa in cinque sezioni; include i medicinali a base di sostanze attive stupefacenti o psicotrope, ivi incluse le sostanze attive ad uso farmaceutico, di corrente impiego terapeutico ad uso umano o veterinario.

Le lettere b) e d) intervengono sull'art. 73 del TU al fine di modificare la disciplina sanzionatoria penale della produzione e del traffico di cannabis.

Si ricorda che attualmente, in base all'art. 73, comma 4, TU, ai fatti previsti dai commi 1 e 2 dell'art. 73 riferiti a c.d. droghe leggere (Tabelle II e IV) si  applicano la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 5.164 a 77.468 euro.

In particolare, la lettera b) inserisce nell'art. 73 il comma 2-bis per prevedere la reclusione da 3 a 8 anni e la multa da 15.000 a 150.000 euro quando le attività illecite di coltivazione, produzione, detenzione e traffico di droghe "leggere" (di cui alle tabelle II e IV) sono effettuate da un soggetto autorizzato; si tratta di un significativo aumento della pena attualmente prevista (reclusione da 2 a 6 anni e multa da 5.164 a 77.468 euro).

La lettera c) interviene sul comma 3 per prevedere che le pene previste dai commi 2 e 2-bis si applichino anche quando il soggetto è autorizzato alla produzione di sostanze stupefacenti ma coltiva, produce o fabbrica sostanze di specie diversa.

La lettera d) sostituisce il comma 4 per prevedere che quando le condotte di cui al comma 1 (droghe pesanti) riguardano le droghe leggere ("sostanze di cui alle Tabelle II e IV"), si applica la reclusione da 2 a 6 anni e la multa da 5.000 a 80.000 euro. Rispetto alla disciplina vigente, dunque, il provvedimento conferma la pena detentiva e rimodula la pena pecuniaria (attualmente multa da 5.164 a 77.468 euro). Inoltre, la disposizione precisa che non costituisce reato la detenzione ad uso esclusivamente personale del prodotto derivante dalla coltivazione di fino a 4 piante femmine di cannabis (ai sensi dell'art. 26, comma 1-bis del TU).

Le lettere e) ed f) abrogano i commi 5, 5-bis e 5-ter dell'articolo 73. L'abrogazione del comma 5, che prevede la reclusione da 6 mesi a 4 anni e la multa da 1.032 a 10.329 euro quando le condotte di produzione, traffico e detenzione «per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze», sono di lieve entità, va coordinata con l'inserimento nel TU dell'art. 73-bis ad opera dell'art. 3 del testo in commento (v. infra, specialmente il comma 1 del nuovo articolo). Analogamente, l'abrogazione dei commi 5-bis e 5-ter, che individuano il trattamento sanzionatorio dei reati commessi dal tossicodipendente, va letta alla luce del nuovo art. 73-bis, commi 3 e 4 (v. infra).

La lettera g) sostituisce il comma 7 dell'art. 73 TU, che disciplina l'attenuante (pene diminuite dalla metà ai due terzi) per quanti cooperano con le autorità, aggiungendo alle attività che ne consentono l'applicazione l'aiuto concreto alle autorità di polizia o all'autorità giudiziaria nell'individuazione o nella cattura dei concorrenti.

La modifica apportata dalla lettera h) al comma 7-bis è volta a coordinarne il testo alla luce della soppressione del comma 5.

Nuovo quadro sanzionatorio penaleDal combinato delle modifiche apportate all'art. 73, risulta il seguente quadro sanzionatorio della produzione, del traffico e della detenzione illeciti di stupefacenti:

  • reclusione da 6 a 20 anni e multa da 25.822 a 258.228 euro quando le condotte illecite non sono lievi e riguardano droghe "pesanti" (comma 1);
  • reclusione da 2 a 6 anni e multa da 5.000 a 80.000 euro quando le condotte illecite non sono lievi e riguardano droghe "leggere" (comma 4). La fattispecie non si applica per la detenzione di cannabis derivante dalla coltivazione consentita dall'art. 26, comma 1-bis;
  • reclusione da 8 a 20 anni e multa da 31.000 a 301.000 euro quando le condotte illecite relative a droghe "pesanti" sono effettuate da un soggetto autorizzato (comma 2);
  • reclusione da 3 a 8 anni e multa da 15.000 a 150.000 euro quando le condotte illecite relative a droghe "leggere" sono effettuate da un soggetto autorizzato (comma 2-bis);
  • disciplina autonoma dei fatti di lieve entità, inseriti nel nuovo art. 73-bis TU.

La riforma conferma che le pene sono aumentate se i fatti sono commessi da 3 o più persone (comma 6) e diminuite per colui che si adopera per collaborare con le autorità (comma 7). In caso di condanna o patteggiamento della pena, è sempre ordinata la confisca penale, anche per equivalente (comma 7-bis).

L'Fatti di lieve entità (nuovo art. 73-bis TU)articolo 3, comma 1, inserisce nel TU stupefacenti l'art. 73-bis, per punire la produzione, l'acquisto e la cessione illeciti di lieve entità di sostanze stupefacenti. In tale nuovo articolo il provvedimento colloca le disposizioni attualmente contenute nei commi 5, 5-bis e 5-ter dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 (che l'art. 2 del testo unificato provvede ad abrogare, v. sopra).

In particolare, il comma 1 dell'art. 73-bis prevede che, se il fatto non costituisce più grave reato, chiunque commette un reato di detenzione e traffico di stupefacenti di cui all'art. 73 del TU che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la quantità delle sostanze, è di lieve entità, soggiace alle seguenti pene:

  • reclusione da 6 mesi a 4 anni e multa fino a 10.000 euro, quando la detenzione e il traffico riguardano droghe cd. pesanti (nei casi di cui ai commi 1, 2, e 3 dell'articolo 73);
  • reclusione da 2 mesi a 2 anni e multa fino a 2.000 euro, quando la detenzione e il traffico riguardano droghe leggere (nei casi di cui ai commi 2-bis e 4 dell'articolo 73).

Normativa vigente
T.U. C. 2307-2965
art. 73, comma 5 DPR 309/1990
Art. 73-bis, comma 1 DPR 309/1990
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dai commi 1, 2, e 3 dell'articolo 73 che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da 6 mesi a quattro anni e della multa fino a euro 10.000. Si applica la reclusione da due mesi a due anni e la multa fino a euro 2.000 nei casi di cui ai commi 2-bis e 4 dell'articolo 73.

Rispetto alla normativa vigente, che non distingue tra stupefacenti, indifferentemente applicando ai fatti di lieve entità la pena della reclusione da 6 mesi a 4 anni e della multa da 1.032 a 10.329 euro, il testo unificato distingue le droghe pesanti dalle droghe leggere prevedendo limiti edittali inferiori agli attuali per le sole droghe leggere. 

Il comma 2 prevede l'applicabilità, anche ai fatti di lieve entità, dell'attenuante prevista dall'art. 73, comma 7, del TU, per quanti collaborino con le autorità: la pene previste dal comma 1 potranno essere diminuite dalla metà a due terzi.

I commi 3 e 4 dell'art. 73-bis sostanzialmente ricalcano i contenuti degli attuali comma 5-bis e 5-ter dell'art. 73 TU. Si tratta infatti di prevedere, quando la fattispecie lieve è commessa da un tossicodipendente, che il giudice possa applicare, in luogo delle pene detentive e pecuniarie, il lavoro di pubblica utilità per una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva (comma 3).

Analogamente si procede quando un tossicodipendente commette, in relazione alla propria condizione di dipendenza, un reato diverso dai fatti di lieve entità relativi agli stupefacenti (purché non sia un reato contro la persona o uno dei gravi delitti per i quali è consentita una più lunga durata delle indagini preliminari), per il quale il giudice infligga una pena non superiore a un anno di detenzione (comma 4).

Rispetto alla normativa vigente, il TU richiede:

  • che la condizione di tossicodipendenza, che giustifica la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, sia certificata da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata autorizzata a svolgere attività sanitaria e socio-sanitaria a favore di soggetti tossicodipendenti (ex art. 116 TU);
  • che al lavoro di pubblica utilità si accompagni la frequentazione di un programma terapeutico di recupero. 

Infine, con previsione innovativa, il comma 5 specifica che non può essere considerato un fatto di lieve entità e che dunque non si applicano le pene ridotte, lo spaccio di stupefacenti a minorenni da parte di un maggiorenne.

Il Modifica di coordinamento al c.p.p.comma 2 dell'articolo 3 del testo unificato interviene sul codice di procedura penale per apportarvi una modifica di coordinamento. All'art. 380 c.p.p., che prevede l'arresto obbligatorio in fragranza di uno dei reati previsti dall'art. 73 del TU stupefacenti (lett. h), viene soppresso l'inciso che esclude tale misura restrittiva in caso di lieve entità. L'arresto obbligatorio in fragranza resta escluso per i fatti di lieve entità, ma non è più necessaria la clausola di salvezza, avendo spostato la relativa disciplina in un articolo diverso.

 

L'Modifiche all'art. 74 del DPR n. 309 del 1990articolo 4 apporta tre modifiche al delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti.

L'art. 74 del TU stupefacenti punisce con la reclusione non inferiore a 20 anni i promotori di una associazione a delinquere finalizzata alla commissione di un delitto di traffico di stupefacenti (fattispecie di cui agli artt. 70 e 73 del TU); ai meri partecipanti all'associazione si applica invece la pena della reclusione non inferiore a 10 anni (commi 1 e 2).
Il reato può essere aggravato:
- se il numero degli associati è pari o superiore a dieci o se tra i partecipanti vi sono persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti (comma 3);
- se l'associazione è armata. In tal caso la pena per i promotori non può essere inferiore a 24 anni e quella per i partecipanti non può essere inferiore a 12 anni di reclusione (comma 4);
- se le sostanze stupefacenti o psicotrope sono adulterate o commiste ad altre in modo che ne risulti accentuata la potenzialità lesiva (ex art. 80, comma 1, lett. e) del TU) (comma 5).
Se l'associazione è finalizzata a commettere un fatto di lieve entità (ai sensi dell'art. 73, comma 5 del TU), si applicano le pene previste dall'art. 416 c.p. per la semplice associazione a delinquere (reclusione da 3 a 7 anni per i promotori e reclusione da 1 a 5 anni per i partecipanti) (comma 6).
La fattispecie può essere attenuata (pene diminuite dalla metà a due terzi) per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all'associazione risorse decisive per la commissione dei delitti (comma 7).
Infine, nei confronti del condannato è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e dei beni che ne sono il profitto o il prodotto, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando essa non è possibile, la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale profitto o prodotto (comma 7-bis).

In primo luogo, intervenendo sul comma 2 dell'art. 74 TU, il testo unificato individua in 8 anni la pena minima applicabile al partecipante all'associazione (attualmente il minimo è 10 anni di reclusione) e fissa in 15 anni la pena massima (attualmente non è fissato un massimo di pena).

In secondo luogo, il provvedimento abroga il comma 6 dell'art. 74, che prevede l'applicazione delle pene previste dall'art. 416 c.p. per la semplice associazione a delinquere (reclusione da 3 a 7 anni per i promotori e reclusione da 1 a 5 anni per i partecipanti) all'associazione finalizzata a commettere un fatto di lieve entità.

Infine, analogamente a quanto fatto per l'attenuante prevista all'art. 73 e al nuovo art. 73-bis del TU, il provvedimento specifica che la collaborazione può concretizzarsi anche in condotte di ausilio alla identificazione o alla cattura dei concorrenti o degli associati. Viene a tal fine integrato il comma 7 dell'art. 74 TU.

 

L'Illeciti amministrativi (art. 75 TU)articolo 5 del testo unificato interviene sull'art. 75 del DPR n. 309 del 1990, che prevede l'applicazione di sanzioni amministrative quando i fatti illeciti di importazione, esportazione, acquisto, coltivazione, ricezione o detenzione di stupefacenti siano volti a farne uso personale.

Si ricorda che Normativa vigente l'art. 75 del TU prevede, nei casi di uso personale di stupefacenti, l'applicazione di alcune sanzioni amministrative.
In particolare, la disposizione (comma 1) individua una serie di sanzioni amministrative (sospensione della patente, del porto d'armi, del passaporto e del permesso di soggiorno) da applicare a coloro che, per farne uso personale, illecitamente importano, esportano, acquistano, ricevono a qualsiasi titolo o comunque detengono sostanze stupefacenti o psicotrope. Tali sanzioni amministrative hanno una durata da 2 mesi a un anno, se l'uso personale attiene a droghe c.d. pesanti (tabelle I e III del TU) e da 1 a 3 mesi se si tratta di droghe c.d. leggere (tabelle II e IV del TU).
Ai fini dell'accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente o psicotropa o del medicinale, il comma 1-bis prevede che si debba tenere conto:
- della quantità di sostanza stupefacente o psicotropa, che non deve essere superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministro della salute;
- della modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti o psicotrope, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato ovvero ad altre circostanze dell'azione;
- con riferimento ai medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope, del rispetto del prescritto quantitativo di medicinale.
L'accertamento dell'illecito amministrativo comporta inoltre per l'interessato l'invito a seguire un programma terapeutico e socio-riabilitativo (comma 2) che, in caso di esito positivo, può consentire la revoca delle sanzioni (comma 11).
La disposizione disciplina il procedimento amministrativo di accertamento e irrogazione delle sanzioni amministrative, prevedendo la possibilità per il prefetto, se l'illecito è particolarmente tenue, se è la prima volta che viene commesso e se ricorrono elementi tali da far presumere che la persona si asterrà, per il futuro, dal commetterlo nuovamente, di definire il procedimento con il formale invito a non fare più uso delle sostanze stupefacenti, senza applicare la sanzione (comma 14).

Con la modifica introdotta all'art. 26, comma 1-bis, del TU stupefacenti, la proposta di legge stabilisce che la coltivazione e la detenzione da parte di un maggiorenne di non oltre 4 piante femmine di cannabis per uso personale, non rappresenta più un illecito, neanche di tipo amministrativo. Il consumo della cannabis derivante da tale coltivazione non comporta dunque l'applicazione delle sanzioni amministrative previste dall'art. 75 del TU stupefacenti.

Tali sanzioni amministrative continueranno invece a trovare applicazione per le ulteriori e diverse ipotesi di uso personale di cannabis, per le quali la proposta di legge individua specifiche circostanze da considerare al fine di distinguere i casi penalmente rilevanti da quelli rilevanti solo dal punto di vista amministrativo. A tal fine, il provvedimento interviene sul comma 1-bis dell'art. 75, che individua le circostanze delle quali tenere conto ai fini dell'accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente, inserendovi criteri specifici da applicare alla cannabis. In particolare, l'uso potrà essere considerato personale quando le inflorescenze e le resine detenute siano il prodotto di una coltivazione domestica di cannabis che presenti le seguenti caratteristiche:

  • minima dimensione;
  • rudimentalità delle tecniche utilizzate;
  • scarso numero di piante, anche se superiore al limite di 4 previsto dall'art. 26, comma 1-bis, TU;
  • assenza di indici di inserimento nel mercato degli stupefacenti.

Sul punto il legislatore pare codificare quanto elaborato dalla giurisprudenza di legittimità. Si ricorda, infatti, che le Sezioni Unite della Cassazione penale, con la sentenza n. 12348 del 2019, hanno affermato che «devono ritenersi escluse dal campo d'applicazione del reato di coltivazione di stupefacenti, in quanto non riconducibili all'ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numera di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell'ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore» (in senso conforme v. Cass. pen. Sez. VI, sent. n. 2388 del 2021).

L'articolo 6 interviene sull'art. 77 del TU stupefacenti, che configura come illecito amministrativo l'abbandono, in un luogo pubblico o aperto al pubblico ovvero in un luogo privato di comune o altrui uso, di siringhe o di altri strumenti pericolosi utilizzati per l'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, tale da mettere a rischio l'incolumità altrui.

Il provvedimento all'esame della Commissione raddoppia la sanzione amministrativa pecuniaria, attualmente del pagamento di una somma da 51 a 516 euro, quando i fatti siano commessi all'interno o in prossimità di scuole di ogni ordine o grado, comunità giovanili, caserme, carceri, ospedali, strutture per la cura e la riabilitazione dei tossicodipendenti (luoghi di cui all'art. 80, comma 1, lett. g) del TU stupefacenti).

L'Giornata nazionale sui danni derivanti dalle dipendenzearticolo 7 interviene sull'art. 104 del TU stupefacenti relativo alla promozione e al coordinamento, a livello nazionale, delle attività di educazione ed informazione. Inserendo il comma 2-bis, il provvedimento demanda al Ministero dell'Istruzione la promozione, all'inizio di ogni anno scolastico, nelle scuole di primo e secondo grado, di una giornata nazionale sui danni derivanti da alcolismo, tabagismo e uso delle sostanze stupefacenti e psicotrope.

L'articolo 8 interviene sull'art. 114 del TU stupefacenti, relativo agli obiettivi di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti posti a carico dei comuni, per specificare che gli enti locali dovranno predisporre anche interventi di inserimento socio-lavorativo e occupazionale.


Relazioni allegate o richieste

Le proposte di legge, di iniziativa parlamentare, sono corredate dalla relazione illustrativa.


Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il testo unificato approvato dalla Commissione giustizia appare riconducibile alla materia "ordinamento civile e penale", di esclusiva competenza legislativa statale in base all'art. 117, secondo comma, lettera l) della Costituzione.


Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Sulla coltivazione di cannabis si ricorda come già la sentenza n. 360/1995 della Corte Costituzionale abbia dichiarato la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 73 e 75 del TU stupefacenti nella parte in cui prevedono l'illiceità penale della coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti anche per uso personale degli agenti.

Nella  sentenza citata,  la Corte ha evidenziato l' insussistenza della denunciata disparità di trattamento della condotta di coltivazione, prevista e punita soltanto penalmente dall'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, rispetto a quello previsto per le condotte di detenzione, acquisto e importazione di sostanze stupefacenti, sanzionate invece in via amministrativa quando finalizzate al consumo personale. Queste ultime, infatti, sono condotte collegate immediatamente e direttamente all'uso della sostanza stupefacente. Al contrario, nel caso della coltivazione tale nesso di immediatezza manca e, pertanto,  non è irragionevole che il legislatore sanzioni penalmente anche l'approvvigionamento di sostanze stupefacenti per uso personale. Spetta poi al giudice di merito la verifica dell'offensività in concreto, al limite ricorrendo  alla figura del reato impossibile ex art. 49 c.p.  qualora ne riscontri del tutto l'assenza.

Alle medesime conclusioni la Corte costituzionale è giunta anche in tempi più recenti, con la sentenza n. 109 del 2016 che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 75 del TU stupefacenti, con riguardo alla parte in cui non include tra le condotte punibili con sole sanzioni amministrative, ove finalizzate in via esclusiva all'uso personale della sostanza stupefacente, anche la coltivazione di piante di cannabis

La Corte costituzionale non ha infatti accolto l'avviso della Corte rimettente, secondo cui risulterebbe in tal modo violato il principio di eguaglianza (art. 3 della Costituzione), sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento fra chi detiene per uso personale sostanza stupefacente ricavata da piante da lui stesso precedentemente coltivate – assoggettabile soltanto a sanzioni amministrative, in forza della disposizione denunciata – e chi è sorpreso mentre ha in corso l'attività di coltivazione, finalizzata sempre al consumo personale: condotta che assume, invece, rilevanza penale. Secondo la Corte, infatti, il detentore a fini di consumo personale dello stupefacente "raccolto" e il coltivatore "in atto" rispondono entrambi penalmente. Né, secondo la Corte costituzionale, la norma censurata violerebbe il principio di necessaria offensività del reato, desumibile dalla disposizione combinata degli artt. 13, secondo comma, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost. (secondo la Corte rimettente, in quanto non diretta ad alimentare il mercato della droga, la coltivazione di piante di cannabis per uso personale risulterebbe, infatti, inidonea a ledere i beni giuridici protetti dalla norma incriminatrice). 

 L'esistenza di contrasti interpretativi nella giurisprudenza di legittimità in relazione alla nozione giuridica di coltivazione di piante da cui siano ricavabili sostanze stupefacenti, ha  condotto alla rimessione della questione alle Sezioni unite della Cassazione. In particolare, non essendovi dubbi circa la legittimità della disposizione che sanziona penalmente la condotta di coltivazione sul piano dell'offensività in astrattonegli ultimi anni la giurisprudenza di legittimità si è però divisa sul concetto di offensività in concreto.

Secondo  un primo orientamento, sarebbe irrilevante la verifica dell'efficacia drogante delle sostanze ricavabili dalle colture al momento dell'accertamento della polizia giudiziaria;  rileverebbe invece  il giudizio predittivo sull'attitudine della pianta (conforme al tipo botanico vietato)  di giungere a maturazione  e produrre sostanze a effetto stupefacente, anche in relazione all'esito del suo fisiologico sviluppo e alle modalità di coltivazione.
 Secondo  un opposto orientamento, non sarebbe sufficiente la verifica della conformità della pianta coltivata al tipo botanico proibito e della capacità della sostanza, ricavata o ricavabile, a produrre un effetto drogante, ma  sarebbe necessaria la sussistenza di un ulteriore elemento: il pericolo concreto di aumento della disponibilità di stupefacente e di diffusione dello stesso. Nel solco di tale orientamento  si è quindi giunti a escludere l'offensività in concreto per la modesta entità della coltivazione e del principio attivo ricavato (ad esempio nel caso di un'unica pianta in vaso, contenente una piccola quantità di principio attivo, Cass. n. 25674/2011). E, facendo perno sulla distinzione tra tipicità e offensività già sottolineata dalla sentenza n. 109/2016 della Corte costituzionale,  si è affermata l'assenza di tipicità della condotta nei casi di mancanza di un qualunque effetto stupefacente nella sostanza prodotta o coltivata (Cass. n. 36037/2017).

A composizione del contrasto di giurisprudenza, la già citata sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite penali, n. 12348 del 2020, ha affermato che dall'area dell'illecito penale del comma 1 dell'art. 73  TU stupefacenti devono ritenersi escluse – per difetto di tipicità, quale necessaria connotazione della fattispecie penale – le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell'ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore.

Ferma restando la distinzione tra la nozione di coltivazione e quella di detenzione, il Collegio ritiene che debba procedersi a  un'interpretazione restrittiva della fattispecie penale che escluda dall'area penalmente rilevante la coltivazione di minime dimensioni finalizzata esclusivamente al consumo personale. Le Sezioni unite non si limitano a stabilire che la  coltivazione domestica non rientra nel tipo di coltivazione previsto dall'art. 73 d.P.R. 309/1990, ma  indicano anche il criterio utile a distinguere la coltivazione domestica da quella invece penalmente rilevante. Secondo il Collegio, il principale criterio a cui il giudice deve fare riferimento per valutare se la condotta di coltivazione integri il reato  ex art. 73 t.u. stup. è quello della  prevedibilità della potenziale produttività  di sostanza stupefacentecriterio che deve però «essere ancorato a presupposti oggettivi  […]  che devono essere tutti compresenti, quali: la minima dimensione della coltivazione, il suo svolgimento in forma domestica e non in forma industriale, la rudimentalità delle tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, la mancanza di indici di un inserimento dell'attività nell'ambito del mercato degli stupefacenti, l'oggettiva destinazione di quanto prodotto all'uso personale esclusivo del coltivatore.  A contrario , la circostanza che la coltivazione sia intrapresa con l'intenzione soggettiva di soddisfare esigenze di consumo personale deve essere ritenuta da sola insufficiente ad escluderne la rispondenza al tipo penalmente sanzionato, perché […]  la stessa deve concretamente manifestare un nesso di immediatezza oggettiva con l'uso personale»
La Corte sottolinea inoltre come la  soluzione a cui perviene si ponga  in conformità con l'ordinamento sovranazionale, e in particolare con  la decisione quadro del Consiglio dell'Unione europea n. 2004/757/GAI che fissa le norme minime relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni applicabili in materia di traffico illecito di stupefacenti. Tale decisione quadro, infatti, impone agli Stati membri di configurare come reato anche la coltivazione della  cannabis, ma esclude dal proprio campo applicativo le condotte (coltivazione compresa) finalizzate al consumo personale dello stupefacente. Decisione, quella della rilevanza penale della condotta di coltivazione finalizzata a uso personale, che il Consiglio dell'Unione europea rimette alla legislazione degli Stati membri senza esprimere alcun orientamento.
In particolare, le Sezioni unite sottolineano che :«a) devono considerarsi lecite la coltivazione domestica, a fine di autoconsumo – alle condizioni sopra elencate – per mancanza di tipicità, nonché la coltivazione industriale che, all'esito del completo processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente, per mancanza di offensività in concreto; b) la detenzione di sostanza stupefacente esclusivamente destinata al consumo personale, anche se ottenuta attraverso una coltivazione domestica penalmente lecita, rimane soggetta al regime sanzionatorio amministrativo dell'art. 75 del d.P.R. n. 309 del 1990; c) alla coltivazione penalmente illecita restano comunque applicabili l'art. 131-bis cod. pen., qualora sussistano i presupposti per ritenere la particolare tenuità, nonché, in via gradata, l'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, qualora sussistano i presupposti per ritenere la minore gravità del fatto»

Infine si segnala che la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum popolare in tema di coltivazione di stupefacenti (sentenza n. 51 del 2022). 

Il quesito referendario era articolato in tre parti, riguardanti la depenalizzazione della coltivazione della cannabis, l'eliminazione della sanzione della reclusione da due a sei anni per tutti i reati concernenti le droghe leggere e l'esclusione della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida in caso di uso personale di stupefacenti, sia di tipo pesante sia di tipo leggero.
La Corte ha rilevato che l'eliminazione della parola "coltiva" dal primo comma dell'articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti – oggetto della prima parte del quesito referendario – farebbe venir meno la rilevanza penale anche della coltivazione delle piante da cui si estraggono le droghe pesanti (papavero sonnifero e foglie di coca), e ciò sebbene la richiesta referendaria, secondo le intenzioni dei promotori dichiarate in giudizio, mirasse a depenalizzare le sole condotte di coltivazione "domestica" e "rudimentale" delle piante di cannabis.
La Corte ha ritenuto che la lettura riduttiva prospettata dai promotori non è in alcun modo ricavabile dal testo normativo. Attraverso il richiamo testuale alla Tabella I, la "coltivazione" di cui si parla al comma 1 dell'articolo 73 non può che riferirsi alle droghe pesanti, e non già solo alla cannabis che, invece, è compresa nella Tabella II, richiamata dall'articolo 73, comma 4, del medesimo Testo unico.
La richiesta referendaria – secondo il suo contenuto oggettivo, unico rilevante – avrebbe condotto quindi alla depenalizzazione della coltivazione di tutte le piante da cui si estraggono sostanze stupefacenti, pesanti e leggere, con ciò ponendosi in contrasto con gli obblighi internazionali derivanti dalle Convenzioni di Vienna e di New York e con la Decisione Quadro 2004/757/GAI.
Inoltre, la Corte ha osservato che il risultato perseguito dalla richiesta referendaria neppure sarebbe stato raggiunto, in quanto sarebbero rimaste nell'ordinamento altre norme, non toccate dalla richiesta referendaria, che sanzionano la coltivazione della pianta di cannabis nonché di ogni altra pianta da cui possono estrarsi sostanze stupefacenti (articoli 26 e 28 del Testo unico sugli stupefacenti). Ciò rendeva, in questa parte, il quesito "fuorviante" per l'elettore.
Con riferimento alla seconda parte del quesito, la Corte ha evidenziato un profilo di manifesta contraddittorietà, perché l'abrogazione della pena detentiva per le condotte aventi ad oggetto le sole droghe leggere avrebbe determinato una stridente antinomia con il trattamento sanzionatorio di analoghi fatti, ma di «lieve entità». Per questi ultimi, infatti, sarebbe rimasta comunque in vigore la pena congiunta della reclusione e della multa; ciò avrebbe finito per porre l'elettore di fronte a una scelta illogica e contraddittoria».