Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Istituzioni
Titolo: Accesso ai benefici penitenziari per i condannati per reati c.d. ostativi
Riferimenti: AC N.1951/XVIII AC N.3106/XVIII AC N.3184/XVIII AC N.3385/XVIII
Serie: Documentazione per l'attività consultiva della I Commissione   Numero: 162
Data: 23/02/2022
Organi della Camera: I Affari costituzionali


+ maggiori informazioni sul dossier
+ maggiori informazioni sugli atti di riferimento

Accesso ai benefici penitenziari per i condannati per reati c.d. ostativi

23 febbraio 2022
Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale


Indice

La normativa vigente: art. 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario|Contenuto|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Rispetto degli altri princìpi costituzionali|


Il testo unificato all'esame della Commissione affronta il tema dell'accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale da parte di detenuti condannati per specifici reati, particolarmente gravi, e attualmente ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici stessi, in assenza di collaborazione con la giustizia (si tratta dei c.d. reati ostativi, di cui all'art. 4-bis della legge n. 354 del 1975, legge sull'ordinamento penitenziario, OP).

Il provvedimento, superando l'attuale preclusione (art. 1):

Diverse modifiche sono apportate altresì alla disciplina vigente in materia di liberazione condizionale per i condannati all'ergastolo per i c.d. reati ostativi, non collaboranti con la giustizia. In particolare , si prevede che questi condannati possano accedere all'istituto solo dopo aver scontato 30 anni di pena e nel rispetto dei requisiti e del procedimento delineato per l'accesso ai benefici penitenziari (art. 2).

Infine, il provvedimento prevede la possibilità per la guardia di finanza di compiere accertamenti sui detenuti ai quali si applica il regime carcerario previsto dall'art. 41-bis della legge n. 354 del 1975 (art. 3).

Si ricorda che sul tema è pendente un giudizio di legittimità costituzionale: con l'ordinanza n. 97 del 2021, infatti, la Corte costituzionale ha sottolineato l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione l'unica possibile strada, a disposizione del condannato all'ergastolo per un reato ostativo, per accedere alla liberazione condizionale, demandando però al legislatore il compito di operare scelte di politica criminale tali da contemperare le esigenze di prevenzione generale e sicurezza collettiva con il rispetto del principio di rieducazione della pena affermato dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione. La Corte ha conseguentemente rinviato al 10 maggio 2022 la nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, contestualmente indirizzando al legislatore un monito a provvedere.

La normativa vigente: art. 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario

L'articolo 4-bis è stato introdotto nell'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) dal decreto-legge n. 152 del 1991, e immediatamente modificato - dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio - dal decreto-legge n. 306 del 1992. La disposizione ha subito nel tempo ricorrenti modifiche, ed è stata oggetto di numerose sentenze di illegittimità costituzionale (v. infra). La peculiare ratio di tale disciplina è quella di differenziare il trattamento penitenziario dei condannati per reati di criminalità organizzata o altri gravi delitti, dal trattamento dei condannati "comuni", subordinando l'accesso alle misure premiali e alternative previste dall'ordinamento penitenziario a determinate condizioni.

In particolare, il I delitti per cui opera la presunzione di pericolosità sociale (c.d. ostativi all'accesso ai benefici)comma 1 dell'art. 4 bis OP elenca una serie di delitti che precludono al condannato l'accesso al lavoro all'esterno, ai permessi premio (v. infra paragrafo sulla giurisprudenza della Corte costituzionale) e alle misure alternative alla detenzione previste dal capo VI dell'ordinamento penitenziario, esclusa la liberazione anticipata. Per gli stessi delitti, inoltre, in base all'art. 2 del citato decreto-legge n. 152 del 1991, il condannato non può accedere all'istituto della liberazione condizionale. L'art. 4-bis, comma 1, è una «disposizione speciale, di carattere restrittivo, in tema di concessione dei benefici penitenziari a determinate categorie di detenuti o internati, che si presumono socialmente pericolosi unicamente in ragione del titolo di reato per il quale la detenzione o l'internamento sono stati disposti» (Corte cost., sentenza n. 239 del 2014).

I c.d. delitti ostativi, elencati dall'articolo 4-bis, comma 1, sono i seguenti:
- delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;
- associazione di tipo mafioso ex art. 416-bis e 416-ter c.p. e delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività di tali associazioni;
- riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600, c.p.);
- induzione o sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600-bis, comma 1, c.p.);
- produzione e commercio di materiale pornografico minorile (art. 600-ter, commi 1 e 2, c.p.);
- tratta di persone (art. 601, c.p.);
- acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.);
- violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies, c.p.);
- sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.);
- delitti relativi all'immigrazione clandestina (art. 12 t.u. immigrazione);
- associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater, T.U. dogane);
- associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74, T.U. stupefacenti);
- taluni delitti contro la pubblica amministrazione (inseriti nel catalogo dalla legge n. 3 del 2019): peculato (art. 314 c.p.); concussione (art. 317 c.p.); corruzione per l'esercizio della funzione (art. 318 c.p.); corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (art. 319 c.p.); corruzione in atti giudiziari (art. 319-ter c.p.); induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.); corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (art. 320 c.p.); istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.); delitti di cui all'art. 322-bis c.p. per le ipotesi di reato di cui sopra ivi richiamate (il richiamo all'art. 322-bis c.p. va riferito ai delitti di concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri delle Corti internazionali o degli organi delle Comunità europee o di assemblee parlamentari internazionali o di organizzazioni internazionali e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri).

In base al comma 1, la preclusione all'accesso ai benefici è superabile attraverso la La collaborazione con la giustiziacollaborazione con la giustizia. In assenza di collaborazione con la giustizia vige infatti la presunzione assoluta di attualità dei collegamenti con la criminalità e, conseguentemente, l'immanenza della pericolosità sociale, senza che la magistratura di sorveglianza possa valutare il percorso rieducativo intrapreso dal condannato durante l'esecuzione della pena.

Il comma 1-bis dell'art. 4-bis, per gli stessi reati sopra elencati, prevede il superamento del divieto di ammissione ai benefici - purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva - altresì nelle due ipotesi di c.d. collaborazione impossibile o irrilevante e cioè nei casi:

  • di impossibilità di un'utile collaborazione con la giustizia determinata dalla limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero dall'integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con sentenza irrevocabile;
  • in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti sia stata applicata la circostanza attenuante dell'avvenuto risarcimento del danno (art. 62, numero 6, c.p.), oppure quella della minima partecipazione al fatto (art.114 c.p.) ovvero se il reato è più grave di quello voluto (art. 116, secondo comma, c.p.)

Con riguardo al Il procedimento per la concessione dei beneficiprocedimento per la concessione dei benefici, i commi 2 e 3 dell'art. 4-bis prevedono che il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza:

  • debbano acquisire dettagliate informazioni tramite il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato;
  • decidano trascorsi 30 giorni dalla richiesta delle informazioni; tale termine è prorogato di ulteriori 30 giorni al fine di acquisire elementi ed informazioni da parte dei competenti organi centrali, quando il suddetto comitato comunica al giudice di ritenere che sussistano particolari esigenze di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali.

Inoltre, il comma 3-bis prevede che i benefici penitenziari non possono essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo o il Procuratore distrettuale comunichi, d'iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata. In tal caso non si applicano le procedure ordinarie (di cui ai sopra descritti commi 2 e 3).

Il Gli altri delitti (non ostativi)comma 1-ter dell'art. 4-bis OP contiene un elenco di delitti in relazione ai quali i benefici e le misure alternative possono essere concessi, salvo siano acquisiti elementi che indichino la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. In questi casi la preclusione dell'accesso ai benefici non si fonda su di un automatismo, ma sul vaglio della magistratura. Per i delitti indicati dal comma 1-ter, infatti, ai fini della concessione dei benefici penitenziari, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decidono dopo aver acquisito dettagliate informazioni dal questore. In ogni caso il giudice decide trascorsi 30 giorni dalla richiesta delle informazioni (comma 2-bis dell'art. 4-bis).

Il comma 1-quater riguarda i casi in cui i benefici penitenziari possono essere concessi solo sulla base dei risultati dell'osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica. La disposizione si applica, ad esempio, ai condannati per reati sessuali in danno di minori.


Contenuto

Il Tu si compone di 4 articoli.

L'articolo 1 interviene sull'ordinamento penitenziario, di cui alla legge n. 354 del 1975. In particolare, il comma 1, lettera a) novella l'art. 4-bis.

Accesso ai benefici per i condannati per i c.d. delitti ostativi, in caso di esecuzione di pene concorrenti In primo luogo (n. 1) la riforma incide sul comma 1 dell'articolo 4-bis, il quale, come già detto (v. quadro normativo) elenca una serie di delitti indicati come ostativi: l'espiazione di una condanna relativa a tali delitti, infatti, non consente la concessione delle misure dell'assegnazione al lavoro all'esterno, e delle misure alternative alla detenzione, nonché alla liberazione condizionale (in forza del rinvio operato dall'art. 2, DL n. 152/1991). Tale condizione giuridica è attualmente superabile soltanto in presenza di collaborazione con la giustizia (ai sensi dell'art. 58-ter OP).

La novella precisa che il regime differenziato per l'accesso ai benefici penitenziari per i condannati per i c.d. delitti ostativi, in caso di esecuzione di pene concorrenti, si applica anche quando i condannati abbiano già espiato la parte di pena relativa ai predetti delitti, ma sia stata accertata dal giudice della cognizione l'aggravante della connessione teleologica (di cui all'articolo 61, numero 2), c.p.) tra i reati la cui pena è in esecuzione.

L'art. 61 c.p. n.2. inserisce tra le circostanze aggravanti comuni l'aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l'impunità di un altro reato
Si ricorda che, in base a quanto previsto dall'art. 663 c.p.p., quando la stessa persona è stata condannata con più sentenze o decreti penali per reati diversi, il pubblico ministero determina la pena da eseguirsi, in osservanza delle norme sul concorso di pene. Con riguardo al c.d. cumulo delle pene (materiale o giuridico), il 1º comma dell'art. 73 c.p. disciplina l'ipotesi del concorso di più reati che importano pene detentive temporanee della stessa specie (reclusione con reclusione e arresto con arresto), prevedendo l'applicazione di un'unica pena che sia il risultato della somma delle singole pene (cumulo materiale delle pene). L'art. 78 c.p. invece codifica il sistema del cumulo materiale temperato (o cumulo giuridico). La disposizione stabilisce che nel caso di concorso di reati di cui all'art. 73 c.p. non debbano essere superate determinate soglie per gli aumenti delle pene principali. In particolare, l'art. 78, 1° co. fa riferimento a due tipologie di limiti da applicarsi ai casi di concorso di reati di cui all'art. 73: il primo segue il criterio proporzionale del quintuplo e pertanto il giudice non potrà applicare una pena superiore a cinque volte la pena più grave fra quelle concorrenti; il secondo segue un criterio rigido, stabilendo alcuni limiti temporali massimi insuperabili dalla somma algebrica dei singoli fattori di pena. 
La giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che, in presenza di un provvedimento di unificazione di pene concorrenti ex art. 663 c.p.p., è legittimo lo scioglimento del "cumulo" nel corso dell'esecuzione, quando occorre procedere al giudizio sull'ammissibilità della domanda di concessione di un beneficio penitenziario la quale trovi ostacolo nella presenza di uno o più titoli di reato inclusi nel novero di quelli elencati nell'art. 4-bis O. P., comma 1, sempre che il condannato abbia espiato la parte di pena ad essa relativi (Sez. U, n. 14 del 30/06/1999,. 214355-01; Sez. 1, n. 2285 del 03/12/2013, 258403; Sez. 1, n. 5158 del 17/01/2012, n.251860; Sez. 1, n. 1405 del 14/12/2010, n. 249425); Cass. pen. Sez. I Sent., 11/12/2020, n. 13041).
Già la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 361 del 1994, aveva affermato che la disciplina contenuta nell'art. 4-bis OP, non delinea uno status di detenuto pericoloso e ha precisato che detta norma "va interpretata - in conformità del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., nel senso che possono essere concesse misure alternative alla detenzione ai condannati per i reati gravi, indicati dalla giurisprudenza, quando essi abbiano espiato per intero la pena per i reati stessi e stiano espiando pene per reati meno gravi non ostativi alla concessione delle misure alternative alla detenzione". Ha, pertanto, concluso per la non conformità alla Costituzione di una diversa interpretazione che porti all'esclusione della concessione di misure alternative ai condannati per un reato grave, ostativo all'applicazione delle dette misure, anche quando essi, avendo espiato per intero la pena per il reato grave, stiano eseguendo la pena per reati meno gravi, non ostativi al predetto riconoscimento.

La lettera a), n. 2) modifica invece  il comma 1-bis dell'articolo 4-bis O.P., che attualmente - per i c.d. reati ostativi - consente la concessione di benefici e misure nelle ipotesi in cui sia accertata l'inesigibilità (a causa della limitata partecipazione del condannato al fatto criminoso) o l'impossibilità (per l'accertamento integrale dei fatti) della collaborazione: in questi casi, non sussistendo margini per un'utile cooperazione con la giustizia, viene meno la preclusione assoluta stabilita dal comma 1, purché siano acquisiti elementi tali da escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.

In merito, recentemente, la Corte costituzionale ( sentenza n. 20 del 2022) ha affermato che non è irragionevole l'esistenza di un doppio regime probatorio che differenzi le posizioni delle due figure di detenuti non collaboranti disciplinate attualmente dai commi 1 e 1-bis dell'art. 4-bis OP: per coloro che si siano trovati nell'accertata impossibilità di collaborare – o per i quali la collaborazione risulti, comunque, inesigibile – è sufficiente acquisire elementi che escludano l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata; per coloro i quali abbiano scelto di non prestare una collaborazione ancora possibile ed esigibile è invece necessaria, sempre al fine di superare il meccanismo ostativo, l'acquisizione di ulteriori elementi, oggetto di onere di specifica allegazione e tali da escludere anche il pericolo di ripristino dei suddetti collegamenti.



La nuova disciplina dell'accesso ai benefici per i detenuti non collaborantiLa novella riscrive integralmente il comma 1-bis, sostituendo le ipotesi della collaborazione impossibile o irrilevante con una più generale disciplina dell'accesso ai benefici per i detenuti ed internati non collaboranti, volta a superare la presunzione legislativa assoluta che la commissione di determinati delitti dimostri l'appartenenza dell'autore alla criminalità organizzata, o il suo collegamento con la stessa e costituisca, quindi, un indice di pericolosità sociale incompatibile con l'ammissione ai benefici penitenziari extramurari.

In particolare, il superamento del divieto di ammissione ai benefici in assenza di collaborazione potrà avvenire - anche in caso di collaborazione impossibile e inesigibile -  in presenza delle concomitanti condizioni:

  • dimostrazione da parte degli istanti di aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento;
  • allegazione da parte degli istanti di elementi specifici che consentano di escludere:
    - l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso;
    - il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi.

La nuova formulazione del comma 1- bis richiama un passaggio della sentenza n. 253 del 2019 della Corte costituzionale ( v. infra) che, in relazione ai permessi-premio, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4-bis co. 1 OP nella parte in cui non prevede che possano essere concessi tali permessi anche in assenza di collaborazione con la giustizia «allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti». La Corte sottolinea, al riguardo la necessità che il "regime probatorio rafforzato", si estenda all'acquisizione di elementi che escludono non solo la permanenza di collegamenti con la criminalità organizzata "ma altresì il pericolo di un loro ripristino, tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali". A giudizio della Corte si tratta "di aspetto logicamente collegato al precedente, del quale condivide il carattere necessario alla luce della Costituzione, al fine di evitare che il già richiamato interesse alla prevenzione della commissione di nuovi reati, tutelato dallo stesso art. 4-bis OP, finisca per essere vanificato".
Nella citata sentenza n. 253 del 2019, la Corte sottolinea come gravi sullo stesso condannato che richiede il beneficio "l'onere di fare specifica allegazione di entrambi gli elementi – esclusione sia dell'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata che del pericolo di un loro ripristino". Si ricorda al riguardo che la giurisprudenza di legittimità ha recentemente specificato (Cass. pen. Sez. I Sent., 14/07/2021, n. 33743), in tema di concessione del permesso premio a soggetto condannato per delitti ostativi, che è illegittima l'ordinanza del giudice di sorveglianza che dichiari l'inammissibilità dell'istanza per omessa specifica allegazione di elementi di prova idonei a dimostrare la sussistenza dei requisiti sulla base dei quali, dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 253 del 2019, può essere concesso il beneficio (vale a dire l'assenza di collegamenti con la criminalità organizzata e del pericolo del loro ripristino), essendo a tal fine sufficiente l'allegazione di elementi fattuali (quali, ad esempio, l'assenza di procedimenti posteriori alla carcerazione, il mancato sequestro di missive o la partecipazione fattiva all'opera rieducativa) che, anche solo in chiave logica, siano idonei a contrastare la presunzione di perdurante pericolosità prevista dalla legge per negare lo stesso, potendo, eventualmente, il giudice completare l'istruttoria anche d'ufficio. In particolare la Corte di cassazione precisa che "Allegazione specifica, in particolare, significa che gli elementi di fatto prospettati nella domanda devono avere una efficacia "indicativa" anche in chiave logica, di quanto occorre a rapportarsi al tema di prova".

La riforma specifica inoltre che gli elementi che l'istante dovrà allegare per ottenere l'accesso ai benefici dovranno essere diversi e ulteriori rispetto:

  • alla regolare condotta carceraria;
  • alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo;
  • alla mera dichiarazione di dissociazione dall'organizzazione criminale di eventuale appartenenza.

Il giudice di sorveglianza dovrà, al riguardo:

  • tenere conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile;
  • accertare la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa.

Al riguardo si rileva che, nella citata ordinanza n. 97 del 2021, la Corte costituzionale ha sottolineato che "la presunzione di pericolosità sociale del condannato all'ergastolo che non collabora, per quanto non più assoluta, può risultare superabile non certo in virtù della sola regolare condotta carceraria o della mera partecipazione al percorso rieducativo, e nemmeno in ragione di una soltanto dichiarata dissociazione. A fortiori, per l'accesso alla liberazione condizionale di un ergastolano (non collaborante) per delitti collegati alla criminalità organizzata, e per la connessa valutazione del suo sicuro ravvedimento, sarà quindi necessaria l'acquisizione di altri, congrui e specifici elementi, tali da escludere, sia l'attualità di suoi collegamenti con la criminalità organizzata, sia il rischio del loro futuro ripristino". Per i contenuti dell'ordinanza n. 97 del 2021 in cui la Corte ha disposto il rinvio del giudizio e fissato una nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale in esame, dando al Parlamento un congruo tempo per affrontare la materia, si rinvia al paragrafo sulla giurisprudenza costituzionale (v. infra).

 

Il procedimento per la concessione dei beneficiLa lettera a), n. 3), interviene sul comma 2 dell'articolo 4-bis per introdurvi una nuova disciplina del procedimento per la concessione dei benefici penitenziari per i detenuti non collaboranti condannati per reati c.d. ostativi. In particolare, il giudice di sorveglianza, prima di decidere sull'istanza, ha l'obbligo:

  • di chiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i gravi delitti indicati dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo;
Come è noto, l'articolo 51 comma 3-bis, attribuisce alla procura distrettuale le indagini relative ai seguenti delitti, consumati o tentati: associazione a delinquere finalizzata a commettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600, 601, 601-bis e 602 c.p. (art. 416, sesto comma, c.p.); associazione a delinquere finalizzata a commettere taluno dei delitti di pedopornografia e di violenza sessuale in danno di minori (art. 416, settimo comma c.p.); associazione a delinquere finalizzata a commettere taluno dei delitti di cui all'articolo 12, commi 3 e 3-ter, TU immigrazione; - associazione a delinquere finalizzata a commettere un delitto di contraffazione (artt. 473 e 474 c.p.) - tratta di persone e riduzione in schiavitù (artt. 600, 601, 602 c.p.); associazione a delinquere di tipo mafioso, anche straniera (art. 416-bis), voto di scambio politico-mafioso (art. 416-ter c.p.) e delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni mafiose; attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.); sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione (art. 630 c.p.); - associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 TU stupefacenti); associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater, TU stupefacenti).
Ai sensi del comma 3-quater quando si tratta di procedimenti per i delitti consumati o tentati con finalità di terrorismo le funzioni indicate nel comma 1, lettera a), sono attribuite all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente.
Si ricorda che una disposizione analoga è contenuta nel d.l. n. 28 del 2020, che ha modificato gli artt. 30-bis e 47-ter OP, stabilendo che, prima della concessione di un permesso (art. 30) e della cosiddetta detenzione domiciliare "in surroga" (art. 47-ter, comma 1-ter), oppure della proroga di quest'ultima, l'autorità procedente debba acquisire alcuni pareri: in caso di richiesta proveniente da detenuti per delitti ex art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., il parere del procuratore distrettuale, da cumulare – in relazione a soggetti sottoposti al regime di cui all'art. 41-bis OP – a quello del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.
  • di acquisire informazioni dalla direzione dell'istituto dove l'istante è detenuto;
  • di disporre nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali.
 Si segnala che, nella citata sentenza n. 253 del 2019, la Corte costituzionale ha sottolineato come l'acquisizione di informazioni, a partire da quelle di natura economico-patrimoniale "non solo è criterio già rinvenibile nell'ordinamento (sentenze n. 40 del 2019 e n. 222 del 2018) – nel caso di specie, nella stessa disposizione di cui è questione di legittimità costituzionale (sentenza n. 236 del 2016) – ma è soprattutto criterio costituzionalmente necessario (sentenza n. 242 del 2019) per sostituire in parte qua la presunzione assoluta caducata, alla stregua dell'esigenza di prevenzione della «commissione di nuovi reati» (sentenze n. 211 del 2018 e n. 177 del 2009) sottesa ad ogni previsione di limiti all'ottenimento di benefici penitenziari (sentenza n. 174 del 2018)".

 

Con riguardo alla tempistica la riforma prevede che i pareri, con eventuali istanze istruttorie, e le informazioni e gli esiti degli accertamenti siano resi entro 30 giorni dalla richiesta, prorogabili di ulteriori 30 giorni in ragione della complessità degli accertamenti e che decorso tale termine, il giudice debba decidere anche in assenza dei pareri e delle informazioni richiesti.

 

La riforma prevede inoltre, nel caso in cui dall'istruttoria svolta emergano indizi dell'attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica e eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, l'onere per il condannato di fornire, entro un congruo termine, idonei elementi di prova contraria.

In relazione all'onere in capo al condannato di fornire elementi di prova, si ricorda che la Corte, nella più volte citata sentenza n. 253 del 2019, ha sottolineato che se le informazioni pervenute dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica depongono in senso negativo "incombe sullo stesso detenuto non il solo onere di allegazione degli elementi a favore, ma anche quello di fornire veri e propri elementi di prova a sostegno".

 

Nel provvedimento con cui decide sull'istanza di concessione dei benefici il giudice dovrà indicare specificamente le ragioni dell'accoglimento o del rigetto dell'istanza medesima, avuto altresì riguardo ai pareri acquisiti.

La lettera a) n. 4) apporta una modifica di carattere lessicale al comma 2-bis dell'articolo 4-bis, il quale specifica che, in relazione alla concessione dei benefici penitenziari ai condannati per una serie di reati elencati al comma 1-ter del medesimo articolo (che non rientrano tra quelli c.d. ostativi) il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore. La novella sostituisce l'espressione "ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1-ter" con quella "nei casi di cui al comma 1-ter".
 

La lettera a) n. 5) inserisce, nell'articolo 4-bis, il nuovo comma 2-ter, volto a specificare che le funzioni di pubblico ministero per le udienze del tribunale di sorveglianza che abbiano ad oggetto la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per i gravi reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis e 3-quater, c.p.p (v. sopra) "possono essere svolte" dal pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado.

Si ricorda che l'art. 678 c.p.p. che disciplina il procedimento di sorveglianza, specifica al comma 3 che le funzioni di pubblico ministero sono esercitate, davanti al tribunale di sorveglianza, dal procuratore generale presso la corte di appello e, davanti al magistrato di sorveglianza, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale della sede dell'ufficio di sorveglianza.

 

La lettera a) n. 6)  è volta  - in conseguenza dell'introduzione della nuova disciplina sul procedimento per la concessione dei benefici -  ad abrogare il comma 3-bis dell'articolo 4-bis, concernente l'impossibilità di concedere benefici penitenziari ai condannati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo o il Procuratore distrettuale comunica l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.

 

Competenza del tribunale di sorveglianzaLa lettera b) e la lettera c) incidono, rispettivamente, sulla disciplina del lavoro all'esterno (art. 21 OP) e dei permessi premio (art. 30 OP) per attribuire alla competenza del tribunale di sorveglianza - in luogo dell'attuale competenza del magistrato di sorveglianza - l'autorizzazione ai predetti benefici quando si tratti di condannati per delitti:

  • commessi con finalità di terrorismo anche internazionale;
  • di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;
  • di associazione mafiosa cui all'art. 416-bis c.p. o commessi avvalendosi delle condizioni previste da tale articolo ovvero al fine di agevolare le associazioni mafiose.

Si tratta, dunque, di alcuni dei delitti compresi nel più ampio elenco di cui al più volte citato comma 1 dell'articolo 4-bis OP.
Si ricorda che la disciplina del lavoro all'esterno è contenuta nell'art. 21 della legge sull'ordinamento penitenziario la  quale specifica che i  detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all'esterno in condizioni idonee a garantire le finalità del trattamento rieducativo . Tuttavia, se si tratta di persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell' art. 4-bis , l'assegnazione al lavoro all'esterno può essere disposta dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena e, comunque, di non oltre cinque anni. Nei confronti dei condannati all'ergastolo l'assegnazione può avvenire dopo l'espiazione di almeno dieci anni.
Si ricorda inoltre che la disciplina dei permessi premio è contenuta nell'art. 30-ter OP che prevede che essi possano essere concessi dal magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell'istituto, ai condannati che hanno tenuto regolare condotta e che non risultano socialmente pericolose. La durata dei permessi premio non può essere superiore ogni volta a quindici giorni e non può superare complessivamente quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione. La concessione dei permessi nei confronti dei condannati alla reclusione per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell'art. 4-bis, è ammessa dopo l'espiazione di almeno metà della pena e, comunque, di non oltre dieci anni; nei confronti dei condannati all'ergastolo, dopo l'espiazione di almeno dieci anni.  Per ciascun condannato o internato il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno diviene esecutivo dopo l'approvazione del magistrato di sorveglianza.
Come più volte ricordato, con la sentenza n. 253 del 2019 la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. - l'art. 4-bis, comma 1, OP, nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti elencati nel comma 1 di tale articolo, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti.
Per ciò che riguarda la competenza a decidere sulla concessione dei benefici previsti dall'articolo 4-bis dell'O.P., va premesso che attualmente la ripartizione della competenza per materia tra tribunale di sorveglianza e magistrato di sorveglianza è disciplinata dagli articoli 69 e 70 dell'OP In estrema sintesi il magistrato di sorveglianza è, in linea di massima, competente sulla concessione dei permessi premio e sull'approvazione del provvedimento del direttore dell'istituto di assegnazione al lavoro esterno, con reclamo al tribunale di sorveglianza. Tutti gli altri benefici previsti dall'OP sono invece attribuiti al tribunale di sorveglianza.

La competenza del tribunale di sorveglianza, in sede di reclamo, opererà solo in relazione ai provvedimenti assunti dal magistrato di sorveglianza (lett. c), n. 2).

L'Liberazione condizionalearticolo 2 interviene sul decreto-legge n. 152 del 1991 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa) per modificarne l'articolo 2, in base al quale la disciplina restrittiva per l'accesso ai benefici penitenziari, prevista all'art. 4-bis OP, si estende anche al regime della liberazione condizionale.

Come è noto, in base a quanto previsto nell'art. 176 c.p., il condannato a pena detentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, può essere ammesso alla liberazione condizionale, se ha scontato almeno trenta mesi e comunque almeno metà della pena inflittagli, qualora il rimanente della pena non superi i cinque anni. Se si tratta di recidivo deve avere scontato almeno quattro anni di pena e non meno di tre quarti della pena inflittagli. L'art. 176 c.p. prevede che il condannato all'ergastolo possa essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno 26 anni di pena. In ogni caso la concessione della liberazione condizionale è subordinata all'adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell'impossibilità di adempierle. Disposizioni specifiche sono previste per la revoca della liberazione condizionale e sull'estinzione della pena dall'art. 177 c.p.
La disciplina restrittiva per l'accesso ai benefici penitenziari, prevista all'art. 4-bis OP, si estende, per effetto dell'art. 2 del d.l. n. 152 del 1991, anche al regime della liberazione condizionale. Infatti il comma 1 dell'articolo 2 afferma che i condannati per delitti indicati nel citato art. 4-bis possono essere ammessi alla liberazione condizionale solo se ricorrono i presupposti che lo stesso articolo prevede, a seconda delle fattispecie delittuose, per la concessione degli altri benefici penitenziari.  In virtù di tale complesso normativo, la richiesta di accedere alla liberazione condizionale, se presentata da condannati per i delitti compresi nel comma 1 dell'art. 4-bis, può essere valutata nel merito solo laddove essi abbiano collaborato con la giustizia, oppure nei casi di accertata impossibilità o inesigibilità della collaborazione medesima. Sul punto si è espressa la Corte costituzionale con l'ordinanza n. 97 del 2021 (si veda specifico paragrafo).

Rispetto al quadro normativo vigente, la proposta di legge, in primo luogo interviene sul comma 1 dell'articolo 2, per ribadire che l'accesso alla liberazione condizionale è subordinato al ricorrere delle condizioni previste dall'art. 4-bis OP (lettera a) e che si applicano le norme procedurali per la concessione dei benefici contenute in tale articolo. La modifica ha carattere di coordinamento: i presupposti e la procedura per l'applicazione dell'istituto della liberazione condizionale sono dunque quelli dettati dall'art. 4-bis, come modificato dall'art. 1 della proposta di legge.

Con la lettera b) sono invece apportate diverse modifiche alla disciplina vigente in materia di liberazione condizionale (comma 2 dell'articolo 2 del D.L. n. 152 del 1991) per i condannati all'ergastolo per i c.d. reati ostativi, non collaboranti, di cui al comma 1 dell'articolo 4-bis.

Per i predetti soggetti:

  • la richiesta della liberazione condizionale potrà essere presentata dopo che abbiano scontato 30 anni di pena (per i condannati all'ergastolo per un reato non ostativo, e per i collaboranti, rimane il requisito dei 26 anni);
  • occorrono 10 anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale per estinguere la pena dell'ergastolo e revocare le misure di sicurezza personali ordinate dal giudice  (per i condannati all'ergastolo per un reato non ostativo, e per i collaboranti, occorrono 5 anni).
Si ricorda che l'articolo 177 c.p., secondo comma, prevede, con riguardo alla liberazione condizionale, che la pena si estingue e sono revocate le misure di sicurezza personali, ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo, decorso tutto il tempo della pena inflitta, ovvero cinque anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale, in caso di condannato all'ergastolo, sempre che non sia intervenuta alcuna causa di revoca.
  • la libertà vigilata – sempre disposta per i condannati ammessi alla liberazione condizionale -  è accompagnata al divieto di incontrare o mantenere comunque contatti con:
    - i soggetti condannati per i gravi reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis  e 3-quater,c.p.p. (vedi sopra);
    -
    I soggetti sottoposti a misura di prevenzione di cui alle lettere a), b), d), e), f) e g) dell'articolo 4 del d.lgs. n. 159 del 2011 (c.d. Codice delle leggi antimafia);
    - i soggetti condannati per reati previsti dalle predette lettere.
L'articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (codice antimafia) individua i soggetti che possono essere destinatari delle misure di prevenzione personali disposte dall'autorità giudiziaria. Si tratta di un elenco di soggetti tra i quali gli indiziati di  appartenere alle associazioni mafiose di  cui all'articolo 416-bis c.p,  soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale.

L'Accertamenti patrimonialiarticolo 3 modifica l'art. 25 della legge n. 646 del 1982, al fine di introdurre la possibilità per la Guardia di finanza di procedere ad indagini fiscali nei confronti dei condannati ai quali sia stato applicato il regime carcerario previsto dall'art. 41-bis OP (n. 1).

 
Attualmente, in base al citato art. 25, comma 1, il nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza può procedere alla verifica della posizione fiscale, economica e patrimoniale delle persone nei cui confronti:
- sia stata emanata sentenza di condanna anche non definitiva per taluno dei reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p.;
- sia stata emanata sentenza di condanna, anche non definitiva, per il delitto di cui all'articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306;
- sia stata disposta, con provvedimento anche non definitivo, una misura di prevenzione.

 

Si ricorda che il regime carcerario previsto dall'art. 41-bis OP è applicato attraverso un decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell'interno (comma 2-bis), quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, nei confronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 4-bis (c.d. reati ostativi) o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva (comma 2). Il regime carcerario speciale comporta, per quattro anni (prorogabili per ulteriori bienni), la sospensione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dall'ordinamento penitenziario che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza.

Per consentire alla guardia di finanza di procedere con le verifiche, la disposizione in commento prevede che una copia del decreto del Ministro della Giustizia, che applica il c.d. 41-bis, sia trasmessa al nucleo di polizia economico-finanziaria competente per le verifiche (n. 2).

Infine, l'articolo 4 dispone l'entrata in vigore della legge il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

La riforma non prevede una disciplina transitoria.

In merito, si ricorda che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 32 del 2020 ha specificato  che «di regola, le pene detentive devono essere eseguite in base alla legge in vigore al momento della loro esecuzione, salvo però che tale legge comporti, rispetto al quadro normativo vigente al momento del fatto, una trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale. In questa ipotesi, infatti, l'applicazione retroattiva è incompatibile con l'art. 25, secondo comma, Cost., anche per l'intuitiva evidenza degli effetti distorsivi prodotti dal mutamento del quadro normativo sull'esecuzione della pena rispetto alle scelte difensive degli imputati, esposti a conseguenze sanzionatorie affatto impreviste e imprevedibili, i cui effetti sono però irrevocabili. Se l'art. 25, secondo comma, Cost. non si oppone a un'applicazione retroattiva delle modifiche derivanti dalla disposizione censurata alla disciplina dei meri benefici penitenziari, e in particolare dei permessi premio e del lavoro all'esterno, in quanto il rendere più gravose le condizioni al loro accesso non determina una trasformazione della natura della pena da eseguire, la conclusione opposta si impone, invece, in relazione agli effetti prodotti sul regime di accesso alle misure alternative alla detenzione, e in particolare all'affidamento in prova al servizio sociale, alla detenzione domiciliare nelle sue varie forme e alla semilibertà, poiché trattasi di misure di natura sostanziale che incidono sulla qualità e quantità della pena. La medesima conclusione si impone - in forza del rinvio "mobile" di cui all'art. 2 del d.l. n. 152 del 1991 - per la liberazione condizionale, istituto funzionalmente analogo alle misure alternative alla detenzione, anch'esso finalizzato al graduale reinserimento del condannato nella società». 

Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il provvedimento appare prevalentemente riconducibile alla materia di esclusiva competenza statale ordinamento penale (art. 117, secondo comma, lettera l).


Rispetto degli altri princìpi costituzionali

Nelle più recenti pronunce, la Corte costituzionale, nel ribadire il contrasto con il principio di uguaglianza delle presunzioni legislative assolute, laddove esse siano arbitrarie e irrazionali e non rispondenti ai dati di esperienza generalizzati riassunti nelle formula «id plerumque accidit» (sentenza n. 57 del 2013), ha conseguentemente affermato la necessità di attribuire al giudice il potere di valutare gli elementi del caso concreto per potere compiere una prognosi ragionevole circa l'idoneità di un determinato beneficio penitenziario a far proseguire il detenuto nel suo percorso di reinserimento (sentenze n. 466 del 1999, 355 del 2006 e 189 del 2010).

In particolare, nella sentenza n. 149 del 2018, la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 58-quater, comma 4, OP, che prevedeva che i condannati all'ergastolo per il delitto di sequestro di persona che abbiano cagionato la morte del sequestrato non possono essere ammessi ad alcun beneficio se non abbiano effettivamente scontato almeno ventisei anni di pena. In tale sentenza la Corte ha ritenuto contrarie ai principi costituzionali di proporzionalità e individualizzazione della pena quelle previsioni che, in ragione della particolare gravità di alcuni reati, con automatismo assoluto, impediscono alla magistratura di sorveglianza di procedere a qualsiasi valutazione dei risultati ottenuti nel corso del suo percorso intra-muros dal detenuto rispetto ai quali non sussistono gli indizi di perdurante pericolosità sociale, privilegiando l'aspetto retributivo o di prevenzione generale della pena a detrimento della sua finalità di risocializzazione.

Con particolare riguardo all'articolo 4-bis, comma 1, OP e alla preclusione assoluta di accesso al permesso premio (non degli altri benefici penitenziari indicati dalla stessa norma) da parte dei condannati – a pena perpetua oppure a pena temporanea – per i reati cosiddetti ostativi, con la sentenza n. 253 del 2019 la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale articolo «nella parte in cui non prevede che – ai detenuti per i delitti di cui all'articolo 416-bis c.p. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste – possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia…, allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti». La Corte ha, altresì, esteso in via consequenziale, la dichiarazione di incostituzionalità dell'articolo 4-bis, comma 1, dell'OP anche ai detenuti per tutti gli altri delitti elencati nella norma diversi da quelli di cui all'art. 416-bis c.p..

Con la medesima sentenza la Corte ha sottolineato anche come la presunzione dell'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata (e della mancata rescissione dei collegamenti stessi), così come prevista dall'art. 4-bis, sia assoluta: non può essere superata se non dalla collaborazione stessa ed è proprio questo carattere assoluto a risultare in contrasto con gli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione. La Corte afferma che non è la presunzione in sé ad essere illegittima, non essendo irragionevole presumere che il condannato che non collabora abbia legami con l'associazione di appartenenza, purché la presunzione sia relativa e possa essere vinta da prova contraria, così rimanendo nei limiti di una scelta legislativa costituzionalmente compatibile con gli obiettivi di prevenzione speciale e di risocializzazione della pena.

Infine, nella recente ordinanza n. 97 del 2021 la Corte ha affrontato la questione del c.d. ergastolo ostativo, ossia della preclusione all'accesso al beneficio della liberazione condizionale per il condannato all'ergastolo per delitti di contesto mafioso, che non collabori utilmente con la giustizia.

La Corte era chiamata a giudicare della legittimità della disciplina contenuta negli artt. 4-bis, comma 1, e 58-ter dell'ordinamento penitenziario, nonché dell'art. 2 del D.L. n. 152 del 1991, per effetto del quale il regime restrittivo per l'accesso ai benefici penitenziari si estende anche alla liberazione condizionale. In particolare, le norme portate all'esame della Consulta stabiliscono che i condannati all'ergastolo per reati di contesto mafioso, se non collaborano utilmente con la giustizia non possono essere ammessi al beneficio della cd. liberazione condizionale, che consiste in un periodo di libertà vigilata, a conclusione del quale, solo in caso di comportamento corretto, consegue l'estinzione della pena e la definitiva restituzione alla libertà. Possono invece accedere a tale beneficio, dopo aver scontato almeno 26 anni di carcere, tutti gli altri condannati alla pena perpetua, compresi quelli per delitti connessi all'attività di associazioni mafiose, i quali abbiano collaborato utilmente con la giustizia.

La Corte, dopo aver ricordato la propria giurisprudenza (sentenze n. 253 del 2019 e n. 306 del 1993) e l'importanza della collaborazione, che mantiene il proprio valore positivo, riconosciuto dalla legislazione premiale vigente, ha sottolineato l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione stessa «l'unica possibile strada, a disposizione del condannato all'ergastolo, per accedere alla liberazione condizionale», in contrasto con la funzione rieducativa della pena, ai sensi dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione.

Allo stesso tempo la Corte ha posto l'accento sul carattere "apicale" della normativa sottoposta al suo giudizio nel quadro del contrasto alle organizzazioni criminali. L'equilibrio complessivo di tale normativa, secondo la Corte, verrebbe messo a rischio da un intervento meramente demolitorio, con grave pregiudizio per le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva a fronte del «pervasivo e radicato fenomeno della criminalità mafiosa». Si tratta di scelte di politica criminale che appartengono, ad avviso della Corte, alla discrezionalità legislativa, in quanto destinate a fronteggiare la perdurante presunzione di pericolosità ma non costituzionalmente vincolate nei contenuti, e che eccedono perciò i poteri della Corte stessa. Nel ribadire che l'intervento di modifica di questi aspetti deve essere, in prima battuta, oggetto di una più complessiva, ponderata e coordinata valutazione legislativa, la Corte ha concluso che «esigenze di collaborazione istituzionale» impongono di disporre il rinvio del giudizio e di fissare una nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale in esame, alla data del 10 maggio 2022, dando così al Parlamento «un congruo tempo per affrontare la materia».