Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Cultura
Titolo: Dichiarazione di monumento nazionale dell'ex campo di prigionia di Servigliano
Riferimenti: AC N.2927/XVIII
Serie: Documentazione per l'attività consultiva della I Commissione   Numero: 139
Data: 06/09/2021
Organi della Camera: I Affari costituzionali


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Dichiarazione di monumento nazionale dell'ex campo di prigionia di Servigliano

6 settembre 2021
Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale


Indice

Contenuto|Relazioni allegate o richieste|Collegamento con lavori legislativi in corso|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Rispetto degli altri princìpi costituzionali|


Contenuto

La proposta di legge - approvata dal Senato il 4 marzo 2021 (A.S. 1658) - reca la dichiarazione di monumento nazionale dell'ex campo di prigionia di Servigliano, in provincia di Fermo, oggi denominato Parco della Pace (art. 1).

Qui la storia del Parco.

Dispone, inoltre, che dall'attuazione della legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate alla relativa attuazione vi provvedono con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente (art. 2).

 

Attraverso contatti per le vie brevi con gli uffici del Ministero della cultura, si è appreso che il Parco della pace, di proprietà del comune di Servigliano, è un bene culturale sottoposto ope legis alle disposizioni di tutela. La Soprintendenza si sta accingendo ad avviare d'ufficio la verifica dell'interesse culturale, perché il comune di Servigliano non ha mai avanzato istanza in tal senso.

Al riguardo, si ricorda, che l'art. 10, co. 1, del Codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. 42/2004) stabilisce che sono beni culturali – e in quanto tali, sottoposti alle disposizioni di tutela di cui al Titolo I della Parte seconda del medesimo Codice – le cose immobili e mobili appartenenti a soggetti pubblici – cioè, allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, ad ogni altro ente ed istituto pubblico – nonché a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico. Si tratta, cioè, delle cose per le quali sia intervenuta la verifica dell'interesse culturale di cui all'art. 12.

Peraltro, in base al co. 1 del citato art. 12 – come modificato, da ultimo, dall'art. 1, co. 175, lett. c), della L. 124/2017 –;, tali cose, qualora opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risale ad oltre settanta anni, sono sottoposte ope legis alle disposizioni di tutela, fino a quando non sia stata effettuata la verifica di interesse culturale: vige, cioè, la presunzione di interesse culturale, fino a quando non sia stata effettuata la relativa verifica.

La verifica della sussistenza dell'interesse culturale è effettuata, d'ufficio o su richiesta dei soggetti cui le cose appartengono, da parte dei competenti organi del Ministero della cultura. In caso di accertamento positivo dell'interesse culturale (decreto di vincolo), i beni restano definitivamente soggetti alle disposizioni di tutela. Qualora la verifica si concluda con un esito negativo, i beni sottoposti al procedimento vengono esclusi dall'applicazione della disciplina richiamata.

Tra le disposizioni di tutela di cui al Titolo I della Parte seconda del Codice vi sono misure di protezione (artt. 21 e ss., che stabiliscono, tra l'altro, le tipologie di interventi vietati o soggetti ad autorizzazione) e misure di conservazione (artt. 29 e ss., che includono anche obblighi conservativi).

 

In base alle informazioni disponibili sul sito del Segretariato generale del Ministero della cultura, al restauro dell'ex Infermeria dell'ex campo di concentramento sono stati destinati € 302.227,88, a valere sul Fondo per lo sviluppo e la coesione, Piano Stralcio Cultura e Turismo 2014-2020.

Con specifico riguardo alla dichiarazione di monumento nazionale, si ricorda che l'art. 6 della L. 153/2017 ha modificato l'art. 10, co. 3, lett. d), del Codice, introducendo una procedura amministrativa in base alla quale la dichiarazione di interesse culturale di un bene può ricomprendere anche la dichiarazione di "monumento nazionale".

In particolare, ha previsto che la dichiarazione di interesse culturale di cui all' art. 13 dello stesso Codice, che accerta, ai fini della definizione di "bene culturale", la sussistenza, nelle cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, di un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose, può comprendere anche, su istanza di uno o più comuni, o della regione, la dichiarazione di "monumento nazionale", qualora le stesse cose rivestono, altresì, un valore testimoniale o esprimono un collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale.

Non è stato specificato, tuttavia, se e in quale misura dalla dichiarata monumentalità scaturiscano effetti giuridici ulteriori rispetto a quelli derivanti dalla stessa dichiarazione di interesse culturale.

Prima del 2017, il Codice non prevedeva una specifica procedura da porre in essere, limitandosi, all'art. 54, a disporre che sono inalienabili, quali beni del demanio culturale "gli immobili dichiarati monumenti nazionali a termini della normativa all'epoca vigente" e, all'art. 129, a far salve le leggi aventi specificamente ad oggetto monumenti nazionali.

La questione relativa alla dichiarazione di monumento nazionale

 

Una ampia disamina della questione relativa alla dichiarazione di monumento nazionale si riscontrava nella Circolare n. 13 del 5 giugno 2012 indirizzata dalla Direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanee dell'allora Mibac alle Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici.

In particolare, la circolare ricordava, anzitutto, che l'istituzione di monumenti nazionali risale al complesso di norme della seconda metà del XIX secolo, costituenti la legislazione eversiva del patrimonio ecclesiastico, in primis la L. 7 luglio 1866, n. 3096, che sanciva l'obbligo per lo Stato italiano appena formato, dopo la soppressione degli ordini monastici, di conservare alcuni siti monumentali ecclesiastici che furono dunque esclusi sia da possibili vendite, sia dalla conversione in altri usi. La legge citata, oltre a dichiarare direttamente tali alcuni complessi (si trattava delle abbazie di Montecassino, Cava dei Tirreni, San Martino della Scala e Monreale e della Certosa di Pavia), stabiliva la possibilità che altri beni ottenessero la stessa qualificazione, nel rispetto della procedura di designazione stabilita dalle norme regolamentari di attuazione della legge stessa.

Ricordava, altresì, che, norme legislative e regolamentari successive (L. 15 agosto 1867, n. 3848, e R.D. 5 luglio 1882, n. 917) stabilirono che altri complessi avrebbero potuto aggiungersi e che la relativa designazione dovesse essere fatta con decreto reale e con l'intesa del Ministro della pubblica istruzione.

Faceva presente, poi, che le prime leggi di tutela dei beni di interesse storico-artistico non facevano alcun riferimento ai beni qualificati come monumenti nazionali: in particolare, la L. 1089/1939 introduceva la nuova nozione di "interesse storico-relazionale" accertabile attraverso la procedura della notifica per le "cose immobili riconosciute di interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere".

Evidenziava, dunque, che l'Ufficio legislativo del Mibact, con parere 6 marzo 2006, n. 9206, aveva fatto presente che il Codice dei beni culturali e del paesaggio, confermando la scelta del legislatore del 1939 di introdurre, in luogo della definizione di monumento nazionale, la nozione di interesse storico-relazionale e di prevedere, al riguardo, la ordinaria procedura di modifica, aveva confermato "l'incongruenza di tale nozione per l'accertamento della sussistenza del grado di interesse storico-artistico richiesto dalla legge per la operatività degli istituti della tutela. Precisava altresì l'Ufficio legislativo che il legislatore, qualora riconosca valore storico o culturale ad un immobile, anche qualificandolo monumento nazionale, avrebbe l'onere di chiarire se ed in quale misura dalla dichiarata monumentalità scaturiscano effetti tipici del vincolo tradizionale se non voglia limitare il suddetto riconoscimento alla funzione di mera onorificenza, senza specifico contenuto giuridico".

Aggiungeva che, sempre l'Ufficio legislativo del Mibact, con parere prot. 5636 del 27 marzo 2012 aveva sostanzialmente confermato l'avviso già in precedenza espresso. Di tale nuovo parere, la circolare riportava ampi stralci, fra i quali il passaggio in cui si evidenziava che la soluzione di operare nuove dichiarazioni di monumento nazionale "appare peraltro non auspicabile, poiché porrebbe il problema di stabilire il regime giuridico applicabile agli eventuali beni così dichiarati. Pertanto, nell'attuale contesto ordinamentale, gli immobili a vario titolo ‘candidati' ad essere dichiarati monumento nazionale dovrebbero ordinariamente, ricorrendone i presupposti, essere ricondotti ad una delle tipologie di beni culturali previste dal Codice".

Pur in assenza di riferimenti in tal senso nel Codice, peraltro, erano state approvate - la L. 64/2014, recante dichiarazione di monumento nazionale della Basilica Palladiana di Vicenza e la L. 207/2016, recante dichiarazione di monumento nazionale della Casa Museo Gramsci in Ghilarza.

Tali disposizioni legislative si sono aggiunte a quelle precedentemente emanate con DPR 2 ottobre 2003, Dichiarazione di monumento nazionale per il cimitero delle vittime del Vajont, in Longarone, DPR 18 marzo 2008, Dichiarazione di monumento nazionale dell'antica area di San Pietro Infine e DPR 18 marzo 2008, Dichiarazione di monumento nazionale dell'isola di Santo Stefano.

 

Successivamente a quanto disposto dalla L. 153/2017, sono state approvate la L. 213/2017, che ha dichiarato monumento nazionale la Casa Museo Matteotti in Fratta Polesine e la L. 65/2019, recante la dichiarazione di monumento nazionale del ponte sul Brenta detto "Ponte Vecchio di Bassano".

Da ultimo, l'art. 1 del decreto-legge 20 luglio 2021, n. 103, ha dichiarato monumento nazionale le vie urbane d'acqua Bacino di San Marco, Canale di San Marco e Canale della Giudecca di Venezia.

Relazioni allegate o richieste

La proposta di legge presentata al Senato era corredata di relazione illustrativa.


Collegamento con lavori legislativi in corso

Lart. 1 del decreto-legge 20 luglio 2021, n. 103, in corso di esame, ha dichiarato monumento nazionale le vie urbane d'acqua Bacino di San Marco, Canale di San Marco e Canale della Giudecca di Venezia.


Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La disciplina recata dalla proposta di legge è riconducibile alla materia dei beni culturali.

L'art. 117, secondo comma, lett. s), Cost. ha annoverato la tutela dei beni culturali tra le materie di competenza esclusiva dello Stato (prevedendo, altresì, la possibilità di attivare, su iniziativa della regione interessata, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, ai sensi dell'art. 116, terzo comma, Cost.), mentre l'art. 117, terzo comma, Cost., ha incluso la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali tra le materie di legislazione concorrente. Inoltre, l'art. 118, terzo comma, Cost., ha devoluto alla legge statale il compito di disciplinare "forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali" tra Stato e regioni.

Nella sentenza 9/2004 la Corte costituzionale ha individuato una definizione delle funzioni di tutela e di valorizzazione: la tutela "è diretta principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale"; la valorizzazione "è diretta, soprattutto, alla fruizione del bene culturale, sicché anche il miglioramento dello stato di conservazione attiene a quest'ultima nei luoghi in cui avviene la fruizione ed ai modi di questa".
Successivamente all'adozione del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la Corte, nella sentenza 232/2005, ha richiamato, ai fini del riparto di competenze, le disposizioni in esso contenute: tale testo legislativo, secondo la Corte, ribadisce l'esigenza dell'esercizio unitario delle funzioni di tutela dei beni culturali (art. 4, co. 1) e, nel contempo, stabilisce, però, che siano non soltanto lo Stato, ma anche le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni ad assicurare e sostenere la conservazione del patrimonio culturale e a favorirne la pubblica fruizione e la valorizzazione (art. 1, co. 3) . Nelle materie in questione, quindi, la Corte ribadisce la coesistenza di competenze normative, confermata, peraltro, dall'art. 118, terzo comma, Cost.
In generale, nelle sentenze 478/2002 e 307/2004 – ripercorrendo quanto già evidenziato, nel contesto del previgente titolo V, parte seconda, della Costituzione, con le sentenze 276 del 1991, 348 del 1990, 562 e 829 del 1988 (esplicitamente citate nella sentenza n. 307/2004) – la Corte ha affermato che lo sviluppo della cultura, nonché, per quanto qui interessa, la tutela dei beni culturali, corrispondono a finalità di interesse generale, "il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni (art. 9 Cost.), anche al di là del riparto di competenze per materia fra Stato e regioni".

Rispetto degli altri princìpi costituzionali

L'art. 9 della Costituzione prevede che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione.