Modifiche all'art. 52 del codice penale in materia di legittima difesa 24 gennaio 2019 |
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Contenuto|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Rispetto degli altri princìpi costituzionali| |
ContenutoLa proposta in esame è volta a modificare la disciplina della legittima difesa, con l'intento di rafforzare le tutele per colui che reagisce ad una violazione del domicilio. L'A.C. 1309, che origina da una proposta di iniziativa popolare (A.S. 5), è stato approvato dal Senato il 24 ottobre 2018. Si compone di 9 articoli che, oltre ad apportare modifiche in materia di legittima difesa domiciliare e di eccesso colposo, intervengono su alcuni reati contro il patrimonio (furto in abitazione e con strappo, rapina) e sul delitto di violazione di domicilio. L'AC 1309 è stato adottato come testo base dalla Commissione Giustizia. Non è stato approvato nessun emendamento al testo.
L'articolo 1 modifica il comma 2 dell'articolo 52 c.p., concernente la legittima difesa domiciliare, ossia la fattispecie in cui è autorizzato il ricorso a «un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo» per la difesa legittima della «propria o altrui incolumità» o dei «beni propri o altrui».
L'istituto della legittima difesa si colloca tra le cause di giustificazione del reato e trova il suo fondamento nella necessità di autotutela della persona che si manifesta nel momento in cui, in assenza dell'ordinaria tutela apprestata dall'ordinamento, viene riconosciuta, entro determinati limiti, una deroga al monopolio dello Stato dell'uso della forza. La relativa disciplina è contenuta nell'art. 52 del codice penale. I requisiti della legittima difesa nell'art. 52 - in presenza dei quali è esclusa la punibilità - risultano (primo comma): l'esistenza di un diritto da tutelare (proprio o altrui); la necessità della difesa; l'attualità del pericolo; l'ingiustizia dell'offesa; il rapporto di proporzione tra difesa e offesa. Il secondo e terzo comma dell'art. 52 sono stati aggiunti dalla legge n. 59 del 2006 che ha introdotto la cd. legittima difesa domiciliare (o legittima difesa allargata). Mediante il riferimento all'art. 614 c.p. (violazione di domicilio) è stabilito il diritto all'autotutela in un domicilio privato (secondo comma), che la giurisprudenza ha riconosciuto anche negli spazi condominiali, oltre che in un negozio o un ufficio (terzo comma). In tali ipotesi, è autorizzato il ricorso a «un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo» per la difesa legittima della «propria o altrui incolumità» o dei «beni propri o altrui»; in relazione alla difesa dei beni patrimoniali, ai fini della sussistenza della scriminante: a) il reo non deve avere desistito (dall'azione illecita) b) deve sussistere il pericolo di aggressione. L'art. 52 non chiarisce a quali beni si riferisca il pericolo di aggressione e dunque se si tratti dell'aggressione a beni patrimoniali o dell'aggressione a persone. Tuttavia, che tale pericolo debba intendersi riferito alla vita e alla incolumità delle persone presenti nel domicilio, oltre che da motivi sistematici, si ricava dai lavori preparatori della legge 59/2006.
In presenza delle indicate condizioni, è stata introdotta una presunzione legale del requisito di proporzionalità tra difesa e offesa. In generale, in relazione al rapporto di proporzionalità tra difesa e offesa ai fini della configurabilità della sussistenza della legittima difesa, dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto opportuno non limitarsi ad un confronto puramente statico tra i due beni contrapposti bensì di pervenire a un giudizio più articolato che tenga conto: del fatto che il bene dell'aggressore possa essere tutelato in misura minore rispetto a quello dell'aggredito; potrà essere ritenuta sussistente la scriminante anche quando sia sacrificato un bene di valore superiore rispetto a quello minacciato (il bene della vita dell'aggressore potrà, quindi, soccombere in presenza di un tentativo di violenza sessuale); di tutte le circostanze che concretamente possano influenzare il giudizio di proporzione difesa-offesa (intensità del pericolo, caratteristiche fisiche dell'aggredito e dell'aggressore, tempo e luogo dell'azione); dei mezzi di difesa a disposizione della vittima (in particolare, ove vi sia possibilità di scegliere tale mezzo).
In relazione alla fattispecie della legittima difesa domiciliare, la modifica consiste nella specificazione che si considera "sempre" sussistente il rapporto di proporzionalità tra la difesa e l'offesa. L'A.C. 1309 poi aggiunge un ulteriore comma all'articolo 52 c.p. (quarto comma), per il quale si considera «sempre in stato di legittima difesa» chi, all'interno del domicilio e nei luoghi ad esso equiparati, respinge l'intrusione da parte di una o più persone «posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica».
La
giurisprudenza successiva alla riforma del 2006 ha dimostrato come la
presunzione legale introdotta per la violazione di domicilio sia stata in ogni caso sottoposta ai
rigorosi limiti di liceità della legittima difesa previsti dall'art. 52, primo comma, c.p.. Tale presunzione - secondo giurisprudenza consolidata - incidendo solo sul requisito della proporzione, non fa venir meno la necessità da parte del giudice di accertare la sussistenza degli altri requisiti, il pericolo attuale, l'offesa ingiusta e la necessità-inevitabilità della reazione difensiva a mezzo delle armi (in tal senso, tra le altre, Cassazione, sentenze n. 691 del 2014, n. 23221 del 2010, n. 25653 del 2008). Secondo una ulteriore pronuncia (Cassazione, sentenza n. 50909 del 2014), la legge n. 59 del 2006, introducendo il comma secondo dell'art. 52 del codice penale, ha stabilito la presunzione della sussistenza del requisito della proporzione tra offesa e difesa, quando sia configurabile la violazione del domicilio da parte dell'aggressore, ossia l'effettiva introduzione del soggetto nel domicilio altrui, contro la volontà di colui che è legittimato ad escluderne la presenza, ferma restando la necessità del concorso dei presupposti dell'attualità dell'offesa e della inevitabilità dell'uso delle armi come mezzo di difesa della propria o altrui incolumità. La Cassazione ha ritenuto che lo stesso ingresso fraudolento o clandestino nella dimora dell'aggredito, in carenza sempre della aggressione o della esposizione della controparte ad un pericolo alla propria vita o incolumità, non acquisisca rilievo per invocare la scriminante della legittima difesa; la Suprema Corte ha negato l'esimente in presenza di "un'indiscriminata reazione nei confronti del soggetto che si introduca fraudolentemente nella propria dimora" (Cass, sentenza n. 12466 del 2007). Con tale locuzione, quindi, il Collegio ha lasciato intendere l'impossibilità di derogare al principio di proporzionalità fra aggressione e difesa (di cui il legislatore del 2006 ha imposto la presunzione). Come previsto dall'art. 52, secondo comma, c.p., nell'ipotesi in cui l'aggredito agisca per difendere beni patrimoniali necessita il duplice requisito della non desistenza e del pericolo di aggressione. Proprio la legittimità della difesa dei beni patrimoniali è stata oggetto di pronunce che - ferma restando la necessità del doppio citato requisito (non desistenza e pericolo di aggressione) - hanno sempre valutato rigorosamente anche la presunzione del rapporto di proporzionalità tra difesa e offesa. Importanza dirimente continua ad avere, ai fini del giudizio di proporzione, il confronto tra il bene dell'aggredito (posto in pericolo dall'aggressore) e il bene dell'aggressore (posto in pericolo dalla reazione dell'aggredito). Anche dopo la novella legislativa del 2006, non viene meno il rapporto di proporzionalità di cui al primo comma dell'art. 52 c.p. e si concretizza l'esimente quando l'uso di un'arma ha come fine ultimo quello di "difendere la propria o altrui incolumità" ovvero "i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione". La Corte ha ritenuto, pertanto, l'imputato colpevole dell'eccesso di legittima difesa, in quanto dalle risultanze processuali si evinceva che non sussisteva un "pericolo di aggressione" e la vittima, dandosi alla fuga, aveva in sostanza desistito dal suo iniziale intento aggressivo. Per la Cassazione, l'uso di un'arma, legittimamente detenuta, per integrare la scriminante della legittima difesa, deve essere vagliato secondo il criterio della proporzione di cui al primo comma art. 52 c.p e tale valutazione deve pur sempre operare in relazione alla situazione concreta sussistente nel momento in cui si faccia uso dell'arma. Analoghe posizioni sono state confermate dalla giurisprudenza successiva; nella sentenza n. 28802 del 2014, la Cassazione ha ritenuto che, anche la presunzione legale di proporzionalità nella legittima difesa domiciliare non può giustificare l'uccisione con uso legittimo delle armi di un ladro introdottosi in casa quando sia messo in pericolo soltanto un bene patrimoniale dell'aggredito (anche nel caso in oggetto, il proprietario, dopo aver sorpreso il ladro in casa, gli aveva sparato dalla finestra della propria abitazione per impedire il furto della propria autovettura). Più recentemente, sugli elementi caratteristici della legittima difesa, si segnalano due sentenze della Suprema Corte La prima pronuncia, (Cassazione, sentenza 27 novembre 2015, n. 47177), richiamando numerosi pregresse decisioni, offre una ricostruzione dei requisiti necessari per potersi invocare l'esistenza della scriminante. In particolare i giudici della Suprema Corte sostengono: che l'elemento dell'attualità del pericolo costituisce il tratto caratteristico essenziale della difesa legittima, che la distingue, sia dalla mera difesa preventiva, diretta ad evitare esclusivamente le cause dell'azione illecita o dannosa, sia dalla vendetta privata; pertanto, con la locuzione "pericolo attuale" si deve intendere un pericolo presente, in atto, in corso, incombente, con esclusione, cioè, del pericolo già esauritosi e di quello ancora da verificarsi; la possibilità di atti violenti contro il soggetto agente deve essere effettiva in relazione ad un preciso comportamento dell'antagonista, indicativo di un`offesa ingiusta in termini di concretezza ed imminenza, richiedente una pronta reazione difensiva; non può, invece, ritenersi sufficiente la prefigurazione in via ipotetica e congetturale di un'aggressione futura quando le circostanze di fatto indichino il contrario per l'allontanamento o la fuga di chi viene poi aggredito La Corte afferma, inoltre, che l'esimente della legittima difesa non è applicabile allorché il soggetto non agisce nella convinzione, sia pure erronea, di dover reagire a solo scopo difensivo, ma per risentimento o ritorsione contro chi ritenga essere portatore di una qualsiasi offesa.. Inoltre, in relazione all'ipotesi della legittima difesa putativa, la sentenza ritiene che l'accertamento della legittimità della difesa implica un giudizio ex ante, rapportato alle peculiari circostanze concrete della fattispecie, da condurre secondo il prudente apprezzamento dei giudice di merito, che deve esaminare la situazione specifica per verificare se la stessa fosse tale da far sorgere nel soggetto l'erroneo convincimento di trovarsi in condizioni di fatto che, qualora realmente esistenti, avrebbero escluso l'antigiuridicità della condotta costituente reato, non potendo affidarsi a criteri soggettivi, oppure a stati d'animo turbati dell'agente.
L'articolo 2 del provvedimento interviene sull'articolo 55 c.p. (eccesso colposo), aggiungendo un ulteriore comma, con il quale si esclude, nelle varie ipotesi di legittima difesa domiciliare, la punibilità di chi, trovandosi in condizione di minorata difesa o in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo, commette il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità.
Il tema dell'abuso della scriminante di cui all'art. 52 c.p. è complementare a quello della legittima difesa. Si parla di eccesso colposo di legittima difesa, a fronte di una reazione di difesa eccessiva: non c'è volontà di commettere un reato ma viene meno il requisito della proporzionalità tra difesa ed offesa configurandosi un'errata valutazione colposa della reazione difensiva. L'art. 55 del codice penale prevede che «quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall'ordine dell'autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo». E' quindi interesse del soggetto che ha difeso il diritto proprio o altrui indicare i fatti e le circostanze dai quali si evince l'esistenza della scriminante. La valutazione è rimessa al libero convincimento del giudice, che terrà conto di un complesso di circostanze oggettive: anche in tal caso, si tratta dell'esistenza di un pericolo attuale o di un'offesa ingiusta; dei mezzi di reazione a disposizione dell'aggredito e del modo in cui ne ha fatto uso; del bilanciamento tra l'importanza del bene minacciato dall'aggressore e del bene leso da chi reagisce.
Si ricorda inoltre che l'articolo 61, primo comma, n. 5), c.p. disciplina la circostanza aggravante comune della
c.d. minorata difesa. Tale circostanza ricorre quando colui che commette il fatto agisce profittando «di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa».
L'articolo 3 del provvedimento, modificando l'articolo 165 c.p., prevede che nei casi di condanna per furto in appartamento e furto con strappo (art. 624-bis c.p.) la sospensione condizionale della pena sia subordinata al pagamento integrale dell'importo dovuto per il risarcimento del danno alla persona offesa.
Oltre alle modifiche alla disciplina della legittima difesa e dell'eccesso colposo il provvedimento interviene su alcune fattispecie di reato. In particolare l'articolo 4, interviene sul reato di violazione di domicilio (art. 614 c.p.) inasprendone il quadro sanzionatorio. E' infatti elevata da sei mesi a un anno nel minimo e da tre a quattro anni nel massimo la pena detentiva per il reato di violazione di domicilio. Analogo inasprimento sanzionatorio è previsto con riguardo all'ipotesi aggravata che ricorre quando la violazione di domicilio è commessa con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato. Tale ipotesi è attualmente punita con la pena della reclusione da uno a cinque anni: il provvedimento interviene sia sul minimo che sul massimo edittale, punendo tale ipotesi con la reclusione da due a sei anni. L'articolo 5 interviene sull'art. 624-bis c.p., che punisce il reato di furto in abitazione e furto con strappo, inasprendone le pene. L'art. 624-bis c.p. disciplina due autonome figure di reato: il furto in abitazione (comma primo) e il furto con strappo (comma secondo). Nel primo caso il fatto tipico consiste nel compiere l'azione furtiva "mediante introduzione in un edificio o in un altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa". La seconda autonoma figura criminosa consiste nello "strappare la cosa di mano o di dosso alla persona". Il provvedimento eleva la pena detentiva (nel minimo dagli attuali tre anni a quattro anni e nel massimo dagli attuali sei anni a sette anni). Analogo inasprimento è previsto per le condotte aggravate per le quali è previsto un minimo edittale di cinque anni di reclusione (attualmente quattro anni), mentre il massimo resta quello attualmente previsto, pari a dieci anni, e la multa è rideterminata in un importo da un minimo di 1.000 euro (attualmente 927 euro) a un massimo di 2.500 euro (attualmente 2000 euro). Il quadro sanzionatorio vigente deriva dalla recente approvazione della legge n. 103 del 2017 che ha inasprito le pene previste dall'art. 624-bis. L'articolo 6 interviene sul reato di rapina (art. 628 c.p.) per inasprire le pene. La pena della reclusione è elevata da 4 a 5 anni nel minimo, mentre resta fermo il massimo fissato a 10 anni. Per le ipotesi aggravate e pluriaggravate di cui rispettivamente al terzo comma e al quarto comma dell'articolo 628 c.p. il disegno di legge prevede un analogo inasprimento sanzionatorio. In particolare per la rapina aggravata la pena della reclusione è elevata nel minimo da 5 a 6 anni (il massimo resta fissato a 20 anni) e la pena pecuniaria è rideterminata da 2.000 a 4.000 euro (a legislazione vigente da 1.290 a 3.098 euro). Per le ipotesi pluriaggravate la pena della reclusione è elevata nel minimo da 6 a 7 anni (il massimo resta fissato a 20 anni) e la pena pecuniaria è rideterminata da 2.500 a 4.000 euro (a legislazione vigente da 1.538 a 3.098 euro). In proposito è opportuno ricordare che anche l'art. 628 è stato oggetto di modifica sotto il profilo sanzionatorio da parte della legge n. 103 del 2017. L'articolo 7 dell'A.C. 1309 interviene, poi, sulla disciplina civilistica della legittima difesa e dell'eccesso colposo, introducendo due ulteriori commi all'articolo 2044 c.c., che attualmente si limita ad affermare che «Non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri». Con il secondo comma si specifica che, nei casi di legittima difesa domiciliare (art. 52, commi secondo, terzo e quarto, c.p.), è esclusa in ogni caso la responsabilità di chi ha compiuto il fatto. In tal modo la disposizione esclude espressamente l'ingiustizia - che costituisce il presupposto del risarcimento - del danno cagionato in presenza della causa di giustificazione di cui all'articolo 52, secondo, terzo e quarto comma c.p. In altri termini intento della modifica è di fare in modo che l'autore del fatto, se assolto in sede penale, non debba essere, in nessun caso, obbligato a risarcire il danno derivante dal medesimo fatto. Il nuovo terzo comma dell'articolo 2044 c.c., invece, prevede che nei casi di eccesso colposo, di cui all'articolo 55, secondo comma, al danneggiato è riconosciuto il diritto ad una indennità. Tale indennità dovrà essere calcolata dal giudice con equo apprezzamento tenendo conto «della gravità, delle modalità realizzative e del contributo causale della condotta posta in essere dal danneggiato».
L'articolo 8 del provvedimento introduce, poi, il nuovo art. 115-bis all'interno del T.U. delle spese di giustizia (D.P.R. n. 115 del 2002) per disporre l'applicazione delle norme sul patrocinio a spese dello Stato (criteri e modalità di liquidazione dei compensi e delle spese per la difesa) in favore di colui che sia stato assolto, prosciolto o il cui procedimento penale sia stato archiviato per fatti commessi in condizioni di legittima difesa o di eccesso colposo di legittima difesa. Conseguentemente l'onorario e le spese per il difensore, le spese per l'ausiliario del magistrato e per il consulente tecnico di parte dovranno essere liquidate dal magistrato in base alle disposizioni del TU spese di giustizia (artt. 82-84); con una deroga a tale disciplina, peraltro, la proposta di legge consente anche la liquidazione delle spese documentate e delle indennità di trasferta spettanti al difensore iscritto nell'albo di un altro distretto di corte d'appello. E' comunque fatto salvo il diritto dello Stato di ripetere le spese anticipate, qualora a seguito di riapertura delle indagini o di revoca del proscioglimento, la persona sia poi condannata in via definitiva. Trattandosi di una disposizione onerosa, l'art. 8 provvedere alla copertura finanziaria del nuovo art. 115-bis del Tu spese di giustizia.
Infine, sempre in tema di legittima difesa, attraverso una modifica all'articolo 132-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, l'articolo 9 della proposta approvata dal Senato prevede che nella formazione dei ruoli di udienza debba essere assicurata priorità anche ai processi relativi ai delitti di omicidio colposo e di lesioni personali colpose verificatisi in presenza delle circostanze di cui agli articoli 52, secondo, terzo e quarto comma e 55, secondo comma del codice penale. |
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definiteLa modifica legislativa è riconducibile alla competenza legislativa esclusiva statale, con riguardo all'ordinamento penale (art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.). |
Rispetto degli altri princìpi costituzionaliL'articolo 1, comma 1, lettera a), rafforza la presunzione di proporzione (introdotta con la legge n. 59 del 2006) tra offesa e difesa, per cui nell'ipotesi di legittima difesa domiciliare si stabilisce che sussiste "sempre" tale rapporto di proporzione. La lettera c) introduce inoltre una presunzione di legittima difesa per colui "che compie un atto per respingere l'intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone". In relazione alle disposizioni di cui all'art. 1, comma 1, lettere a) e c), si richiama la principale giurisprudenza costituzionale e della Corte europea dei diritti dell'uomo. La Corte costituzionale ha in particolare ricordato che «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, vìolano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell'"id quod plerumque accidit», ragion per cui «l'irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere tutte le volte in cui sia "agevole" formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa» (Cfr. Corte Cost., sentenza n. 183/2011, concernente presunzioni relative alla recidiva). Nel senso che le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di uguaglianza se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, e per il rilievo che l'irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere quando sia agevole formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa, si vedano anche le sentenze n 17 del 2017 ,n. 48 del 2015. n. 57 del 2013, n. 164 del 2011, e n. 139 del 2010, 225/2008, n. 333/1991 e n. 139/1982. Inoltre, in relazione al tema della presunzione viene in rilievo anche l'art. 2, comma 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) che tutela il diritto alla vita, quale diritto principale dell'essere umano. Nello specifico, ciò che più rileva di tale disposizione è il secondo comma, nel quale viene sancito che "la morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale; b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l'evasione di una persona regolarmente detenuta; c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un'insurrezione".
Al riguardo si ricordano brevemente alcune sentenze della Corte EDU in merito all'art. 2 della Convenzione. In particolare i casi: "McCann e altri contro Regno Unito" (McCann e altri c. Regno Unito, 27 settembre 1995, n. 194) o "Giuliani e Gaggio contro Italia" (Sentenza del del 24 marzo 2011 - Ricorso n. 23458/02- Giuliani e Gaggio c. Italia). Nella prima sentenza, l'uso legale della forza è considerato legittimo solo se non eccessivo, proporzionato rispetto ai fini e conforme ai limiti stabiliti dalle legge. La previsione in questione, infatti, deve essere interpretata restrittivamente, ritenendo assolutamente necessarie solo quelle condotte strettamente finalizzate alla tutela della vita umana. Nella sentenza Giuliani, la Corte europea ha ricordato che l'articolo 2 della Convenzione copre non soltanto l'omicidio volontario, ma anche le situazioni di legittimo "ricorso alla forza" dalle quali può derivare anche l'evento morte. Il ricorso alla forza, per essere legittimo, deve essere "assolutamente necessario" per il conseguimento di uno degli obiettivi di cui all'art. 2, par. 2, lettere a) b) e c) La Corte ha in altre occasioni ricordato che l'articolo 2 § 1 della Convenzione obbliga lo Stato non soltanto ad astenersi dal provocare la morte in modo volontario e irregolare, ma anche a prendere le misure necessarie per la tutela della vita delle persone che sono sottoposte alla sua giurisdizione (L.C.B. c. Regno Unito, 9 giugno 1998, § 36, , e Osman c. Regno Unito, 28 ottobre 1998, § 115,). Per concludere l'aspetto normativo e interpretativo dell'articolo 2 della Convenzione, si ricorda come il requisito "dell'assoluta necessità", secondo la giurisprudenza europea, consideri come fondamentale e indispensabile il requisito della proporzionalità. Su tutte si ricordi la sentenza "Alikaj contro Italia" (Corte EDU, sez. II, sent. 29.3.2011, Pres. Tulkens, ric. n. 47357/08, Alikaj e altri c. Italia), nella quale si sottolinea come qualsiasi uso della forza deve essere reso "assolutamente necessario", ossia deve essere strettamente proporzionato nelle circostanze. In tema di legittima difesa appare quindi compatibile con la CEDU ogni ordinamento giuridico interno che rispetti la proporzione tra difesa e offesa; cioè che sia in grado di limitare le reazioni difensive dirette contro i diritti fondamentali dell'aggressore solo per proteggere i diritti, altrettanto primari, dell'aggredito. Il termine "assolutamente necessario" a cui è legata la possibilità di ledere un altrui diritto alla vita viene, altresì, interpretato in modo ampio ricomprendendone al suo interno anche il requisito della proporzione.
L'articolo 2, modificando la disciplina dell'eccesso colposo esclude, nelle varie ipotesi di legittima difesa domiciliare, la punibilità di chi commette il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità, trovandosi in condizione di minorata difesa o in stato di "grave turbamento", derivante dalla situazione di pericolo.
Si ricorda che, nella XVII legislatura, il Comitato pareri della I Commissione, nella
seduta del 12 aprile 2017, esprimendosi sul testo approvato recante Disposizioni in materia di legittima difesa (C. 3785 Ermini e abb.), che faceva riferimento alla locuzione «grave turbamento psichico» ha approvato un parere favorevole con un'osservazione in cui si chiedeva di valutare tale locuzione alla luce dei principi di tassatività e determinatezza del reato, sulla base della giurisprudenza costituzionale in materia.
In relazione alla locuzione "grave turbamento", si richiama la principale giurisprudenza in materia di principi costituzionali di tassatività e determinatezza della fattispecie.
Per orientamento consolidato si ritiene che i principi di tassatività e determinatezza del reato trovino riconoscimento implicito nell'
art. 25, secondo comma, Cost. («Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso») nonché oggetto di più diretta menzione nella più esplicita formulazione dell'
art. 1 c.p. (ove si stabilisce che "Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto dalla legge come reato, né con pene che non siano da essa stabilite"). Quanto al principio di determinatezza, i "due obiettivi fondamentali" ad esso sottesi consistono «per un verso, nell'evitare che, in contrasto con il principio della divisione dei poteri e con la riserva assoluta di legge in materia penale, il giudice assuma un ruolo creativo, individuando, in luogo del legislatore, i confini tra il lecito e l'illecito; e, per un altro verso, nel garantire la libera autodeterminazione individuale, permettendo al destinatario della norma penale di apprezzare a priori le conseguenze giuridico-penali della propria condotta» (
Corte cost.,
sentenza n. 327 del 2008).
Le disposizioni penali devono essere "chiaramente formulate", e devono essere rese altresì conoscibili dai destinatari grazie ad una pubblicità adeguata (
art. 73, comma 3, Cost.): i principi in esame comportano dunque - secondo la Corte - l'adempimento da parte dello Stato di precipui doveri costituzionali, attinenti, anzitutto, alla formulazione del divieto, che deve essere tale da consentire di distinguere tra la sfera del lecito e quella dell'illecito (si vedano, sul punto, i rilievi puntualizzati nella
sentenza n. 364 del 1988).
Nella giurisprudenza costituzionale, peraltro, il riferimento ai concetti di tassatività e determinatezza sembra assumerli come predicati "fungibili" della fattispecie penale, anche se non mancano in talune pronunce, peculiari precisazioni distintive [così la sentenza n. 247 del 1989, distingue tra tassatività e determinatezza, intendendo quest'ultima, diversamente dalla prima, «quale modo (di formulazione e, conseguentemente) di essere della norma»]. Nel lessico della Corte, inoltre, la precisione della norma - che pur godrebbe di autonomia secondo parte autorevole della dottrina - non sembra considerata come istanza ulteriore ed autonoma rispetto al principio in esame: piuttosto,
la "chiarezza" e l'"intelligibilità" dei termini impiegati appaiono affermate come vere e proprie condizioni della determinatezza, assieme alla verificabilità del fenomeno disciplinato e, quindi, alla sua rispondenza alla fenomenologia del reale (si veda, al riguardo, la
sentenza n. 96 del 1981).
La costante giurisprudenza della Corte afferma che la verifica del rispetto del principio di determinatezza vada condotta «non già valutando isolatamente il singolo elemento descrittivo dell'illecito, ma raccordandolo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa si inserisce» (
sentenza n. 327 del 2008). Così, «l'inclusione nella formula descrittiva dell'illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero (...) di clausole generali o concetti "elastici", non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall'incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un'operazione interpretativa non esorbitante dall'ordinario compito a lui affidato: quando cioè quella descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile; e, correlativamente, permetta al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo» (
sentenza n. 5 del 2004; su quella traccia, ancora la
sentenza n. 327 del 2008, ritenendo infondata la questione concernente la fattispecie dell'
art. 434 c.p., sollevata relativamente all'inciso "altro disastro", alla luce di una lettura teleologica e sistematica della disposizione in questione, e precisando altresì che «allorché il legislatore – nel descrivere una certa fattispecie criminosa – fa seguire alla elencazione di casi specifici una formula di chiusura, recante un concetto di genere qualificato dall'aggettivo "altro" (...), deve presumersi che il senso di detto concetto – spesso in sé alquanto indeterminato – sia destinato a ricevere luce dalle species preliminarmente enumerate, le cui connotazioni di fondo debbono potersi rinvenire anche come tratti distintivi del genus»).
Nel solco della medesima giurisprudenza, si colloca la
sentenza n. 96 del 1981 che, nel dichiarare costituzionalmente illegittima la fattispecie di plagio (
art. 603 c.p.), ha sottolineato, in modo innovativo, come il principio di tassatività comporta per il legislatore penale (anche) l'onere di «
formulare ipotesi che esprimano fattispecie corrispondenti alla realtà», a mezzo del doveroso «riferimento a fenomeni la cui possibilità di realizzarsi sia stata accertata in base a criteri che allo stato delle attuali conoscenze appaiono verificabili».....
Nella
sentenza n. 34 del 1995, la Corte ha affermato che l'indeterminatezza «da un lato pone il soggetto destinatario del precetto nell'impossibilità di rendersi conto del comportamento doveroso cui attenersi per evitare di soggiacere alle conseguenze della sua inosservanza (sentenza n. 282 del 1990 e n. 364 del 1988) ... non consente all'interprete di esprimere un giudizio di corrispondenza sorretto da un fondamento controllabile nella operazione ermeneutica di riconduzione della fattispecie concreta alla previsione normativa (sentenza n. 96 del 1981)».
Sintomatico dell'accoglimento di un'impostazione che assume a punto di fuga il principio di colpevolezza, e, dunque, l'istanza di conoscibilità del precetto, è, d'altra parte, l'argomento del "diritto vivente", in virtù del quale
la questione in punto di determinatezza viene ritenuta infondata qualora un orientamento costante dimostri che la norma viene chiaramente interpretata, e, che, quindi, la stessa è applicabile in modo univoco (
ordinanza n. 983 del 1988, in tema di tutela delle bellezze naturali,
e n. 11 del 1989, in tema di armi giocattolo;
sentenze nn. 333 del 1991e 133 del 1992, concernenti la determinatezza dei concetti di "modica quantità" e "dose media giornaliera" nell'uso di sostanze stupefacenti;
n. 122 del 1993, in tema di sanzioni di reati ambientali;
n. 247 del 1997, ancora in tema di salvaguardia delle bellezze naturali). Anche se, al riguardo, occorre sottolineare come la Corte - nella
sentenza n. 327 del 2008 - abbia sottolineato che
«l'esistenza di interpretazioni giurisprudenziali costanti non valga, di per sé, a colmare l'eventuale originaria carenza di precisione del precetto penale», posto che affermare il contrario significherebbe "tradire" entrambe le funzioni del principio di determinatezza.
Più recentemente, deve essere segnalata la sentenza della Consulta (
sentenza n. 172 del 2014) che ha ritenuto costituzionalmente legittima la fattispecie di atti persecutori di cui all'art. 612-bis (cd. stalking). Tra le questioni proposte dal giudice
a quo vi era, sotto il profilo del mancato rispetto dell'
art. 25, secondo comma, Cost., il riferimento fatto dall'art. 612-bis al «
perdurante e grave stato di ansia e di paura» e al «fondato timore per l'incolumità» della vittima dello stalking. Si legge nella sentenza come la giurisprudenza costituzionale abbia già chiarito che, per verificare il rispetto del principio di determinatezza, "occorre non già valutare isolatamente il singolo elemento descrittivo dell'illecito, bensì collegarlo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui questa s'inserisce (da ultimo, sentenza n. 282 del 2010)".
Sul punto, la Consulta ha ritenuto che "trattandosi di eventi che riguardano la sfera emotiva e psicologica, essi debbono essere accertati attraverso un'accurata osservazione di segni e indizi comportamentali, desumibili dal confronto tra la situazione pregressa e quella conseguente alle condotte dell'agente, che denotino una apprezzabile destabilizzazione della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima". Secondo la Corte,
l'esigenza costituzionale di determinatezza della fattispecie ai sensi dell'
art. 25, secondo comma, Cost.,
non coincide necessariamente con il carattere più o meno descrittivo della stessa, ben potendo la norma incriminatrice fare uso di una tecnica esemplificativa, oppure riferirsi a concetti extragiuridici diffusi, ovvero ancora a dati di esperienza comune o tecnica. Il principio di determinatezza non esclude – conclude la Corte – l'ammissibilità di formule elastiche, alle quali non infrequentemente il legislatore deve ricorrere stante la «impossibilità pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a "giustificare" l'inosservanza del precetto e la cui valenza riceve adeguata luce dalla finalità dell'incriminazione e dal quadro normativo su cui essa si innesta».
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