Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Bilancio |
Titolo: | Disposizioni per lo sviluppo e la valorizzazione delle zone montane |
Riferimenti: | AC N.3628/XVIII |
Serie: | Progetti di legge Numero: 591 |
Data: | 15/07/2022 |
Organi della Camera: | V Bilancio |
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Disposizioni per lo sviluppo e la valorizzazione delle
zone montane
A.C. 3628
Parte I – Schede di lettura
Servizio Studi
Tel. 06 6706-2451 - * studi1@senato.it - @SR_Studi
Dossier n. 563
Servizio Studi -
Dipartimento Bilancio
Tel. 06 6760-2233 - * - st_bilancio@camera.it - @CD_bilancio
Progetti di legge n. 591
Parte II – Profili di carattere finanziario
Servizio Bilancio dello Stato - Verifica delle quantificazioni n. 462
Tel. 06 6760-2174 – 06 6760-9455 * bs_segreteria@camera.it
Servizio Commissioni – Segreteria V Commissione
Tel. 06 6760-3545 – 06 6760-3685 * com_bilancio@camera.it
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BI0277.docx
INDICE
Articolo 2 (Classificazione dei comuni montani)
CAPO II - Organi, Risorse E Programmazione Strategica
Articolo 3 (Strategia Nazionale per la montagna italiana)
Articolo 4 (Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane)
Articolo 5 (Professioni della montagna)
Articolo 6 (Relazione annuale)
Articolo 7, commi 1 (Sanità di montagna)
Articolo 7, commi 2-5 (Credito d’imposta dipendenti strutture sanitarie di montagna)
Articolo 8, commi 1-4 e 9 (Scuole di montagna)
Articolo 8, commi 5-8 (Credito d’imposta dipendenti scuole di montagna)
Articolo 9 (Servizi di telefonia mobile e accesso alla rete internet)
CAPO IV - Agricoltura e Foreste
Articolo 10 (Salvaguardia dei pascoli montani)
Articolo 12 (Rifugi di montagna)
Articolo 13 (Finalità della fiscalità montana)
Articolo 14 (Imprese montane esercitate da giovani)
Articolo 15 (Agevolazione Io resto in montagna)
Articolo 16 (Agevolazioni trasferimento della proprietà di fondi rustici situati in comuni montani)
Presidenza del Consiglio dei Ministri – Conferenza Unificata
L’articolo 1 definisce le finalità del provvedimento in esame, destinato a promuovere lo sviluppo integrale delle zone montane quale obiettivo di interesse nazionale, con la finalità di limitare gli squilibri economici e sociali rispetto alle altre aree del Paese, sostenere le attività produttive, fronteggiare il problema dello spopolamento e consentire alla popolazione ivi residente la fruizione dei servizi essenziali, in condizioni di parità con chi risiede nelle altre aree del territorio nazionale.
Il provvedimento, si ricorda, è presentato come disegno di legge collegato alla manovra di bilancio per il 2023-2025, secondo quanto indicato nel Documento di economia e finanza 2022 (Doc. LVII, n. 5) e, prima ancora, nella Nota di aggiornamento al DEF 2021 (Doc. LVII, n. 4-bis), che già lo prevedeva a completamento della manovra di bilancio 2022-2024.
In particolare, il comma 1 definisce quale finalità del provvedimento il riconoscimento e la promozione delle zone montane, qualificando lo sviluppo integrale delle zone montane come obiettivo di interesse nazionale in ragione dell’importanza strategica che rivestono tali zone ai fini della tutela dell’ambiente, delle risorse naturali, del paesaggio, della salute, delle loro peculiarità storiche, culturali e linguistiche.
Alla realizzazione delle predette finalità concorrono lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti locali, le comunità montane e gli enti associativi di comuni montani comunque denominati, ciascuno per quanto di rispettiva competenza (comma 2).
Si rammenta che principi analoghi sono enunciati nel vigente articolo 1 della legge n. 97 del 1994, recante “Nuove disposizioni per le zone montane” – che viene ora soppresso dall’art. 19 del d.d.l. in esame – laddove si prevede che “la salvaguardia e la valorizzazione delle zone montane, ai sensi dell'articolo 44 della Costituzione, rivestono carattere di preminente interesse nazionale. Ad esse concorrono, per quanto di rispettiva competenza, lo Stato, le regioni, le province autonome e gli enti locali”.
Nella Relazione illustrativa (A.C. 3628) si sottolinea che il disegno di legge in esame è finalizzato a definire in modo organico e sistematico le politiche pubbliche destinate ai territori montani, raccogliendo in un testo unitario le varie misure di sostegno alle zone montane, con l’obiettivo di ridurre le condizioni di svantaggio attualmente presenti, sostenere le attività produttive, fronteggiare il problema dello spopolamento e consentire alla popolazione residente in tali zone di poter fruire di tutti i servizi essenziali (in primis, la scuola e la sanità) in condizioni di parità con chi risiede nelle altre aree del territorio nazionale.
Secondo i dati dell’UNCEM riportati nella Relazione illustrativa, il territorio montano comprende attualmente 3.524 comuni totalmente montani e 652 comuni parzialmente montani, per un totale complessivo di 4.176 su 7.904 comuni italiani.
In termini di estensione territoriale, su un totale di 302.073 kmq che definiscono il territorio italiano, circa 147.517 kmq sono occupati dai comuni montani, rappresentando, quindi, il 49% del territorio nazionale. In particolare, nelle due regioni della Valle d’Aosta e del Trentino Alto-Adige, il 100% dei comuni sono classificati montani; ed anche in altre regioni si raggiungono percentuali rilevanti.
Riguardo all’andamento demografico, nella Relazione si mette in evidenza la diminuzione costante della popolazione, particolarmente rilevante negli ultimi anni, e il suo costante invecchiamento. “Secondo i dati riportati nella Relazione, “dal 2011 al 2019 solo nei comuni totalmente montani la popolazione ha subito un calo di 149.371 unità e la densità abitativa media si è assestata su 61 abitanti/kmq, a fronte di una media nazionale pari a 197 abitanti/kmq”.
In particolare, il comma 3 chiarisce che il disegno di legge in esame, in attuazione dell’articolo 44, secondo comma, della Costituzione, è volto a:
§ valorizzare le specificità delle zone montane al fine di limitarne gli squilibri economici e sociali rispetto ai territori non montani,
§ favorirne il ripopolamento delle zone montane,
§ garantire a coloro che vi risiedono l’effettivo esercizio dei diritti e l’agevole accesso ai servizi pubblici essenziali,
§ promuovere le attività economiche, quali l’agricoltura e la gestione forestale sostenibile, l’industria, il commercio, l’artigianato e il turismo,
§ tutelare e valorizzare il patrimonio culturale montano.
Si rammenta, in merito, che l’articolo 1 della legge n. 97 del 1994 – che viene ora soppresso dall’art. 19 del d.d.l. in esame - individua, al comma 4, gli interventi speciali per la montagna, indicandoli come “azioni organiche e coordinate dirette allo sviluppo globale della montagna mediante la tutela e la valorizzazione delle qualità ambientali e delle potenzialità endogene proprie dell'habitat montano. Le azioni riguardano i profili:
a) territoriale, mediante formule di tutela e di promozione delle risorse ambientali che tengano conto sia del loro valore naturalistico che delle insopprimibili esigenze di vita civile delle popolazioni residenti, con particolare riferimento allo sviluppo del sistema dei trasporti e della viabilità locale;
b) economico, per lo sviluppo delle attività economiche presenti sui territori montani da considerare aree depresse;
c) sociale, anche mediante la garanzia di adeguati servizi per la collettività;
d) culturale e delle tradizioni locali”.
Infine, il comma 4 prevede che il Governo promuova il riconoscimento della specificità delle zone montane nell’ambito delle istituzioni dell’Unione europea, in coerenza con quanto dispone l’articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
L’articolo 174 del Trattato stabilisce che l’Unione nel proseguire la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale, deve mirare a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite o insulari. Tra le regioni interessate, un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna.
In merito, si rammenta che il Parlamento europeo con le due risoluzioni del 10 maggio 2016, sulla politica di coesione nelle regioni montane dell'Unione europea (2015/2279(INI)), e del 3 ottobre 2018, su come affrontare le esigenze specifiche delle zone rurali, montane e periferiche (2018/2720(RSP)), ha posto la centralità delle aree interne, rurali e montane nelle politiche di sviluppo dell'Unione europea. Lo sviluppo delle zone montane è, in particolare, realizzato, nell’ambito delle politiche di coesione, attraverso i fondi strutturali destinati al rafforzamento della coesione territoriale, economica e sociale, riducendo il divario tra le regioni.
Per quanto riguarda, specificamente, le zone montane delle Alpi a livello di Unione europea opera anche la Strategia Macroregionale Alpina - EUSALP (EU Strategy for the Alpine region); si tratta di un accordo siglato nel 2013 dai Paesi che fanno parte dell’Unione Europea: Italia, Francia, Germania, Austria, Slovenia e da due stati extra europei Svizzera e Liechtenstein; ne fanno parte le 48 regioni e province autonome che si trovano attorno alla catena alpina. Le regioni italiane sono la Lombardia, la Liguria, il Piemonte, la Valle d’Aosta, il Veneto, il Friuli Venezia Giulia e le Province autonome di Trento e Bolzano. La Strategia per la Regione Alpina è stata delineata dalla Commissione al Parlamento, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni con la Comunicazione COM(2015)366 final del 28 luglio 2015.
EUSALP punta a promuovere una gestione sostenibile dell’energia e delle risorse naturali e culturali e la protezione ambientale del territorio, ad aumentare lo sviluppo dell'area alpina, favorendo una mobilità sostenibile, una rafforzata cooperazione accademica tra i paesi e le regioni che ne fanno parte, nonché lo sviluppo di servizi, trasporti e infrastrutture per la sua comunicazione. Al centro dello sviluppo alpino, vuole assicurare una crescita sostenibile e promuovere piena occupazione, la competitività e l'innovazione facendo dialogare, attraverso la cooperazione, le aree montane con le aree urbane.
Da ultimo, lo stato di attuazione della strategia UE per la Regione alpina è illustrato nella Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'attuazione delle strategie macroregionali dell'UE COM(2020) 578 final del 23 settembre 2020.
L’articolo 44 della Costituzione, secondo comma, prevede che “la legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane”. La disposizione figura dopo il primo comma dell’articolo 44 che tratta di “proprietà terriera privata”. Tuttavia, accumunando le zone montane (intese come “ambiente montano abitato” e non quale montagna nella sua accezione fisica) alle “terre da coltivare” (bonifica, trasformazione del latifondo, ecc.), la Costituzione finisce con il considerare le zone montane nel più ampio concetto di “terre alte”, intese come le regioni di montagna occupate e vissute dall’uomo, ove si sviluppano attività agro-silvo-pastorali.
La formulazione del secondo comma dell’articolo 44 riconosce - anche se implicitamente - la condizione di svantaggio in cui versano le aree montane rispetto al restante territorio nazionale.
Nel corso degli anni il legislatore ha approvato alcune leggi “speciali” per le aree montane in attuazione dell’articolo 44, secondo comma, della Costituzione, per la gran parte tutt’ora vigenti.
La legge n. 991 del 1952, recante “Provvedimenti in favore dei territori montani”, oltre a intervenire con disposizioni specifiche per lo sviluppo rurale (concessione di mutui di miglioramento fondiario e per l'artigianato montano, contributi per la gestione dei patrimoni silvo-pastorali, norme in tema di demanio forestale, agevolazioni fiscali), prevedeva la costituzione di “enti per la difesa montana”, quali le aziende speciali e i consorzi per la gestione dei beni silvo-pastorali degli enti pubblici, i consorzi di prevenzione e i comprensori di bonifica montana.
Con la legge n. 1102 del 1971, recante “Nuove norme per lo sviluppo della montagna”, il legislatore si propose di concorrere alla eliminazione degli squilibri di natura sociale ed economica tra le zone montane e il resto del territorio nazionale, alla difesa del suolo e alla protezione della natura mediante una serie di interventi intesi: a dotare i territori montani, con la esecuzione di opere pubbliche e di bonifica montana, delle infrastrutture e dei servizi civili idonei a consentire migliori condizioni di abitabilità ed a costituire la base di un adeguato sviluppo economico; a sostenere, attraverso opportuni incentivi, nel quadro di una nuova economia montana integrata, le iniziative di natura economica idonee alla valorizzazione di ogni tipo di risorsa attuale e potenziale. Lo strumento per la realizzazione degli interventi fu individuato nelle Comunità montane, che avrebbero approntato, in base alle indicazioni del piano regionale, un piano pluriennale per lo sviluppo economico-sociale della propria zona.
Il quadro delle competenze delle Comunità montane fu ridefinito dagli articoli 28 e 29 della legge n. 142 del 1990 nell’ambito della riforma dell'ordinamento degli enti locali, poi confluiti – quali articoli 27 e 28 - nel D.Lgs. 267 del 2000 (T.U. enti locali).
A partire dal 2008, anche in considerazione della crisi economica sopraggiunta e delle conseguenti manovre di finanza pubblica volte a ridurre le spese delle PA - ed in particolare i c.d. “costi della politica” - il legislatore statale ha approvato una serie di disposizioni volte a ridurre gli stanziamenti verso le comunità montane, per poi decretarne la soppressione. Un primo intervento è stato effettuato con la legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007, art. 2, commi da 17 a 22), che impegnava le Regioni a provvedere con proprie leggi al riordino della disciplina delle comunità montane, al fine di ridurre la spesa corrente per il funzionamento delle comunità montane per un importo pari almeno ad un terzo della quota del fondo ordinario ad esse destinato. Con la legge finanziaria 2010 (legge n. 191 del 2009, art. 2, comma 187), si è disposto che dal 1° gennaio 2010 lo Stato cessasse di concorrere al finanziamento delle comunità montane, previsto dall’articolo 34 del D.Lgs. n. 504 del 1992 e dalle altre disposizioni di legge relative alle comunità montane, ponendolo a carico delle Regioni. Con il successivo D.L n. 78 del 2010 (art. 14, comma 28), è stato infine disposto l’obbligo dell’esercizio in forma associata, mediante unione di comuni o convenzione, delle funzioni fondamentali dei comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti, se appartenenti o siano appartenuti a comunità montane, trasferendo, pertanto, le funzioni fino ad allora gestite dalle comunità montane in capo alle unioni di comuni[1]. Risultano ancora “attive” soltanto le Comunità montane di Lombardia (legge n. 19/2008) e Campania (legge n. 12/2008).
Un intervento di complessivo riordino è stato effettuato con la legge 31 gennaio 1994, n. 97, recante “Nuove disposizioni per le zone montane”, che ha legiferato su numerosi aspetti della vita in montagna, quali tra l’altro, la gestione di beni agro-silvo-pastorali (art. 3), la conservazione dell'integrità dell'azienda agricola (artt. 4-5), le aziende agricole montane (art. 5-bis), le tutela ambientale (art. 7), la gestione del patrimonio forestale (art. 9), l’esercizio associato di funzioni e la gestione associata di servizi pubblici (art. 11), lo sviluppo di attività produttive (art. 13), i piccoli imprenditori commerciali (art. 14), l’insediamento in zone montane (art. 19). La legge n. 97 ha inoltre istituito il Fondo nazionale per la montagna (art. 2), con carattere aggiuntivo rispetto ad ogni altro trasferimento ordinario o speciale dello Stato a favore degli enti locali. Le risorse sono ripartite fra le Regioni e le Province autonome (secondo criteri definiti dal CIPE) che provvedono ad istituire propri fondi regionali per la montagna. I criteri di ripartizione devono tener conto dell'esigenza della salvaguardia dell'ambiente con il conseguente sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali eco-compatibili, dell'estensione del territorio montano, della popolazione residente, anche con riferimento alle classi di età, alla occupazione ed all'indice di spopolamento, al reddito medio pro capite, al livello dei servizi e all'entità dei trasferimenti ordinari e speciali. La dotazione del Fondo è stata costantemente ridotta nel corso degli anni: dai circa 67 milioni di euro del 1999 (129,6 miliardi di lire) è scesa a 58 milioni nel 2002, per poi ridursi a 45 milioni nel 2006 e 41,8 milioni nel 2010. Negli anni dal 2011 al 2015 il Fondo non ha avuto risorse; successivamente è stato disposto un rifinanziamento di 5 milioni per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018 con l’art. 1, comma 761, della legge n. 208/2015 (legge di stabilità per il 2016) e di 10 milioni per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021 con l’art. 1, comma 970, della legge di bilancio per il 2019 (legge n. 145/2018).
Con la legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012, art. 1, comma 319) è stato istituito il Fondo nazionale integrativo per i comuni montani, con una dotazione di 1 milione di euro per l'anno 2013 e di 5 milioni annui a decorrere dal 2014, da destinare al finanziamento dei progetti di sviluppo socioeconomico per comuni classificati interamente montani (di cui all'elenco predisposto dall'Istituto nazionale di statistica - ISTAT). La dotazione è stata poi elevata a 10 milioni a decorrere del 2020 dall’art. 1, co. 550, della legge di bilancio 2020 (legge n. 160/2019). Criteri e modalità di funzionamento del Fondo integrativo sono stati definiti con il decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie del 16 gennaio 2014.
Tali due fondi sono, da ultimo, confluiti nel nuovo “Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane”, istituito dall’art. 1, comma 593, della legge n. 234 del 2021 (legge di bilancio 2022), con una dotazione di 100 milioni per il 2022 e 200 milioni a decorrere dal 2023. Il Fondo ha lo scopo di promuovere e realizzare interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle Regioni e delle Province autonome (cfr. scheda art. 4).
Articolo 2
(Classificazione dei comuni montani)
L’articolo 2 reca le norme per la definizione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, dei criteri per la classificazione dei comuni montani e per la redazione dell’elenco dei comuni montani (comma 1). L’elenco è aggiornato dall’ISTAT, entro il 30 settembre di ogni anno (comma 2).
Nell'ambito dell’elenco dei comuni montani sono individuati, con ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, i comuni destinatari delle misure di sviluppo e valorizzazione previste dalla presente legge (comma 3)
In particolare il comma 1 prevede l’adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, per la definizione dei criteri per la classificazione dei comuni montani ai quali si applicano le disposizioni della presente legge, dando rilievo prevalente al criterio altimetrico.
Il DPCM è adottato su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sulla base dei dati forniti dall’ISTAT, previa intesa in sede di Conferenza unificata.
Con il medesimo decreto è inoltre contestualmente definito l’elenco dei comuni montani.
Il comma ribadisce al riguardo che sono, in ogni caso, classificati come montani i comuni che appartengono ad una provincia interamente montana, ai sensi della legge 7 aprile 2014 n. 56 (c.d. legge Delrio).
Si rammenta che l’art. 1, comma 3, secondo periodo, della legge n. 56 del 2014 (c.d. legge Delrio) riconosce alle “province con territorio interamente montano” e che sono confinanti con Paesi stranieri alcune specificità, di cui ai commi da 51 a 57 e da 85 a 97[2]. Le province che sono state individuate dalle rispettive leggi regionali come in possesso contestualmente di entrambi i requisiti sono risultate solamente tre: le province di Belluno, Sondrio e Verbano-Cusio-Ossola; pertanto i comuni ricadenti in tali province sono classificati come montani.
Si prevede altresì una specifica disciplina in caso di fusione o di scissione tra comuni montani e comuni non montani, la quale dispone che:
§ in caso di fusione di un comune classificato come montano con un comune non classificato come montano, il comune risultante dalla fusione conserva la classificazione di comune montano;
§ in caso di scissione di un comune classificato come montano in due o più comuni, i comuni risultanti dalla scissione sono classificati come montani solo ove per essi ricorrano i requisiti definiti dal DPCM.
Nella Relazione illustrativa si evidenzia che, attualmente, l’elenco dei comuni montani è di 4.423 comuni.
I comuni montani e parzialmente montani
Attualmente, i comuni montani e parzialmente montani sono individuati da un elenco elaborato dall’ISTAT, secondo una classificazione trasmessa all’ISTAT dall’UNCEM (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani), conseguente ad una disposizione contenuta all’articolo 1 della legge 25 luglio 1952, n. 991 recante “Provvedimenti in favore dei territori montani” - ora abrogata. Tale legge definiva "montani" i comuni posti per almeno l'80 per cento della loro superficie al di sopra dei 600 metri di altitudine sul livello del mare e quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e quella superiore del territorio comunale non risultasse minore di 600 metri, e nei quali il reddito imponibile medio per ettaro non superasse le 2.400 lire (in base ai prezzi del 1937-1939). Per “comuni parzialmente montani” venivano considerati quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e quella superiore del territorio comunale non fosse minore di 600 metri.
La Commissione censuaria centrale, istituita presso l’allora Ministero delle Finanze, fu incaricata di stilare e mantenere l’elenco nel quale, d'ufficio o su richiesta dei comuni interessati, venivano inclusi i terreni montani.
L’articolo 1 della legge n. 991/1952 è stato tuttavia abrogato dall’articolo 29 della legge n. 142 del 1990, che ha riservato alle singole Regioni il compito di disciplinare, con legge regionale, le Comunità montane, quali enti locali formati dall’unione di comuni montani e parzialmente montani.
L’abrogazione ha di fatto impedito la possibilità che tale classificazione fosse rivista e/o aggiornata nel tempo.
Da ultimo, l’articolo 1, comma 319, della legge di stabilità per il 2013 (legge n. 228 del 2012), che ha istituito il “Fondo nazionale integrativo per i comuni montani”, ha individuato come destinatari del Fondo i comuni che siano classificati interamente montani ai sensi dell’elenco dei comuni italiani predisposto dall’ISTAT, di cui sopra.
Sulla questione dell’elenco sulla classificazione dei comuni montani, l’ISTAT con comunicato del 5 febbraio 2015 ha precisato che “la classificazione per grado di montanità, che prevede la suddivisione dei comuni in totalmente montani, parzialmente montani e non montani, non è una “classificazione Istat” ma l’esito dell’applicazione dell’art. 1 della legge 991/1952 – Determinazione dei territori montani. Tale classificazione è stata trasmessa all’ISTAT dall’UNCEM, come viene anche specificato nelle note dell’elenco pubblicato, ed è stata inclusa tra le informazioni di interesse ai fini dello studio statistico del territorio comunale congiuntamente ai codici statistici comunali”. L’ISTAT sottolinea, infine, che “l’abrogazione degli articoli 1 e 14 della legge n. 991/1952, avvenuta con una successiva norma (legge 142/1990), ha di fatto impedito la possibilità di rivedere e/o aggiornare tale classificazione”.
L’attuale elenco dei comuni montani, redatto dall’Istat in applicazione della legge 2 luglio 1952, n. 991, è riportato nel Bando del 28 giugno 2019 del Capo del Dipartimento degli Affari regionali e delle autonomie (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 161 del 11 luglio 2019), che ha definito la modalità di presentazione delle richieste di finanziamento dei progetti da parte dei comuni totalmente montani ai fini del riparto delle risorse del Fondo integrativo per i comuni montani.
L’elenco è attualmente composto da 4.423 comuni.
Il comma 2 prevede che entro il 30 settembre di ciascun anno l’ISTAT, in applicazione dei criteri stabiliti dal decreto di cui al comma 1, provvede all’eventuale aggiornamento dell’elenco dei comuni montani, con efficacia a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo.
Dalla formulazione del testo sembrerebbe che l’ISTAT, con un proprio provvedimento autonomo, possa modificare direttamente un elenco precedentemente approvato con DPCM. Al riguardo si valuti l’opportunità di prevedere che la deliberazione dell’ISTAT venga recepita in un successivo DPCM, modificativo del precedente.
Il comma 3 dispone, infine, che nell’ambito dell’elenco dei comuni montani, definito ai sensi del comma 1, sono individuati con un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei ministri i comuni destinatari delle misure di sviluppo e valorizzazione previste dalla presente legge.
Tale DPCM deve essere emanato entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore del DPCM recante l’elenco dei comuni montani (di cui al comma 1), su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sulla base dei dati forniti dall’ISTAT, previa intesa con la Conferenza unificata.
L’individuazione dei comuni destinatari delle misure previste dal disegno di legge in esame è effettuato sulla base dell'adeguata ponderazione del criterio altimetrico - usato in via prevalente per individuare i comuni da qualificare come montani, ai sensi del comma 1 - in combinazione con ulteriori indici indicativi:
§ del calo demografico,
§ della distanza e della difficoltà di accesso ai servizi pubblici essenziali,
§ dei tempi di collegamento stradali o ferroviari con i centri urbani,
§ della densità delle attività commerciali e degli insediamenti produttivi,
§ del reddito medio pro capite o del reddito imponibile medio per ettaro.
Si ricorda che alcuni dei suindicati indici sono stati utilizzati nell’ambito della Strategia nazionale per le aree interne (SNAI).
Infatti i territori sono stati identificati in base a parametri determinati dalla presenza di offerta sul territorio di tre servizi essenziali relativi all’assistenza ospedaliera, all’istruzione e ai trasporti ferroviari. Si tratta di tre settori che sono hanno particolarmente subito gli effetti delle manovre correttive di finanza pubblica, volte a determinare risparmi di spesa nella gestione di tali servizi, con conseguente soppressione di alcune strutture, che nei territori montani hanno ulteriormente acuito lo spopolamento e la conseguente capacità di sviluppo e di produzione di reddito.
A titolo esemplificativo, si ricorda che, al fine di definire il concetto di “aree interne”, il territorio nazionale è stato suddiviso a livello comunale secondo un criterio di capacità di offerta di alcuni specifici servizi essenziali, che sono stati identificati nella presenza sul territorio di un istituto di scuola secondaria superiore, di una struttura ospedaliera sede di un DEA (Dipartimento di emergenza e accettazione) di primo livello[3] e di una stazione ferroviaria classificata non inferiore a "Silver"[4].
In base alla compresenza di questi tre requisiti sono stati individuati i "poli urbani" e i "poli intercomunali", composti da quei comuni tra loro vicini nei quali erano presenti "congiuntamente" i tre servizi essenziali.
Conseguentemente, i comuni non rientranti nei poli sono stati classificati in base ad un indicatore di "accessibilità", calcolato in termini di minuti di percorrenza per raggiungere il polo più prossimo: i limiti sono stati fissati in meno di 20 minuti (aree periurbane o di cintura), tra 20 e 40 minuti (aree intermedie), tra 40 e 75 minuti (aree periferiche) e oltre i 75 minuti (aree ultraperiferiche).
I comuni con tempi di accessibilità superiori ai 20 minuti dal polo più vicino sono stati classificati "aree interne".
I precedenti tentativi di classificazione normativa dei comuni montani.
Nella XVI legislatura il disegno di legge A.S. 2566 (Disposizioni in favore dei territori di montagna)[5], all’articolo 2, comma 3, prevedeva che, ai soli fini della ripartizione del “Fondo nazionale integrativo per i comuni montani svantaggiati” (previsto dal disegno di legge stesso), il decreto del Ministro per i rapporti con le Regioni e per la coesione territoriale avrebbe provveduto al riconoscimento, come comuni montani svantaggiati, dei comuni caratterizzati alternativamente dalle seguenti caratteristiche altimetriche e geografiche:
a) posizionamento di almeno il 70 per cento del territorio comunale al di sopra dei 400 metri di altitudine sul livello del mare;
b) posizionamento di almeno il 40 per cento del territorio comunale al di sopra dei 400 metri di altitudine sul livello del mare e presenza in almeno il 30 per cento del territorio comunale di una pendenza superiore al 20 per cento.
Per i comuni situati nelle regioni alpine il successivo comma 4 elevava le soglie di 400 metri di altitudine sul livello del mare a 500 metri.
In aggiunta a tali requisiti, per l’individuazione di un comune come “comune montano svantaggiato” era peraltro richiesta la sussistenza di particolari situazioni di svantaggio sociale ed economico dovute alla presenza di fenomeni di dissesto idrogeologico del territorio, alla marginalità delle aree e alla limitata accessibilità dei territori montani. Infine le Regioni avrebbero provveduto alla classificazione del rispettivo territorio montano.
Una proposta scientifica di definizione di comune montano era stata precedentemente formulata dall’Ente italiano per la montagna (EIM)[6]. L’EIM aveva effettuato una serie di proiezioni a scala nazionale per individuare gli indicatori più adeguati a classificare la montagna ed elaborare una definizione “aperta” di montagna, attraverso l’individuazione di alcune sue caratteristiche distintive, da precisare e calibrare in base alle finalità della definizione. La proposta di classificazione elaborata dall’EIM era la seguente: sono montani i comuni situati per il 70% della loro superficie al di sopra dei 500 metri di altitudine sul livello del mare, ovvero i comuni che abbiano almeno il 40% della loro superficie al di sopra dei 500 metri di altitudine sul livello del mare e nei quali il 30% del territorio presenti una pendenza superiore al 20%; nelle regioni alpine il limite minimo di altitudine è di 600 metri”.
Articolo 3
(Strategia Nazionale per la montagna italiana)
L’articolo 3 reca la definizione della Strategia nazionale per la montagna italiana (SNAMI), attraverso la quale vengono attuate le politiche di sviluppo delle aree montane (comma 1). La Strategia è definita con un orizzonte temporale triennale dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano (comma 2). Al fine di elaborare le politiche pubbliche volte al perseguimento delle finalità di sviluppo dei territori montani, il comma 3 istituisce il Tavolo tecnico-scientifico permanente per lo sviluppo delle montagne italiane.
Il comma 1 definisce la Strategia Nazionale per la montagna italiana (SNAMI), attraverso la quale vengono attuate le politiche di sviluppo delle aree montane.
La Relazione illustrativa sottolinea che una strategia specifica per la valorizzazione dei territori montani, volta in particolare ad innovare e modernizzare metodi e strumenti operativi verso la transizione ecologica e digitale, è considerata necessaria per affrontare con strumenti appropriati non solo alcuni problemi storici delle montagne (lo spopolamento, l’invecchiamento della popolazione, la costante perdita di servizi e competitività), ma anche quelli, non meno seri, prodotti dagli effetti negativi del cambiamento climatico e della pandemia.
La Strategia individua, articolandole per linee strategiche, le priorità e le direttive delle politiche per le zone montane al fine di promuovere:
§ la crescita e lo sviluppo economico e sociale dei territori montani,
§ la possibilità di accesso alle infrastrutture digitali e ai servizi essenziali, con riguardo prioritario a quelli socio-sanitari e dell’istruzione,
§ il sostegno alla residenzialità, alle attività commerciali e agli insediamenti produttivi,
§ il ripopolamento dei territori.
Dal punto di vista finanziario, la Strategia si attua nell’ambito delle risorse disponibili del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane.
Ai sensi del successivo articolo 4 del disegno di legge in esame, la SNAMI rientra, infatti, tra gli interventi oggetto di finanziamento da parte del predetto Fondo a decorrere dall’anno 2023 (cfr. la relativa scheda di lettura).
Si tratta del Fondo istituito dall’articolo 1, comma 593, della legge n. 234 del 2021 (legge di bilancio per il 2022), con una dotazione di 100 milioni per il 2022 e 200 milioni a decorrere dal 2023.
Il Fondo presenta peraltro, nel bilancio per il 2022-2024, una disponibilità di risorse pari a 129,5 milioni per il 2022 e a 209,5 milioni a decorrere dal 2023, in quanto in esso sono confluite anche le risorse del Fondo nazionale per la montagna previsto dall’art. 2 della legge n. 97/1994 (20 milioni per il solo 2022) – che viene peraltro soppresso dall’articolo 19 del ddl in esame - nonché le risorse del Fondo integrativo per i comuni montani, di cui all’art. 1, commi 319-321, della legge n. 228/2012 (9,5 milioni a regime).
L’individuazione delle linee strategiche della SNAMI si attua in un'ottica di complementarità e sinergia con le politiche attuate nell'ambito della Strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne del Paese (SNAI), finanziata con le risorse delle politiche di coesione e finalizzata a contrastare la marginalizzazione e i fenomeni di declino demografico propri delle aree interne del nostro Paese, in larga parte coincidenti con quelle delle zone montane (per un approfondimento sulla SNAI, cfr. box in fondo alla scheda).
La SNAMI è definita con cadenza triennale con decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano. Per le misure inerenti l’accesso alle infrastrutture digitali, è richiesto il concerto con il Ministro per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale (comma 2).
Il comma 3 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie un Tavolo tecnico scientifico permanente per lo sviluppo della montagna italiana, il quale svolge attività di supporto tecnico-scientifico al Dipartimento, ai fini dell’elaborazione delle politiche pubbliche volte al perseguimento delle finalità del provvedimento in esame.
Il Tavolo coadiuva inoltre il Dipartimento nella predisposizione della Relazione annuale sullo stato della montagna e nella predisposizione della Strategia Nazionale per la montagna italiana.
Alle sedute del Tavolo partecipano tre rappresentanti delle Regioni, un rappresentante dell’ANCI, uno dell’UPI e uno dell’UNCEM, designati dalla Conferenza unificata.
Il Tavolo può peraltro avvalersi della collaborazione di Università e soggetti, pubblici e privati rappresentativi dei settori interessati o comunque dotati di comprovata esperienza.
Il Tavolo è istituito senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Ai componenti del Tavolo non sono dunque corrisposti compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.
Si segnala, al riguardo, che già nel giugno 2021, è stato istituito presso il Ministero per gli Affari Regionali e le Autonomie un Tavolo tecnico scientifico sulla montagna, per la predisposizione del disegno di legge in esame e per l’elaborazione della Strategia nazionale per la montagna.
Il Tavolo, coordinato dal Sindaco di Edolo (provincia di Brescia), dott. Luca Masneri, è composto da circa 40 soggetti, tra cui Associazione Maestri di Sci Italiani, Collegio Nazionale Maestri di Sci, Club Alpino Italiano, Corpo nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, Collegio Nazionale Guide Alpine Italiane, Conferenza delle Regioni, UPI, ANCI, UNCEM e FEDERBIM, nonché numerosi docenti universitari.
La Strategia nazionale per le aree interne del Paese costituisce una delle linee strategiche di intervento dei Fondi strutturali europei del ciclo di programmazione 2014-2020, definite nell’ambito dell’Accordo di Partenariato[7], e rappresenta una azione diretta al sostegno della competitività territoriale sostenibile, al fine di contrastare, nel medio periodo, il declino demografico che caratterizza talune aree del Paese, definite come quelle aree più lontane dai poli di servizio essenziale primario e avanzato, che corrispondono al 60% della superficie territoriale, al 52% dei Comuni e al 22% della popolazione italiana.
La Strategia, che ha lo scopo di creare nuove possibilità di reddito e di assicurare agli abitanti maggiore accessibilità ai servizi essenziali, con riferimento prioritariamente ai servizi di trasporto pubblico locale, di istruzione e socio-sanitari, è sostenuta sia dai fondi europei (FESR, FSE e FEASR), per il cofinanziamento di progetti di sviluppo locale, sia da risorse nazionali.
Per la Strategia Nazionale per le Aree Interne il legislatore ha stanziato risorse nazionali, a partire dall'esercizio 2014, per complessivi 591,2 milioni per il periodo 2015-2023, a valere sulle risorse del Fondo per l'attuazione delle politiche comunitarie (art. 5 della legge n. 187 del 1983, c.d. Fondo IGRUE). I finanziamenti statali sono stati assegnati dal CIPE con le delibere 28 gennaio 2015, n. 9, 10 agosto 2016, n. 43, 7 agosto 2017, n. 80 e 25 ottobre 2018, n. 52.
Il processo di selezione delle aree, per il ciclo 2014-2020, è stato completato nel corso del 2017 e ha interessato 72 aree, composte da 1.060 Comuni, da poco meno di 2 milioni abitanti (dato al 2020) e un territorio di circa 51.000 kmq, pari ad un sesto del territorio nazionale. Come illustrato nell’ultima Relazione annuale sulla strategia nazionale per le aree interne del Dipartimento Politiche di coesione, nel primo semestre 2021 è stato completato il processo di approvazione delle strategie di tutte le 72 aree selezionate nell’ambito della Strategia del ciclo 2014-2020. Al 31 dicembre 2021 risultano sottoscritti 46 Accordi di programma quadro.
Con l'articolo 58 del D.L. n. 77/2021 (c.d. semplificazioni) si è intervenuti sul procedimento di attuazione della SNAI, prevedendo che all'attuazione degli interventi si provveda mediante nuove modalità che saranno individuate da una apposita delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS), anziché mediante lo strumento dell'Accordo di programma quadro.
Si ricorda, infine, che è in fase di elaborazione un aggiornamento della mappatura delle aree interne per il nuovo ciclo di programmazione 2021-2027, operato da ISTAT in coordinamento con il Dipartimento per le politiche di coesione, da sottoporre alla Conferenza Unificata e al CIPESS (cfr. quanto riportato nella citata Relazione annuale sulla strategia nazionale per le aree interne[8]).
Articolo 4
(Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane)
L’articolo 4 dispone in merito al Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, individuando gli interventi oggetto di finanziamento da parte del Fondo a decorrere dall’anno 2023. In particolare, oltre agli interventi espressamente previsti dalla normativa istitutiva, il Fondo finanzia la Strategia Nazionale per la montagna italiana (SNAMI) e gli interventi di sostegno delle zone montane introdotti dal disegno di legge in esame.
L’articolo dispone che le risorse erogate dal Fondo hanno carattere aggiuntivo rispetto ad ogni altro trasferimento ordinario o speciale dello Stato a favore degli enti locali o delle politiche per la montagna, anche rispetto a trasferimenti di fondi europei.
In base al comma 1, le risorse del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane a decorrere dall’anno 2023 sono destinate al finanziamento:
a) degli interventi ricompresi nelle lettere da a) a f) dell’articolo 1, comma 593, nonché le iniziative di cui al comma 594, della legge n. 234/2021;
b) della SNAMI (cfr. scheda art. 3);
c) degli interventi a sostegno della montagna introdotti dalle disposizioni di cui ai capi III, IV e V del disegno di legge in esame.
Più nel dettaglio, il Fondo finanzia:
§ gli interventi indicati dalle lettere da a) a f) del comma 593 della legge di bilancio per il 2022 e le ulteriori iniziative previste dal comma 594. Si tratta, in particolare, di:
a) interventi per la tutela e la promozione delle risorse ambientali dei territori montani;
b) interventi che diffondono e valorizzano le migliori iniziative in materia di tutela e valorizzazione delle qualità ambientali e delle potenzialità endogene proprie dell'habitat montano;
c) attività di informazione e di comunicazione sui temi della montagna;
d) interventi di carattere socio-economico a favore delle popolazioni residenti nelle aree montane;
e) progetti finalizzati alla salvaguardia dell’ambiente e dello sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali;
f) iniziative volte a ridurre i fenomeni di spopolamento.
Le ulteriori iniziative previste dal comma 594 che sono quelle volte a sostenere, a realizzare e a promuovere politiche a favore della montagna, che vengono finanziate direttamente dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie.
§ la Strategia Nazionale per la montagna italiana (SNAMI), di cui all’articolo 3, la quale ha lo scopo di promuovere interventi per:
- la crescita e lo sviluppo economico e sociale dei territori montani,
- l’accessibilità alle infrastrutture digitali e ai servizi essenziali, con riguardo prioritario a quelli socio-sanitari e dell’istruzione,
- il sostegno alla residenzialità, alle attività commerciali e agli insediamenti produttivi,
- il ripopolamento dei territori.
§ gli interventi a sostegno della montagna introdotti dalle disposizioni di cui ai Capi III, IV e V del disegno di legge in esame.
Nel disegno di legge in esame le disposizioni che recano misure a sostegno delle zone montane, la cui copertura finanziaria è posta a carico del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, sono le seguenti:
Capo III:
- art. 7: sanità di montagna: credito di imposta in favore di operatori sanitari e socio-sanitari per locazione o acquisto di immobile (10 milioni a decorrere dal 2024);
- art. 8: scuole di montagna: credito di imposta in favore di personale scolastico per locazione o acquisto di immobile (10 milioni a decorrere dal 2024);
Capo IV:
- art. 11: agricoltori e selvicoltori di montagna: credito di imposta per miglioramento delle pratiche di coltivazione e gestione benefiche per l’ambiente e il clima (4 milioni per le annualità dal 2024 al 2026);
Capo V:
- art. 14: imprese montane “giovani”: credito di imposta per piccole imprese e microimprese in cui il titolare o almeno uno degli esercenti non abbia compiuto 35 anni di età (20 milioni a decorrere dal 2024);
- art. 15: “Io resto in montagna”: detrazioni d’imposta sugli interessi passivi pagati in dipendenza di mutui contratti per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale da parte di contribuenti sotto i 41 anni di età (17,5 milioni per il 2023 e 10 milioni a decorrere dal 2024);
- art. 16: agevolazioni fiscali per il trasferimento di proprietà di fondi rustici (1,6 milioni dal 2023);
- art. 17: contributo al CREA per il Registro dei crediti di carbonio generati da progetti forestali (1 milione dal 2023).
Per quel che concerne le risorse finanziarie del Fondo, si rammenta che esso è stato istituito dalla legge di bilancio per il 2022 con una dotazione100 milioni per il 2022 e 200 milioni a decorrere dal 2023.
L’articolo 1, comma 593, della legge n. 234 del 2021 (legge di bilancio per il 2022) ha istituito il Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane con l’obiettivo di promuovere e realizzare interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle Regioni e delle Province autonome. Il Fondo è destinato sia ad interventi sia di competenza statale che di competenza regionale, al cui riparto si provvede con decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie; per gli interventi di competenza di Regioni ed enti locali, è prevista la previa intesa in Conferenza unificata.
Per quel che concerne le risorse, il Fondo è stato istituito con una dotazione di 100 milioni per il 2022 e 200 milioni a decorrere dal 2023. Nel Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane sono peraltro confluiti, ai sensi del comma 596 della legge di bilancio 2022, il Fondo nazionale per la montagna (previsto dall’articolo 2 della legge n. 97/1994) ed il Fondo integrativo per i comuni montani[9] (previsto dall’articolo 1, commi 319-321, della legge n. 228/2012), le cui risorse sono state pertanto trasferite al nuovo Fondo (cap. 2068/MEF), il quale risulta, dunque, dotato di 129,5 milioni per il 2022 e di 209,5 milioni a decorrere dal 2023.
Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane |
2022 |
2023 |
2024 |
Stanziamento autorizzato dall’art. 1, co. 593 (cap. 2068/MEF) |
100,0 |
200,0 |
200,0 |
Fondo nazionale per la montagna (cap. 7469/MEF) |
20,0 |
- |
- |
Fondo integrativo per i comuni montani (cap. 2126/MEF) |
9,5 |
9,5 |
9,5 |
TOTALE Fondo (cap. 2068/MEF) |
129,5 |
209,5 |
209,5 |
Si segnala che le risorse relative all’annualità 2022 (129,5 milioni) sono già state ripartite con decreti del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, in corso di pubblicazione (per una analisi del riparto del Fondo per il 2022, si rinvia al box in fondo alla scheda).
Va ricordato, infine, per completezza, che risultano escluse dai benefici del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane (analogamente a quanto applicato finora per il Fondo nazionale per la montagna e per il Fondo integrativo per i comuni montani) le Province autonome di Trento e di Bolzano, dal momento che, dal 2010, esse sono escluse in via generale dalla ripartizione di finanziamenti statali, in seguito all'articolo 2, comma 109, della legge n. 191/2009.
Il citato comma 109 dell’art. 2 della legge n. 191/2009 ha, infatti abrogato, con decorrenza 1° gennaio 2010, le disposizioni della legge n. 386/1989 (in particolare, l'art. 5, comma 1) che prevedevano la partecipazione delle province autonome alla ripartizione di fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi di prestazioni in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, secondo i criteri e le modalità per gli stessi previsti.
Il comma 2 stabilisce che gli stanziamenti del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane relativi agli interventi di competenza delle regioni e degli enti locali sono ripartiti anche tenendo conto della normativa regionale di sostegno e valorizzazione delle zone montane.
Si ricorda, infatti, che ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione, la materia degli interventi a favore delle zone montane rientra tra le c.d. competenze legislative residuali delle regioni.
Con la riforma costituzionale del 2001, l’articolo 117 indica, in primis al comma 2, le materie attribuite allo Stato e quindi, al comma 3, le materie di legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Al comma 4 viene pertanto definita la c.d. “potestà legislativa residuale” spettante alle Regioni per ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. La montagna e le aree montane, non figurando né tra le competenze esclusive statali, né tra le competenze legislative concorrenti, rientrano pertanto – per esclusione – nelle competenze legislative residuali delle Regioni.
Si rammenta infatti che, ai fini del riparto degli stanziamenti del Fondo, l’articolo 1, comma 595, della legge n. 234/2021, ne stabilisce la destinazione in parte ad interventi di competenza statale e al finanziamento delle campagne istituzionali sui temi della montagna ed in parte ad interventi di competenza regionale. Al riparto delle due quote si provvede con decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie; per il riparto della quota destinata agli interventi di competenza delle Regioni e degli enti locali è necessaria la previa intesa in Conferenza unificata.
Dalla formulazione del testo non appaiono chiari gli effetti che deriverebbero, sul piano finanziario, dall’esigenza di tenere conto anche della “normativa regionale di sostegno e valorizzazione delle zone montane”. In particolare, si valuti l’opportunità di chiarire se dalla formulazione in esame debba derivare l’assegnazione di minori risorse del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane a quei territori montani per i quali le Regioni già provvedono ad erogare contributi (con un effetto, dunque, di tipo perequativo) o, al contrario, l’assegnazione di quote di premialità (che si aggiungono a quella fissa, come avvenuto per il riparto dell’annualità 2022), purché cofinanziata in ugual misura dalla regione.
Il comma 3 stabilisce che una quota parte delle risorse del Fondo destinate agli interventi di competenza statale, non superiore a 300.000 euro annui, possa essere destinata ad attività di assistenza tecnica e consulenza gestionale per le azioni e gli interventi, qualora non siano disponibili adeguate professionalità presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie.
Il comma 4 precisa che le risorse erogate dal Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane hanno carattere aggiuntivo rispetto ad ogni altro trasferimento ordinario o speciale dello Stato a favore degli enti locali o delle politiche per la montagna, anche rispetto a trasferimenti di fondi europei.
Ai sensi del comma 5, le misure disposte dalla presente legge che si configurano come aiuti di Stato sono applicate nel rispetto degli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).
Si valuti l’opportunità di specificare - per ciascuna misura contenuta nel disegno di legge recante un aiuto di Stato - la relativa disciplina europea in materia e, in particolare, se trattasi di regimi di aiuti che si intende concedere nel rispetto della disciplina europea degli aiuti di stato in regime di esenzione “de minimis”, ovvero nel rispetto dei massimali e delle condizioni previste dai regolamenti di esenzione per categoria; e, infine, se è necessario l’obbligo di previa notifica alla Commissione.
Ai sensi dell’articolo 107, par. 1 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 87 del TCE) “sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. Lo stesso articolo 107 TFUE prevede, al par. 2, poi tre categorie di aiuti ope legis compatibili[10], e indica, al par. 3, delle tipologie di aiuti che possono essere considerate, sulla base di una valutazione della Commissione europea, compatibili con il mercato interno[11].
In via generale, secondo l’articolo 108 del Trattato, lo Stato membro deve quindi notificare preventivamente le misure di aiuto alla Commissione europea prima di concederle[12].
Purtuttavia, è ammessa l’adozione, da parte della Commissione di regolamenti volti a disciplinare le categorie di aiuti le quali, sulla base di quanto previsto dal Consiglio, possono essere dispensate (esentate) dalla procedura di notifica ex ante[13]: come i regolamenti sugli aiuti di Stato di modesta entità, cd. “de minimis” e i regolamenti di esenzione per categoria di aiuto, GBER - General Block Exemption Regulation, ABER- Agricultural Block Exemption Regulation e FIBER- Fishery block exemption regulation.
Dunque, se si richiama, nel disposto legislativo recante un aiuto, un regolamento “de minimis” o di “esenzione per categoria”, significa che si intendere concedere l’aiuto entro le tipologie, i limiti ed i massimali indicati nel regolamento stesso e dunque così non dover notificare la misura preventivamente alla Commissione UE.
Laddove, l’aiuto non soddisfi le specifiche condizioni delineate per le categorie esentate, dovrà essere notificato ex ante alla Commissione UE e su di esso la Commissione effettuerà un’analisi approfondita sulla base dei criteri stabiliti nel Trattato e nei diversi Orientamenti dalla stessa adottati concernenti i settori interessati.
Quindi, nel caso in cui i massimali di aiuto e le tipologie di aiuto non ricadano nelle fattispecie esentate dall’obbligo di notifica preventiva, la norma non dovrà richiamare né i regolamenti “de minimis” né i “regolamenti di esenzione”, ma i pertinenti Orientamenti della Commissione europea, ovvero, più spesso e genericamente, il rispetto della normativa europea conferente in materia di aiuti di Stato e l’obbligo di previa notifica alla Commissione UE.
Infine, il comma 6 autorizza il Ministero dell’economia e delle finanze ad apportare le variazioni di bilancio necessarie alla copertura finanziaria delle misure di cui ai capi III, IV e V del presente disegno di legge.
Si rileva infatti che la copertura finanziaria delle predette misure è posta a carico sulle risorse del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, che viene, pertanto, corrispondentemente ridotto.
Nella tavola che segue sono state indicate le disposizioni del disegno di legge in esame che determinano oneri, alla cui copertura finanziaria si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane:
(milioni di euro)
Art. |
Oggetto |
2023 |
2024 |
2025 |
2026 |
dal 2027 |
7 |
Credito d’imposta personale sanità |
- |
10,0 |
10,0 |
10,0 |
10,0 |
8 |
Credito d’imposta personale scuola |
- |
10,0 |
10,0 |
10,0 |
10,0 |
11 |
Credito d’imposta coltivatori |
- |
4,0 |
4,0 |
4,0 |
- |
14 |
Credito d’imposta imprese montane giovani |
- |
20,0 |
20,0 |
20,0 |
20,0 |
15 |
Detrazione mutui “Io resto in montagna” |
17,5 |
10,0 |
10,0 |
10,0 |
10,0 |
16 |
Agevolazioni fiscali per il trasferimento di proprietà di fondi rustici |
1,6 |
1,6 |
1,6 |
1,6 |
1,6 |
17 |
Contributo al CREA per Registro dei crediti di carbonio generati da progetti forestali |
1,0 |
1,0 |
1,0 |
1,0 |
1,0 |
|
TOTALE RIDUZIONI DEL FONDO |
20,1 |
56,6 |
56,6 |
56,6 |
52,6 |
Nel complesso, dunque, le disposizioni introdotte dal provvedimento in esame dispongono una riduzione delle risorse del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane pari a 20,1 milioni di euro per il 2023, a 56,6 milioni per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026 e a 52,6 milioni di euro a decorrere dal 2027.
Le risorse relative all’annualità 2022 (129,5 milioni) sono state ripartite con un primo decreto del Ministro per gli affari regionali e le autonomie del 29 marzo 2022, il quale ha fissato in 20 milioni la quota destinata ad interventi di competenza statale e al finanziamento delle campagne istituzionali sui temi della montagna.
Con successivo decreto del Ministro (in corso di registrazione presso la Corte dei conti) è stata ripartita tra le Regioni la quota di risorse (109,56 milioni) assegnata agli interventi di competenza regionale, sul cui schema è stata raggiunta l’Intesa nella Conferenza Unificata del 25 maggio 2022, ai sensi dell’articolo 1, comma 595, della legge n. 234/2021.
In particolare, con riferimento al decreto 29 marzo 2022, le risorse finanziarie (20 milioni) sono state destinate a sostenere, realizzare e promuovere politiche di competenza statale per le finalità di cui all'articolo 1, comma 593, della legge n. 234/2021, con particolare riferimento a:
a) individuazione di progetti volti alla creazione di startup innovative per favorire l'avvio di imprese nei territori montani;
b) avvio di iniziative di comunicazione istituzionale sui temi della montagna, con particolare, riferimento al ricorrere del ventennale della "Giornata internazionale della montagna" che avrà come tema fondamentale "Lo sviluppo sostenibile della montagna", anche attraverso il lancio di un concorso di idee per l'ideazione e la definizione di un progetto grafico che sia in grado di raffigurare, sintetizzare e comunicare il tema oggetto della predetta giornata;
c) interventi che diffondano e valorizzino le migliori iniziative in materia di educazione allo sviluppo sostenibile ed all'educazione ambientale - che costituiscono la base dell'educazione alla montagna - adottate presso le scuole secondarie di primo e secondo grado, al fine di agevolare lo scambio di esperienze virtuose e buon pratiche, anche realizzando attività di formazione per la diffusione di tali buone pratiche;
d) iniziative volte a premiare giovani imprenditori di montagna;
e) introduzione di specifici premi destinati alle migliori tesi di laurea sui temi della montagna (quali sostenibilità in montagna, digitalizzazione in montagna, valorizzazioni dei prodotti agroalimentari, ecc.);
f) ricognizione e promozione delle opportunità nazionali ed internazionali volte a valorizzare le zone montane anche con riferimento alle prossime olimpiadi invernali Milano Cortina 2026.
Una percentuale non superiore al 3% della quota di 20 milioni (600.000 euro) può essere destinata ad attività di assistenza tecnica e consulenza gestionale per le azioni e gli interventi previsti, quando non siano disponibili presso il Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie adeguate professionalità.
Le risorse di competenza regionale (109,5 milioni), di cui all’Intesa del 25 maggio 2022, sono destinate a sostenere, realizzare e promuovere interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle regioni, anche con carattere di innovatività rispetto alle misure previste a livello nazionale, o di continuità dei progetti già attivi sui territori interessati, con particolare riferimento a:
a) azioni di tutela, promozione e valorizzazione delle risorse ambientali dei territori montani, anche attraverso la realizzazione delle Green Community;
b) interventi volti alla creazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabile, ivi compresi quelli idroelettrici;
c) misure di prevenzione del rischio del dissesto idrogeologico nei territori montani;
d) progetti finalizzati alla salvaguardia dell'ambiente e della biodiversità e allo sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali, anche con riferimento alla filiera del legno;
e) misure di incentivazione per la crescita sostenibile e lo sviluppo economico e sociale dei territori montani, ivi compresi interventi di mobilità sostenibile;
f) interventi per l'accessibilità alle infrastrutture digitali e per il rafforzamento dei servizi essenziali, con particolare riguardo prioritario a quelli socio-sanitari e dell'istruzione;
g) iniziative volte a contrastare lo spopolamento dei territori.
Nelle more di un aggiornamento dei criteri di riparto, tali risorse sono ripartite tra le Regioni applicando i coefficienti già utilizzati per la ripartizione del Fondo nazionale per la montagna 2016-2019, nelle misure indicate nella successiva tabella, di cui 87,6 milioni quale quota fissa (pari all’80% della disponibilità del Fondo) e 21,9 milioni quale quota premiale (20% della disponibilità del Fondo).
I coefficienti di ripartizione sono stati formulati tenendo conto dell'esclusione delle Province Autonome di Trento e Bolzano a seguito di quanto disposto dall'articolo 2, comma 109, della legge 23 dicembre 2009 n. 191, che, a decorrere dal 1° gennaio 2010, abroga l'articolo 5 della legge 30 novembre 1989 n. 386.
Regioni
|
Coefficienti (%) |
Quota fissa (80% Fondo) |
Premialità (20% Fondo) |
Piemonte |
8,464 |
7.414.902,40 |
1.853.725,60 |
Valle d'Aosta |
1,532 |
1.342.111,20 |
335.527,80 |
Lombardia |
8,225 |
7.205.526,40 |
1.801.381,60 |
P.A. di Bolzano |
- |
- |
- |
P.A. di Trento |
- |
- |
- |
Veneto |
3,516 |
3.080.198,40 |
770.049,60 |
Friuli-Venezia Giulia |
2,185 |
1.914.172,80 |
478.543,20 |
Liguria |
2,545 |
2.229.552,00 |
557.388,00 |
Emilia-Romagna |
5,578 |
4.886.616,80 |
1.221.654,20 |
Toscana |
6,127 |
5.367.569,60 |
1.341.892,40 |
Umbria |
3,456 |
3.027.635,20 |
756.908,80 |
Marche |
3,129 |
2.741.166,40 |
685.291,60 |
Lazio |
5,887 |
5.157.316,80 |
1.289.329,20 |
Abruzzo |
5,538 |
4.851.575,20 |
1.212.893,80 |
Molise |
2,470 |
2.163.848,00 |
540.962,00 |
Campania |
7,733 |
6.774.508,80 |
1.693.627,20 |
Puglia |
3,618 |
3.169.555,20 |
792.388,80 |
Basilicata |
4,981 |
4.363.613,60 |
1.090.903,40 |
Calabria |
8,183 |
7.168.732,00 |
1.792.183,00 |
Sicilia |
6,596 |
5.778.437,60 |
1.444.609,40 |
Sardegna |
10,237 |
8.968.l 41,60 |
2.242.035,40 |
ITALIA |
100,00 |
87.605.180,00 |
21.901.295,00 |
La quota premiale sarà erogata alle regioni che provvedono al cofinanziamento delle azioni indicate dallo stesso decreto (art. 1, co. 2) da realizzare con finanziarie di diversa fonte, di importo almeno pari alla quota premiale. Le risorse “premiali” che non saranno assegnate per mancanza di cofinanziamento, saranno automaticamente ripartite nel corso del medesimo esercizio finanziario tra le regioni che hanno garantito la propria quota di premialità applicando coefficienti debitamente riparametrati.
Articolo 5
(Professioni della montagna)
L’articolo 5 reca una norma di principio finalizzata a riconoscere le professioni della montagna quali presìdi per la conservazione del patrimonio materiale e immateriale delle zone montane (comma 1).
Il comma 2 stabilisce inoltre che la SNAMI (Strategia nazionale per la montagna), in armonia con le potestà legislative regionali, prevede specifiche misure per la valorizzazione e la tutela dell’esercizio delle professioni della montagna.
In base alla normativa vigente, si fa presente che possono essere considerate “professioni della montagna” sicuramente quelle di guida alpina e di maestro di sci, disciplinate, rispettivamente dalla legge 2 gennaio 1989, n. 6 e dalla legge 8 marzo 1991, n. 81.
In entrambi i casi di tratta di due leggi quadro che definiscono i principi fondamentali per la legislazione delle regioni in materia di ordinamento di tali professioni, prevedendo la costituzione di organi di autodisciplina e di autogoverno. L’esercizio della professione è subordinata all’iscrizione in appositi albi professionali regionali tenuti, sotto la vigilanza della regione, dal rispettivo collegio regionale, dopo aver conseguito l’abilitazione attraverso la frequentazione di appositi corsi e il superamento degli esami finali.
La vigilanza sui rispettivi Collegi nazionali è attualmente esercitata dal Ministero del Turismo nei confronti delle guide alpine (art. 15, co. 8, legge n. 6/1989) e dal Dipartimento per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei ministri per quanto riguarda i maestri di sci[14].
La professione di guida alpina (nel caso della Campania e della Sicilia anche guida vulcanologica) è disciplinata dalle seguenti leggi regionali:
- Abruzzo: legge 16 settembre 1998, n. 86;
§ Campania: legge 16 marzo 1986, n. 11;
§ Emilia Romagna: legge 1° febbraio 1994, n. 3;
§ Friuli Venezia Giulia: legge 16 gennaio 2002, n. 2;
§ Liguria: legge 17 dicembre 2012, n. 44;
§ Lombardia: legge: 1° ottobre 2014, n. 26;
§ Marche: legge 23 gennaio 1996, n. 4, titolo IV;
§ Piemonte: legge 29 settembre 1994, n. 41;
§ P.A. Bolzano: legge 13 dicembre 1991, n. 33;
§ P.A. Trento: legge 23 agosto 1993, n. 20;
§ Sicilia: legge 6 aprile 1996, n. 28;
§ Toscana: legge 20 dicembre 2016, n. 86, artt. 145-157;
§ Valle d’Aosta: legge 7 marzo 1997, n. 7;
§ Veneto: legge 3 gennaio 2005, n. 1.
La Regione Lazio con la legge n. 3 del 2007 ha disciplinato la professione di accompagnatore di media montagna, ma non quella di guida alpina. Le guide alpine laziali sono iscritte al Collegio regionale delle guide alpine dell’Abruzzo.
La professione di maestro di sci è disciplinata dalle seguenti leggi regionali:
§ Abruzzo: legge 31 luglio 2012, n. 39;
§ Calabria: regolamento 2 dicembre 2010, n. 18;
§ Campania: legge 23 febbraio 2912, n. 4;
§ Emilia Romagna: legge 9 dicembre 1993, n.42;
§ Friuli Venezia Giulia: legge 16 gennaio 2002, n. 2;
§ Lazio: legge 14 giugno 1996, n. 21;
§ Liguria: legge 7 ottobre 2009, n. 40;
§ Lombardia: legge: 1° ottobre 2014, n. 26;
§ Marche: legge 23 gennaio 1996, n. 4, titolo III;
§ Molise: legge 8 gennaio 1996, n. 1;
§ Piemonte: legge 23 novembre 1992, n. 50;
§ P.A. Bolzano: legge 19 febbraio 2001, n. 5;
§ P.A. Trento: legge 23 agosto 1993, n. 20;
§ Sicilia: legge 23 marzo 2010, n. 7;
§ Toscana: legge 20 dicembre 2016, n. 86, artt. 131-144;
§ Valle d’Aosta: legge 31 dicembre 1999, n. 44;
§ Veneto: legge 3 gennaio 2005, n. 2.
Nella categoria delle “professioni della montagna” potrebbero, infine, essere ricompresi anche i c.d. rifugisti, cioè i gestori dei rifugi di montagna, anch’essi disciplinati dalle normative regionali. Disposizioni sui rifugi di montagna sono contenute al successivo articolo 12 (cfr.).
Articolo 6
(Relazione annuale)
L’articolo 6 prevede la presentazione alle Camere di Relazione annuale sullo stato della montagna e sull’attuazione della SNAMI, entro il 30 settembre di ciascun anno.
In particolare, l’articolo 6 stabilisce che entro il 30 settembre di ciascun anno il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sentita la Conferenza Stato-Regioni, presenti alle Camere la Relazione annuale sullo stato della montagna e sull’attuazione della SNAMI, con particolare riferimento al quadro delle risorse destinate dallo Stato al conseguimento degli obiettivi della politica nazionale di sviluppo delle zone montane.
Si ricorda che l’articolo 24, comma 4, della legge n. 97 del 1994 (Nuove disposizioni per le zone montane) stabilisce che il Ministro del bilancio e della programmazione economica, entro il 30 settembre di ciascun anno, sentita l'UNCEM, presenta al Parlamento la relazione annuale sullo stato della montagna, con particolare riferimento all'attuazione della presente legge ed al quadro delle risorse da destinare al settore da parte delle Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, nei rispettivi bilanci, su fondi propri o derivanti da programmi comunitari, al fine di conseguire gli obiettivi della politica nazionale della montagna.
L’ultima relazione presentata al Parlamento risale al 2007[15] (XV legislatura, Doc. XCV, n. 2).
Si fa presente che il comma 4 dell’articolo 24 della legge n. 97/1994 figura tra quelle abrogate dall’articolo 19 del disegno di legge in esame.
Articolo 7, commi 1
(Sanità di montagna)
L’articolo 7, comma 1, prevede l’emanazione di un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, che stabilisca i criteri per la valorizzazione dell’attività prestata dagli esercenti le professioni sanitarie e dagli operatori socio-sanitari presso strutture sanitarie e socio-sanitarie, a carattere pubblico o privato accreditato, che ricadano nei territori di montagna definiti ai sensi del precedente articolo 2.
Ciò al fine di individuare uno specifico riconoscimento per la partecipazione alle procedure concorsuali presso aziende ed enti del SSN oltre che per l’assunzione di incarichi nell’ambito di tali strutture. In particolare, si prevede che l’attività prestata per almeno 3 anni dai medici nelle predette strutture sanitarie e socio-sanitarie sia riconosciuta ai fini di un accesso preferenziale, a parità di condizioni, alla posizione di direttore sanitario.
Più in dettaglio il comma 1, in primo luogo rimette ad un decreto del Ministro della salute (di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni) la definizione dei criteri per la valorizzazione dell’attività prestata dagli esercenti le professioni sanitarie e dagli operatori socio-sanitari presso strutture sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche o private accreditate, ubicate nei comuni montani definiti ai sensi del precedente articolo 2 (cfr. supra). Ciò al fine di individuare uno specifico riconoscimento per la partecipazione alle procedure concorsuali presso aziende ed enti del SSN oltre che per l’assunzione di incarichi nell’ambito di tali strutture.
Viene poi specificamente previsto che l’attività prestata per almeno tre anni dai medici nelle strutture sanitarie e socio-sanitarie sopracitate, sia riconosciuta ai fini di un accesso preferenziale, a parità di condizioni, alla posizione di direttore sanitario.
Si osserva che, poiché all’articolo 2, comma 1, si provvede alla elencazione dei comuni montani, mentre il comma 3 del medesimo articolo 2 individua tra i comuni montani quelli che saranno “destinatari delle misure di sviluppo e valorizzazione previste dalla presente legge”, si presume che il richiamo alle strutture “ubicate nei comuni di cui all’articolo 2” vada riferito ai comuni montani in genere: si valuti, quindi l’opportunità di riformulare il testo facendo riferimento “ai comuni di cui all’articolo 2, comma 1”.
Va ricordato che le professioni sanitarie riconosciute dal Ministero della salute, ai sensi dell’articolo 4 della legge 11 gennaio 2018, n. 3[16] - che ne ha riordinato in parte la disciplina degli ordini - sono le seguenti: medico-chirurgo[17], odontoiatra[18], veterinario[19], farmacista[20], nonché le professioni sanitarie caratterizzate da ambiti di intervento specifici, quali le professioni sanitarie infermieristiche (infermiere[21] e infermiere pediatrico[22]), ostetriche (ostretica/o[23]), tecnico sanitarie (tecnici diagnostici[24] e assistenziali[25]) e della riabilitazione[26], e le professioni sanitarie della prevenzione[27].
La citata legge n. 3/2018, agli articoli 8 e 9, ha poi, rispettivamente, definito l’ordinamento delle professioni sanitarie del fisico[28] e del chimico[29], e dello psicologo[30] e del biologo[31].
Con specifici accordi previsti ai sensi dell’articolo 5 della L. n. 3/2018 è stata inoltre prevista l’istituzione dell'area delle professioni sociosanitarie (operatore sociosanitario, assistente sociale, sociologo ed educatore professionale) in attuazione di quanto stabilito dal decreto legislativo di riordino della disciplina in materia sanitaria, D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502[32], articolo 3-octies.
L’articolo 7 della richiamata legge n. 3 ha peraltro disposto l’individuazione e l’istituzione delle professioni sanitarie dell’osteopata e del chiropratico di cui si attende il decreto di attuazione per la definizione degli ordinamenti didattici della formazione universitaria e gli eventuali percorsi formativi integrativi, il cui termine di scadenza è stato da ultimo fissato al 31 dicembre 2022[33].
Si rileva, infine, che l’articolo 10 della legge n. 3/2018 ha previsto l’istituzione presso l’Ordine degli ingegneri dell’elenco nazionale certificato degli ingegneri biomedici e clinici, in attuazione del quale è stato emanato il D. M. 27 febbraio 2020, n. 60.
Articolo 7, commi 2-5
(Credito d’imposta dipendenti strutture sanitarie di montagna)
L’articolo 7, commi da 2 a 5, concede - a decorrere dal 2023 - un credito d’imposta, in misura pari al minor importo tra il 60 per cento del canone annuo di locazione dell’immobile e l’ammontare di 2.500 euro, a favore di coloro che prestano servizio in strutture sanitarie e socio-sanitarie di montagna e prendono in locazione un immobile ad uso abitativo per fini di servizio. Il beneficio è concesso anche a coloro che ai medesimi scopi acquistano un immobile ad uso abitativo con accensione di finanziamento ipotecario o fondiario; in tale caso, il credito d’imposta spetta in misura pari al minor importo tra il 60 per cento dell’ammontare annuale del finanziamento e l’importo di 2.500 euro.
Più in dettaglio il comma 2, all’esplicito scopo di contenere l’impegno finanziario connesso al trasferimento in un comune montano (come definito all’articolo 2, alla cui scheda di lettura si rinvia) concede, da decorrere dal 2023, a coloro che prestano servizio in strutture sanitarie e sociosanitarie di montagna e prendono in locazione un immobile ad uso abitativo per fini di servizio nel medesimo comune un credito di imposta annuale, nei limiti delle risorse disponibili, in misura pari al minor importo tra il 60 per cento del canone annuo di locazione dell’immobile e l’ammontare di 2.500 euro.
Si osserva che la formulazione del testo prevede la possibilità di beneficiare del credito di imposta solo qualora la locazione dell’immobile avvenga nel medesimo comune ove sono presenti le strutture nelle quali viene prestato servizio. Ne consegue che per eventuali indisponibilità di alloggi nel territorio comunale, il soggetto non potrebbe beneficiare del credito di imposta. Si valuti, pertanto, l’opportunità di un chiarimento in proposito,
Il comma 3 estende il credito d’imposta anche a coloro che, per i fini di servizio ivi indicati, acquistano in uno dei comuni destinatari delle misure di sviluppo e di valorizzazione descritte dal provvedimento in esame (individuati con provvedimento secondario, ai sensi dell’articolo 2, comma 3 in parola, alla cui scheda di lettura si rinvia), un immobile ad uso abitativo con accensione di un finanziamento ipotecario o fondiario, comunque denominato. Per tali soggetti il credito di imposta spetta annualmente, a decorrere dal 2023, nei limiti delle risorse disponibili, in misura pari al minor importo tra il 60 per cento dell’ammontare annuale del finanziamento e l’importo di 2.500 euro.
Si valuti l’opportunità di precisare la portata della locuzione “ammontare annuale del finanziamento” ai fini dell’applicazione dell’agevolazione in parola.
Il comma 4 stabilisce le caratteristiche del credito di imposta prevedendo che sia utilizzabile esclusivamente in dichiarazione dei redditi. Esso viene concesso nel limite di 10 milioni di euro annui e non è cumulabile con:
§ la detrazione Irpef, spettante ai sensi dell’articolo 15 del provvedimento in esame (cd. misura Io resto in montagna), pari a una quota degli interessi passivi sui mutui contratti per l’acquisto della “prima casa” nei comuni di montagna (si veda la scheda di lettura dell’articolo 15 per ulteriori informazioni);
§ la detrazione Irpef del 19 per cento degli interessi passivi sui mutui “prima casa”, disposta, in linea generale, dall’articolo 15, comma 1, lettera b) del TUIR – Testo unico delle imposte sui redditi, decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;
§ la detrazione Irpef spettante sui canoni di locazione cd. concordati, di all’articolo16 del TUIR.
Il comma 4 altresì quantifica l’onere derivante dall’agevolazione in commento in 10 milioni di euro annui a decorrere dal 2024, cui si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, istituito e disciplinato dall’articolo 1, comma 593, della legge di bilancio 2022 (legge 30 dicembre 2021, n. 234).
Il comma 5 infine affida a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della normativa in esame, il compito di definire criteri e le modalità di concessione del credito d’imposta, anche ai fini del rispetto del limite di spesa previsto, nonché le disposizioni relative ai controlli e al recupero del beneficio indebitamente fruito.
Si segnala che l’articolo 8, commi da 5 a 8 del provvedimento in esame concede un analogo credito d’imposta a coloro che prestano servizio in scuole site nei comuni di montagna. Si rinvia alla relativa scheda di lettura per ulteriori informazioni.
Articolo 8, commi 1-4 e 9
(Scuole di montagna)
L’articolo 8, ai commi 1-4, introduce la definizione di “scuole di montagna” e prevede meccanismi d’incentivazione e premialità per i docenti a tempo determinato che vi prestino servizio, consistenti, in particolare, in incrementi del punteggio di servizio. Il comma 9 del medesimo art. 8 reca la clausola di invarianza finanziaria di tali disposizioni.
Il più diretto precedente delle disposizioni in commento, per il suo carattere di organicità, è rappresentato dalla legge n. 90 del 1957, recante «Provvedimenti a favore della scuola elementare in montagna», via via superata nel corso del tempo e quindi abrogata dal decreto legislativo n. 212 del 2010 (c.d. “Taglialeggi 2”). Il testo dettava diverse previsioni relative, fra l’altro, all’individuazione delle scuole site nelle zone disagiate, a misure speciali per la carriera e la quiescenza dei docenti, all’alloggio che i Comuni dovevano fornire agli insegnanti.
Nel dettaglio, il comma 1 dell’art. 8 definisce scuole di montagna le scuole aventi almeno una sede situata in un comune di cui all’art. 2. Si ricorda che l’articolo 2, comma 1, del presente provvedimento – alla cui scheda di lettura si rinvia – disciplina la classificazione dei comuni montani, prevedendo che con DPCM siano definiti i criteri per la classificazione, come montani, dei comuni, dando prevalente rilievo al criterio altimetrico. Il medesimo DPCM definisce contestualmente l’elenco dei comuni montani.
Il successivo comma 3 dell’art. 2 rinvia ad un DPCM per l’identificazione dei comuni montani quelli che saranno “destinatari delle misure di sviluppo e valorizzazione previste dalla presente legge”.
Si valuti l’opportunità di riformulare il comma 1 in esame facendo esplicito riferimento al comma 1 dell’articolo 2.
Il comma 2 prevede che, con decreto del Ministro dell’istruzione, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, siano introdotte forme di incentivazione costituite da incrementi del punteggio di servizio, ai fini e per gli effetti dell’art. 15 della legge n. 158 del 2017, a favore dei docenti con rapporto di lavoro a tempo determinato che prestano servizio nelle scuole di montagna di ogni ordine e grado.
Si ricorda che l’art. 15 della L. 158/2017 reca disposizioni in materia di trasporti e istruzione nelle aree rurali e montane.
Tale articolo prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'istruzione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, coerentemente con la strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne del Paese, di cui all'art. 1, comma 13, della legge n. 147 del 2013, predisponga il Piano per l'istruzione destinato alle aree rurali e montane, con particolare riguardo al collegamento dei plessi scolastici ubicati nelle aree rurali e montane, all'informatizzazione e alla progressiva digitalizzazione delle attività didattiche e amministrative che si svolgono nei medesimi plessi. Il Piano in parola è predisposto previa intesa in sede di Conferenza unificata e non deve comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Si prevede, inoltre, che nell'ambito del piano generale dei trasporti e della logistica e dei documenti pluriennali di pianificazione siano individuate apposite azioni destinate alle aree rurali e montane, con particolare riguardo al miglioramento delle reti infrastrutturali nonché al coordinamento tra i servizi, pubblici e privati, finalizzati al collegamento tra i comuni delle aree rurali e montane nonché al collegamento degli stessi con i rispettivi capoluoghi di provincia e di regione.
Alla luce del contenuto dell’art. 15 della legge n. 158 del 2017, si valuti l’opportunità di chiarire la portata normativa del rinvio ad esso operato dall’art. 8, comma 2, in relazione alle forme di incentivazione costituite da incrementi del punteggio di servizio dei docenti che insegnano a tempo determinato nelle scuole di montagna.
Ai sensi del comma 3, il servizio valutabile, ai fini dell’incentivazione di cui sopra, è esclusivamente quello prestato nella sede scolastica ubicata in un comune classificato montano ai sensi del citato art. 2.
Anche in questo caso si valuti l’opportunità di riformulare il comma in esame facendo esplicito riferimento al comma 1 dell’articolo 2.
Il comma 4, poi, prevede che, ferme restando le condizioni di cui ai precedenti commi 2 e 3, per l’incentivazione di cui sopra si prescinde dalla circostanza che il servizio sia prestato in una pluriclasse, dal numero degli insegnanti che prestano servizio nella scuola di montagna e dal requisito della residenza nella sede.
L’incremento del punteggio per i docenti che prestino servizio nelle scuole di montagna è un meccanismo premiale non nuovo nell’ordinamento.
La disciplina in vigore per circa un cinquantennio (1957-2004) prevedeva che la “speciale valutazione del servizio prestato in scuole di montagna” fosse attribuita, ai sensi dell'art. 3, comma 2, della legge n. 90 del 1957, in ragione del particolare servizio reso dai docenti negli istituti situati nelle zone di montagna (nonché nelle piccole isole e negli istituti penitenziari); servizio consistente nel contemporaneo insegnamento ad alunni della scuola primaria appartenenti a classi diverse (così detto insegnamento pluriclasse), in comuni individuati secondo criteri combinati (altimetrico, territoriale, reddituale) fissati dall'art. 1 della legge 25 luglio 1952, n. 991 (Provvedimenti in favore dei territori montani), richiamato dall'art. 1 della suddetta legge n. 90 del 1957.
In anni più recenti, l’art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 97 del 2004, ha previsto che «a decorrere dall'anno scolastico 2004-2005 le graduatorie permanenti di cui all'articolo 401 del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, approvato con decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, […], sono rideterminate, limitatamente all'ultimo scaglione previsto dall'articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 255, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001, n. 333, in base alla Tabella allegata al presente decreto». Quest’ultima, al punto B.3, lettera h), prevede che il servizio prestato nelle scuole di ogni ordine e grado situate nei comuni di montagna di cui alla legge n. 90 del 1957, nelle isole minori e negli istituti penitenziari è valutato in misura doppia. Si intendono quali scuole di montagna quelle di cui almeno una sede è collocata in località situata sopra i 600 metri dal livello del mare. Con una norma d’interpretazione autentica, per più versi, nella sostanza, di portata innovativa, il legislatore è poi intervenuto con l’art. 8-nonies del decreto-legge 136 del 2004, stabilendo che il raddoppio del punteggio viene attribuito al servizio prestato esclusivamente nella sede scolastica, ubicata in Comune classificato come di montagna, situata al di sopra dei seicento metri (e non anche a quello prestato in altre sedi diverse della stessa scuola) e a partire dall'anno scolastico 2003-2004-
Successivamente, l’art. 1, comma 605, lett. c), della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) ha abrogato, con decorrenza dal 1° settembre 2007, la disposizione di cui al punto B.3, lettera h) della tabella, facendo comunque salva la valutazione in misura doppia dei servizi prestati anteriormente alla predetta data.
Rispetto a tale scenario, è intervenuta la sentenza n. 11 del 2007 della Corte costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità della doppia valutazione del servizio prestato nelle scuole di montagna, prevista al punto B.3, lettera h), della tabella di valutazione di cui sopra, a eccezione dei servizi svolti nelle pluriclassi delle scuole primarie dei Comuni di montagna.
A fondamento della pronuncia, la Corte evidenzia come «il riconoscimento del meccanismo premiale sulla base del solo criterio altimetrico contrasta con gli artt. 3 e 97 Cost. Questa Corte ha già ritenuto inidoneo il solo criterio altimetrico, definito come «casuale», per l'attribuzione di benefici (sentenze n. 370 del 1985 e n. 254 del 1989). Anche nel caso in esame, tale criterio non basta per differenziare la posizione di chi insegna in scuole di montagna rispetto alla generalità degli insegnanti: il mero dato orografico non è in grado, se non ancorato alle condizioni dell'insegnamento, di fondare un diverso criterio di valutazione dei titoli di servizio». Risulta invece «idoneo criterio di differenziazione per l'attribuzione del doppio punteggio il servizio prestato nelle scuole elementari pluriclasse […] In effetti, nell'ordinamento esiste già una legislazione di favore per le sole scuole elementari di montagna (legge n. 90 del 1957), consolidata nel tempo (dal 1957 al 2004), secondo la quale la differenziazione rispetto a tutti gli altri insegnanti trova fondamento nell'insegnamento in scuole pluriclassi, quindi nell'effettiva gravosità dell'impegno didattico richiesto, consistente nel contemporaneo insegnamento ad alunni della scuola primaria appartenenti a classi diverse».
In ragione dell’orientamento giurisprudenziale in parola, si valuti l’opportunità di ulteriori approfondimenti in ordine ai presupposti e requisiti di accesso alla maggiorazione di punteggio prevista dai commi 2-4 dell’articolo 8.
A seguito della sentenza costituzionale, le norme relative alla valutazione delle Graduatorie ad Esaurimento – a partire dal DDG 16 marzo 2007, che ha disposto l’integrazione e l’aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento per gli anni scolastici 2007/08 e 2008/09 – prevedono la valutazione in misura doppia dei servizi prestati dall’anno scolastico 2003/2004 all’anno scolastico 2006/2007 con le limitazioni fissate dalla Corte.
Da ultimo, l’art. 2, comma 6, del DM 10 marzo 2022, n. 60, stabilisce – con formulazione identica a quella dei provvedimenti precedenti – che «a decorrere dall’anno scolastico 2003/2004 fino al 31 agosto 2007, in applicazione dell’articolo 1, comma 605, della legge n. 296 del 2006, rimane la doppia valutazione dei servizi svolti nelle scuole delle piccole isole e degli istituti penitenziari, nonché nelle pluriclassi delle scuole primarie, situate nei comuni di montagna».
Occorre segnalare, per completezza, alcune clausole contenute nei CCNL, relative al punteggio aggiuntivo corrisposto ai docenti per il servizio svolto nelle scuole di montagna. Il «Contratto Collettivo Nazionale Integrativo concernente la mobilità del personale docente, educativo ed A.T.A. per gli anni scolastici relativi al triennio 2019/20, 2020/21, 2021/22, sottoscritto il giorno 6/3/2019 in Roma», prevede, nella Nota (1), che, «relativamente ai docenti delle scuole primarie, per ogni anno di insegnamento nelle scuola di montagna ai sensi della legge 1/3/1957, n. 90, il punteggio è raddoppiato. Per l'attribuzione del punteggio si prescinde dal requisito della residenza in sede». Da ultimo, il Contratto nazionale integrativo per gli anni scolastici relativi al triennio 2022/23, 2023/24, 2024/25, sottoscritto il giorno 18/05/2022, ha confermato tale previsione. Si valuti l’opportunità di coordinare eventualmente la disciplina legislativa e quella di fonte contrattuale.
Di seguito, l’elenco dei comuni di montagna predisposto dal Ministero dell’istruzione.
Il comma 9, infine, reca la clausola di invarianza finanziaria, prevedendo che dai suddetti commi 1-4 dell’art. 8 non debbano derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e che le amministrazioni interessate provvedano agli adempimenti ivi previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Articolo 8, commi 5-8
(Credito d’imposta dipendenti scuole di montagna)
L’articolo 8, commi da 5 a 8, concede - a decorrere dal 2023 - un credito d’imposta, in misura pari al minor importo tra il 60 per cento del canone annuo di locazione dell’immobile e l’ammontare di 2.500 euro, a favore di coloro che prestano servizio in scuole di montagna e prendono in locazione un immobile ad uso abitativo per fini di servizio. Il beneficio è concesso anche a coloro che ai medesimi scopi acquistano un immobile ad uso abitativo con accensione di finanziamento ipotecario o fondiario; in tale caso, il credito d’imposta spetta in misura pari al minor importo tra il 60 per cento dell’ammontare annuale del finanziamento e l’importo di 2.500 euro.
Più in dettaglio il comma 5, all’esplicito scopo di contenere l’impegno finanziario connesso al trasferimento in un comune montano (come definito all’articolo 2, alla cui scheda di lettura si rinvia) in cui ha sede la scuola di montagna, concede, da decorrere dal 2023, a coloro che prestano servizio nelle scuole di montagna e prendono in locazione un immobile ad uso abitativo per fini di servizio un credito di imposta annuale, nei limiti delle risorse disponibili, in misura pari al minor importo tra il 60 per cento del canone annuo di locazione dell’immobile e l’ammontare di 2.500 euro.
Si valuti l’opportunità di riformulare il comma 5 in esame facendo esplicito riferimento al comma 1 dell’articolo 2.
Il comma 6 estende il credito d’imposta anche a coloro che, per i fini di servizio suindicati, acquistano in uno dei comuni destinatari delle misure di sviluppo e di valorizzazione descritte dal provvedimento in esame (individuati con provvedimento secondario, ai sensi dell’articolo 2, comma 3, alla cui scheda di lettura si rinvia), un immobile ad uso abitativo con accensione di un finanziamento ipotecario o fondiario, comunque denominato. Per tali soggetti il credito di imposta spetta annualmente, a decorrere dal 2023, nei limiti delle risorse disponibili, in misura pari al minor importo tra il 60 per cento dell’ammontare annuale del finanziamento e l’importo di 2.500 euro.
Si valuti l’opportunità di precisare la portata della locuzione “ammontare annuale del finanziamento” ai fini dell’applicazione dell’agevolazione in parola.
Il comma 7 stabilisce le caratteristiche del credito di imposta prevedendo che sia utilizzabile esclusivamente in dichiarazione dei redditi. Esso viene concesso nel limite di 10 milioni di euro annui e non è cumulabile con:
§ la detrazione Irpef, spettante ai sensi dell’articolo 15 del provvedimento in esame (cd. misura Io resto in montagna), pari a una quota degli interessi passivi sui mutui contratti per l’acquisto della “prima casa” nei comuni di montagna (si veda la scheda di lettura dell’articolo 15 per ulteriori informazioni);
§ la detrazione Irpef del 19 per cento degli interessi passivi sui mutui “prima casa”, disposta, in linea generale, dall’articolo 15, comma 1, lettera b) del TUIR – Testo unico delle imposte sui redditi, decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917;
§ la detrazione Irpef spettante sui canoni di locazione cd. concordati, di all’articolo16 del TUIR.
Il comma 7 altresì quantifica l’onere derivante dall’agevolazione in commento in 10 milioni di euro annui a decorrere dal 2024, cui si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, istituito e disciplinato dall’articolo 1, comma 593, della legge di bilancio 2022 (legge 30 dicembre 2021, n. 234).
Il comma 8 infine affida a un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della normativa in esame, il compito di definire criteri e le modalità di concessione del credito d’imposta, anche ai fini del rispetto del limite di spesa previsto, nonché le disposizioni relative ai controlli e al recupero del beneficio indebitamente fruito.
Si segnala che l’articolo 7, commi da 2 a 5 del provvedimento in esame concede un analogo credito d’imposta a coloro che prestano servizio in strutture sanitarie o sociosanitarie site nei comuni di montagna. Si rinvia alla relativa scheda di lettura per ulteriori informazioni.
Articolo 9
(Servizi di telefonia mobile e accesso alla rete internet)
L’articolo 9 è disposizione programmatica, volta, da un lato, a favorire lo sviluppo delle infrastrutture per la continuità dei servizi di telefonia mobile e delle connessioni digitali, nonché, dall’altro, a garantire l’accesso a internet quale priorità per lo sviluppo socio-economico dei comuni montani.
L’articolo 9, collocato all’interno del capo III relativo alla prestazione dei servizi pubblici, contiene disposizioni programmatiche in materia di servizi di telefonia mobile e di accesso a internet nei comuni montani.
Più nel dettaglio, il comma 1 dispone che i contratti di programma relativi alle concessioni della rete stradale e ferroviaria nazionale devono prevedere interventi sulle infrastrutture di competenza finalizzati a garantire la continuità dei servizi di telefonia mobile e delle connessioni digitali, purché non risultino interventi di analogo tenore già oggetto di finanziamento pubblico.
Gli oneri che ne derivano sono a carico dei gestori delle infrastrutture di telefonia mobile e di connessione digitale.
Al comma 2 è stabilito che la copertura dell’accesso a internet in banda ultralarga rappresenta una priorità per lo sviluppo socio-economico dei territori montani, soprattutto quelli maggiormente esposti al rischio di spopolamento, secondo le linee di sviluppo definite in sede SNAMI (Strategia Nazionale per la Montagna Italiana), in coerenza con la strategia nazionale italiana per la banda ultralarga.
La prima fase per lo sviluppo della banda ultra larga, presupposto essenziale anche per lo sviluppo del 5G, è in corso e riguarda le aree del Paese in cui è necessario l'intervento pubblico. Ciò avviene nel quadro della Strategia per la crescita digitale 2014-2020, della Strategia italiana per la banda ultralarga e della nuova Strategia italiana per la banda ultralarga "Verso la Gigabit Society" con risorse sia nazionali che dell'Unione europea.
In tale ambito è stato anche istituito il Sistema informativo nazionale federato delle infrastrutture (SINFI) e sono state semplificate le procedure per la realizzazione delle infrastrutture per le reti in fibra ottica. E' anche in corso di sviluppo una rete pubblica di wi-fi diffuso.
Sono state altresì svolte e concluse le gare per l'assegnazione dei diritti d'uso delle frequenze per il 5G.
Con il decreto-legge n. 22 del 2021 è stato istituito il Comitato interministeriale per la transizione digitale (CITD) presieduto dal Ministro per l'Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale, che coordina la governance della Strategia italiana per la banda ultralarga "Verso la Gigabit Society", approvata il 25 maggio 2021.
Numerose disposizioni normative sono state introdotte per agevolare il dispiegamento delle reti a banda ultralarga: recentemente, il decreto-legge n. 21 del 2022 ha previsto la semplificazione della procedura di autorizzazione per l'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica, stabilendo che, nel caso di pali, torri e tralicci, non sia necessario produrre la documentazione tecnica relativa alle emissioni elettromagnetiche (art. 7-septies).
Tali innovazioni normative si inquadrano nel contesto normativo europeo.
Il 9 marzo 2021, infatti, è stata pubblicata la Comunicazione COM(2021) 118 final "Bussola digitale 2030: la via europea per il decennio digitale" che espone la la visione, gli obiettivi e le modalità per il conseguimento della transizione digitale dell'Unione europea entro il 2030 e definisce, tra gli altri, anche gli obiettivi di connettività per l'anno 2030:
1. connettività di almeno 1 Gbps per tutte le famiglie europee;
2. copertura 5G in tutte le aree popolate;
Già nel 2016, con la Comunicazione COM(2016) 587 final " Connettività per un mercato unico digitale competitivo: verso una società dei Gigabit europea" la Commissione europea aveva annunciato gli obiettivi per il 2025:
1. connettività di almeno 1 Gbps per scuole, biblioteche e uffici pubblici;
2. connettività di almeno 100 Mbps, espandibile a Gigabit, per tutte le famiglie europee;
3. copertura 5G ininterrotta in tutte le aree urbane e lungo i principali assi di trasporto terrestre.
Nella medesima comunicazione si invitavano gli Stati membri a riesaminare i progressi dei rispettivi piani nazionali per la banda larga e ad aggiornarli entro la fine del 2017, adottando come orizzonte temporale il 2025, in linea con gli obiettivi strategici istituiti nella presente comunicazione e nel piano d'azione sul 5G.
A partire dal 2010 la Commissione UE aveva, inoltre, adottato la comunicazione "Un'agenda digitale europea"(COM(2010)245), una delle sette "iniziative faro" della Strategia per la crescita Europa 2020, che prevedeva obiettivi in tema di banda larga ed ultra larga, con diverse scadenze temporali:
- Banda larga di base per tutti entro il 2013 (obiettivo raggiunto anche grazie alla copertura supplementare fornita dal satellitare);
- Banda larga veloce (pari o superiore a 30 Mbps) per tutti entro il 2020;
- Banda larga ultraveloce (velocità superiore a 100 Mbs) per almeno il 50% degli utenti domestici europei entro il 2020.
Nel 2013, con la Comunicazione "Orientamenti dell'Unione europea per l'applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga (2013/C 25/01)", la Commissione UE ha affrontato il tema del ruolo del finanziamento pubblico nello sviluppo di reti a banda larga ed ultra-larga, definendo il quadro di ammissibilità degli aiuti. Tali orientamenti sono in corso di aggiornamento, ma rappresentano tuttora il quadro di riferimento. Essi stabiliscono il principio fondamentale della neutralità tecnologica dell'aiuto; altra condizione imprescindibile ai fini dell'ammissibilità della misura è costituita dal principio del più ampio riutilizzo delle infrastrutture esistenti, per cui i partecipanti alle gare pubbliche per la realizzazione delle reti sussidiate i quali dispongano di infrastrutture di rete proprie devono informare le autorità competenti e fornire a tutti gli altri partecipanti le informazioni rilevanti al fine di consentire loro di inserire anche le infrastrutture in questione nella formulazione della propria offerta. Le misure di aiuto di Stato per lo sviluppo di reti NGA devono inoltre prevedere condizioni di accesso in capo al beneficiario più stringenti rispetto a quelle previste per le reti a banda larga tradizionali tramite servizi non solo attivi ma anche passivi, incluso l'accesso ai cavidotti che dovrà essere garantito per sempre. Nel caso in cui l'operatore sussidiato sia verticalmente integrato (cioè presente sia sul mercato all'ingrosso che al dettaglio), questi debba prestare idonee garanzie di non discriminazione.
Tornando al quadro normativo nazionale, il Ministro per l'innovazione tecnologica e la transizione digitale ed il MISE hanno approvato il 25 maggio 2021, nella prima riunione del Comitato interministeriale per la transizione digitale (CITD), la Strategia italiana per la banda ultralarga "Verso la Gigabit Society", che definisce le azioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi di trasformazione digitale indicati dalla Commissione europea nel 2016 e nel 2021 – rispettivamente con la Comunicazione sulla Connettività per un mercato unico digitale europeo (cd. Gigabit Society) e la Comunicazione sul decennio digitale (cd. "Digital compass") per la trasformazione digitale dell'Europa entro il 2030.
La Strategia si pone in stretta connessione con la realizzazione degli interventi finanziati, per 6,7 miliardi di euro con il PNRR. Da un punto di vista degli obiettivi nella Strategia sono indicati:
· il raggiungimento della copertura dell'intero territorio nazionale con la connettività a 1 Gbit/s, entro il 2026;
· lo stimolo alla domanda di connettività ad alta velocità per le famiglie.
La Strategia si compone, quindi, di sette interventi, due dei quali già in corso e previsti dalla Strategia del 2015 (Piano aree bianche e Piano voucher) e cinque Piani approvati dal Consiglio dei Ministri il 29 aprile 2021 nel PNRR. Questi ultimi sono:
1) Piano "Italia a 1 Giga" (risorse PNRR 3.863,5 milioni di euro);
2) Piano "Italia 5G" (risorse PNRR 2.020 milioni di euro);
3) Piano "Scuole connesse" (risorse PNRR 261 milioni di euro);
4) Piano "Sanità connessa" (risorse PNRR 501,5 milioni di euro);
5) Piano "Isole Minori" (risorse PNRR 60,5 milioni di euro).
Nel corso dell'incontro tenutosi l'11 ottobre 2021, il Comitato interministeriale per la Transizione Digitale (CiTD), ha affidato a Infratel Italia l'attività di aggiornamento della mappatura della copertura nazionale con reti fisse a banda ultra larga dei civici individuati dal "Piano Aree Bianche" del 2016. Con la nuova mappatura si vogliono individuare le aree rimaste fuori dall'intervento pubblico avviato nel 2016 e che non sono state ancora raggiunte, né lo saranno nei prossimi 5 anni, da investimenti privati idonei a garantire una velocità di connessione in download di almeno 300 Mbit/s nell'ora di picco del traffico. Queste aree saranno oggetto di intervento pubblico volto a garantire la velocità ad almeno 1 Gbit/s in download e 200 Mbit/s in upload, a completamento del Piano "Italia a 1 Giga". Il 24 novembre 2021, è stata avviata una nuova consultazione pubblica sull'esito della mappatura delle reti fisse "Aree bianche 2016", al fine di integrare il perimetro del Piano "Italia a 1 Giga" con nuovi indirizzi civici presenti in tali aree. Il 16 dicembre 2021 l'AGCOM ha adottato (delibera n. 406/21/CONS) le Linee guida che identificano le condizioni di accesso wholesale alle reti a banda ultra larga destinatarie di contributi pubblici mediante il modello di intervento ad incentivo.
Con la successiva delibera n. 67/22/CONS del 3 marzo 2022, l'AGCOM, ha adottato le "Linee guida che identificano le condizioni di accesso wholesale alle reti a banda ultra larga destinatarie di contributo pubblico - integrazione per le reti 5G".
Nelle Linee guida vengono definiti:
i) l'insieme minimo di servizi di accesso wholesale all'infrastruttura di rete sussidiata che i beneficiari del contributo pubblico sono tenuti ad offrire;
ii) i relativi prezzi da applicare;
iii) la procedura per l'approvazione del listino dei servizi offerti dall'aggiudicatario (Listino);
iv) le modalità di applicazione del principio di non discriminazione;
v) altre condizioni.
In precedenza l'AGCOM aveva emanato, nel 2016 (delibera n. 120/16/CONS), le "Linee guida per le condizioni di accesso wholesale alle reti a banda ultra larga destinatarie di contributi pubblici" per i bandi di gara per la realizzazione di reti a banda ultra-larga con il contributo di finanziamenti pubblici, in specifiche aree territoriali a fallimento di mercato (aree bianche NGA) in attuazione della Strategia Italiana per la Banda Ultralarga (BUL) del 2015. Tutti i lotti, concentrati nelle c.d. "Aree bianche" del territorio italiano, sono stati aggiudicati all'operatore Open Fiber S.p.A., che ha realizzato un'offerta basata su architettura FTTH ed FWA.
Quanto alle modalità di sviluppo della banda larga le diverse opzioni hanno un grado diverso di capacità. Il più performante degli strumenti è quello della realizzazione di una rete integrale, "fino all'abitazione", di fibra ottica per la banda larga, la c.d FTTH (Fiber to the home). Le altre opzioni sono la realizzazione di una rete in fibra ottica fino agli "armadi" della rete di distribuzione, utilizzando per la trasmissione del segnale in banda larga, nel tratto dagli "armadi" all'abitazione, la rete telefonica tradizionale (tale tecnologia è denominata Fiber to the Cabinet (FTTC) e le due soluzioni intermedie Fiber to the Building (FTTB) e Fiber to the distribution Point (FTTdP). Il Fixed wireless access (FWA) utilizza invece un sistema misto di collegamenti: via cavo in fibra ottica, fino alla stazione radio base e poi senza fili, in un determinato intervallo di frequenze radio, dalla stazione base ad un altro terminale (un'antenna ricevente) che lo porta nelle abitazioni degli utenti: si tratta di un sistema particolarmente utile in aree a scarsa densità abitativa o rurali. L'AGCOM con la Delibera 292/18, che ha definito le caratteristiche tecniche e le corrispondenti denominazioni delle diverse tipologie di infrastruttura con cui sono erogati i servizi di accesso fisso a banda larga e ultralarga alla clientela finale, ed ha equiparato il FWA alle soluzioni FTTC, miste fibra-rame come "perfettamente abilitanti alla banda ultra larga oltre i 30 Megabit".
Infratel Italia ha pubblicato la Relazione sullo stato di avanzamento della Banda Ultra Larga (BUL), con i dati sui bandi di gara, le relative aggiudicazioni e lo stato della progettazione definitiva per ciascuna regione, aggiornati al 30 aprile 2022. I progetti previsti per la fibra FTTH sono complessivamente 10.370 situati in 6.232 comuni; i progetti approvati sono 9.400 situati in 6.081 comuni. La progettazione definitiva del wireless (FWA) consta di 7.121 progetti situati in altrettanti comuni, ed i progetti approvati sono 6.765. La progettazione esecutiva è stata avviata da Open Fiber man mano che Infratel Italia approvava i singoli progetti definitivi. I cantieri, FTTH o FWA, vengono avviati da Open Fiber man mano che Infratel Italia emette i relativi Ordini Di Esecuzione. La situazione vede 6.692 cantieri per la fibra aperti di cui 4.424 completati in 2.967 comuni e 2.637 cantieri aperti wireless, di cui 2.450 completati. Al 31 marzo 2022 Infratel ha collaudato positivamente 2096 comuni FTTH e altri 121 con prescrizioni. Sono stati inoltre collaudati positivamente 688 siti FWA e 6 con prescrizioni.
La Relazione ricorda che la concessione di una rete pubblica a banda ultralarga è iniziata nel 2016 con l'emissione dei primi due bandi di gara (Gara 1 per le regioni Abruzzo, Molise, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Veneto e Gara 2 per Trento, Marche, Umbria, Lazio, Campania, Basilicata e Sicilia) seguiti da un terzo bando per le regioni Calabria, Puglia e Sardegna emesso nel corso del 2018. Tutte le gare sono state aggiudicate al Concessionario Open Fiber S.p.A..
La Strategia italiana per la banda ultralarga "Verso la Gigabit Society" contiene dati aggiornati al 31 marzo 2021, dai quali risulta che l'89,6% delle famiglie è raggiunto da connessioni con velocità in download maggiore di 30 Mbps.
In dettaglio: il 34,2% ha connessioni con velocità tra 30 e 100 mbps, il 32,9% connessioni tra 100 e 300 Mbps e il 22,9% tra 300 e 1000 Mbps.
Non è ancora stato raggiunto l'obiettivo (al 2020) di una copertura superiore a 100 Mbps per l'85% delle famiglie e di una copertura ad almeno 30 Mbps per tutte le famiglie italiane (obiettivo previsto anche dall'Unione europea).
Risulta invece conseguito l'obiettivo europeo che richiedeva la disponibilità di connessioni ad almeno 100 Mbps per almeno il 50% della popolazione (il risultato al 31 marzo 2021 è del 54,8% delle famiglie).
Quanto alla domanda di servizi di connettività, a dicembre 2020 sono circa 18,1 milioni le linee di accesso complessive, di cui 5,6 milioni (31%circa) a banda larga (velocità inferiore a 30Mbit/s) e 12,5 milioni (69% circa) a banda ultralarga. Di queste ultime solo circa 1,82 milioni sono linee Fiber To The Home (FTTH) a 1 Gbit/s.
In termini percentuali la connettività ad almeno 100 Mbit/s presenta livelli a tutt'oggi inferiori alla media europea: in termini di percentuale di famiglie con abbonamento di rete fissa ad almeno 100 Mbit/s, il nostro Paese, seppur registrando un incremento di 4 punti percentuali nell'ultimo anno dal 9% al 13%, risulta ancora in largo ritardo rispetto alla media europea del 26%.
Per quanto riguarda lo stato di attuazione del piano di infrastrutturazione delle "aree bianche", alla data di pubblicazione della nuova Strategia (25 maggio 2021) risultano avviati i lavori in 3.282 comuni (per il conseguimento di una connessione FTTH), dei quali ne sono stati completati 1.572. Per 1.051 comuni e le relative 1.014.000 unità immobiliari si è anche concluso positivamente il collaudo. Sono inoltre stati completati 1.704 siti FWA. Risultano disponibili per la commercializzazione, alla data del documento:
· servizi FTTH in circa 1,2 milioni di unità immobiliari (sul totale di circa 6,2 milioni di unità immobiliari FTTH) afferenti a 1.160 comuni (sul totale di 6.234 comuni FTTH);
· servizi FWA in circa 937 mila unità immobiliari (sul totale di circa 2,2 milioni di unità immobiliari FWA) afferenti a circa 900 comuni (sul totale di 1.182 comuni solo FWA);
Dal lato delle attivazioni, a inizio del mese di maggio 2021, risultano attivati servizi retail (ossia ai consumatori) in 27.677 unità immobiliari (su un totale di 49.892 unità immobiliari oggetto di richiesta di attivazione). Sono complessivamente 102 gli operatori che hanno richiesto le attivazioni dei servizi a Open Fiber S.p.A.
A maggio 2021 Open Fiber ha comunicato al Governo il cronoprogramma degli interventi che porterà alla conclusione del piano nel 2023. In particolare è previsto:
- entro la fine del 2021 la copertura dei civici in 3.138 comuni in FTTH+FWA (con un incremento di 1.947 comuni nell'anno). A questi si aggiungono altri 517 comuni solo FWA, per un totale di 3.655 comuni a fine anno;
- entro il 2022 la copertura dei civici in 5.424 comuni inFTTH+FWA (con un incremento di 2.286 comuni nell'anno). A questi si aggiungono 1.064 comuni solo FWA, per un totale di 6.488 comuni a fine anno;
- entro il 2023 la copertura dei civici in tutti i 6.234 comuni in FTTH+FWA (con un incremento di 810 comuni nell'anno). A questi si aggiungono 1.182 comuni solo FWA, per un totale di 7.416 comuni a fine anno.
Come già anticipato, numerose disposizioni normative sono state introdotte per agevolare il dispiegamento delle reti a banda ultralarga:
§ il decreto-legge n.135 del 2018 ha previsto la semplificazione delle procedure relative al dispiegamento delle reti;
§ il decreto-legge n. 18 del 2020 ha stabilito che le imprese che svolgono attività di fornitura di reti e servizi di comunicazioni elettroniche intraprendono misure e svolgono ogni utile iniziativa atta a potenziare le infrastrutture e a garantire il funzionamento delle reti e l'operatività e continuità dei servizi;
§ il decreto-legge n. 76 del 2020 ha disposto che alle imprese fornitrici di reti e servizi di comunicazioni elettroniche sia consentito effettuare gli interventi di scavo, installazione e manutenzione di reti di comunicazione in fibra ottica mediante la presentazione di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) all'amministrazione locale competente e agli organismi competenti a effettuare i controlli. La segnalazione così presentata ha valore di istanza unica effettuata per tutti i profili connessi alla realizzazione delle infrastrutture oggetto dell'istanza medesima. Altre misure di semplificazione riguardano l'installazione degli impianti radioelettrici di qualunque tecnologia e potenza. Per il conseguimento dei permessi, autorizzazioni ed atti abilitativi, comunque denominati, relativi alle installazioni delle infrastrutture per impianti radioelettrici è sufficiente la segnalazione certificata di inizio attività;
§ il decreto-legge n.183 del 2020 ha introdotto ulteriori semplificazioni per il dispiegamento delle reti in fibra verso istituti scolastici e ospedali;
§ il decreto-legge n. 73 del 2021 (c.d. decreto sostegni bis) ha previsto che nell'ambito delle convenzioni accessorie al rilascio dei permessi di costruire nuovi edifici residenziali che le amministrazioni competenti individuino in termini preferenziali, tra le opere da realizzare a scomputo degli oneri di urbanizzazione primaria, quelle necessarie ad assicurare il collegamento in fibra ottica tra l'edificio e il nodo di connessione più vicino;
§ il decreto-legge n. 77 del 2021 ha previsto ulteriori modifiche e semplificazioni per i procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici e per la disciplina delle opere civili, degli scavi e dell'occupazione di suolo pubblico necessari per l'installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica: si prevede la convocazione obbligatoria della conferenza di servizi nei casi in cui siano necessari pronunciamenti di più amministrazioni per l'autorizzazione dell'intervento, la riduzione dei tempi di convocazione della stessa e il dimezzamento dei relativi termini normativi di svolgimento. Per il superamento del dissenso espresso da parte di un'Amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale o dei beni culturali, si prevede che l'interessato possa rivolgersi al responsabile del procedimento perché, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto (quindi in questo caso 45 giorni), concluda il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario. Pertanto non è più necessaria una delibera del Consiglio dei Ministri ai fini del superamento del dissenso.
Con una semplificazione nel caso di modifiche di progetti in essere, è stato ridotto da 6 mesi a 90 giorni il termine (di cui all'articolo 86 del Codice delle comunicazioni elettroniche) per la conclusione dei procedimenti in materia di installazione di reti di comunicazione elettronica e precisato che le disposizioni dell'articolo 86 si applicano anche agli interventi nei parchi e nelle riserve nazionali o regionali, nonché nei territori di protezione esterna dei parchi. E' prevista anche una norma per semplificare gli interventi di adeguamento tecnologico della rete di accesso degli operatori di comunicazione elettronica, volti al miglioramento della connessione e dell'efficienza energetica e si introduce una deroga temporanea (fino al 2026) alle procedure per la posa in opera di infrastrutture a banda ultra larga con la metodologia della micro trincea prevedendosi un ulteriore semplificazione con l'esclusione delle autorizzazioni paesaggistiche e da parte delle soprintendenze competenti per la tutela dei beni culturali. Inoltre, fino al 2026, ulteriori semplificazioni sono previsto per l'installazione di apparati con tecnologia UMTS, sue evoluzioni o altre tecnologie su infrastrutture per impianti radioelettrici preesistenti o di modifica delle caratteristiche trasmissive, e nel caso di modifiche delle caratteristiche degli impianti già provvisti di titolo abilitativo, ivi incluse le modifiche relative al profilo radioelettrico, disciplinati dagli articoli 87-bis e 87-ter del Codice delle comunicazioni elettroniche nonché per gli interventi in aree vincolate esclusi dall'autorizzazione paesaggistica e concernenti l' installazione o modifica di impianti delle reti di comunicazione elettronica o di impianti radioelettrici, da eseguire su edifici e tralicci preesistenti, caratterizzate da impatto ridotto. È previsto un canone fisso per alcuni interventi di infrastrutturazione a cura degli operatori che forniscono i servizi di pubblica utilità di reti e infrastrutture di comunicazione elettronica.
Accanto a tali previsioni normative si ricorda il già citato art. 7-septies del decreto-legge n. 21 del 2022.
Per agevolare la costruzione dell'infrastruttura di rete, secondo quanto indicato nella strategia per la banda ultra larga, è stata delineata l'esigenza di costruire un catasto delle infrastrutture.
Il catasto è concepito come una piattaforma web-based, abilitante tre diversi tipi di accesso – cittadini (per sole informazioni aggregate), enti gestori delle strade, operatori del sotto e sopra suolo – per gestire una comunicazione a tre livelli che metta a disposizione, in formato aperto, tutte le informazioni utili circa le varie tipologie trasmissive (wireline, wireless e satellite) e di posa (cavidotti, mini-trincee, sopra suolo, aeree e altro). Il Catasto del sotto e sopra suolo deve essere alimentato obbligatoriamente dagli operatori di telecomunicazioni ma anche da tutti gli altri soggetti pubblici e privati che possiedono o costruiscono, a qualunque fine, infrastrutture di posa utilizzabili per lo sviluppo di nuove reti in fibra ottica, le amministrazioni locali (comuni e province) e gli enti gestori di servizi (teleriscaldamento, gas, luce, acqua, energia elettrica, etc.).
Con il decreto legislativo n. 33/2016, che ha recepito la direttiva 2014/61/UE che prevede misure per ridurre i costi dell'installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità (sul cui schema la Commissione IX si è pronunciata il 17 dicembre 2015), è stata disposta la mappatura delle reti esistenti e prevista l'istituzione di un Sistema informativo nazionale federato delle infrastrutture (SINFI) per svolgere le funzioni di "catasto delle infrastrutture". Con decreto del Ministero dello sviluppo economico 11 maggio 2016, è stato istituito il SINFI e sono state definite le regole tecniche per la definizione del suo contenuto, nonché le modalità di prima costituzione, di raccolta, di inserimento e di consultazione dei dati, nonché le regole per il successivo aggiornamento, lo scambio e la pubblicità dei dati territoriali detenuti dalle singole amministrazioni competenti, dagli altri operatori di rete e da ogni proprietario o gestore di infrastrutture fisiche funzionali ad ospitare reti di comunicazione elettronica. Tale decreto è stato successivamente modificato con il decreto MISE 2 settembre 2019, in particolare in relazione alle modalità ed ai soggetti legittimati alla consultazione ed all'accesso ai dati del SINFI. Confluiscono nel Sistema informativo nazionale federato delle infrastrutture da parte dei gestori delle infrastrutture fisiche, sia pubblici che privati, nonché da parte degli enti pubblici che ne sono detentori, tutte le banche di dati contenenti informazioni sulle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità e sulle infrastrutture fisiche funzionali ad ospitarle, a carattere nazionale e locale, o comunque i dati ivi contenuti sono resi accessibili e compatibili con le regole tecniche del Sistema informativo nazionale federato delle infrastrutture. Il SINFI, quale sportello unico telematico, pubblica tutte le informazioni utili relative alle condizioni e alle procedure applicabili al rilascio di autorizzazioni per le opere, anche di genio civile, necessarie ai fini dell'installazione di elementi di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità.
La realizzazione del SINFI è coordinata da Infratel Italia S.p.a, società in-house del Ministero dello sviluppo economico (facente parte del Gruppo Invitalia), che è stata designata come soggetto attuatore dei Piani Banda Larga e Ultra Larga e che implementa le misure definite nella Strategia Nazionale per la Banda Ultralarga.
Con il decreto del MISE del 7 maggio 2019 è stato approvato il Piano operativo SINFI.
La Strategia Italiana per la Banda Ultralarga "Verso la Gigabit Society" del 25 maggio 2021 prevede come obiettivo quello di assicurare " il progressivo ulteriore popolamento del SINFI". Sempre facendo riferimento ai dati della citata nuova Strategia alla data di pubblicazione della stessa, sono stati conferiti nel Sinfi, gestito per il MiSE dalla società in-house Infratel Italia S.p.A., i dati di 825 soggetti tra gestori di infrastrutture fisiche e operatori di rete, per un totale di:
· 219.000 km di infrastrutture di posa (tipicamente tubazioni);
· 1.100.000 km di reti elettriche (inclusa l'illuminazione pubblica);
· 202.000 km di reti del gas;
· 149.000 km di rete idrica;
· 122.000 km di rete fognaria;
· 102.000 km di reti di telecomunicazione;
· 5.000 km di reti del teleriscaldamento;
· 3.000 km di oleodotti.
Tali dati sono resi disponibili oltre che alle stesse imprese detentrici di infrastrutture, anche a tutti gli enti locali per il governo e la gestione del territorio, al fine di consentire una migliore gestione e programmazione degli interventi infrastrutturali. Inoltre, per raggiungere gli obiettivi di "completezza" e "attualità" sistema, sono previste diverse attività legate sia all'aggiornamento che al mantenimento del SINFI, sia alla sua fruizione in ottica di semplificazione. Tra queste si citano il coinvolgimento attivo dei comuni e il supporto alle realtà meno avanzate in termini di digitalizzazione, nella raccolta delle informazioni relative alle proprie infrastrutture, con dati digitali.
Per ogni ulteriore approfondimento, si rinvia al tema di documentazione pubblicato al seguente link.
Articolo 10
(Salvaguardia dei pascoli montani)
L’articolo 10 reca disposizioni in materia di adozione di linee guida per le regioni finalizzate all’individuazione, recupero, utilizzazione razionale e valorizzazione dei sistemi pascolivi montani (comma 1). E’ inoltre prevista una norma a salvaguardia del corretto utilizzo e della destinazione dei pascoli gravati da usi civici oggetto di concessione o affitto a privati (comma 2).
Nel dettaglio, il comma 1 affida al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali il compito di predisporre, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentiti il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e il Ministro della cultura e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, linee guida per le regioni finalizzate all’individuazione, al recupero, all’utilizzazione razionale e alla valorizzazione dei sistemi pascolivi montani, anche mediante la promozione della costituzione di forme associative tra i proprietari e gli affittuari interessati, nel rispetto del testo unico in materia di foreste e filiere forestali, di cui al decreto legislativo 34/2018 e delle relative norme attuative.
Si ricorda che il decreto legislativo 34/2018, contiene, all’articolo 3, alcune definizioni, tra le quali:
§ prato o pascolo permanente: le superfici non comprese nell'avvicendamento delle colture dell'azienda da almeno cinque anni, in attualità di coltura per la coltivazione di erba e altre piante erbacee da foraggio, spontanee o coltivate, destinate ad essere sfalciate, affienate o insilate una o più volte nell'anno, o sulle quali è svolta attività agricola di mantenimento, o usate per il pascolo del bestiame, che possono comprendere altre specie, segnatamente arbustive o arboree, utilizzabili per il pascolo o che producano mangime animale, purché l'erba e le altre piante erbacee da foraggio restino predominanti [lettera i), comma 2];
§ prato o pascolo arborato: le superfici in attualità di coltura con copertura arborea forestale inferiore al 20 per cento, impiegate principalmente per il pascolo del bestiame [lettera l), comma 2;
§ bosco da pascolo: le superfici a bosco destinate tradizionalmente anche a pascolo con superficie erbacea non predominante [lettera m), comma 2].
Inoltre, per le materie di competenza esclusiva dello Stato, sono assimilati a bosco, tra l’altro, le radure e tutte le altre superfici di estensione inferiore a 2.000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco, non riconosciute come prati o pascoli permanenti o come prati o pascoli arborati [lettera e), comma 2, articolo 4]
Infine, con i piani forestali di indirizzo territoriale, le regioni definiscono, tra l’altro, le priorità d'intervento necessarie alla tutela, alla gestione e alla valorizzazione ambientale, economica e socio-culturale dei boschi e dei pascoli ricadenti all'interno del territorio sottoposto a pianificazione [lettera b, comma 5, articolo 6)
Si ricorda altresì che, in materia di foreste, è stata adottata la comunicazione della Commissione europea COM(2021) 572 final, che reca la "Nuova strategia dell'UE per le foreste per il 2030".
Tale disposizione ha la finalità di mantenere e recuperare i pascoli montani per la conservazione e la tutela della biodiversità, la prevenzione del dissesto idrogeologico, la tutela del paesaggio, nonché lo sviluppo delle produzioni agroalimentari di qualità.
Si ricorda che il decreto-legge n. 59/2021, all'art. 2, comma 1-bis, lettera h), ha destinato 15 milioni di euro, per l'anno 2021, per investimenti per il passaggio a metodi di allevamento a stabulazione libera, estensivi, pascolivi, come l'allevamento all'aperto, l'allevamento con nutrizione ad erba (grass fed) e quello biologico e per la transizione a sistemi senza gabbie.
Si segnala che la decisione di esecuzione della Commissione n. C(2022) 1875, in considerazione dell'impatto sulla domanda e l'offerta dei prodotti agricoli determinato dall'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, autorizza gli Stati membri a prevedere deroghe a talune condizioni per ottenere il pagamento di inverdimento, consentendo di utilizzare, per il pascolo, la fienagione o la coltivazione, i terreni lasciati a riposo ai fini della diversificazione colturale o della costituzione delle aree d'interesse ecologico. Tale regolamento è stato attuato con decreto ministeriale 8 aprile 2022.
La disposizione di cui al primo periodo si applica in relazione ai piccoli comuni di cui all’articolo 3 della L. 158/2017.
Si ricorda che per piccoli comuni si intendono i comuni con popolazione residente fino a 5.000 abitanti nonché i comuni istituiti a seguito di fusione tra comuni aventi ciascuno popolazione fino a 5.000 abitanti. I piccoli comuni possono beneficiare dei finanziamenti concessi ai sensi dell'articolo 3 qualora rientrino in una delle seguenti tipologie:
a) comuni collocati in aree interessate da fenomeni di dissesto idrogeologico;
b) comuni caratterizzati da marcata arretratezza economica;
c) comuni nei quali si è verificato un significativo decremento della popolazione residente rispetto al censimento generale della popolazione effettuato nel 1981;
d) comuni caratterizzati da condizioni di disagio insediativo, sulla base di specifici parametri definiti in base all'indice di vecchiaia, alla percentuale di occupati rispetto alla popolazione residente e all'indice di ruralità;
e) comuni caratterizzati da inadeguatezza dei servizi sociali essenziali;
f) comuni ubicati in aree contrassegnate da difficoltà di comunicazione e dalla lontananza dai grandi centri urbani;
g) comuni la cui popolazione residente presenta una densità non superiore ad 80 abitanti per chilometro quadrato;
h) comuni comprendenti frazioni con le caratteristiche di cui alle lettere a), b), c), d), f) o g); in tal caso, i finanziamenti disposti ai sensi dell'articolo 3 sono destinati ad interventi da realizzare esclusivamente nel territorio delle medesime frazioni;
i) comuni appartenenti alle unioni di comuni montani di cui all'articolo 14, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, o comuni che comunque esercitano obbligatoriamente in forma associata, ai sensi del predetto comma 28, le funzioni fondamentali ivi richiamate;
l) comuni con territorio compreso totalmente o parzialmente nel perimetro di un parco nazionale, di un parco regionale o di un'area protetta;
m) comuni istituiti a seguito di fusione;
n) comuni rientranti nelle aree periferiche e ultraperiferiche, come individuate nella strategia nazionale per lo sviluppo delle aree interne del Paese, di cui all'articolo 1, comma 13, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (art. 1, comma 2, L.158/2017).
Inoltre, l’articolo 3 della L. 158/2017 istituisce nello stato di previsione del Ministero dell'interno, con una dotazione di 10 milioni di euro per l'anno 2017 e di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2018 al 2023, un Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni, destinato al finanziamento di investimenti diretti alla tutela dell'ambiente e dei beni culturali, alla mitigazione del rischio idrogeologico, alla salvaguardia e alla riqualificazione urbana dei centri storici, alla messa in sicurezza delle infrastrutture stradali e degli istituti scolastici nonché alla promozione dello sviluppo economico e sociale e all'insediamento di nuove attività produttive.
Il comma 2 dispone che costituisce causa di estinzione del rapporto la violazione del divieto di subaffitto o, comunque, di subconcessione di pascoli gravati da usi civici oggetto di concessione o affitto a privati. Tale disposizione ha la finalità di salvaguardare il corretto utilizzo e la destinazione di tali pascoli.
Si ricorda che la legge n. 168 del 2017 reca norme in materia di domini collettivi (beni collettivi oggetto del diritto di uso civico).
Sono beni collettivi:
a) le terre di originaria proprietà collettiva della generalità degli abitanti del territorio di un comune o di una frazione, imputate o possedute da comuni, frazioni od associazioni agrarie comunque denominate;
b) le terre, con le costruzioni di pertinenza, assegnate in proprietà collettiva agli abitanti di un comune o di una frazione, a seguito della liquidazione dei diritti di uso civico e di qualsiasi altro diritto di promiscuo godimento esercitato su terre di soggetti pubblici e privati;
c) le terre derivanti: da scioglimento delle promiscuità di cui all'articolo 8 della legge 16 giugno 1927, n. 1766; da conciliazioni nelle materie regolate dalla predetta legge n. 1766 del 1927; dallo scioglimento di associazioni agrarie; dall'acquisto di terre ai sensi dell'articolo 22 della medesima legge n. 1766 del 1927 e dell'articolo 9 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102; da operazioni e provvedimenti di liquidazione o da estinzione di usi civici; da permuta o da donazione;
d) le terre di proprietà di soggetti pubblici o privati, sulle quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici non ancora liquidati;
e) le terre collettive comunque denominate, appartenenti a famiglie discendenti dagli antichi originari del luogo, nonché le terre collettive disciplinate dagli articoli 34 della legge 25 luglio 1952, n. 991, 10 e 11 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102, e 3 della legge 31 gennaio 1994, n. 97;
f) i corpi idrici sui quali i residenti del comune o della frazione esercitano usi civici (Art 3, comma 1)
Inoltre, è previsto che negli eventuali procedimenti di assegnazione di terre definite quali beni collettivi ai sensi del presente articolo, gli enti esponenziali delle collettività titolari conferiscono priorità ai giovani agricoltori, come definiti dalle disposizioni dell'Unione europea vigenti in materia. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono autorizzare trasferimenti di diritti di uso civico e permute aventi a oggetto terreni a uso civico appartenenti al demanio civico in caso di accertata e irreversibile trasformazione, a condizione che i predetti terreni:
a) abbiano irreversibilmente perso la conformazione fisica o la destinazione funzionale di terreni agrari, boschivi o pascolativi per oggettiva trasformazione prima della data di entrata in vigore della legge 8 agosto 1985, n. 431, e le eventuali opere realizzate siano state autorizzate dall'amministrazione comunale;
b) siano stati utilizzati in conformità ai vigenti strumenti di pianificazione urbanistica;
c) non siano stati trasformati in assenza dell'autorizzazione paesaggistica o in difformità da essa.
I trasferimenti di diritti di uso civico e le permute di cui al comma 8-bis hanno a oggetto terreni di superficie e valore ambientale equivalenti che appartengono al patrimonio disponibile dei comuni, delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. I trasferimenti dei diritti e le permute comportano la demanializzazione dei terreni di cui al periodo precedente e a essi si applica l'articolo 142, comma 1, lettera h), del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
I terreni dai quali sono trasferiti i diritti di uso civico sono sdemanializzati e su di essi è mantenuto il vincolo paesaggistico (art. 3, commi 8, - 8-quater).
Articolo 11
(Incentivi agli investimenti e alle attività diversificate
degli agricoltori e dei silvicoltori di montagna)
L’articolo 11 concede un contributo, sotto forma di credito d'imposta, agli imprenditori agricoli e forestali che esercitano la propria attività nei comuni montani, come definiti sulla base dell'articolo 2, e che effettuano investimenti volti all'impiego delle pratiche di coltivazione e gestione del fondo benefiche per l'ambiente e il clima. Il credito d'imposta è riconosciuto nella misura pari al 10 per cento del valore degli investimenti effettuati dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2025, nel limite complessivo di spesa di 4 milioni di euro per ciascun anno.
In base al comma 1, inoltre, il credito d'imposta è cumulabile con altre agevolazioni per le medesime spese, comunque nel limite dei costi sostenuti, ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del d.lgs. n. 241/1997, dal periodo d'imposta successivo a quello in cui i costi sono stati sostenuti.
La disposizione in esame esclude altresì l'applicazione dei limiti di utilizzo dei crediti d'imposta previsti:
- dall'articolo 1, comma 53, della legge finanziaria per il 2008 (L. n. 244/2007);
L'articolo 1, comma 53, della legge finanziaria per il 2008 (L. n. 244/2007) ha fissato nella misura di 250.000 euro il limite massimo annuale di utilizzo dei "crediti d'imposta da indicare nel quadro RU della dichiarazione dei redditi". L'ammontare eccedente è riportato in avanti anche oltre il limite temporale eventualmente previsto dalle singole leggi istitutive ed è comunque compensabile per l'intero importo residuo a partire dal terzo anno successivo a quello in cui si genera l'eccedenza.
- dall'articolo 34 della legge finanziaria per il 2001 (L. n. 388/2000).
Tale disposizione ha fissato, a decorrere dal 1° gennaio 2001, in "lire 1 miliardo per ciascun anno solare" il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili ai sensi dell'articolo 17 del d.lgs. n. 241/1997, ovvero rimborsabili ai soggetti intestatari di conto fiscale. Tenendo conto delle esigenze di bilancio, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, tale limite può essere elevato, a decorrere dal 1° gennaio 2010, fino a 700.000 euro.
L'agevolazione si applica nel rispetto dei limiti e delle condizioni di cui al regolamento (UE) n. 1408/2013, relativo all'applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea agli aiuti «de minimis» nel settore agricolo, e al regolamento (UE) n. 717/2014, relativo all'applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea agli aiuti «de minimis» nel settore della pesca e dell'acquacoltura.
L'articolo 3, § 2, del regolamento (UE) n. 1408/2013 stabilisce che l'importo complessivo degli aiuti «de minimis» concessi da uno Stato membro a un'impresa unica non può superare 20 000 EUR nell'arco di tre esercizi finanziari. In base al § 3, l'importo complessivo degli aiuti «de minimis» concessi da uno Stato membro alle imprese che operano nel settore della produzione primaria di prodotti agricoli nell'arco di tre esercizi finanziari non può superare il limite nazionale stabilito nell'allegato I (pari a € 700 419 125 per l'Italia). Per il § 3 bis, in deroga ai paragrafi 2 e 3, gli Stati membri possono decidere che l'importo totale degli aiuti «de minimis» concessi a un'impresa unica non possa superare 25 000 EUR nell'arco di tre esercizi finanziari e che l'importo complessivo totale degli aiuti «de minimis» concessi nell'arco di tre esercizi finanziari non possa superare il limite nazionale stabilito nell'allegato II (pari a € 840 502 950 per l'Italia), subordinatamente al rispetto di alcune condizioni.
L'articolo 3, § 2, del regolamento (UE) n. 717/2014, prevede che l'importo complessivo degli aiuti «de minimis» concessi da uno Stato membro a un'impresa unica nel settore della pesca e dell'acquacoltura non può superare 30.000 EUR nell'arco di tre esercizi finanziari. In base al § 3, l'importo cumulativo degli aiuti «de minimis» concessi da uno Stato membro alle imprese che operano nel settore della pesca e dell'acquacoltura nell'arco di tre esercizi finanziari non può superare il limite nazionale stabilito nell'allegato (pari a € 96.310.000 per l'Italia).
Dalla formulazione del comma 1 non appare chiaro se la disposizione è destinata a tutti i comuni definiti montani (ai sensi dell’art. 2, co.1) o ai soli comuni montani che saranno “destinatari delle misure di sviluppo e valorizzazione previste dalla presente legge” (come previsto dall’art. 2, comma 3).
Il comma 2 demanda a un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro della transizione ecologica, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge in esame, l'individuazione dell'elenco delle pratiche benefiche per l'ambiente e il clima di cui al comma 1.
Ai fini dell'individuazione, per gli imprenditori forestali, delle pratiche benefiche per l'ambiente e il clima, il comma 3 rinvia ai piani di indirizzo e di gestione o agli strumenti equivalenti di cui all'articolo 6, commi 3 e 7, del testo unico in materia di foreste e filiere forestali (d.lgs. n. 34/2018) nonché agli articoli 4 e 5 del DM 28 ottobre 2021, pubblicato nella GU n. 289 del 4 dicembre 2021.
L'articolo 6 del d.lgs. n. 34/2018 prevede al comma 3 che le regioni possono predisporre, nell'ambito di comprensori territoriali omogenei per caratteristiche ambientali, paesaggistiche, economico-produttive o amministrative, piani forestali di indirizzo territoriale, finalizzati all'individuazione, al mantenimento e alla valorizzazione delle risorse silvo-pastorali e al coordinamento delle attività necessarie alla loro tutela e gestione attiva, nonché al coordinamento degli strumenti di pianificazione forestale di cui al comma 6. L'attività può essere svolta anche in accordo tra più regioni ed enti locali in coerenza con quanto previsto dai piani paesaggistici regionali. I piani forestali di indirizzo territoriale concorrono alla redazione dei piani paesaggistici di cui agli articoli 143 (Piano paesaggistico) e 156 (Verifica ed adeguamento dei piani paesaggistici) del codice dei beni culturali e del paesaggio (d.lgs. n. 42/2004), fatto salvo quanto previsto dall'articolo 145 (Coordinamento della pianificazione paesaggistica con altri strumenti di pianificazione) del medesimo codice.
Il comma 7 demanda a un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, adottato di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e d'intesa con la Conferenza Stato-regioni l'approvazione di apposite disposizioni per la definizione dei criteri minimi nazionali di elaborazione dei piani forestali di indirizzo territoriale di cui al comma 3 e dei piani di gestione forestale, o strumenti equivalenti, di cui al comma 6, al fine di armonizzare le informazioni e permetterne una informatizzazione su scala nazionale.
In attuazione di tale disposizione è stato emanato il richiamato DM 28 ottobre 2021 (Disposizioni per la definizione dei criteri minimi nazionali per l'elaborazione dei piani forestali di indirizzo territoriale e dei piani di gestione forestale).
Il comma 1 dell'articolo 4 disciplina il piano di gestione forestale (PGF), con riferimento a scala aziendale o di più aziende riunite tra loro anche solo a fini pianificatori, il quale rappresenta uno strumento fondamentale a garantire la tutela, la valorizzazione e la gestione sostenibile delle risorse forestali e silvo-pastorali. Il PGF è redatto sulla base dei principi, criteri e metodi propri dell'assestamento forestale da soggetti pubblici e privati, e viene promosso dalle regioni anche tramite azioni incentivanti, per le proprietà pubbliche, private e collettive in attuazione dei Programmi forestali regionali e in coordinamento con i PFIT ove esistenti. La durata del PGF può indicativamente essere fissata in un minimo di dieci anni e in un massimo di venti anni. Le regioni definiscono i tempi e le procedure per l'eventuale verifica intermedia della sua applicazione e per la revisione, nonché la superficie minima per la loro redazione.
Il comma 2 dello stesso articolo prevede che il PGF recepisce e integra in modo coordinato e attua in termini tecnico-forestali indirizzi, prescrizioni, vincoli, indicazioni programmatiche e di pianificazione territoriale derivanti dagli strumenti di programmazione e di pianificazione territoriale e ambientale vigenti.
Il comma 1 dell'articolo 5 qualifica come strumenti equivalenti al PGF i documenti di pianificazione della gestione del patrimonio boschivo delle proprietà pubbliche, private e collettive, redatti in forma semplificata rispetto al PGF la cui soglia di superficie massima è stabilita dalle regioni tenuto conto del contesto socio economico e territoriale, e avere durata compresa tra i dieci e venti anni. Gli strumenti equivalenti approvati a seguito della realizzazione di impianti e miglioramenti forestali conservano la loro validità fino alla scadenza prevista.
Il comma 4 demanda a un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, da adottare entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, la definizione dei criteri e delle modalità di concessione del credito d'imposta, anche ai fini del rispetto del limite di spesa previsto, nonché le disposizioni relative ai controlli e al recupero del beneficio indebitamente fruito.
Agli oneri derivanti dall'attuazione dei commi 1, 2 e 3, pari a 4 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2026, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane (istituito dall'articolo 1, comma 593, della legge di bilancio per il 2022 - L. n. 234/2021 - nello stato di previsione del MEF e successivamente trasferito al bilancio autonomo del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie).
Per approfondimenti sulla disciplina del Fondo, si rinvia alla scheda dell’articolo 4 del disegno di legge in esame.
Il comma 5 consente ai comuni montani, come definiti in base all'articolo 2 del disegno di legge, l'affidamento dei lavori pubblici di sistemazione e di manutenzione del territorio montano, di gestione forestale sostenibile, di sistemazione idraulica e di difesa dalle avversità atmosferiche e dagli incendi boschivi, di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria indicate all'articolo 35 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016), nel rispetto dei principi per l'affidamento dei contratti sotto soglia (di cui all'articolo 36, comma 1, del medesimo codice), a coltivatori diretti, singoli o associati, che conducono aziende agricole ubicate nei comuni montani medesimi con impiego esclusivo del lavoro proprio e dei familiari di cui all'articolo 230-bis del codice civile nonché di macchine e attrezzature di loro proprietà, nel rispetto delle norme vigenti sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori.
Per l'articolo 230-bis del codice civile si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo.
Articolo 12
(Rifugi di montagna)
L’articolo 12 reca una definizione dei rifugi di montagna, configurandoli quali strutture ricettive ubicate in zone disagiate o isolate di montagna e idonee a fornire ricovero, ristoro e soccorso a sportivi ed escursionisti.
Ai sensi del comma 1 sono considerati rifugi di montagna le strutture ricettive ubicate in zone disagiate o isolate di montagna e idonee a fornire ricovero e ristoro nonché soccorso a sportivi e a escursionisti.
Il comma fa salve le specifiche definizioni contenute in leggi regionali.
Si rammenta che a seguito della modifica dell’art. 117 della Costituzione, disposta dalla legge costituzionale n. 1 del 2001, la materia del turismo, non essendo ricompresa tra le competenze della legislazione statale né tra quelle della legislazione concorrente, risulta quale competenza residua delle Regioni.
Una prima definizione di rifugio alpino era contenuta nel decreto 29 ottobre 1955 del Commissario per il turismo (previsto in attuazione della legge delega n. 150 del 1953) che indicava, all’art. 12, le caratteristiche che il rifugio alpino avrebbe dovuto avere ai fini del rilascio dell’autorizzazione da parte degli Enti provinciali per il turismo alla costruzione o all’apertura del rifugio:
1) si tratti di costruzioni isolate in zone montane, raggiungibili attraverso sentieri, mulattiere, ghiacciai, morene, ecc., per ricetto dei turisti e degli escursionisti di montagna;
2) la costruzione abbia carattere permanente, costituisca valida difesa dal freddo e dall'umidità, sia ubicata in modo da garantire sicuro asilo, abbia ricettività adeguata alla cubatura e risponda comunque a criteri razionali;
3) i rifugi con custode dispongano di locali destinati ad alloggio per il custode e allo stanziamento delle guide;
4) i rifugi accessibili, durante la chiusura invernale, dispongano di uno o più locali di fortuna con parti apribili dall'esterno;
5) i rifugi dispongano di servizi igienici, di rifornimento idrico e di riscaldamento, nonché di conveniente attrezzatura per il conforto, la sosta e il pernottamento di chi vi trova ricetto e siano dotati di cassetta di medicazione e pronto soccorso.
Attualmente, a livello di legislazione statale, la classificazione di rifugio alpino è contenuta nel decreto del Ministero dell'interno 3 marzo 2014, recante “Modifica del Titolo IV del decreto 9 aprile 1994 in materia di regole tecniche di prevenzione incendi per i rifugi alpini”[34] (G.U. 15 marzo 2014, n. 62) sulla base dei “seguenti criteri:
§ Rifugi raggiungibili con strada rotabile;
§ Rifugi non raggiungibili con strada rotabile.
Si intende per strada rotabile una strada ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali, con carreggiata di larghezza complessiva non inferiore a 2,75 m.
Si intendono raggiungibili con strada rotabile anche i rifugi presso i quali è possibile arrivare attraverso una via di accesso, anche solo pedonale, di lunghezza non superiore a 300 m dalla strada rotabile, a prescindere dal dislivello esistente tra il piano strada e il piano dell'area esterna del rifugio.
Non rientrano nella categoria dei rifugi alpini i bivacchi fissi ed i ricoveri, intendendosi con tale denominazione quelle modeste costruzioni adibite al ricovero degli alpinisti con le seguenti peculiarità: sempre incustoditi ed aperti in permanenza, senza presenza di viveri e di dispositivi di cottura, ma con lo stretto necessario per il riposo ed il ricovero d'emergenza”.
Nella vigente legislazione regionale il rifugio alpino viene ricompreso tra le “strutture ricettive extralberghiere”, unitamente ad ostelli, campeggi, affittacamere, b&b, ecc.
Oltre al rifugio alpino, in molte legislazioni regionali è presente anche la figura del rifugio escursionistico.
Alcune Regioni prevedono una ulteriore sotto-distinzione, come nel caso del Piemonte, indicando la categoria delle “strutture ricettive alpinistiche”, costituita dai rifugi escursionisti, rifugi alpini, rifugi non gestiti, bivacchi fissi e rifugi di piccola accoglienza montana (PAM).
A titolo di esempio, la legge della Lombardia definisce rifugi alpinistici le strutture ricettive idonee a offrire ospitalità e ristoro, gestite e poste a quota non inferiore a 1.000 metri di altitudine in zone isolate di montagna, inaccessibili mediante strade aperte al traffico ordinario o linee funiviarie di servizio pubblico, a esclusione delle sciovie, oppure distanti da esse almeno 1.500 metri lineari o 150 metri di dislivello. Sono, invece rifugi escursionistici le strutture ricettive idonee a offrire ospitalità e ristoro, gestite e poste a quota non inferiore a seicento metri di altitudine, al di fuori dei centri abitati, in luoghi accessibili anche mediante strade aperte al traffico di servizio o impianti di trasporto pubblico, a esclusione delle sciovie.
Normativa regionale in tema di rifugi
PIEMONTE - Legge regionale 18 febbraio 2010, n. 8. Ordinamento dei rifugi alpini e delle altre strutture ricettive alpinistiche.
VALLE D’AOSTA - Legge regionale 20 aprile 2004, n. 4. Interventi per lo sviluppo alpinistico ed escursionistico e disciplina della professione di gestore di rifugio alpino.
LIGURIA - Legge regionale 12 novembre 2014, n. 32. Testo unico in materia di strutture turistico ricettive e norme in materia di imprese turistiche. Articolo 19. Rifugi alpini ed escursionistici.
LOMBARDIA - Legge regionale 1° ottobre 2015, n. 27. Politiche regionali in materia di turismo e attrattività del territorio lombardo. Articoli 31-36. Strutture alpinistiche.
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - Legge provinciale 15 marzo 1993, n. 8. Ordinamento dei rifugi alpini, bivacchi, sentieri e vie ferrate.
PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO - Legge provinciale 7 aprile 1997, n. 5. Interventi per il sostegno di rifugi alpini.
VENETO - Legge regionale 14 giugno 2013, n. 11. Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto. Art. 27. Strutture ricettive complementari.
FRIULI-VENEZIA GIULIA - Legge regionale 9 dicembre 2016, n. 21. Disciplina delle politiche regionali nel settore turistico e dell'attrattività del territorio regionale. Art. 33. Rifugi alpini ed escursionistici.
EMILIA-ROMAGNA - Legge regionale 28 luglio 2004, n. 16. Disciplina delle strutture ricettive dirette all'ospitalità. Art. 9. Rifugi alpini ed escursionistici.
TOSCANA - Legge regionale 20 dicembre 2016, n. 86. Testo unico del sistema turistico regionale. Artt. 47-50. Rifugi e bivacchi.
MARCHE - Legge regionale 11 luglio 2006, n. 9. Testo unico delle norme regionali in materia di turismo. Art. 25. Rifugi alpini, escursionistici e bivacchi fissi.
UMBRIA - Legge regionale 10 luglio 2017, n. 8. Legislazione turistica regionale. Art. 27. Rifugi escursionistici.
LAZIO - Regolamento regionale 7 agosto 2015, n. 8. Nuova disciplina delle strutture ricettive extralberghiere. Art. 11. Rifugi montani.
ABRUZZO - Legge regionale 28 aprile 1995, n. 75. Disciplina delle strutture turistiche extralberghiere. Artt. 15-24. Rifugi e bivacchi.
CAMPANIA - Legge regionale 24 novembre 2001, n. 17. Disciplina delle strutture ricettive extralberghiere. Art. 7. Rifugi di montagna.
BASILICATA - Legge regionale 4 giugno 2008, n. 6. Disciplina della classificazione delle strutture ricettive e di ospitalità della Regione Basilicata. Art. 5.
CALABRIA - Legge regionale 7 agosto 2018, n. 34. Norme sulla classificazione delle strutture ricettive extralberghiere. Art. 7. Servizi di alloggio in aree naturalistiche.
SICILIA - Legge regionale 6 aprile 1996, n. 27. Norme per il turismo. Art. 3, co. 14.
SARDEGNA – Deliberazione Giunta Regionale n. 23/80 del 22 giugno 2021. Linee Guida per l'istituzione e la gestione della Rete Escursionistica della Sardegna (R.E.S.). Art. 12 Rifugi, Bivacchi.
Il comma 2 stabilisce che le disposizioni concernenti le caratteristiche funzionali dei rifugi possono essere stabilite sia dalla normativa dello Stato che da quella delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano.
Sono, ad esempio, di competenza statale le normative di pubblica sicurezza e la normativa antincendio. La vigente normativa antincendio sui rifugi alpini è contenuta nel Decreto del Ministero dell’Interno 9 aprile 1994 di “Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere”.
Nell’indicare tra le caratteristiche funzionali dei rifugi quelle relative agli scarichi e agli impianti di smaltimento, il comma consente la possibilità di prevedere eventuali deroghe rispetto alla normativa statale, per quanto riguarda i requisiti igienico-sanitari minimi, in proporzione alla capacità ricettiva e alla condizione dei luoghi, fermo restando il rispetto della normativa di riferimento a tutela dell’ambiente.
Il comma 3 precisa che i rifugi di montagna di proprietà pubblica possono essere concessi in locazione a persone fisiche o giuridiche o ad enti non aventi scopo di lucro ai sensi della normativa vigente, fatte salve le prioritarie esigenze operative e addestrative del Ministero della difesa.
Al riguardo si ricorda che il Club alpino italiano (CAI), benché a livello di Sede centrale sia classificato come un “ente pubblico non economico”, tale considerazione non sussiste nei confronti delle 517 Sezioni che lo costituiscono presenti sul territorio, in quanto esse sono dotate di una propria personalità giuridica, riconosciuta e non[35].
I rifugi del CAI sono di proprietà delle singole Sezioni del CAI e, pertanto, si configurano come un bene privato. Uniche eccezioni sono il rifugio Sella al Monviso e la Capanna Regina Margherita sul Monte Rosa, di proprietà della Sede Centrale.
Articolo 13
(Finalità della fiscalità montana)
L’articolo 13 individua le finalità del Capo V del provvedimento in esame, denominato Fiscalità Montana, chiarendo esplicitamente che tali disposizioni hanno il fine di favorire lo sviluppo economico e sociale, l’occupazione e il ripopolamento delle zone montane.
Viene poi specificato che ce le misure di sostegno di cui al Capo V sono erogate in conformità alla disciplina europea degli aiuti di Stato.
Più in dettaglio il comma 1 chiarisce che le misure del Capo V sono volte alla realizzazione, sul piano fiscale, delle finalità di cui all’articolo 1 del provvedimento in esame.
In sintesi, l’articolo 1 del provvedimento in esame intende riconoscere e promuovere le zone montane, il cui sviluppo integrale costituisce un obiettivo di interesse nazionale in ragione della loro importanza strategica ai fini della tutela dell’ambiente, delle risorse naturali, del paesaggio, della salute e delle loro peculiarità storiche, culturali e linguistiche.
Il comma 3 dell’articolo 1 chiarisce che il provvedimento in esame è volto a valorizzare le specificità delle zone montane al fine di limitare gli squilibri economici e sociali rispetto ai territori non montani, di favorirne il ripopolamento, di garantire a coloro che vi risiedono l’effettivo esercizio dei diritti e l’agevole accesso ai servizi pubblici essenziali, di promuovere l’agricoltura e la gestione forestale sostenibile, l’industria, il commercio, l’artigianato e il turismo e di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale montano
Le finalità sul piano fiscale sono perseguite in attuazione di alcuni articoli della Costituzione e, in particolare:
§ l’articolo 2, a norma del quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale;
§ l’articolo 3, secondo comma, ai sensi del quale è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese;
§ l’articolo 119, quinto comma, ai sensi del quale le risorse derivanti dalle fonti di finanziamento degli enti territoriali (stabilite dai primi quattro commi dell’articolo 119) consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.
Il comma 1, infine, chiarisce esplicitamente che le disposizioni fiscali del Capo V hanno il fine di favorire lo sviluppo economico e sociale, l’occupazione e il ripopolamento delle zone montane.
Il comma 2 reca una clausola di salvaguardia europea, chiarendo che le misure di sostegno di cui al Capo V sono erogate in conformità agli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che disciplinano la concessione degli aiuti di Stato.
Articolo 14
(Imprese montane esercitate da giovani)
L’articolo 14 introduce un credito d’imposta a favore di piccole e microimprese che, a partire dal 2023, intraprendono una nuova attività nei comuni montani, e in cui il titolare o almeno uno degli esercenti non abbia compiuto 36 anni di età alla data di entrata in vigore della legge in esame.
L’articolo 14, comma 1, riconosce un contributo sotto forma di credito di imposta alle piccole imprese e alle microimprese (come definite dalla Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003), in cui il titolare o almeno uno degli esercenti non abbia compiuto il trentaseiesimo anno di età alla data di entrata in vigore della presente legge, e che, dopo il 1° gennaio 2023, abbiano intrapreso una nuova attività nei comuni montani come individuati con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato ai sensi dell’articolo 2 (alla cui scheda si rimanda).
Si ricorda che in base alle norme della Raccomandazione sopra citata la categoria delle microimprese delle piccole imprese e delle medie imprese (PMI) è costituita da imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro.
Tale credito è riconosciuto per il periodo d’imposta nel corso del quale la nuova attività è intrapresa e per i due periodi d’imposta successivi ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione e in misura pari alla differenza tra l’imposta calcolata applicando le aliquote ordinarie al reddito derivante dallo svolgimento della predetta attività nei citati comuni, determinato nei modi ordinari e fino a concorrenza dell’importo di 80.000 euro, e l’imposta calcolata applicando al medesimo reddito l’aliquota del 15 per cento.
Il comma 2 precisa che l’agevolazione si applica nel rispetto dei limiti e delle condizioni di cui al Regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis», al Regolamento (UE) n. 1408/ 2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis» nel settore agricolo, e al Regolamento (UE) n. 717/2014 della Commissione, del 27 giugno 2014, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti «de minimis» nel settore della pesca e dell’acquacoltura.
Si ricorda a tale proposito che per aiuto di Stato si intende qualsiasi trasferimento di risorse pubbliche a favore di alcune imprese o produzioni che, attribuendo un vantaggio economico selettivo, falsa o minaccia di falsare la concorrenza. Tranne in alcuni casi, gli aiuti di Stato sono vietati dalla normativa europea e dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea che disciplina la materia agli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Il comma 3 definisce le modalità di applicazione delle norme di agevolazione fiscale in esame. Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e con il Ministro per le politiche giovanili, sentito il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, sono determinate le modalità di applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo, anche ai fini del rispetto del limite di spesa stabilito al comma 4.
Il comma 4, come sopra anticipato, definisce il limite di spesa e la copertura finanziaria per l’applicazione della misura ovvero il credito d’imposta è concesso nel limite di 20 milioni di euro annui e ai relativi oneri, pari a 20 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2024, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane di cui all’articolo 1, comma 593, della legge 30 dicembre 2021, n. 234.
Si ricorda che il comma 593 stabilisce che al fine di promuovere e realizzare interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle regioni e delle province autonome, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze è istituito un fondo, da trasferire al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, denominato Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, con una dotazione di 100 milioni di euro per l'anno 2022 e 200 milioni di euro a decorrere dall'anno 2023. In particolare, il Fondo è utilizzato per finanziare:
a. interventi per la tutela e la promozione delle risorse ambientali dei territori montani;
b. interventi che diffondano e valorizzino, anche attraverso opportune sinergie, le migliori iniziative in materia di tutela e valorizzazione delle qualità ambientali e delle potenzialità endogene proprie dell'habitat montano;
c. attività di informazione e di comunicazione sui temi della montagna;
d. interventi di carattere socio-economico a favore delle popolazioni residenti nelle aree montane;
e. progetti finalizzati alla salvaguardia dell'ambiente e allo sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali;
f. iniziative volte a ridurre i fenomeni di spopolamento.
Il comma 5 precisa che le disposizioni del presente articolo si applicano esclusivamente ai comuni montani individuati con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 2, comma 3 (alla cui scheda si rimanda).
Si tratta in sintesi dei comuni destinatari delle misure di sviluppo e valorizzazione previste dalla presente legge, individuati sulla base dell’adeguata ponderazione del criterio altimetrico in combinazione con gli indici del calo demografico, della distanza e della difficoltà di accesso ai servizi pubblici essenziali, dei tempi di collegamento con i centri urbani mediante i percorsi stradali o ferroviari, della densità delle attività commerciali e degli insediamenti produttivi, del reddito medio pro capite o del reddito imponibile medio per ettaro.
Articolo 15
(Agevolazione Io resto in montagna)
L’articolo 15 introduce una specifica detrazione dall’imposta lorda sul reddito nel caso di mutuo contratto da un contribuente che non ha compiuto il quarantunesimo anno di età per l’acquisto di un immobile da destinare ad abitazione principale in comuni totalmente montani.
In particolare, l’articolo 15, comma 1, stabilisce una detrazione alternativa a quella prevista a regime dall’articolo 15, comma 1, lettera b), del testo unico delle imposte sui redditi (decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) e rivolta all’acquisto di unità immobiliari site nei comuni montani.
Nello specifico, con riferimento agli interessi passivi pagati in dipendenza di mutui contratti per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale nei comuni montani individuati secondo le modalità stabilite all’articolo 2 della presente legge con popolazione residente non superiore a 2.000 abitanti spetta, per il periodo d’imposta nel corso del quale è effettuato l’acquisto e per i quattro periodi d’imposta successivi, una detrazione dall’imposta lorda pari:
· al 100 per cento degli interessi passivi, entro l’importo di 500 euro;
· all’80 per cento sulla quota degli interessi passivi che eccede il limite di 500 euro fino a 1.125 euro.
A tale proposito si ricorda che il comma 1, lettera b), sopra citato prevede che dall'imposta lorda si detrae un importo pari al 19 per cento degli interessi passivi, e dei relativi oneri accessori, nonché le quote di rivalutazione dipendenti da clausole di indicizzazione pagati a soggetti residenti nel territorio dello Stato o di uno Stato membro della Comunità europea ovvero a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti in dipendenza di mutui garantiti da ipoteca su immobili contratti per l'acquisto dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale entro un anno dall'acquisto stesso, per un importo non superiore a 4.000 euro.
Il comma 2 precisa che la detrazione è concessa in favore dei contribuenti che non hanno compiuto il quarantunesimo anno di età nell’anno in cui sono rogati l’atto di acquisto dell’immobile e quello di accensione del mutuo, e spetta soltanto per l’acquisto di immobili diversi da quelli classificati nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (abitazioni di tipo signorile, ville, castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici).
Il comma 3 chiarisce che per quanto non previsto dal presente articolo si continua ad applicare comunque la disciplina contenuta nell’articolo 15, comma 1, lettera b), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986.
Il comma 4 prevede che le disposizioni del presente articolo si applicano agli acquisti di unità immobiliari effettuati e ai mutui contratti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.
Il comma 5 stabilisce la copertura finanziaria della norma prevedendo che agli oneri derivanti dal presente articolo, valutati in 17,5 milioni di euro per l’anno 2023 e in 10 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2024, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane di cui all’articolo 1, comma 593, della legge 30 dicembre 2021, n. 234.
Si ricorda che il comma 593 stabilisce che al fine di promuovere e realizzare interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle regioni e delle province autonome, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze è istituito un fondo, da trasferire al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, denominato Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, con una dotazione di 100 milioni di euro per l'anno 2022 e 200 milioni di euro a decorrere dall'anno 2023. In particolare, il Fondo è utilizzato per finanziare:
a) interventi per la tutela e la promozione delle risorse ambientali dei territori montani;
b) interventi che diffondano e valorizzino, anche attraverso opportune sinergie, le migliori iniziative in materia di tutela e valorizzazione delle qualità ambientali e delle potenzialità endogene proprie dell'habitat montano;
c) attività di informazione e di comunicazione sui temi della montagna;
d) interventi di carattere socio-economico a favore delle popolazioni residenti nelle aree montane;
e) progetti finalizzati alla salvaguardia dell'ambiente e allo sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali;
f) iniziative volte a ridurre i fenomeni di spopolamento.
Il comma 6 prevede che le disposizioni del presente articolo si applicano esclusivamente ai comuni montani individuati con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 2, comma 3 (alla cui scheda si rimanda).
Si tratta in sintesi dei comuni destinatari delle misure di sviluppo e valorizzazione previste dalla presente legge, individuati sulla base dell’adeguata ponderazione del criterio altimetrico in combinazione con gli indici del calo demografico, della distanza e della difficoltà di accesso ai servizi pubblici essenziali, dei tempi di collegamento con i centri urbani mediante i percorsi stradali o ferroviari, della densità delle attività commerciali e degli insediamenti produttivi, del reddito medio pro capite o del reddito imponibile medio per ettaro.
Articolo 16
(Agevolazioni trasferimento della proprietà
di fondi rustici situati in comuni montani)
L’articolo 16 estende la platea dei soggetti che possono avvalersi delle agevolazioni fiscali previste per il trasferimento di proprietà di fondi rustici.
Con la modifica in esame, nei territori montani i trasferimenti di proprietà a qualsiasi titolo di fondi rustici, fatti a scopo di arrotondamento o di accorpamento di proprietà diretto-coltivatrici, singole o associate, sono soggetti alle imposte di registro e ipotecaria nella misura fissa e sono esenti dalle imposte catastali.
In particolare, l’articolo 16, comma 1, sostituisce interamente il secondo comma dell’articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, che prevede delle agevolazioni fiscali (imposte di registro e ipotecaria nella misura fissa e esenzione delle imposte catastali) per i trasferimenti di proprietà a qualsiasi titolo di fondi rustici, fatti a scopo di arrotondamento o di accorpamento di proprietà diretto-coltivatrici, singole o associate, nei territori montani.
A legislazione vigente (ovvero in base al secondo comma del sopra citato articolo 9) tale vantaggio però viene riconosciuto esclusivamente
§ ai terreni situati ad altitudine non inferiore a 700 metri sul livello del mare;
§ ai terreni compresi nell’elenco dei territori montani compilato dalla commissione censuaria centrale;
§ ai terreni facenti parte di comprensori di bonifica montana.
Il secondo comma dell’articolo 9, come modificato dall’articolo in esame, prevede che i trasferimenti della proprietà di fondi rustici nei territori montani (senza più distinzione), compiuti, a qualsiasi titolo, a scopo di arrotondamento o di accorpamento di proprietà diretto-coltivatrici, singole o associate, sono soggetti alle imposte di registro e ipotecaria nella misura fissa e sono esenti dalle imposte catastali. Le stesse agevolazioni si applicano anche a favore delle cooperative agricole che conducono direttamente i terreni.
Il comma 2 stabilisce la decorrenza della misura, specificando che la disposizione di cui al comma 1 acquista efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2023 o dalla data di entrata in vigore della presente legge, se successiva a tale termine.
Il comma 3 fornisce la copertura finanziaria della misura disponendo che agli oneri derivanti dal presente articolo, valutati in 1,6 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane di cui all’articolo 1, comma 593, della legge 30 dicembre 2021, n. 234.
Si ricorda che il comma 593 stabilisce che al fine di promuovere e realizzare interventi per la salvaguardia e la valorizzazione della montagna, nonché misure di sostegno in favore dei comuni totalmente e parzialmente montani delle regioni e delle province autonome, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze è istituito un fondo, da trasferire al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, denominato Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, con una dotazione di 100 milioni di euro per l'anno 2022 e 200 milioni di euro a decorrere dall'anno 2023. In particolare, il Fondo è utilizzato per finanziare:
a) interventi per la tutela e la promozione delle risorse ambientali dei territori montani;
b) interventi che diffondano e valorizzino, anche attraverso opportune sinergie, le migliori iniziative in materia di tutela e valorizzazione delle qualità ambientali e delle potenzialità endogene proprie dell'habitat montano;
c) attività di informazione e di comunicazione sui temi della montagna;
d) interventi di carattere socio-economico a favore delle popolazioni residenti nelle aree montane;
e) progetti finalizzati alla salvaguardia dell'ambiente e allo sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali;
f) iniziative volte a ridurre i fenomeni di spopolamento.
Articolo 17
(Istituzione del Registro dei crediti di carbonio e della Sezione speciale crediti di carbonio forestali)
L’articolo 17 istituisce il Registro dei crediti di carbonio e la Sezione speciale crediti di carbonio forestali presso il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA).
Nello specifico il comma 1, prevede l’istituzione, presso il CREA, del Registro dei crediti di carbonio generati da progetti forestali realizzati nel territorio nazionale e impiegabili su base volontaria per compensare le emissioni in atmosfera. Le finalità della disposizione consistono nel mantenimento e nell’incremento delle capacità di assorbimento del carbonio atmosferico.
La stessa disposizione precisa poi che i suddetti progetti devono essere adottati in coerenza con le previsioni del punto 7.4 della deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica n. 123 del 19 dicembre 2002, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 68 del 22 marzo 2003.
Il sopra citato punto 7.4 stabilisce che entro il 31 dicembre 2006 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con il Ministero per le politiche agricole e forestali, realizza il Registro nazionale dei serbatoi di carbonio agro-forestali al fine di certificare i flussi di carbonio nel periodo 2008-2012 derivanti da attività di afforestazione, riforestazione, deforestazione, gestione forestale, gestione dei suoli agricoli e pascoli e rivegetazione.
Come illustrato nella Relazione tecnica allegata al provvedimento in esame la disposizione in commento ha l’obiettivo di “promuovere e incrementare il contributo delle foreste e del settore forestale nazionale nel perseguimento degli impegni internazionali di neutralità climatica entro il 2050. A tal fine, si prevede, per la prima volta nell’ordinamento nazionale, l’istituzione di uno schema nazionale di certificazione dei crediti di carbonio forestali generati su base volontaria e commercializzabili nell’ambito di un mercato nazionale volontario e domestico. L’obiettivo - prosegue la Relazione - è quello di istituire a livello nazionale un mercato volontario che riconosca e controlli le transazioni dei crediti di carbonio e agricoli generati da progetti forestali, che da oltre 10 anni si realizzano in Italia nell’ambito di accordi volontari non regolamentati”.
Come si legge nell’annuario del CREA, gli ecosistemi forestali costituiscono il principale serbatoio naturale di carbonio e rivestono quindi un ruolo fondamentale per mitigare gli effetti del riscaldamento globale e del cambiamento climatico. Per credito di carbonio si intende, lo stoccaggio del carbonio che avviene attraverso l’assorbimento del carbonio atmosferico: tale processo si realizza nelle foreste che lo assorbono attraverso la fotosintesi e lo trattengono sia nella parte aerea sia nel suolo. Lo stoccaggio del carbonio è quindi fondamentale per ridurre la presenza di anidride carbonica nell’aria (C02) principale responsabile dell’effetto serra.
Il comma 2 specifica gli interventi e le attività ammessi all’iscrizione nel Registro dei crediti di carbonio: afforestazione, riforestazione e gestione forestale sostenibile ed individua le superfici forestali adibite a tale scopi in regime di proprietà o in gestione da parte di soggetti che presentano i progetti forestali di cui al comma 1.
Il comma in esame stabilisce, inoltre, che i crediti di carbonio non concorrono al rispetto degli obblighi previsti in materia di sistema per lo scambio di quote di emissione dei gas ad effetto serra previsti dal D. Lgs. 9 giugno 2020, n. 47.
Con riferimento alle superfici forestali si rinvia agli articoli 3 e 4 del Dlg. 3 aprile 2018, n. 34 (Testo unico in materia di foreste e filiere forestali) contenenti le definizioni di bosco e di aree ad esso equiparate.
Il comma 3 statuisce che i criteri di valutazione e ammissibilità dei progetti forestali di cui al comma 1 nonché quelli inerenti la certificazione ed il rilascio da parte del CREA dei conseguenti crediti di carbonio, sono contenuti in apposite linee guida approvate con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, da adottarsi - entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente proposta di legge - d’intesa con il Ministro della transizione ecologica e con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie e previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato- Regioni. Le suddette Linee guida devono garantire il rispetto dei principi fissati dalle Linee guida del Gruppo intergovernativo di esperti del cambiamento climatico e dai paramenti del settore LULUCF.
In proposito la Relazione Tecnica allegata al provvedimento in esame specifica che le linee guida da adottarsi si sensi del comma 3 garantiscono “il rispetto dei principi di addizionalità, permanenza e leakage previsti dalle Linee guida dell’Intergovernamental Panel on Climate Change- IPCC e degli standard del Land use, Land-use change, and Forestry -LULUCF”.
Si fa presente che con la sigla LULUCF (acronimo, come sopra riferito, di Land Use, Land-Use-Change and Forestry) si intendono quell’insieme di attività umane che coinvolgono l’utilizzo del suolo, i cambiamenti di destinazione d’uso e la silvicoltura.
Si ricorda, inoltre, che il 15 dicembre 2021, la Commissione UE ha adottato la Comunicazione sui cicli sostenibili del carbonio, che riconosce formalmente fra gli strumenti di contrasto al cambiamento climatico il ruolo decisivo del carbon farming ossia il legame tra lea attività agricole sostenibili e il sequestro di carbonio.
Il comma 4, come sopra anticipato, prevede l’istituzione, presso il CREA, della Sezione speciale crediti di carbonio forestali demandando la stessa istituzione ad un decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali da adottarsi entro sessanta giorni dall’entrata in vigore del provvedimento in esame.
Sono poi specificati i compiti assegnati alla suddetta Sezione che consistono nel controllo e nella valutazione dei progetti forestali menzionati al comma precedente e nell’aggiornamento del Registro dei crediti di carbonio di cui al comma 1.
Il comma 5, infine, assegna al CREA un contributo pari a 1 milione di euro annui a decorrere dall’esercizio finanziario 2023 per l’attuazione della disposizione in commento.
Articolo 18
(Disposizioni particolari per le regioni a statuto speciale
e per le province autonome di Trento e di Bolzano)
L’articolo 18 introduce la clausola di salvaguardia per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel senso che le disposizioni del disegno di legge in esame sono inapplicabili alle autonomie speciali ove siano in contrasto con gli statuti e le relative norme di attuazione.
Le norme del disegno di legge in esame, infatti, non modificano il quadro delle competenze definite dagli statuti (che sono adottati con legge costituzionale) e dalle relative norme di attuazione; esse si applicano pertanto in quegli ordinamenti solo in quanto non contrastino con le speciali attribuzioni di quegli enti.
Si ricorda che norme di rango primario, come quelle recate dalla legge, non possono incidere sul quadro delle competenze definite dagli statuti - che sono adottati con legge costituzionale, fonte di grado superiore - e dalle relative norme di attuazione. Le norme di rango primario si applicano pertanto solo in quanto non contrastino con le speciali attribuzioni di tali enti.
Si tratta di una clausola, costantemente inserita nei provvedimenti che intervengono su ambiti materiali ascrivibili alle competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, che rende più agevole l'interpretazione delle norme legislative coperte dalla stessa, con un effetto potenzialmente deflattivo del contenzioso costituzionale.
La mancata previsione della clausola potrebbe infatti indurre una o più autonomie speciali ad adire la Corte costituzionale, nel dubbio sull'applicabilità nei propri confronti di una determinata disposizione legislativa (incidente su attribuzioni ad esse riservate dai propri statuti speciali).
La presenza di tale clausola, tuttavia, non esclude a priori la possibilità che una o più norme (ulteriori) del provvedimento legislativo possano contenere disposizioni lesive delle autonomie speciali, quando "singole norme di legge, in virtù di una previsione espressa, siano direttamente e immediatamente applicabili agli enti ad autonomia speciale"[36].
La norma specifica inoltre che il rispetto degli statuti e delle norme di attuazione è assicurato anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione.
L'articolo 10 della citata legge costituzionale, nello specifico, ha introdotto la cosiddetta clausola di maggior favore nei confronti delle regioni e delle province con autonomia speciale. L'articolo prevede infatti che le disposizioni della richiamata legge costituzionale (e quindi, ad esempio, delle disposizioni che novellano l'art.117 della Costituzione rafforzando le competenze legislative in capo alle regioni ordinarie) si applichino ai predetti enti "per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite" e comunque "sino all’adeguamento dei rispettivi statuti".
Tale disposizione attribuisce agli enti territoriali ad autonomia speciale competenze aggiuntive rispetto a quelle già previste nei rispettivi statuti e consente alla Corte costituzionale di valutare, in sede di giudizio di legittimità, se prendere ad esempio a parametro l’articolo 117 della Costituzione, anziché le norme statutarie, nel caso in cui la potestà legislativa da esso conferita nell'ambito di una determinata materia assicuri una autonomia più ampia di quella prevista dagli statuti speciali.
L’articolo 19 esplicita le abrogazioni necessarie a consentire il compendio delle disposizioni inerenti alla montagna in un corpus normativo organico e coerente.
L’articolo 19 dispone l’abrogazione di alcuni articoli delle vigenti leggi per lo sviluppo delle zone montane, in quanto le singole materie sono ora contenute nel disegno di legge in esame.
Sono interessate dalle abrogazioni la legge 25 luglio 1952, n. 991 (Provvedimenti in favore dei territori montani), la legge 3 dicembre 1971, n. 1102 (Nuove norme per lo sviluppo della montagna) e la legge 31 gennaio 1994, n. 97 (Nuove disposizioni per le zone montane).
In particolare:
§ alla legge 25 luglio 1952, n. 991 (Provvedimenti in favore dei territori montani) sono abrogati i seguenti articoli:
- articolo 2, recante disposizioni relative ai Mutui di miglioramento e per l'artigianato montano, diretti all'impianto e allo sviluppo di aziende agricole, zootecniche e forestali e di aziende trasformatrici di materie prime prodotte nei territori montani ed a migliorie di carattere igienico e ricettivo delle abitazioni private, ai fini dello sviluppo del turismo;
- articolo 5 (Concessioni di studi), recante disposizioni per l’anticipazione ad enti pubblici e ad aziende speciali dei mezzi necessari alla realizzazione di ricerche e studi finalizzati alla predisposizione di progetti per il più razionale sfruttamento dei beni agro-silvo-pastorali dei territori montani;
- articolo 6, recante disposizioni in tema di Demanio forestale;
- articolo 7, in materia di Espropriazione dei terreni rimboschiti a carico dello Stato;
- articolo 8 (Agevolazioni fiscali), che estende agevolazioni fiscali in favore dei territori montani in materia di imposta sui terreni e sui redditi agrari;
- articolo 15, comma 1, recante le norme per classificazione di comprensori di bonifica e di bacini montani in “comprensori di bonifica montana”:
- articolo 22, relativo alle Opere private di interesse comune;
- articolo 31, recante l’Autorizzazione di spesa, per far fronte agli oneri previsti dalla legge;
- articoli da 33 a 38, del Titolo VI, recante Disposizioni varie, e specificamente:
- articolo 33, relativo alla denominazione della Direzione generale per l'economia montana e per le foreste;
- articolo 34, disciplina delle Comunioni familiari vigenti nei territori montani nell'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale;
- articolo 35, Agevolazioni fiscali riconosciute ai consorzi, costituiti anche per la gestione dei beni silvo-pastorali degli enti pubblici;
- articolo 36, Agevolazioni fiscali per trasferimenti e permute di fondi rustici, nei territori montani;
- articolo 37, Deroga al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, dei requisiti prescritti per la nomina di direttore tecnico delle aziende speciali e dei consorzi di prevenzione, di sistemazione e di bonifica montana;
- articolo 38, recante la previsione del Regolamento di esecuzione, attuativo della legge.
§ legge 3 dicembre 1971, n. 1102 (Nuove norme per lo sviluppo della montagna) sono abrogati i seguenti articoli:
- articolo 1 (Finalità);
- articolo 2 (Finalità e mezzi per il loro raggiungimento);
- articolo 15, recante l’Autorizzazione di spesa, per gli interventi finalizzati all’attuazione dalla legge;
- articolo 16, relativo alla Riserva di investimenti pubblici in favore dei territori montani, disposta CIPE nell'elaborazione ed attuazione dei programmi e dei piani nazionali di sviluppo;
- articoli 17, 18 e 19 (Norme finali).
§ legge 31 gennaio 1994, n. 97 (Nuove disposizioni per le zone montane) sono abrogati i seguenti articoli:
- articolo 1 (Finalità della legge);
- articolo 2, relativo all’istituzione e disciplina del Fondo nazionale per la montagna, ora confluito nel Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, istituito dalla legge di bilancio per il 2022 (art. 1, comma 593, legge n. 234/2021);
A tale riguardo, si valuti l’opportunità di prevedere l’abrogazione esplicita anche del Fondo integrativo per i comuni montani, di cui all’articolo 1, commi 319-321, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, in quanto anche tale Fondo risulta confluito nel nuovo Fondo per lo sviluppo delle montagne italiane, ai sensi dell’articolo 1, comma 596, dalla legge di bilancio per il 2022.
- articolo 5-bis, (Disposizioni per favorire le aziende agricole montane);
- articolo 21 (Scuola dell'obbligo), recante facoltà di istituire istituti comprensivi di scuola materna, elementare e secondaria di primo grado nei comuni montani con meno di 5.000 abitanti.
L’abrogazione della disposizione in questione, non immediatamente sostituita da analoghe previsioni nel presente disegno di legge, sembra lasciare comunque impregiudicata la disciplina generale sugli istituti comprensivi di cui all’art. 1, comma 70, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che, nel prefigurare la ridefinizione della rete scolastica anche alla luce (fra l’altro) delle problematiche specifiche delle comunità e zone montane, prevede che “ove necessario, potranno essere costituiti, su tutto il territorio nazionale, istituti comprensivi di scuola materna, elementare e secondaria di primo grado, cui sarà assegnato personale direttivo della scuola elementare o della scuola media”. In questa prospettiva, si ricorda che la SNAMI, ai sensi dell’art. 3 del presente disegno di legge, deve considerare anche la garanzia del servizio essenziale dell’istruzione.
- articolo 24, comma 4, che prevede la presentazione della Relazione annuale al Parlamento sullo stato della montagna, ora sostituita dalla Relazione annuale sullo stato della montagna e sull’attuazione della SNAMI, prevista dall’articolo 6 del disegno di legge in esame, entro il 30 settembre di ciascun anno;
- articolo 25 (Onere finanziario), relativo all’attuazione della legge.
Il comma 2 stabilisce che nelle more dell’entrata in vigore della nuova classificazione dei comuni montani, prevista dall’articolo 2, comma 2, del disegno di legge, continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge relative alla suddetta classificazione, anche regionali, nonché le misure di sostegno, anche finanziario, ad essa correlate.
Parere, ai sensi dell’articolo 9, comma 2, lett. a) punto 1 del D.Lgs. n. 281/1997, sul disegno di legge recante “Disposizioni per lo sviluppo e la valorizzazione delle zone montane”
[1] Il legislatore regionale ha quindi disposto la trasformazione delle comunità montane in unioni di comuni montani o unioni montane, come nel caso delle Regioni Abruzzo (legge n. 1/2013), Emilia Romagna (legge n. 21/2012), Friuli-Venezia Giulia (legge n. 26/2014), Lazio (legge n. 16/2017), Marche (legge n. 35/2013), Molise (leggi n. 6/2011, n. 22/2012 e n. 1/2016, art. 15), Piemonte (leggi n. 11/2012 e n. 3/2014), Puglia (legge n. 5/2010), Sardegna (legge n. 2/2016), Toscana (leggi n. 37/2008 e n. 68/2011), Valle d’Aosta (legge n. 4/2016) e Veneto (legge n. 40/2012), oppure ne hanno deliberato la loro soppressione tout court, come nel caso della Basilicata (legge n. 33/2010) e Umbria (legge n. 18/2011). In Calabria sono state soppresse, ma le funzioni attribuite ad un ente strumentale denominato “Azienda regionale per la forestazione e per le politiche della montagna” (legge n. 25/2013), mentre in Liguria le funzioni attribuite alla Regione stessa (legge n. 23/2010). In Sicilia, ai sensi dell'articolo 45 della legge n. 9 del 1986, le Comunità montane sono state soppresse e le relative funzioni assunte dalle province, ora ridefinite “liberi Consorzi comunali” (Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani) e Città metropolitane (Palermo, Messina e Catania). Nella provincia autonoma di Trento esistono le “Comunità” composte da comuni con l'obbligo di esercizio associato di determinate funzioni amministrative (legge n. 3/2006), così come in quella di Bolzano tali funzioni sono svolte dalle “Comunità comprensoriali” (legge n. 7/1991).
[2] In particolare, l’art. 1, comma 3, della legge n. 56/2014 riconosce alle province con territorio interamente montano confinanti con Paesi stranieri le specificità di cui ai seguenti commi:
• comma 57: Gli statuti delle province di cui al comma 3, secondo periodo, possono prevedere, d'intesa con la regione, la costituzione di zone omogenee per specifiche funzioni, con organismi di coordinamento collegati agli organi provinciali senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica;
• comma 86: Le province di cui al comma 3, secondo periodo, esercitano altresì le seguenti ulteriori funzioni fondamentali: a) cura dello sviluppo strategico del territorio e gestione di servizi in forma associata in base alle specificità del territorio medesimo; b) cura delle relazioni istituzionali con province, province autonome, regioni, regioni a statuto speciale ed enti territoriali di altri Stati, con esse confinanti e il cui territorio abbia caratteristiche montane, anche stipulando accordi e convenzioni con gli enti predetti.
[3] Gli ospedali sede di DEA di primo livello sono quelli che garantiscono oltre alle prestazioni fornite dagli ospedali sede di Pronto Soccorso anche le funzioni di osservazione e breve degenza, di rianimazione e, contemporaneamente, deve assicurare interventi diagnostico-terapeutici di medicina generale, chirurgia generale, ortopedia e traumatologia, cardiologia con UTIC (Unità di Terapia Intensiva Cardiologia). Sono inoltre assicurate le prestazioni di laboratorio di analisi chimico-cliniche e microbiologiche, di diagnostica per immagini, e trasfusionali. Gli ospedali sede di DEA di secondo livello garantiscono ulteriori prestazioni sanitarie
[4] Le caratteristiche prestazionali e funzionali delle stazioni della Rete Ferroviaria Italiana - RFI vengono misurate sulla base di parametri di valutazione oggettivi e classificate in quattro categorie sintetiche, predefinite e graduate: platinum, gold, silver, bronze. Nella categoria Silver sono ricomprese le stazioni medio/piccole, con frequentazione consistente (generalmente maggiore di 2.500 frequentatori medi/giorno) per servizi per la lunga, media e breve percorrenza oppure con consistente o elevata frequentazione nei casi di metropolitana urbana (anche maggiore di 4.000 frequentatori medi/giorno) per servizi metropolitani-regionali.
[5] Approvato dalla Camera dei deputati il 16 febbraio 2011, quale testo unificato di numerose proposte di legge presentate da diversi Gruppi parlamentari.
[6] L’EIM fu istituito dall’articolo 1, comma 1279, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296/2006) in sostituzione dell’IMONT e poi soppresso dall’articolo 7, comma 19, del D.L. n. 78 del 2010; le funzioni sono state trasferite al Dipartimento per gli affari regionali della Presidenza del Consiglio dei ministri.
[7] L’Accordo di Partenariato 2014-2020 per l'impiego dei fondi strutturali e di investimento europei è stato adottato il 29 ottobre 2014 dalla Commissione europea.
[8] Nella Relazione si riferisce che, considerando il periodo dal 2011 al 2019, la mappatura aggiornata conferma la tendenza al declino demografico nelle aree interne, laddove, a livello nazionale, mentre per la fascia urbana (Poli, Poli intercomunali e Cintura) si registra un incremento di popolazione dell’1,2 per cento, vi è un calo dell’1,7 per cento nella fascia intermedia, del 3,7 per cento nella fascia periferica e del 4,6 per cento in quella ultra-periferica.
[9] Per una analisi dell’ultimo decreto di ripartizione delle risorse delle annualità 2018-2021 e di individuazione dei beneficiari del Fondo integrativo per i comuni montani, si rinvia al Dossier del Servizio Studi A.G. n. 370, del 25 marzo scorso.
[10] Ai sensi dell’articolo 107, par. 2 TFUE, sono compatibili con il mercato interno:
a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti;
b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali;
c) gli aiuti concessi all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione. Cinque anni dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che abroga la presente lettera (la deroga può essere invocata per quelle regioni che risentono ancora oggi degli svantaggi economici a causa della divisione della Germania).
[11] Ai sensi dell’articolo 107, par. 3 TFUE, possono considerarsi compatibili con il mercato interno:
a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui all'articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale;
b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo (IPCEI) oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro;
c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse;
d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell'Unione in misura contraria all'interesse comune;
e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione.
Per quanto qui interessa, appare opportuno rammentare, gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico di talune regioni, sempre che non alterino gli scambi in misura contraria al comune interesse (par. 3, lett, c)). Gli aiuti di Stato di questo tipo sono definiti aiuti a finalità regionale (unitamente a quelli di cui al par. 3, lett. a)).
L’art. 174 TFUE, al par. 2 e 3, dispone peraltro che l’Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite e, tra le regioni interessate, un’attenzione particolare è rivolta, tra le altre, alle zone rurali e di montagna.
La Commissione ha in proposito, recentemente adottato gli orientamenti per gli aiuti di Stato a finalità regionale per il periodo 1° gennaio 2022 - 31 dicembre 2027 (Comunicazione (2021/C 153/01)).
[12] L’art. 108, par. 3 TFUE così infatti dispone: “Alla Commissione sono comunicati, in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, i progetti diretti a istituire o modificare aiuti. (..).
Lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto a una decisione finale”
[13] L’articolo 108, par. 4 così dispone infatti “La Commissione può adottare regolamenti concernenti le categorie di aiuti di Stato per le quali il Consiglio ha stabilito, conformemente all'articolo 109, che possono essere dispensate dalla procedura (di notifica ex ante n.d.r) di cui al paragrafo 3 del presente articolo”
L’articolo 109 così dispone: “Il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può stabilire tutti i regolamenti utili ai fini dell'applicazione degli articoli 107 e 108 e fissare in particolare le condizioni per l'applicazione dell'articolo 108, paragrafo 3, nonché le categorie di aiuti che sono dispensate da tale procedura”.
[14] Il testo vigente dell’art. 15, co. 3, della legge n. 81/1991 indica la vigilanza in capo al Ministero del turismo e dello spettacolo. Dopo il referendum di soppressione del Ministero, le competenze in materia di turismo sono state attribuite a vari Ministeri e alla Presidenza del Consiglio nel corso degli anni. Con il DPCM 1° ottobre 2012 è stato definito l’ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio, prevedendo nell’ambito del Dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport (art. 12) un “Ufficio per lo sport” (co. 4). Con il DPCM 7 giugno 2016 l’Ufficio per lo sport veniva autonomamente collocato nel nuovo articolo 26. Il DPCM 28 maggio 2020 ha trasformato l’Ufficio in Dipartimento, integrando le competenze con l’attribuzione della vigilanza sul Collegio nazionale dei maestri di sci. Peraltro sin dal 2011 le funzioni e i compiti di vigilanza sul Collegio nazionale dei maestri di sci venivano assegnati dal Presidente del Consiglio al ministro/sottosegretario delegato in materia di sport.
[15] Il venir meno della relazione sullo stato della montagna italiana è, di fatto, da ricondurre alla politica di coesione attuata attraverso lo strumento dei fondi strutturali dell’Unione europea, che ha interessato, in modo particolare le zone di montagna, attraverso la politica agricola e rurale.
Nella legge di contabilità (legge n. 196 del 2009), si prevede, all’art. 10, comma 7, che, entro il 10 aprile dell'anno successivo a quello di riferimento, venga presentata alle Camere in allegato al DEF, un'unica relazione di sintesi sugli interventi realizzati nelle aree sottoutilizzate, che evidenzi il contributo dei fondi nazionali addizionali, ed i risultati conseguiti, con particolare riguardo alla coesione sociale e alla sostenibilità ambientale, nonché la ripartizione territoriale degli interventi.
[16] Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonche' disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute (c.d. Legge Lorenzin)
[24] Tecnico Sanitario di Radiologia Medica (D.M. 14.09.1994, n. 746), Tecnico Audiometrista (D.M. 14.09.1994, n. 667), Tecnico Sanitario di Laboratorio Biomedico (D.M. 14.09.1994, n. 745), Tecnico di Neurofisiopatologia (D.M. 15.03.1995, n. 183).
[25] Tecnico Ortopedico (D.M. 14.09.1994, n. 665), Tecnico Audioprotesista (D.M. 14.09.1994, n. 668), Tecnico della Fisiopatologia Cardiocircolatoria e Perfusione Cardiovascolare (D.M. 27.07.1998, n. 316), Igienista dentale (D.M. 15.03.1999, n. 137), Dietista (D.M. 14.09.1994, n. 744).
[26] Podologo (D.M. 14.09.1994, n. 666); Fisioterapista (D.M. 14.09.1994, n. 741); Logopedista (D.M. 14.09.1994, n. 742); Ortottista - Assistente di Oftalmologia (D.M. 14.09.1994, n. 743); Terapista della Neuro e Psicomotricità dell'Età Evolutiva (D.M. 17.01.1997, n. 56); Tecnico Riabilitazione Psichiatrica (D.M. 29.03.2001, n.182); Terapista Occupazionale (D.M. 17.01.1997, n. 136); Educatore Professionale (D.M. 08.10.1998, n.520).
[27] Tecnico della Prevenzione nell'Ambiente e nei luoghi di lavoro (D.M. 17.01.1997, n. 58) e Assistente Sanitario (D.M. 17.01.1997, n. 69)
[32] Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421.
[33] Ai sensi del comma 8-sexies, articolo 4, della DL. 228/2021 (L. n. 15/2022, cd. proroga termini) che ha previsto l’emanazione di un decreto MIUR, di concerto con il Ministro della salute, acquisito il parere del Consiglio universitario nazionale (CUN) e del Consiglio superiore di sanità.
[34] Il decreto ministeriale 9 aprile 1994 recante “Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la costruzione e l'esercizio delle attività ricettive turistico-alberghiere” (G.U. 20 maggio 1994, n. 116) indicava, nel testo originario del Titolo IV poi sostituito dal D.M. 3 marzo 2014, i seguenti criteri di classificazione dei rifugi alpini:
· categoria A: raggiungibili con strada rotabile;
· categoria B: raggiungibili con mezzo meccanico di risalita in servizio pubblico, con esclusione delle sciovie;
· categorie C, D ed E: rifugi non rientranti nelle categorie precedenti e che vengono classificati in relazione alla situazione locale con riferimento alla quota, durata e difficoltà di accesso, nonché all’incidenza del sistema normalmente adottato per i rifornimenti.
Tale classificazione in 5 classi riprendeva quella tuttora adottata dal Club alpino italiano per i propri rifugi, basata su parametri, la facilità di raggiungimento del rifugio da parte di un escursionista e le modalità di rifornimento (strada, teleferica, elicottero):
- A: rifugi raggiungibili dalla clientela con auto privata o con massimo 10 minuti a piedi dal parcheggio. Sono incluse anche situazioni dove il cliente raggiunge il rifugio (o le immediate vicinanze) pagando un ticket.
- B: rifugi raggiungibili con impianto a fune, o nelle strette vicinanze (entro i 10 minuti a piedi dall’arrivo dell’impianto);
- C: da 10 minuti a 2 ore di cammino;
- D: da 2 a 4 ore di cammino;
- E: sopra le 4 ore di cammino.
Il CAI, attraverso le proprie Sezioni, dispone di 721 strutture tra rifugi, bivacchi e capanne sociali (i rifugi ammontano a 373, con una corrispondente disponibilità di circa 19.000 posti letto. Complessivamente in Italia si stima la presenza di 1.400 rifugi.
[35] Nella annuale Relazione sulla gestione finanziaria del CAI la Corte dei conti definisce il CAI quale “ente associativo a struttura complessa, costituita da un ente centrale avente personalità giuridica di diritto pubblico e da strutture territoriali di diritto privato, articolate in sezioni e raggruppamenti regionali, dotate di autonomia patrimoniale e di un proprio ordinamento, che partecipano all’assemblea dell’Ente mediante propri delegati, e concorrono, quindi, all’elezione degli organi centrali”.
[36] Si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2016. In altra decisione (la n.191 del 2017) la Corte afferma che occorre "verificare, con riguardo alle singole disposizioni impugnate, se esse si rivolgano espressamente anche agli enti dotati di autonomia speciale, con l’effetto di neutralizzare la portata della clausola generale". Sul tema si vedano altresì le sentenze nn.154 e 231 del 2017.