Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Attività Produttive |
Titolo: | Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 |
Riferimenti: | AC N.3634/XVIII |
Serie: | Progetti di legge Numero: 527/3 |
Data: | 22/07/2022 |
Organi della Camera: | Assemblea |
Legge annuale per il mercato
e la concorrenza 2021
A.C. 3634/A
22 luglio 2022
Servizio Studi
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Dossier n. 490/3
Servizio Studi
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Progetti di legge n. 527/3
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Articolo 2 (Delega per la mappatura e la trasparenza dei regimi concessori di beni pubblici)
Articolo 5 (Concessione delle aree demaniali)
Articolo 6 (Concessioni di distribuzione del gas naturale)
Articolo 7 (Disposizioni in materia di concessioni di grande derivazione idroelettrica)
Articolo 8 (Delega in materia di servizi pubblici locali)
Articolo 9 (Disposizioni in materia di trasporto pubblico locale)
Articolo 11 (Modifica della disciplina dei controlli sulle società partecipate)
Articolo 12 (Colonnine di ricarica)
Articolo 13 (Disposizioni per l'Anagrafe Nazionale Carburanti - Obbligo dinamicità)
Articolo 14 (Servizi di gestione dei rifiuti)
Articolo 16 (Obblighi di detenzione di medicinali a carico dei grossisti)
Articolo 17 (Rimborsabilità di farmaci equivalenti)
Articolo 18 (Medicinali in attesa di definizione del prezzo)
Articolo 19 (Revisione del sistema di produzione dei medicinali emoderivati da plasma italiano)
Articolo 20 (Conferimento degli incarichi di direzione di strutture complesse)
Articolo 22 (Procedure per la realizzazione di infrastrutture di nuova generazione)
Articolo 23 (Interventi di realizzazione delle reti in fibra ottica)
Articolo 24 (Blocco e attivazione dei servizi premium e acquisizione della prova del consenso)
Articolo 25 (Norme in materia di servizi postali)
Articolo 27 (Delega in materia di semplificazione dei controlli sulle attività economiche)
Articolo 28 (Disciplina della professione di mediatore immobiliare)
Articolo 29 (Abbreviazione dei termini della comunicazione unica per la nascita dell’impresa)
Articolo 31 (Modifica alla disciplina del risarcimento diretto per la responsabilità civile auto)
Articolo 33 (Rafforzamento del contrasto all’abuso di dipendenza economica)
Articolo 34 (Procedura di transazione)
Articolo 35 (Poteri istruttori dell’AGCM)
Articolo 36 (Clausola di salvaguardia)
L’articolo 1 illustra le finalità della legge, volta a promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche al fine di garantire l’accesso ai mercati di imprese di minori dimensioni, nonché di contribuire al rafforzamento della giustizia sociale, di migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici e di potenziare lo sviluppo degli investimenti e dell'innovazione in funzione della tutela dell'ambiente, della sicurezza e del diritto alla salute dei cittadini.
L’articolo 1 richiama l’articolo 117, comma 2, lettera e), della Costituzione, che attribuisce la competenza in materia di tutela della concorrenza allo Stato, e l’articolo 47 della legge 23 luglio 2009, n. 99, che prevede l’adozione annuale della legge sulla concorrenza.
Le disposizioni della legge annuale 2021 sono, in particolare, finalizzate, a:
a) promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche al fine di garantire l’accesso ai mercati di imprese di minori dimensioni, tenendo in adeguata considerazione gli obiettivi di politica sociale connessi alla tutela dell’occupazione, nel quadro dei principi dell’Unione europea, nonché di contribuire al rafforzamento della giustizia sociale, di migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici e di potenziare la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute dei cittadini;
b) rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati;
c) garantire la tutela dei consumatori.
Occorre far presente che il disegno di legge in esame è stato qualificato come "collegato" alla manovra di finanza pubblica 2022-2024 con la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2021 in base all'articolo 10-bis, comma 7, della legge di contabilità (legge n. 196 del 2009).
Nella seduta del 22 dicembre 2021, la Commissione Bilancio del Senato ha riconosciuto al disegno di legge in esame, composto di 32 articoli raccolti in nove capi, un contenuto “sostanzialmente corrispondente a quello indicato nella citata NADEF 2021”.
Il PNRR, per la cui illustrazione si fa rinvio al relativo tema, considera la tutela e la promozione della concorrenza – principi-cardine dell’ordinamento dell’Unione europea – come fattori essenziali per favorire l’efficienza e la crescita economica e per garantire la ripresa dopo la pandemia, nonché una maggiore giustizia sociale.
“La concorrenza”, prosegue il documento, “è idonea ad abbassare i prezzi e ad aumentare la qualità dei beni e dei servizi: quando interviene in mercati come quelli dei farmaci o dei trasporti pubblici, i suoi effetti sono idonei a favorire una più consistente eguaglianza sostanziale e una più solida coesione sociale”.
Il PNRR pone come traguardo l’entrata in vigore della legge annuale sulla concorrenza 2021 per la fine del 2022.
Nel comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n. 79 dello scorso 19 maggio 2022 viene evidenziato che il Presidente del Consiglio ha rappresentato “la necessità di procedere, nel rispetto delle prerogative parlamentari, a una celere approvazione delle riforme collegate all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, con particolare riferimento al disegno di legge sulla concorrenza”.
Nonostante sia prevista dal 2009, come già detto, la legge annuale per il mercato e la concorrenza è stata in realtà adottata solo nel 2017 (legge n. 124/2017).
Nel PNRR, il Governo ha assunto l’impegno di rispettare la cadenza annuale, essendo tale legge “essenziale per rivedere in via continuativa lo stato della legislazione al fine di verificare se permangano vincoli normativi al gioco competitivo e all’efficiente funzionamento dei mercati, tenendo conto del quadro socioeconomico. Una prima serie di misure in materia concorrenziale sarà prevista dalla legge per il mercato e la concorrenza per il 2021, mentre altre verranno considerate nelle leggi annuali per gli anni successivi”.
Del resto, è proprio la ricordata legge 23 luglio 2009, n. 99 (art. 47) a declinare la finalità della legge annuale per il mercato e la concorrenza, che viene adottata al fine “di rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori”.
La relazione illustrativa rammenta che “la tutela e la promozione della concorrenza trovano il loro presidio nei Trattati europei e nella Commissione europea come autorità antitrust e, a livello nazionale, nella legge generale per la tutela della concorrenza e del mercato del 1990 (legge 10 ottobre 1990, n. 287) e nell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (“AGCM”) chiamata ad attuarla”.
Proprio la appena citata Autorità il 22 marzo 2021 ha inviato al Governo la Segnalazione “Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2021”, che – come riporta la relazione illustrativa - ha costituito un “essenziale punto di riferimento per il presente disegno di legge: buona parte delle proposte dell’AGCM sono state recepite, con modifiche; altre troveranno spazio in differenti norme, come quelle attuative di importanti direttive europee in materia di disciplina delle comunicazioni elettroniche, di energie verdi o di procedure antitrust riguardanti intese restrittive e abusi di posizione dominante”.
Quest’ultimo riferimento va probabilmente ricondotto a due temi che sembravano dovessero essere compresi nel disegno di legge, vale a dire il tema delle concessioni demaniali su aree marittime e quelle delle concessioni per il posteggio ai fini del commercio su aree pubbliche (o ambulante).
Per quanto riguarda le concessioni demaniali, nel corso dell’esame in prima lettura al Senato, alla già prevista una delega per procedere ad una mappatura delle concessioni (articolo 2, alla cui scheda si fa rinvio), è stata aggiunta una regolamentazione delle concessioni demaniali marittime, mentre il tema del commercio ambulante è rimasto fuori dal disegno di legge presentato.
Al Senato sono stati altresì aggiunti articoli sull'Anagrafe nazionale dei carburanti e la formazione manageriale nella sanità pubblica.
Alla Camera, in seconda lettura, è stata riscritta la delega per la riforma del trasporto pubblico locale (articolo 9) ed è stato soppresso l'articolo 10, che recava la delega legislativa, volta a rivedere la disciplina in materia di trasporto pubblico non di linea, essenzialmente taxi e noleggio con conducente (NCC) e altre forme simili.
Sempre alla Camera è stato inserito, invece, un nuovo articolo, volto a eliminare l'incompatibilità tra attività di mediazione immobiliare e prestazione dei servizi finanziari.
I 36 articoli del disegno di legge sono raccolti nei seguenti 9 capi:
Capo I |
Finalità |
art. 1 |
Capo II |
Rimozione di barriere all'entrata dei mercati, regimi concessori |
art. 2-7 |
Capo III |
Servizi pubblici locali e trasporti |
art. 8-11 |
Capo IV |
Concorrenza, energia e sostenibilità ambientale |
art. 12-14 |
Capo V |
Concorrenza e tutela della salute |
art. 15-21 |
Capo VI |
Concorrenza, sviluppo delle infrastrutture digitali e servizi di comunicazione elettronica |
art. 22-25 |
Capo VII |
Concorrenza, rimozione degli oneri per le imprese e parità di trattamento tra gli operatori |
art. 23-31 |
Capo VIII |
Rafforzamento dei poteri in materia di attività antitrust |
art. 32-35 |
Capo IX |
Clausola di salvaguardia |
art. 36 |
Articolo 2
(Delega per la mappatura e la trasparenza
dei regimi concessori di beni pubblici)
L’articolo 2, comma 1, delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sentita la Conferenza unificata, un decreto legislativo per la costituzione e il coordinamento di un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici al fine di promuovere la massima pubblicità e trasparenza, anche in forma sintetica, dei principali dati e delle informazioni relativi a tutti i rapporti concessori, tenendo conto delle esigenze di difesa e sicurezza.
Il comma 2 elenca i seguenti principi e criteri direttivi:
a) definizione dell'ambito oggettivo della rilevazione, includendo tutti gli atti, i contratti e le convenzioni che comportano l'attribuzione a soggetti privati o pubblici dell'utilizzo in via esclusiva del bene pubblico;
b) identificazione dei destinatari degli obblighi di comunicazione continuativa dei dati, in tutte le amministrazioni pubbliche di cui al d.lgs. n. 165/2001 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) che abbiano la proprietà del bene ovvero la sua gestione.
L'art. 1, co. 2, del d.lgs. n. 165/2001 stabilisce che per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni del d.lgs. n. 165/2001 continuano ad applicarsi anche al CONI.
c) previsione della piena conoscibilità della durata, dei rinnovi in favore del medesimo concessionario, di una società dallo stesso controllata o ad esso collegata ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, del canone, dei beneficiari, della natura della concessione, dell'ente proprietario e, se diverso, dell'ente gestore, nonché di ogni altro dato utile a verificare la proficuità dell'utilizzo economico del bene in una prospettiva di tutela e valorizzazione del bene stesso nell'interesse pubblico;
Per l’articolo 2359 del codice civile sono considerate società controllate: 1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.
Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi.
Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.
d) obbligo di trasmissione e gestione dei dati esclusivamente in modalità telematica;
e) standardizzazione della nomenclatura e delle altre modalità di identificazione delle categorie di beni oggetto di rilevazione per classi omogenee di beni, in relazione alle esigenze di analisi economica del fenomeno;
f) affidamento della gestione del sistema informativo al Ministero dell'economia e delle finanze;
g) previsione di adeguate forme di trasparenza dei dati relativi a rapporti concessori di cui alla lettera c), anche in modalità telematica, nel rispetto della normativa in materia di tutela dei dati personali;
h) coordinamento e interoperabilità con gli altri sistemi informativi e di trasparenza esistenti in materia di concessioni di beni pubblici.
Il comma 3 autorizza la spesa di 1 milione di euro per il 2022 e di 2 milioni di euro per il 2023 per la progettazione e la realizzazione del sistema informativo, nonché la spesa di 2 milioni di euro annui a decorrere dal 2024 per la sua gestione, la sua manutenzione e il suo sviluppo.
Il comma 4 dispone in ordine ai relativi oneri, ai quali si provvede, quanto a 1 milione di euro per il 2022, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2021-2023, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del MEF per il 2021, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero, e, quanto a 2 milioni di euro annui a decorrere dal 2023, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2021-2023, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del MEF per il 2021, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
Non è previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti. Si valuti l’opportunità di inserirne la previsione.
Segnalazione 1730 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, inviata il 22 marzo 2021 (Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2021)
Il paragrafo "A. Riforma delle concessioni evitando il mantenimento dello status quo" contiene osservazioni di carattere generale in relazione alle concessioni di beni pubblici.
In tale paragrafo, si ricorda che l’Autorità ha già avuto modo, nel 2018, di segnalare le principali criticità concorrenziali riscontrate a seguito dell’utilizzo distorto dello strumento concessorio in molti mercati italiani, auspicandone un profondo ripensamento in relazione all’ampiezza, alla durata e alle modalità di subentro al concessionario presente.
In particolare, è stata sottolineata l’importanza del ricorso a modalità di affidamento competitive, soprattutto per le concessioni in scadenza o già scadute, evitando rinnovi automatici e proroghe ingiustificate; inoltre, è stato evidenziato come il perimetro delle concessioni oggetto di affidamento non dovrebbe essere ingiustificatamente ampio, dovendo piuttosto tenere conto delle caratteristiche specifiche della domanda e dell’offerta, mentre la loro durata dovrebbe essere limitata, in rapporto ad esigenze di natura tecnica, economica e finanziaria ed alle caratteristiche degli investimenti; infine, è stata suggerita l’eliminazione dei casi di preferenza per i gestori uscenti o per l’anzianità acquisita.
L’Autorità ha rilevato come un regime concessorio maggiormente coerente con i principi della concorrenza e volto a valorizzare i limitati spazi per il confronto competitivo sarebbe estremamente prezioso per garantire ai cittadini una gestione delle infrastrutture e un’offerta di servizi pubblici più efficiente e di migliore qualità e sicurezza; non ultimo, potrebbe contribuire in misura significativa alla crescita economica e, soprattutto, alla ripresa degli investimenti di cui il Paese necessita.
Nonostante quanto segnalato, nel corso del 2019 e del 2020 vi sono stati numerosi interventi che, anziché ampliare le opportunità di ingresso di nuovi operatori, hanno mantenuto ingessata la struttura di molti mercati, anche prorogando la durata delle relative concessioni. In più di un’occasione, la proroga automatica e ingiustificatamente lunga delle concessioni è stata motivata dall’impatto sociale che gli affidamenti competitivi avrebbero comportato. Una lettura che, tuttavia, sottostima largamente i costi sopportati dai soggetti esclusi e le implicazioni per la competitività.
Seppure, in una fase emergenziale come quella attuale, possa ritenersi giustificabile il ricorso a meccanismi di affidamento più rapidi e snelli, l’assenza di adeguate procedure competitive per la selezione del miglior offerente difficilmente potrebbe consentire di individuare operatori economici in grado di competere efficacemente sul mercato e di offrire il servizio qualitativamente migliore.
L’articolo 3, introdotto nel corso dell’esame al Senato, proroga al 31 dicembre 2023 – ovvero fino al termine di cui al comma 3, qualora successivo, e comunque non oltre il 31 dicembre 2024 - l’efficacia delle concessioni demaniali e dei rapporti di gestione per finalità turistico ricreative e sportive e, conseguentemente, riconosce il carattere di non abusività dell’occupazione dello spazio demaniale ad essi connessa sino a tale data. Si tratta, in definitiva, della normativa in materia di concessioni balneari.
Più nel dettaglio, il comma 1 dispone che continuano ad avere efficacia fino alla data del 31 dicembre 2023, ovvero fino al termine di cui al comma 3, qualora successivo, le concessioni demaniali e i rapporti di gestione (v. infra), se in essere alla data di entrata in vigore della presente legge sulla base di proroghe o rinnovi, disposti anche ai sensi della legge n. 145 del 2018 e del decreto-legge n. 104 del 2020.
Come si ricorderà, la questione del regime normativo cui è sottoposto il rilascio e il rinnovo delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative è stata oggetto di pronunce, sia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. In particolare, il tema era l’eventuale sussistenza di profili di contrasto della legge nazionale (in particolare l’art. 1, commi 682 e 683, della legge n. 145 del 2018, che dispone la proroga automatica e generalizzata fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni demaniali in essere) con norme dell’Unione europea direttamente applicabili e, segnatamente, con il contenuto precettivo dell’articolo 49 TFUE e dell’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE (cosiddetta direttiva Bolkestein).
Come già affermato dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea nella sentenza del 14 luglio 2016 in cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa, anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nelle sentenze gemelle nn. 17 e 18 del 9 novembre 2021 (richiamate anche dalle recentissime sentenze pronunciate dalla VII Sezione sul tema - per tutte, si veda la sentenza n. 3899 del 17 maggio 2022), ha ribadito che «il diritto dell’Unione impone che il rilascio o il rinnovo delle concessioni demaniali marittime (o lacuali o fluviali) avvenga all’esito di una procedura di evidenza pubblica, con conseguente incompatibilità della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica ex lege fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni in essere».
Nel demandare alla lettura delle sentenze ogni approfondimento sul tema, si ricorda che, in quella sede, l’Adunanza Plenaria concluse nel senso che «l’incompatibilità comunitaria della legge nazionale che ha disposto la proroga ex lege delle concessioni demaniali produce come effetto, anche nei casi in cui siano stati adottati formali atti di proroga e nei casi in cui sia intervenuto un giudicato favorevole, il venir meno degli effetti della concessione, in conseguenza della non applicazione della disciplina interna». Pertanto, scaduto tale termine, le concessioni devono considerarsi prive di effetto, così come eventuali proroghe legislative del termine così individuato devono considerarsi elusive e in contrasto con il diritto unionale.
L’Adunanza plenaria, tuttavia - nella consapevolezza dell’impatto, anche sociale ed economico, che avrebbe avuto l’immediata non applicazione della normativa interna -, ritenne di modulare gli effetti temporali della propria decisione, individuando precisamente la data del 31 dicembre 2023 quale termine congruo per consentire l’adeguamento degli operatori e dell’ordinamento interno.
Si rinvia, per ulteriori approfondimenti, alle schede del dossier relativo all’articolo 1, commi 675-685, della legge n. 145 del 2018 (v. infra), pagg. 828 e ss., nonché al tema di approfondimento sul regime concessorio e dei canoni, disponibile al seguente link.
Quanto ai provvedimenti legislativi richiamati nel testo della disposizione, il primo riferimento è all’articolo 1, commi da 675 a 685, della legge n. 145 del 2018 (legge di bilancio 2019, al cui dossier si rinvia), ed alla proroga, ivi prevista per le concessioni in essere, di quindici anni a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge e, quindi, fino al 31 dicembre 2033.
Con l’articolo 100 del decreto-legge n. 104 del 2020 (cosiddetto decreto agosto, al cui dossier si rinvia) veniva sostanzialmente confermata la proroga già disposta con la legge n. 145 del 2018 per le concessioni demaniali, contestualmente estendendola anche:
- alle concessioni lacuali e fluviali, ivi comprese quelle gestite dalle società sportive iscritte al registro Coni di cui al decreto legislativo n. 242 del 1999;
- alle concessioni per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, inclusi i punti d’ormeggio;
- ai rapporti aventi ad oggetto la gestione di strutture turistico ricreative in aree ricadenti nel demanio marittimo per effetto di provvedimenti successivi all’inizio dell’utilizzazione.
Le concessioni demaniali e i rapporti cui si applica la predetta proroga dell’efficacia sono:
a) le concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali per l’esercizio delle attività turistico-ricreative e sportive, ivi comprese:
o quelle di cui all’articolo 01, comma 1, del decreto-legge n. 400 del 1993 (recante disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), vale a dire le concessioni rilasciate, oltre che per servizi pubblici e per servizi e attività portuali e produttive, per l'esercizio delle seguenti attività:
§ gestione di stabilimenti balneari;
§ esercizi di ristorazione e somministrazione di bevande, cibi precotti e generi di monopolio;
§ noleggio di imbarcazioni e natanti in genere;
§ gestione di strutture ricettive ed attività ricreative e sportive;
§ esercizi commerciali;
§ servizi di altra natura e conduzione di strutture ad uso abitativo;
o quelle gestite dalle società e associazioni sportive iscritte al Registro CONI istituito ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 242 del 1999 o, a decorrere dalla sua operatività, al Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche di cui al decreto legislativo n. 39 del 2021;
o quelle gestite dagli enti del Terzo settore di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo n. 117 del 2017, cosiddetto Codice del Terzo settore, per tali intendendosi:
§ le organizzazioni di volontariato;
§ le associazioni di promozione sociale;
§ gli enti filantropici;
§ le imprese sociali, incluse le cooperative sociali;
§ le reti associative;
§ le società di mutuo soccorso;
§ le associazioni, riconosciute o non riconosciute;
§ le fondazioni;
§ gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore;
o quelle per la realizzazione e la gestione di strutture dedicate alla nautica da diporto, inclusi i punti d’ormeggio;
b) i rapporti aventi ad oggetto la gestione di strutture turistico-ricreative e sportive in aree ricadenti nel demanio marittimo per effetto di provvedimenti successivi all’inizio dell’utilizzazione.
Ai sensi del comma 2, l’ente concedente individua, con proprio atto, le concessioni e i rapporti, tra quelli di cui al comma 1, affidati o rinnovati mediante procedura selettiva caratterizzata da adeguate garanzie di imparzialità e di trasparenza e, in particolare, con adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.
Tali concessioni e rapporti, pertanto, continuano ad avere efficacia sino al termine previsto dal relativo titolo e comunque fino al 31 dicembre 2023 se il termine previsto è anteriore a tale data.
Il comma 3 prevede una deroga al termine di efficacia del 31 dicembre 2023, stabilito al comma 1.
Infatti, è stabilito che, in presenza di ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023, connesse, a titolo esemplificativo:
- alla pendenza di un contenzioso, o
- a difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura selettiva stessa,
l’autorità competente, con atto motivato, può differire il termine di scadenza delle concessioni in essere per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2024.
Fino a tale data, l’occupazione dell’area demaniale da parte del concessionario uscente è comunque legittima anche in relazione all’articolo 1161 del Codice della navigazione (r.d. n. 327 del 1942). La legittimità dell’occupazione preclude, per il tempo indicato, anche l’applicazione dell’articolo 823 del codice civile, che consentirebbe il recupero del bene in autotutela.
L’articolo 1161 del Codice della navigazione disciplina le ipotesi di abusiva occupazione di spazio demaniale e di inosservanza di limiti alla proprietà privata, stabilendo che è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a 516 euro, e sempre che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque:
o arbitrariamente occupa uno spazio del demanio marittimo o aeronautico o delle zone portuali della navigazione interna;
o ne impedisce l'uso pubblico;
o vi fa innovazioni non autorizzate;
o non osserva i vincoli cui è assoggettata la proprietà privata nelle zone prossime al demanio marittimo od agli aeroporti.
Se l'occupazione di cui al primo comma è effettuata con un veicolo, la disposizione prevede la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 103 a 619 euro, in tal caso potendosi anche procedere alla immediata rimozione forzata del veicolo.
Ai sensi del comma 4, il Ministro IMS è tenuto a trasmettere alle Camere, entro il 30 giugno 2024, una relazione concernente lo stato delle procedure selettive al 31 dicembre 2023, evidenziando in particolare l’esito delle procedure concluse e le ragioni che ne abbiano eventualmente impedito la conclusione.
Il medesimo Ministro trasmette, altresì, alle Camere, entro il 31 dicembre 2024, una relazione finale relativa alla conclusione delle procedure selettive sul territorio nazionale.
Infine, il comma 5 reca l’abrogazione espressa delle seguenti disposizioni (v. supra), dal contenuto incompatibile con la presente normativa:
a) i commi da 675 a 683 dell’articolo 1 della legge n. 145 del 2018;
b) il comma 2 dell’articolo 182 del decreto-legge n. 34 del 2020;
c) il comma 1 dell’articolo 100 del decreto-legge n. 104 del 2020.
L’articolo 4, inserito dal Senato, delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame uno o più decreti legislativi volti a riordinare e semplificare la disciplina in materia di concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali, per finalità turistico-ricreative e sportive, ivi incluse quelle affidate ad associazioni e società senza fini di lucro, con esclusione delle concessioni relative ad aree, strutture e infrastrutture dedicate alla cantieristica navale, all’acquacoltura e alla mitilicoltura.
Il comma 1 prevede in particolare che l'adozione dei decreti legislativi abbia luogo su proposta del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e del Ministro del turismo, di concerto con il Ministro della transizione ecologica, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa in sede di Conferenza unificata. La finalità è quella di assicurare un più razionale e sostenibile utilizzo del demanio marittimo, lacuale e fluviale, favorirne la pubblica fruizione e promuovere, in coerenza con la normativa europea, un maggiore dinamismo concorrenziale nel settore dei servizi e delle attività economiche connessi all'utilizzo delle concessioni per finalità turistico-ricreative nel rispetto delle politiche di protezione dell'ambiente e del patrimonio culturale.
Il comma 2 elenca i seguenti principi e criteri direttivi, anche in deroga al codice della navigazione:
a) determinazione di criteri omogenei per l'individuazione delle aree suscettibili di affidamento in concessione, assicurando l'adeguato equilibrio tra le aree demaniali in concessione e le aree libere o libere attrezzate, nonché la costante presenza di varchi per il libero e gratuito accesso e transito per il raggiungimento della battigia antistante l'area ricompresa nella concessione anche al fine di balneazione, con la previsione, in caso di ostacoli da parte del titolare della concessione al libero e gratuito accesso e transito alla battigia, delle conseguenze delle relative violazioni;
b) affidamento delle concessioni sulla base di procedure selettive nel rispetto dei principi di imparzialità, non discriminazione, parità di trattamento, massima partecipazione, trasparenza e adeguata pubblicità, da avviare con adeguato anticipo rispetto alla loro scadenza;
c) in sede di affidamento della concessione, e comunque nel rispetto dei criteri indicati dall'articolo in esame, adeguata considerazione degli investimenti, del valore aziendale dell'impresa e dei beni materiali e immateriali, della professionalità acquisita anche da parte di imprese titolari di strutture turistico-ricettive che gestiscono concessioni demaniali, nonché valorizzazione di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori, della protezione dell'ambiente e della salvaguardia del patrimonio culturale;
d) definizione dei presupposti e dei casi per l'eventuale frazionamento in piccoli lotti delle aree demaniali da affidare in concessione, al fine di favorire la massima partecipazione delle microimprese e piccole imprese;
e) definizione di una disciplina uniforme delle procedure selettive di affidamento delle concessioni sulla base dei seguenti criteri:
1) individuazione di requisiti di ammissione che favoriscano la massima partecipazione di imprese, anche di piccole dimensioni;
2) previsione di criteri premiali da applicare alla valutazione di offerte presentate da operatori economici in possesso della certificazione della parità di genere di cui all'articolo 46-bis del codice delle pari opportunità tra uomo e donna (d.lgs. n. 198/2006), e da imprese a prevalente o totale partecipazione giovanile;
Il comma 1 di tale articolo 46-bis ha istituito, a decorrere dal 1° gennaio 2022, la certificazione della parità di genere al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità.
Il comma 2 ha demandato a uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delegato per le pari opportunità, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con il Ministro dello sviluppo economico, la definizione della relativa disciplina di attuazione.
3) previsione di termini per la ricezione delle domande di partecipazione non inferiori a trenta giorni;
4) adeguata considerazione, ai fini della scelta del concessionario, della qualità e delle condizioni del servizio offerto agli utenti, alla luce del programma di interventi indicati dall'offerente per migliorare l'accessibilità e la fruibilità dell'area demaniale, anche da parte dei soggetti con disabilità, e della idoneità di tali interventi ad assicurare il minimo impatto sul paesaggio, sull'ambiente e sull'ecosistema, con preferenza del programma di interventi che preveda attrezzature non fisse e completamente amovibili;
5) valorizzazione e adeguata considerazione, ai fini della scelta del concessionario:
5.1) dell'esperienza tecnica e professionale già acquisita in relazione all'attività oggetto di concessione, secondo criteri di proporzionalità e di adeguatezza e, comunque, in maniera tale da non precludere l'accesso al settore di nuovi operatori;
5.2) della posizione dei soggetti che, nei cinque anni antecedenti l'avvio della procedura selettiva, hanno utilizzato una concessione quale prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare, nei limiti definiti anche tenendo conto della titolarità, alla data di avvio della procedura selettiva, in via diretta o indiretta, di altra concessione o di altre attività d'impresa o di tipo professionale del settore;
6) previsione di clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato nell'attività del concessionario uscente, nel rispetto dei principi dell'Unione europea e nel quadro della promozione e garanzia degli obiettivi di politica sociale connessi alla tutela dell'occupazione, anche ai sensi dei principi contenuti nell'articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2006/123/CE;
In base a tale disposizione, fatti salvi il paragrafo 1 della stessa e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al diritto comunitario.
7) previsione della durata della concessione per un periodo non superiore a quanto necessario per garantire al concessionario l'ammortamento e l'equa remunerazione degli investimenti autorizzati dall'ente concedente in sede di assegnazione della concessione e comunque da determinarsi in ragione dell'entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare con divieto espresso di proroghe e rinnovi anche automatici;
f) definizione di criteri uniformi per la quantificazione di canoni annui concessori che tengano conto del pregio naturale e dell'effettiva redditività delle aree demaniali da affidare in concessione, nonché dell'utilizzo di tali aree per attività sportive, ricreative, sociali e legate alle tradizioni locali, svolte in forma singola o associata senza scopo di lucro, ovvero per finalità di interesse pubblico;
g) introduzione di una disciplina specifica dei casi in cui sono consentiti l'affidamento da parte del concessionario ad altri soggetti della gestione delle attività, anche secondarie, oggetto della concessione e il subingresso nella concessione stessa;
h) definizione di una quota del canone annuo concessorio da riservare all'ente concedente e da destinare a interventi di difesa delle coste e sponde e del relativo capitale naturale e di miglioramento della fruibilità delle aree demaniali libere;
i) definizione di criteri uniformi per la quantificazione dell’indennizzo da riconoscere al concessionario uscente, posto a carico del concessionario subentrante;
l) definizione, al fine di favorire l'accesso delle microimprese e delle piccole imprese alle attività connesse alle concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative e sportive e nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, del numero massimo di concessioni di cui può essere titolare, in via diretta o indiretta, uno stesso concessionario a livello comunale, provinciale, regionale o nazionale, prevedendo obblighi informativi in capo all'ente concedente in relazione alle concessioni affidate al fine di verificare il rispetto del numero massimo;
m) revisione della disciplina del codice della navigazione al fine di adeguarne il contenuto ai criteri previsti dall'articolo in esame;
n) adeguata considerazione in sede di affidamento della concessione, dell’utilizzo del bene pubblico da parte di società o associazioni sportive, nel rispetto dei criteri indicati dall'articolo in esame.
Nell’alinea del comma 2 è previsto che, nell’esercizio della delega, si possa derogare al codice della navigazione.
Dal punto di vista della determinatezza dei princìpi e criteri direttivi della delegazione legislativa, si valuti l’opportunità di specificare l’ambito e la portata della deroga consentita al legislatore delegato delle norme del codice della navigazione.
Il comma 3 prevede che i decreti legislativi abrogano espressamente tutte le disposizioni con essi incompatibili e dettano la disciplina di coordinamento in relazione alle disposizioni non abrogate o non modificate.
Il comma 4 prevede che i decreti legislativi sono adottati previa acquisizione dell'intesa in sede di Conferenza unificata (il richiamo a tale intesa sembrerebbe costituire una ripetizione di quanto già espressamente previsto dal comma 1 dell'articolo qui in commento) e del parere del Consiglio di Stato, da rendere nel termine di 45 giorni dalla data di trasmissione degli schemi di decreto legislativo, decorso il quale il Governo può comunque procedere. Gli schemi di decreto legislativo sono successivamente trasmessi alle Camere per l'espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano nel termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti legislativi possono essere comunque adottati.
Il comma 5 contiene la clausola d'invarianza finanziaria.
Segnalazione 1730 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, inviata il 22 marzo 2021 (Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2021)
Nel paragrafo Concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, pp. 27-29, si ricorda innanzi tutto che l’articolo 1, commi 682, 683 e 684, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di Bilancio 2019), ha disposto la proroga di quindici anni (sino al 31 dicembre 2033) delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative.
L’Autorità ha più volte sottolineato che la proroga delle concessioni in esame viola i principi della concorrenza nella misura in cui impedisce il confronto competitivo per il mercato, che dovrebbe essere garantito in sede di affidamento di servizi incidenti su risorse demaniali di carattere scarso, in un contesto di mercato nel quale le dinamiche concorrenziali sono già particolarmente affievolite a causa della lunga durata delle concessioni attualmente in essere.
Le proroghe, dunque, impediscono di cogliere i benefici che deriverebbero dalla periodica concorrenza per l’affidamento attraverso procedure competitive.
All’uopo, si osserva che l’affidamento delle concessioni tramite procedure competitive consente la piena valorizzazione del bene demaniale delle coste italiane che, come riconosciuto anche all’articolo 1, comma 675, della legge n. 145/2018, rappresenta un elemento strategico per il sistema economico del Paese. Peraltro, è evidente che l’incentivo all’innovazione e, quindi, alla valorizzazione del bene, è particolarmente ridotto in capo ai concessionari che beneficiano di lunghe e ripetute proroghe ex lege, rispetto a coloro che, interessati a fare il loro ingresso nel settore, puntano all’affidamento della concessione in sede di procedura competitiva. Infatti, ai sensi dell’articolo 37 del Codice della Navigazione (R.D. n. 327/1942) l’amministrazione concedente affida la concessione al soggetto che offre maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione.
Pertanto, in un mercato in cui, in ragione delle specifiche caratteristiche oggettive, esiste un’esclusiva o sono ammessi ad operare un numero limitato di soggetti, l’affidamento delle concessioni deve avvenire mediante procedure trasparenti e competitive, al fine di attenuare gli effetti distorsivi della concorrenza connessi alla posizione di privilegio attribuita al concessionario.
L’indizione di procedure competitive per l’assegnazione delle concessioni potrà, ove ne ricorrano i presupposti, essere supportata dal riconoscimento di un indennizzo a tutela degli eventuali investimenti effettuati dai concessionari uscenti.
In conclusione, la proroga del termine di durata delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreativa si pone in contrasto con gli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, in quanto è suscettibile di limitare ingiustificatamente la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi nel mercato interno, nonché con l’articolo12 della direttiva n. 2006/123/CE (c.d. direttiva Servizi).
Tale principio è stato, da ultimo, ribadito dal TAR Toscana con sentenza n. 363 dell’8 marzo 2021 che, in conformità a quanto statuito dalla Corte di Giustizia UE, ha espressamente affermato che “la proroga legale delle concessioni demaniali in assenza di gara “non può avere cittadinanza nel nostro ordinamento””, posto che “le spiagge sono beni naturali il cui numero è ontologicamente limitato, in ragione della scarsità delle risorse naturali”. Peraltro, la proroga ex lege delle concessioni è illegittima anche ai sensi dell’articolo 49 TFUE, nella misura in cui comporta una restrizione ingiustificata alla libertà di stabilimento delle imprese con sede in un altro Stato membro, in relazione ad un bene che, posta la sua valenza economica e turistica, è di evidente interesse transfrontaliero. Pertanto, il rilascio delle concessioni “è necessariamente subordinato all’espletamento di una procedura di selezione tra potenziali candidati, che deve presentare garanzie di imparzialità, trasparenza e pubblicità”.
Ciò posto, va rilevato che il ricorso ingiustificato a proroghe ex lege di lunga durata, unitamente alla possibilità di un generalizzato ricorso alle sub-concessioni ex articolo 45-bis del Codice della Navigazione e alla ridotta misura dei canoni determinati secondo i criteri previsti dall’articolo 3 del D.L. 5 ottobre 1993, n. 400, è causa anche di un evidente danno per le finanze pubbliche.
All’uopo, [si deve] innanzitutto osservare che, nel 2019, su un totale di 29.689 concessioni demaniali marittime (aventi qualunque finalità), ben 21.581 erano soggette ad un canone inferiore ad euro 2.500. Per lo stesso anno, l’ammontare complessivo dei canoni concessori è stato pari a 115 milioni di euro.
Quanto alle sub-concessioni, l’articolo 45-bis del Codice della Navigazione consente al concessionario, previa autorizzazione dell'autorità competente, di affidare ad altri soggetti la gestione delle attività oggetto della concessione (o di attività secondarie nell’ambito della concessione stessa). L’attuale formulazione della norma è il risultato della modifica disposta dall’articolo 10, comma 2, della legge 16 marzo 2001, n. 18, che ha soppresso le parole “in casi eccezionali e per periodi determinati”, rendendo possibile il ricorso alla sub-concessione in via generalizzata e senza limiti temporali.
Fatte tali necessarie premesse, va evidenziato come le proroghe ex lege delle concessioni, disposte in via generalizzata e per lunghi periodi di tempo, consentono ai concessionari di ricavarne ingiustificate rendite di posizione. Invero, a causa del ridotto canone che essi versano all’amministrazione concedente, lo stesso avrà la possibilità di ricavare, tramite la sub-concessione, un prezzo più elevato rispetto al canone concessorio, che rifletterà il reale valore economico e l’effettiva valenza turistica del bene.
Ciò posto, è auspicabile una modifica legislativa che, in relazione alle sole concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, consenta alle amministrazioni concedenti di sfruttare appieno il reale valore del bene demaniale oggetto di concessione. In tal senso, sarebbe opportuno che anche la misura dei canoni concessori formi oggetto della procedura competitiva per la selezione dei concessionari, in modo tale che, all’esito, essa rifletta il reale valore economico e turistico del bene oggetto di affidamento.
È, inoltre, in ogni caso auspicabile che l’articolo 45-bis del Codice della Navigazione venga riformato nel senso di reintrodurre i vincoli alla sub-concessione soppressi con la riforma del 2001.
Si propone di:
1. abrogare l’articolo 1, commi 682, 683 e 684, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, relativo alle proroghe delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico ricreative e adottare in tempi brevi una nuova normativa che preveda l’immediata selezione dei concessionari in base a principi di concorrenza, imparzialità, trasparenza e pubblicità;
2. in relazione alle sole concessioni demaniali marittime per finalità turistico ricreative, affidare anche la determinazione dei canoni concessori alla procedura competitiva per la selezione dei concessionari;
3. modificare comunque l’articolo 45-bis del R.D. n. 327/1942 (Codice della navigazione), reintroducendo le parole “in casi eccezionali e per periodi determinati”, soppresse dalla legge 16 marzo 2001 n. 18.
Si veda anche, da ultimo, l'AS1801 del 16 novembre 2021, Regione Calabria - proroga delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative.
A sua volta, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con le sentenze n. 17 e n. 18 del 9 novembre 2021, è intervenuta sulla questione dei rinnovi automatici delle concessioni demaniali marittime.
In tali pronunce, l'Adunanza plenaria ha enunciato i seguenti principi di diritto:
1. Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, D.L. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020 – sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione.
L’art. 182, comma 2, D.L. n. 34/2020, prevede che, fermo restando quanto disposto nei riguardi dei concessionari dall'articolo 1, commi 682 e seguenti, della L. n. 145/2018, per le necessità di rilancio del settore turistico e al fine di contenere i danni, diretti e indiretti, causati dall'emergenza epidemiologica da COVID-19, le amministrazioni competenti non possono avviare o proseguire, a carico dei concessionari che intendono proseguire la propria attività mediante l'uso di beni del demanio marittimo, lacuale e fluviale, i procedimenti amministrativi per la devoluzione delle opere non amovibili, di cui all'articolo 49 del codice della navigazione, per il rilascio o per l'assegnazione, con procedure di evidenza pubblica, delle aree oggetto di concessione alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. L'utilizzo dei beni oggetto dei procedimenti amministrativi di cui al periodo precedente da parte dei concessionari è confermato verso pagamento del canone previsto dall'atto di concessione e impedisce il verificarsi della devoluzione delle opere. Le predette disposizioni non si applicano quando la devoluzione, il rilascio o l'assegnazione a terzi dell'area sono stati disposti in ragione della revoca della concessione oppure della decadenza del titolo per fatto e colpa del concessionario.
L’articolo 49 del TFUE vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali.
L’art. 12 della direttiva 2006/123/CE prevede, al paragrafo 1, che qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un'adeguata pubblicità dell'avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.
Il § 2 prevede che, in tali casi, l'autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami.
In base al § 3, fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al diritto comunitario.
2. Ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla P.A. (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo agli attuali concessionari. Non vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l’effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata. La non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset [sic], senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato. Venendo in rilievo un rapporto di durata, infatti, anche il giudicato è comunque esposto all’incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del rapporto.
3. Le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E. Tale proroga ha le finalità di:
- evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere,
- tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste
- e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea.
L’articolo 5 del disegno di legge porta una novella all’articolo 18 della legge n. 84 del 1994, in materia portuale.
Esso introduce il principio dell’evidenza pubblica nell’affidamento delle concessioni delle aree demaniali e reca una nuova disciplina delle modalità per il rilascio del titolo e per l’esercizio della gestione da parte del concessionario.
Nel testo originario dell'articolo la rubrica faceva un puntuale e più pertinente riferimento alle sole concessioni demaniali portuali.
Vale la pena innanzitutto rammentare che la legge n. 84 del 1994 (di riordino della legislazione in materia portuale) ha delineato, in luogo del precedente basato su porti interamente pubblici, un nuovo modello organizzativo, caratterizzato dalla separazione tra le funzioni pubbliche di programmazione e di controllo del territorio e delle infrastrutture portuali, affidate alle autorità portuali, e le funzioni di gestione del traffico e dei terminali, ritenute di carattere imprenditoriale e date in concessione a soggetti privati.
La legge n. 84 del 1994 è stata oggetto di numerose proposte di riforma organica in sede parlamentare (si ricorda, in particolare, l’a.C. 5453 della XVI legislatura, che era stato approvato dal Senato ma il cui iter alla Camera, viceversa, non ha trovato conclusione. V. qui il relativo dossier).
Più circoscritte modifiche sono intervenute nel corso degli anni. In particolare, proprio l’articolo 18 è stato modificato a più riprese: prima con il decreto-legge n. 535 del 1996, poi con la legge n. 472 del 1999, poi ancora con la legge n. 172 del 2003 e il decreto-legge n. 5 del 2012 e, da ultimo, con la legge di bilancio per il 2018 (n. 232 del 2017).
Per una migliore comprensione della modifica proposta con il disegno di legge e già approvata dal Senato, è opportuno premettere un testo a fronte.
Testo vigente dell’art. 18 |
Testo modificato |
1. L'Autorità di sistema portuale e, dove non istituita, ovvero prima del suo insediamento, l'organizzazione portuale o l'autorità marittima danno in concessione le aree demaniali e le banchine comprese nell'ambito portuale alle imprese di cui all'articolo 16, comma 3, per l'espletamento delle operazioni portuali, fatta salva l'utilizzazione degli immobili da parte di amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di funzioni attinenti ad attività marittime e portuali. E' altresì sottoposta a concessione da parte dell'Autorità di sistema portuale e, laddove non istituita dall'autorità marittima, la realizzazione e la gestione di opere attinenti alle attività marittime e portuali collocate a mare nell'ambito degli specchi acquei esterni alle difese foranee anch'essi da considerarsi a tal fine ambito portuale, purché interessati dal traffico portuale e dalla prestazione dei servizi portuali anche per la realizzazione di impianti destinati ad operazioni di imbarco e sbarco rispondenti alle funzioni proprie dello scalo marittimo. Le concessioni sono affidate, previa determinazione dei relativi canoni, anche commisurati all'entità dei traffici portuali ivi svolti, sulla base di idonee forme di pubblicità, stabilite dal Ministro dei trasporti e della navigazione, di concerto con il Ministro delle finanze, con proprio decreto. Con il medesimo decreto sono altresì indicati: a) la durata della concessione, i poteri di vigilanza e controllo delle Autorità concedenti, le modalità di rinnovo della concessione ovvero di cessione degli impianti a nuovo concessionario; b) i limiti minimi dei canoni che i concessionari sono tenuti a versare. |
1. L'Autorità di sistema portuale e, laddove non istituita, l'autorità marittima danno in concessione le aree demaniali e le banchine comprese nell'ambito portuale alle imprese di cui all'articolo 16, comma 3, per l'espletamento delle operazioni portuali, fatta salva l'utilizzazione degli immobili da parte di amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di funzioni attinenti ad attività marittime e portuali. Sono altresì sottoposte a concessione da parte dell'Autorità di sistema portuale e, laddove non istituita, dell'autorità marittima, la realizzazione e la gestione di opere attinenti alle attività marittime e portuali collocate a mare nell'ambito degli specchi acquei esterni alle difese foranee, anch'essi da considerare a tal fine ambito portuale, purché interessati dal traffico portuale e dalla prestazione dei servizi portuali, anche per la realizzazione di impianti destinati ad operazioni di imbarco e sbarco rispondenti alle funzioni proprie dello scalo marittimo. Le concessioni sono affidate, previa determinazione dei relativi canoni, anche commisurati all'entità dei traffici portuali ivi svolti, sulla base di procedure ad evidenza pubblica, avviate anche a istanza di parte, con pubblicazione di un avviso, nel rispetto dei princìpi di trasparenza, imparzialità e proporzionalità, garantendo condizioni di concorrenza effettiva. Gli avvisi definiscono, in modo chiaro, trasparente, proporzionato rispetto all'oggetto della concessione e non discriminatorio, i requisiti soggettivi di partecipazione e i criteri di selezione delle domande, nonché la durata massima delle concessioni. Gli avvisi indicano altresì gli elementi riguardanti il trattamento di fine concessione, anche in relazione agli eventuali indennizzi da riconoscere al concessionario uscente. Il termine minimo per la ricezione delle domande di partecipazione è di trenta giorni dalla data di pubblicazione dell'avviso. |
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2. Al fine di uniformare la disciplina per il rilascio delle concessioni di cui al comma 1, con decreto del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono definiti i criteri per: a) l'assegnazione delle concessioni; b) l'individuazione della durata delle concessioni; c) l'esercizio dei poteri di vigilanza e controllo da parte delle autorità concedenti; d) le modalità di rinnovo e le modalità di trasferimento degli impianti al nuovo concessionario al termine della concessione; e) l'individuazione dei limiti dei canoni a carico dei concessionari; f) l'individuazione delle modalità volte a garantire il rispetto del principio di concorrenza nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale, individuati ai sensi dell'articolo 4. |
1-bis. Sono fatti salvi, fino alla scadenza del titolo concessorio, i canoni stabiliti dalle Autorità di sistema portuale relativi a concessioni già assentite alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1. |
3. Sono fatti salvi, fino alla scadenza del titolo concessorio, i contenuti e le pattuizioni degli atti concessori in essere, nonché i canoni stabiliti dalle Autorità di sistema portuale o, laddove non istituite, dalle autorità marittime, relativi a concessioni già assentite alla data di entrata in vigore della presente disposizione. |
2. Con il decreto di cui al comma 1 sono altresì indicati i criteri cui devono attenersi le Autorità di sistema portuale o marittime nel rilascio delle concessioni al fine di riservare nell'ambito portuale spazi operativi allo svolgimento delle operazioni portuali da parte di altre imprese non concessionarie. |
4. La riserva di spazi operativi funzionali allo svolgimento delle operazioni portuali da parte di altre imprese non titolari della concessione avviene nel rispetto dei princìpi di trasparenza, equità e parità di trattamento. |
3. Con il decreto di cui al comma 1, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti adegua la disciplina relativa alle concessioni di aree e banchine alle normative comunitarie. |
Soppresso. |
4. Per le iniziative di maggiore rilevanza, il presidente dell'Autorità di sistema portuale può concludere, previa delibera del comitato portuale, con le modalità di cui al comma 1, accordi sostitutivi della concessione demaniale ai sensi dell'art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241. |
Soppresso. |
4-bis. Le concessioni per l'impianto e l'esercizio dei depositi e stabilimenti di cui all'articolo 52 del codice della navigazione e delle opere necessarie per l'approvvigionamento degli stessi, dichiarati strategici ai sensi della legge 23 agosto 2004, n. 239, hanno durata almeno decennale. |
5. Identico. |
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6. Nell'ambito delle procedure di affidamento delle concessioni di cui al comma 1, l'Autorità di sistema portuale o, laddove non istituita, l'autorità marittima possono stipulare accordi con i privati ai sensi dell'articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ferma restando l'esigenza di motivare tale scelta e di assicurare il rispetto dei princìpi di trasparenza, imparzialità e non discriminazione tra tutti gli operatori interessati alla concessione del bene. |
5. Le concessioni o gli accordi sostitutivi di cui al comma 4 possono comprendere anche la realizzazione di opere infrastrutturali. |
7. Le concessioni o gli accordi di cui al comma 6 possono comprendere anche la realizzazione di opere infrastrutturali da localizzare preferibilmente in aree sottoposte ad interventi di risanamento ambientale ovvero in aree abbandonate e in disuso. |
6. Ai fini del rilascio della concessione di cui al comma 1 è richiesto che i destinatari dell'atto concessorio: a) presentino, all'atto della domanda, un programma di attività, assistito da idonee garanzie, anche di tipo fideiussorio, volto all'incremento dei traffici e alla produttività del porto; b) possiedano adeguate attrezzature tecniche ed organizzative, idonee anche dal punto di vista della sicurezza a soddisfare le esigenze di un ciclo produttivo ed operativo a carattere continuativo ed integrato per conto proprio e di terzi; c) prevedano un organico di lavoratori rapportato al programma di attività di cui alla lettera a). |
8. Ai fini del rilascio della concessione di cui al comma 1 è richiesto che i partecipanti alla procedura di affidamento:
a) presentino, all'atto della domanda, un programma di attività, assistito da idonee garanzie, anche di tipo fideiussorio, volto all'incremento dei traffici e alla produttività del porto; b) possiedano adeguate attrezzature tecniche e organizzative, idonee anche dal punto di vista della sicurezza a soddisfare le esigenze di un ciclo produttivo e operativo a carattere continuativo e integrato per conto proprio e di terzi; c) prevedano un organico di lavoratori rapportato al programma di attività di cui alla lettera a). |
7. In ciascun porto, l'impresa concessionaria di un'area demaniale deve esercitare direttamente l'attività per la quale ha ottenuto la concessione, non può essere al tempo stesso concessionaria di altra area demaniale nello stesso porto, a meno che l'attività per la quale richiede una nuova concessione sia differente da quella di cui alle concessioni già esistenti nella stessa area demaniale, e non può svolgere attività portuali in spazi diversi da quelli che le sono stati assegnati in concessione. Su motivata richiesta dell'impresa concessionaria, l'autorità concedente può autorizzare l'affidamento ad altre imprese portuali, autorizzate ai sensi dell'articolo 16, dell'esercizio di alcune attività comprese nel ciclo operativo. |
9. In ciascun porto l'impresa concessionaria di un'area demaniale deve esercitare direttamente l'attività per la quale ha ottenuto la concessione, non può essere al tempo stesso concessionaria di altra area demaniale nello stesso porto, a meno che l'attività per la quale richiede una nuova concessione sia differente da quella di cui alle concessioni già esistenti nella stessa area demaniale, e non può svolgere attività portuali in spazi diversi da quelli che le sono stati assegnati in concessione. Il divieto di cumulo di cui al primo periodo non si applica nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale, individuati ai sensi dell'articolo 4, e in tale caso è vietato lo scambio di manodopera tra le diverse aree demaniali date in concessione alla stessa impresa o a soggetti comunque alla stessa riconducibili. Nei porti nei quali non vige il divieto di cumulo la valutazione in ordine alla richiesta di ulteriori concessioni è rimessa all'Autorità di sistema portuale, che tiene conto dell'impatto sulle condizioni di concorrenza. Su motivata richiesta dell'impresa concessionaria, l'autorità concedente può autorizzare l'affidamento ad altre imprese portuali, autorizzate ai sensi dell'articolo 16, dell'esercizio di alcune attività comprese nel ciclo operativo. |
8. L'Autorità di sistema portuale o, laddove non istituita, l'autorità marittima sono tenute ad effettuare accertamenti con cadenza annuale al fine di verificare il permanere dei requisiti in possesso al momento del rilascio della concessione e l'attuazione degli investimenti previsti nel programma di attività di cui al comma 6, lettera a). |
10. L'Autorità di sistema portuale o, laddove non istituita, l'autorità marittima effettuano accertamenti con cadenza annuale al fine di verificare il permanere dei requisiti posseduti dal concessionario al momento del rilascio della concessione e l'attuazione degli investimenti previsti nel programma di attività di cui al comma 8, lettera a). |
9. In caso di mancata osservanza degli obblighi assunti da parte del concessionario, nonché di mancato raggiungimento degli obiettivi indicati nel programma di attività, di cui al comma 6, lettera a), senza giustificato motivo, l'Autorità di sistema portuale o, laddove non istituita, l'autorità marittima revocano l'atto concessorio. |
11. In caso di mancata osservanza degli obblighi assunti da parte del concessionario, nonché di mancato raggiungimento degli obiettivi indicati nel programma di attività di cui al comma 8, lettera a), senza giustificato motivo, l'Autorità di sistema portuale o, laddove non istituita, l'autorità marittima, nel rispetto delle previsioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, dichiarano la decadenza del rapporto concessorio. |
9-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai depositi e stabilimenti di prodotti petroliferi e chimici allo stato liquido, nonché di altri prodotti affini, siti in ambito portuale. |
12. Identico. |
Il comma 1 dell’articolo 18 della legge n. 84 del 1994 è la disposizione che subisce la modifica più profonda, poiché nel suo tessuto viene inserito il principio dell’evidenza pubblica, prima non previsto.
Secondo la formulazione attualmente vigente i criteri per l’affidamento dovevano essere determinati con un decreto ministeriale, che tuttavia non è mai stato emanato. Nel nuovo testo proposto, a un decreto ministeriale è affidato il compito di declinare specificamente i contenuti e le modalità delle gare pubbliche, onde renderle omogenee su tutto il territorio nazionale.
Resta fermo che le operazioni e i servizi portuali possono essere svolte solo da imprese autorizzate dalle autorità portuali (siano esse autorità di sistema o marittime) e che per il loro svolgimento le aree demaniali e le banchine possono essere date in concessione.
Trattandosi di concessioni su beni pubblici (e non già di lavori o di servizi) non si applicano le norme del codice dei contratti pubblici (articolo 164 del decreto legislativo n. 50 del 2016). Si stabilisce nondimeno che l’affidamento delle concessioni devono avvenire con una procedura che prenda avvio con la pubblicazione di un avviso pubblico.
L’impulso all’avvio del procedimento può anche promanare da una parte privata.
I principi ispiratori della procedura sono la trasparenza, l’imparzialità e la proporzione, con la connessa garanzia di condizioni di concorrenza effettiva.
L’affermazione in sede legislativa di questi principi appare essere motivata da un cospicuo filone giurisprudenziale sulla tutela della concorrenza e sulla contendibilità delle concessioni demaniali marittime.
Quanto alla giurisprudenza amministrativa, il Consiglio di Stato (sez. VI, 25 gennaio 2005) ha ritenuto necessaria una procedura competitiva per l’affidamento in concessione del demanio marittimo, in conformità ai principi comunitari (analogamente si è poi pronunciata l’Adunanza plenaria, 25 febbraio 2013, n. 5, in tema di concessioni di spazi pubblici a fini di pubblicità).
Da ultimo, si segnala il recente pronunciamento dell’Adunanza plenaria del medesimo Consiglio di Stato del 9 novembre 2021 (sentenze nn. 17 e 18) secondo cui “le norme italiane che prorogano in modo automatico le concessioni demaniali marittime sono in contrasto con il diritto europeo e, pertanto, vanno disapplicate. A ogni modo, quelle attualmente in vigore restano efficaci fino e non oltre il 31 dicembre 2023, al fine di dare alle Pubbliche amministrazioni il tempo per organizzare le gare” (sentenza 17).
Inoltre: “al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative in essere, nonché di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell'auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano a essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell'ordinamento dell'Ue” (sentenza n. 18).
Era intervenuta a sua volta anche la Corte costituzionale (per esempio, sentenze nn. 180 e 340 del 2010, 109 del 2018 e 1 del 2019) la quale ha sempre ritenuto illegittime le proroghe ope legis delle concessioni in essere.
Con più specifico riferimento alle concessioni disciplinate dall’articolo 18 della legge n. 84 del 1994, il TAR Friuli V.G. (TS), sez. I, 5 luglio 2017, n. 235, ha ritenuto insufficiente – in relazione all’affidamento di una concessione per 60 anni – la mera pubblicazione dell’avviso nell’albo pretorio; a sua volta il TAR Liguria (GE), sez. I, 13 maggio 2019, n. 441, ha considerato illegittima la procedura nella quale – a fronte di distinte richieste di privati di ottenere la concessione portuale – non si sia proceduta alla pubblicazione dell’avviso relativo all’istanza presentata per seconda, in modo da assicurare la par condicio all’operatore che l’aveva presentata per primo.
La raccomandazione a intervenire nel senso prescelto dal Governo nel presente disegno di legge è venuta anche dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), nel parere del 22 marzo 2021.
Nella nuova disposizione, il soggetto destinatario del dovere di pubblicare l’avviso è l’autorità portuale.
Circa il contenuto dell’avviso, il disegno di legge lo individua nei:
- requisiti soggettivi di partecipazione;
- criteri di selezione delle domande;
- durata massima delle concessioni;
- elementi inerenti al trattamento di fine concessione, anche in relazione agli eventuali indennizzi da riconoscere al concessionario uscente.
Quanto alle modalità, gli avvisi devono essere connotati da indicazioni chiare, trasparenti, proporzionate rispetto all’oggetto della concessione e non discriminatorie.
Devono lasciare un termine di almeno 30 giorni dalla data di pubblicazione per la ricezione delle domande di partecipazione.
Nel corso dell’esame al Senato, è stato introdotto un nuovo comma 2 all’articolo 18, che stabilisce che, al fine di uniformare la disciplina per il rilascio delle concessioni di cui al comma 1, con decreto del MIMS di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono definiti i criteri per:
a) l'assegnazione delle concessioni;
b) l'individuazione della durata delle concessioni;
c) l'esercizio dei poteri di vigilanza e controllo da parte delle autorità concedenti;
d) le modalità di rinnovo, di trasferimento degli impianti al nuovo concessionario al termine della concessione;
e) l'individuazione dei limiti dei canoni a carico dei concessionari;
f) l'individuazione delle modalità volte a garantire il rispetto del principio di concorrenza nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale, individuati ai sensi dell'articolo 4.
Sono fatti comunque salvi, fino alla scadenza del titolo concessorio, i contenuti, le pattuizioni dei suddetti atti concessori in essere, nonché i canoni stabiliti dalle Autorità di sistema portuale, o dove non istituite, le autorità marittime, relativi a concessioni già assentite alla data di entrata in vigore della presente disposizione.
Nel corso dell’esame al Senato, è stato altresì inserito un nuovo comma 6, per consentire alle Autorità di sistema portuale, nell’ambito delle procedure di affidamento delle concessioni di cui al comma 1, di stipulare accordi con i privati ai sensi dell'articolo 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241 ferma restando l'esigenza di motivare tale scelta e di assicurare il rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità e non discriminazione tra tutti gli operatori interessati alla concessione del bene.
Il nuovo comma 7 dell’articolo 18 prevede, poi, che le concessioni o gli accordi di cui al comma 6 possono comprendere anche la realizzazione di opere infrastrutturali da localizzarsi preferibilmente in aree sottoposte ad interventi di risanamento ambientale ovvero in aree abbandonate e in disuso.
Il comma 9 contiene una disposizione tipicamente rivolta a evitare concentrazioni e posizioni di dominio. Vi si stabilisce che il concessionario di un’area portuale possa svolgervi l’attività autorizzata solo nell’area oggetto della concessione e non possa ottenere che una sola concessione nel medesimo porto, salvo che si tratti di plurime concessioni inerenti ad attività merceologicamente differenti.
Viene proposto, altresì, che, nei porti dove non vige il divieto di cumulo, la valutazione in ordine alla richiesta di ulteriori concessioni sia rimessa all'Autorità di sistema portuale, che tiene conto dell'impatto sulle condizioni di concorrenza.
Nella nuova disposizione proposta, infatti, questo divieto di cumulo verrebbe meno in relazione ai porti di dimensioni maggiori. Tali porti – anche qui nella valutazione dell’AGCM fatta propria dal Governo - per traffico e capacità si trovano a competere in un orizzonte globale, tale per cui la posizione dominante deve valutarsi con parametri più larghi. Per questo, la nuova formulazione del comma 7 reca un periodo aggiunto, che prevede la deroga al divieto di cumulo per i porti che l’articolo 4 della medesima legge n. 84 classifica come di rilevanza economica internazionale (comma 1, lett. b).
Nondimeno e in coerenza con il comma 6, lett. c), resta vietato lo scambio di manodopera tra le diverse aree demaniali date in concessione alla stessa impresa o a soggetti comunque alla stessa riconducibili. Tale precisazione è volta a chiarire che è consentito il solo cumulo di attività ma non la strutturazione di un operatore che - per elementi oggettivi - si presenterebbe come dominante. Essa potrebbe avere anche riflessi in termini di diritto del lavoro.
Articolo 6
(Concessioni di distribuzione del gas naturale)
L’articolo 6, comma 1, modificato dal Senato, elenca le disposizioni che si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge in esame, al fine di valorizzare adeguatamente le reti di distribuzione del gas di proprietà degli enti locali e di rilanciare gli investimenti nel settore della distribuzione del gas naturale, accelerando al contempo le procedure per l'effettuazione delle gare per il servizio di distribuzione di gas naturale previste dal Regolamento per i criteri di gara e per la valutazione dell'offerta per l'affidamento del servizio della distribuzione del gas naturale (DM n. 226/2011).
La lettera a) estende le disposizioni di cui all’articolo 14, comma 8, del d.lgs. n.164/2000 (Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale) anche ai casi di trasferimento di proprietà di impianti da un ente locale al nuovo gestore subentrante all’atto della gara di affidamento del servizio di distribuzione.
Per tale disposizione, il nuovo gestore, con riferimento agli investimenti realizzati sugli impianti oggetto di trasferimento di proprietà nei precedenti affidamenti o concessioni, è tenuto a subentrare nelle garanzie e nelle obbligazioni relative ai contratti di finanziamento in essere o ad estinguere queste ultime e a corrispondere una somma al distributore uscente in misura pari al valore di rimborso per gli impianti la cui proprietà è trasferita dal distributore uscente al nuovo gestore. Nella situazione a regime, al termine della durata delle nuove concessioni di distribuzione del gas naturale affidate mediante gara per periodi non superiori a dodici anni (ai sensi del comma 1), il valore di rimborso al gestore uscente è pari al valore delle immobilizzazioni nette di località del servizio di distribuzione e misura, relativo agli impianti la cui proprietà viene trasferita dal distributore uscente al nuovo gestore, incluse le immobilizzazioni in corso di realizzazione, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, calcolato secondo la metodologia della regolazione tariffaria vigente e sulla base della consistenza degli impianti al momento del trasferimento della proprietà.
La lettera b) prevede che, qualora un ente locale o una società patrimoniale delle reti, in occasione delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale intenda alienare le reti e gli impianti di distribuzione e di misura di sua titolarità, dette reti e impianti sono valutati secondo il valore industriale residuo calcolato in base alle linee guida adottate ai sensi dell’articolo 4, comma 6, del D.L. n. 69/2013 (L. n. 98/2013) e in accordo con la disciplina stabilita dall' ARERA entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.
L’articolo 4, comma 6, del D.L. n. 69/2013, aveva affidato al Ministero dello sviluppo economico il potere di emanare linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale, al fine di facilitare lo svolgimento delle gare per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale (di cui al comma 2 dello stesso articolo) e di ridurre i costi per gli enti locali e per le imprese.
Si veda il DM 22 maggio 2014, recante Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale, pubblicato nella GU n. 129 del 6 giugno 2014.
Le "linee guida" in questione sono contenute nell'allegato al predetto DM.
La lettera c) prevede l'applicazione dell’articolo 15, comma 5, del d.lgs. n. 164/2000 (si veda, infra, il comma 2 per le modifiche a tale articolo), nei casi di alienazione delle reti e degli impianti di distribuzione e di misura dell'ente locale o della società patrimoniale delle reti, di cui alla lettera b), con riferimento alla verifica degli scostamenti del valore di rimborso da parte dell'ARERA prima della pubblicazione del bando di gara e alle eventuali osservazioni. Secondo la precisazione lessicale apportata dal Senato, l'ARERA riconosce in tariffa al gestore "aggiudicatario della gara" (nella formulazione originaria si faceva rinvio al "gestore entrante") l'ammortamento della differenza tra il valore di rimborso e il valore delle immobilizzazioni nette, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località.
La disciplina attualmente recata dall’articolo 15, comma 5, del d.lgs. n. 164/2000, prevede che, qualora il valore di rimborso risulti maggiore del 10 per cento del valore delle immobilizzazioni nette di località calcolate nella regolazione tariffaria, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, l'ente locale concedente trasmette le relative valutazioni di dettaglio del valore di rimborso all'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico per la verifica prima della pubblicazione del bando di gara. Tale disposizione non si applica qualora l'ente locale concedente possa certificare anche tramite un idoneo soggetto terzo che il valore di rimborso è stato determinato applicando le disposizioni contenute nel DM 22 maggio 2014, recante approvazione delle "Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale", e che lo scostamento del valore di rimborso e del valore delle immobilizzazioni nette, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, aggregato d'ambito, non risulti superiore alla percentuale dell'8 per cento, purché lo scostamento del singolo comune non superi il 20 per cento. Nel caso di valore delle immobilizzazioni nette disallineate rispetto alle medie di settore secondo le definizioni dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, il valore delle immobilizzazioni nette rilevante ai fini del calcolo dello scostamento è determinato applicando i criteri di valutazione parametrica definiti dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico. La stazione appaltante tiene conto delle eventuali osservazioni dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico ai fini della determinazione del valore di rimborso da inserire nel bando di gara.
La lettera d) prevede, con riferimento alla disciplina delle gare di affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale di cui all’articolo 13 del DM n. 226/2011 (il quale elenca e descrive le condizioni economiche oggetto di gara), il gestore, nell’offerta di gara, può versare agli enti locali l’ammontare pari al valore dei titoli di efficienza energetica corrispondenti agli interventi di efficienza energetica previsti nel bando di gara e, secondo l'integrazione disposta dal Senato, offerti secondo le modalità definite nello schema di disciplinare di gara tipo. Il Senato ha altresì specificato che il valore dei titoli di efficienza energetica da versare agli enti locali è determinato ogni anno secondo le disposizioni di cui all'articolo 8, comma 6, del sopra citato DM n. 226/2011.
Secondo la disposizione testé richiamata, il gestore è tenuto ad effettuare gli interventi di efficienza energetica di cui all'articolo 13, comma 1, lettera e), come risultato dell'esito di gara; il valore dei relativi titoli di efficienza energetica è corrisposto agli Enti locali concedenti, in proporzione al gas distribuito in ciascun Comune nell'anno precedente all'ultimo trascorso. Ciascun anno il gestore anticipa agli Enti locali concedenti una somma pari al valore dei titoli di efficienza degli interventi su cui si è impegnato in sede di gara per l'anno in corso, valutati secondo il prezzo unitario previsto dall'Autorità nell'anno precedente. Qualora l'anno successivo, quando i titoli devono essere presentati al GSE per soddisfare l'impegno preso in sede di gara, il prezzo unitario del titolo stabilito dall'Autorità aumenti, il gestore versa il conguaglio agli Enti locali concedenti; nessun aggiustamento è dovuto nel caso in cui il prezzo unitario diminuisca. A fronte di tali versamenti, i titoli rimangono di proprietà del gestore. A tali titoli è riconosciuta la copertura dei costi prevista dalle normative in materia di efficienza energetica emanate dal Ministero dello sviluppo economico e dall'Autorità ai sensi dell'articolo 16, comma 4, e dell'articolo 23, comma 4, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, nella percentuale del 50%. Tale percentuale sarà innalzata al 100%, qualora i decreti ministeriali, che fisseranno gli obiettivi quantitativi nazionali di efficienza energetica da parte delle imprese di distribuzione del gas per gli anni successivi all'anno 2016, considereranno i titoli offerti in sede di gara contribuire agli impegni presi dall'Italia in sede europea, riducendo il valore degli obiettivi quantitativi nazionali stessi, in modo da non introdurre ulteriori oneri per i clienti gas.
Il comma 2 novella l'articolo 15, comma 5, del d.lgs. n. 164/2000, sostituendone il sesto e il settimo periodo.
La novella stabilisce le condizioni il cui ricorrere esonera l'ente locale concedente dall'obbligo di trasmettere le relative valutazioni di dettaglio del valore di rimborso all'ARERA per la verifica prima della pubblicazione del bando di gara. Tale obbligo non opera nel caso in cui l'ente locale possa certificare, anche tramite un idoneo soggetto terzo, che il valore di rimborso è stato determinato applicando le disposizioni contenute nel decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 maggio 2014 (recante Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale), e che lo scostamento del valore di rimborso e del valore delle immobilizzazioni nette, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, aggregato d'ambito, tenuto conto della modalità di valorizzazione delle immobilizzazioni nette (RAB) rilevante ai fini del calcolo dello scostamento:
a) non risulti superiore alla percentuale del 10 per cento, nel caso di RAB valutata al 100 per cento sulla base della RAB effettiva, purché lo scostamento del singolo comune non superi il 25 per cento;
b) non risulti superiore alla percentuale del 35 per cento, nel caso di RAB valutata al 100 per cento sulla base dei criteri di valutazione parametrica definiti dall'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (RAB parametrica), purché lo scostamento del singolo comune non superi il 45 per cento;
c) non risulti superiore alla somma dei prodotti del peso della RAB effettiva moltiplicato per il 10 per cento e il peso della RAB parametrica moltiplicato per il 35 per cento, negli altri casi, purché lo scostamento del singolo comune non superi il 35 per cento.
Decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 Articolo 15 (Regime di transizione nell'attività di distribuzione) |
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Testo vigente |
Testo modificato |
5. Per l'attività di distribuzione del gas, gli affidamenti e le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché quelli alle società derivate dalla trasformazione delle attuali gestioni, proseguono fino alla scadenza stabilita, se compresa entro i termini previsti dal comma 7 per il periodo transitorio. Gli affidamenti e le concessioni in essere per i quali non è previsto un termine di scadenza o è previsto un termine che supera il periodo transitorio, proseguono fino al completamento del periodo transitorio stesso. In quest'ultimo caso, ai titolari degli affidamenti e delle concessioni in essere è riconosciuto un rimborso, a carico del nuovo gestore ai sensi del comma 8 dell'articolo 14, calcolato nel rispetto di quanto stabilito nelle convenzioni o nei contratti, purché stipulati prima della data di entrata in vigore del regolamento di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale 12 novembre 2011, n. 226, e, per quanto non desumibile dalla volontà delle parti nonché per gli aspetti non disciplinati dalle medesime convenzioni o contratti, in base alle linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso di cui all'articolo 4, comma 6, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98. In ogni caso, dal rimborso di cui al presente comma sono detratti i contributi privati relativi ai cespiti di località, valutati secondo la metodologia della regolazione tariffaria vigente. Qualora il valore di rimborso risulti maggiore del 10 per cento del valore delle immobilizzazioni nette di località calcolate nella regolazione tariffaria, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, l'ente locale concedente trasmette le relative valutazioni di dettaglio del valore di rimborso all'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico per la verifica prima della pubblicazione del bando di gara. Tale disposizione non si applica qualora l'ente locale concedente possa certificare anche tramite un idoneo soggetto terzo che il valore di rimborso è stato determinato applicando le disposizioni contenute nel decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 maggio 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2014, recante approvazione delle "Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale", e che lo scostamento del valore di rimborso e del valore delle immobilizzazioni nette, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, aggregato d'ambito, non risulti superiore alla percentuale dell'8 per cento, purché lo scostamento del singolo comune non superi il 20 per cento. Nel caso di valore delle immobilizzazioni nette disallineate rispetto alle medie di settore secondo le definizioni dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, il valore delle immobilizzazioni nette rilevante ai fini del calcolo dello scostamento è determinato applicando i criteri di valutazione parametrica definiti dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico. La stazione appaltante tiene conto delle eventuali osservazioni dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico ai fini della determinazione del valore di rimborso da inserire nel bando di gara. I termini di scadenza previsti dal comma 3 dell'articolo 4 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, sono prorogati di ulteriori quattro mesi. Le date limite di cui all'allegato 1 al regolamento di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 12 novembre 2011, n. 226, relative agli ambiti ricadenti nel terzo raggruppamento dello stesso allegato 1, nonché i rispettivi termini di cui all'articolo 3 del medesimo regolamento, sono prorogati di quattro mesi. Resta sempre esclusa la valutazione del mancato profitto derivante dalla conclusione anticipata del rapporto di gestione. |
5. Per l'attività di distribuzione del gas, gli affidamenti e le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché quelli alle società derivate dalla trasformazione delle attuali gestioni, proseguono fino alla scadenza stabilita, se compresa entro i termini previsti dal comma 7 per il periodo transitorio. Gli affidamenti e le concessioni in essere per i quali non è previsto un termine di scadenza o è previsto un termine che supera il periodo transitorio, proseguono fino al completamento del periodo transitorio stesso. In quest'ultimo caso, ai titolari degli affidamenti e delle concessioni in essere è riconosciuto un rimborso, a carico del nuovo gestore ai sensi del comma 8 dell'articolo 14, calcolato nel rispetto di quanto stabilito nelle convenzioni o nei contratti, purché stipulati prima della data di entrata in vigore del regolamento di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale 12 novembre 2011, n. 226, e, per quanto non desumibile dalla volontà delle parti nonché per gli aspetti non disciplinati dalle medesime convenzioni o contratti, in base alle linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso di cui all'articolo 4, comma 6, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98. In ogni caso, dal rimborso di cui al presente comma sono detratti i contributi privati relativi ai cespiti di località, valutati secondo la metodologia della regolazione tariffaria vigente. Qualora il valore di rimborso risulti maggiore del 10 per cento del valore delle immobilizzazioni nette di località calcolate nella regolazione tariffaria, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, l'ente locale concedente trasmette le relative valutazioni di dettaglio del valore di rimborso all'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico per la verifica prima della pubblicazione del bando di gara. Tale disposizione non si applica qualora l'ente locale concedente possa certificare, anche tramite un idoneo soggetto terzo, che il valore di rimborso è stato determinato applicando le disposizioni contenute nel decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 maggio 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 129 del 6 giugno 2014, recante approvazione delle "Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale", e che lo scostamento del valore di rimborso e del valore delle immobilizzazioni nette, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, aggregato d'ambito, tenuto conto della modalità di valorizzazione delle immobilizzazioni nette (RAB) rilevante ai fini del calcolo dello scostamento: a) non risulti superiore alla percentuale del 10 per cento, nel caso di RAB valutata al 100 per cento sulla base della RAB effettiva, purché lo scostamento del singolo comune non superi il 25 per cento; b) non risulti superiore alla percentuale del 35 per cento, nel caso di RAB valutata al 100 per cento sulla base dei criteri di valutazione parametrica definiti dall'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (RAB parametrica), purché lo scostamento del singolo comune non superi il 45 per cento; c) non risulti superiore alla somma dei prodotti del peso della RAB effettiva moltiplicato per il 10 per cento e il peso della RAB parametrica moltiplicato per il 35 per cento, negli altri casi, purché lo scostamento del singolo comune non superi il 35 per cento. |
Il comma 3 novella l’articolo 14 del d.lgs. n. 164/2000, introducendovi il nuovo comma 7-bis.
La nuova disposizione prevede che il gestore uscente è tenuto a fornire all’ente locale tutte le informazioni necessarie per predisporre il bando di gara (per l'affidamento dell'attività di distribuzione di gas naturale), entro un termine, stabilito dallo stesso ente in funzione dell’entità delle informazioni richieste. Nella formulazione originaria del disegno di legge era stabilito che tale termine non può comunque essere superiore a trenta giorni. Per effetto di una modifica apportata dal Senato, tale termine è stato innalzato a sessanta giorni. Qualora il gestore uscente, senza giustificato motivo, ometta di fornire le informazioni richieste ovvero fornisca informazioni inesatte o fuorvianti oppure non fornisca le informazioni entro il termine stabilito, l’ente locale può imporre una sanzione amministrativa pecuniaria il cui importo può giungere fino all'1 per cento del fatturato totale realizzato durante l'esercizio sociale precedente e valutare il comportamento tenuto dal gestore uscente ai fini dell'esclusione dalla partecipazione alla procedura d'appalto.
È appositamente richiamata l’applicazione dell’articolo 80, comma 5, lettera c-bis) del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016).
Il comma 5 elenca le situazioni, anche riferite a un subappaltatore, alla cui presenza le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico.
La lettera c-bis) contempla l'ipotesi in cui l'operatore economico abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.
Infine, il Senato ha aggiunto il comma 4. Tale disposizione demanda a un decreto del Ministro della transizione ecologica e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, da adottare, sentita l'ARERA, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, l'aggiornamento dei criteri di gara di cui al più volte ricordato DM n. 226/2011, prevedendo in particolare l'aggiornamento dei criteri di valutazione degli interventi di innovazione tecnologica previsti all'articolo 15, comma 3, lettera d), del citato DM, al fine di valorizzare nuove tipologie di intervento più rispondenti al rinnovato quadro tecnologico.
Tale disposizione prevede che i criteri di valutazione del piano degli investimenti redatto da ciascun concorrente riguardano, tra l'altro, anche l'innovazione tecnologica, attuata in maniera accelerata o addizionale a quanto previsto dalla regolazione, subordinata alla dimostrazione di credibilità dell'offerta in impianti di distribuzione già gestiti dal distributore, in particolare sarà valutata l'offerta del numero dei seguenti componenti:
i. impianti telecontrollati;
ii. sistemi di dosaggio ad iniezione dell'odorizzante o equivalenti;
iii. sistemi di misura in continuo della protezione catodica;
iv. percentuale di tubazioni in acciaio messe in protezione catodica efficace in maniera anticipata rispetto al programma previsto dall'Autorità nella regolazione della qualità del servizio;
v. contatori elettronici con un programma di messa in servizio accelerato rispetto a quello previsto dall'Autorità.
Segnalazione 1730 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, inviata il 22 marzo 2021 (Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2021)
Nel paragrafo L’accelerazione delle gare per le concessioni di distribuzione del gas naturale, si osserva che la selezione del concessionario del servizio di distribuzione del gas attraverso procedure di concorrenza per il mercato, già stabilita dal d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164 (c.d. Decreto Letta), definisce un’occasione importante per massimizzare l’impegno del gestore negli investimenti e ottimizzare le condizioni economiche alle quali viene svolto il servizio. Nonostante il quadro normativo per l’espletamento delle gare d’ATEM sia definito da tempo, il programma di svolgimento delle stesse è in grave ritardo: ad oggi sono state avviate solo 35 delle 177 gare previste. L’Autorità è intervenuta più volte per sottolineare tale ritardo, invitare il governo a esercitare i propri poteri sostitutivi e suggerire modifiche alle norme esistenti volte a favorire una più rapida attuazione del programma di gare; anche alla luce dell’esperienza maturata attraverso l’applicazione della normativa antitrust in questo settore, intende quindi suggerire in questa sede alcune modifiche normative idonee a velocizzare il processo di predisposizione dei bandi e/o ad accrescere la partecipazione e la concorrenza attesa alle future gare. In primo luogo, si ritiene necessario accrescere gli incentivi degli enti locali (sia le stazioni appaltanti che gli altri comuni dell’ATEM) a bandire le gare in tempi brevi, considerando che detti incentivi possono risultare affievoliti nel caso in cui gli enti locali siano proprietari della rete esistente o di una sua parte. In questo caso, infatti, la prassi attualmente in vigore prevede che per acquisire tali asset il gestore subentrante paghi una somma inferiore (la cd. RAB) rispetto a quella percepita dal gestore uscente per la cessione degli impianti di sua proprietà (il cd. VIR, valore di rimborso). Al fine di evitare resistenze e, al contempo, incentivare l’indizione delle gare, sarebbe quindi opportuno equiparare per legge la remunerazione che i comuni possono ottenere dalla cessione degli impianti di loro proprietà a quella garantita ai gestori uscenti, integrando opportunamente l’articolo 14, comma 8, del d.lgs. 23 maggio 2000 n. 164. In secondo luogo, appare necessario eliminare le situazioni di conflitto di interesse che possono generarsi nei casi, non infrequenti, in cui le stazioni appaltanti risultano essere anche azionisti, spesso di controllo, delle società di distribuzione che partecipano alle gare. Al fine di evitare che situazioni simili finiscano non solo per nuocere all’effettivo dispiegarsi in gara della concorrenza per il mercato ma anche per scoraggiare la stessa partecipazione alla gara, si ritiene opportuno istituire un albo nazionale di commissari di gara. A tale albo, che avrebbe anche il vantaggio di garantire una riserva di esperti in grado di apportare una adeguata competenza tecnica e amministrativa alle commissioni di gara, si dovrebbe attingere quantomeno in casi di conflitto di interesse, al fine di garantire la terzietà delle valutazioni compiute per conto delle stazioni appaltanti. In tal senso andrebbe modificato l’articolo 11 del DM 12 novembre 2011 n. 226, così come modificato con DM 20 maggio 2015, che definisce nomina e caratteristiche della commissione delle gare per l’aggiudicazione delle concessioni d’ATEM. In terzo luogo, ai fini di una accelerazione nell’indizione delle gare, sarebbe opportuna una semplificazione di alcune delle procedure propedeutiche allo svolgimento delle stesse, anche mediante una riduzione dei casi di verifica dello scostamento tra VIR e RAB di competenza del regolatore di settore ARERA. Da ultimo, al fine di tutelare la concorrenza effettiva in sede di gara, si ritiene indispensabile che le inevitabili asimmetrie informative tra gestori uscenti e potenziali terzi partecipanti siano minimizzate, in modo da evitare che i primi godano di eccessivi vantaggi nella predisposizione dell’offerta. Gli obblighi informativi cui sono assoggettati i gestori uscenti per predisporre dei bandi di gara sono stabiliti dagli artt. 4 e 5 del DM n. 226/2011. Nella propria esperienza applicativa l’Autorità ha verificato che la attuale definizione di tali obblighi non risulta sempre sufficientemente chiara e inequivocabile. In particolare, con riferimento ad un importante elemento informativo come la cartografia dell’impianto, che fa parte dello stato di consistenza che il gestore uscente deve fornire ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera a), del citato DM, è emerso che l’obbligo che la stessa sia fornita in formato aperto e interoperabile (e dunque effettivamente fruibile dai potenziali concorrenti), si deduce solo da un chiarimento pubblicato sul sito del MISE. Al fine di scongiurare incertezze interpretative che si potrebbero riverberare negativamente sulla predisposizione degli atti di gara, è essenziale che tale obbligo sia chiarito attraverso una adeguata modifica del predetto comma 1 dell’articolo 4 del DM n. 226/2011. Più in generale, è necessario che sia fatta definitiva chiarezza su tutte le prescrizioni in materia di obblighi informativi dei gestori uscenti per le quali possano emergere dubbi interpretativi. Sempre al fine di tutelare la concorrenza effettiva in sede di gara, e ridurre le inevitabili asimmetrie informative tra gestori uscenti e potenziali terzi partecipanti alla gara, si ritiene necessaria una modifica della normativa primaria tesa a ampliare i poteri delle stazioni appaltanti, mediante la previsione di meccanismi di penalizzazione per i distributori che non forniscano i dati richiesti.
Al fine di accelerare lo svolgimento delle gare d’ATEM per la concessione del servizio di distribuzione del gas e accrescere il livello di concorrenza nelle medesime, si propone di:
1.modificare l’articolo 14, comma 8, del d.lgs. 23 maggio 2000 n. 164, prevedendo che anche gli impianti di proprietà comunale siano valorizzati a VIR, anziché a RAB, in caso di loro cessione al gestore entrante;
2.modificare l’articolo 11 del DM n. 226/2011, prevedendo l’istituzione di un albo nazionale di commissari di gara cui si possa attingere per la formazione delle commissioni, quantomeno nei casi in cui si palesino dei conflitti di interesse tra la stazione appaltante e i possibili partecipanti alla gara;
3.introdurre una casistica più ampia di situazioni in cui lo scostamento tra VIR e RAB non richiede la verifica da parte di ARERA;
4.specificare, al comma 1 dell’articolo 4 del DM n. 226/2011, che la cartografia e le altre componenti dello stato di consistenza dell’impianto per le quali ciò sia applicabile vengano fornite in formato aperto e interoperabile, e, più in generale, evitare che residuino margini di discrezionalità o incertezza interpretativa in merito al contenuto degli obblighi informativi dei gestori uscenti nei confronti delle stazioni appaltanti;
5.adottare una norma di fonte primaria finalizzata a rafforzare il potere delle stazioni appaltanti nei confronti dei gestori uscenti nel raccogliere le informazioni, prevedendo meccanismi di penalizzazione per i distributori che non forniscano i dati richiesti.
Nel PNRR, a p.76, si ribadisce che, in materia di concessioni di distribuzione del gas naturale, occorre modificare la relativa disciplina normativa al fine di favorire il rapido ed efficace svolgimento delle gare da parte degli Ambiti territoriali minimi (legge annuale 2021 ovvero altro provvedimento da adottare entro il 2022).
Articolo 7
(Disposizioni in materia di concessioni
di grande derivazione idroelettrica)
L’articolo 7 modifica la disciplina sulle concessioni di grande derivazione idroelettrica.
La prima modifica dispone che le procedure di assegnazione delle concessioni sono effettuate secondo parametri competitivi, equi e trasparenti, tenendo conto della valorizzazione economica dei canoni concessori e degli interventi di miglioramento della sicurezza delle infrastrutture esistenti e di recupero della capacità di invaso.
La seconda modifica prevede che le procedure di assegnazione debbano essere avviate comunque non oltre il 31 dicembre 2023. In difetto, lo Stato interviene in via sostitutiva.
La terza modifica introduce una disciplina speciale o temporanea che consente, per le concessioni di grandi derivazioni idroelettriche che prevedono un termine di scadenza anteriore al 31 dicembre 2024, incluse quelle già scadute, la prosecuzione dell'esercizio da parte del concessionario uscente, per il tempo strettamente necessario al completamento delle procedure di assegnazione e comunque non oltre tre anni dalla data di entrata in vigore della legge.
I commi 2 e 3 riguardano le grandi concessioni di derivazione idroelettrica nel Trentino Alto-Adige, posto che le province autonome di Trento e Bolzano hanno in materia una competenza esclusiva, a differenza delle altre regioni.
L’articolo 7, comma 1, modificato al Senato, novella la disciplina relativa alle procedure di affidamento delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua per uso idroelettrico di cui all'articolo 12 del decreto legislativo n. 79/1999, come da ultimo riformato dall’articolo 11-quater, comma 1, lett. a) del decreto-legge n. 135/2018[1].
Sulla disciplina italiana relativa all’affidamento delle concessioni idroelettriche, contenuta nell’articolo 12 del decreto legislativo n. 79 del 16 marzo 1999 (cosiddetto "decreto Bersani”), la Commissione UE, per diversi anni, ha espresso i suoi rilievi, rilevando problemi di incompatibilità con l’articolo 12 della direttiva servizi e con il diritto alla libertà di stabilimento garantito dall'articolo 49 e 57 del TFUE [2].
In sede di elaborazione del Piano Nazionale di ripresa e resilienza, approvato il 13 luglio 2021, il Governo italiano tra le riforme da includere nel disegno di legge sulla concorrenza 2021, ha incluso la revisione del quadro normativo sulle concessioni idroelettriche. Il disegno di legge sulla concorrenza, secondo quanto evidenziato negli Operational Arrangment, deve almeno (pag. 213-214):
- prevedere che gli impianti idroelettrici importanti siano regolati da criteri generali e uniformi a livello centrale;
- richiedere alle Regioni di definire i criteri economici alla base della durata dei contratti di concessione;
- eliminare gradualmente la possibilità di prorogare i contratti (come già stabilito dalla Corte costituzionale italiana);
- richiedere alle Regioni di armonizzare i criteri di accesso a quelli di gara (per creare un ambiente economico prevedibile).
All’indomani dell’adozione del PNRR, la procedura di infrazione UE 2011/2026 - aperta dieci anni fa nei confronti dell’Italia – relativamente alla disciplina sulle concessioni idroelettriche, è stata chiusa il 23 settembre 2021 (qui il comunicato stampa del Dip. Politiche europee della Presidenza del consiglio dei Ministri).
Nel PNRR si osserva che - in materia di concessioni di grande derivazione idroelettrica - occorre modificare la relativa disciplina al fine di favorire, secondo criteri omogenei, l’assegnazione trasparente e competitiva delle concessioni medesime, anche eliminando o riducendo le previsioni di proroga o di rinnovo automatico, soprattutto nella prospettiva di stimolare nuovi investimenti (legge annuale 2021 ovvero altro provvedimento da adottare entro il 2022).
La relazione illustrativa al disegno di legge sulla concorrenza evidenzia che, sebbene la procedura di infrazione sia chiusa, si ritiene comunque doveroso, con l’articolo in esame dare seguito ad alcuni rilievi ivi formulati dalle istituzioni comunitarie.
Si rammenta inoltre che il Ministro Cingolani, in risposta ad una recente interrogazione parlamentare presentata presso l’Assemblea della Camera dei deputati il 6 aprile 2022 [3], ha evidenziato come l'archiviazione sia scaturita dalla considerazione per cui le “caratteristiche peculiari del settore in Italia non giustificavano il proseguimento di detta procedura”. Il Ministro ha anche osservato che le energie derivanti dal settore idroelettrico hanno un peso importante nel mix energetico nazionale, anche in quanto derivanti da fonte rinnovabile. L'opportunità di giungere alla definizione di una disciplina armonizzata a livello europeo riguardo all'assegnazione delle concessioni è, in questo momento, oggetto di un dibattito molto complesso, non solo nel nostro Paese ma anche in Europa ed è particolarmente avvertito, dal momento che questa fonte di energia, oltre a essere rinnovabile, è anche un asset strategico almeno dei Paesi più grandi, con grandi sorgenti d'acqua.
Si ricorda che nella Segnalazione 1730 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, inviata il 22 marzo 2021 (Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2021, pagina 30), considerato che – come meglio verrà illustrato in seguito - la legge 27 dicembre 2017, n. 205, ha trasferito alla competenza legislativa esclusiva delle province autonome la disciplina in materia di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico, mentre il decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, ha attribuito la materia alla competenza legislativa concorrente delle Regioni, l’Autorità ha rilevato che le procedure per l’assegnazione di concessioni per grandi derivazioni idroelettriche dovrebbero essere definite dal legislatore statale in maniera unitaria su tutto il territorio nazionale.
La frammentazione normativa derivante dall’adozione di discipline regionali non omogenee, innalzando i costi di partecipazione alle gare, viene considerata idonea ad alterare il confronto concorrenziale, in particolar modo a danno degli operatori di minori dimensioni, nonché a creare un’artificiale compartimentazione territoriale nella produzione energetica da fonte idroelettrica, che costituisce parte del più ampio mercato nazionale della generazione elettrica.
Con specifico riguardo alla definizione delle modalità di assegnazione delle concessioni, l’Autorità auspica che venga individuata una procedura equa, non discriminatoria e trasparente come modalità ordinaria di assegnazione delle concessioni.
In secondo luogo, la garanzia di massima partecipazione e di parità di condizioni tra partecipanti richiede un attento vaglio dei criteri di quantificazione dei canoni concessori e dei criteri per l’ammissione alla procedura di assegnazione, affinché non risultino ingiustificatamente gravosi in termini di requisiti tecnici ed economici, tali da costituire una barriera all’accesso non necessaria né proporzionata alla selezione di un operatore qualificato. Nello stesso senso, deve essere evitata l’introduzione di misure che possano impropriamente avvantaggiare il gestore uscente. In particolare si deve assicurare una corretta quantificazione delle somme spettanti al gestore uscente per l’eventuale utilizzo dei beni di cui all’articolo 25, comma 2, del Testo Unico delle Acque (R.D. n. 1775/1933) all’atto del trasferimento del ramo d’azienda idroelettrico in favore dell’eventuale nuovo entrante. A tale riguardo, sussiste, nel settore in esame, un problema di conflitto di interessi, in considerazione della frequente coincidenza, in capo a regione o provincia autonoma, dei ruoli di legislatore, stazione appaltante e gestore uscente (sovente società partecipata direttamente o indirettamente dalla regione o dalla provincia autonoma o da altri enti locali): le province autonome e le regioni devono, pertanto, evitare l’introduzione, anche surrettizia, di misure di protezione e/o agevolazione delle società dalle stesse partecipate, a maggior ragione se si tratta di gestori incumbent.
Venendo all’articolo 7 del disegno di legge sulla concorrenza 2021, il comma 1, lettera a), inserisce il nuovo comma 1-ter.1 nell’articolo 12 del decreto legislativo n. 79/1999, il quale dispone che le procedure di assegnazione delle concessioni sono effettuate ai sensi del comma 1-ter del medesimo articolo 12, e in ogni caso, secondo parametri competitivi, equi e trasparenti, tenendo conto della valorizzazione economica dei canoni concessori di cui al comma 1-quinquies e degli interventi di miglioramento della sicurezza delle infrastrutture esistenti e di recupero della capacità di invaso.
I riferimenti al comma 1-ter e 1-quinquies per quanto riguarda l'effettuazione delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche sono stati introdotti al Senato. Sinteticamente, il comma 1-ter detta i principi per il rilascio delle nuove concessioni da parte delle regioni, mentre il comma 1-quinquies impone ai concessionari la corresponsione di un canone alle regioni, sulla base del rapporto fra la produzione dell'impianto, al netto dell'energia fornita alla regione, ed il prezzo zonale dell'energia elettrica.
Una illustrazione più circostanziata dell’articolo 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, è contenuta nel box che segue.
L’articolo 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, attribuisce la competenza al rilascio delle concessioni di grandi derivazioni alle regioni e alle province autonome (comma 10, in combinato disposto con il decreto legislativo 112/98, art. 86 e 89, comma 1, lett. i) e con il DPCM 12 ottobre 2000, norme che affidano la gestione del demanio idrico alle Regioni)[4].
Il decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, ha apportato profonde modifiche alla disciplina disponendo il trasferimento alle stesse Regioni della proprietà delle opere idroelettriche alla scadenza delle concessioni e nei casi di decadenza o rinuncia alle stesse, modificando l’articolo 12 appena richiamato.
Il comma 1 dell’articolo 12, come sostituito dall’articolo 11-quater, comma 1, lett. a) del decreto-legge n. 135/2018, dispone infatti che - alla scadenza delle concessioni e nei casi di decadenza o rinuncia - tutte le opere di raccolta, di regolazione e di derivazione, principali e accessorie, i canali adduttori dell'acqua, le condotte forzate ed i canali di scarico di cui all’articolo 25, primo comma (cd. “opere bagnate”), del Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici - regio decreto 1775/1933[5]), in stato di regolare funzionamento, passano, senza compenso, in proprietà delle regioni.
In caso di esecuzione da parte del concessionario, a proprie spese e nel periodo di validità della concessione, di investimenti sui predetti beni, purché previsti dall'atto di concessione o comunque autorizzati dal concedente, alla riassegnazione della concessione secondo le procedure di cui ai commi successivi dell’articolo 12, si applica, per la parte di bene non ammortizzato, un indennizzo al concessionario uscente pari al valore non ammortizzato e fatti salvi gli oneri di straordinaria manutenzione sostenuti dallo Stato nei casi previsti dall'articolo 26 del regio decreto 1775/1933.
Per i beni diversi da quelli prima indicati (ossia le cd. “opere asciutte”), resta ferma la disciplina stabilita dall'articolo 25, secondo comma e seguenti del regio decreto n. 1775/1933, con corresponsione del prezzo da quantificare al netto dei beni ammortizzati, sulla base del successivo comma 1-ter, intendendosi sostituiti gli organi statali ivi indicati con i corrispondenti organi della Regione.
Il comma 1-bis dispone poi che le regioni, ove non ritengano sussistere un prevalente interesse pubblico ad un diverso uso delle acque, incompatibile con il mantenimento dell'uso a fine idroelettrico, possono assegnare le concessioni di grandi derivazioni idroelettriche, previa verifica di requisiti di capacità tecnica, finanziaria e organizzativa di cui al comma 1-ter, lettera d) a:
· operatori economici individuati attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;
· società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato viene scelto attraverso l'espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica;
· mediante forme di partenariato pubblico privato, secondo il Codice appalti.
L'affidamento a società partecipate deve comunque avvenire nel rispetto delle disposizioni del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (decreto legislativo n. 175/2016).
Ai sensi del comma 1-ter, nel rispetto dell'ordinamento dell'Unione europea e degli accordi internazionali, nonché dei principi fondamentali dell'ordinamento statale, le regioni disciplinano con legge, entro il 13 febbraio 2020 e comunque non oltre il 31 ottobre 2020 (termine così prorogato dall’articolo 125-bis del decreto-legge “Cura Italia”, n. 18/2020[6]; vedi tuttavia la illustrazione del comma 1-quater), le modalità e le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico, stabilendo:
a) le modalità di svolgimento delle procedure di assegnazione;
b) i termini di avvio delle procedure;
c) i criteri di ammissione e di assegnazione;
d) i requisiti di capacità finanziaria, organizzativa e tecnica adeguata all'oggetto della concessione richiesti ai partecipanti e i criteri di valutazione delle proposte progettuali, prevedendo quali requisiti minimi:
1. ai fini della dimostrazione di adeguata capacità organizzativa e tecnica l'attestazione di avvenuta gestione, per un periodo di almeno 5 anni, di impianti idroelettrici aventi una potenza nominale media pari ad almeno 3 MW;
2. ai fini della dimostrazione di adeguata capacità economica la referenza di due istituiti di credito o società di servizi iscritte nell'elenco generale degli intermediari finanziari che attestino che il partecipante ha la possibilità di accedere al credito per un importo almeno pari a quello del progetto proposto nella procedura di assegnazione, comprese le somme da corrispondere per le cd. “opere asciutte” di cui alla lettera k);
e) la durata delle nuove concessioni deve essere compresa tra 20 e 40 anni; può essere incrementata fino a massimo 10 anni, in relazione alla complessità della proposta progettuale presentata e all'importo dell'investimento;
f) gli obblighi o le limitazioni gestionali, subordinatamente ai quali sono ammissibili i progetti di sfruttamento e utilizzo delle opere e delle acque, compreso l’utilizzo dell'acqua invasata per scopi idroelettrici per fronteggiare situazioni di crisi idrica o per la laminazione delle piene;
g) i miglioramenti minimi in termini energetici[7] con riferimento agli obiettivi strategici nazionali in materia di sicurezza energetica e fonti energetiche rinnovabili, compresa la possibilità di dotare le infrastrutture di accumulo idrico;
h) i livelli minimi di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico di pertinenza[8], determinando obbligatoriamente una quota degli introiti derivanti dall'assegnazione al finanziamento dei Piani di gestione distrettuali o dei piani di tutela e ripristino ambientale dei corpi idrici interessati dalla derivazione;
i) le misure di compensazione ambientale e territoriale, anche a carattere finanziario, da destinarsi ai territori dei comuni interessati dalla presenza delle opere e della derivazione compresi tra i punti di presa e di restituzione delle acque garantendo l'equilibrio economico finanziario del progetto di concessione;
j) le modalità di valutazione, da parte dell'amministrazione competente, dei progetti presentati in esito alle procedure di assegnazione. La valutazione deve avvenire nell'ambito di un procedimento unico ai fini della selezione delle proposte progettuali, che tiene luogo della verifica o valutazione di impatto ambientale, della valutazione di incidenza nei confronti dei siti di importanza comunitaria interessati nonché dell'autorizzazione paesaggistica, nonché di ogni altro atto di assenso, comunque denominato, previsto dalla normativa nazionale, regionale o locale. Al procedimento unico partecipano, ove necessario, il Ministero della transizione ecologica, il Ministero dei beni culturali e gli enti gestori delle aree naturali protette. Per gli aspetti connessi alla sicurezza degli invasi al procedimento valutativo partecipa il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile;
k) l'utilizzo delle cd. “opere asciutte” (di cui all'articolo 25, comma secondo, del regio decreto 1775/1933), nel rispetto del codice civile, secondo i seguenti criteri:
1. per i beni mobili
1.1. di cui si prevede l'utilizzo nel progetto di concessione, l'assegnatario corrisponde agli aventi diritto, all'atto del subentro, un prezzo, in termini di valore residuo[9];
1.2. di cui non si prevede l’utilizzo, si procede alla rimozione e allo smaltimento secondo le norme vigenti a cura ed onere del proponente;
2. per i beni immobili
2.1. di cui si prevede l'utilizzo, l'assegnatario corrisponde agli aventi diritto, all'atto del subentro, un prezzo[10] sulla base di attività negoziale fra le parti;
2.2. di cui non si prevede l'utilizzo, restano di proprietà degli aventi diritto;
l) previsione, nel rispetto dei principi dell'Unione europea, di specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato;
m) specifiche modalità procedimentali da seguire in caso di grandi derivazioni idroelettriche che interessano il territorio di due o più regioni, in termini di gestione, vincoli amministrativi e ripartizione dei canoni, da definire d'intesa fra le Regioni interessate; le funzioni amministrative per l'assegnazione della concessione sono di competenza della Regione sul cui territorio insiste la maggior portata di derivazione d'acqua in concessione.
Secondo il comma 1-quater, le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche sono avviate entro due anni dall'entrata in vigore della legge regionale di cui al comma 1-ter. Il comma ha demandato a un decreto del Ministro della transizione ecologica, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, previa intesa con la Conferenza unificata, l’individuazione delle modalità e procedure di assegnazione applicabili nell'ipotesi di mancato rispetto del termine di avvio delle procedure da parte della regione interessata, delle procedure di cui al primo periodo. L'adozione del decreto, prima prevista entro il 31 dicembre 2021, è stata prorogata al 31 luglio 2022 dall'articolo 125-bis del decreto-legge cd. “Cura Italia”.
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti procede in via sostitutiva all'assegnazione delle concessioni, prevedendo che il 10% dell'importo dei canoni concessori resti acquisito al patrimonio statale. Restano in ogni caso ferme le competenze statali previste a legislazione vigente.
Ai sensi del comma 1-quinquies, i concessionari di grandi derivazioni idroelettriche sono tenuti a corrispondere semestralmente alle regioni un canone, determinato con le singole leggi regionali, sentita l'ARERA, articolato in una componente fissa, legata alla potenza nominale media di concessione, e in una componente variabile, calcolata come percentuale dei ricavi normalizzati, sulla base del rapporto fra la produzione dell'impianto, al netto dell'energia fornita alla regione, ed il prezzo zonale dell'energia elettrica. Il compenso unitario varia proporzionalmente alle variazioni, non inferiori al 5 per cento, dell'indice ISTAT relativo al prezzo industriale per la produzione, il trasporto e la distribuzione dell'energia elettrica.
Nelle concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, le regioni possono disporre con legge l'obbligo per i concessionari di fornire annualmente e gratuitamente alle stesse regioni, 220 kWh per ogni kW di potenza nominale media di concessione, per almeno il 50% destinata a servizi pubblici e categorie di utenti dei territori provinciali interessati dalle derivazioni.
Il comma 1-sexies dispone che per le concessioni di grandi derivazioni idroelettriche che prevedono un termine di scadenza anteriore al 31 luglio 2024 (termine così prorogato, in luogo del 31 dicembre 2023, dal decreto-legge “Cura Italia”), ivi incluse le concessioni già scadute, le regioni che non abbiano già provveduto, disciplinano con legge, comunque non oltre il 31 ottobre 2020 (in luogo del 31 marzo 2020), le modalità, le condizioni e la quantificazione dei corrispettivi aggiuntivi e gli eventuali altri oneri conseguenti, a carico del concessionario uscente, per la prosecuzione, per conto delle regioni stesse, dell'esercizio delle derivazioni, delle opere e degli impianti oltre la scadenza della concessione e per il tempo necessario al completamento delle procedure di assegnazione e comunque non oltre il 31 luglio 2024 (in luogo del 31 dicembre 2023).
Per il comma 1-septies, fino all'assegnazione della concessione, il concessionario scaduto è tenuto a fornire - su richiesta della regione - energia nella misura e con le modalità previste dal comma 1-quinquies e a riversare alla regione un canone aggiuntivo, rispetto al canone demaniale, da corrispondere per l'esercizio degli impianti nelle more dell'assegnazione; tale canone aggiuntivo è destinato per un importo non inferiore al 60% alle Province il cui territorio è interessato dalle derivazioni.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 155/2020 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del decreto-legge n. 135/2018 nella parte in cui destina almeno il 60 per cento del canone così determinato alle province e alle città metropolitane il cui territorio è interessato dalle derivazioni.
La determinazione del valore minimo della componente fissa del canone e del valore minimo del canone aggiuntivo è rimessa ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentita l'ARERA e previo parere della Conferenza Stato-Regioni. Nelle more dell'adozione del decreto ministeriale (che avrebbe dovuto essere adottato entro il 12 agosto 2019) le regioni possono determinare l'importo dei canoni in misura non inferiore a € 30 per la componente fissa del canone e a € 20 per il canone aggiuntivo per ogni kW di potenza nominale media di concessione per ogni annualità.
ARERA, con deliberazione del 26 novembre 2019 (Delib. n. 490/2019/I/EEL), ha adottato delle Indicazioni preliminari propedeutiche al rilascio del parere alle regioni sugli schemi di legge relativi alla definizione dei canoni da applicare ai concessionari. In quella sede, l'Autorità ha precisato che il parere che da essa verrà rilasciato sarà limitato alla definizione della componente variabile del canone e che le nuove funzioni consultive attribuite all'Autorità saranno esercitate in due fasi: a) una ex ante, con l'enunciazione di criteri generali di valutazione (cd. linee guida) non vincolanti; b) una ex post, di espressione del parere, non vincolante, su ciascuno schema di legge regionale.
Il comma 1-octies fa salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano.
Per quanto riguarda le province autonome di Trento e Bolzano, le leggi di bilancio 2018 (l. n. 205/2017, art. 1, commi da 832 a 834) e 2020 (l. n. 160/2019, art. 1, commi 76 e 77) hanno modificato le disposizioni in materia di concessioni di grande derivazione a scopo idroelettrico nei territori delle province autonome di Bolzano e di Trento, dettate dall'articolo 13 dello Statuto Speciale per il Trentino Alto Adige (D.P.R. n. 670/1972). Alla scadenza delle concessioni, si prevede il trasferimento in proprietà alle province delle opere in stato di regolare funzionamento.
Nel dettaglio, l'articolo 13 dello Statuto, come sostituito dalla legge di bilancio 2018, dispone che le province disciplinino, con legge, le modalità e le procedure di assegnazione delle concessioni idroelettriche, stabilendo in particolare norme per: lo svolgimento e i termini di indizione delle gare, i criteri di ammissione e di aggiudicazione, i requisiti finanziari, organizzativi e tecnici dei partecipanti.
Alla legge provinciale è anche rimesso di disciplinare:
- la durata delle concessioni, i criteri per la determinazione dei canoni di concessione per l'utilizzo e la valorizzazione del demanio idrico e dei beni patrimoniali costituiti dagli impianti afferenti le grandi derivazioni idroelettriche, i parametri di sviluppo degli impianti;
- le modalità di valutazione degli aspetti paesaggistici e di impatto ambientale, determinando le conseguenti misure di compensazione ambientale e territoriale, anche a carattere finanziario.
Alla scadenza delle concessioni, le opere di raccolta, di adduzione, di regolazione, le condotte forzate e i canali di scarico (dunque le cd. “opere bagnate”) in stato di regolare funzionamento, passano senza compenso in proprietà delle province per il rispettivo territorio. Al concessionario che abbia eseguito, a proprie spese e nel periodo di validità della concessione, investimenti sui beni, purché previsti dall'atto di concessione o comunque autorizzati dal concedente, spetta, alla scadenza, o nei casi di decadenza o rinuncia, un indennizzo pari al valore della parte di bene non ammortizzato, secondo quanto previsto dalla legge provinciale.
Per i beni diversi da quelli sopra indicati si applica la disciplina stabilita per le opere cd. “asciutte” (art. 25, secondo comma e ss., RD.1775/1933, dunque si corrisponde un prezzo uguale al valore di stima del materiale in opera) intendendosi sostituiti gli organi statali ivi indicati con i corrispondenti organi della provincia, nonché un’indennità (stabilita dall'art. 1-bis, comma 13, del D.P.R. n. 235/1977).
Quanto agli obblighi dei concessionari, questi devono fornire annualmente e gratuitamente alle province autonome, per servizi pubblici e categorie di utenti da determinare con legge provinciale, 220 kWh per ogni kW di potenza nominale media di concessione, da consegnare alle province medesime con modalità definite dalle stesse.
Le province stabiliscono poi con propria legge i criteri per la determinazione del prezzo dell'energia di cui sopra, ceduta alle imprese distributrici, nonché i criteri per le tariffe di utenza, nel rispetto dell'ordinamento dell'Unione europea.
I concessionari corrispondono poi semestralmente alle province un importo determinato dalla legge provinciale, tenendo conto della media del prezzo unico nazionale dell'energia elettrica (PUN), nonché della media delle voci di spesa legate alla fornitura della medesima energia elettrica per ogni kWh di energia da esse non ritirata. Il compenso unitario prima indicato varia proporzionalmente alle variazioni, non inferiori al 5 per cento, dell'indice ISTAT relativo al prezzo industriale per la produzione, il trasporto e la distribuzione dell'energia elettrica.
Infine, l’articolo 13 dispone la proroga di diritto delle concessioni con un termine di scadenza anteriore al 31 dicembre 2023, o a data successiva individuata dallo Stato per analoghe concessioni di grandi derivazioni idroelettriche situate nel territorio nazionale. La proroga si applica anche se le concessioni sono scadute, per il periodo utile al completamento delle procedure di evidenza pubblica e comunque non oltre la predetta. Le province e i concessionari possono, in tal caso, concordare eventuali modificazioni degli oneri e delle obbligazioni previsti dalle concessioni in corso, secondo quanto stabilito dalla legge provinciale.
Per quanto riguarda il riferimento agli interventi di miglioramento della sicurezza delle infrastrutture esistenti e degli interventi di recupero della capacità di invaso, si ricorda che al Senato è stata espunta la previsione relativa a "un'idonea valorizzazione tecnica" di tali interventi. Viene invece ribadita la previsione di un congruo indennizzo a carico del concessionario subentrante. Per quanto riguarda la quantificazione dello stesso, si fa rinvio al comma 1, secondo periodo dell'articolo 12, sulla base di una modifica introdotta al Senato.
Tale disposizione prevede che, in caso di esecuzione da parte del concessionario, a proprie spese e nel periodo di validità della concessione, di investimenti sui beni di cui al primo periodo (opere di raccolta, di regolazione e di derivazione, principali e accessorie, canali adduttori dell'acqua, condotte forzate e canali di scarico), purché previsti dall'atto di concessione o comunque autorizzati dal concedente, alla riassegnazione della concessione, è riconosciuto al concessionario uscente, per la parte di bene non ammortizzato, un indennizzo pari al valore non ammortizzato, fatti salvi gli oneri di straordinaria manutenzione sostenuti dallo Stato nei casi previsti dall'articolo 26 del R.D. 1775/1933.
Si conferma che nella determinazione dell'indennizzo si deve tener conto dell'ammortamento degli investimenti effettuati dal concessionario uscente, definendo la durata della concessione, nel rispetto dei limiti previsti dalla normativa vigente. Il Senato ha inserito la specificazione per cui i criteri economici sulla base dei quali va determinato l'indennizzo devono essere basati sull'entità degli investimenti proposti, determinando le misure di compensazione ambientale e territoriale, anche a carattere finanziario, da destinare ai territori dei comuni interessati dalla presenza delle opere e della derivazione compresi tra i punti di presa e di restituzione delle acque garantendo l'equilibrio economico finanziario del progetto di concessione, nonché i livelli minimi in termini di miglioramento e risanamento ambientale del bacino idrografico.
Al fine di promuovere l'innovazione tecnologica e la sostenibilità delle infrastrutture di grande derivazione idroelettrica, l'affidamento delle relative concessioni può avvenire anche facendo ricorso alle procedure previste dall'articolo 183 del codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50/2016) in relazione alla finanza di progetto.
Il comma dell'articolo 183 prevede che per la realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità, ivi inclusi quelli relativi alle strutture dedicate alla nautica da diporto, inseriti negli strumenti di programmazione formalmente approvati dall'amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa vigente, ivi inclusi i Piani dei porti, finanziabili in tutto o in parte con capitali privati, le amministrazioni aggiudicatrici possono, in alternativa all'affidamento mediante concessione ai sensi della parte III del codice dei contratti pubblici, affidare una concessione ponendo a base di gara il progetto di fattibilità, mediante pubblicazione di un bando finalizzato alla presentazione di offerte che contemplino l'utilizzo di risorse totalmente o parzialmente a carico dei soggetti proponenti. In ogni caso per le infrastrutture afferenti le opere in linea, è necessario che le relative proposte siano ricomprese negli strumenti di programmazione approvati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
La lettera b) sostituisce il comma 1-quater dell'articolo 12 del d.lgs. 79/1999.
Rispetto al testo in vigore:
§ con una modifica approvata dal Senato, viene fissato al 31 dicembre 2023 (in luogo dell'iniziale riferimento alla data del 31 dicembre 2022) il termine finale entro il quale devono essere avviate le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche;
§ è introdotta una specifica disciplina secondo cui le regioni comunicano tempestivamente al MIMS l'avvio e gli esiti delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche. Decorso il termine per l'avvio delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche e comunque in caso di mancata adozione delle leggi regionali entro i termini prescritti dal comma 1-ter, il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili propone l'esercizio del potere sostitutivo secondo la relativa disciplina dettata dall'articolo 8 della legge n. 131/2003, ai fini dell'avvio, sulla base della disciplina legislativa regionale di cui al comma 1-ter, ove adottata, e di quanto previsto dal nuovo comma 1-ter.1, delle procedure di assegnazione delle concessioni.
La lettera c) sostituisce il comma 1-sexies dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 79/1999.
Rispetto al testo vigente, la formulazione iniziale dettava una disciplina parzialmente diversa per le concessioni di grandi derivazioni idroelettriche che prevedono un termine di scadenza anteriore al 31 dicembre 2023 (prorogato al 31 luglio 2024 dall'articolo 125-bis, comma 3, lettera b), del D.L. n. 18/2020 - L. n. 27/2020), ivi incluse quelle già scadute.
Con una modifica approvata dal Senato, il limite temporale che rende operante la disciplina speciale è stato fissato alla data del 31 dicembre 2024.
Inoltre, il Senato ha espunto la previsione originaria relativa alla rinegoziazione dei rapporti concessori da parte delle regioni, alle quali invece si consente la prosecuzione dell'esercizio della derivazione nonché la conduzione delle opere e dei beni passati in proprietà delle regioni ai sensi del comma 1 dell'articolo 12, in favore del concessionario uscente per il tempo strettamente necessario al completamento delle procedure di assegnazione e comunque non oltre tre anni (in luogo del termine di due anni inizialmente previsto) dalla data di entrata in vigore dell'articolo in esame.
Ai fini della prosecuzione dell'esercizio, il Senato ha inserito la previsione in base alla quale le regioni devono stabilire l'ammontare del corrispettivo che i concessionari uscenti debbono versare all'amministrazione regionale in conseguenza dell'utilizzo dei beni e delle opere affidate in concessione, o che lo erano in caso di concessioni scadute. Si conferma quindi nella sostanza il disposto, già previsto nell'iniziale testo governativo, per il quale si deve tener conto degli eventuali oneri aggiuntivi da porre a carico del concessionario uscente, nonché del vantaggio competitivo derivante dalla prosecuzione dell'esercizio degli impianti oltre il termine di scadenza.
Il Senato ha integralmente sostituito l'originario comma 2 dell'articolo in esame. Il nuovo comma 2 novella l'articolo 13, comma 6, dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (DPR n. 670/1972), già modificato dall'articolo 1, comma 77, della legge n. 160/2019 (legge di bilancio per il 2020) e dall'articolo 9-quater, comma 1, D.L. n. 17/2022 (L. n. 34/2022).
Per effetto della novella, le concessioni per grandi derivazioni a scopo idroelettrico accordate nelle province autonome di Trento e di Bolzano, in forza di disposizioni normative o amministrative che prevedono un termine di scadenza anteriore al 31 dicembre 2024 (in luogo della data, attualmente prevista, del 31 dicembre 2023), o a data successiva eventualmente individuata dallo Stato per analoghe concessioni di grandi derivazioni idroelettriche situate nel territorio nazionale, sono prorogate di diritto, ancorché scadute, per il periodo utile al completamento delle procedure di evidenza pubblica e comunque non oltre la predetta data ed esercitate fino a tale data alle condizioni stabilite dalle norme provinciali e dal disciplinare di concessione vigenti alla data della loro scadenza.
Nel testo originario, il comma 2, ai fini dell'avvio delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche ai sensi dell'articolo 12, comma 1-ter, del d.lgs. n. 79/1999, prevedeva l'applicazione anche delle disposizioni di cui al comma 1-ter.1 dello stesso articolo 12 (introdotto dal comma 1, lettera a), dell'articolo in esame), qualificando dette disposizioni come norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.
Perché vi fosse l'obbligo di applicare il nuovo comma 1-ter.1 era richiesto:
- che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, alla data di entrata in vigore della legge in esame, avessero già adottato una disciplina legislativa per l'avvio delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche;
- non avessero ancora avviato dette procedure.
Le disposizioni legislative statali qualificate come " norme fondamentali di riforma economico-sociale" costituiscono un vincolo per le autonomie speciali nell'esercizio della loro potestà legislativa primaria. Con particolare riferimento all’assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, la Corte costituzionale nella sentenza n. 28 del 2014 ha sottolineato che «da una interpretazione sistematica delle norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige sulla disciplina delle grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico, dunque, discende che in tale materia, da un lato, spetta allo Stato intervenire in via esclusiva sugli aspetti riconducibili agli ambiti di cui all’art. 117, secondo comma, Cost. (come per le procedure di assegnazione delle concessioni, che rientrano nella tutela della concorrenza: sentenza n. 1 del 2008), nonché stabilire i principi fondamentali (come per la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia: sentenza 383 del 2005); dall’altro, compete alle Province autonome regolare tutti gli altri profili, quali, ad esempio, l’uso delle acque, la trasparenza delle concessioni e la disciplina delle funzioni amministrative» (punto 4.1 considerato in diritto).
«Queste disposizioni [i commi 4, 5, 6, 7 e 8 dell’art. 37 del D.L. n. 83 del 2012] mirano ad agevolare l’accesso degli operatori economici al mercato dell’energia secondo condizioni uniformi sul territorio nazionale, regolando le relative procedure di evidenza pubblica con riguardo alla tempistica delle gare e al contenuto dei relativi bandi (commi 4, 5, 6 e 8), nonché all’onerosità delle concessioni messe a gara (comma 7). Tali norme – al pari di quelle che disciplinano «l’espletamento della gara ad evidenza pubblica» per i casi di scadenza, decadenza, rinuncia o revoca di concessione di grande derivazione d’acqua per uso idroelettrico (sentenza n. 1 del 2008) – rientrano nella materia «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.): a detto ambito va ricondotta l’intera disciplina delle procedure di gara pubblica (sentenze n. 46 e n. 28 del 2013, n. 339 del 2011 e n 283 del 2009), in quanto quest’ultima costituisce uno strumento indispensabile per tutelare e promuovere la concorrenza in modo uniforme sull’intero territorio nazionale (sentenze n. 339 del 2011, n. 1 del 2008 e n. 401 del 2007)» (punto 4.2 considerato in diritto).
Il Senato ha infine aggiunto il comma 3, in base al quale le disposizioni recate dal nuovo comma 2 sono approvate ai sensi e per gli effetti dell'articolo 104 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (DPR n. 670/1972).
In base al richiamato articolo 104, le norme recate dall'articolo 13, unitamente a quelle contenute nel titolo VI (Finanza della regione e delle province), possono essere modificate con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province.
Si ricorda che, per le modificazioni delle restanti disposizioni, ai sensi dell'articolo 103 del citato DPR, si applica il procedimento stabilito dalla Costituzione per le leggi costituzionali.
Articolo 8
(Delega in materia di servizi pubblici locali)
L’articolo 8, modificato dal Senato, reca la delega al Governo per il riordino della materia dei servizi pubblici locali, da esercitare anche tramite l’adozione di un apposito testo unico (comma 1). Nell'esercizio della delega, il Governo è tenuto ad attenersi a determinati principi e ai criteri direttivi (comma 2). La delega è esercitata entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Nella relativa procedura di adozione, si prevede, sugli schemi di decreto legislativo, il parere o l'intesa in sede di Conferenza unificata a seconda degli ambiti materiali contenuti nel provvedimento, nonché - a seguito di modifiche approvate dal Senato - il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, oltre che quello dell'ARERA (comma 3).
Preliminarmente si osserva che la ratio dell'intervento normativo, nonché i principi e i criteri direttivi (infra) paiono porsi in linea con talune indicazioni contenute nella Relazione annuale sull'attività svolta dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato del 31 marzo 2021, che sollecita alcuni interventi sulla disciplina vigente in materia[11].
Nel segnalare l'esigenza di puntare ad un sistema efficiente di erogazione di servizi pubblici locali anche al fine di far sì che il settore costituisca un fattore di spinta della produttività e degli investimenti, nonché, più in generale, per la crescita del prodotto pro capite, la Relazione richiama la centralità "della chiarezza delle regole" rilevando che "il quadro normativo in materia di servizi pubblici locali è disaggregato e complesso, e [che] si è stratificato nel tempo a causa di una iperproduzione legislativa, con interventi non omogenei tra loro - molti dei quali realizzati attraverso la decretazione d’urgenza - dovuti anche alla necessità di armonizzare la normativa nazionale con i principi dell’ordinamento UE, di un’abrogazione referendaria, nonché di una consistente attività ermeneutica da parte della giurisprudenza, anche costituzionale". Partendo da tali considerazioni, l'Autorità rileva l’esigenza di adottare un testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale, che disciplini in maniera organica le modalità di affidamento di tutti i servizi pubblici locali e la relativa gestione. Oltre al tema di una normazione univoca, nella Relazione si segnala un inadeguato livello concorrenziale nel settore in esame, in termini di concorrenza sia "nel mercato", sia "per il mercato". Sussistono pertanto, ad avviso dell'Autorità, margini per migliorare qualità e produttività dei servizi pubblici locali attraverso maggiore concorrenza.
Sul punto, la Corte dei Conti, nella propria Relazione sugli organismi partecipati dagli enti territoriali e sanitari di fine 2019 - richiamata anche dalla stessa Autorità garante - dà conto di una netta prevalenza di affidamenti in house: su un totale di 14.626 affidamenti, quelli assegnati a conclusione di gare con impresa terza risultano pari a 878 (pari a circa il 6 per cento). Anche gli affidamenti a società mista, con gara a doppio oggetto, sono in numero contenuto (pari a 178).
Il ricorso al mercato è spesso osteggiato - come rileva l'Autorità - dal controllo economico e politico che gli enti locali tendono a conservare sui servizi delle proprie partecipate, da fenomeni di "cattura del regolatore", nonché dal timore delle implicazioni sociali che potrebbero conseguire ricorrendo al mercato. L'inefficienza da un punto di vista economico di un ricorso pervasivo all'affidamento c.d. in house providing viene spiegato dall'Autorità con la circostanza che esso si "realizza spesso a favore di società prive dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla normativa ovvero in assenza di adeguata motivazione circa la convenienza della forma di affidamento prescelta", mentre risulterebbe necessario fondare tale scelta "su valutazioni di carattere sostanziale ed economico, svolgendo un'effettiva indagine comparativa per stabilire l’opportunità di ricorrere alla forma di affidamento in-house, e rendendo trasparente e tempestivo il processo d’individuazione del modello più efficiente ed economico alla luce di una valutazione di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti".
Il perseguimento degli obiettivi di efficacia ed efficienza dovrebbe riguardare anche il settore delle concessioni, e in proposito l'Autorità rileva che anche in tale ambito il ricorso al mercato è spesso ostacolato dai timori circa l’impatto sociale che gli affidamenti competitivi comporterebbero. Tale timore potrebbe essere fugato introducendo disposizioni che riconoscano forme di indennizzo a tutela degli investimenti effettuati dai concessionari uscenti. Come rileva ancora l'Autorità, negli "ultimi anni, piuttosto che ampliare le opportunità di ingresso di nuovi operatori, una serie di interventi ha mantenuto ingessata la struttura di molti mercati, con profili di incompatibilità con il diritto europeo".
Il comma 1, nello specifico, delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, uno o più decreti legislativi (nel testo originario si faceva riferimento ad un solo decreto legislativo) di riordino della materia dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, anche tramite l'adozione di un apposito testo unico.
Il comma 2 reca un elenco di principi e criteri direttivi che presentano talune affinità con i criteri e i principi di cui all'articolo 19 della legge n.124 del 2015 di delega legislativa per il riordino dei servizi pubblici locali, non esercitata entro i prescritti termini (v.infra).
Nel corso della XVII Legislatura era stata conferita una delega al Governo per il riordino dei servizi pubblici locali di interesse economico generale, che non venne tuttavia esercitata nei prescritti termini. La legge 7 agosto 2015, n. 124 ("Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche"), ai sensi del combinato disposto degli articoli 16 e 19, aveva infatti conferito siffatta delega. Il Governo, in attuazione di tale delega, presentò entro i termini uno schema di decreto legislativo (Atto del Governo n.308[12]) recante il "Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale". Tale provvedimento mirava - come rilevato dal Governo nella relazione illustrativa - a dettare una “disciplina generale organica” del settore dei servizi pubblici locali, attraverso un riordino dell’attuale quadro normativo che è “il risultato di una serie di interventi disorganici che hanno oscillato tra la promozione delle forme pubbliche di gestione e gli incentivi più o meno marcati all’affidamento a terzi mediante gara”[13].
Su tale provvedimento si registrò un orientamento favorevole delle Commissioni parlamentari coinvolte: in Senato, la Commissione affari costituzionali e la Commissione bilancio espressero, rispettivamente, un parere favorevole con condizioni e osservazioni e un parere non ostativo. Alla Camera, la Commissione affari costituzionali e la Commissione bilancio espressero, rispettivamente, un parere favorevole con condizioni ed osservazioni e un parere favorevole.
Nonostante ciò il Governo non ritenne di approvare in via definitiva il decreto legislativo essendo nel frattempo intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n.251 del 2016[14].
Il primo dei principi e criteri direttivi contenuti nel comma 2 in esame consiste nell'invarianza degli oneri per la finanza pubblica (comma 2, alinea). Si veda al riguardo anche il comma 4 (v. infra).
A seguire sono elencati (all'articolo 2, dalla lettera a) alla lettera z)) i seguenti principi e criteri, che si ritiene opportuno raggruppare nei seguenti ambiti:
· Definizione delle attività di interesse generale
Sotto tale profilo si segnala quanto segue.
- il comma 2, lettera a) reca l'individuazione delle attività di interesse generale il cui svolgimento e? necessario al fine di assicurare la soddisfazione delle esigenze delle comunità locali, in condizioni di accessibilità fisica ed economica, di continuità, universalità e non discriminazione, e dei migliori livelli di qualità e sicurezza, cosi? da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale e territoriale. Al riguardo, si specifica che la disciplina viene esercitata nell’ambito della competenza esclusiva statale di cui all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione.
Nello specifico, la norma: i) richiama l'art.117, secondo comma, lettera p), relativa (fra l'altro) alla competenza legislativa dello Stato per la definizione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; ii) specifica che tale competenza va esercitata nel rispetto della "tutela della concorrenza" e dei principi e dei criteri dettati dalla normativa dell'Unione europea e dalla legge statale. In proposito, si rammenta che la materia "tutela della concorrenza" è fra quelle attribuite, ai sensi della lettera e) del medesimo articolo 117, secondo comma, Cost., alla competenza esclusiva dello Stato.
Si segnala che le disposizioni riferite all'ambito materiale in esame sono fra quelle per le quali è prevista, nell'ambito della procedura di approvazione del decreto delegato, la previa intesa in sede Conferenza unificata (unitamente a quelle di cui alla lettere b) c), d), e), l), m), n), o) , q), r), s),t), e v));
- il comma 2, lettera b), introdotto dal Senato, individua fra i principi e criteri direttivi l'adeguata considerazione delle differenze tra i servizi di interesse economico generale a rete (di cui all'articolo 3-bis, comma 6-bis, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138[15]) e gli altri servizi pubblici locali di rilevanza economica. In tale attività il Governo è chiamato al rispetto del principio di proporzionalità e a tener conto dell'industrializzazione dei singoli settori, "anche ai fini della definizione della disciplina relativa alla gestione e all'organizzazione del servizio idonea ad assicurarne la qualità e l'efficienza e della scelta tra autoproduzione e ricorso al mercato";
· Misure dirette a favorire il ricorso al mercato
In tale ambito rilevano:
- la definizione dei criteri per l’istituzione di regimi speciali o esclusivi. Nello specifico, si chiede che nella delega si disciplini tale ambito tenendo conto dei principi di adeguatezza e proporzionalità e in conformità alla normativa europea. L'obiettivo è il superamento dei regimi di esclusiva non conformi con tali principi e, comunque, non indispensabili per assicurare la qualità e l’efficienza del servizio. A seguito di una modifica introdotta dal Senato, ai fini della definizione dei richiamati criteri, l'Esecutivo è chiamato a tenere in considerazione le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento di determinati servizi pubblici (comma 2, lettera d));
- la previsione che la scelta del modello in house sia assunta nel rispetto di un preciso obbligo motivazionale. Tale principio si inserisce in un quadro normativo europeo che, come noto, riconosce il diritto delle autorità nazionali di decidere in ordine alle modalità di gestione dei servizi di interesse pubblico ritenute più opportune per l'esecuzione di lavori e la fornitura di servizi e lo declina nel senso di privilegiare il ricorso al mercato. Tale impostazione, che mira a rendere più rigorose le procedure per il ricorso all'in house providing, come si dirà meglio a seguire, ha superato il vaglio di costituzionalità da parte della Corte costituzionale (si veda la sentenza n.100 del 2020 relativa all'art.192 del Codice degli appalti).
Sotto tale profilo, rileva l'individuazione, fra i criteri e principi direttivi di uno specifico obbligo motivazionale, in capo all'ente locale, nel caso in cui opti per il modello dell’autoproduzione in luogo del ricorso al mercato (comma 2, lettera g)). In particolare, fatto salvo il divieto di artificioso frazionamento delle prestazioni, nella delega occorrerà prevedere, per gli affidamenti di importo superiore alle soglie di rilevanza comunitaria (di cui all’articolo 35[16] del Codice dei contratti pubblici - decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), una "motivazione qualificata", da parte dell’ente locale, per la scelta o la conferma del modello dell’autoproduzione ai fini di una efficiente gestione del servizio. Tale motivazione, che nel testo originario avrebbe dovuto essere "anticipata", deve contenere - a seguito delle modifiche introdotte dal Senato - le ragioni che, "sul piano economico, sociale, con riguardo agli investimenti e alla qualità del servizio, ai costi dei servizi per gli utenti, agli obiettivi di universalità, socialità, tutela ambientale e accessibilità dei servizi," giustificano il mancato ricorso al mercato. A tal riguardo, la scelta di una gestione in house dovrà essere fondata su argomentazioni che tengano conto dei risultati conseguiti nelle pregresse gestioni in autoproduzione.
Tale previsione è già contenuta nell'articolo 192 del Codice dei contratti già impone un onere rafforzato per legittimare il ricorso all'in house providing.
All'articolo 192, comma 2, si dispone infatti che ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche.
Si coglie l'occasione per segnalare che la Consulta (v. sentenza 100 del 2020), nel dichiarare l'infondatezza di una questione di legittimità promossa nei confronti di tale disposizione, segnala che il maggior rigore contenuto nell'art.192 non si pone in contrasto con la disciplina europea che, essendo diretta a favorire l'assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile da parte degli Stati membri. Nella stessa direzione il Consiglio di Stato (v. sent. 2102 del 12 marzo 2021) sottolinea come la motivazione rafforzata richiesta per l'autoproduzione "risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa e della tutela della concorrenza".
La disposizione in esame parrebbe porsi in continuità con l'art.5 del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al D.lgs. n.175 del 2016, che impone oneri di motivazione nel caso in cui l'ente intenda costituire una società partecipata.
Nello specifico, l'atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica - anche nei casi di costituzione di una società mista pubblico-privata o di acquisto di partecipazioni, anche indirette, da parte di amministrazioni pubbliche in società già costituite - deve essere analiticamente motivato con riferimento alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali (di cui all'articolo 4 del medesimo provvedimento), evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato. La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con i princìpi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa.
Si segnala che, rispetto al testo presentato dal Governo, nel testo licenziato dal Senato è venuta meno la previsione (recata al comma 2, lettera g)) che poneva l'obbligo in capo all'ente locale che ritenesse di optare per il richiamato affidamento in house di trasmettere tempestivamente tale decisione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
- la previsione che nell'assolvimento dell’obbligo di procedere alla revisione periodica delle partecipazioni pubbliche (di cui all’articolo 20 del decreto legislativo n. 175 del 2016), si tenga conto delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificano il mantenimento dell’autoproduzione anche in relazione ai risultati conseguiti nella gestione (comma 2, lettera i)).
Al riguardo, si rammenta che il citato testo unico in materia di società a partecipazione pubblica prevede, all'articolo 20, disposizioni in materia di razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche. Nello specifico, le amministrazioni pubbliche sono chiamate ad effettuare, con cadenza annuale, un'analisi dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove ricorrano i presupposti di legge (v. art. 20, comma 2), un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione. Ai sensi del comma 2 si specifica che i piani di razionalizzazione (da corredare con relazione tecnica che indichi modalità e tempi di attuazione dei medesimi piani) sono adottati qualora si ricada in una delle seguenti condizioni:
a) partecipazioni societarie che non rientrino negli ambiti di attività che ai sensi (dell'articolo 4) del testo unico in materia di società a partecipazione giustifichino la costituzione di società pubbliche, nonché l'acquisto o il mantenimento di partecipazioni societarie[17];
b) società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;
c) partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali;
d) partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro;
e) partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d'interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti;
f) necessità di contenimento dei costi di funzionamento;
g) necessità di aggregazione di società aventi ad oggetto le attività consentite (ai sensi del citato articolo 4 del testo unico).
Tenuto conto dei contenuti dell'articolo 20 del citato testo unico, la disposizione in esame parrebbe imporre all'ente locale l'obbligo di dar conto, in sede di definizione dell'analisi annuale dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, anche delle ragioni che giustificano il mantenimento dell’autoproduzione anche in relazione ai risultati conseguiti nella gestione. Non pare invece che tale disposizione sia idonea ad incidere, in funzione integrativa, sulle condizioni (elencate, come illustrato, all'art.20, comma 2) al verificarsi delle quali l'ente è tenuto a razionalizzare, fondere o sopprimere tali società.
Qualora si ritenesse opportuno, di contro, incidere anche su tale aspetto, prevedendo cioè che l'ente locale sia tenuto alla razionalizzazione delle società dallo stesso partecipate per le quali non risulti conveniente il ricorso ad affidamenti in house, si valuti la possibilità di integrare la disposizione in commento;
- di sistemi di monitoraggio dei costi ai fini del mantenimento degli equilibri di finanza pubblica nonché, a seguito di un'integrazione apportata dal Senato, della qualità, dell'efficienza e dell'efficacia della gestione dei servizi pubblici locali. Rispetto al testo trasmesso dal Governo: è venuta meno la finalità, connessa ai sistemi di monitoraggio, della tutela della concorrenza; i sistemi di monitoraggio non sono più subordinati all’ipotesi di ricorso da parte dell’ente locale al modello dell’autoproduzione (comma 2, lettera h)).
La disposizione non precisa se l'istituzione di tale sistema di monitoraggio costituisca un obbligo in capo all'ente locale o se si preveda una forma di coinvolgimento di soggetti terzi, fra cui le autorità indipendenti.
Al riguardo, si valuti un approfondimento;
· Ambiti territoriali ottimali e incentivi alle gestioni aggregate
Si dispone, al riguardo, la definizione dei criteri per l’ottimale organizzazione territoriale dei servizi pubblici locali, con la specificazione che tale disciplina dovrà prevedere anche l’armonizzazione delle normative di settore. In tale ottica, tenuto conto che un ambito ottimale richiede una gestione aggregata a livello sovracomunale, almeno nelle realtà territoriali minori, fra i principi e criteri direttivi è presente anche la previsione di incentivi e meccanismi di premialità al fine di favorire l’aggregazione delle attività e delle gestioni dei servizi a livello locale (comma 2, lettera e));
· Razionalizzazione e armonizzazione delle normative vigenti
In tale ambito, si segnalano:
- la razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di affidamento e di gestione dei servizi pubblici, nonché la durata dei relativi rapporti contrattuali. Al riguardo, siffatta razionalizzazione è operata nel rispetto dei principi dell’ordinamento europeo e dei principi di proporzionalità e ragionevolezza (comma 2, lettera f));
- l'estensione anche al settore del trasporto pubblico locale della disciplina, applicabile ai servizi pubblici locali, relativa alla scelta della modalità di gestione del servizio e di affidamento dei contratti (comma 2, lettera m));
- la revisione delle discipline di settore, con particolare riferimento al settore dei rifiuti e alla gestione del servizio idrico, al fine di assicurarne l’armonizzazione e il coordinamento (comma 2, lettera n));
- il coordinamento della disciplina dei servizi pubblici locali con la normativa in materia di contratti pubblici e in materia di società "in" (rectius "a") partecipazione pubblica per gli affidamenti in auto-produzione (comma 2, lettera p)). Quanto alla disciplina in materia di contratti pubblici, essa è essenzialmente contenuta nel citato Codice degli appalti, di cui al d.lgs. n.50 del 2016; mentre quella sulle società a partecipazione pubblica è contenuta nel richiamato d.lgs. 175 del 2016;
· Riordino delle competenze
Tale finalità è perseguita tramite i richiami:
- alla razionalizzazione della ripartizione dei poteri di regolazione e di controllo fra autorità indipendenti e livelli di governo locale. In proposito, si specifica, a seguito di una modifica introdotta dal Senato, che rimangono ferme le competenze spettanti alle predette autorità indipendenti in materia di regolazione economico-tariffaria e della qualità (comma 2, lettera c));
- alla previsione della separazione, a livello locale, tra le funzioni di regolazione dei servizi e le funzioni di diretta gestione degli stessi e - con una modifica introdotta dal Senato - e al rafforzamento dei poteri sanzionatori connessi alle attività di regolazione (comma 2, lettera c));
- alla razionalizzazione della disciplina e dei criteri per la definizione dei regimi tariffari. Tale intervento dovrà mirare anche ad assicurare una più razionale distribuzione delle competenze tra autorità di indipendenti ed enti locali (comma 2, lettera r)).
· Rafforzamento della trasparenza
Si premette che tale obiettivo è perseguito indirettamente anche nell'ambito di alcuni criteri e principi direttivi già richiamati che mirano ad altre finalità. Si pensi, ad esempio, alla previsione dell'obbligo motivazionale, posto in capo all'ente locale, nel caso in cui quest'ultimo opti per il modello dell’autoproduzione in luogo del ricorso al mercato (comma 2, lettera g)). Quanto ai principi e criteri direttivi che mirano più direttamente a garantire la trasparenza, si segnala quanto segue:
- il rafforzamento della trasparenza e della comprensibilità degli atti e dei dati concernenti la scelta del regime di gestione, ivi compreso l'affidamento in house, la regolazione negoziale del rapporto tramite contratti di servizio, il concreto andamento della gestione dei servizi pubblici locali dal punto di vista sia economico sia della qualità dei servizi e del rispetto degli obblighi di servizio pubblico. In proposito, si prevede - a seguito di modifiche accolte dal Senato - che tale rafforzamento avvenga tramite la banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all'articolo 29, comma 2, del d.lgs. n.50 del 2016, resa interoperabile con le banche dati nazionali già costituite, e la piattaforma unica della trasparenza, ivi compreso Osservatorio nazionale sulle politiche del trasporto pubblico locale (di cui all'articolo 1, comma 300, della legge n. 244 del 2007) (comma 2, lettera u)).
Al riguardo si segnala che ai sensi dell'articolo 29, comma 2, del d.lgs. 50/2016, tutte le informazioni inerenti agli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione, alla scelta del contraente, all'aggiudicazione e all'esecuzione di lavori, servizi e forniture relativi all'affidamento sono gestite e trasmesse tempestivamente alla Banca Dati Nazionale dei Contratti pubblici dell'ANAC attraverso le piattaforme telematiche ad essa interconnesse.
Quanto al citato Osservatorio nazionale sulle politiche del trasporto pubblico locale, esso è stato istituito dall'articolo 1, comma 300, della legge n.244 del 2007, presso l'allora Ministero dei trasporti (oggi delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili). L'Osservatorio, cui partecipano i rappresentanti dei Ministeri competenti, delle regioni e degli enti locali, è affidato il compito di realizzare una banca dati e un sistema informativo pubblico correlati a quelli regionali e di assicurare la verifica dell'andamento del settore e del completamento del processo di riforma;
- la definizione di strumenti per la trasparenza dei contratti di servizio nonché introduzione di contratti di servizio tipo (comma 2, lettera v));
- l'individuazione delle modalità per assicurare talune forme di trasparenza dell'attività posta in essere dai soggetti affidatari. Al riguardo, nella normativa di delega, il Governo è chiamato a disciplinare le modalità con cui tali soggetti provvedono alla pubblicazione di dati dai quali si possa avere contezza: della qualità del servizio; del livello degli investimenti effettuati annualmente; della programmazione dei medesimi investimenti sino al termine dell’affidamento (comma 2, lettera s));
- il potenziamento del ruolo degli utenti, da perseguire mediante il loro coinvolgimento nella fase di definizione della qualità e della quantità del servizio, degli obiettivi e dei costi del servizio pubblico locale, nonché mediante il rafforzamento degli strumenti di tutela attivabili da parte loro. A tale ultimo riguardo si specifica la possibilità di prevedere meccanismi non giurisdizionali (comma 2, lettera t)).
In tema di trasparenza, giova peraltro segnalare che l'art.29 del d.lgs. n.50 del 2016 reca disposizioni sulla trasparenza in relazione (anche) agli affidamenti.
Il comma 1, nello specifico, dispone che tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle procedure per l'affidamento e l'esecuzione di appalti pubblici di servizi, forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici di progettazione, di concorsi di idee e di concessioni, compresi quelli tra enti nell'ambito del settore pubblico, alla composizione della commissione giudicatrice e ai curricula dei suoi componenti - ove non considerati riservati ovvero secretati - devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione "Amministrazione trasparente". Nella stessa sezione sono pubblicati anche i resoconti della gestione finanziaria dei contratti al termine della loro esecuzione.
· Rimozione di alcune cause che ostacolano gli affidamenti competitivi
Come segnalato nella richiamata Relazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, l'ingresso di nuovi operatori nel mercato e gli affidamenti competitivi possono essere ostacolati dal timore di ripercussioni sociali, sia di tipo occupazionale (con la perdita di posti di lavoro delle professionalità impegnate nella società precedente affidataria), sia di tipo equitativo nei casi in cui a fronte di investimenti effettuati nell'interesse pubblico da parte di concessionari uscenti non sia possibile assicurare loro forme di adeguato indennizzo.
A tal riguardo, si segnalano le disposizioni di cui al comma 2, lettere l) e q). Nello specifico:
- il Governo dovrà prevedere una disciplina che si faccia carico di valorizzare, nel rispetto del principio di proporzionalità, misure volte a tutelare l'occupazione di coloro che prestano la propria attività nel caso di affidamento del servizio a nuovi soggetti. In tal caso, la norma prevede il ricorso anche ad apposite clausole sociali (comma 2, lettera l)).
Tale previsione, risultante da modifiche introdotte dal Senato, si applica anche a tutela dei lavoratori delle società in house nel caso in cui l'ente locale, non rinnovando l'appalto nei confronti di tale società, opti per il ricorso al mercato per la gestione dei servizi pubblici locali.
Si segnala che quello della clausola sociale è un istituto - previsto nei bandi o negli inviti da parte della stazione appaltante - che mira alla salvaguardia dei livelli occupazionali e delle condizioni di lavoro dei lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario.
L'art. 50 del citato Codice degli appalti (di cui al d.lgs. n.50 del 2016) stabilisce che per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell'Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l'applicazione, da parte dell'aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore (di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81). I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell'importo totale del contratto.
I contorni dell'istituto sono stati delineati in via giurisprudenziale.
In proposito, è stato affermato (ex multis, Consiglio di Stato, n. 6148 del 12 settembre 2019) come la clausola non comporti “alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata, nonché alle medesime condizioni, il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria, ma solo che l’imprenditore subentrante salvaguardi i livelli retributivi dei lavoratori riassorbiti in modo adeguato e congruo”, sicché “l’obbligo di garantire ai lavoratori già impiegati le medesime condizioni contrattuali ed economiche non è assoluto né automatico”; in altra occasione (Consiglio di Stato, 16 gennaio 2020, n. 389) è stato precisato che sull’aggiudicatario non grava “l’obbligo di applicare ai lavoratori esattamente le stesse mansioni e qualifiche che avevano alle dipendenze del precedente datore di lavoro”;
- nell'ambito della revisione della disciplina dei regimi di gestione (nel corso dell'esame presso il Senato è stato soppresso il riferimento ai regimi di proprietà) delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, l'Esecutivo è chiamato ad assicurare, al contempo, un’adeguata tutela della proprietà pubblica e un’adeguata tutela del gestore uscente (comma 2, lettera q)). In proposito, la tutela nei confronti del gestore uscente parrebbe evocare l'esigenza di forme di indennizzo per gli investimenti eventualmente effettuati nell'interesse pubblico, sollecitata dalla stessa Autorità garante per la concorrenza e il mercato (v. supra);
· Razionalizzazione del rapporto tra la disciplina dei servizi pubblici locali e la disciplina per l’affidamento dei rapporti negoziali di partenariato regolati dal Codice del terzo settore
Al riguardo, il comma 2, lettera o) prevede che tale attività di razionalizzazione debba avvenire in conformità agli indirizzi della giurisprudenza costituzionale.
Si segnala che l'articolo 56 del Codice del terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, consente alle amministrazioni pubbliche di sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, iscritte (da almeno sei mesi) nel Registro unico nazionale del Terzo settore, convenzioni finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato. Dette convenzioni possono prevedere esclusivamente il rimborso a tali organizzazioni e associazioni delle spese effettivamente sostenute e documentate. L'individuazione delle organizzazioni e delle associazioni con cui stipulare la convenzione è compiuta nel rispetto dei principi di imparzialità, pubblicità, trasparenza, partecipazione e parità di trattamento, mediante procedure comparative riservate alle medesime. Le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale devono essere in possesso dei requisiti di moralità professionale, e dimostrare adeguata attitudine, da valutarsi in riferimento alla struttura, all'attività concretamente svolta, alle finalità perseguite, al numero degli aderenti, alle risorse a disposizione e alla capacità tecnica e professionale. Le convenzioni devono, fra l'altro, contenere disposizioni dirette a garantire l'esistenza delle condizioni necessarie a svolgere con continuità le attività oggetto della convenzione, nonché il rispetto dei diritti e della dignità degli utenti, e, ove previsti dalla normativa nazionale o regionale, degli standard organizzativi e strutturali di legge.
Si vedano altresì le linee guida sul rapporto tra Pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore adottate con D.M. 31 marzo 2021, n. 72.
Per quanto riguarda gli indirizzi della giurisprudenza costituzionale in materia, si segnala l'inquadramento dell'art. 118, quarto comma, Cost., in termini di valorizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale[18].
La Corte costituzionale, nello specifico, ha affermato che l'art.118 Cost. esplicita le implicazioni di sistema derivanti dal riconoscimento della «profonda socialità» che connota la persona umana (sentenza n. 228 del 2004) e della sua possibilità di realizzare una «azione positiva e responsabile» (sentenza n. 75 del 1992). La disposizione costituzionale intende superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e riconosce che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una «autonoma iniziativa dei cittadini» che, in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, risulta ancora oggi fortemente radicata nel tessuto comunitario del nostro Paese (sentenza n. 75 del 1992)[19].
Per quanto di particolare interesse in questa sede (nel silenzio della relazione illustrativa), la Corte costituzionale, nella sentenza n.131 del 2020, ha affermato che tra i soggetti pubblici e gli enti del terzo settore si instaura (in forza dell’art. 55 del Codice del terzo settore) "un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico;
Si segnala che durante l'esame presso il Senato è stata soppressa la disposizione (comma 2, lettera v)), ai sensi della quale, nell'esercizio della delega, il Governo era chiamato a prevedere una disciplina transitoria che individuasse termini e modalità per l’adeguamento degli affidamenti in essere ai criteri relativi alla scelta della modalità di gestione, al fine di garantire la tutela della concorrenza.
La medesima disposizione demandava all'Esecutivo la definizione di eventuali interventi sostitutivi ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione.
Il comma 3 definisce la procedura per l'adozione del decreto legislativo in esame.
Si premette che nel corso dell'esame presso il Senato è stato introdotto il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, in analogia a quanto era stato a suo tempo previsto nella richiamata delega di cui alla legge n.124 del 2015 in materia di servizi pubblici locali. Non è invece contemplato il parere (allora previsto) del Consiglio di Stato.
All'articolo 16, comma 4, L.124/2015 si dispone che i decreti legislativi (incluso quello sui servizi pubblici locali) sono adottati su proposta del Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con i Ministri interessati, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e del parere del Consiglio di Stato, che sono resi nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione di ciascuno schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo può comunque procedere. Lo schema di ciascun decreto legislativo è successivamente trasmesso alle Camere per l'espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari e della Commissione parlamentare per la semplificazione, che si pronunciano nel termine di sessanta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto legislativo può essere comunque adottato.
Nello specifico, la procedura delineata dal comma 3 in esame, prevede la previa intesa in sede di "Conferenza di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997" con riguardo alle disposizioni che danno attuazione ai criteri di delega di cui al comma 2, lettere a), b), c), d), e), l), m), n), o) , q), r), s),t), e v) del comma 2 (v.supra) e il parere "della Conferenza medesima" sulle disposizioni di cui al comma 2, lettere f), g), h), i), p) e u).
Si segnala che il citato articolo 8 dispone in ordine a due distinte conferenze: la Conferenza Stato-città e autonomie locali (commi 2 e 3) e la Conferenza unificata (commi 1 e 4).
Alla luce della giurisprudenza costituzionale (ex multis, v. sent. n.251 del 2016, v.infra), il soggetto coinvolto nella procedura di adozione del testo parrebbe dover essere la Conferenza unificata.
Si valuti l'opportunità di precisare quale sia l'organo chiamato ad esprimere l'intesa.
Con riferimento alla richiamata sentenza n.251 del 2016[20], si segnala che essa ha censurato talune disposizioni della legge n.124 del 2015, incluse quelle (che interessano in questa sede) in materia di servizi pubblici locali di interesse economico generale, in quanto lesive del principio di leale collaborazione, non soddisfatto dalla richiesta di parere nell'ambito del sistema delle Conferenze, in luogo del parere.
La Corte rileva un inscindibile intreccio fra competenze esclusive statali (con riferimento alla materia “tutela della concorrenza”, cui sono riconducibili, fra le altre, le disposizioni sulla soppressione dei regimi di esclusiva non conformi ai principi generali di concorrenza) e competenze regionali residuali (in materia di organizzazione amministrativa cui sono riconducibili, fra le altre, le disposizioni sulla soppressione dei regimi di esclusiva non indispensabili per assicurare la qualità e l’efficienza del servizio, nonché sugli ambiti territoriali ottimali). In presenza di tale intreccio, funzionale al progetto complessivo di riordino del settore, sarebbe stato necessario, ad avviso della Consulta, nel rispetto del principio di leale collaborazione, subordinare l’esercizio della delega alla concertazione con Regioni ed enti locali, attraverso lo strumento dell’intesa in sede di Conferenza unificata, non ritenendo sufficiente il previo parere (previsto dall’articolo 16, comma 4, della legge delega).
Ciò ha condotto la Corte costituzionale a censurare l’art. 19, lettere b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t) e u), nella parte in cui, in combinato disposto con l’art. 16, commi 1 e 4, prevede che il Governo adotti i relativi decreti legislativi attuativi previo parere, anziché previa intesa, in sede di Conferenza unificata.
Si noti che le disposizioni della legge n.124 appena richiamate, oggetto di censura costituzionale per la previsione di un parere e non dell'intesa in sede di Conferenza unificata, investono anche i seguenti ambiti, sostanzialmente contemplai anche nel comma 3 in esame: l'individuazione e allocazione dei poteri di regolazione e controllo tra i diversi livelli di governo e le autorità indipendenti (lettera n)), la distinzione tra le funzioni di regolazione e controllo e le funzioni di gestione dei servizi (lettera l)), la soppressione dei regimi di esclusiva (lettera b)), la revisione della disciplina dei regimi di proprietà e gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro (lettera m)), l'individuazione dei criteri per la definizione dei regimi tariffari (lettera g)), il coinvolgimento e la tutela degli utenti (lettere p), h) e o)), nonché la definizione di strumenti per la trasparenza e la pubblicizzazione dei contratti di servizio (lettera u)).
Durante l'esame presso il Senato sono stati ampliati gli ambiti sui i quali è richiesta l'intesa della Conferenza Stato regioni nella procedura di adozione dei decreti legislativi in esame (rispetto al testo presentato dal Governo in cui l'intesa era richiesta solo con riguardo alle lettere e) ed o)). Tale scelta pare coerente con la sentenza della Corte costituzionale e, nello specifico, della declaratoria di incostituzionalità rivolta alle lettere b), g), h), l), n), o), p) e u) dell'articolo 19, comma 1, della legge n.124 del 2016, in combinato disposto con l’articolo 16, commi 1 e 4.
Nella procedura delineata dal comma 3, a seguito di un'ulteriore modifica introdotta dal Senato, è stato previsto altresì il parere dell'ARERA, per i profili di competenza, sugli schemi di decreto legislativo.
Come già anticipato, è altresì richiesto anche il parere delle Commissioni parlamentari competenti, che si pronunciano nel termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto legislativo può essere comunque adottato.
Nella disposizione in esame si segnala che non sono indicati il Ministro o i Ministri proponenti i decreti legislativi. Al riguardo, la Commissione affari costituzionali - nel parere non ostativo reso sull'emendamento 6.13 (testo 2), poi approvato, nella seduta n.174 del 10 maggio 2022 - aveva rilevato l'esigenza di indicare il Ministro o i Ministri proponenti.
Il comma 4 reca una clausola di invarianza finanziaria e specifica che le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti di rispettiva competenza con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Nel testo del presente comma, riformulato dal Senato, si stabilisce inoltre che qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno, i decreti legislativi stessi sono adottati solo successivamente o contestualmente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie. Ciò in conformità all'articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.
Si ricorda che ai sensi della disposizione da ultimo richiamata, le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura necessari per l'adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, la quantificazione degli stessi è effettuata al momento dell'adozione dei singoli decreti legislativi. I decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.
Nel nostro ordinamento la disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale ha subito numerose modifiche, dovute anche alla necessità di armonizzare la normativa nazionale con i principi comunitari. Negli ultimi anni gli interventi del legislatore si sono concentrati sull'assetto organizzativo per lo svolgimento dei servizi di interesse economico generale. In particolare, è stato introdotto l'obbligo per gli enti locali di partecipare agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali ed è intervenuta la legge Delrio che ha riconosciuto in capo alle città metropolitane la titolarità, quale funzione fondamentale, dei compiti di organizzazione dei servizi di interesse generale di ambito metropolitano. Inoltre con il nuovo Codice appalti è stata rielaborata la disciplina in materia di affidamenti in house per adeguarla alle direttive europee del 2014 in materia di concessioni e appalti dei settori ordinari e speciali.
Sulle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali (SPL) di rilevanza economica si sono succedute diverse discipline, specie nel corso della XVI legislatura, nella cui successione temporale si sono inserite sia un'abrogazione referendaria (2011) sia una pronuncia di illegittimità costituzionale (2012). Tali interventi si sono succeduti in un ristretto ambito temporale e sono stati adottati, per lo più, con provvedimenti d'urgenza.
In particolare, il riferimento generale per la disciplina applicabile nell'ordinamento italiano in materia di affidamento del servizio è rappresentato dalla normativa europea (direttamente applicabile) relativa alle regole concorrenziali minime per le gare ad evidenza pubblica che affidano la gestione di servizi pubblici di rilevanza economica (Corte cost., sentenza n. 24 del 2011).
La sentenza n. 199 del 2012 della Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, (conv. L. n. 148/2011), nella parte in cui tale disposizione, rubricata come «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dall'Unione europea», detta la nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica in luogo dell'art. 23- bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, abrogato a seguito del referendum del 12 e 13 giugno 2011. Secondo la Corte, infatti, costituisce effettivamente ripristino della normativa abrogata, considerato che essa introduce una nuova disciplina della materia, «senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina normativa preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti», in palese contrasto, quindi, con l'intento perseguito mediante il referendum abrogativo.
Secondo la normativa dell'Unione europea gli enti locali possono procedere ad affidare la gestione dei servizi pubblici locali attraverso:
§ esternalizzazione a terzi mediante procedure ad evidenza pubblica, secondo le disposizioni in materia di appalti e concessioni di servizi;
§ società mista pubblico-privata, la cui selezione del socio privato avvenga mediante gara a doppio oggetto;
§ gestione diretta da parte dell'ente locale, cosiddetta gestione "in house", purché sussistano i requisiti previsti dall'ordinamento comunitario, e vi sia il rispetto dei vincoli normativi vigenti. In particolare, la giurisprudenza europea consente la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale, allorquando l'applicazione delle regole di concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la «speciale missione» dell'ente pubblico (art. 106 TFUE), alle sole condizioni del capitale totalmente pubblico della società affidataria, del cosiddetto controllo "analogo" (il controllo esercitato dall'aggiudicante sull'affidatario deve essere di "contenuto analogo" a quello esercitato dall'aggiudicante sui propri uffici) ed infine dello svolgimento della parte più importante dell'attività dell'affidatario in favore dell'aggiudicante.
Per i servizi a rete di rilevanza economica il soggetto che affida il servizio deve tener conto sia della disciplina europea sia delle norme nazionali settoriali.
La scelta delle modalità di affidamento del servizio è rimessa dalla normativa vigente all'ente di governo dell'ambito o bacino territoriale, al quale partecipano obbligatoriamente gli enti locali, sulla base di una relazione, da rendere pubblica sul sito internet dell'ente stesso, che deve dare conto "delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche (se previste)" (art. 34, co. 20-25, del D.L. n. 179 del 2012, convertito da L. n. 221/2012).
Obiettivi dell'obbligo di pubblicare la relazione sono:
§ il rispetto della disciplina europea;
§ la parità tra gli operatori;
§ l'economicità della gestione;
§ l'adeguata informazione della collettività di riferimento.
Pertanto, la scelta della modalità di affidamento risulta rimessa alla valutazione dell'ente locale, nel presupposto che la discrezionalità in merito sia esercitata nel rispetto dei principi europei; di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Da tale disciplina sono stati espressamente esclusi i servizi di distribuzione di gas naturale e di distribuzione di energia elettrica, nonché quelli di gestione delle farmacie comunali.
Gli enti di governo sono tenuti ad inviare le relazioni all'Osservatorio per i servizi pubblici locali, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico (MISE), che provvede a pubblicarle nel proprio portale telematico contenente dati concernenti l'applicazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sul territorio (art. 13, co. 25-bis, D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 9/2014).
La normativa richiamata aveva previsto anche una disciplina transitoria (art. 34, co. 21)[21].
Disposizioni particolari sono state stabilite per gli "affidamenti diretti" (cioè senza gara) in essere alla data di entrata in vigore del D.L. n. 179/2012 (18 ottobre 2012), anche se non conformi alla normativa europea. Per questi era inizialmente previsto che cessassero alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto; mentre gli affidamenti che non prevedevano una data di scadenza sarebbero cessati il 31 dicembre 2020 (art. 34, co. 22). Tale particolare regime veniva previsto solo a condizione che gli affidamenti: fossero stati assentiti alla data del 1º ottobre 2003; riguardassero società a partecipazione pubblica già quotate in borsa alla data del 1° ottobre 2003 ovvero società da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile.
A seguito delle procedure di infrazione UE n. 2012/2050 e 2011/4003, nel 2015 il legislatore è nuovamente intervenuto sulla questione, disponendo che:
a) siano salvi gli affidamenti diretti assentiti a società a partecipazione pubblica già quotate in mercati regolamentati prima del 31 dicembre 2004 e a quelle da esse controllate. Tali affidamenti, come già previsto, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto, oppure entro il 31 dicembre 2020, se gli affidamenti non prevedono una data di scadenza, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante;
b) gli affidamenti diretti a società poste, dopo il 31 dicembre 2004, sotto il controllo di società quotate, a seguito di operazioni societarie effettuate in assenza di procedure conformi alle disposizioni dell'Unione europea, cessano improrogabilmente, e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, il 31 dicembre 2018, oppure alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto, se anteriore al 31 dicembre 2018 (art. 8, L. n. 115/2015, che ha sostituito l'art. 34, co. 22, del D.L. n. 179/2012).
Non è invece giunto a conclusione, come anticipato, il tentativo di riordinare in modo organico le disposizioni vigenti in modo da rendere intellegibili le regole applicabili in materia per le amministrazioni e gli operatori del settore. Infatti, la norma di delega per l'adozione di un Testo unico dei servizi pubblici locali (art. 19, L. 124 del 2015) non ha concluso il proprio iter nel corso della XVII legislatura, anche alla luce della citata sentenza n.251 del 2016, che ha censurato l'assenza di un idoneo coinvolgimento del sistema delle conferenze.
Quanto al nuovo Codice degli appalti (D.lgs. n. 50/2016), così come modificato dal decreto correttivo (D.lgs. n. 56/2017), sono state recepite le disposizioni in materia di affidamenti in house contenute nelle direttive europee in materia di concessioni e appalti dei settori ordinari e speciali (acqua, energia, trasporti e servizi postali).
Si tratta dell'art. 17 della direttiva 2014/23/UE (Concessioni tra enti nell'ambito del settore pubblico), dell'art. 12 della direttiva 2014/24/UE (Appalti pubblici tra enti nell'ambito del settore pubblico), dell'art. 28 della direttiva 2014/25/UE (Appalti tra amministrazioni aggiudicatrici), i quali - con identiche disposizioni - disciplinano tipologie di concessioni e di appalti che presentano caratteristiche tali da poter essere escluse dall'ambito di applicazione della normativa europea in materia di procedure di affidamento dei contratti pubblici e da consentire il ricorso all'affidamento in house. Tra le disposizioni europee richiamate, la previsione di cui all'art. 12 della direttiva 2014/24/UE, che disciplina l'in house nei settori classici, può essere assunta a paradigma anche per l'in house nell'ambito delle concessioni e dei settori speciali, vista l'identità dei testi normativi specifici. Il citato art. 12 ha definito le condizioni che necessitano ai fini dell'esclusione, dall'ambito di applicazione della direttiva stessa, di un appalto pubblico aggiudicato da un'amministrazione a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato.
Già prima della codificazione normativa europea, la giurisprudenza europea e quella nazionale avevano avuto modo di elaborare indici identificativi da utilizzare per verificare la legittimità del ricorso all'in house providing: la totale partecipazione pubblica; il controllo analogo, anche congiunto nel caso di affidamento in house in favore di società partecipata da più enti pubblici; la prevalenza dell'attività con l'ente affidante. La formulazione della disciplina dell'in house recata dalle citate direttive ha recepito la giurisprudenza della Corte di Giustizia sui requisiti dell'in house, introducendo, tuttavia, alcune innovazioni, che sono state diffusamente illustrate, tra gli altri, nel parere del Consiglio di Stato n. 298/2015.
Il nuovo Codice, recependo i presupposti elaborati nel corso degli anni dalla giurisprudenza comunitaria in materia di affidamenti diretti e i princìpi contenuti nelle citate Direttive, disciplina tutti i presupposti per gli affidamenti in house (art. 5). Accanto a ciò il Codice prevede che, per poter legittimamente affidare un contratto con modalità in house, avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti devono effettuare preventivamente una valutazione della congruità economica dell'offerta formulata del soggetto in house, avendo riguardo all'oggetto e al valore della prestazione (art. 192).
Inoltre è disposta l'istituzione presso l'ANAC dell'elenco delle stazioni appaltanti che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house. L'iscrizione in tale elenco deve avvenire secondo le modalità e i criteri definiti dall'ANAC e consente di procedere mediante affidamenti diretti dei contratti. Le linee guida adottate dall'Autorità prevedono anche che, con riferimento ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, gli enti di governo degli ambiti ottimali istituiti devono richiedere l'iscrizione nell'Elenco, indicando nella domanda di iscrizione gli enti locali partecipanti.
Per rendere più efficiente la gestione dei servizi e favorire i processi di aggregazione dei gestori, il legislatore è intervenuto a dettare una disciplina in materia di organizzazione per lo svolgimento dei servizi pubblici locali (art. 3-bis, D.L. n. 138/2011, introdotto dall'art. 25, co. 1, del D.L. n 1/2012). In base a tale disciplina - che si applica solo ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica - spetta alle Regioni e alle province autonome il compito di:
· individuare ambiti o bacini territoriali che consentano di sfruttare economie di scala e di differenziazione. Gli ambiti devono essere: ottimali, omogenei, di dimensione normalmente non inferiore a quella del territorio provinciale. È riconosciuta alle Regioni la possibilità di derogare alla dimensione provinciale, individuando ambiti di dimensione diversa. Ciò purché la scelta sia motivata in base a criteri di differenziazione territoriale e socio economica e rispetto a specifiche caratteristiche del servizio;
· istituire o designare gli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali. Ad essi la legge riserva in via esclusiva le seguenti funzioni: organizzazione del servizio; scelta della forma di gestione; affidamento della gestione; controllo della gestione; determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza (art. 3-bis, comma 1-bis, del D.L. n. 138/2011, introdotto dall'art. 34 del D.L. n. 179/2012).
È, in ogni caso, fatta salva l'organizzazione per ambiti di singoli servizi già prevista da normative di settore e da disposizioni regionali e già avviata mediante costituzione di bacini di dimensioni non inferiori alla dimensione provinciale, anche sulla base di direttive europee.
In base al testo originario del decreto, le regioni avrebbero dovuto provvedere alla definizione del perimetro degli ambiti e alla designazione dei relativi enti di governo entro il 30 giugno 2012, termine la cui inutile decorrenza autorizzava il Consiglio dei Ministri ad esercitare i poteri sostitutivi di cui all'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 a tutela dell'unità giuridica ed economica.
Nel corso della XVII legislatura, su tale disciplina sono intervenute alcune modifiche. Dapprima il legislatore ha previsto, in caso di mancata istituzione o designazione dell'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale, l'esercizio di poteri sostitutivi da parte del prefetto, in modo da provvedere al compimento degli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014 (art. 13, co. 2, D.L. n. 150/2013).
Successivamente è stato introdotto l'obbligo per gli enti locali di partecipare agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali o omogenei (art. 1, co. 609, L. n. 190/2014). In caso di inottemperanza è attribuito al Presidente della Regione l'esercizio dei poteri sostituitivi, previa diffida all'ente locale ad adempiere entro il termine di trenta giorni. La predisposizione della relazione richiesta dalla legislazione vigente per l'affidamento del servizio viene quindi posta in capo ai suddetti enti di governo; nella relazione è ricompreso anche un piano economico finanziario.
Per quanto riguarda il ruolo degli enti locali, la c.d. legge Delrio, che ha dettato la riforma amministrativo-istituzionale degli enti territoriali, disciplina le funzioni dei "nuovi" enti, alcune delle quali interessano anche i servizi pubblici locali di rilevanza economica. In particolare, le città metropolitane hanno la funzione fondamentale di organizzazione dei servizi di interesse generale di ambito metropolitano, inclusi quelli a rete di rilevanza economica (L. 56/2014, art. 1 co. 44). La legge Delrio impone, inoltre, allo Stato o alle Regioni, in funzione della materia, la soppressione di enti o agenzie (consorzi, società in house) alle quali siano state attribuite funzioni di organizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica in ambito provinciale o sub-provinciale, con contestuale riattribuzione di tali funzioni alle province (art. 1, co. 90).
L'ambito di applicazione della disciplina in materia di organizzazione per lo svolgimento dei SPL e, più in generale, delle disposizioni in materia di SPL a rete di rilevanza economica comprende anche il settore dei rifiuti urbani ed i settori sottoposti alla regolazione da parte di un'Autorità indipendente, salvo deroghe espresse (art. 3-bis, co. 6-bis, D.L. 138/2011, introdotto dalla legge di stabilità 2015).
L’articolo 9 del disegno di legge come approvato dal Senato è stato modificato in modo significativo in sede referente alla Camera.
Nel testo originario esso era impostato per dare seguito all’intenzione legislativa – emersa a più riprese nel recente passato - di mettere a regime il sistema dell’affidamento mediante procedure di pubblica evidenza nel trasporto pubblico locale (TPL).
Giova ricordare che il TPL – servizio pubblico da ricondursi al diritto di circolazione e di soggiorno di cui all’articolo 16 della Costituzione (d’ora innanzi: diritto alla mobilità) – è stato oggetto, sull’arco degli anni, di ampi studi e riflessioni (come si evince anche dal Considerando 7 del regolamento 2007/1370/CE)[22].
Nel Libro bianco della Commissione europea del 12 settembre 2001, intitolato La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte, è stabilito quale obiettivo principale – per come riportato nel Considerando 4 del medesimo regolamento – “garantire servizi di trasporto passeggeri sicuri, efficaci e di qualità grazie a una concorrenza regolamentata, che assicuri anche la trasparenza e l’efficienza dei servizi di trasporto pubblico di passeggeri, tenendo conto, in particolare, dei fattori sociali, ambientali e di sviluppo regionale, o nell’offrire condizioni tariffarie specifiche a talune categorie di viaggiatori (a esempio, i pensionati), e nell’eliminare le disparità fra imprese di trasporto provenienti da Stati membri diversi che possono alterare in modo sostanziale la concorrenza”.
In tempi più recenti e dopo l’emanazione del citato regolamento 2007/1370/CE è stato istituito – con la legge finanziaria per il 2008 (articolo 1, comma 300, della legge n. 244 del 2007) – l’Osservatorio nazionale sulle politiche del TPL, cui partecipano i rappresentanti dei Ministeri competenti, delle regioni e degli enti locali, al fine di creare una banca dati e un sistema informativo pubblico, correlati a quelli regionali, e di assicurare la verifica dell'andamento del settore e del completamento del processo di riforma.
Nella scorsa legislatura (la XVII), una ricognizione è stata svolta con l’indagine conoscitiva sul TPL condotta dalla IX Commissione Trasporti della Camera dei deputati e terminata l’8 aprile 2014, con l’approvazione del documento conclusivo.
Per meglio comprendere lo sviluppo in sede referente presso la Camera dei deputati, occorre rammentare che - sul piano normativo - il citato regolamento 2007/1370/CE prevede tre modalità di gestione del servizio del TPL:
- la gestione diretta dell’ente pubblico territoriale;
- l’affidamento diretto[23];
- la messa a gara.
La scelta tra questi metodi è assunta a seconda del livello di equilibrio che i Paesi membri intendano stabilire tra le esigenze di assicurare il diritto alla mobilità e quelle della concorrenza, funzionali al mercato interno.
L’ordinamento italiano appare impostato sull’affidamento con gara pubblica. Tale opzione risulta dal decreto-legge n. 50 del 2017; esso infatti:
- da un lato, ha novellato l’articolo 37 del decreto legge n. 201 del 2011 (c.d. Salva Italia) in ordine ai compiti dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART), prevedendo che esso approvi gli schemi dei contratti di servizio per il TPL nei casi sia di affidamento diretto a società in house, sia di gara pubblica (comma 2, lett. f), periodi secondo e terzo);
- dall’altro, ha inciso sul concorso finanziario dello Stato agli enti locali e territoriali per il TPL.
Proprio tale concorso finanziario – in larga misura – costituisce un temperamento alla scelta di propendere per il sistema delle gare pubbliche ed è giustificato dalla considerazione che il diritto alla mobilità rientra tra le prestazioni essenziali, cui deve essere assicurato su tutto il territorio nazionale un livello minimo uniforme (esso rientra, in definitiva, tra i LEP). Il decreto-legge n. 95 del 2012 ha dunque istituito (all’articolo 16-bis) il Fondo per il predetto concorso finanziario.
Il senso di questa disposizione appare ben spiegato in un passaggio della sentenza della Corte costituzionale n. 137 del 2018: “Tale fondo è istituito dall’articolo 16-bis, comma 1, del decreto-legge n. 95 del 2012 è alimentato da una compartecipazione al gettito derivante dalle accise sul gasolio per autotrazione e sulla benzina” (peraltro, questa fonte di finanziamento del fondo è stata modificata proprio dal decreto-legge n. 50 del 2017, n.d.r.). “Il comma 3 dello stesso articolo 16-bis prevede che i criteri e le modalità di riparto delle risorse del fondo fra le regioni a statuto ordinario sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa intesa in sede di Conferenza unificata. I criteri di riparto sono diretti a incentivare le regioni e gli enti locali a razionalizzare e favorire un incremento dell’efficienza nella programmazione e gestione dei servizi relativi al trasporto pubblico locale, mediante: un’offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico; il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi; la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e un corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata; la definizione di livelli occupazionali appropriati; la predisposizione di strumenti di monitoraggio e di verifica. Il successivo comma 5 prevede che la ripartizione è operata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare, sentita la Conferenza unificata, entro il 30 giugno di ciascun anno” (v. punto 3 del Considerato in diritto).
A tal proposito, l’articolo 27, comma 2, lett. d), del citato decreto-legge n. 50 del 2017 prevede una “riduzione in ciascun anno delle risorse del Fondo da trasferire alle regioni, qualora i servizi di trasporto pubblico locale e regionale non risultino affidati con procedure di evidenza pubblica entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento, ovvero ancora non ne risulti pubblicato alla medesima data il bando di gara, nonché nel caso di gare non conformi alle misure di cui alle delibere dell'Autorità di regolazione dei trasporti adottate ai sensi dell'articolo 37, comma 2, lettera f)” del decreto-legge n. 201 del 2011.
L’entrata in vigore di questo sistema di penalizzazione per gli enti che non mettono a gara il servizio di TPL – tuttavia - è stata più volte differita (da ultimo, con il decreto-legge n. 183 del 2020). Viceversa, con l’articolo 9 del disegno di legge governativo qui in commento, si dà nuovo impulso legislativo al principio dell’affidamento dei servizi di TPL locale e regionale mediante procedure di evidenza pubblica.
A tal fine e anche per consentire l’applicazione delle decurtazioni di cui all’articolo 27, comma 2, lett. d), del decreto–legge n. 50 del 2017, nella formulazione approvata in sede referente, l’art. 9 qui in commento, al comma 1, prevede che le regioni a statuto ordinario attestano, mediante apposita comunicazione inviata entro il 31 maggio di ciascun anno al citato Osservatorio di cui all'articolo 1, comma 300, della legge finanziaria per il 2008, l’avvenuta pubblicazione, entro il 31 dicembre dell’anno precedente, alternativamente:
- delle informazioni di cui all’articolo 7, paragrafo 2, del Regolamento (CE) 1370/2007, vale a dire:
a) nome e indirizzo dell’autorità competente;
b) tipo di aggiudicazione previsto;
c) servizi e territori potenzialmente interessati dall’aggiudicazione;
d) data d'inizio e durata previste del contratto di servizio pubblico.
Con tale modifica, approvata – giova ribadire - nel corso dell’esame in sede referente, si richiama l’obbligo, per ciascuna autorità competente, di prendere i provvedimenti necessari affinché, almeno un anno prima dell’inizio della procedura di gara o dell’aggiudicazione diretta del contratto, siano pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, come minimo, le informazioni predette.
Si valuti l’opportunità di chiarire se con questa disposizione si intenda ribadire l’obbligo di pubblicazione delle predette informazioni sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, già sussistente per gli enti in quanto previsto da una fonte di diretta applicazione (il Regolamento CE), oppure se si intende imporre un ulteriore obbligo di pubblicare tali informazioni anche nell’ordinamento interno.
- dell’avvenuta pubblicazione, entro il 31 dicembre dell’anno precedente, dei bandi di gara; ovvero ancora
- l’avvenuto affidamento, entro la medesima data, con procedure conformi al Regolamento (CE) 1370/2007, di tutti i servizi di trasporto pubblico locale e regionale con scadenza entro il 31 dicembre dell’anno di trasmissione dell’attestazione.
Il riferimento alle “procedure conformi” alla normativa eurounitaria citata è stato inserito nel corso dell’esame in sede referente, in sostituzione del riferimento, contenuto nel testo originario del disegno di legge, all’avvenuto affidamento “con procedure ad evidenza pubblica”.
Il senso della modifica è – pertanto quello di lasciare alle stazioni appaltanti pubbliche italiane la scelta di quale percorrere tra le tre strade consentite dal citato Regolamento (CE), senza imporre a priori l’evidenza pubblica (vale a dire – in questo caso - la pubblica gara).
Si segnala, tuttavia, che il richiamo all’affidamento con procedure a evidenza pubblica dei servizi di TPL è stato sostituito in questo parte del comma 1 ma è rimasto nella parte inziale dell’articolo, dove vengono enunciate le finalità di promuovere tale affidamento proprio con procedure ad evidenza pubblica, nonché di consentire l’applicazione delle decurtazioni del Fondo di cui si è detto nel caso in cui ciò non avvenga: si valuti, pertanto, l’opportunità di un coordinamento interno della disposizione a fini di maggior chiarezza dell’intenzione legislativa.
Resta invece immutato – pur dopo il passaggio referente – l’obbligo di attestare con la comunicazione all’Osservatorio citato la conformità delle procedure di gara alle misure di cui alle delibere dell'Autorità di regolazione dei trasporti adottate ai sensi dell'articolo 37, comma 2, lettera f), del decreto-legge n. 201 del 2011. In caso di avvenuto esercizio della facoltà di sospensione dell’obbligo della messa a gara (prevista all’articolo 92, comma 4-ter, del decreto-legge n. 18 del 2020), l’attestazione di cui al primo periodo reca l’indicazione degli affidamenti prorogati e la data di cessazione della proroga.
Il comma 2 dell’articolo 9 dispone che l’omessa o ritardata trasmissione dell’attestazione ovvero l’incompletezza del suo contenuto rileva ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comporta responsabilità dirigenziale e disciplinare (ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001).
In punto di controllo sull’attuazione di queste disposizioni, il comma 3 prevede che il MIMS, d’intesa con il MEF, e l’ART, ciascuno in relazione agli specifici ambiti di competenza, definiscono, con propri provvedimenti, le modalità di controllo, anche a campione, delle attestazioni, ai fini dell’acquisizione delle informazioni necessarie ai fini delle predette decurtazioni al fondo per il concorso statale.
Il comma 4 – pure oggetto di modifica nel corso dell’esame in sede referente – inerisce all’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Ministro IMS, ai sensi dell’articolo 8 della legge c.d. La Loggia (n. 131 del 2003).
Stabilisce la disposizione che il Ministro IMS possa promuovere la procedura di cui al citato art. 8 se l’ente obbligato alle comunicazioni di cui al comma 1 non le renda affatto entro il termine del 31 dicembre dell’anno precedente a quello in cui i contratti di servizio debbano essere assegnati.
In tal caso, la misura sanzionatorio-sostitutiva consiste nell’avvio da parte del Ministro di procedure competitive, quasi a voler manifestare nuovamente – almeno in via di massima - la preferenza legislativa per l’affidamento con gara.
Si ripropongono le medesime osservazioni già formulate con riferimento alla nuova formulazione del comma 1.
Il comma 5 prevede che, se anche l’assegnazione alle regioni delle quote del fondo avvenga secondo criteri diversi da quelli previsti dall’articolo 27 del decreto-legge n. 50 del 2017, la decurtazione prevista si applica comunque sulla quota assegnata. E’ specificato tuttavia che le disposizioni di cui ai commi da 1 a 4 si applicano ai fini della ripartizione delle risorse stanziate sul Fondo in parola a decorrere dall’esercizio finanziario 2023.
Il comma 6 prevede – a ogni modo – che dall’attuazione di questo articolo non possano derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
L’articolo 10 interviene con alcune modifiche all'articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 al fine di rafforzare i meccanismi di risoluzione delle controversie tra operatori economici che gestiscono reti, infrastrutture e servizi di trasporto e i consumatori.
A tale riguardo si ricorda che l’articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 aveva introdotto delle misure finalizzate alla liberalizzazione del settore dei trasporti, istituendo l'Autorità di regolazione dei trasporti.
Nello specifico, per quanto attiene alle forme di risoluzione delle controversie, il richiamato articolo 37, al comma 3, lettera h), in materia di controversie tra esercenti e utenti, già prevede che l’Autorità promuova l'istituzione di procedure semplici e poco onerose per la conciliazione e la risoluzione delle suddette controversie.
L'articolo 10 del disegno di legge in esame, interviene ora al fine di rafforzare la tutela degli utenti e dei consumatori inserendo alcune modifiche all'articolo 37 del citato decreto-legge n. 201 del 2011.
In particolare al comma 1 si prevede che l'Autorità possa disciplinare le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie tra operatori economici e utenti e consumatori tramite procedure semplici e non onerose, anche in forma telematica.
Per tali controversie, in base a quanto previsto dall'articolo in commento, si potrà proporre ricorso giurisdizionale solo dopo aver esperito un tentativo di conciliazione da definire entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorità.
A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione.
Il comma 2, invece, prevede che la disposizione introdotta dal comma 1 acquisti efficacia dopo sei mesi dall’entrata in vigore della legge annuale sulla concorrenza e si applichi alle procedure iniziate successivamente a tale termine.
Articolo 11
(Modifica della disciplina dei controlli sulle società partecipate)
L’articolo 11, modificato dal Senato, prevede che la Corte dei conti si pronunci sull'atto deliberativo di costituzione di una società o di acquisizione della partecipazione diretta o indiretta in società già costituite, da parte di un'amministrazione pubblica. La disposizione dispone in merito all'oggetto e alle modalità di tale pronuncia ed ai relativi obblighi di trasmissione. La pubblica amministrazione è obbligata a dare pubblicità al parere reso dalla Corte dei conti e a motivare l'eventuale scelta di procedere secondo la propria deliberazione quando tale parere sia, in tutto o in parte, negativo.
La disposizione interviene, inoltre, sulla disciplina sanzionatoria, prevedendo l'applicazione della sanzione della cancellazione d'ufficio dal registro delle imprese della società a controllo pubblico che non abbia depositato il bilancio di esercizio o non abbia compiuto atti di gestione per oltre due anni consecutivi (in luogo di tre anni previsti dalla disciplina vigente).
L'articolo in esame reca novelle agli articoli 5 e 20 del decreto legislativo n. 175 del 2016 (testo unico in materia di società a partecipazione pubblica - TUSP). In particolare, viene modificato il comma 3 dell'articolo 5, prevedendo che la Corte dei conti deliberi, entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento, sull'atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica o di acquisto di partecipazioni, anche indirette, da parte di amministrazioni pubbliche in società già costituite. Qualora la Corte non si pronunci entro il citato termine di sessanta giorni, l'amministrazione può procedere.
Secondo la novella in esame, la Corte dei conti si pronuncia - con particolare riguardo alla sostenibilità finanziaria e compatibilità con i principi di efficienza, efficacia e economicità dell'azione amministrativa - sulla conformità dell'atto deliberativo alle seguenti disposizioni del TUSP:
§ articolo 4, il quale dispone in ordine alle finalità che possono essere perseguite mediante l'acquisizione e la gestione di partecipazioni pubbliche. Vi si prevede, tra l'altro, che le amministrazioni pubbliche non possono, direttamente o indirettamente, costituire, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza in società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali.
§ articolo 5, comma 1, il quale impone un obbligo di motivazione analitica in merito alla necessità della scelta compiuta dalla pubblica amministrazione, evidenziandone, altresì, le ragioni e le finalità, in relazione alla convenienza economica e alla sostenibilità finanziaria, specificando se si tratti di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato. La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con i princìpi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa.
§ articolo 5, comma 2, il quale prevede che si dia conto della compatibilità dell'atto deliberativo con la normativa europea; prevede altresì che gli enti locali sottopongano la scelta operata a forme di consultazione pubblica.
§ articolo 7, il quale disciplina le modalità di adozione dell'atto deliberativo, redatto in conformità a quanto previsto dall'art. 5, comma 1, del testo unico medesimo (v. sopra), imponendo: che ne siano indicati gli elementi essenziali, secondo la disciplina civilistica applicabile; che l'atto sia pubblicato sui siti istituzionali; che la scelta di soci privati avvenga con procedure di evidenza pubblica.
§ articolo 8, il quale reca specifiche disposizioni sull'acquisto di partecipazioni in società già costituite.
Il comma 4 del medesimo articolo 5 TUSP, come novellato dalla disposizione in esame, prevede che la segreteria della sezione della Corte dei conti competente, trasmetta il parere, entro cinque giorni dal deposito, all'amministrazione pubblica interessata. A sua volta, l'amministrazione interessata deve pubblicare il parere nel proprio sito web istituzionale entro cinque giorni dalla ricezione. Come sopra accennato, ove l'amministrazione pubblica interessata intenda procedere in caso di parere in tutto o in parte negativo, deve motivare analiticamente le ragioni per le quali si discosti dal parere.
L'art. 5, comma 4, TUSP attribuisce la competenza all'espressione del parere:
§ alle sezioni riunite in sede di controllo per i soli atti delle amministrazioni dello Stato e degli enti nazionali;
§ alla sezione regionale di controllo per gli atti delle regioni e degli enti locali, nonché dei loro enti strumentali, delle università o delle altre istituzioni pubbliche di autonomia aventi sede nella regione;
§ alla sezione del controllo sugli enti per gli atti degli enti assoggettati a controllo della Corte dei conti ai sensi della legge n. 259 del 1958 (recante la disciplina sulla partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria).
L'ulteriore novella recata dall'articolo in esame prevede la modifica dell'articolo 20, comma 9, del TUSP. Nel testo vigente, tale comma 9 stabilisce che si proceda alla cancellazione d'ufficio dal registro delle imprese, da parte del conservatore del registro, della società a controllo pubblico che, secondo il testo vigente, "per oltre tre anni consecutivi", non abbia depositato il bilancio d'esercizio ovvero non abbia compiuto atti di gestione. Con la modifica in esame si prevede che tale sanzione si applichi in caso di mancato deposito del bilancio ovvero in caso di mancata effettuazione di atti di gestione per oltre due anni consecutivi.
Il comma 9 dell'articolo 20 TUSP specifica che la cancellazione comporti gli effetti previsti dall'articolo 2495 del codice civile. Tale articolo 2495 stabilisce che, ferma restando l'estinzione della società, "dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l'ultima sede della società".
Prima di procedere alla cancellazione, prosegue il comma 9 in parola, il conservatore del registro delle imprese comunica l'avvio del procedimento agli amministratori o ai liquidatori, che possono, entro 60 giorni, presentare formale e motivata domanda di prosecuzione dell'attività, corredata dell'atto deliberativo delle amministrazioni pubbliche socie, adottata nelle forme e con i contenuti previsti dall'articolo 5 dello stesso decreto legislativo n. 175. In caso di regolare presentazione della domanda, non si dà seguito al procedimento di cancellazione.
Si segnala che il disegno di legge originario presentato al Senato (A.S. n. 2469), attribuiva alle sezioni riunite della Corte dei conti la competenza del controllo sull'atto deliberativo di costituzione della società o di acquisizione della partecipazione diretta o indiretta in società già costituite, innovando, al contempo, l'oggetto e le modalità di tale controllo.
Secondo quanto rappresentato dalla relazione illustrativa al disegno di legge trasmesso dal Governo, tale proposta intendeva superare talune criticità emerse in sede di controllo "sugli atti di costituzione di società pubbliche o di acquisto di partecipazioni, soprattutto sotto il profilo della frammentazione degli esiti del controllo sugli atti deliberativi delle regioni e degli enti locali".
La nuova formulazione accoglie una proposta di riformulazione contenuta nella memoria trasmessa dalla Corte dei conti alla 10a commissione del Senato il 25 febbraio 2022. In quella sede, la Corte aveva infatti evidenziato alcune criticità connesse alla proposta di accentramento delle competenze in capo alle Sezioni riunite.
Inoltre, nella sua memoria del 24 febbraio 2022, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, riferendosi al testo originario del disegno di legge, rilevava come l’attribuzione della nuova competenza alle Sezioni riunite della Corte dei Conti potesse far insorgere alcune criticità nel rapporto con i poteri di advocacy che l’Autorità può esercitare in materia, auspicando opportune forme di coordinamento tra le disposizioni in esame e i poteri attribuiti all'Autorità.
Si rammenta, infatti, che il comma 3 dell'articolo 5 citato dispone l'invio dell'atto deliberativo anche all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, la quale può esercitare i poteri previsti dall'art. 21-bis della legge n. 287 del 1990. In particolare, l'Autorità:
§ è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato; a tali giudizi si applica la disciplina del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010);
§ può emettere, entro sessanta giorni, un parere motivato, ove ritenga che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato.
Per approfondimenti sulla disciplina delle società a partecipazione pubblica si rinvia al relativo tema del portale di documentazione della Camera dei deputati.
Articolo 12
(Colonnine di ricarica)
L’articolo 12, nel testo risultante dalle modifiche approvate dal Senato, novella l’articolo 1, comma 697, della legge di bilancio 2021 (n. 178 del 2020), in materia di dotazione della rete autostradale di punti di ricarica elettrica veloce, prevedendo l’obbligo per i concessionari autostradali di selezionare l’operatore che richieda di installare colonnine di ricarica mediante procedure competitive, trasparenti e non discriminatorie, nel rispetto del principio di rotazione e che prevedano l'applicazione di criteri premiali per le offerte in cui si propone l'utilizzo di tecnologie altamente innovative.
È altresì stabilito che anche le concessioni in essere e non ancora oggetto di rinnovo devono prevedere l’installazione di colonnine di ricarica per veicoli elettrici nelle aree di servizio.
In dettaglio, il richiamato comma 697 della legge di bilancio aveva previsto l’obbligo per i concessionari autostradali di dotare la propria rete di punti di ricarica elettrica di potenza elevata per gli autoveicoli (cioè quelli di potenza superiore a 22 kW, sia veloci sia ultra-veloci), garantendo che le infrastrutture messe a disposizione consentissero agli utilizzatori tempi di attesa per l'accesso al servizio non superiori a quelli offerti agli utilizzatori di veicoli a motore termico. Il comma 697 aveva previsto, altresì, che:
- i concessionari pubblicassero le caratteristiche tecniche minime delle strutture da installare nelle tratte di loro competenza (il termine era fissato a 60 giorni dall’entrata in vigore della legge);
- qualora entro 180 giorni (quindi entro il 30 giugno 2021) i concessionari non avessero provveduto a dotarsi di un numero adeguato di punti di ricarica, essi fossero tenuti a consentire, a chiunque ne facesse richiesta, di candidarsi a installare le colonnine sulla rete di competenza; in tali casi il concessionario autostradale doveva pubblicare una manifestazione d’interesse per selezionare l’operatore per l’installazione dei punti di ricarica (entro 30 giorni dalla richiesta dell’operatore), sulla base delle caratteristiche tecniche della soluzione proposta, delle condizioni commerciali e dei modelli contrattuali proposti.
Con la novella dell’articolo 12 in commento si inserisce, nell’ultimo periodo del comma 697, la prescrizione che l’operatore debba essere selezionato dal concessionario autostradale mediante procedure competitive, trasparenti e non discriminatorie e nel rispetto del principio di rotazione.
Giova ricordare, al proposito, che - di fatto - gli operatori interessati non hanno potuto finora trarre vantaggio concreto dalle opportunità offerte da tale disciplina. Ciò è dovuto in parte alla ripartizione delle competenze, non del tutto chiara.
Per un verso, infatti, gli obblighi descritti sono posti in capo al concessionario dell’autostrada; per altro verso, l’articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 (c.d. Salva Italia) individua l’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) quale autorità competente a predisporre gli schemi di bando di gara di cui i concessionari devono servirsi. Con delibera 77/2021, l’ART ha avviato un procedimento volto a definire gli schemi dei bandi ma ne ha fissato il termine al 28 febbraio 2022.
Peraltro, nell’ambito del PNRR, la mobilità sostenibile è uno dei punti qualificanti della Missione 2, intitolata alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica e, nell’ambito della sua Componente 2, sono previsti investimenti per le infrastrutture di ricarica elettrica per 741,32 milioni di euro al fine di raggiungere gli obiettivi europei in materia di decarbonizzazione, con un parco circolante previsto di circa 6 milioni di veicoli elettrici al 2030, per i quali sono necessari 31.500 punti di ricarica rapida pubblici.
Più nel dettaglio, l’intervento è finalizzato allo sviluppo di 7.500 punti di ricarica rapida in autostrada (75 per cento del target PNIRE) e 13.755 di ricarica rapida nei centri urbani (70 per cento del target PNIRE), oltre a 100 stazioni di ricarica sperimentali con tecnologie per lo stoccaggio dell’energia. Le milestones del PNRR prevedono, entro il secondo trimestre del 2023, l’aggiudicazione dei contratti per la realizzazione di non meno di 2.500 punti di ricarica rapida lungo le autostrade.
Inoltre, ricorrendo i requisiti ivi previsti, l’articolo 18, comma 5, del decreto legislativo n. 257 del 2016 (di attuazione della direttiva 2014/94/UE- c.d. DAFI), prevede l’obbligo in capo ai concessionari autostradali di rispettare, nell’affidamento a terzi del servizio di ricarica elettrica, di gas naturale compresso e gas naturale liquido, le procedure competitive di cui all’articolo 11, comma 5-ter, della legge n. 498 del 1992, che disciplina gli affidamenti dei servizi di distribuzione carbolubrificanti e delle attività commerciali e ristorative (cd. servizi “oil” e “non oil”) nelle aree di servizio delle reti autostradali.
Con le modifiche del disegno di legge approvate dal Senato, è stato introdotto l’obbligo di prevedere, nelle procedure in questione, criteri premiali per le offerte in cui si propone l'utilizzo di tecnologie altamente innovative, con specifico riferimento, in via esemplificativa:
§ alla tecnologia di integrazione tra i veicoli e la rete elettrica, denominata vehicle to grid;
§ ai sistemi di accumulo dell'energia;
§ ai sistemi di ricarica integrati con sistemi di produzione di energia da fonti rinnovabili dotati di sistemi evoluti di gestione dell'energia;
§ ai sistemi di potenza di ricarica superiori a 50Kw;
§ ai sistemi per la gestione dinamica delle tariffe in grado di garantire la visualizzazione dei prezzi e del loro aggiornamento.
È, infine, stabilito che, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, anche alle concessioni in essere e non ancora oggetto di rinnovo si applicano le previsioni di cui all’articolo 57, comma 13, del decreto-legge n. 76 del 2020, e quindi anch’esse devono prevedere che le aree di servizio site nelle autostrade e nelle strade extraurbane principali (di cui all'articolo 61 del regolamento di attuazione del Codice della strada) siano dotate di colonnine di ricarica per veicoli elettrici.
Articolo 13
(Disposizioni per l'Anagrafe Nazionale Carburanti - Obbligo dinamicità)
L’articolo 13, inserito al Senato, integra la disciplina dell’Anagrafe degli impianti di distribuzione dei carburanti, prevedendo l’obbligo, per i titolari di autorizzazione o di concessione, dell'aggiornamento periodico dell'anagrafe, secondo le modalità e i tempi indicati con decreto direttoriale del Ministero della transizione ecologica.
In caso di mancato adempimento, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria di 15.000 euro per ciascuna mancata dichiarazione.
L'Anagrafe degli impianti di distribuzione dei carburanti è stata istituita dalla legge 4 agosto 2017, n. 124 “Legge annuale per il mercato e la concorrenza”. L’articolo 1, commi da 98 a 119 della legge, contiene norme in materia di razionalizzazione del sistema di distribuzione dei carburanti volte ad incrementare la concorrenzialità del mercato di carburanti e la diffusione al consumatore delle relative informazioni. Il comma 100 prevede l’introduzione dell’anagrafe degli impianti di distribuzione di benzina, gasolio, GPL e metano della rete stradale e autostradale cui i titolari dell’autorizzazione/concessione degli impianti di distribuzione carburanti hanno l’obbligo di iscriversi.
Il termine di iscrizione è stato fissato dal comma 101 al 24 agosto 2018, tenendo conto della proroga di cui alla dalla legge di bilancio 2018 (L. 27 dicembre 2017, n. 205, articolo 1, comma 1132).
L'obbligo di iscrizione ha riguardato anche gli impianti in regolare sospensione dell'attività sulla base della disciplina regionale, con l'evidenza della data di cessazione della sospensione.
Contestualmente all’iscrizione nell’anagrafe i titolari degli impianti di distribuzione di carburanti hanno dovuto presentare, ai sensi del comma 102, una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, resa ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 47 del D.P.R. n. 445/2000, indirizzata al MISE, alla regione competente, all’amministrazione competente al rilascio del titolo autorizzativo o concessorio e all’ufficio dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, attestante che l’impianto ricade ovvero non ricade, in relazione ai soli aspetti attinenti alla sicurezza della circolazione stradale, in una delle fattispecie di incompatibilità previste dalle vigenti disposizioni regionali e meglio precisate ai commi 112 e 113 della legge, ovvero che, pur ricadendo nelle fattispecie di incompatibilità si impegnano al loro adeguamento, che ha dovuto essere completato entro il 29 febbraio 2019 (18 mesi dall’entrata in vigore della legge n. 124/2017, termine così modificato dalla citata legge di bilancio 2018).
Il comma 105 ha previsto, in caso di mancato invio della dichiarazione di cui al sopra citato comma 102, l’irrogazione di una la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento da euro 2.500 a euro 7.000 per ciascun mese di ritardo dal termine previsto per l'iscrizione all'anagrafe.
Il comma 105 ha altresì previsto che l’Amministrazione competente (già MISE ora MITE) diffidi il titolare a provvedere entro il termine perentorio di trenta giorni, pena la decadenza dell'autorizzazione o concessione.
Per snellire le procedure legate agli obblighi soprariportati e ridurre gli oneri a carico delle aziende, la Conferenza Unificata - nella seduta dell’8 marzo 2018 - ha sancito che l’iscrizione all’anagrafe impianti ed i relativi adempimenti fossero eseguiti esclusivamente mediante apposita piattaforma informatica del MISE (ora MITE) realizzata all’interno del portale impresainungiorno.gov.it-Anagrafe Carburanti. Si evidenzia, quanto alla piattaforma, l’esistenza di funzioni di “dinamizzazione”, con le quali i titolari di autorizzazione/concessione attualmente possono, utilizzando l’identificativo univoco dell’impianto, effettuare gli eventuali aggiornamenti o modifiche dei dati.
Si rinvia al sito del MISE per i dati degli impianti, suddivisi per regione.
Si segnala che, nel corso dell’attuale legislatura, è stata approvata, il 4 dicembre 2019, presso la Commissione attività produttive della Camera, la Risoluzione De Toma 7/00258, sulla quale si è tenuto un ciclo di audizioni (qui il documento depositato dalla conferenza delle Regioni e delle Province autonome). La risoluzione impegna il Governo:
· ad assumere iniziative urgenti in grado di contrastare le numerose e articolate criticità che sta affrontando il settore della distribuzione dei carburanti, i cui fattori di debolezza rischiano di aggravare le condizioni economiche ed occupazionali degli operatori;
· ad assumere, per quanto di competenza, iniziative volte:
a) alla razionalizzazione e all'ammodernamento della rete distributiva, con una revisione del piano e degli indirizzi di ristrutturazione, prevedendo la chiusura dei punti vendita obsoleti ed inefficienti, accompagnata dall'erogazione di indennizzi per la bonifica ambientale e per l'effettivo e definitivo loro smantellamento;
b) ad elevare i livelli di tutela e protezione delle condizioni lavorative e dell'esercizio di impresa degli operatori del settore, al fine di evitare situazioni di diffusa illegalità derivanti da ipotesi di abuso di dipendenza economica nei rapporti tra i titolari degli impianti/fornitori e i gestori degli impianti;
c) a prevedere incentivi volti alla riconversione tecnologica necessaria ad ammodernare la rete distributiva attraverso la progressiva implementazione dei servizi alla mobilità da energie rinnovabili;
d) ad adottare, tramite le strutture del Ministero, procedure di verifica e controllo per accertare violazioni della normativa di settore, valorizzando il ruolo delle organizzazioni maggiormente rappresentative;
e) a contrastare l'elusione dell'obbligo di contrattualistica previsto dalla normativa di settore per tutti i titolari di autorizzazione introducendo meccanismi di penalità e/o sanzioni per inadempienze relative ad accordi collettivi o per l'utilizzo di tipologie contrattuali non previste dalla normativa, nonché regolamentando i trattamenti minimi delle gestioni in caso di inosservanza della contrattazione;
f) a prevedere, nella definizione per i gestori delle eque condizioni per competere relative all'accesso ai prezzi di cessione dei prodotti dai fornitori, già previste dalla normativa di settore, il criterio della sostenibilità economica delle imprese finali di distribuzione;
g) a potenziare l'attività di sorveglianza dei prezzi praticati, utilizzando le rilevazioni dell'osservatorio prezzi del Ministero dello sviluppo economico come base per l'individuazione di politiche di sconto potenzialmente anomale e per l'avvio di specifici controlli, ad esempio da parte della Guardia di finanza;
h) a estendere anche al settore dei carburanti la normativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 aprile 2001, n. 218, recante la disciplina delle vendite sottocosto;
i) a favorire lo sviluppo di tipologie contrattuali aggiuntive, che, consentendo alle imprese finali della distribuzione di determinare il prezzo finale al consumatore, possano garantire al cliente, tramite una vera concorrenza dei prezzi, la scelta più conveniente presso l'intero complesso della rete distributiva, nel rispetto del principio dell'assicurazione di condizioni di accesso uniformi al prezzo di beni e servizi;
l) a contrastare l'evasione, la contraffazione e i fenomeni di concorrenza sleale esistenti mediante uso di nuove tecnologie nel controllo e nel tracciamento del carburante in tutte le fasi della filiera dalla produzione, stoccaggio, trasporto fino alla commercializzazione con il coordinamento e la pianificazione a livello centrale delle autorità e forze di controllo preposte, introducendo altresì automatismi nel monitoraggio dei quantitativi di prodotto erogati dai diversi punti vendita e nelle comunicazioni della variazione di prezzo, in continuo durante le 24 ore.
Un comunicato stampa del MITE informa della convocazione – per mercoledì 1 giugno 2022 – di un “tavolo tecnico” di settore nell’ambito del quale istituzioni e operatori della filiera possano confrontarsi su un percorso di riconversione industriale e rappresentare le criticità emerse nei settori del commercio di carburanti e dei servizi per l’efficienza energetica.
L’articolo 13, al comma 1, integra, con un ultimo periodo, il comma 101 dell’articolo 1 della legge annuale per il mercato e la concorrenza 2017 (legge n. 124/2017), il quale ha imposto ai titolari dell'autorizzazione all'installazione e all'esercizio di impianti di distribuzione dei carburanti, o ai titolari di concessione degli impianti in questione, laddove prevista, di iscriversi nell'Anagrafe degli impianti di distribuzione dei carburanti istituita dal comma 100.
Il comma 1 dell’articolo in commento dispone l’ulteriore obbligo per i titolari di autorizzazione o di concessione di aggiornamento periodico dell'Anagrafe, secondo le modalità e i tempi indicati con decreto direttoriale del Ministero della transizione ecologica (MITE). In caso di mancato adempimento, si applicano le sanzioni e le procedure previste al comma 105.
Contestualmente, il comma 105 viene modificato dal comma 2 dell’articolo qui in commento. Il comma 105 ha previsto la comminazione di una sanzione amministrativa pecuniaria in caso di mancato invio da parte dei titolari obbligati all’iscrizione all’Anagrafe - contestualmente alla stessa - della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà attestante che l'impianto ricade, o non ricade, in relazione ai soli aspetti di sicurezza stradale, in una delle fattispecie di incompatibilità previste, ovvero l’impegno ad adeguare l’impianto incompatibile.
Esempi di incompatibilità con le norme sulla sicurezza stradale sono indicati ai commi 112 e 113 dello stesso articolo 1, che fanno riferimento – tra gli altri - a situazioni quali impianti ubicati all'interno dei centri abitati ma privi di sede propria, nei quali il rifornimento avviene sulla carreggiata, o impianti ricadenti in corrispondenza di biforcazioni di strade di uso pubblico (incroci ad Y) e ubicati sulla cuspide degli stessi, con accessi su più strade pubbliche o impianti ricadenti all'interno di curve aventi raggio minore o uguale a cento metri.
La sanzione (che la legge sulla concorrenza 2017 ha previsto fosse comminata dal MISE in ragione delle competenze al tempo svolte in materia e ora trasferite dal D.L. n. 22/2021 al MITE) è stata fissata entro un minimo di 2.500 euro fino a euro 7.000 euro per ciascun mese di ritardo dal termine previsto per l'iscrizione all'anagrafe e per ciascuna mancata dichiarazione.
Il comma 2 ridetermina la sanzione in misura fissa e pari a 15.000 euro stabilendo che la stessa sia applicata per ciascuna mancata dichiarazione.
La sanzione dunque non viene più comminata in misura variabile rapportata ai mesi di ritardo rispetto al termine previsto per l'iscrizione all'anagrafe (termine comunque ormai scaduto, essendo stato fissato al 24 agosto 2018, in base alla proroga di cui alla dalla legge di bilancio 2018 L. n. 205/2017, articolo 1, comma 1132).
L’articolo 14 reca alcune novelle al Codice dell'ambiente (D.Lgs. 152/2006) relative: alla scelta - da parte delle utenze non domestiche che producono i c.d. rifiuti assimilati agli urbani - di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato (comma 1); ai compiti dell’ARERA (comma 2); nonché all’esclusione, dal novero dei soggetti coinvolti nell’accordo di programma CONAI sui rifiuti di imballaggio, dei gestori delle piattaforme di selezione (comma 3).
Il comma 1 interviene sulla parte della disciplina della tariffa rifiuti che riguarda le utenze non domestiche che producono i c.d. rifiuti assimilati agli urbani.
Il comma in esame modifica infatti il comma 10 dell’art. 238 del Codice dell'ambiente (D.lgs. 152/2006), secondo cui le utenze non domestiche che producono i c.d. rifiuti assimilati agli urbani (vale a dire quella sottocategoria di rifiuti urbani definita dall’art. 183 comma 1, lettera b-ter), punto 2, del Codice)[24] che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico e dimostrano di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi:
- sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti;
- effettuano la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato[25].
Il comma in esame interviene proprio su tale ultima parte della disposizione. Mentre il testo vigente dispone che la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato va fatta per un periodo non inferiore a cinque anni, il nuovo testo previsto dalla norma in commento riduce tale periodo minimo a soli 2 anni.
Viene inoltre soppressa la parte della disposizione vigente ove si fa “salva la possibilità per il gestore del servizio pubblico, dietro richiesta dell'utenza non domestica, di riprendere l'erogazione del servizio anche prima della scadenza quinquennale”.
La norma in esame accoglie l’osservazione formulata dall’AGCM nella segnalazione n. 4143 (pag. 70), ove viene evidenziato che «il d.lgs. 3 settembre 2020, n. 116, ha modificato la definizione dei rifiuti urbani, introducendo in tale categoria la nozione di c.d. "rifiuti simili" merceologicamente a quelli domestici, e riaffermando la piena libertà delle attività economiche che producono rifiuti "simili" di affidarne la raccolta e l'avvio a recupero e/o a smaltimento al di fuori della gestione del servizio pubblico. Tanto premesso, si osserva che la nuova formulazione del comma 10 dell'art. 238 del TUA (Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani), nel prevedere in questi casi l'esclusione dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti", stabilisce la necessità di stipulare con il gestore pubblico o con l'operatore privato prescelto un accordo contrattuale con una durata minima quinquennale stabilita ope legis. Tale previsione appare tuttavia discriminatoria per i gestori privati, in quanto, mentre è possibile rientrare nella gestione pubblica in ogni momento e, quindi, anche prima del decorso dei cinque anni, non è consentito il contrario; al fine di non ostacolare la concorrenza tra i diversi operatori (privati e pubblico) del servizio di raccolta e avvio a recupero dei rifiuti estendendo impropriamente la privativa delle gestioni pubbliche, si ritiene quindi necessaria l'eliminazione della durata minima quinquennale dell'accordo».
Il comma 2 integra il testo dell’art. 202 del Codice dell'ambiente (che disciplina l’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti) al fine di inserirvi due nuovi commi (1-bis e 1-ter) che prevedono i seguenti nuovi compiti per l’ARERA (Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente):
§ definizione, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione, di adeguati standard tecnici e qualitativi per lo svolgimento dell’attività di smaltimento e di recupero, procedendo alla verifica in ordine ai livelli minimi di qualità e alla copertura dei costi efficienti (1-bis);
§ richiesta agli operatori di informazioni relative ai costi di gestione, alle caratteristiche dei flussi e a ogni altro elemento idoneo a monitorare le concrete modalità di svolgimento dell’attività di smaltimento e di recupero e la loro incidenza sui corrispettivi applicati all’utenza finale (1-ter).
In proposito, nella relazione illustrativa al testo del disegno di legge presentato al Senato si legge che «con riguardo al perimetro di affidamento del servizio sotto il profilo verticale, si osserva che la nozione di “gestione integrata del servizio” viene spesso utilizzata impropriamente, ampliando il novero delle attività lungo la filiera che vengono ricomprese nella privativa senza verificare l’effettiva sussistenza di un rischio di fallimento di mercato per tali attività. Si tratta, in particolare, della tendenza ad affidare insieme alle attività di raccolta, trasporto e avvio a smaltimento e recupero delle diverse frazioni della raccolta urbana, anche le attività di smaltimento, recupero e riciclo, tipicamente svolte in regime di mercato; ciò anche mediante una impropria attribuzione di titolarità esclusiva in capo al gestore delle suddette frazioni (c.d. monopolizzazione dei mercati concorrenziali a valle). Si modifica, a tal fine, l’articolo 202 del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativo al servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, inserendo due nuovi commi che attribuiscono nuovi compiti all’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA)».
Il comma 3 modifica il comma 5 dell’art. 224 del Codice dell'ambiente ove si prevede la stipula di un accordo di programma su base nazionale tra CONAI e sistemi autonomi e tutti gli operatori del comparto di riferimento (intendendosi, secondo quanto precisato dal testo vigente, i sistemi collettivi operanti e i gestori delle piattaforme di selezione (CSS)), con l'Associazione nazionale Comuni italiani (ANCI), con l'Unione delle province italiane (UPI) o con gli Enti di gestione di Ambito territoriale ottimale.
Tale accordo, secondo l’art. 224, comma 5, stabilisce in particolare:
1. la copertura dei costi di cui all'art. 222, commi 1 e 2, del Codice; vale a dire i costi della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggi che, in base al richiamato comma 2, “sono posti a carico dei produttori e degli utilizzatori nella misura almeno dell'80 per cento”;
2. le modalità di raccolta dei rifiuti da imballaggio ai fini delle attività di riciclaggio e di recupero;
3. gli obblighi e le sanzioni posti a carico delle parti contraenti.
Informazioni sull’accordo vigente sono disponibili sul sito web del CONAI.
La modifica in esame è volta all’esclusione, dal novero dei soggetti coinvolti nell’accordo, dei gestori delle piattaforme di selezione (CSS).
La norma in esame accoglie l’osservazione formulata dall’AGCM nella segnalazione n. 4143 (pag. 71), ove viene ritenuto improprio che l'accordo di programma quadro (o di comparto) introdotto dall’art. 224 del Codice “includa, oltre a tutti i sistemi di compliance (consorzi di filiera, CORIPET ed eventuali nuovi consorzi), l'ANCI, l'Unione delle province italiane (UPI), gli Enti di gestione di Ambito territoriale ottimale, anche le associazioni rappresentative dei centri di selezione (CSS). Ciò in quanto detti soggetti sono in competizione tra loro per la fornitura dei propri servizi ai sistemi di compliance o direttamente ai gestori della raccolta, e non risulta opportuno, quindi, che vi sia alcuna definizione concordata delle condizioni economiche e/o di servizio applicate”.
Si ricorda infine che la relazione illustrativa al testo del disegno di legge presentato al Senato sottolinea che l’articolo in esame è finalizzato al perseguimento dell’obiettivo, indicato nel PNRR (v. pag. 81), di introdurre “norme finalizzate a rafforzare l’efficienza e il dinamismo concorrenziale nel settore della gestione dei rifiuti, nella prospettiva di colmare le attuali lacune impiantistiche”.
La lettera a) del comma 1 dell’articolo 15 modifica la disciplina sull’accreditamento istituzionale - da parte della regione - relativo a nuove strutture sanitarie o sociosanitarie, pubbliche o private, o a nuove attività in strutture preesistenti; tale novella, tra l’altro, sopprime la possibilità di un accreditamento provvisorio; i criteri per l'accreditamento indicati dalla novella sono stati integrati dalla riformulazione operata dal Senato. La successiva lettera b) modifica la disciplina sulla selezione dei soggetti privati - strutture sanitarie e socio-sanitarie, professionisti sanitari, organizzazioni autorizzate per l'erogazione di cure domiciliari -, titolari del suddetto accreditamento, ai fini della stipulazione degli accordi contrattuali con il Servizio sanitario nazionale; la novella, tra l’altro, introduce la previsione di una selezione periodica, basata su criteri oggettivi, indicati in un avviso della regione - criteri in ogni caso conformi ai princìpi posti dalla medesima novella, come integrati dalla riformulazione operata dal Senato -. La novella di cui alla lettera c) - lettera inserita dal Senato - specifica che il mancato adempimento, nel termine indicato dalla relativa disciplina, degli obblighi di alimentazione del fascicolo sanitario elettronico (FSE) costituisce grave inadempimento degli obblighi assunti mediante la stipulazione dell'accordo (tra il Servizio sanitario e una struttura pubblica o privata). La novella di cui alla lettera d) - lettera introdotta dal Senato - reca alcune norme in materia di sanità integrativa, con riferimento alle prestazioni che possono essere erogate da parte dei fondi integrativi in senso stretto del Servizio sanitario nazionale - cosiddetti fondi doc -, all'istituzione dell'osservatorio sulle varie forme di sanità integrativa e al monitoraggio da parte del Ministero della salute sulle medesime forme. Il comma 2 integra la disciplina sugli obblighi di pubblicazione, sul proprio sito internet istituzionale, relativi agli enti, aziende e strutture, pubblici e privati, che erogano prestazioni con accreditamento istituzionale da parte del Servizio sanitario nazionale; la novella richiede la pubblicazione anche dei bilanci certificati e dei dati sugli aspetti qualitativi e quantitativi dei servizi erogati e sull'attività medica svolta.
La novella di cui alla lettera a) del comma 1[26] prevede che, nel caso di richiesta alla regione di accreditamento istituzionale da parte di nuove strutture sanitarie o sociosanitarie, pubbliche o private, o relativa all'avvio di nuove attività in strutture preesistenti, l'accreditamento possa essere concesso in base alla qualità e ai volumi dei servizi da erogare e ai risultati dell'attività eventualmente già svolta, tenuto altresì conto degli obiettivi di sicurezza delle prestazioni sanitarie, nonché, come aggiunto dal Senato, degli esiti del controllo e del monitoraggio per la valutazione delle attività erogate in termini di qualità, sicurezza ed appropriatezza; le modalità relative al controllo e al monitoraggio sono definite con decreto del Ministro della salute, da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa intesa sancita in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome - riguardo a tale intesa viene esclusa la possibilità della procedura sostitutiva (della medesima intesa) da parte del Consiglio dei ministri[27] -. In base alla presente novella di cui alla lettera a), si sopprime la previsione che, per le richieste in oggetto, l’accreditamento possa essere concesso, in via provvisoria, per il tempo necessario alla verifica del volume di attività svolto e della qualità dei suoi risultati[28].
La novella di cui al numero 1) della successiva lettera b)[29] introduce la previsione che i soggetti privati - strutture sanitarie e socio-sanitarie, professionisti sanitari, organizzazioni autorizzate per l'erogazione di cure domiciliari -, titolari del suddetto accreditamento, siano individuati dalla regione o dall’azienda sanitaria locale, ai fini della stipulazione degli accordi contrattuali, mediante procedure trasparenti, eque e non discriminatorie, previa pubblicazione, da parte delle regioni, di un avviso contenente criteri oggettivi di selezione, i quali devono far riferimento, in via prioritaria, alla qualità delle specifiche prestazioni sanitarie da erogare. Si prevede altresì che la selezione in esame sia effettuata periodicamente, tenuto conto della programmazione sanitaria regionale e sulla base di verifiche relative sia alle eventuali esigenze di razionalizzazione della rete con i soggetti convenzionati sia (per i soggetti già titolari di accordi contrattuali) all'attività svolta. Una norma inserita dal Senato prevede che si valuti, al fine in esame, anche se il soggetto abbia provveduto all'alimentazione, in maniera continuativa e tempestiva, del fascicolo sanitario elettronico (FSE), ai sensi e secondo le modalità della richiamata disciplina in materia[30], e che si tenga conto degli esiti del controllo e del monitoraggio - svolti secondo le modalità definite dal suddetto decreto ministeriale - per la valutazione delle attività erogate. La novella di cui alla lettera c)[31] - lettera inserita dal Senato - specifica che il mancato adempimento, nel termine indicato dalla relativa disciplina[32], degli obblighi di alimentazione del fascicolo sanitario elettronico costituisce grave inadempimento degli obblighi assunti mediante la stipulazione dell'accordo (tra il Servizio sanitario e una struttura pubblica o privata)[33]; a quest'ultimo riguardo, si valuti l'opportunità di sostituire il riferimento ai "contratti" e agli "accordi contrattuali" con il riferimento agli "accordi" e agli "accordi contrattuali".
Il numero 2) della lettera b) reca una novella di coordinamento[34] in relazione a quella di cui al numero 1) della stessa lettera. La novella di coordinamento - oltre ad inserire un richiamo interno - sopprime il riferimento alle valutazioni comparative della qualità e dei costi, come fase propedeutica alla stipulazione degli accordi da parte delle regioni o delle aziende sanitarie locali - fase che viene ora sostituita dalle suddette procedure di selezione periodica (da svolgersi in base ai criteri sopra menzionati) -.
Si ricorda, in via generale, che l’accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, dei professionisti sanitari e delle organizzazioni, pubbliche e private, autorizzate per l'erogazione di cure domiciliari è sospeso[35] in caso di mancata stipulazione di accordi (nel caso dei summenzionati soggetti pubblici) o di accordi contrattuali (nel caso dei summenzionati soggetti privati)[36].
La novella di cui alla lettera d) del presente comma 1 - lettera introdotta dal Senato - reca norme in materia di sanità integrativa, mediante alcune novelle nell'articolo 9 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni.
In particolare, il numero 1) inserisce alcune prestazioni nell'ambito di quelle che possono essere erogate da parte dei fondi integrativi in senso stretto del Servizio sanitario nazionale - cosiddetti fondi doc, di cui al suddetto articolo 9 del D.Lgs. n. 502 del 1992 -; si ricorda che tali fondi costituiscono una delle forme di sanità integrativa riconosciute dall'ordinamento; riguardo ad un breve quadro della disciplina vigente in materia di sanità integrativa, si rinvia al box alla fine della presente scheda -. Il numero 1) in esame introduce le seguenti prestazioni[37] nell'ambito di quelle che possono essere erogate dai suddetti fondi doc: le prestazioni di prevenzione primaria e secondaria che non siano a carico del Servizio sanitario nazionale; le prestazioni cosiddette di long term care (LTC), sempre che non si tratti di tipologie di prestazione previste anche a carico del Servizio sanitario nazionale (si ricorda che le prestazioni LTC consistono in complessi di interventi sanitari e assistenziali in favore di soggetti che non sono in grado di svolgere una vita autonoma); le prestazioni sociali intese al soddisfacimento dei bisogni del paziente cronico e che non siano a carico del Servizio sanitario nazionale (viene esplicitamente fatta salva la disposizione di cui all'articolo 26 della L. 8 novembre 2000, n. 328, la quale consente l'erogazione, da parte dei fondi in esame, di prestazioni sociali nell'ambito di programmi assistenziali intensivi e prolungati, intesi a garantire la permanenza a domicilio ovvero in strutture residenziali o semiresidenziali delle persone anziane e disabili).
La novella di cui al successivo numero 2) modifica la disciplina che prevede l'istituzione dell'osservatorio dei fondi sanitari integrativi doc del Servizio sanitario nazionale (osservatorio non ancora costituito); la novella specifica che l'osservatorio ha la finalità di studio e ricerca sul complesso delle attività delle forme di assistenza complementare - quindi, non solo sui fondi sanitari integrativi doc - e demanda la definizione dell'organizzazione e del funzionamento dell'osservatorio ad un apposito decreto del Ministro della salute (la norma vigente rinvia invece alle determinazioni del regolamento governativo in materia di fondi sanitari integrativi doc, regolamento che non è stato ancora emanato).
La novella di cui al numero 3) attribuisce al Ministero della salute la funzione di monitoraggio delle attività svolte sia dai suddetti fondi sanitari integrativi doc sia dagli enti e casse aventi esclusivamente finalità assistenziale (in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale), di cui all'articolo 51, comma 2, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni (anche riguardo a tali enti e casse, si rinvia al box alla fine della presente scheda). Si prevede che, a tal fine, ciascun soggetto interessato invii periodicamente al Ministero della salute i dati aggregati relativi al numero e alle tipologie dei propri iscritti, al numero e alle tipologie dei beneficiari delle prestazioni, ai volumi e alle tipologie di prestazioni complessivamente erogate - distinte tra prestazioni a carattere sanitario, prestazioni a carattere socio-sanitario, prestazioni a carattere sociale ed altre tipologie - nelle forme indicate con apposito decreto del Ministro della salute.
La novella di cui al comma 2[38] stabilisce che gli enti, le aziende e le strutture, pubblici e privati, che erogano prestazioni con accreditamento istituzionale da parte del Servizio sanitario nazionale[39], sono tenuti a pubblicare sul proprio sito internet istituzionale i bilanci - certificati, come specificato dal Senato - e i dati sugli aspetti qualitativi e quantitativi dei servizi erogati e sull'attività medica svolta. Tale disposizione si aggiunge a quella vigente, secondo la quale i soggetti summenzionati sono tenuti ad indicare sul proprio sito internet istituzionale, in un’apposita sezione denominata "Liste di attesa", i criteri di formazione delle medesime liste, i tempi di attesa previsti e i tempi medi effettivi per ciascuna tipologia di prestazione erogata (e rientrante nell’ambito del suddetto accreditamento).
L’introduzione delle novelle corrispondenti al testo originario del presente articolo 15 è stata auspicata nella Segnalazione al Governo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 22 marzo 2021 (Atto di Segnalazione 1730)[40]. Un’altra modifica ritenuta opportuna nella suddetta Segnalazione, relativa alla soppressione - nell’ambito della procedura di autorizzazione della realizzazione di strutture sanitarie e sociosanitarie - della valutazione, da parte della regione, del fabbisogno complessivo e della localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale[41], non è presente nel disegno di legge in esame. Si ricorda che la suddetta procedura di autorizzazione prescinde ed è antecedente ad eventuali accreditamenti ed accordi.
Il comma 3 - inserito dal Senato - reca le clausole di invarianza degli oneri di finanza pubblica.
I fondi integrativi in senso stretto del Servizio sanitario nazionale - cosiddetti fondi doc -, di cui all'articolo 9 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, costituiscono attualmente solo una quota molta limitata delle forme esistenti di sanità integrativa. La suddetta tipologia è contraddistinta dalla condizione che essa può erogare esclusivamente prestazioni aggiuntive, non comprese nei livelli essenziali di assistenza, o coprire la quota a carico dell'assistito delle prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale comprese nei livelli essenziali di assistenza (inclusi, tra gli altri, gli oneri per l'accesso alle prestazioni erogate in regime di libera professione intramuraria) e le spese sostenute dall'assistito per le prestazioni socio-sanitarie erogate in strutture accreditate residenziali e semiresidenziali o in forma domiciliare, o erogare prestazioni sociali nell'ambito di programmi assistenziali intensivi e prolungati, intesi a garantire la permanenza a domicilio ovvero in strutture residenziali o semiresidenziali delle persone anziane e disabili.
L'altra forma sanitaria integrativa riconosciuta specificamente dall'ordinamento rientra nella categoria degli enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale, categoria contemplata dall'articolo 51, comma 2, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, con riferimento ai contributi di assistenza sanitaria versati (dal datore di lavoro o dal lavoratore) in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale. L'applicazione dei benefici fiscali a tale forma sanitaria integrativa è riconosciuta anche qualora essa copra le spese sostenute per prestazioni sanitarie e socio-sanitarie erogabili gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale; tuttavia, il D.M. 31 marzo 2008 ed il D.M. 27 ottobre 2009 pongono la condizione che, ogni anno, una quota non inferiore al 20 per cento dell'ammontare complessivo delle risorse destinate alla copertura delle prestazioni garantite ai propri assistiti sia erogata per prestazioni di assistenza odontoiatrica o di assistenza socio-sanitaria, come ivi definite, ovvero di prestazioni (non comprese nei livelli essenziali di assistenza) intese al recupero della salute di soggetti temporaneamente inabilitati da malattia o infortunio.
Il beneficio fiscale della deducibilità dei contributi versati alle forme sanitarie integrative è determinato (da parte del citato testo unico delle imposte sui redditi) in termini identici per le due tipologie summenzionate (peraltro, l'articolo 1, comma 184-bis, della L. 28 dicembre 2015, n. 208, e successive modificazioni, ha previsto l'esclusione da ogni limite di deducibilità per i premi di produttività che i lavoratori dipendenti privati scelgano di versare agli enti o casse summenzionati a titolo di contributo di assistenza sanitaria). Da tale assetto deriva, tuttavia, che i soggetti i quali aderiscano ad un fondo sanitario integrativo in forma individuale (in quanto pensionati, lavoratori autonomi, liberi professionisti od inoccupati) non possono beneficiare di alcuna deducibilità fiscale, a meno che il soggetto non sia iscritto ad uno dei pochi fondi doc esistenti.
Entrambe le forme sanitarie integrative summenzionate devono inviare ogni anno all'Anagrafe dei Fondi sanitari determinate comunicazioni e documentazione; l'Anagrafe è gestita dalla Direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute ed essa è accessibile solo da parte dell'Agenzia delle entrate (ai fini dei controlli).
Un'ulteriore, significativa forma sanitaria integrativa è costituita dalle tutele in materia offerte dagli enti e casse di diritto privato che gestiscono forme di previdenza obbligatoria. Per quanto riguarda tali enti e casse, le tutele sanitarie si articolano più di frequente in: una copertura gratuita per alcune fattispecie, copertura limitata, molto spesso, agli iscritti e pensionati ancora in attività e di cui in genere possono usufruire, con il pagamento di un premio, anche i relativi familiari, nonché i pensionati non più attivi (questi ultimi, infatti, come detto, sono molto spesso esclusi dalla copertura gratuita); un'ulteriore copertura per altre prestazioni, da attivare mediante adesione e pagamento di un premio da parte dell'iscritto, con eventuale estensione al proprio nucleo familiare (in alcuni regimi, questa seconda forma integrativa non è consentita anche per i pensionati); la corresponsione di un indennizzo permanente in favore degli iscritti per i quali subentri una condizione di non autosufficienza (in alcuni casi, vi è un limite massimo di età oltre il quale cessa la tutela per l'iscritto, sempre che non sussista già la condizione di non autosufficienza, e, inoltre, in alcuni regimi, anche il pensionato può aderire a tale tutela, mediante il pagamento di un premio).
I contributi di assistenza sanitaria versati ai suddetti regimi dai liberi professionisti, come accennato, non sono, in linea di massima, deducibili ai fini fiscali.
Articolo 16
(Obblighi di detenzione di medicinali a carico dei grossisti)
L’articolo 16 modifica la disciplina sull’obbligo, a carico dei grossisti di farmaci, di detenzione di un assortimento relativo ai medicinali oggetto di autorizzazione all’immissione in commercio ed ammessi a rimborso a carico del Servizio sanitario nazionale e ad alcuni medicinali omeopatici. La novella, tra l’altro, sopprime la percentuale fissa del novanta per cento (relativa all’ampiezza minima dell’assortimento).
Più in particolare, la novella[42] prevede che i grossisti siano tenuti a detenere un assortimento dei medicinali oggetto di autorizzazione all’immissione in commercio ed ammessi a rimborso a carico del Servizio sanitario nazionale, inclusi i medicinali generici[43], nonché dei medicinali omeopatici rientranti in uno specifico regime di autorizzazione[44], che sia tale da rispondere alle esigenze del territorio a cui sia riferita l'autorizzazione alla distribuzione all'ingrosso[45]; tali esigenze sono valutate dall'autorità competente per il rilascio dell'autorizzazione (alla distribuzione all'ingrosso di medicinali)[46] sulla base degli indirizzi vincolanti forniti dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).
La norma vigente prevede invece che i grossisti siano tenuti a detenere almeno il novanta per cento dei medicinali oggetto di autorizzazione all’immissione in commercio ed ammessi a rimborso a carico del Servizio sanitario nazionale, nonché dei medicinali omeopatici rientranti nel suddetto specifico regime di autorizzazione, e che tale percentuale debba essere rispettata anche nell'ambito dei soli medicinali generici.
Riguardo ai medicinali non ammessi a rimborso - che, come detto, restano esclusi dall’obbligo in esame -, la novella conferma la norma che garantisce il diritto, per il rivenditore al dettaglio, di rifornirsi presso altro grossista.
Resta fermo che[47]:
- il grossista è in ogni caso tenuto a detenere i medicinali di cui alla tabella n. 2 allegata alla Farmacopea Ufficiale della Repubblica Italiana (tabella che elenca le sostanze medicinali la cui detenzione da parte delle farmacie è obbligatoria);
- gli obblighi di detenzione in esame non si applicano ai soggetti che importano medicinali o distribuiscono esclusivamente sostanze attive o gas medicinali, medicinali utilizzabili soltanto in ambiente ospedaliero o in strutture ad esso assimilabili, medicinali utilizzabili esclusivamente dallo specialista, medicinali non soggetti a prescrizione e medicinali di cui il medesimo soggetto detenga l'autorizzazione all’immissione in commercio o la concessione di vendita.
Si ricorda che la revisione dell’obbligo di assortimento in oggetto, ai fini dell’introduzione di soglie flessibili, è stata auspicata anche dalla Segnalazione al Governo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 22 marzo 2021 (Atto di Segnalazione 1730)[48].
Articolo 17
(Rimborsabilità di farmaci equivalenti)
Il comma 1 dell’articolo 17 abroga la norma[49] che esclude la possibilità di inserimento con decorrenza anteriore alla data di scadenza della tutela brevettuale - relativa al medicinale di riferimento - dei medicinali equivalenti nell’ambito dei medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale. I commi 2 e 3 - introdotti dal Senato - esplicitano gli effetti già compresi implicitamente nel testo originario (il quale constava della sola norma abrogatoria). Viene dunque ammesso esplicitamente che i medicinali in oggetto siano eventualmente classificati a carico del Servizio sanitario nazionale prima della suddetta data di scadenza, con possibilità di applicazione del regime di rimborsabilità già dal giorno successivo a tale data.
Più in particolare, l'abrogazione dell’attuale norma (relativa al cosiddetto patent linkage) consente che i medicinali in oggetto siano eventualmente classificati a carico del Servizio sanitario nazionale - in sede di aggiornamento del prontuario farmaceutico nazionale - prima della suddetta data di scadenza, con conseguente possibilità di applicazione del regime di rimborsabilità già dal giorno successivo a tale data nonché con possibilità di svolgimento dell’attività, da parte delle aziende interessate, sulla base di un quadro definito con certezza; resta fermo che tali medicinali (benché già prodotti ed oggetto di stoccaggio) non possono essere ceduti (o somministrati) agli assistiti prima della suddetta data.
L’abrogazione in esame è stata auspicata nella Segnalazione al Governo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 22 marzo 2021 (Atto di Segnalazione 1730)[50].
Si ricorda che la tutela brevettuale del medicinale di riferimento può derivare da brevetto o da certificato di protezione complementare (la data di scadenza è resa pubblica dal Ministero dello sviluppo economico).
Si ricorda altresì che all'interno della categoria generale dei farmaci equivalenti figurano sia medicinali ammessi a rimborso a carico del Servizio sanitario nazionale sia altri farmaci la cui somministrazione è subordinata a prescrizione medica. Per la nozione di equivalenza, cfr. l’articolo 7, comma 1, del D.L. 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla L. 16 novembre 2001, n. 405, e gli articoli 1 e 1-bis del D.L. 27 maggio 2005, n. 87, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 luglio 2005, n. 149, e successive modificazioni.
Il comma 2 del presente articolo 17 esplicita che, in conseguenza della norma abrogatoria di cui al comma 1, i produttori dei farmaci equivalenti, al fine dei possibili effetti sopra descritti, possono presentare all'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), prima della scadenza del brevetto o del certificato di protezione complementare, istanza di rilascio dell'autorizzazione all'immissione in commercio (AIC), nonché istanza per la determinazione del prezzo e la classificazione ai fini della rimborsabilità del medicinale.
Articolo 18
(Medicinali in attesa di definizione del prezzo)
L’articolo 18 introduce[51], con riferimento ad alcune fattispecie di medicinali, una disciplina specifica, di natura suppletiva, per l’inclusione degli stessi nell’elenco dei medicinali rimborsabili (da parte del Servizio sanitario nazionale), con la connessa determinazione di un prezzo di rimborso. Tale disciplina viene posta per l’ipotesi di mancata presentazione della domanda di rimborsabilità da parte dell’azienda titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio e concerne esclusivamente: i medicinali orfani[52]; altri farmaci di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale, previsti in una specifica deliberazione dell’Azienda Italiana del Farmaco (AIFA), adottata su proposta della propria Commissione consultiva tecnico-scientifica; i medicinali utilizzabili esclusivamente in ambiente ospedaliero o in strutture ad esso assimilabili.
Più in particolare, la novella di cui al comma 1, lettera b), modifica, per i farmaci summenzionati, la disciplina dell’ipotesi di mancata presentazione, da parte dell’azienda titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio, di una domanda di classificazione del medicinale ai fini della rimborsabilità (a carico del Servizio sanitario nazionale). La novella prevede che, decorso inutilmente il termine di trenta giorni, decorrente dal relativo sollecito (alla presentazione della domanda) da parte dell’AIFA, sia applicato il prezzo più basso all’interno del quarto livello del sistema di classificazione anatomico-terapeutico-chimico (ATC)[53]. La norma vigente prevede invece che, decorso inutilmente il suddetto termine di trenta giorni, il farmaco permanga in regime di non rimborsabilità (con espunzione del medesimo medicinale dalla lista dei farmaci non ancora valutati ai fini della rimborsabilità e l’inserimento nell’elenco ordinario dei farmaci non rimborsabili).
La novella - come indicano le relazioni illustrativa e tecnica dell'originario disegno di legge[54] - è intesa a contrastare pratiche dilatorie, attuate talora dalle aziende al fine di mantenere un prezzo libero di mercato (non rimborsabile), anziché un prezzo (a carico del Servizio sanitario nazionale) definito in base alla procedura di negoziazione. L’esigenza di una revisione normativa inerente alle situazioni di prezzo (di medicinale) non ancora negoziato è stata auspicata anche nella Segnalazione al Governo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 22 marzo 2021 (Atto di Segnalazione 1730)[55].
Resta fermo che - con riferimento ai farmaci summenzionati - l’AIFA provvede al sollecito suddetto nell’ipotesi di mancata presentazione della domanda entro trenta giorni dal rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio e che, qualora decorra inutilmente il successivo termine di trenta giorni dal sollecito, l’AIFA provvede alla relativa informativa sul proprio sito internet istituzionale (informativa che, nel contesto della novella, concerne anche il prezzo stabilito ai sensi della stessa).
La novella di cui al comma 1, lettera a), costituisce un intervento di coordinamento con la novella di cui alla suddetta lettera b).
Articolo 19
(Revisione del sistema di produzione
dei medicinali emoderivati da plasma italiano)
L’articolo 19 interviene sulla disciplina relativa al sistema di produzione dei medicinali emoderivati, individuando i principi che fondano il sistema di plasmaderivazione italiano basati sulla donazione volontaria e gratuità del sangue e definendo quali indennizzi ristorativi sono compatibili con tale sistema. In particolare viene chiarito che i medicinali emoderivati prodotti dal plasma raccolto dai servizi trasfusionali italiani sono destinati al soddisfacimento del fabbisogno nazionale e sono utilizzati prioritariamente rispetto agli equivalenti commerciali. Viene inoltre specificato che il plasma raccolto deve provenire esclusivamente dalla donazione volontaria, che sia anche periodica, responsabile, anonima e gratuita, del sangue umano e dei suoi componenti (comma 1).
Per la lavorazione del plasma nazionale, si considera necessario stipulare apposite convenzioni tra le regioni o le province autonome e le aziende produttrici di medicinali emoderivati, sulla base di uno schema tipo definito con decreto del Ministro della salute, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome (comma 2).
Sono inoltre definiti specifici requisiti di accesso per le aziende produttrici di medicinali emoderivati alla lavorazione del plasma nazionale tramite le convenzioni, tra cui l’ubicazione degli stabilimenti di lavorazione, frazionamento e produzione in Stati membri dell’Unione europea o in Stati terzi con cui sono previsti accordi di mutuo riconoscimento con l’Unione europea, in cui il plasma raccolto sul proprio territorio derivi soltanto da donatori volontari non remunerati (comma 3).
Le aziende autorizzate alla stipula delle convenzioni devono essere inserite in un apposito elenco approvato con decreto del Ministro della salute (comma 4), specificando la documentazione da presentare ai fini dell’inserimento in tale elenco delle aziende autorizzate alla stipula delle convenzioni e rinviando ad un decreto del Ministro della salute, la definizione delle modalità di presentazione e di valutazione, da parte dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), delle istanze presentate (comma 5).
Presso le aziende convenzionate deve essere conservata specifica documentazione da esibire a richiesta dell'autorità sanitaria nazionale o regionale, al fine di individuare le donazioni di plasma da cui il prodotto finito è derivato (comma 6).
I lotti di medicinali emoderivati da plasma nazionale, prima della loro restituzione alle Regioni e alle province autonome, fornitrici del plasma, devono essere sottoposti, con esito favorevole, al controllo di Stato, secondo le procedure europee, in un laboratorio della rete europea (comma 7). Le aziende convenzionate devono documentare, per ogni lotto di produzione di emoderivati, compresi gli intermedi, le regioni e le province autonome di provenienza del plasma utilizzato, il rispetto delle buone pratiche di fabbricazione e di tutte le altre norme stabilite dall'Unione europea, nonché l'esito del controllo di Stato (comma 8).
La norma individua le risorse finanziarie (comma 9, v. avanti) necessarie a garantire l’incentivazione alla donazione di plasma, prevedendo che siano definiti dal Ministero della salute, sentiti il Centro Nazionale Sangue e la Conferenza Stato-regioni, programmi finalizzati al raggiungimento dell’autosufficienza nella produzione di medicinali emoderivati prodotti da plasma nazionale derivante dalla donazione volontaria, periodica, responsabile, anonima e gratuita.
Inoltre, al fine di promuovere la donazione volontaria e gratuita di sangue e di emocomponenti, viene autorizzata la spesa di 1 milione di euro annui a decorrere dal 2022, per la realizzazione da parte del Ministero della salute, in collaborazione con il Centro Nazionale Sangue e le associazioni e le federazioni di donatori volontari di sangue, di iniziative, campagne e progetti di comunicazione e informazione istituzionale (comma 10).
Alla copertura degli oneri, complessivamente previsti in 7 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2022, si provvede mediante utilizzo delle risorse destinate alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale (comma 11).
In base alla disciplina transitoria (comma 12) si stabilisce che, nelle more dell’adozione dei decreti di cui ai commi 2, 4 e 5 in attuazione di quanto previsto dalle norme in esame, devono continuare a trovare applicazione le convenzioni stipulate anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge mentre ove necessario per garantire la continuità delle prestazioni assistenziali devono essere stipulate nuove convenzioni.
L’articolo 19 dispone pertanto una revisione della normativa vigente in materia di emoderivati, modificando l’attuale disciplina prevista dall’articolo 15 della legge n. 219 del 2005[56]: si tratta di una riformulazione dell’attuale cornice normativa del sistema di plasmaderivazione italiano.
In particolare vengono richiamati i principi fondanti tale sistema nazionale, tra cui la gratuità del sangue, che non può essere fonte di profitto, bensì – come precisato con una modifica proposta in sede referente - donazione volontaria, periodica, responsabile, anonima e gratuita del sangue e dei suoi componenti, al fine di raggiungere l’autosufficienza nazionale.
Come indicato dalla relazione illustrativa alla norma, il citato articolo 15 che viene qui modificato è già stato oggetto di censura da parte della Commissione europea (EU-PILOT 7931/15/GROW) per aver introdotto requisiti stringenti per la selezione dei centri di frazionamento e produzione dei derivati del plasma, basati sul possesso di stabilimenti idonei ad effettuare il processo di frazionamento che si trovano nei Paesi dell’Unione europea in cui il plasma raccolto non sia oggetto di cessione a fini di lucro. Pertanto, la finalità di questa revisione è garantire l’accesso al mercato della lavorazione del plasma italiano che viene raccolto da donatori non remunerati, oltre che alle imprese, mediante la stipula di apposite convenzioni con le regioni e province autonome, con stabilimenti produttivi in Paesi dell’Unione europea dove la cessione a fini di lucro del plasma, a seguito di raccolta, viene consentita senza ostacoli.
A tal fine, non si considera remunerazione il rimborso delle spese sostenute dal donatore o altre forme di indennizzo “ristorativo” ma non lucrativo, come il check up gratuito, piccoli omaggi, spuntini, buoni pasto, rimborsi per spese di viaggio, corresponsione del guadagno giornaliero non incassato, congedi speciali per l'assenza da lavoro nel settore pubblico, e che in tal modo, pertanto, non inficia la gratuità della donazione, ma è da considerarsi compatibile con la medesima.
Al comma 1, si chiarisce che i medicinali emoderivati prodotti dal plasma raccolto dai servizi trasfusionali italiani sono destinati al soddisfacimento del fabbisogno nazionale e sono utilizzati prioritariamente rispetto agli equivalenti commerciali, nell’ottica della piena valorizzazione del gesto del dono del sangue e dei suoi componenti, tenendo conto della continuità terapeutica di specifiche categorie di assistiti.
Il plasma raccolto deve provenire esclusivamente dalla donazione volontaria - che abbia inoltre i connotati dell’essere periodica, responsabile, anonima e gratuita - del sangue umano e dei suoi componenti. La lavorazione del plasma raccolto dai servizi trasfusionali italiani per la produzione di medicinali emoderivati dotati dell’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) in Italia, è necessaria la stipula di apposite convenzioni tra le regioni o le province autonome (singolarmente o consorziandosi tra loro) e le aziende produttrici di medicinali emoderivati, sulla base di uno schema tipo definito, ai sensi del successivo comma 4, con decreto del Ministro della salute, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e province autonome (comma 2).
Detta disposizione è prevista in coerenza con i princìpi di cui agli articoli 4 (gratuità del sangue e dei suoi prodotti) e 7, comma 1 (riconoscimento della funzione civica e sociale e dei valori umani e solidaristici che si esprimono nella donazione del sangue). Lo schema tipo di convenzione deve tenere conto dei princìpi strategici per l’autosufficienza nazionale di cui all’articolo 14 che prevede un programma annuale per l’autosufficienza nazionale, prevedendo adeguati livelli di raccolta del plasma e un razionale e appropriato utilizzo dei prodotti emoderivati e degli intermedi derivanti dalla lavorazione del plasma nazionale, anche in un’ottica di compensazione interregionale. Le aziende devono garantire che i medicinali emoderivati oggetto delle convenzioni siano prodotti esclusivamente con il plasma nazionale.
In base al programma annuale per l’autosufficienza nazionale di cui all’articolo 14, l'autosufficienza del sangue e dei suoi derivati costituisce un obiettivo nazionale finalizzato a garantire a tutti i cittadini uguali condizioni di qualità e sicurezza della terapia trasfusionale. Considerato che la citata legge n. 219 del 2005 riconosce la funzione sovraregionale e sovraziendale dell'autosufficienza, devono essere individuati specifici meccanismi di programmazione, organizzazione e finanziamento del sistema trasfusionale nazionale. Per tale finalità, il Ministro della salute, sulla base delle indicazioni fornite dal Centro nazionale sangue di cui all'articolo 12 della sopra richiamata legge n. 219 e dalle strutture regionali di coordinamento, in accordo con la Conferenza permanente Stato- Regioni, deve definire annualmente il programma di autosufficienza nazionale, che individua i consumi storici, il fabbisogno reale, i livelli di produzione necessari, le risorse, i criteri di finanziamento del sistema, le modalità organizzative ed i riferimenti tariffari per la compensazione tra le regioni, i livelli di importazione ed esportazione eventualmente necessari[57]. La Conferenza permanente è chiamata a determinare, tenuto conto delle indicazioni del Centro nazionale sangue, il prezzo unitario di cessione delle unità di sangue e dei suoi componenti uniforme su tutto il territorio nazionale, nonché le azioni di incentivazione dell'interscambio tra le aziende sanitarie all'interno della regione e tra le regioni, secondo princìpi che garantiscano un'adeguata copertura dei costi di produzione e trasferimento del sangue e dei suoi prodotti, in coerenza con gli indirizzi adottati in sede di programmazione sanitaria nazionale, con aggiornamento annuale.
Ai fini della stipula delle convenzioni, per l’accesso delle aziende produttrici di medicinali emoderivati alla lavorazione del plasma nazionale tramite le convenzioni, gli stabilimenti di lavorazione, frazionamento e produzione delle aziende devono essere ubicati in Stati membri dell’Unione europea o in Stati terzi con cui sono previsti accordi di mutuo riconoscimento con l’Unione europea, in cui il plasma raccolto sul proprio territorio derivi soltanto da donatori volontari non remunerati (comma 3). Esclusivamente tali stabilimenti sono autorizzati alla lavorazione, al frazionamento del plasma e alla produzione di medicinali emoderivati dalle rispettive autorità nazionali competenti, secondo quanto previsto dalle vigenti disposizioni nazionali e dell’Unione europea.
Con decreto del Ministro della salute, sentiti il Centro nazionale sangue e la Conferenza permanente Stato-Regioni è approvato l’elenco delle aziende autorizzate alla stipula delle predette (comma 4).
Le aziende interessate alla stipula delle convenzioni in esame, presentando al Ministero della salute l’istanza per l’inserimento nell’elenco di cui al comma 4, devono documentare il possesso dei requisiti di cui al comma 3. A tal fine indicano gli stabilimenti interessati alla lavorazione, al frazionamento e alla produzione dei medicinali derivati da plasma nazionale e producono le autorizzazioni alla produzione e le certificazioni rilasciate dalle autorità competenti. Con decreto del Ministro della salute devono essere definite le modalità per la presentazione e per la valutazione, da parte dell’Agenzia italiana del farmaco, delle sopra indicate istanze (comma 5).
In base ai successivi commi 6, 7 e 8 viene in sostanza riproposto, con alcune modifiche formali, quanto previsto dall’attuale articolo 15 del D.Lgs. n. 219 del 2005 in coerenza con la normativa del cd. codice comunitario dei medicinali[58]:
§ presso le aziende convenzionate deve essere conservata specifica documentazione da esibire a richiesta dell'autorità sanitaria nazionale o regionale, al fine di individuare le donazioni di plasma da cui il prodotto finito è derivato (comma 6);
§ i lotti di medicinali emoderivati da plasma nazionale, prima della loro restituzione alle Regioni e alle Province autonome, fornitrici del plasma, devono essere sottoposti, con esito favorevole, al controllo di Stato, secondo le procedure europee, in un laboratorio della rete europea (comma 7), cd. General european Official medicines control laboratories (OMCL) network - GEON;
In proposito, la Commissione UE e il Consiglio d'Europa hanno deciso il 26 maggio 1994 di creare una rete di laboratori ufficiali di controllo dei medicinali (OMCL) per definire una rete di collaborazione nel campo del controllo di qualità dei medicinali commercializzati per uso umano e veterinario ed evitare in tal modo duplicazione del lavoro, condividere tecnologie all'avanguardia e a procedure analitiche selettive.
§ le aziende che stipulano le convenzioni devono documentare, per ogni lotto di pr oduzione di emoderivati, compresi quelli intermedi, le Regioni e le province autonome di provenienza del plasma utilizzato, il rispetto delle buone pratiche di fabbricazione e di tutte le altre norme stabilite dall'Unione europea, nonché l'esito del controllo dello Stato (comma 8);
Il comma 9 individua le risorse finanziarie necessarie a garantire l’incentivazione alla donazione di plasma, prevedendo che siano definiti dal Ministero della salute, sentiti il Centro Nazionale Sangue e la Conferenza Stato-Regioni, programmi finalizzati al raggiungimento dell’autosufficienza nella produzione di medicinali emoderivati prodotti da plasma nazionale derivante dalla donazione volontaria, periodica, responsabile, anonima e gratuita. Il Ministero della salute definisce tali programmi nell’esercizio delle funzioni di cui alla legge n. 219 del 2005 in commento, ed in particolare:
§ nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 10, comma 2, lettera i), che assegna, al Ministero della salute, tra le competenze ad esso attribuite nello svolgimento dei compiti di indirizzo e programmazione del settore trasfusionale, l’individuazione, in accordo con le associazioni di volontariato del sangue, di un programma nazionale di iniziative per la razionalizzazione ed il rafforzamento delle attività trasfusionali;
§ nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 14, per la definizione del programma annuale per l’autosufficienza nazionale.
Per il perseguimento delle predette finalità viene autorizzata una spesa di 6 milioni di euro annui a decorrere dal 2022 per interventi di miglioramento organizzativo delle strutture dedicate alla raccolta, alla qualificazione e alla conservazione del plasma nazionale destinato alla produzione di medicinali emoderivati.
Inoltre, il comma 10, al fine di promuovere la donazione volontaria e gratuita di sangue e di emocomponenti, autorizza la spesa di 1 milione di euro annui a decorrere dal 2022, per la realizzazione da parte del Ministero della salute, in collaborazione con il Centro Nazionale Sangue e le associazioni e le federazioni di donatori volontari di sangue, di iniziative, campagne e progetti di comunicazione e informazione istituzionale.
Il comma 11 individua la copertura degli oneri previsti ai precedenti commi 9 e 10, pari a complessivi 7 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2022, mediante utilizzo delle risorse destinate alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
Si ricorda che in base a tale norma il CIPE, su proposta del Ministro della salute, d'intesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni può vincolare quote del Fondo sanitario nazionale alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, con priorità, tra gli altri, per progetti finalizzati alla prevenzione, e in particolare alla prevenzione delle malattie ereditarie, nonché alla realizzazione degli obiettivi definiti dal Patto per la salute purché relativi al miglioramento dell'erogazione dei LEA.
Il comma 12 definisce la disciplina transitoria, stabilendo che nelle more dell’adozione dei decreti di cui ai commi 2, 4 e 5 in attuazione di quanto previsto dal presente articolo, continuano a trovare applicazione le convenzioni stipulate prima della data di entrata in vigore della presente legge e sono stipulate nuove convenzioni, qualora necessario per garantire la continuità delle prestazioni assistenziali.
Di seguito si riporta la tabella di confronto tra il testo dell’articolo 15 della legge n. 219 del 2005 Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati e il testo modificato dalla proposta di legge in esame.
Articolo 15 |
Articolo 15 |
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1. I medicinali emoderivati prodotti dal plasma raccolto dai servizi trasfusionali italiani, proveniente esclusivamente dalla donazione volontaria, periodica, responsabile, anonima e gratuita del sangue umano e dei suoi componenti, sono destinati al soddisfacimento del fabbisogno nazionale e, nell’ottica della piena valorizzazione del gesto del dono del sangue e dei suoi componenti, sono utilizzati prioritariamente rispetto agli equivalenti commerciali, tenendo conto della continuità terapeutica di specifiche categorie di assistiti.
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2. In coerenza con i princìpi di cui agli articoli 4 e 7, comma 1, per la lavorazione del plasma raccolto dai servizi trasfusionali italiani per la produzione di medicinali emoderivati dotati dell’autorizzazione all’immissione in commercio in Italia, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, singolarmente o consorziandosi tra loro, stipulano convenzioni con le aziende autorizzate ai sensi del comma 4, in conformità allo schema tipo di convenzione predisposto con decreto del Ministro della salute, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Lo schema tipo di convenzione tiene conto dei princìpi strategici per l’autosufficienza nazionale di cui all’articolo 14, prevedendo adeguati livelli di raccolta del plasma e un razionale e appropriato utilizzo dei prodotti emoderivati e degli intermedi derivanti dalla lavorazione del plasma nazionale, anche nell’ottica della compensazione interregionale. Le aziende garantiscono che i medicinali emoderivati oggetto delle convenzioni sono prodotti esclusivamente con il plasma nazionale. |
1. Il Ministro della salute, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Consulta e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, predispone uno schema tipo di convenzione, in conformità del quale le regioni, singolarmente o consorziandosi fra loro, stipulano convenzioni con i centri e le aziende di cui al comma 5 per la lavorazione del plasma raccolto in Italia[59] |
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2. Ai fini della stipula delle convenzioni di cui al comma 1, i centri e le aziende di frazionamento e di produzione di emoderivati devono essere dotati di adeguate dimensioni, disporre di avanzata tecnologia e avere gli stabilimenti idonei ad effettuare il processo di frazionamento ubicati nei Paesi dell'Unione europea in cui il plasma raccolto non è oggetto di cessione a fini di lucro ed è lavorato in un regime di libero mercato compatibile con l'ordinamento comunitario. I suddetti centri ed aziende devono produrre i farmaci emoderivati oggetto delle convenzioni di cui al comma 1, dotati dell'autorizzazione all'immissione in commercio in Italia |
3. Ai fini della stipula delle convenzioni di cui al comma 2, le aziende produttrici di medicinali emoderivati si avvalgono di stabilimenti di lavorazione, frazionamento e produzione ubicati in Stati membri dell’Unione europea o in Stati terzi che sono parte di accordi di mutuo riconoscimento con l’Unione europea, nel cui territorio il plasma ivi raccolto provenga esclusivamente da donatori volontari non remunerati. Gli stabilimenti di cui al primo periodo sono autorizzati alla lavorazione, al frazionamento del plasma e alla produzione di medicinali emoderivati dalle rispettive autorità nazionali competenti, secondo quanto previsto dalle vigenti disposizioni nazionali e dell’Unione europea. |
3. Tali stabilimenti devono risultare idonei alla lavorazione secondo quanto previsto dalle norme vigenti nazionali e dell'Unione europea a seguito di controlli effettuati dalle rispettive autorità nazionali responsabili ai sensi dei propri ordinamenti, e di quelli dell'autorità nazionale italiana. |
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4. Gli emoderivati prodotti, autorizzati alla commercializzazione e destinati al soddisfacimento del fabbisogno nazionale, devono derivare da plasma raccolto esclusivamente sul territorio italiano, sia come materia prima sia come semilavorati intermedi. Presso i centri e le aziende di produzione deve essere conservata specifica documentazione atta a risalire dal prodotto finito alle singole donazioni, da esibire a richiesta dell'autorità sanitaria nazionale o regionale. |
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5. Il Ministro della salute, con proprio decreto, sentiti la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il Centro nazionale sangue di cui all'articolo 12 e la Consulta, individua tra i centri e le aziende di frazionamento e di produzione di emoderivati quelli autorizzati alla stipula delle convenzioni |
4. Con decreto del Ministro della salute, sentiti il Centro nazionale sangue e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è approvato l’elenco delle aziende autorizzate alla stipula delle convenzioni di cui al comma 2. |
6. [Le convenzioni di cui al presente articolo sono stipulate decorso un anno dalla data di entrata in vigore del decreto previsto dal comma 5 del presente articolo] comma abrogato |
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7. I centri e le aziende di frazionamento e produzione documentano, per ogni lotto di emoderivati, le regioni di provenienza del plasma lavorato nel singolo lotto, il rispetto delle buone pratiche di fabbricazione e di tutte le altre norme stabilite dall'Unione europea, nonché l'esito del controllo di Stato. |
5. Le aziende interessate alla stipula delle convenzioni di cui al comma 2, nel presentare al Ministero della salute l’istanza per l’inserimento nell’elenco di cui al comma 4, documentano il possesso dei requisiti di cui al comma 3, indicano gli stabilimenti interessati alla lavorazione, al frazionamento e alla produzione dei medicinali derivati da plasma nazionale e producono le autorizzazioni alla produzione e le certificazioni rilasciate dalle autorità competenti. Con decreto del Ministro della salute sono definite le modalità per la presentazione e per la valutazione, da parte dell’Agenzia italiana del farmaco, delle istanze di cui al primo periodo. |
8. Gli emoderivati, prima dell'immissione in commercio dei singoli lotti, sono sottoposti al controllo di Stato secondo le direttive emanate con decreto del Ministro della salute, sentita la Consulta. |
6. Presso le aziende che stipulano le con-venzioni è conservata specifica documentazione, da esibire a richiesta dell’autorità sanitaria nazionale o regionale, al fine di individuare le donazioni di plasma da cui il prodotto finito è derivato. |
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7. I lotti di medicinali emoderivati da plasma nazionale, prima della loro restituzione alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, fornitrici del plasma, come specialità medicinali, sono sottoposti, con esito favorevole, al controllo di Stato, secondo le procedure europee, in un laboratorio della rete europea dei laboratori ufficiali per il controllo dei medicinali (General european Official medicines control laboratories (OMCL) network - GEON). |
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8. Le aziende che stipulano le convenzioni documentano, per ogni lotto di produzione di emoderivati, compresi gli intermedi, le regioni e le province autonome di provenienza del plasma utilizzato, il rispetto delle buone pratiche di fabbricazione e di tutte le altre norme stabilite dall’Unione europea, nonché l’esito del controllo di Stato. |
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9. Nell’esercizio delle funzioni di cui agli articoli 10, comma 2, lettera i), e 14, il Ministero della salute, sentiti il Centro nazionale sangue e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definisce specifici programmi finalizzati al raggiungimento dell’autosufficienza nella produzione di medicinali emoderivati prodotti da plasma nazionale derivante dalla dona-zione volontaria, periodica, responsabile, anonima e gratuita. Per il perseguimento delle finalità di cui al primo periodo è autorizzata la spesa di 6 milioni di euro annui a decorrere dal 2022 per interventi di miglioramento organizzativo delle strutture de-dicate alla raccolta, alla qualificazione e alla conservazione del plasma nazionale destinato alla produzione di medicinali emoderivati. |
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10. Al fine di promuovere la donazione volontaria e gratuita di sangue e di emocomponenti, è autorizzata la spesa di 1 milione di euro annui a decorrere dal 2022, per la realizzazione da parte del Ministero della salute, in collaborazione con il Centro nazionale sangue e le associazioni e le federazioni di donatori volontari di sangue, di iniziative, campagne e progetti di comunicazione e informazione istituzionale. |
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11. Agli oneri derivanti dai commi 9 e 10, pari a 7 milioni di euro annui a decorrere dal 2022, si provvede mediante utilizzo delle risorse destinate alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, ai sensi dell’articolo 1, comma 34, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. 12. Nelle more dell’adozione dei decreti di cui ai commi 2, 4 e 5 in attuazione di quanto previsto dal presente articolo, continuano a trovare applicazione le convenzioni stipulate prima della data di entrata in vi-gore del presente articolo e sono stipulate nuove convenzioni, ove necessario per garantire la continuità delle prestazioni assistenziali |
Articolo 20
(Conferimento degli incarichi di direzione di strutture complesse)
L’articolo 20 modifica[60] la disciplina sul conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa nell’ambito degli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale. Le modifiche concernono: la composizione della commissione che procede alla selezione dei candidati; la soppressione della possibilità di scelta (da parte del direttore generale dell’ente o azienda) di un candidato diverso da quello avente il miglior punteggio; gli elementi da pubblicare sul sito internet dell'ente o azienda prima della nomina.
Si ricorda che le strutture complesse degli enti ed aziende in esame sono costituite[61] dai dipartimenti nonché dalle altre unità operative qualificate come strutture complesse in base alle disposizioni regionali; tuttavia, le norme oggetto della presente novella riguardano esclusivamente le strutture complesse diverse dai dipartimenti[62].
La novella conferma (comma 1, capoverso 7-bis, alinea, del presente articolo 20) il principio secondo cui le regioni, nei limiti delle risorse finanziarie ordinarie e nei limiti del numero delle strutture complesse previste dall'atto di organizzazione aziendale, tenuto conto delle norme in materia stabilite dalla contrattazione collettiva, disciplinano i criteri e le procedure per il conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa, previo avviso a cui l'ente o azienda è tenuto a dare adeguata pubblicità; i criteri e le procedure sono in ogni caso definiti in base ai seguenti princìpi, come riformulati dalla novella in esame - questi ultimi non si applicano (nell’ambito delle aziende ospedaliero-universitarie) nelle ipotesi di unità operativa complessa a direzione universitaria, per le quali la novella conferma i princìpi vigenti (cfr. infra) -. In base ai princìpi, come riformulati dalla novella:
§ la selezione - così come nella versione vigente - è effettuata da una commissione composta dal direttore sanitario dell'ente o azienda interessato e da tre direttori di struttura complessa nella medesima disciplina dell'incarico da conferire, individuati, tramite sorteggio, nell’ambito di un elenco nazionale nominativo, costituito dall'insieme degli elenchi regionali dei direttori di struttura complessa appartenenti ai ruoli regionali del Servizio sanitario nazionale (lettera a) del citato capoverso 7-bis). La novella prevede che, in ogni caso, almeno due di tali tre soggetti - anziché, come nel testo vigente, almeno uno dei tre - siano scelti tra i responsabili di strutture complesse in regioni diverse da quella in cui abbia sede l'azienda interessata. La novella - rispetto al testo vigente - inserisce la previsione che la commissione sia composta in base al principio della parità di genere; al riguardo, si valuti l’opportunità di chiarire se la parità debba essere commisurata con riferimento anche al direttore sanitario summenzionato, considerato che, in merito, la prima parte della norma fa riferimento alla "metà dei direttori di struttura complessa" (i quali sono in numero di tre). Il presidente della commissione, in base alla novella, è il componente, tra i membri sorteggiati, con maggiore anzianità di servizio, mentre il testo vigente prevede l’elezione da parte della medesima commissione (con scelta nell’ambito dei membri sorteggiati); si valuti l’opportunità di chiarire se e quali incarichi precedenti si computino, ai fini in oggetto, nell’anzianità di servizio. La novella conferma che, in caso di parità, nelle deliberazioni prevale il voto del presidente. Una norma inserita dal Senato (nella citata lettera a)) prevede che, per il conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa in enti o aziende del Servizio sanitario della provincia autonoma di Bolzano, il numero massimo di membri della commissione costituiti eventualmente da direttori di struttura complessa operanti nella regione Trentino-Alto Adige sia pari a due - anziché ad uno, come deriverebbe dalla previsione generale in esame -; la norma così aggiunta non pone una deroga, per la Provincia in esame, all'applicazione, al fine della designazione di tutti i membri della commissione diversi dal direttore sanitario (dell'ente o azienda interessato), del suddetto meccanismo del sorteggio in seno all'elenco nazionale; si ricorda, in ogni caso, che la sentenza della Corte costituzionale n. 354 del 19-27 luglio 1994 ha dichiarato illegittimo l'articolo 19, comma 2, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, nella parte in cui qualifica come norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica - norme applicabili alle autonomie speciali territoriali, ai sensi dei rispettivi statuti - tutte le disposizioni ivi indicate (tra cui quelle poste dall'articolo oggetto della presente novella), anziché i soli princìpi da esse desumibili[63];
§ la commissione (lettera b) del citato capoverso 7-bis) definisce la graduatoria - attribuendo a ciascun candidato un punteggio complessivo secondo criteri fissati preventivamente - e il direttore generale dell’ente o azienda procede alla nomina del candidato con il miglior punteggio, ovvero di quello più giovane di età tra quelli aventi il miglior identico punteggio. Il testo vigente prevede invece che la commissione presenti al direttore generale una terna di candidati, formata sulla base dei migliori punteggi attribuiti, e che il direttore generale proceda alla nomina nell'ambito della terna, motivando analiticamente la scelta nel caso in cui intenda nominare uno dei due candidati non aventi il migliore punteggio. Restano ferme le altre norme sui criteri e le modalità di formazione della graduatoria; secondo tali disposizioni, la commissione riceve dall'ente o azienda il profilo professionale del dirigente da incaricare e procede sulla base dell'analisi comparativa dei curricula, dei titoli professionali posseduti (avendo anche riguardo alle necessarie competenze organizzative e gestionali), dei volumi dell'attività svolta, dell'aderenza al profilo ricercato e degli esiti di un colloquio[64]. Resta ferma la norma secondo cui l’ente o azienda può preventivamente stabilire che, nei due anni successivi alla data del conferimento dell'incarico in esame, nel caso di dimissioni o di decadenza del dirigente nominato, si procede alla sostituzione in base alla selezione già operata; al riguardo, la novella prevede il conferimento dell'incarico mediante scorrimento della graduatoria, mentre il testo vigente prevede il conferimento ad uno degli altri due soggetti facenti parte della terna iniziale;
§ il profilo professionale del dirigente da incaricare, i curricula dei candidati, i criteri di attribuzione del punteggio, la graduatoria dei candidati, la relazione della commissione sono pubblicati sul sito internet dell'ente o azienda prima della nomina (rispetto alla norma corrispondente del testo vigente, la novella - di cui alla lettera d) del citato capoverso 7-bis - inserisce la previsione della pubblicazione suddetta dei criteri di attribuzione del punteggio e della graduatoria).
Come accennato, la novella conferma i princìpi vigenti - con riferimento alle aziende ospedaliero-universitarie - per l’ipotesi di unità operativa complessa a direzione universitaria. In base ad essi: la nomina dei responsabili (di tali unità operative complesse) è effettuata dal direttore generale dell’azienda, d'intesa con il rettore - sentito il dipartimento universitario competente, ovvero, laddove costituita, la competente struttura di raccordo interdipartimentale - sulla base del curriculum scientifico e professionale del responsabile da nominare (lettera c) del citato capoverso 7-bis); i curricula dei candidati e l'atto motivato di nomina sono pubblicati sui siti internet istituzionali dell'ateneo e dell'azienda ospedaliero-universitaria interessati (lettera d) del medesimo capoverso 7-bis).
Si ricorda altresì che l'incarico di direttore di struttura complessa è soggetto a conferma al termine di un periodo di prova di sei mesi - prorogabile di altri sei -, a decorrere dalla data di nomina, sulla base della valutazione relativa al medesimo titolare[65].
L’articolo 21 - inserito dal Senato - prevede la possibilità di riconoscimento da parte delle regioni o delle province autonome, su richiesta delle università, della validità di diplomi di master universitari di secondo livello al fine del soddisfacimento di una delle condizioni poste per alcuni incarichi in enti e aziende del Servizio Sanitario nazionale. In tale ambito, si prevede la possibilità di considerare come equivalente ai corsi già previsti il diploma di master universitario di secondo livello in materia di organizzazione e gestione sanitaria.
Il comma 1 del presente articolo prevede che il possesso del diploma di master universitario di secondo livello in materia di organizzazione e gestione sanitaria soddisfi, alle condizioni ivi stabilite, uno dei requisiti posti ai fini della partecipazione alla selezione per la formazione dell'elenco nazionale dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale di un ente o azienda del Servizio sanitario nazionale. Tale requisito è costituito dal possesso dell'attestato relativo ad un corso di formazione - attivato dalla regione o dalla provincia autonoma, anche in ambito interregionale - in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria[66]. Il comma 1 subordina, al fine in esame di una possibile alternativa alla partecipazione a questi ultimi corsi, la validità dei master summenzionati alle seguenti condizioni: il programma formativo del master sia coerente con i contenuti e le metodologie didattiche definiti, per i suddetti corsi degli enti territoriali, con l'accordo concluso in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome[67]; la regione o provincia autonoma abbia riconosciuto preventivamente, con provvedimento espresso, entro sessanta giorni dalla richiesta delle università, la riconducibilità del master stesso alla formazione manageriale in oggetto. Le università, nella certificazione relativa al diploma di master, devono indicare gli estremi dei suddetti atti di riconoscimento (regionali o provinciali) e trasmettere alle medesime regioni e province autonome che hanno riconosciuto i corsi l'elenco dei soggetti che hanno conseguito il diploma di master.
Il successivo comma 2 prevede che il possesso del diploma di master universitario di secondo livello in materia di organizzazione e gestione sanitaria, sia considerato, alle condizioni ivi poste, come adempimento di uno degli obblighi connessi alla titolarità degli incarichi, negli enti o aziende del Servizio sanitario nazionale, di direzione sanitaria aziendale e di direzione di strutture complesse. Quest'ultimo obbligo - che può essere adempiuto anche dopo il conferimento dell'incarico - è costituito dalla frequenza e dal superamento del corso di formazione manageriale, relativo alle categorie dei medici, odontoiatri, veterinari, farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi ed organizzato dalle regioni o province autonome, anche a livello interregionale, ovvero dall'Istituto superiore di sanità[68]. Il comma 2 subordina, al fine in esame di una possibile alternativa alla partecipazione a questi ultimi corsi, la validità dei master summenzionati alle seguenti condizioni: il master presenti contenuti e metodologie didattiche conformi a quelli previsti dai suddetti corsi di formazione - tale criterio di conformità è posto con particolare riferimento ai contenuti e metodologie definiti dagli accordi interregionali in materia[69] -; le regioni o province autonome interessate abbiano riconosciuto preventivamente con provvedimento espresso, entro sessanta giorni dalla richiesta delle università, la riconducibilità del master alla suddetta formazione manageriale. Le università, nella certificazione relativa al diploma di master, devono indicare gli estremi dei suddetti atti di riconoscimento (regionali o provinciali) e trasmettere alle medesime regioni e province autonome che hanno riconosciuto i corsi, nonché all'Istituto superiore di sanità, l'elenco dei dirigenti che hanno conseguito il diploma di master.
Si valuti l'opportunità di chiarire, anche in considerazione di un possibile contenzioso, interpretativo o di ordine costituzionale, gli eventuali effetti retroattivi del riconoscimento operato, ai sensi del comma 1 o del comma 2, da un ente territoriale, con particolare riferimento all'ipotesi in cui il riconoscimento sia intervenuto durante la frequenza del corso e all'ipotesi in cui il diploma di master sia stato conseguito, presso la medesima università, nell'ambito di un corso sostanzialmente identico a quello successivamente oggetto di riconoscimento.
Sia il comma 1 sia il comma 2 del presente articolo fanno riferimento, per gli interventi normativi in oggetto, alle finalità di: assicurare una maggiore efficienza e una semplificazione delle procedure relative alla formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria; favorire la diffusione della cultura della formazione manageriale in sanità; consentire l'efficace tutela degli interessi pubblici.
Articolo 22
(Procedure per la realizzazione di infrastrutture di nuova generazione)
L’articolo 22 prevede alcune modifiche all’articolo 3 del decreto legislativo n. 33 del 2016 che definisce un quadro di regole volto a ridurre i costi per la realizzazione di reti a banda ultra-larga.
A tale riguardo è utile ricordare come il richiamato articolo 3 pone degli obblighi in capo ai gestori di infrastrutture fisiche (quali le reti per la distribuzione di gas naturale, acqua, reti stradali, metropolitane, ferroviarie) di garantire l’utilizzo delle stesse in caso di richiesta da parte di un operatore di comunicazioni elettroniche per la posa di cavi in fibra ottica.
Passando quindi alla illustrazione delle modifiche apportate dall'articolo 22 al decreto legislativo n. 22 del 2016, si segnala che, con riferimento all’accesso all’infrastruttura fisica esistente, si prevede che l’accesso possa essere rifiutato dal gestore e dall’operatore di rete nel caso in cui l’infrastruttura fisica sia oggettivamente inidonea a ospitare gli elementi di reti di comunicazione elettronica ad alta velocita?.
In tal caso, si stabilisce che nel comunicare il rifiuto devono essere elencati gli specifici motivi di inidoneità. In sede referente, è stato precisato che a tal fine vanno allegate, nel rispetto dei segreti commerciali del gestore della infrastruttura e dell'operatore di rete, planimetrie e ogni documentazione tecnica che avvalori l'oggettiva inidoneità, con esclusione della documentazione che possa costituire uno scambio di informazioni sensibili ai fini della concorrenza o che possa mettere a rischio la sicurezza delle infrastrutture fisiche per ogni singola tratta oggetto di richiesta di accesso.
Il rifiuto può ricorrere anche nel caso di indisponibilità? di spazio per ospitare gli elementi di reti di comunicazione elettronica ad alta velocita?. L’indisponibilità può avere riguardo anche a necessita? future del fornitore della infrastruttura fisica, sempre che tali necessita? siano concrete, adeguatamente dimostrate, oltre che oggettivamente e proporzionalmente correlate allo spazio predetto.
Secondo la specificazione introdotta in sede referente, nel comunicare il rifiuto devono essere elencati gli specifici motivi di carenza di spazio per ogni singola tratta oggetto di richiesta di accesso, allegando planimetrie e ogni documentazione tecnica che avvalori l'oggettiva inidoneità, con esclusione della documentazione che possa costituire uno scambio di informazioni sensibili ai fini della concorrenza o che possa mettere a rischio la sicurezza delle infrastrutture fisiche.
Articolo 23
(Interventi di realizzazione delle reti in fibra ottica)
L’articolo 23 interviene con l'obiettivo di razionalizzare gli interventi dedicati alla realizzazione di reti di accesso in fibra ottica.
L'articolo in questione, infatti, sostituisce il comma 1 dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 33 del 2016 disciplinando il coordinamento tra ogni gestore di infrastrutture fisiche e ogni operatore di rete che esegue direttamente o indirettamente opere di genio civile, da un lato, e gli altri operatori di rete, dall’altro.
Più nello specifico, in seguito alle modifiche approvate nel corso dell’esame in sede referente, l’obbligo di procedere a tale coordinamento – previsto nel testo originario del disegno di legge in esame – risulta ora declinato in termini di adozione di ogni iniziativa utile ai fini del coordinamento con altri operatori di rete, con riferimento al processo di richiesta dei permessi. Tanto, al duplice fine di impedire la duplicazione inefficiente di opere del genio civile e di consentire la condivisione dei costi di realizzazione.
A tale riguardo, si prevede che sia l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sia – nel testo modificato nel corso dell’esame in sede referente - l’Autorità garante della concorrenza e del mercato vigilano sugli eventuali accordi di coordinamento conclusi dagli operatori.
L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in particolare, adotta apposite linee guida volte a garantire che, in sede di successiva esecuzione delle opere di genio civile, sia incentivata l’installazione di infrastrutture fisiche aggiuntive che risultino necessarie a consentire l’accesso degli altri operatori di rete che lo abbiano richiesto.
In caso di assenza di infrastrutture disponibili, l’installazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocita? e? effettuata preferibilmente con tecnologie di scavo a basso impatto ambientale e secondo quanto previsto dall’articolo 6, comma 4-ter, del decreto-legge n. 145 del 2013.
La disposizione appena citata dispone che, al fine di favorire la diffusione della banda larga e ultralarga nel territorio nazionale attraverso l'utilizzo di tecniche innovative di scavo che non richiedono il ripristino del manto stradale nonché la posa di cavi o tubi aerei su infrastrutture esistenti, il Ministro dello sviluppo economico adotta, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, un decreto con il quale sono definite ulteriori misure relative alla posa in opera delle infrastrutture a banda larga e ultralarga, anche modificative delle specifiche tecniche adottate con decreto del Ministro dello sviluppo economico 1º ottobre 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 244 del 17 ottobre 2013.
Da ultimo, si stabilisce che continuano a trovare applicazione le norme tecniche e le prassi di riferimento nella specifica materia elaborate dall’Ente nazionale italiano di unificazione.
Articolo 24
(Blocco e attivazione dei servizi premium
e acquisizione della prova del consenso)
L’articolo 24 introduce delle disposizioni volte a rendere più efficace il contrasto al persistente fenomeno delle attivazioni inconsapevoli e di quelle fraudolente di servizi di telefonia e di comunicazioni elettroniche.
In particolare, con l'articolo in esame viene vietata ai soggetti gestori dei servizi di telefonia e di comunicazioni elettroniche la possibilità di attivare, senza il previo consenso espresso e documentato del consumatore o dell’utente, servizi in abbonamento da parte degli operatori stessi o di terzi, inclusi quei servizi che prevedono l’erogazione di contenuti digitali forniti sia attraverso SMS e MMS, sia tramite connessione dati, nonché – in forza di una modifica approvata nel corso dell’esame in sede referente – servizi di messaggistica istantanea, con addebito su credito telefonico o documento di fatturazione, offerti sia da terzi, sia direttamente dagli operatori.
Articolo 25
(Norme in materia di servizi postali)
L’articolo 25, comma 1, reca modifiche all'articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, recante attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio.
In particolare, vi è inserito un nuovo comma 8-bis, volto a stabilire che il Ministero dello sviluppo economico, sentita l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, riesamina periodicamente l’ambito di applicazione degli obblighi di servizio universale sulla base degli orientamenti della Commissione europea, delle esigenze degli utenti e delle diverse offerte presenti sul mercato nazionale in termini di disponibilità, qualità e prezzo accessibile, segnalando periodicamente al Parlamento le modifiche normative ritenute necessarie in ragione dell’evoluzione dei mercati e delle tecnologie, tenendo comunque conto – secondo la precisazione introdotta nel corso dell’esame in sede referente – di quanto previsto dal comma 1 per le situazioni particolari ivi descritte.
Il riferimento è all’obbligo di assicurare la fornitura del servizio universale e delle prestazioni in esso ricomprese, di qualità determinata, in modo permanente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane, a prezzi accessibili all’utenza.
Il comma 2 dell’articolo 25, invece, mira ad agevolare l’attività di acquisizione e gestione delle informazioni relative al settore postale, da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, apportando delle modifiche alla legge n. 249 del 1997.
Lo stesso comma 2, infatti estende anche al settore postale il parere che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni rende all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per i provvedimenti adottati da quest’ultima in materia di intese restrittive della concorrenza, abusi di posizione dominante e operazioni di concentrazione.
Da ultimo si segnala che il comma in esame prevede l’estensione dell’obbligo di iscrizione al registro degli operatori di comunicazione ai fornitori di servizi postali, compresi i fornitori di servizi di consegna dei pacchi.
L’articolo 26, modificato in sede referente, conferisce una delega al Governo – da esercitare entro 24 mesi - per la ricognizione dei regimi amministrativi delle attività private e per la loro semplificazione (commi 1-3).
Sono previsti criteri e principi direttivi volti, tra le altre cose, a: tipizzare e individuare le attività private soggette ai diversi regimi; semplificare i procedimenti relativi ai provvedimenti autorizzatori; estendere l’ambito delle attività private esercitabili senza necessità di alcun adempimento, inclusa la mera comunicazione; digitalizzare le procedure; ridefinire i termini dei procedimenti dimezzandone la durata, nonché armonizzare la modulistica per la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni alle pubbliche amministrazioni.
È altresì prevista la facoltà di adottare decreti integrativi e correttivi entro un anno dall’entrata in vigore di ciascun decreto. È affidata alla Commissione parlamentare per la semplificazione la verifica periodica dello stato di attuazione dell’articolo in esame, su cui riferisce ogni sei mesi alle Camere (commi 8 e 10).
Infine, si dispone entro 180 giorni la revisione delle disposizioni del d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, che regola l’individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata (comma 13).
L’oggetto delle deleghe è stabilito in via generale dal comma 1:
- individuare l’elenco dei nuovi regimi amministrativi delle attività private;
- semplificare e reingegnerizzare in digitale le relative procedure amministrative, con la finalità, evidenziata nella relazione illustrativa, di “stimolare il dinamismo concorrenziale”.
Per regimi amministrativi, la citata disposizione richiama la segnalazione certificata di inizio attività (scia), il silenzio assenso, il titolo espresso e la comunicazione preventiva.
L’intervento del legislatore delegato è previsto al fine di eliminare le autorizzazioni e gli adempimenti non necessari, nel rispetto dei principi di diritto dell’Unione europea relativi all’accesso alle attività dei servizi e in modo da ridurre gli oneri regolatori su cittadini e imprese.
Si tratta di obiettivi che sono inclusi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che nell’asse 3 della componente M1C1 prevede in primo luogo lo screening dei procedimenti amministrativi, identificandone i regimi di esercizio, nonché la conseguente semplificazione dei procedimenti, mediante eliminazione delle autorizzazioni non giustificate da motivi imperativi di interesse generale, estensione dei meccanismi di silenzio-assenso ove possibile o adottando gli strumenti di SCIA o della mera comunicazione.
Per approfondimenti sulle misure di semplificazione amministrativa previste nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza si rinvia allo specifico tema web.
Più in generale, per quanto riguarda i principi di diritto dell’Unione Europea, si ricorda che in base alla direttiva servizi, e come ribadito all’articolo 14, comma 1, del D.lgs. n. 59/2010, l’accesso ad un’attività di servizi può essere subordinato al rilascio di un’autorizzazione soltanto in presenza di tre condizioni, ovvero quando:
a) il regime di autorizzazione non è discriminatorio nei confronti del prestatore;
b) la previsione di un regime di autorizzazione è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale;
c) l’obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori potrebbe risultare inefficace.
Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, costituiscono motivi imperativi di interesse generale, tra gli altri, la sanità pubblica, la tutela dei consumatori, la salute degli animali e la protezione dell’ambiente urbano. Il regime di autorizzazione è ammesso soltanto qualora l’obiettivo di interesse generale perseguito non possa essere raggiunto tramite una misura alternativa meno restrittiva. Ciò accade, in particolare, nei casi in cui un controllo a posteriori non sarebbe efficace a causa dell’impossibilità di constatare a posteriori le carenze dei servizi interessati, tenuto debito conto dei rischi e dei pericoli che potrebbero risultare dall’assenza di un controllo a priori. Le condizioni richieste per ottenere il rilascio dell’autorizzazione devono essere proporzionate all’interesse generale che si vuole proteggere e non discriminatorie riguardo alla provenienza o al Paese di stabilimento dei prestatori. Tutti i regimi autorizzatori che non soddisfano tali requisiti sono incompatibili con la Direttiva e devono essere sostituiti con un regime meno restrittivo di accesso all’attività di servizi.
In materia merita poi richiamare che una ampia attività di ricognizione delle attività private assoggettate ai differenti regimi amministrativi è stata avviata con la delega contenuta nella c.d. Legge Madia (legge n. 124 del 2015, articolo 5), e con il D.lgs. n. 222/2016 (c.d. SCIA 2) che ha operato una prima ricognizione delle attività e dei procedimenti nei settori del commercio e delle attività assimilabili, dell'edilizia e dell'ambiente (per un totale di 246 attività/procedimenti), indicando per ciascun procedimento o attività il regime amministrativo applicabile. Successivamente, con il D.L. n. 76 del 2020 (art. 15) è stato previsto un completamento della ricognizione dei procedimenti amministrativi da parte dello Stato, con le Regioni e le autonomie locali, sentiti le associazioni imprenditoriali, gli ordini e le associazioni professionali, da realizzare entro 150 giorni, nell’ambito dell’Agenda per la semplificazione 2020-2023.
Con una modifica introdotta in sede referente, si precisa che l’individuazione dei regimi amministrativi delle attività potrà avvenire eventualmente anche modificando la disciplina generale delle attività non soggette ad autorizzazione espressa, di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241.
In merito si ricorda che nell'ambito della disciplina generale delle attività private non soggette ad autorizzazione espressa, il decreto legislativo n. 126/2016 (art. 3), in attuazione della legge delega n. 124 del 2015, ha introdotto alcune disposizioni generali sulle modalità di presentazione delle istanze, segnalazioni o comunicazioni alle pubbliche amministrazioni, inserendo a tal fine una disposizione specifica nella legge sul procedimento amministrativo (L. 241/1990).
L’articolo 18-bis, L. 241/1990 stabilisce in primo luogo l'obbligo per le amministrazioni di rilasciare una ricevuta dell'avvenuta presentazione dell'istanza, comunicazione o segnalazione, anche in via telematica.
Il rilascio deve essere immediato e la ricevuta deve attestare l'avvenuta presentazione dell'istanza, della segnalazione o della comunicazione, nonché indicare i termini entro i quali l'amministrazione è tenuta, ove previsto, a rispondere, ovvero entro i quali il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento dell'istanza.
Oltre a tale contenuto minimo, la disposizione specifica che la ricevuta costituisce comunicazione di avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7 e 8 della L. 241/1990 solo nel caso in cui contenga le informazioni di cui al richiamato articolo 8. Si precisa in proposito che la data di protocollazione dell'istanza, segnalazione o comunicazione non può essere diversa da quella di effettiva presentazione.
Il nuovo articolo 18-bis dispone inoltre che:
· la ricevuta non è condizione di efficacia delle istanze, segnalazioni o comunicazioni. Pertanto, ove la ricevuta non venga rilasciata e ferme restando le responsabilità del soggetto competente, queste producono comunque i loro effetti;
· ove l'istanza, la segnalazione o la comunicazione siano presentate ad un ufficio diverso da quello competente, i termini per l'adozione dei provvedimenti inibitori o conformativi nel caso di SCIA (art. 19, co. 3, L. 241/1990) e per la formazione del silenzio – assenso (nei casi previsti dall'art. 20, co. 1, L. 241/1990) decorrono dal ricevimento da parte dell'ufficio competente.
Per quanto riguarda l'ambito di applicazione delle disposizioni introdotte, una modifica all'art. 29, comma 3-ter, della L. 241/1990, introdotta nello stesso decreto qualifica le disposizioni della legge concernenti la presentazione di istanze, segnalazioni e comunicazioni come afferenti ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all'articolo 117, secondo comma, lett. m) della Costituzione.
La disposizione stabilisce ancora che si tiene conto anche della individuazione dei regimi amministrativi di cui alla tabella A del D.lgs. n. 222/2016 (c.d. decreto SCIA 2).
In particolare, il decreto riporta nella tabella A allegata la ricognizione delle attività e dei procedimenti nei settori del commercio e delle attività assimilabili, dell'edilizia e dell'ambiente (per un totale di 246 attività). Per ciascun procedimento o attività, la tabella indica il regime amministrativo applicabile (autorizzazione, silenzio assenso, SCIA, SCIA unica, SCIA condizionata, comunicazione) l'eventuale concentrazione dei regimi e i riferimenti normativi (articolo 2).
La tabella A è suddivisa in tre sezioni:
1) Sezione I, denominata “Attività commerciali e assimilabili”, che ricomprende attività di commercio su area privata (esercizi di vicinato, medie e grandi strutture di vendita, sia di carattere alimentare che non, commercio all’ingrosso, sia alimentare che non, vendita di prodotti agricoli, etc.), commercio su area pubblica (itinerante e non, alimentare e non), l’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, strutture ricettive e stabilimenti balneari, attività di spettacolo o intrattenimento, sale giochi, autorimesse, distributori di carburante, officine di autoriparazione, acconciatori ed estetisti, panifici, tintolavanderie, arti tipografiche, litografiche, fotografiche e di stampa. Si tratta di 14 aree, per un totale di 107 attività;
2) Sezione II, denominata “Edilizia”, che ricomprende gli interventi edilizi e i relativi regimi amministrativi, altri adempimenti successivi all’intervento edilizio e alcuni interventi relativi a impianti alimentati da fonti rinnovabili, per un totale di 105 attività;
3) Sezione III, denominata “Ambiente”, che ricomprende le autorizzazioni integrate ambientali (AIA), le valutazioni di impatto ambientale (VIA), le autorizzazioni uniche ambientali (AUA), nonché le attività relative alle emissioni in atmosfera, alla gestione rifiuti, all’inquinamento acustico, agli scarichi idrici, alle dighe, alle bonifiche e altri procedimenti in materia di tutela dei corpi idrici, per un totale di 34 attività.
Il comma 2 stabilisce che i decreti siano adottati, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, secondo i principi di ragionevolezza e proporzionalità, di derivazione europea (su cui, si v. supra).
Quanto ai criteri direttivi, il legislatore delegato è tenuto in primo luogo a tipizzare e individuare:
§ le attività soggette ad autorizzazione, giustificate da motivi imperativi di interesse generale e i provvedimenti autorizzatori posti a tutela di principi e interessi costituzionalmente rilevanti (lettera a));
§ le attività soggette ai regimi amministrativi di cui agli articoli 19 (SCIA), 19-bis (SCIA unica o condizionata) e 20 (silenzio-assenso) della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero al mero obbligo di comunicazione (lettera b)). Una modifica introdotta in sede referente richiede che il legislatore delegato provveda ad individuare gli effetti della presentazione della comunicazione e i poteri esperibili dalla pubblica amministrazione in fase di controllo.
Autorizzazione: l’atto con cui la pubblica amministrazione, su istanza dell’interessato, rimuove un limite legale posto all’esercizio di un’attività inerente un diritto soggettivo o una potestà pubblica preesistenti in capo al destinatario. Il tradizionale sistema di autorizzazione è basato sull’emanazione di provvedimenti espressi, salvi i casi in cui è previsto il silenzio assenso (si v. infra). Qualora per lo svolgimento dell’attività siano necessari ulteriori atti di assenso si applicano le disposizioni in materia di conferenza di servizi di cui agli articoli 14 e ss. della L. n. 241 del 1990.
Silenzio assenso: è un comportamento omissivo dell’amministrazione di fronte a un dovere di provvedere, di emanare un atto e di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento entro un termine prestabilito (art. 2, co. 1 e 5, 20, L. 241/1990), che l’ordinamento qualifica, attraverso una norma di legge, in senso positivo. Pertanto, il silenzio assenso non elimina il regime autorizzatorio, ossia il fatto che sia necessario un provvedimento amministrativo di autorizzazione, bensì semplifica il procedimento per ottenere tale autorizzazione.
L’articolo 20 della legge n. 241/1990, con la riforma del 2005, ha generalizzato il ricorso all’istituto, stabilendo che in tutti i procedimenti a istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, esclusi quelli disciplinati dall’art. 19 (SCIA), «il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda», se la stessa amministrazione non comunica all’interessato, nel termine indicato dalla legge o dai regolamenti, il provvedimento di diniego ovvero se, entro 30 giorni dalla presentazione dall’istanza, non indice una conferenza di servizi. Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, dopo la scadenza del termine l’amministrazione competente può in ogni caso assumere determinazioni in via di autotutela, ossia annullare o revocare l’atto implicito di assenso (art. 21-quinquies e 21-nonies, L. n. 241/1990).
La legge prevede alcune eccezioni in relazione a determinati interessi pubblici (patrimonio culturale e paesaggistico, tutela del rischio idrogeologico, ambiente, difesa nazionale, pubblica sicurezza, immigrazione, asilo e cittadinanza, salute e pubblica incolumità), nonché a casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, a casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza e ad altre eccezioni singolarmente individuate.
Per ridurre i margini di incertezza in capo al privato e la piena operatività dell’istituto, il D.L. n. 77 del 2021 (articolo 62) ha introdotto, nei casi di formazione del silenzio assenso, l’obbligo per l’amministrazione di rilasciare in via telematica, su richiesta del privato, un’attestazione dell’intervenuto accoglimento della domanda entro dieci giorni dalla richiesta. Decorso inutilmente il termine, l’attestazione dell’amministrazione può essere sostituita da una autodichiarazione del privato (art. 20, co. 2-bis, L. n. 241/1990).
SCIA: la segnalazione certifica di inizio attività sostituisce al potere autorizzatorio della pubblica amministrazione, finalizzato all’emanazione di un atto di consenso all’esercizio dell’attività, il diritto ex lege del privato di svolgere un’attività avviandone l’esercizio previa segnalazione. Ai sensi dell’art. 19 della L. n. 241 del 1990, oggetto di numerose modifiche fino all’intervento riformatore del 2016, la segnalazione certificata di inizio attività sostituisce ogni atto di autorizzazione, licenza, permesso, nulla osta il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e dei presupposti previsti dalle norme di settore, cioè ogni atto di tipo vincolato (mentre il silenzio assenso opera in procedimenti in cui sono previste autorizzazioni a carattere discrezionale). In secondo luogo, deve trattarsi di attività per le quali non sia previsto alcun limite o contingente complessivo.
In tali casi, la disciplina generale consente l’avvio dell’attività contestualmente alla presentazione della segnalazione allo sportello unico.
Resta in capo all’amministrazione un potere di controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dal privato con i presupposti e i requisiti previsti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale. I provvedimenti che l'amministrazione può adottare in seguito a SCIA, entro il termine perentorio di 60 giorni (30 giorni per la SCIA edilizia), sono, a seconda delle ipotesi: divieto di prosecuzione dell'attività e rimozione degli effetti dannosi, ovvero invito a conformare l'attività, ovvero sospensione dell'attività in caso di attestazioni non veritiere o di pericolo per la tutela dell'interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale. (art. 19, commi 3 e 4).
SCIA unica: riguarda le attività soggette a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) per le quali siano necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche (art. 19-bis, comma 2). Si tratta pertanto di attività "liberalizzate", ossia attività per le quali all'amministrazione spetta solo verificare la sussistenza di requisiti o presupposti fissati dalle norme. Risultano escluse da tale disciplina le ipotesi in cui per lo svolgimento di un'attività soggetta a SCIA siano necessarie anche autorizzazioni, comunque denominate, espresse o perfezionate con il silenzio assenso. La disposizione prevede che in tali casi l'interessato presenta la SCIA allo sportello unico indicato sul sito (c.d. SCIA unica). L'efficacia della SCIA unica è immediata, in quanto l'attività può essere iniziata dalla data di presentazione della segnalazione.
L'amministrazione che riceve la SCIA la trasmette alle altre amministrazioni interessate, al fine di consentire le verifiche sulla sussistenza dei presupposti e requisiti di loro competenza. Le amministrazioni interessate che ricevono la SCIA, fino a cinque giorni prima della scadenza del termine previsto dall'art. 19, L. 241/1990, possono presentare eventuali proposte motivate (all'amministrazione che ha ricevuto la SCIA) per l'adozione di provvedimenti inibitori, conformativi o sospensivi previsti dal medesimo articolo 19 in caso di accertamento della carenza dei requisiti e dei presupposti.
SCIA condizionata: riguarda le attività soggette a Scia per le quali sia necessaria anche l'acquisizione di atti di assenso, comunque denominati, o pareri di altri uffici e amministrazioni, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive (art. 19-bis, co. 3). Si parla di SCIA condizionata in quanto, a differenza dei casi di SCIA unica, il presupposto per la presentazione della SCIA è un atto di autorizzazione o una valutazione discrezionale da parte dell'amministrazione. Pertanto, in tali casi un procedimento autorizzatorio si innesta sulla SCIA come fase prodromica. Anche in questo caso è comunque prevista una concentrazione di regimi. Infatti, l'interessato presenta una istanza unica allo sportello unico a seguito del quale viene rilasciata la ricevuta. A decorrere dalla data della presentazione di tale istanza-segnalazione allo sportello unico si procede alla convocazione della conferenza di servizi di cui all'art. 14 della L. 241/1990. Il termine di 5 giorni per la convocazione della conferenza di servizi decorre dalla data di presentazione dell'istanza allo sportello unico.
La differenza principale rispetto alle ipotesi di SCIA unica consiste nel fatto che nei casi di SCIA condizionata non vi è la possibilità di iniziare subito l'attività. Piuttosto, l'inizio dell'attività resta subordinato al rilascio delle autorizzazioni o altri titoli espressi presupposti, di cui lo sportello unico deve dare comunicazione all'interessato.
Comunicazione: in questi casi, il privato ha l’obbligo di comunicare preventivamente l’intenzione di svolgere una determinata attività. La comunicazione produce effetto con la presentazione allo Sportello unico o all’amministrazione competente. Quando per l’avvio, lo svolgimento o la cessazione dell’attività sono richieste altre attestazioni, l’interessato può presentare un’unica comunicazione allo sportello unico.
In secondo luogo, il legislatore delegato deve provvedere a:
§ eliminare i provvedimenti autorizzatori, gli adempimenti e le misure incidenti sulla libertà di iniziativa economica ritenuti non indispensabili fatti salvi quelli imposti dalla normativa dell’Unione europea o quelli a tutela di principi e interessi costituzionalmente rilevanti (lettera c));
§ semplificare i procedimenti relativi ai provvedimenti autorizzatori, agli adempimenti e alle misure non eliminati ai sensi delle lettere a) e b), in modo da ridurne il numero delle fasi e delle amministrazioni coinvolte, anche eliminando e razionalizzando le competenze degli uffici, accorpando le funzioni per settori omogenei, individuando discipline e tempi uniformi per tipologie omogenee di procedimenti (lettera d)). In sede referente è stato altresì stabilito che possa essere prevista anche la possibilità di delegare un altro soggetto, persona fisica o libero professionista, allo svolgimento degli adempimenti presso la pubblica amministrazione;
§ estendere l’ambito delle attività private liberamente esercitabili senza necessità di alcun adempimento, inclusa la mera comunicazione, da parte dei privati (lettera e));
§ semplificare e reingegnerizzare le procedure e gli adempimenti per la loro completa digitalizzazione (lettera f)) In sede referente è stato stabilito che possa essere prevista anche la possibilità di delegare un altro soggetto, persona fisica o libero professionista, allo svolgimento degli adempimenti presso la pubblica amministrazione;
§ eliminare i livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti per l’adeguamento alla normativa europea (lettera g));
Si ricorda che, in base all'articolo 14, commi da 24-bis a 24-quater, della L. 28 novembre 2005, n. 246, gli atti di recepimento di direttive europee non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, salva l'ipotesi in cui l'amministrazione dia conto delle circostanze eccezionali in relazione alle quali si renda necessario il superamento del livello minimo di regolazione europea. Quest'ultima fattispecie deve essere previamente valutata nella suddetta AIR o comunque, per gli atti normativi non sottoposti ad AIR, in base ai metodi di analisi adottati (per la redazione dell'AIR e della VIR) con direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri.
In particolare, secondo il comma 24-ter del citato articolo 14, costituiscono livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive europee:
a) l'introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l'attuazione delle direttive;
b) l'estensione dell'ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari;
c) l'introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l'attuazione delle direttive.
I commi 5 e 8 del citato articolo 14 della L. n. 246, e successive modificazioni, ed il regolamento di cui al D.P.C.M. 15 settembre 2017, n. 169, individuano i casi di esclusione dell'AIR, tra cui l'ipotesi in cui l'amministrazione proponente chieda al DAGL (Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri) l'esenzione in relazione al ridotto impatto dell'intervento.
§ ridurre i tempi dei procedimenti autorizzatori per l’avvio dell’attività di impresa (lettera h)).
Nel corso dell’esame in sede referente sono stati introdotti ulteriori principi e criteri direttivi che prevedono di:
§ definire una revisione dei termini dei procedimenti amministrativi dimezzandone la durata, fatta salva la possibilità di individuare, d’intesa con le amministrazioni competenti, quelli esclusi da tale riduzione prevedendo che tra i criteri base di valutazione della performance individuale e organizzativa sia ricompreso, ove applicabile, il monitoraggio dei tempi di trattazione dei procedimenti e il livello di soddisfazione dell'utenza (lettera i), introdotta in sede referente;
La disciplina generale dei termini dei procedimenti amministrativi
La legge generale sul procedimento amministrativo (L. 241/1990, art. 2) stabilisce un principio di carattere generale in base al quale tutti i procedimenti che conseguono obbligatoriamente ad una istanza e quelli attivati d’ufficio devono necessariamente concludersi con un provvedimento espresso adottato in termini definiti.
Ciascuna amministrazione statale fissa i termini di conclusione dei procedimenti di propria competenza con singoli regolamenti adottati nella forma di decreto del Presidente della Consiglio su proposta del Ministro competente. In ogni caso, il termine non può eccedere i 90 giorni. Anche gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini di conclusione dei procedimenti di propria competenza, sempre nel limite dei 90 giorni.
In mancanza di determinazione di termini, il procedimento deve concludersi entro 30 giorni, a meno che un diverso termine sia stabilito per legge. È ammessa in generale la possibilità per la PA di sospendere il termine per un periodo non superiore a 30 giorni
La legge ammette, inoltre, anche la possibilità di prevedere termini superiori ai 90 giorni in considerazione della «sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento». In questi casi, tuttavia, il termine massimo di durata non può oltrepassare comunque i 180 giorni (ad esclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana e di quelli riguardanti l'immigrazione). I termini per la conclusione del procedimento decorrono dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.
Oltre alla disciplina generale dei termini procedimentali per le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali prevista dalla L. 241 del 1990, occorre considerare che esistono norme speciali previste da leggi di settore.
La legge disciplina anche le conseguenze del mancato rispetto dei termini procedimentali e del tardivo adempimento da parte dell’amministrazione procedente. Innanzitutto la legge prevede che l’interessato può rivolgersi ad una figura interna all’amministrazione, titolare del potere sostitutivo, che appunto si sostituisce al dirigente o al funzionario inadempiente e conclude il procedimento medesimo o attraverso le strutture competenti o ricorrendo alla nomina di un commissario. In ogni caso, il provvedimento finale deve essere adottato entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto. Per rafforzare l’efficacia di tale rimedio, il recente D.L. n. 77/2021 (articolo 61) ha stabilito che il potere sostitutivo può essere attribuito non solo ad una figura apicale, ma anche ad un’unità organizzativa. In secondo luogo, ha introdotto la possibilità che l’attivazione del potere sostitutivo possa avvenire anche d’ufficio, oltre che su istanza del privato.
Oltre alla attivazione del potere sostitutivo, la mancata o tardiva emanazione del provvedimento costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente (art. 2, co. 9, L. 241 del 1990).
Per i casi di ritardo doloso o colposo del termine di conclusione del procedimento, la legge prevede il risarcimento del danno ingiusto cagionato in favore del privato (c.d. danno da ritardo ex art. 2-bis, co. 1, L. 241 del 1990).
Dal 2013 la legge prevede anche l’ipotesi di un indennizzo da ritardo determinato dalla pubblica amministrazione (che può essere sia quella che ha dato avvio al procedimento, sia altra amministrazione, che intervenga nel corso del procedimento e che abbia causato il ritardo), ma anche dai soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative, nella conclusione di procedimenti ad istanza di parte: a differenza del risarcimento l’indennizzo non può essere richiesto nei procedimenti avviati d'ufficio, presuppone il decorso del tempo quale mero nesso causale e deve essere preceduto dall'attivazione del potere sostitutivo (art. 2-bis, co. 1-bis, L. 241 del 1990).
§ introdurre misure per la tracciabilità digitale dei procedimenti (lettera l), introdotta in sede referente);
§ armonizzare, attraverso l’adozione di modelli unificati e standardizzati da approvarsi mediante accordo in Conferenza unificata, la modulistica per la presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni alle pubbliche amministrazioni, anche relative alle attività commerciali (lettera m) introdotta in sede referente).
La modulistica unificata
La normativa sulla modulistica è contenuta in primo luogo all’articolo 24 del D.L. n. 90/2014 (come modificato, da ultimo, con D.L. n. 76 del 2020) che ha introdotto l’obbligo di adozione per le p.a. della modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale per la presentazione di istanze, dichiarazioni e segnalazioni da parte dei cittadini e delle imprese. Le amministrazioni statali, ove non abbiano già provveduto, adottano i moduli unificati con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, sentita la Conferenza unificata (comma 2).
Per la presentazione alle pubbliche amministrazioni regionali e agli enti locali di istanze, dichiarazioni e segnalazioni, deve essere adottata una modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale mediante accordi o intese in sede di Conferenza unificata. Le pubbliche amministrazioni regionali e locali utilizzano i moduli unificati e standardizzati nei termini fissati con tali accordi o intese; i cittadini e le imprese li possono comunque utilizzare decorsi trenta giorni dai medesimi termini (comma 3).
Si ricorda che, ai sensi del comma 4 del citato articolo 24, gli accordi sulla modulistica conclusi in sede di Conferenza unificata sono rivolti ad assicurare la libera concorrenza, costituiscono livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, assicurano il coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale al fine di agevolare l'attrazione di investimenti dall’estero.
Ulteriori disposizioni per garantire l’informazione di cittadini e imprese sono successivamente stabilite dal D.Lgs. 126/2016, che in attuazione della delega contenuta nella L. 124 del 2015 (art. 5) disciplina la predisposizione da parte delle p.a. di moduli unificati e standardizzati che definiscono in maniera esaustiva, per tipologia di procedimento, i contenuti tipici e la relativa organizzazione dei dati, delle istanze, delle segnalazioni e delle comunicazioni oggetto dei decreti di attuazione dell'art. 5, nonché i contenuti della documentazione da allegare (art. 2, co. 1). Tali moduli devono prevedere la possibilità del privato di indicare l'eventuale domicilio digitale per le comunicazioni con l'amministrazione.
Per quanto concerne le modalità relative alla predisposizione dei moduli, i moduli sono adottati dalle amministrazioni statali con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, previo parere della Conferenza unificata. Mentre sono necessari accordi o intese in sede di Conferenza unificata, per adottare una modulistica unificata e standardizzata su tutto il territorio nazionale per la presentazione alle pubbliche amministrazioni regionali e agli enti locali di istanze, dichiarazioni e segnalazioni con riferimento all'edilizia e all'avvio di attività produttive.
In sede di attuazione, sono stati raggiunti in sede di Conferenza unificata gli accordi del 4 maggio e del 6 luglio 2017 sulla modulistica unificata e semplificata per le attività commerciali, artigianali ed edilizie (per attività quali esercizi di vicinato e di vendita, bar, ristoranti, attività di acconciatore e/o estetista, panifici, tintolavanderie, autorimesse e autoriparatori). Successivamente, l'accordo del 22 febbraio 2018 ha adottato ulteriori moduli unificati e semplificati relativi ad altre attività commerciali ed assimilate (commercio all'ingrosso, alimentare e non alimentare; facchinaggio; imprese di pulizia, disinfezione, disinfestazione, derattizzazione e sanificazione; agenzie di affari di competenza del Comune).
Con l'Accordo del 17 aprile 2019 sono stati approvati nuovi moduli relativi a: somministrazione di alimenti e bevande all'interno di associazioni e circoli aderenti a enti o organizzazioni nazionali aventi finalità assistenziali e che hanno natura di enti non commerciali; strutture ricettive alberghiere; struttura ricettive all'aria aperta Con l'Accordo del 25 luglio 2019 sono stati approvati tre nuovi moduli unificati e standardizzati relativi a: autoscuole; somministrazione di alimenti e bevande all’interno di associazioni e circoli aderenti e non aderenti che hanno natura commerciale. Con l'Accordo del 18 dicembre 2019 è stato modificato il termine del 31 dicembre 2019 previsto dall'Accordo del 25 luglio 2019 relativamente all'adozione della modulistica per le autoscuole, prorogandolo al 31 marzo 2020.
Secondo quanto emerge dal Rapporto di monitoraggio per la semplificazione 2018-2020, tutte le regioni hanno adeguato, in relazione alle specifiche normative regionali, i contenuti informativi dei moduli.
Per le amministrazioni destinatarie delle istanze, segnalazioni e comunicazioni è introdotto l'obbligo di pubblicare sul proprio sito istituzionale i moduli e, per ciascuna tipologia di procedimento, l'elenco degli stati, qualità personali e fatti oggetto di dichiarazione sostitutiva, di certificazione o di atto di notorietà, nonché delle attestazioni e asseverazioni dei tecnici abilitati o delle dichiarazioni di conformità dell'Agenzia delle imprese, necessari a corredo della segnalazione, indicando le norme che ne prevedono la produzione (art. 2, co. 2). L'obbligo di pubblicazione si intende assolto anche attraverso il link alle piattaforme telematiche in uso o alla modulistica adottata dalle regioni. Tale regime di pubblicità si affianca agli altri obblighi di trasparenza concernenti i procedimenti amministrativi disciplinati in generale dal cd. Codice della trasparenza delle pubbliche amministrazioni (D.Lgs. n. 33/2013, in particolare art. 35).
In caso di omessa pubblicazione dei moduli e della relativa documentazione, il decreto prevede l'attivazione di poteri sostitutivi tra i diversi livelli amministrativi (art. 2, co. 3). Ed, in particolare, in caso di omessa pubblicazione dei documenti:
da parte degli enti locali, le regioni assegnano agli enti interessati, anche su segnalazione del cittadino, un termine per provvedere, decorso inutilmente il quale adottano le misure sostitutive. Per le modalità si fa rinvio, senza ulteriori specificazioni, alla disciplina statale e regionale applicabile nella relativa materia;
da parte delle regioni, si provvede in via sostitutiva con le modalità dell'art. 8 della L. 131/2003, che ha disciplinato il potere sostitutivo da parte del governo in attuazione dell'art. 120 Cost.
A garanzia dei privati e dei principi di semplificazione e trasparenza del procedimento, è fatto divieto all'amministrazione procedente di chiedere informazioni o documenti ulteriori rispetto a quelli indicati nei moduli pubblicati sul sito istituzionale, nonché di richiedere documenti in possesso di una pubblica amministrazione. Eventuali richieste integrative di documentazione all'interessato possono essere rivolte solo in caso di mancata corrispondenza del contenuto dell'istanza, della segnalazione o comunicazione e dei relativi allegati a quanto indicato nei moduli pubblicati sul proprio sito (art. 2, co. 4).
Infine, il decreto ha introdotto le sanzioni per la mancata pubblicazione delle informazioni e dei documenti indicati, nonché per la richiesta di integrazioni documentali non corrispondenti alle informazioni e ai documenti pubblicati, stabilendo che tali fattispecie "costituiscono illecito disciplinare punibile con la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da tre giorni a sei mesi" (art. 2, co. 5).
§ promuovere lo sviluppo della concorrenza nell’esercizio della libera professione mediante opportune semplificazioni di carattere procedimentale e amministrativo (lettera n), introdotta in sede referente).
Il comma 3 dispone che i decreti legislativi siano adottati entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con i Ministri competenti per materia.
Sugli schemi di decreti legislativi è acquisito:
§ il parere delle associazioni imprenditoriali e, come previsto in sede referente delle associazioni professionali e degli enti rappresentativi del sistema camerale;
§ il parere nonché, per i profili di competenza regionale, l’intesa della Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 8 del d.lgs. n. 281 del 1997;
In proposito si ricorda che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 251 del 2016, sulla legge n. 124 del 2015, ha evidenziato come nel caso di decreti legislativi per il riordino di numerosi settori inerenti a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e degli enti locali, che influiscono su varie materie, cui corrispondono interessi e competenze sia statali, sia regionali e, in alcuni casi, degli enti locali occorre, anzitutto, verificare se, nei singoli settori in cui intervengono le norme impugnate, fra le varie materie coinvolte, ve ne sia una, di competenza dello Stato, cui ricondurre, in maniera prevalente, il disegno riformatore nel suo complesso. Quando non è possibile individuare una materia di competenza dello Stato cui ricondurre, in via prevalente, la normativa impugnata, perché vi è, invece, una concorrenza di competenze, statali e regionali, relative a materie legate in un intreccio inestricabile, è necessario che il legislatore statale rispetti il principio di leale collaborazione e preveda adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni (e degli enti locali), a difesa delle loro competenze.
In tale pronuncia - in senso evolutivo rispetto alla giurisprudenza precedente – la Corte ha ritenuto che l’intesa nella Conferenza “costituisca un necessario passaggio procedurale anche quando la normativa statale deve essere attuata con decreti legislativi delegati, che il Governo adotta sulla base di quanto stabilito dall’art. 76 Cost. Tali decreti, sottoposti a limiti temporali e qualitativi e condizionati a tutte le indicazioni contenute nella Costituzione e nella legge delega, non possono sottrarsi alla procedura concertativa, proprio per garantire il pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze”.
Si ricorda anche che il Comitato permanente per i pareri della I Commissione Affari costituzionali, il Comitato per la legislazione e la Commissione parlamentare per le questioni regionali, nei pareri espressi sul provvedimento, hanno invitato, con un’osservazione, a distinguere meglio i profili di delega per i quale sarà necessaria l’intesa in sede di Conferenza unificata da quelli per i quali sarà sufficiente il parere nella medesima sede.
§ il parere del Consiglio di Stato.
Tutti i pareri sono resi nel termine di 45 giorni dalla data di trasmissione di ciascuno schema, decorso il quale il Governo può comunque procedere.
Successivamente è prevista l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nel termine di 45 giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti legislativi possono essere comunque adottati.
Si segnala in proposito che, nella sentenza n. 261 del 2017, la Corte costituzionale ha confermato che l’avverbio "successivamente" - collocato in fattispecie analoghe a quella descritta - scandisce un ordine procedimentale, in virtù del quale non è tassativo richiedere prima i pareri della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome (o, a seconda dei casi, della Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali) e del Consiglio di Stato e soltanto all’esito della formulazione dei medesimi richiedere quelli delle Commissioni parlamentari. Secondo la Corte, l’adempimento procedurale imprescindibile è infatti che queste ultime rendano il parere dopo avere avuto contezza di quelli espressi dagli altri organi dianzi indicati.
Entro un anno dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi (di cui al comma 1), il Governo ha la facoltà di adottare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive, nel rispetto della procedura e dei princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo in esame (comma 8).
In proposito si ricorda che il Comitato permanente per i pareri della I Commissione Affari costituzionali, il Comitato per la legislazione e la Commissione parlamentare per le questioni regionali, nei pareri espressi sul provvedimento, hanno invitato, con un’osservazione, a precisare che il termine di un anno per l’adozione dei decreti legislativi integrativi e correttivi si riferisce all’entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi.
È affidata alla Commissione parlamentare per la semplificazione la verifica periodica dello stato di attuazione dell’articolo in esame, su cui riferisce ogni sei mesi alle Camere (comma 10).
La Commissione parlamentare per la semplificazione della legislazione è stata istituita dall'articolo 14, comma 19, della legge 28 novembre 2005, n. 246 (legge di semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005). A seguito della novella introdotta dall'articolo 4, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha assunto la denominazione di "Commissione parlamentare per la semplificazione", a decorrere dal 4 luglio 2009. La Commissione è composta da 20 senatori e da 20 deputati nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati nel rispetto della proporzione esistente tra i gruppi parlamentari.
Nell'ambito delle politiche di semplificazione degli ultimi anni, l'articolo 24 del decreto-legge n. 90 del 2014 - che ha dato vita all'agenda per la semplificazione - ha attribuito alla Commissione il ruolo di interlocuzione con il Governo, chiamato a riferire sullo stato di attuazione dell’Agenda entro il 30 aprile di ciascun anno. L’articolo 24 prevede infatti che il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione illustri alla Commissione parlamentare per la semplificazione i contenuti dell'Agenda per la semplificazione entro quarantacinque giorni dalla sua approvazione da parte del Consiglio dei ministri e riferisce sul relativo stato annualmente.
Il Governo, nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato adotta le norme regolamentari di attuazione o esecuzione adeguandole alla nuova disciplina di livello primario (comma 11).
Dall’attuazione delle deleghe non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tale fine, agli adempimenti previsti dai relativi decreti legislativi le Amministrazioni provvedono attraverso una diversa allocazione delle ordinarie risorse umane, finanziarie e strumentali, allo stato in dotazione alle medesime amministrazioni (comma 12).
In via generale si ricorda che in conformità all’articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura necessari per l'adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, la quantificazione degli stessi è effettuata al momento dell'adozione dei singoli decreti legislativi. I decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.
Infine, con il comma 13, introdotto in sede referente, si prevede una revisione delle disposizioni del d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, che regola l’individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata.
In particolare, le modifiche al regolamento sono funzionali a:
§ ampliare e precisare le categorie di interventi e opere di lieve entità;
§ operare altre semplificazioni procedimentali, individuando ulteriori tipologie di interventi non soggetti ad autorizzazione paesaggistica oppure sottoposti ad autorizzazione paesaggistica semplificata;
§ riordinare, introducendo la relativa disciplina nell'ambito del medesimo regolamento, le fattispecie di interventi soggetti a regimi semplificati introdotte mediante norme di legge.
Le disposizioni modificative e integrative del regolamento devono essere adottate entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della proposta di legge in esame.
Il d.P.R. 31/2017 ha introdotto il nuovo Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall’autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata, in attuazione dell’art. 12, comma 2, D.L. 83/2014, sostituendo e abrogando il previgente d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139.
Oltre ad ampliare e precisare le ipotesi di interventi di lieve entità, il d.P.R. 31/2017 individua 31 tipologie di interventi escluse dall’autorizzazione paesaggistica (all. A), che si aggiungono alle 42 tipologie di interventi di lieve entità sottoposte a procedura semplificata (all. B), che, nella sostanza analoga a quella già prevista dal regolamento del 2010, prevede il dimezzamento dei termini di conclusione del procedimento (da 120 a 60 giorni) e la riduzione a una sola relazione paesaggistica semplificata della complessa e onerosa documentazione imposta invece per le procedure ordinarie dal d.P.C.M. 12 dicembre 2005, recante l’individuazione della documentazione necessaria alla verifica della compatibilità paesaggistica degli interventi proposti.
In materia di deroghe alla disciplina dell’autorizzazione paesaggistica (art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio), rilevano gli artt. 181, comma 3, del D.L. 34/2020 e 10, comma 5, del D.L. 76/2020, che hanno stabilito l’esenzione temporanea dall’autorizzazione ex artt. 21 e 146 cod. beni culturali per la posa in opera di strutture amovibili in aree vincolate, al fine di favorire la somministrazione di cibo e bevande all’aperto.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia alla pagina web “Interventi per le costruzioni” del tema “Edilizia” della Camera dei deputati.
I commi da 4 a 7 - inseriti in sede referente – delegano il Governo all’adozione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di uno o più decreti legislativi per adeguare al diritto europeo, razionalizzare, riordinare e semplificare la disciplina in materia di fonti energetiche rinnovabili e ridurre gli oneri regolatori gravanti su cittadini e imprese (comma 4). A tal fine, sono indicati i principi e criteri direttivi di delega, tra i quali: la significativa riduzione e razionalizzazione del complesso delle disposizioni legislative e regolamentari nella materia, la coerenza giuridica logica e sistematica del quadro normativo, la chiarezza e la semplificazione della disciplina e dei procedimenti amministrativi, la semplificazione dei procedimenti amministrativi, anche mediante la soppressione dei regimi autorizzatori, una più estesa e ottimale utilizzazione della digitalizzazione, l’adeguamento dei livelli di regolazione a quelli minimi richiesti dalla normativa europea (comma 5).
Sul piano della tecnica legislativa, i decreti legislativi devono abrogare espressamente le disposizioni oggetto di riordino o comunque incompatibili e recare le opportune disposizioni di coordinamento con le norme non abrogate o non modificate (comma 6). È inoltre dettagliata la procedura di adozione dei decreti legislativi delegati (comma 7) e la possibilità di adottare, entro un anno, dei decreti correttivi (comma 9).
Segnatamente, ai sensi del comma 4, il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di fonti energetiche rinnovabili, anche al fine di adeguare la relativa disciplina al diritto europeo e di razionalizzare, riordinare e semplificare la normativa vigente, ridurre gli oneri regolatori gravanti su cittadini e imprese e accrescere la competitività del Paese.
Ai sensi del comma 5, i decreti legislativi devono essere adottati nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) ricognizione e riordino del quadro normativo vigente in materia di fonti energetiche rinnovabili, al fine di conseguire una significativa riduzione e razionalizzazione del complesso delle disposizioni legislative e regolamentari e un più elevato livello di certezza del diritto e di semplificazione dei procedimenti, in considerazione degli aspetti peculiari della materia;
b) coordinamento, sotto il profilo formale e sostanziale, delle disposizioni legislative vigenti, anche di attuazione della normativa europea, apportando le modificazioni necessarie a garantire o migliorare la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa in materia;
c) assicurare l'unicità, la contestualità, la completezza, la chiarezza e la semplicità della disciplina relativa a ogni attività o gruppo di attività;
d) semplificazione dei procedimenti amministrativi, anche mediante la soppressione dei regimi autorizzatori, razionalizzazione e accelerazione delle procedure, fissazione di termini certi per la conclusione dei procedimenti, con l'obiettivo di facilitare, in particolare, l'avvio dell'attività economica, l'installazione e il potenziamento degli impianti, anche a uso domestico, nel settore delle fonti di energia rinnovabile;
e) aggiornamento delle procedure, prevedendo la più estesa e ottimale utilizzazione della digitalizzazione, anche nei rapporti con i destinatari dell'azione amministrativa;
f) adeguamento dei livelli di regolazione a quelli minimi richiesti dalla normativa europea.
Ai sensi del comma 6, i decreti legislativi devono abrogare espressamente tutte le disposizioni oggetto di riordino o comunque incompatibili e recare le opportune disposizioni di coordinamento con quelle non abrogate o non modificate.
Il comma 7 dispone che i decreti legislativi siano adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro delegato per la pubblica amministrazione e del Ministro della transizione ecologica, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro della cultura, previa intesa con la Conferenza Unificata.
Sugli schemi di decreti legislativi deve essere acquisito il parere del Consiglio di Stato: il parere è reso entro trenta giorni dalla data di trasmissione di ciascuno schema, decorsi i quali il Governo può comunque procedere.
Gli schemi sono trasmessi alle Camere per l'espressione dei pareri della Commissione parlamentare per la semplificazione, e delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano entro trenta giorni dalla trasmissione, decorsi i quali i decreti legislativi possono essere comunque adottati.
Se il termine previsto per l'espressione del parere delle Commissioni parlamentari cade nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l'esercizio della delega o successivamente, la scadenza medesima è prorogata di novanta giorni.
Ai sensi del comma 9, entro un anno dell’entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, il Governo può adottare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi indicati al comma 5 e della procedura di cui al comma 3-quinquies.
La normativa in materia di fonti rinnovabili è caratterizzata, sul piano nazionale, in specie per ciò che attiene alla disciplina dei procedimenti autorizzatori alla costruzione e all’esercizio degli impianti a FER, dall’esistenza di un coacervo di norme che nel corso del tempo si sono via via affastellate e sovrapposte, e, recentemente, moltiplicatesi, con il fine di introdurre le maggiori semplificazioni possibili e, dunque, eliminare i vincoli allo sviluppo delle fonti rinnovabili, in funzione attuativa degli obiettivi fissati in tale senso dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – il quale peraltro delinea, come riforma (M2C2-R.1.1-6[70]) la semplificazione delle procedure di autorizzazione per gli impianti rinnovabili onshore e offshore - e nell’ottica del raggiungimento di una maggiore indipendenza energetica del Paese, in un contesto di crisi quale quello attuale.
Dunque, il quadro normativo e regolatorio, di derivazione europea, è delineato:
· nel decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, di attuazione della direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità;
· nel D.M. 10 settembre 2010 “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili” attuativo dell’art. 12 del citato decreto n. 387,
· nel decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (“Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE (cd. RED I)”);
· nel decreto legislativo 8 novembre 2021 n. 199, di recepimento della direttiva 2018/2001/UE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (cd. RED II) - che incide sul pregresso assetto, prevedendo la delimitazione delle aree idonee e non idonee all’istituzione ed esercizio degli impianti a FER[71] e la sistematizzazione dei regimi generali di autorizzazione[72] riducendo di 1/3 i tempi per quelli relativi ad impianti in aree idonee.
Tale quadro normativo generale, già articolato, è stato a sua volta integrato da numerosissimi ulteriori interventi normativi, tali per cui sono numerose le eccezioni legate alla localizzazione degli impianti rispetto all’assetto generale.
A titolo esemplificativo e non esaustivo, si riporta, di seguito un breve elenco dei principali interventi normativi che, dall’anno 2020, hanno inteso semplificare la materia:
- D.L. 16 luglio 2020, n. 76 «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale» convertito con modificazioni dalla l. 11 settembre 2020, n. 120 (cfr., in particolare, art. 56);
- D.L. 31 maggio 2021, n. 77: «Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e prime misure di rafforzamento delle strutture amministrative e di accelerazione e snellimento delle procedure», convertito con modificazioni dalla l. 29 luglio 2021, n. 108;
- D.L. 6 novembre 2021, n. 152 «Disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose» convertito, con modificazioni, dalla l. 29 dicembre 2021, n. 233;
- D.L. 1 marzo 2022, n. 17, coordinato con la legge di conversione 27 aprile 2022, n. 34: «Misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali», convertito, con modificazioni, dalla L. 27 aprile 2022, n. 34;
- D.L. 21 marzo 2022, n. 21, «Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina» convertito, con modificazioni, dalla L. 20 maggio 2022, n. 51.
- D.L. 17 maggio 2022, n. 50 «Misure urgenti in materia di politiche energetiche nazionali, produttività delle imprese e attrazione degli investimenti, nonché in materia di politiche sociali e di crisi ucraina».
Il risultato è l’esistenza di un sistema complesso e frammentato, composto da numerosissime norme o micro norme, che non sempre sono coordinate tra loro e che hanno indotto gli stessi operatori istituzionali a procedere alla redazione di quadri esplicativi della disciplina vigente: si rinvia, sul punto, alla ricognizione predisposta dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE) sul proprio sito istituzionale, che riporta in forma tabellare un elenco del quadro autorizzatorio vigente.
Si rammenta, peraltro, che la “codificazione soft” effettuata con il decreto legislativo 5 novembre 2016, n. 222 (cd. SCIA 2) per il settore dell’edilizia (cfr. Sezione II), ha riguardato solo assai parzialmente i regimi autorizzatori all’esercizio degli impianti a FER.
Il decreto legislativo 5 novembre 2016, n. 222 (cd. SCIA 2) provvede alla “mappatura” e alla individuazione delle attività oggetto di procedimento di mera comunicazione o segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso (articolo 1) e introduce le conseguenti disposizioni normative di coordinamento.
In particolare, il decreto riporta nella tabella A è suddivisa in tre sezioni:
Sezione I, denominata “Attività commerciali e assimilabili”,
Sezione II, denominata “Edilizia”, che ricomprende gli interventi edilizi e i relativi regimi amministrativi, altri adempimenti successivi all’intervento edilizio e alcuni interventi relativi a impianti alimentati da fonti rinnovabili, per un totale di 105 attività;
Sezione III, denominata “Ambiente”, che ricomprende le autorizzazioni integrate ambientali (AIA), le valutazioni di impatto ambientale (VIA), le autorizzazioni uniche ambientali (AUA), nonché le attività relative alle emissioni in atmosfera, alla gestione rifiuti, all’inquinamento acustico, agli scarichi idrici, alle dighe, alle bonifiche e altri procedimenti in materia di tutela dei corpi idrici, per un totale di 34 attività.
Come rilevato dal Consiglio di Stato (parere n. 1784/2016 del 04/08/2016) reso sullo schema di decreto legislativo cd. “Scia 2”, adottato poi con decreto legislativo n. 222/2016), il legislatore delegato ha dunque attuato uno degli oggetti principali della delega di cui all’articolo 5 della legge n. 124/2015, utilizzando lo strumento tabellare per una “codificazione soft” concepita come tecnica di semplificazione, a carattere anche innovativo. Sempre il Consiglio di Stato ha però rilevato come lo strumento legislativo in esame postuli “un’azione di costante monitoraggio del funzionamento delle norme”. In particolare, il Consiglio ha rilevato alcuni profili della riforma che, nella sua successiva fase di attuazione, potrebbero far emergere possibili criticità di funzionamento, tra le quali, per quanto qui maggiormente rileva, l’aggiornamento della Tabella A in relazione alle disposizioni legislative successivamente intervenute o alla necessità di completare la ricognizione delle attività; la regolazione di nuove attività, in particolare nella materia del commercio, che, altrimenti, sarebbero libere, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo “SCIA 1”.
L’elenco contenuto nella Tabella A, infatti, non ha carattere esaustivo di tutte le attività che vengono svolte nella realtà dei rapporti economico-commerciali.
L’articolo 27 – modificato in sede referente - delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per semplificare, rendere più efficaci ed efficienti e coordinare i controlli sulle attività economiche, ed in particolare, eliminare gli adempimenti non necessari, favorire la programmazione dei controlli per evitare duplicazioni, sovrapposizioni e ritardi al normale esercizio dell’attività di impresa, consentire l’accesso ai dati e allo scambio delle informazioni da parte dei soggetti con funzioni di controllo, anche attraverso l’interoperabilità delle banche dati.
Il comma 1 delega il Governo ad adottare - senza nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica - uno o più decreti legislativi, volti a semplificare, rendere più efficaci ed efficienti e coordinare i controlli sulle attività economiche, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi, oltre che nel rispetto dei criteri per l’esercizio delle deleghe di semplificazione di cui all’art.20, comma 3 della legge n. 59/1997, cd. “Legge Bassanini”:
a) eliminazione degli adempimenti non necessari alla tutela degli interessi pubblici e delle corrispondenti attività di controllo;
b) semplificazione degli adempimenti amministrativi necessari sulla base del principio di proporzionalità rispetto alle esigenze di tutela degli interessi pubblici;
c) coordinamento e programmazione dei controlli da parte delle amministrazioni per evitarne duplicazioni e sovrapposizioni e ritardi al normale esercizio delle attività dell’impresa, assicurando l’efficace tutela dell’interesse pubblico;
d) programmazione dei controlli secondo i principi di efficacia, efficienza e proporzionalità, tenendo conto delle informazioni in possesso delle amministrazioni competenti, definendone contenuti, modalità e frequenza anche sulla base delle verifiche e delle ispezioni pregresse, nonché sulla base del possesso di certificazioni del sistema di gestione per la qualità ISO o di sistemi equivalenti o dell'adozione da parte degli operatori economici di adeguati sistemi e modelli per l'identificazione e la gestione dei rischi. Il richiamo al rispetto della disciplina sulla protezione dei dati personali è stato inserito in sede referente;
e) ricorso alla diffida o ad altri meccanismi di promozione dell’ottemperanza alla disciplina a tutela di interessi pubblici, configurando l'attività di controllo in un'ottica non solo repressiva, ma anche conoscitiva, di sostegno all'adempimento e di indirizzo, sulla base di una precisazione inserita in sede referente;
f) promozione della collaborazione tra le amministrazioni e i soggetti controllati al fine di prevenire rischi e situazioni di irregolarità, anche introducendo meccanismi di dialogo e di valorizzazione dei comportamenti virtuosi, anche attraverso strumenti premiali;
g) accesso ai dati e scambio delle informazioni da parte dei soggetti che svolgono funzioni di controllo ai fini del coordinamento e della programmazione dei controlli anche attraverso:
l’interoperabilità delle banche dati, secondo la disciplina di cui al Codice dell’amministrazione digitale (decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82), e nel rispetto del Regolamento europeo generale sulla protezione dei dati personali (General Data Protection Regulation-GDPR), Regolamento 2016/679/UE, e della relativa normativa nazionale di recepimento, contenuta nel decreto legislativo n. 196/2003 Codice in materia di protezione dei dati personali. Il richiamo al rispetto della disciplina sulla protezione dei dati personali è stato inserito in sede referente;
h) individuazione, trasparenza e conoscibilità degli obblighi e degli adempimenti da parte delle imprese e dei processi e metodi dei controlli, con l’uso di strumenti standardizzati e orientati alla gestione dei rischi, quali liste di verifica, manuali e linee guida e indirizzi uniformi;
i) verifica e valutazione degli esiti dell’attività di controllo in termini di efficacia, efficienza e sostenibilità;
l) si ribadisce altresì il divieto per le pubbliche amministrazioni, nell’ambito dei controlli sulle attività economiche, di richiedere la produzione di documenti e informazioni già in loro possesso, anche prevedendo sanzioni disciplinari nel caso di inadempienze, sulla base di una precisazione inserita in sede referente.
Nel rinviare più diffusamente al Dossier di Documentazione e ricerche “La semplificazione degli adempimenti amministrativi per le attività produttive” (Doc. Ric. n. 136/5 febbraio 2021) e, di seguito, al Box ricostruttivo, si rammenta in questa sede che il legislatore europeo, con la Direttiva 2006/123/CE Direttiva sui servizi del mercato interno, cd. Direttiva Bolkenstein o Direttiva Servizi, ha considerato necessario stabilire principi quadro di semplificazione amministrativa comuni per tutti gli Stati membri, a partire dalla limitazione dell'obbligo di autorizzazione preliminare ai casi in cui essa è indispensabile, alla luce del principio di proporzionalità, di non discriminazione, e di necessità, e del principio della tacita autorizzazione da parte delle autorità competenti allo scadere di un determinato termine. La Direttiva sancisce inoltre un sostanziale divieto del bis in idem, o principio del once only, in quanto le condizioni di rilascio dell’autorizzazione relativa ad un nuovo stabilimento non devono rappresentare un doppione di requisiti e controlli equivalenti o sostanzialmente comparabili, quanto a finalità, a quelli ai quali il prestatore è già assoggettato in un altro Stato membro o nello stesso Stato membro (articolo 10).
Il decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 126, (c.d. SCIA 1) sancisce il principio per cui l'amministrazione può chiedere all'interessato informazioni o documenti solo in caso di mancata corrispondenza del contenuto dell'istanza, segnalazione o comunicazione e dei relativi allegati prescritti e viene vietata ogni richiesta di informazioni o documenti ulteriori rispetto a quelli indicati dalla normativa, nonché di documenti (già) in possesso di una pubblica amministrazione.
Inoltre, la mancata pubblicazione delle informazioni e dei documenti e la richiesta di integrazioni documentali non corrispondenti alle informazioni e ai documenti pubblicati costituiscono illecito disciplinare punibile con la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da tre giorni a sei mesi[73] (articolo 2, co.4-6).
La previsione in esame è riconducibile alla necessità di dare cogenza al principio comunitario “once only” previsto nella direttiva servizi (2006/123/CE).
Nel corso dell’esame in sede referente, sono stati aggiunti i seguenti ulteriori principi e criteri direttivi:
m) individuazione di specifiche categorie per i creatori di contenuti digitali rispetto all’attività economica svolta;
n) previsione di meccanismi dedicati alla risoluzione alternativa delle controversie tra creatori di contenuti digitali e relative piattaforme.
Una maggior tutela dei creatori di contenuti digitali è stata auspicata dal documento conclusivo (approvato il 9 marzo 2022) dell’indagine conoscitiva condotta dalla XI Commissione (Lavoro). In particolare, in tale documento viene evidenziato il forte squilibrio contrattuale delle parti (creatori di contenuti e piattaforme), “che si traduoe innanzitutto nell'impossibilità per i creatori che non abbiano un proprio potere contrattuale legato al mumero dei follower di incidere sulla regolazione del rapporto stesso, che è stabilita, in modo unilaterale, dalla piattaforma. In questo senso un primo indispensabile elemento di protezione è rappresentato dalla trasparenza delle condizioni che regolano il rapporto e dalla possibilità per i creatori di conoscere tempestivamente le modifiche alle policy delle piattaforne, anche al fine di non incorrere in provvedimenti sanzionatori da parte delle piattaforme stesse”.
Sempre con riferimento agli squilibri esistenti tra le parti sul piano contrattuale, nel documento conclusivo si rileva che “una soluzione potrebbe essere costituita dall' inquadramento della fattispecie dei consumatori-lavoratori nell'ambito delle tutele previste in caso di sottoscrizione di clausole vessatorie dagli articoli da 33 a 38 del codice del consumo, che hanno sopperito al deficit di protezione assicurata alle parti deboli della contrattazione standardizzata dagli articoli 1341 e 1342 del codice civile. In questo modo, potrebbe recuperarsi anche un clemento di protezione in caso di costituzione di rapporti che prevedono un vincolo di esclusiva nei confronti di una dellc piattaformc, che rischia di sacrificare in modo eccessivo le opportunità e le possibilità di crescita professionale dei creatori nell'ambiente digitale. Al di fuor di questo schema, potrebbe inoltre valorizzarsi la possibilità per gli opcratori del settore di attivare forme di tutela collettiva su base associativa, pur in un contesto che riconosca la sostanziale autonomia dei lavoratori. Inoltre, in linca con la normativa europea in fase di emanazione, sarebbe auspicabile l'introduzione di lince guida da parte di un organismo terzo, deputato anchc alla verifica della loro applicazione nonché delle misure adottate dalle piattaforme e che pubblichi e comunichi i provvedimenti da queste assunti, in modo da garantire trasparenza, correttezza e impedire l'assunzione di decisioni unilaterali che danneggino i creator”.
Lo stesso documento sotolinea che “un ulteriore livello di tutela … è rappresentato dalla presenza di un servizio, assicurato dalla controparte contrattuale, al quale rivolgersi in caso di contestazioni o segnalazioni di criticità o disservizi … L'attivazione di adeguate forme di confronto preventivo e di soluzione stragiudiziale delle controversie rappresenta uno strumento essenziale anche per limitare gli effetti di provvedimenti sanzionatori sforniti di sufficienti motivazioni, in modo da escludere che misure particolarmente afflittive siano adottate esclusivamente sulla base di decisioni prese per effetto dell'applicazione di un algoritmo e senza una vorifica umana. Quanto alle tutele più specificamente lavoristiche, se sembra difficile ipotizzare l'applicazione della normativa che disciplina il lavoro subordinato, il punto di riferimento è senza dubbio rappresentato dallo Statuto del lavoro autonomo, di cui alla legge n. 81 del 2017, che dovrebbe tuttavia essore oggetto di un'opcra di aggiomamento e di rafforzamento, che tenga conto anche della rapidissima cvoluzione del ricorso alle tecnologie, ulteriormente accentuatosi nel corso della pandemia”.
Ai sensi del comma 2, i decreti legislativi sono adottati entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, del Ministro dello sviluppo economico, del Ministro per la transizione al digitale, del Ministro dell’economia e delle finanze e dei Ministri competenti per materia, sentite le associazioni imprenditoriali – nonché gli enti rappresentativi del sistema camerale secondo quanto inserito in sede referente - e le organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, previa:
· acquisizione dell’intesa in sede di Conferenza Unificata, e
· del parere del Consiglio di Stato,
Intesa e parere sono resi entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto legislativo. Decorso tale termine il Governo può comunque procedere.
Lo schema di decreto legislativo è successivamente trasmesso alle Camere per l'espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano entro quarantacinque giorni dalla data trasmissione. Decorso tale termine il provvedimento può essere comunque adottato.
Il comma 3, introdotto in sede referente, richiede che almeno uno dei decreti legislativi sia adottato entro dieci mesi dalla data di entrata in vigore della legge, richiamando i princìpi e criteri direttivi di cui al comma 1 e la procedura di cui al comma 2.
Ai sensi del comma 5, entro dodici mesi dall’entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, uno o più decreti legislativi integrativi e correttivi possono essere adottati dal Governo.
Ai sensi del comma 4, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, nell’ambito dei propri ordinamenti, conformano le attività di controllo di loro competenza ai principi e criteri direttivi indicati dal comma 1.
Ai sensi del comma 6, dall’attuazione delle norme qui in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tale fine, le amministrazioni provvedono agli adempimenti previsti dai decreti legislativi con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Si osserva che l’articolo in esame – nel delegare il Governo all’adozione di uno o più decreti legislativi per semplificare, rendere più efficaci ed efficienti e coordinare i controlli sulle attività economiche – non delimita l’ambito dei controlli stessi, richiamando le attività economiche nel loro complesso, senza indicare le categorie di attività interessate, né se si tratta di controlli ex ante (necessari all’avvio dell’attività d’impresa), ovvero ex post, ovvero di entrambe. La delega non opera alcun richiamo e coordinamento con le attività previste nel PNRR, né con quelle, già avviate, ai sensi dell’articolo 15 del decreto-legge n. 76/2020, né con l’ulteriore delega contenuta nell’articolo 23.
La semplificazione degli adempimenti amministrativi per le attività produttive
L’input comunitario
Una delle principali difficoltà riscontrate dagli operatori economici privati, in particolare dalle PMI, nell'accesso alle attività di servizi e nel loro esercizio è rappresentato – secondo le analisi delle Istituzioni comunitarie[74]- dalla complessità, dalla lunghezza e dall'incertezza giuridica delle procedure amministrative. Per tale motivo, il legislatore europeo ha considerato necessario stabilire principi quadro di semplificazione amministrativa comuni per tutti gli Stati membri, a partire dalla limitazione dell'obbligo di autorizzazione preliminare ai casi in cui essa è indispensabile, alla luce del principio di proporzionalità, di non discriminazione, e di necessità[75], e dall'introduzione del principio della tacita autorizzazione da parte delle autorità competenti allo scadere di un determinato termine.
L’azione di semplificazione delle procedure e la riduzione dei regimi autorizzatori - realizzata dal legislatore dell’UE con la direttiva 2006/123/CE Direttiva sui servizi del mercato interno, cd. Direttiva Bolkenstein - è stata esplicitamente finalizzata “ad eliminare ritardi, costi ed effetti dissuasivi che derivano da procedure non necessarie o eccessivamente complesse e onerose e dalla loro duplicazione, complicazioni burocratiche nella presentazione di documenti, abuso di potere da parte delle autorità competenti, termini di risposta non precisati o eccessivamente lunghi, validità limitata dell'autorizzazione rilasciata o costi e sanzioni sproporzionati”[76], pur con la necessità dichiarata di mantenere gli obblighi di trasparenza e di aggiornamento delle informazioni relative agli operatori. Con riferimento alle duplicazioni, opera un sostanziale divieto del bis in idem, o principio del once only, in quanto le condizioni di rilascio dell’autorizzazione relativa ad un nuovo stabilimento non devono rappresentare un doppione di requisiti e controlli equivalenti o sostanzialmente comparabili, quanto a finalità, a quelli ai quali il prestatore è già assoggettato in un altro Stato membro o nello stesso Stato membro.
Per agevolare l'accesso alle attività, la Direttiva ha poi considerato essenziale che ogni prestatore abbia un interlocutore unico tramite il quale espletare tutte le procedure e formalità, ha così imposto a tutti gli Stati membri la costituzione, di uno sportello unico di riferimento per le attività dei prestatori di servizi.
L’intervento del legislatore europeo nel 2006 ha dunque inciso in modo sostanziale sulla disciplina nazionale inerente il regime amministrativo autorizzativo delle attività produttive, condizionandone il successivo sviluppo.
Le semplificazioni adottate a livello nazionale
La “Direttiva servizi” è stata attuata in Italia con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, successivamente modificato e integrato, in particolare, dal Decreto legislativo 6 agosto 2012, n. 147[77].
Relativamente ai procedimenti di competenza del Ministero dello sviluppo economico, il decreto prevede espressamente il regime semplificato della segnalazione certificata di inizio attività- SCIA, da presentare allo sportello unico per le attività produttive (SUAP) competente per territorio, per una serie di attività ivi indicate. Nell’impianto complessivo della disciplina attuativa della Direttiva servizi, per ciò che attiene ai procedimenti di competenza del MISE inerenti l’esercizio delle attività economico produttive, emerge dunque la centralità della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA già dichiarazione di inizio attività D.I.A.), quale misura di liberalizzazione dell’attività del privato, in quanto sostituisce al potere autorizzatorio della pubblica amministrazione, finalizzato all’emanazione di un atto di consenso all’esercizio dell’attività, il diritto ex lege del privato di svolgere un’attività, avviandone l’esercizio previa dichiarazione (ora segnalazione). Con essa, resta in capo all’Amministrazione un potere di controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dal privato con i presupposti e i requisiti previsti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale.
Sull’istituto della S.C.I.A., nell’ottica di una ulteriore semplificazione circa la sua applicazione, sono intervenuti i decreti legislativi attuativi della legge delega di riforma della pubblica amministrazione (legge n. 124/2015 – c.d. “Legge Madia”), in particolare il decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 126 e il decreto legislativo 26 novembre 2016, n. 222 (c.d. Decreto SCIA 2). Tale ultimo decreto ha avuto l’intento di procedere ad una sorta di «mappatura»[78] delle attività assoggettate a SCIA, di quelle assoggettate ad autorizzazione e di quelle per cui è prevista la comunicazione. In particolare, il decreto riporta nella tabella A allegata la ricognizione delle attività e dei procedimenti nei settori del commercio e delle attività assimilabili, dell'edilizia e dell'ambiente (per un totale di 246 attività). Per ciascun procedimento o attività, la tabella indica il regime amministrativo applicabile (autorizzazione, silenzio assenso, SCIA, SCIA unica, SCIA condizionata, comunicazione), l’eventuale concentrazione dei regimi amministrativi e i riferimenti normativi (articolo 2). La tabella A è suddivisa in tre sezioni:
1) Sezione I, denominata “Attività commerciali e assimilabili”, che ricomprende attività di commercio su area privata. Si tratta di 14 aree, per un totale di 107 attività.
2) Sezione II, denominata “Edilizia” per un totale di 105 attività;
3) Sezione III, denominata “Ambiente”, per un totale di 34 attività.
Si evidenzia che l’elenco contenuto nella Tabella A non ha carattere esaustivo di tutte le attività che vengono svolte nella realtà dei rapporti economico-commerciali.
Si rinvia per un dettaglio al Dossier di Documentazione e ricerche “La semplificazione degli adempimenti amministrativi per le attività produttive”, di febbraio 2021.
Le Raccomandazioni delle Istituzioni europee all’Italia, il PNRR e i più recenti interventi
La necessità di una rimozione degli oneri eccessivi di natura amministrativa e normativa per l’esercizio delle attività economiche, è questione rilevante, e rilevata dalle Istituzioni europee anche sede di valutazione degli squilibri macroeconomici degli Stati membri con l’elaborazione di atti di indirizzo nei confronti di questi ultimi (Raccomandazioni specifiche per Paese) per l’avvio di interventi legislativi appropriati. Per quanto riguarda il nostro Paese, gli oneri eccessivi di natura amministrativa e normativa all’esercizio dell’attività di impresa costituiscono, secondo le Istituzioni europee, impedimenti strutturali alla crescita della produttività e costituiscono un freno agli investimenti.
Nei confronti dell’Italia, è stato pertanto più volte reiterato l’invito ad intervenire in sede legislativa attraverso riforme volte a migliorare l'efficienza della pubblica amministrazione (cfr. Consiglio dell’Unione europea Raccomandazione del 9 luglio 2019 sul PNR 2019 dell’Italia, CSR. n. 3) e a rimuovere gli eccessivi ostacoli burocratici amministrativi per le imprese[79], punti sui quali si registrano a tutt’oggi progressi solo limitati per l’Italia[80](cfr. Commissione Europea, Relazione per Paese relativa all'Italia 2020, cd. Country Report 2020, del 26 febbraio 2020).
Gli indirizzi espressi dalle Istituzioni europee in sede di ciclo di governance economica europea hanno costituito il parametro e criterio di riferimento ai fini dell’elaborazione, nel contesto dell’attuale crisi pandemica, del Piano nazionale di ripresa e resilienza, volto a definire ambiti e obiettivi di utilizzo delle risorse europee destinate alla ripresa economica dell’Unione.
In considerazione di ciò, il Piano nazionale di ripresa e resilienza approvato il 13 luglio 2021[81], mira, tra l’altro, a ridurre i tempi e i costi dei procedimenti amministrativi garantendo servizi di qualità per cittadini e imprese. In questo ambito, obiettivo è adottare misure di riforma volte a ridurre i tempi per la gestione delle procedure, con particolare riferimento a quelle che prevedono l’intervento di una pluralità di soggetti, quale presupposto essenziale per accelerare gli interventi cruciali nei settori chiave per cittadini e imprese, liberalizzare e semplificare, anche mediante l’eliminazione di adempimenti non necessari, reingegnerizzare e uniformare le procedure (cfr. Missione 1, Componente 1, Riforma 2.2 Buona amministrazione e semplificazione).
Le riforme in questione trovano una base in quanto già attuato ai sensi dall’articolo 15 del decreto-legge n. 76/2020 (cd. decreto-legge semplificazioni, convertito con modificazioni in Legge n. 120/2020).
Sulla base della citata norma è stata adottata l’Agenda per la semplificazione 2020-2023, volta a delineare un quadro programmatico di interventi per l’eliminazione sistematica dei vincoli burocratici alla ripresa; la riduzione dei tempi e dei costi delle procedure per le attività di impresa e per i cittadini. L’articolo 15 ha poi previsto che entro il 14 dicembre 2020, lo Stato, le Regioni e le autonomie locali, sentite le associazioni imprenditoriali, gli ordini e le professionali, completassero la ricognizione dei procedimenti amministrativi[82] al fine di individuare:
- le attività soggette ad autorizzazione, giustificate da motivi imperativi di interesse generale e le attività soggette ai regimi giuridici della SCIA, della SCIA Unica, e del silenzio assenso, ovvero al mero obbligo di comunicazione;
- i provvedimenti autorizzatori, gli adempimenti e le misure incidenti sulla libertà di iniziativa economica ritenuti non indispensabili, fatti salvi quelli imposti dalla normativa dell'Unione europea e quelli posti a tutela di principi e interessi costituzionalmente rilevanti;
- i procedimenti da semplificare;
- le discipline e i tempi uniformi per tipologie omogenee di procedimenti;
- i procedimenti per i quali l'Autorità competente può adottare un'autorizzazione generale;
- i livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti per l'adeguamento alla normativa dell'Unione europea.
La Ministra per la Pubblica amministrazione pro tempore, Fabiana Dadone, in audizione il 13 gennaio 2020 presso la Commissione parlamentare per la semplificazione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla semplificazione delle procedure amministrative connesse all'avvio e all'esercizio delle attività di impresa, ha dichiarato il programma di innovazione strategica per la P.A. parte integrante del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Il censimento è propedeutico alla successiva eliminazione degli adempimenti non necessari e frutto di una duplicazione, con una prosecuzione – secondo quanto dichiarato dalla Ministra - della mappatura delle attività e dei relativi regimi amministrativi, già avviata nel 2016 (con il decreto legislativo cd. Scia 2). Al censimento è collegato una standardizzazione delle procedure, con la predisposizione di forme digitali con una effettiva implementazione del principio once only.
Articolo 28
(Disciplina della professione di mediatore immobiliare)
L’articolo 28, inserito in sede referente, modifica la disciplina della professione di mediatore, al fine di rendere compatibile l'esercizio dell'attività di agente immobiliare per i dipendenti o collaboratori di imprese esercenti l'attività di mediazione creditizia.
La legge europea 2019-2020 (legge 23 dicembre 2021, n. 238), all’articolo 4, comma 2, ha modificato la legge che disciplina la professione di mediatore (legge n. 39 del 1989), con particolare riferimento al regime di incompatibilità (art. 5, comma 3).
La disciplina delle incompatibilità all’esercizio della professione di mediatore, di cui all’art. 5 comma 3 della legge n. 39 del 1989, è frutto dell’entrata in vigore della Legge europea 2018 (legge n. 37 del 2019) che, all’art. 2, ha dettato disposizioni in materia di professione di agente d'affari in mediazione, proprio per rispondere alla procedura di infrazione n. 2018/2175 nella quale si contestava all’Italia una normativa volta a limitare in modo sproporzionato le attività che il mediatore può svolgere.
A seguito della modifica del 2019, l’art. 5 circoscriveva – rispetto alla normativa previgente – le ipotesi di incompatibilità facendo riferimento:
§ all'esercizio di attività imprenditoriali di produzione, vendita, rappresentanza o promozione dei beni afferenti al medesimo settore merceologico per il quale si esercita l'attività di mediazione;
§ all’esercizio di attività in qualità di dipendente di ente pubblico o privato o in qualità di dipendente di istituto bancario, finanziario o assicurativo ad esclusione delle imprese di mediazione;
§ all’esercizio di professioni intellettuali afferenti al medesimo settore merceologico per cui si esercita l'attività di mediazione;
§ a qualunque situazione di conflitto di interessi.
Rispetto a questo quadro normativo, la legge europea ha introdotto l’ulteriore ipotesi di incompatibilità all’esercizio della professione di mediatore, per il dipendente e il collaboratore di imprese esercenti servizi finanziari (ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 59 del 2010)
L’articolo in esame torna alla situazione precedente, escludendo dal novero delle incompatibilità dei mediatori immobiliari le attività di svolte in qualità di dipendente o collaboratore di imprese di mediazione creditizia.
Parallelamente, il comma 2 modifica l'articolo 17 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141 (“Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché' modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi”), rendendo compatibili le attività di mediazione di assicurazione o di riassicurazione, di consulenza finanziaria e di agente immobiliare, fermi restando i rispettivi obblighi di iscrizione nel relativo elenco, registro, albo o ruolo, effettuata al ricorrere dei requisiti previsti ai sensi dello stesso decreto legislativo n. 141 del 2010, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (“Codice delle assicurazioni private”), e del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n 58 (“Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria”) e della legge 3 febbraio 1989, n. 39 (“Disciplina della professione di mediatore”).
In tal modo, gli agenti immobiliari possono anche erogare servizi in ambito creditizio.
L’articolo 29 interviene sulla disciplina della comunicazione unica per la nascita dell’impresa, riducendo da sette a quattro giorni il termine entro cui le amministrazioni competenti comunicano, per via telematica, all’interessato (che ha presentato la comunicazione) e al registro delle imprese (che accoglie la comunicazione) i dati definitivi relativi alle posizioni registrate. Si tratta di dati ulteriori rispetto al codice fiscale e partita IVA, i quali, ai sensi della disciplina già vigente, sono comunicati immediatamente.
L’articolo 29, segnatamente, sostituisce il comma 4 dell’articolo 9 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7 (l. n. 40/2007), il quale reca la disciplina della comunicazione unica.
Ai sensi di tale disciplina, con una procedura unica, gli interessati assolvono una serie di adempimenti nei confronti delle Camere di Commercio, dell'Agenzia delle Entrate, dell'INAIL e dell'INPS:
· richiesta dell'iscrizione al Registro Imprese
· richiesta dell’iscrizione al Repertorio Economico – Amministrativo (REA)
· richieste di Codice Fiscale e Partita IVA
· richiesta dell'iscrizione all'INPS dei dipendenti o dei lavoratori autonomi
· apertura della posizione assicurativa presso l'INAIL.
Nel dettaglio, il comma 1 dell’articolo 9 consente all’interessato, ai fini dell'avvio dell'attività d'impresa, di presentare all'ufficio del registro delle imprese, per via telematica o su supporto informatico, la comunicazione unica per gli adempimenti indicati nello stesso articolo 9.
Ai sensi del comma 2, la comunicazione unica vale quale assolvimento di tutti gli adempimenti amministrativi previsti per l'iscrizione al registro delle imprese ed ha effetto, sussistendone i presupposti di legge, ai fini previdenziali, assistenziali, fiscali individuati con il D.P.C.M. 6 maggio 2009 recante le regole tecniche per la presentazione della comunicazione e per l'immediato trasferimento dei dati tra le P.A. interessate (articolo 5), nonché per l'ottenimento del codice fiscale e della partita IVA.
L’articolo 5 del citato D.P.C.M. 6 maggio 2009 dispone, in particolare, che gli adempimenti assolti tramite Comunicazione unica sono:
a) segnalazione certificata di inizio attività, variazione dati o cessazione attività ai fini IVA (art. 35, D.P.R. n. 633 del 1972);
b) domanda d'iscrizione di nuove imprese, modifica, cessazione nel registro imprese e nel R.E.A., con esclusione dell'adempimento del deposito del bilancio;
c) domanda d'iscrizione, variazione, cessazione dell'impresa ai fini INAIL;
d) domanda d'iscrizione, variazione, cessazione al registro imprese con effetto per l'INPS relativamente alle imprese artigiane ed esercenti attività commerciali;
e) domanda di iscrizione e cessazione di impresa con dipendenti ai fini INPS;
f) variazione dei dati d'impresa con dipendenti ai fini INPS[83].
Ai sensi del comma 3 dell’articolo 9 del D.L. n. 7/2007, l'ufficio del registro delle imprese rilascia contestualmente la ricevuta, la quale costituisce titolo per l'immediato avvio dell'attività imprenditoriale, ove sussistano i presupposti di legge, e dà notizia alle Amministrazioni competenti dell'avvenuta presentazione della comunicazione unica.
Ai sensi del comma 4, nella sua formulazione attualmente vigente, le Amministrazioni competenti comunicano all'interessato e all'ufficio del registro delle imprese, per via telematica, immediatamente il codice fiscale e la partita IVA ed entro i successivi sette giorni gli ulteriori dati definitivi relativi alle posizioni registrate.
Ai sensi del comma 5, la procedura si applica anche in caso di modifiche o cessazione dell'attività d'impresa.
Ai sensi del comma 6, la comunicazione, la ricevuta e gli atti amministrativi sono adottati in formato elettronico e trasmessi per via telematica.
A tale fine le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura assicurano, gratuitamente, previa intesa con le associazioni imprenditoriali, il necessario supporto tecnico ai privati interessati.
L’articolo 30, comma 1, delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/1020, al fine di rafforzare la concorrenza nel mercato unico dell'Unione europea, assicurando adeguati livelli di controllo sulle conformità delle merci, e di promuovere, al contempo, una semplificazione e razionalizzazione del sistema di vigilanza a vantaggio di operatori e utenti finali.
Lo stesso comma 1, oltre a richiamare, in quanto compatibili, quelli di cui all'articolo 32 della L. n. 234/2012, elenca i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:
a) individuazione delle autorità di vigilanza e delle autorità incaricate del controllo, compreso il controllo delle frontiere esterne, dei prodotti che entrano nel mercato dell'Unione europea ai sensi, rispettivamente, degli articoli 10 e 25 del regolamento (UE) 2019/1020 e delle relative attribuzioni, attività e poteri conformemente alla disciplina dell'Unione europea, con contestuale adeguamento, revisione, riorganizzazione, riordino e semplificazione della normativa vigente, nella maniera idonea a implementare e massimizzare l'efficienza e l'efficacia del sistema dei controlli e i livelli di tutela per utenti finali e operatori, favorendo, ove funzionale a tali obiettivi, la concentrazione nell'attribuzione e nella definizione delle competenze, anche mediante accorpamenti delle medesime per gruppi omogenei di controlli o prodotti e la razionalizzazione del loro riparto tra le autorità e tra strutture centrali e periferiche della singola autorità, sulla base dei princìpi di competenza, adeguatezza, sussidiarietà, differenziazione e unitarietà dei processi decisionali, anche mediante l'attribuzione della titolarità dei procedimenti di vigilanza secondo le regole di prevalenza dei profili di competenza rispetto alla natura e al normale utilizzo dei prodotti, e comunque garantendo la netta definizione delle competenze e una distribuzione e allocazione delle risorse, di bilancio, umane e strumentali, disponibili in maniera adeguata all'espletamento delle funzioni attribuite, ad eccezione delle attribuzioni delle autorità di pubblica sicurezza, quali autorità di sorveglianza del mercato in materia di esplosivi per uso civile e articoli pirotecnici;
Il richiamato articolo 10 del regolamento 2019/1020 impone innanzi tutto agli Stati membri di organizzare ed effettuare la vigilanza del mercato secondo le modalità definite nel regolamento stesso. Ogni Stato membro designa una o più autorità di vigilanza del mercato nel proprio territorio. Ogni Stato membro informa la Commissione e gli altri Stati membri circa le sue autorità di vigilanza del mercato e gli ambiti di competenza di ciascuna autorità, utilizzando il sistema di informazione e comunicazione di cui all'articolo 34. Ogni Stato membro designa un ufficio unico di collegamento. L'ufficio unico di collegamento è almeno responsabile di rappresentare la posizione coordinata delle autorità di vigilanza del mercato e delle autorità designate a norma dell'articolo 25, paragrafo 1 (su cui si veda infra), nonché di comunicare le strategie nazionali di cui all'articolo 13. L'ufficio unico di collegamento fornisce altresì sostegno alla cooperazione tra le autorità di vigilanza del mercato di diversi Stati membri, come stabilito al capo VI. Al fine di svolgere una vigilanza del mercato dei prodotti messi in vendita online e in modo tradizionale con la stessa efficacia per tutti i canali di distribuzione, gli Stati membri garantiscono che le rispettive autorità di vigilanza del mercato e i rispettivi uffici unici di collegamento dispongano delle risorse - tra cui sufficienti risorse di bilancio e di altro tipo, come un numero sufficiente di dipendenti competenti - delle competenze, delle procedure e altre disposizioni necessarie per espletare correttamente le proprie funzioni. Qualora nel loro territorio siano presenti più autorità di vigilanza del mercato, gli Stati membri garantiscono che le loro rispettive funzioni siano chiaramente definite e che siano istituiti adeguati meccanismi di comunicazione e coordinamento affinché dette autorità possano operare in stretta collaborazione ed espletare efficacemente le proprie funzioni.
L'articolo 25, § 1, del regolamento, prevede che gli Stati membri designano le autorità doganali, una o più autorità di vigilanza del mercato o qualsiasi altra autorità nei rispettivi territori quali autorità incaricate del controllo dei prodotti che entrano nel mercato dell'Unione. Ogni Stato membro informa la Commissione e gli altri Stati membri in merito alle autorità designate a norma del primo comma e ai loro rispettivi ambiti di competenza mediante il sistema di informazione e comunicazione di cui all'articolo 34.
In base al § 2, le autorità designate a norma del paragrafo 1 dispongono dei poteri e delle risorse necessari per svolgere adeguatamente i loro compiti di cui al suddetto paragrafo.
Il § 3 stabilisce che i prodotti soggetti al diritto dell'Unione che devono essere vincolati al regime doganale di «immissione in libera pratica» sono sottoposti a controlli effettuati dalle autorità designate a norma del paragrafo 1 dell'articolo 25. Le autorità effettuano tali controlli sulla base di un'analisi dei rischi conformemente agli articoli 46 e 47 del regolamento (UE) n. 952/2013 e, se del caso, sulla base dell'approccio basato sul rischio di cui all'articolo 11, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento 2019/1020.
Secondo il § 4, le informazioni relative al rischio sono scambiate tra: a) le autorità designate a norma del paragrafo 1 dell'articolo 25 conformemente all'articolo 47, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 952/2013; e b) le autorità doganali conformemente all'articolo 46, paragrafo 5, del regolamento (UE) n. 952/2013. Le autorità doganali del primo punto di entrata, qualora abbiano motivo di ritenere che prodotti soggetti al diritto dell'Unione posti in custodia temporanea o vincolati a un regime doganale diverso dall'«immissione in libera pratica» non siano conformi al diritto dell'Unione applicabile o comportino un rischio, trasmettono tutte le informazioni pertinenti all'ufficio doganale di destinazione competente.
Il § 5 prevede che le autorità di vigilanza del mercato forniscono alle autorità designate a norma del paragrafo 1 informazioni sulle categorie di prodotti o sull'identità degli operatori economici a rischio più elevato di non conformità.
Il § 6 obbliga gli Stati membri a trasmettere, entro il 31 marzo di ogni anno, alla Commissione dati statistici dettagliati sui controlli effettuati nel corso dell'anno civile precedente dalle autorità designate a norma del paragrafo 1 in relazione a prodotti soggetti alla normativa dell'Unione. I dati statistici riguardano il numero di interventi nell'ambito dei controlli su tali prodotti, in materia di sicurezza e conformità dei prodotti; Entro il 30 giugno di ogni anno, la Commissione elabora una relazione contenente le informazioni presentate dagli Stati membri per l'anno civile precedente e l'analisi dei dati forniti. La relazione è pubblicata nel sistema di informazione e comunicazione di cui all'articolo 34.
Il § 7 prevede che la Commissione, qualora venga a conoscenza del fatto che prodotti soggetti al diritto dell'Unione che sono importati da un paese terzo presentano un rischio grave, raccomanda allo Stato membro interessato di adottare opportune misure di vigilanza del mercato.
Il § 8 attribuisce alla Commissione, previa consultazione della rete, il potere di adottare atti di esecuzione che definiscano parametri di riferimento e tecniche per i controlli sulla base di un'analisi comune del rischio a livello di Unione, onde garantire un'applicazione coerente del diritto dell'Unione, rafforzare i controlli sui prodotti che entrano nel mercato dell'Unione e garantire un livello efficace e uniforme di tali controlli. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d'esame di cui all'articolo 43, paragrafo 2.
In base al § 9, la Commissione adotta atti di esecuzione che specificano ulteriormente i dati che devono essere presentati a norma del paragrafo 6 del presente articolo. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d'esame di cui all'articolo 43, paragrafo 2.
b) semplificazione ed ottimizzazione del sistema di vigilanza e conformità dei prodotti, riducendo, senza pregiudizio per gli obiettivi di vigilanza, gli oneri amministrativi, burocratici ed economici a carico delle imprese, anche mediante la semplificazione del coordinamento tra le procedure connesse ai controlli dei prodotti che entrano nel mercato dell'Unione europea e quelle rimesse alle autorità di vigilanza e semplificazione dei procedimenti, nel rispetto della normativa dell'Unione europea, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, tenendo conto anche dei casi in cui i rischi potenziali o i casi di non conformità siano bassi o delle situazioni in cui i prodotti siano commercializzati principalmente attraverso catene di approvvigionamento tradizionali, nonché garantire a operatori e utenti finali, secondo i princìpi di concentrazione e trasparenza, facile accesso a informazioni pertinenti e complete sulle procedure e sulle normative applicabili, ad eccezione delle attribuzioni delle autorità di pubblica sicurezza, ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. n. 773/1931), e al relativo regolamento di esecuzione (R.D. n. 635/1940);
c) individuazione dell'ufficio unico di collegamento di cui all'articolo 10 del regolamento (UE) 2019/1020 (su tale articolo si veda supra), anche in base al criterio della competenza prevalente, prevedendo che al medesimo siano attribuite le funzioni di rappresentanza della posizione coordinata delle autorità di vigilanza e delle autorità incaricate del controllo dei prodotti che entrano nel mercato dell'Unione europea e di comunicazione delle strategie nazionali di vigilanza adottate ai sensi dell'articolo 13 del regolamento (UE) 2019/1020, garantendo, per lo svolgimento delle funzioni assegnate, adeguate risorse finanziarie, strumentali e di personale, anche mediante assegnazione di unità di personale, dotate delle necessarie competenze ed esperienze, proveniente dalle autorità di vigilanza o comunque dalle amministrazioni competenti per le attività di vigilanza e controllo delle normative armonizzate di cui al regolamento (UE) 2019/1020, in posizione di comando o altro analogo istituto previsto dai rispettivi ordinamenti, ai sensi delle disposizioni vigenti e dell'articolo 17, comma 14, della L. n. 127/1997;
L'articolo 13 del regolamento 2019/1020 prevede, al § 1, l'elaborazione, da parte di ogni Stato membro, di una strategia nazionale globale di vigilanza del mercato, almeno ogni quattro anni. Ogni Stato membro elabora la prima di tali strategie entro il 16 luglio 2022. La strategia promuove un approccio nazionale coerente, globale e integrato alla vigilanza del mercato e all'applicazione della normativa di armonizzazione dell'Unione nel territorio dello Stato membro. Nell'elaborazione della strategia nazionale di vigilanza del mercato sono presi in considerazione tutti i settori disciplinati dalla normativa di armonizzazione dell'Unione e tutte le fasi della catena di fornitura del prodotto, comprese le importazioni e le catene di approvvigionamento digitale. Possono essere prese in considerazione anche le priorità stabilite nel programma di lavoro della rete.
Il § 2 elenca gli elementi che la strategia nazionale di vigilanza del mercato deve "almeno" comprendere purché essi non compromettano le attività di vigilanza del mercato: a) le informazioni disponibili sulla presenza di prodotti non conformi, che tengano conto in particolare dei controlli di cui all'articolo 11, paragrafo 3, e all'articolo 25, paragrafo 3, se del caso, come pure delle tendenze del mercato che possono incidere sui tassi di non conformità delle categorie di prodotti e di eventuali minacce e rischi inerenti alle tecnologie emergenti; b) i settori definiti prioritari dagli Stati membri ai fini dell'applicazione della normativa di armonizzazione dell'Unione; c) le attività di applicazione delle norme previste al fine di ridurre i casi di non conformità nei settori definiti come prioritari, compresi, se del caso, i livelli minimi di controllo previsti per le categorie di prodotti che presentano livelli significativi di non conformità; d) una valutazione della cooperazione con le autorità di vigilanza del mercato degli altri Stati membri come enunciato all'articolo 11, paragrafo 8, del capo VI.
Il § 3 obbliga gli Stati membri a comunicare alla Commissione e agli altri Stati membri le rispettive strategie nazionali di vigilanza del mercato mediante il sistema di informazione e comunicazione di cui all'articolo 34. Ciascuno Stato membro pubblica la sintesi delle strategie.
L'articolo 17, comma 14, della L. n. 127/1997 enuncia il principio per cui, nel caso in cui disposizioni di legge o regolamentari dispongano l'utilizzazione presso le amministrazioni pubbliche di un contingente di personale in posizione di fuori ruolo o di comando, le amministrazioni di appartenenza sono tenute ad adottare il provvedimento di fuori ruolo o di comando entro quindici giorni dalla richiesta.
d) previsione di adeguati meccanismi di comunicazione, coordinamento e cooperazione tra le autorità di vigilanza e con le autorità incaricate del controllo dei prodotti che entrano nel mercato dell'Unione europea e tra tali autorità e l'ufficio unico di collegamento, favorendo l'utilizzo del sistema di informazione e comunicazione di cui all'articolo 34 del regolamento (UE) 2019/1020 e comunque garantendo un adeguato flusso informativo con l'ufficio unico di collegamento;
L'articolo 34 del regolamento 2019/1020, al § 1, prevede che la Commissione sviluppa ulteriormente e mantiene un sistema di informazione e comunicazione per la raccolta, l'elaborazione e la conservazione, in forma strutturata, di informazioni su questioni relative all'applicazione della normativa di armonizzazione dell'Unione, allo scopo di migliorare la condivisione dei dati tra gli Stati membri, anche ai fini delle richieste di informazione, fornendo un quadro esaustivo delle attività, dei risultati e dell'andamento della vigilanza del mercato. La Commissione, le autorità di vigilanza del mercato, gli uffici unici di collegamento e le autorità designate a norma dell'articolo 25, paragrafo 1, hanno accesso a tale sistema. La Commissione mette a punto e mantiene l'interfaccia pubblica di tale sistema, in cui sono fornite informazioni essenziali per gli utenti finali sulle attività di vigilanza del mercato.
Secondo il § 2, la Commissione mette inoltre a punto e mantiene interfacce elettroniche tra i sistemi di cui al paragrafo 1 e i sistemi nazionali di sorveglianza del mercato.
Il § 3 elenca le informazioni e le comunicazioni che gli uffici unici di collegamento inseriscono nel sistema: a) l'identità delle autorità di vigilanza del mercato nei rispettivi Stati membri e gli ambiti di competenza di tali autorità a norma dell'articolo 10, paragrafo 2; b) l'identità delle autorità designate ai sensi dell'articolo 25, paragrafo 1; c) la strategia nazionale di vigilanza del mercato elaborata dai rispettivi Stati membri in conformità dell'articolo 13 e i risultati del riesame e della valutazione della strategia di vigilanza del mercato.
In base al § 4, le autorità di vigilanza del mercato inseriscono nel sistema le informazioni e comunicazioni seguenti per quanto riguarda i prodotti messi a disposizione sul mercato, per i quali è stata effettuata una verifica approfondita della conformità, fatte salve le disposizioni dell'articolo 12 della direttiva 2001/95/CE e dell'articolo 20 del regolamento 2019/1020 e, ove applicabile, per quanto riguarda i prodotti che entrano nel mercato dell'Unione per i quali la procedura di immissione in libera pratica è stata sospesa nei rispettivi territori conformemente all'articolo 26 del regolamento 2019/1020, le informazioni seguenti riguardanti: a) misure in conformità dell'articolo 16, paragrafo 5, adottate dall'autorità di vigilanza del mercato; b) relazioni sulle prove effettuate dalle autorità stesse; c) misure correttive adottate dagli operatori economici interessati; d) relazioni prontamente disponibili sulle lesioni causate dal prodotto in questione; e) qualsiasi obiezione sollevata da uno Stato membro conformemente alla procedura di salvaguardia applicabile prevista dalla normativa di armonizzazione dell'Unione applicabile al prodotto e l'eventuale seguito dato; f) ove disponibile, l'inosservanza delle disposizioni dell'articolo 5, paragrafo 2, da parte dei rappresentanti autorizzati; g) ove disponibile, l'inosservanza delle disposizioni dell'articolo 5, paragrafo 1, da parte dei fabbricanti.
Secondo il § 5, qualora le autorità di vigilanza del mercato lo considerino utile, possono inserire nel sistema di informazione e comunicazione qualsiasi informazione supplementare relativa alle verifiche che effettuano e ai risultati delle prove effettuate da loro stesse o su loro richiesta.
Il § 6 prevede che, se pertinente ai fini dell'applicazione della normativa di armonizzazione dell'Unione e allo scopo di ridurre al minimo il rischio, le autorità doganali estraggono dai sistemi doganali nazionali informazioni relative ai prodotti vincolati al regime doganale di «immissione in libera pratica» in relazione all'attuazione della normativa di armonizzazione dell'Unione e le trasmettono al sistema di informazione e comunicazione.
Il § 7 prevede che la Commissione sviluppa un'interfaccia elettronica per consentire la trasmissione di dati tra i sistemi doganali nazionali e il sistema di informazione e comunicazione. Tale interfaccia è operativa entro quattro anni dalla data di adozione del pertinente atto di esecuzione di cui al paragrafo 8.
In base al § 8, la Commissione adotta atti di esecuzione che specificano le modalità di attuazione dei paragrafi da 1 a 7 del presente articolo, e in particolare sull'elaborazione dei dati, da applicare ai dati raccolti in conformità del paragrafo 1 del presente articolo, e definiscono i dati da trasmettere conformemente ai paragrafi 6 e 7 del presente articolo. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d'esame di cui all'articolo 43, paragrafo 2.
e) rafforzamento della digitalizzazione delle procedure di controllo, di vigilanza e di raccolta dei dati, anche al fine di favorire l'applicazione dei sistemi di intelligenza artificiale per il tracciamento di prodotti illeciti e per l'analisi dei rischi;
f) previsione, in materia di sorveglianza sui prodotti rilevanti ai fini della sicurezza in caso di incendio, della possibilità per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco di stipulare convenzioni con altre pubbliche amministrazioni per l'affidamento di campagne di vigilanza su prodotti di interesse prevalente e lo sviluppo delle strutture di prova dei vigili del fuoco;
g) verifica e aggiornamento, in base ad approcci basati, in particolare, sulla valutazione del rischio, delle procedure di analisi e test per ogni categoria di prodotto e previsione di misure specifiche per le attività di vigilanza sui prodotti offerti per la vendita online o comunque mediante altri canali di vendita a distanza e ricognizione degli impianti e dei laboratori di prova esistenti in applicazione dell'articolo 21 del regolamento (UE) 2019/1020;
L'articolo 21 del regolamento 2019/1020, al § 1, prevede che gli impianti di prova dell'Unione sono intesi a contribuire al conseguimento di una capacità di laboratorio, come pure ad assicurare l'affidabilità e la coerenza delle prove ai fini della vigilanza del mercato nell'Unione.
Ai fini del paragrafo 1, la Commissione può designare un impianto pubblico di prova di uno Stato membro come impianto di prova dell'Unione per determinate categorie di prodotti o per determinati rischi relativi a una categoria di prodotti. La Commissione può designare altresì uno dei propri impianti di prova come impianto di prova dell'Unione per categorie specifiche di prodotti o per rischi specifici connessi a una categoria di prodotti o per prodotti per i quali la capacità di prova è inesistente o insufficiente (§ 2).
Il § 3 rinvia espressamente al regolamento (CE) n. 765/2008 per l'accreditamento degli impianti di prova dell'Unione.
Il § 4 stabilisce che la designazione di impianti di prova dell'Unione non incide sulla libertà delle autorità di vigilanza del mercato, della rete e della Commissione di scegliere gli impianti di prova ai fini delle loro attività.
Secondo il § 5, gli impianti di prova dell'Unione designati forniscono i loro servizi esclusivamente alle autorità di vigilanza del mercato, alla rete, alla Commissione e ad altri organismi governativi o intergovernativi.
Il § 6 prevede che gli impianti di prova dell'Unione, nell'ambito delle loro competenze, svolgono le attività seguenti: a) effettuano prove su prodotti su richiesta delle autorità di vigilanza del mercato, della rete o della Commissione; b) forniscono pareri tecnici o scientifici indipendenti su richiesta della rete; c) sviluppano tecniche e metodi di analisi nuovi.
Il § 7 prevede la remunerazione delle attività sopra elencate e la possibilità che esse siano finanziate dall'Unione in conformità dell'articolo 36, paragrafo 2.
Il § 8 consente che gli impianti di prova dell'Unione possano ricevere finanziamenti dall'Unione in conformità dell'articolo 36, paragrafo 2, al fine di potenziarne le capacità di prova o crearne di nuove per determinate categorie di prodotti o per rischi specifici a una categoria di prodotti per i quali la capacità di prova è assente o insufficiente.
Il § 9 prevede che la Commissione adotta atti di esecuzione che specificano le procedure per la designazione degli impianti di prova dell'Unione. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d'esame di cui all'articolo 43, paragrafo 2.
h) definizione, anche mediante riordino e revisione della normativa vigente, del sistema sanzionatorio da applicare per le violazioni del regolamento (UE) 2019/1020 e delle normative indicate all'allegato II del medesimo regolamento (UE) 2019/1020, nel rispetto dei princìpi di efficacia e dissuasività nonché di ragionevolezza e proporzionalità e previsione della riassegnazione di una quota non inferiore al 50 per cento delle somme introitate, da destinare agli appositi capitoli di spesa delle autorità di vigilanza, di controllo e dell'ufficio unico di collegamento;
i) definizione delle ipotesi in cui è ammesso il recupero, totale ai sensi dell'articolo 15 del regolamento (UE) 2019/1020 o parziale, dall'operatore economico dei costi delle attività di vigilanza, dei relativi procedimenti, dei costi che possono essere recuperati e delle relative modalità di recupero.
L'articolo 15 del regolamento 2019/1020, al § 1, consente che gli Stati membri possano autorizzare le proprie autorità di vigilanza del mercato a recuperare dall'operatore economico interessato la totalità dei costi delle loro attività in relazione ai predetti casi di non conformità.
Secondo il § 2, tra tali costi possono rientrare i costi per la realizzazione di prove, i costi per l'adozione di misure a norma dell'articolo 28, paragrafi 1 e 2, e i costi di magazzinaggio e delle attività inerenti ai prodotti risultati non conformi e oggetto di misure correttive prima della loro immissione sul mercato.
Il comma 2, nella formulazione iniziale, recava soltanto la clausola d'invarianza finanziaria. Il Senato lo ha integrato con l'inserimento della specificazione secondo cui, qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al proprio interno, i medesimi decreti legislativi sono adottati solo successivamente o contestualmente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie, in conformità all'articolo 17, comma 2, della legge di contabilità (L. n. 196/2009).
La disposizione richiamata prevede che le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura necessari per l'adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, la quantificazione degli stessi è effettuata al momento dell'adozione dei singoli decreti legislativi. I decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie. A ciascuno schema di decreto legislativo è allegata una relazione tecnica che dà conto della neutralità finanziaria del medesimo decreto ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura.
Non è previsto sugli schemi di decreto legislativo il parere delle Commissioni parlamentari competenti. Si valuti l’opportunità di inserirne la previsione.
Sintesi del regolamento (UE) 2019/1020 — Vigilanza del mercato e conformità dei prodotti
Il regolamento si applica ai prodotti:
Alcuni prodotti non possono essere offerti in vendita ai consumatori dell’UE in assenza di un operatore economico stabilito nell’UE il quale:
Le autorità di vigilanza del mercato:
Gli Stati membri:
La Commissione:
Per i prodotti importati vengono applicate regole specifiche:
Il regolamento:
Il regolamento si applica dal 16 luglio 2021. Tuttavia, gli articoli 29, 30, 31, 32, 33 (sulla rete dell’Unione per la conformità dei prodotti) e 36 (sulle attività di finanziamento) si applicano a partire dal 1o gennaio 2021.
A pagina 77, il PNRR ricorda che il regolamento 2019/1020 ha modificato le regole sul sistema di vigilanza e sulla conformità dei prodotti.
Verranno introdotte le norme necessarie all’attuazione del regolamento, nell’ottica di consolidare, semplificare e digitalizzare il sistema di sorveglianza.
Tempi di attuazione – Si prevede la presentazione in Parlamento del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza entro luglio 2021.
Articolo 31
(Modifica alla disciplina del risarcimento diretto
per la responsabilità civile auto)
L’articolo 31 sostituisce il comma 2 dell'articolo 150 del codice delle assicurazioni private (d.lgs. n. 209/2005), al fine di estendere anche alle imprese di assicurazione con sede legale in altri Stati membri che operano nel territorio della Repubblica (cosiddette imprese comunitarie) la procedura di risarcimento diretto prevista dall'articolo 149 del codice delle assicurazioni private.
Per quanto riguarda la nozione di "operatività" nel territorio della Repubblica, si rinvia espressamente agli articoli 23 e 24 del codice delle assicurazioni private, disciplinanti, rispettivamente, le attività in regime di stabilimento e le attività in regime di prestazione di servizi.
Nella formulazione vigente, l'articolo 150, comma 2, qui novellato, esclude in via generale l'applicazione della procedura di risarcimento diretto alle imprese comunitarie (cioè, come visto, alle imprese di assicurazione con sede legale in altri Stati membri che operano nel territorio della Repubblica), salvo che le medesime abbiano aderito al sistema di risarcimento diretto.
La relazione illustrativa motiva l'estensione "per eliminare un potenziale trattamento discriminatorio a danno delle imprese italiane rispetto alle imprese con sede legale in altri Stati membri. Infatti, le imprese “comunitarie” non aventi sede legale in Italia godono di un ingiustificato vantaggio in quanto, non essendo obbligate ad assicurare il risarcimento diretto, hanno maggiori possibilità di praticare tariffe più basse".
Il comma 1 dell'articolo 150 aveva demandato a un DPR, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del codice delle assicurazioni private la definizione: a) dei criteri di determinazione del grado di responsabilità delle parti anche per la definizione dei rapporti interni tra le imprese di assicurazione; b) del contenuto e le modalità di presentazione della denuncia di sinistro e gli adempimenti necessari per il risarcimento del danno; c) delle modalità, le condizioni e gli adempimenti dell'impresa di assicurazione per il risarcimento del danno; d) dei limiti e le condizioni di risarcibilità dei danni accessori; e) dei principi per la cooperazione tra le imprese di assicurazione, ivi compresi i benefici derivanti agli assicurati dal sistema di risarcimento diretto.
In attuazione di tale previsione è stato quindi emanato il regolamento recante disciplina del risarcimento diretto dei danni derivanti dalla circolazione stradale (DPR n. 254/2006).
Il comma 3 dello stesso articolo 150 prevede che l'IVASS vigila sul sistema di risarcimento diretto e sui principi adottati dalle imprese per assicurare la tutela dei danneggiati, il corretto svolgimento delle operazioni di liquidazione e la stabilità delle imprese.
L'articolo 149, comma 1, del codice delle assicurazioni private prevede che, in caso di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria, dal quale siano derivati danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti, i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all'impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato.
Per il comma 2, la procedura di risarcimento diretto riguarda i danni al veicolo nonché i danni alle cose trasportate di proprietà dell'assicurato o del conducente. Essa si applica anche al danno alla persona subito dal conducente non responsabile se risulta contenuto nel limite previsto dall'articolo 139. La procedura non si applica ai sinistri che coinvolgono veicoli immatricolati all'estero ed al risarcimento del danno subito dal terzo trasportato come disciplinato dall'articolo 141.
Il comma 3 obbliga l'impresa, a seguito della presentazione della richiesta di risarcimento diretto, a provvedere alla liquidazione dei danni per conto dell'impresa di assicurazione del veicolo responsabile, ferma la successiva regolazione dei rapporti fra le imprese medesime.
In base al comma 4, se il danneggiato dichiara di accettare la somma offerta, l'impresa di assicurazione provvede al pagamento entro quindici giorni dalla ricezione della comunicazione e il danneggiato è tenuto a rilasciare quietanza liberatoria valida anche nei confronti del responsabile del sinistro e della sua impresa di assicurazione.
Il comma 5 prevede che l'impresa di assicurazione, entro quindici giorni, corrisponde la somma offerta al danneggiato che abbia comunicato di non accettare l'offerta o che non abbia fatto pervenire alcuna risposta. La somma in tale modo corrisposta è imputata all'eventuale liquidazione definitiva del danno.
Secondo il comma 6, in caso di comunicazione dei motivi che impediscono il risarcimento diretto ovvero nel caso di mancata comunicazione di offerta o di diniego di offerta entro i termini previsti dall'articolo 148 o di mancato accordo, il danneggiato può proporre l'azione diretta di cui all'articolo 145, comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione. L'impresa di assicurazione del veicolo del responsabile può chiedere di intervenire nel giudizio e può estromettere l'altra impresa, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato ferma restando, in ogni caso, la successiva regolazione dei rapporti tra le imprese medesime secondo quanto previsto nell'ambito del sistema di risarcimento diretto.
Il comma 2, introdotto in sede referente, dispone in merito alla data di entrata in vigore dell’articolo in esame, prevedendo che abbia effetto a far data dal 1° gennaio 2023 e per i sinistri con accadimento da tale data.
L’articolo 32 – modificato nel corso dell’esame in sede referente - apporta modifiche alla disciplina sulla valutazione e controllo delle operazioni di concentrazione da parte dell’Autorità garante della concorrenza e il mercato (lett. a)), sulle soglie di fatturato da cui scaturisce l’obbligo di notifica delle operazioni di concentrazione (lett. b)) e sul trattamento delle imprese comuni (lett. c)).
Le modifiche sono finalizzate ad adeguare la normativa nazionale alla normativa europea contenuta nel Regolamento sulle operazioni di concentrazione (Reg. n. 139/2004/UE).
L’articolo 32 apre il Capo VIII del disegno di legge, costituita dagli articoli 32-35, relativa al “Rafforzamento dei poteri in materia di attività Antitrust”. In tale Capo, si propongono modifiche varie alla legge n. 287/1990 finalizzate ad implementare l’efficacia del controllo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato sulle concentrazioni, nonché sulle intese restrittive della libertà di concorrenza e l’abuso di posizione dominante, anche con l’introduzione di norme rivolte alle realtà dell’economia digitale.
Si tratta di modifiche che riprendono, in buona parte, le proposte formulate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella Segnalazione, inviata al Governo il 22 marzo 2021, ai sensi dell’articolo 47, comma 2, L. n. 99/2009. Di ciò sarà dato conto in ciascuna scheda di lettura.
Le modifiche muovono dall’opportunità – evidenziata dall’AGCM – che il quadro normativo nazionale sia quanto più possibile coerente con quello già adottato dalla Commissione europea e dalla prevalenza dei Paesi dell’UE. La divergenza tra quadri normativi espone le imprese che devono notificare in Italia al rischio di incoerenze nella valutazione della compatibilità dell’operazione non solo riguardo ai precedenti della Commissione relativi ai medesimi mercati, ma anche rispetto ad altri Stati Membri.
La descrizione del contenuto dell’articolo è quindi accompagnata da due approfondimenti:
1. il primo riguarda la disciplina europea e nazionale sul controllo delle concentrazioni;
2. il secondo descrive i poteri di indagine e sanzionatori dell’AGCM in materia di cartelli e abuso di posizione dominante e il loro potenziamento con il recepimento della Direttiva ECN Plus.
Armonizzazione del controllo delle concentrazioni con la normativa UE
L’articolo 32 in esame, al comma 1, lettera a), sostituisce il comma 1 dell’articolo 6 della legge n. 287/1990, apportando modifiche ai criteri della valutazione e del controllo, da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, delle operazioni di concentrazione.
L’articolo 6 citato, al comma 1, prevede – attualmente - che l’eventuale divieto di un’operazione di concentrazione presupponga l’accertamento “della costituzione o del rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza” (cd. “test di dominanza”).
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato - nella ricordata Segnalazione al Governo – ha evidenziato come tale previsione ricalchi il “test di dominanza” del previgente regolamento europeo (Reg. n. 4064/89/UE), che è stato successivamente modificato con il nuovo Reg. n. 139/2004/UE.
Ai sensi di tale ultimo regolamento, il nuovo test utilizzato a livello europeo richiede invece che, ai fini della valutazione di compatibilità di una concentrazione, l’operazione “non ostacoli in modo significativo una concorrenza effettiva nel mercato comune o una parte sostanziale di esso, in particolare a causa della creazione o del rafforzamento di una posizione dominante” (art. 2, par. 2 e 3 del regolamento n. 139/2004/UE).
Il nuovo test pone dunque al centro della valutazione l’impatto della concentrazione sulla concorrenza effettiva, rendendo non più necessario l’accertamento della dominanza, sebbene tale situazione continui ad essere ritenuta la forma principale di ostacolo alla concorrenza.
Con novella qui in esame, il comma 1 dell’articolo 6 della legge n. 287/1990 viene, dunque, corrispondentemente adeguato.
Il test impiegato dalla Commissione, rileva sempre l’AGCM, consente di cogliere meglio gli effetti delle operazioni che vengono a realizzarsi in mercati oligopolistici con beni differenziati o in presenza di relazioni verticali particolarmente complesse. In tali contesti, la concentrazione potrebbe essere in grado di produrre un peggioramento delle condizioni concorrenziali anche in assenza di una posizione dominante.
Attualmente tutti gli Stati membri, ad eccezione di Italia e Austria, dispongono di un test di valutazione delle operazioni di concentrazione nazionali coerente con quello introdotto dal regolamento n. 139/2004/UE.
La novella apportata al comma 1 dell’articolo 6 della legge n. 287/1990 è anche finalizzata a recepire quanto dispone il Regolamento n. 139/2004/UE, in tema di valutazione sostanziale delle operazioni di concentrazione, circa la possibilità di bilanciare gli effetti restrittivi della concorrenza al realizzarsi di una concentrazione, con i vantaggi di efficienza che si produrrebbero solo con il realizzarsi della stessa, sempre laddove siano significativamente riversati anche ai consumatori (articolo 1, par. 1, comma 2, lett. a) e b)).
Ai sensi del Regolamento citato, la Commissione tiene conto:
a) della necessità di preservare e sviluppare una concorrenza effettiva nel mercato comune alla luce della struttura di tutti i mercati interessati e della concorrenza effettiva o potenziale di imprese situate all'interno o esterno della Comunità;
b) della posizione sul mercato delle imprese partecipanti, del loro potere economico e finanziario, delle possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori, del loro accesso alle fonti di approvvigionamento o agli sbocchi, dell'esistenza di diritto o di fatto di ostacoli all'entrata, dell'andamento dell'offerta e della domanda dei prodotti e dei servizi in questione, degli interessi dei consumatori intermedi e finali nonché dell'evoluzione del progresso tecnico ed economico purché essa sia a vantaggio del consumatore e non costituisca impedimento alla concorrenza.
Tali previsioni trovano ora riproduzione nell’articolo 6 della legge n. 287/1990, come risulta dal successivo testo a fronte.
Con la novella, si introduce, infine, nel comma 1 dell’articolo 6 la previsione per cui l’Autorità può valutare gli effetti anticompetitivi di acquisizioni di controllo su imprese di piccole dimensioni caratterizzate da strategie innovative, anche nel campo delle nuove tecnologie.
Tale ultima previsione appare aggiuntiva rispetto alla proposta di modifica all’articolo 6 da parte dell’Autorità, peraltro interamente recepita.
Art. 6 L. n. 287/1990 |
Art. 6 L. n. 287/1990 |
1. Nei riguardi delle operazioni di concentrazione soggette a comunicazione ai sensi dell'art. 16, l'Autorità valuta se comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza. Tale situazione deve essere valutata tenendo conto delle possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori, della posizione sul mercato delle imprese interessate, del loro accesso alle fonti di approvvigionamento o agli sbocchi di mercato, della struttura dei mercati, della situazione competitiva dell'industria nazionale, delle barriere all'entrata sul mercato di imprese concorrenti, nonché dell'andamento della domanda e dell'offerta dei prodotti o servizi in questione. |
1. Nei riguardi delle operazioni di concentrazione soggette a comunicazione ai sensi dell’articolo 16, l’Autorità valuta se ostacolino in modo significativo la concorrenza effettiva nel mercato nazionale o in una sua parte rilevante, in particolare a causa della costituzione o del rafforzamento di una posizione dominante. Tale situazione deve essere valutata in ragione della necessità di preservare e sviluppare la concorrenza effettiva tenendo conto della struttura di tutti i mercati interessati e della concorrenza attuale o potenziale, nonché della posizione sul mercato delle imprese partecipanti, del loro potere economico e finanziario, delle possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori, del loro accesso alle fonti di approvvigionamento o agli sbocchi di mercato, dell'esistenza di diritto o di fatto di ostacoli all'entrata, dell'andamento dell'offerta e della domanda dei prodotti e dei servizi in questione, degli interessi dei consumatori intermedi e finali, nonché del progresso tecnico ed economico purché essa sia a vantaggio del consumatore e non costituisca impedimento alla concorrenza. L’Autorità può valutare gli effetti anticompetitivi di acquisizioni di controllo su imprese di piccole dimensioni caratterizzate da strategie innovative, anche nel campo delle nuove tecnologie. |
2. L'Autorità, al termine dell'istruttoria di cui all'art. 16, comma 4, quando accerti che l'operazione comporta le conseguenze di cui al comma 1, vieta la concentrazione ovvero l'autorizza prescrivendo le misure necessarie ad impedire tali conseguenze. |
Identico. |
Modifiche al sistema di notifica delle operazioni di concentrazione
L’articolo 32, comma 1, lettera b), interviene, attraverso modifiche ed integrazioni, sull’articolo 16 della legge n. 287/1990, relativo alla notifica delle operazioni di concentrazione.
L’articolo 16, al comma 1, prevede l’obbligo di notifica delle operazioni di concentrazione qualora superino le seguenti soglie di fatturato su base nazionale: 492 milioni di euro dalle imprese interessate all’operazione nel loro insieme e 30 milioni di euro da almeno due delle imprese interessate[84].
La lettera b), n. 1 dell’articolo qui in esame inserisce nel citato articolo 16 un nuovo comma 1-bis, che consente all’Autorità di richiedere alle imprese interessate di notificare, entro trenta giorni, un’operazione di concentrazione anche nel caso in cui sia superata una sola delle due soglie di fatturato sopra indicate, ovvero nel caso in cui il fatturato totale realizzato a livello mondiale dall’insieme delle imprese interessate sia superiore a 5 miliardi di euro, qualora sussistano concreti rischi per la concorrenza nel mercato nazionale, o in una sua parte rilevante, tenuto anche conto degli effetti pregiudizievoli per lo sviluppo e la diffusione di imprese di piccole dimensioni caratterizzate da strategie innovative, e non siano trascorsi oltre sei mesi dal perfezionamento dell’operazione.
In caso di omessa notifica, si applicano le sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’articolo 19, comma 2, non inferiori all'uno per cento e non superiori al dieci per cento del fatturato delle attività di impresa oggetto della concentrazione.
Secondo quanto introdotto in sede referente, le previsioni qui in esame, non si applicano alle operazioni di concentrazione perfezionate prima della data di entrata in vigore della presente disposizione.
Sempre secondo quanto inserito in sede referente, l’AGCM definisce con proprio provvedimento generale, in conformità all’ordinamento dell’Unione europea, le regole procedurali per l’applicazione della presente disposizione.
La lettera b) intende riprendere quanto proposto dall’AGCM nella menzionata Segnalazione al Governo di marzo scorso. L’Autorità ha auspicato un intervento del legislatore per rafforzare l’attuale sistema di controllo delle concentrazioni evitando che operazioni sotto-soglia potenzialmente problematiche sfuggano al vaglio dell’Autorità.
Secondo quanto rilevato dall’AGCM, negli ultimi anni, il “sistema di notifica basato sulla dimensione attuale delle imprese rischia di essere inadeguato nel cogliere lo sviluppo in chiave prospettica delle imprese interessate dalle operazioni di concentrazione nonché nel prevenire la formazione di monopoli locali. La sfida proviene, ad esempio, dall’economia digitale - dove si assiste ad un fenomeno sempre più diffuso di acquisizione, da parte di grandi operatori di mercato, di potenziali futuri concorrenti - ma interessa anche settori tradizionali, dove alcune concentrazioni possono avere un impatto significativo su mercati geografici locali, ma il fatturato delle imprese coinvolte non supera le soglie per la notifica.
La previsione della facoltà per l’Autorità di richiedere, motivandola, la notifica di concentrazioni sotto-soglia di cui si è venuti a conoscenza, è già stata adottata da alcuni Paesi europei (Germania, Norvegia, Svezia, Lituania) e da paesi extra-europei come Stati Uniti e Giappone.
Inoltre, in Francia, ancorché il sistema di notifica si basi ancora sulle soglie di fatturato, l’Autorità di concorrenza francese ha assunto, in ambito OCSE, una posizione favorevole all’introduzione di un meccanismo di controllo anche per operazioni sotto soglia potenzialmente idonee a generare criticità concorrenziali.
La lettera b), al n. 2, sostituisce il comma 2 dell’articolo 16, laddove attualmente si prevede che - per gli istituti bancari e finanziari - il fatturato rilevante ai fini dell’obbligo di notifica delle operazioni di concentrazione - è pari al valore di un decimo del totale dell'attivo dello stato patrimoniale, esclusi i conti d'ordine, e, per le compagnie di assicurazione. pari al valore dei premi incassati.
La finalità è quella di adeguare la normativa nazionale – ancorata alla disciplina europea precedente al Regolamento n. 139/2004/UE – a quella introdotta da ultimo con tale Regolamento. Come evidenzia l’AGCM nella Segnalazione, il Regolamento europeo del 2004 considera l’ammontare dei proventi derivanti dalla gestione, ovvero elementi che - come per le imprese industriali - rilevino le dimensioni dell’attività economica svolta, piuttosto che le dimensioni patrimoniali[85].
Dunque, in simmetria con quanto prevede il Regolamento del 2004 (art. 5, par. 3)), la lettera b), n. 2, sostituisce il comma 2 dell’articolo 16, prevedendo che, per gli enti creditizi e gli altri istituti finanziari, il fatturato è sostituito dalla somma delle seguenti voci di provento al netto, nel caso, dell'imposta sul valore aggiunto e di altre imposte direttamente associate ai suddetti proventi:
a) interessi e proventi assimilati;
b) proventi su titoli (proventi di azioni, quote ed altri titoli a reddito variabile, proventi di partecipazioni, proventi di partecipazioni in imprese collegate);
c) proventi per commissioni; profitti da operazioni finanziarie;
d) altri proventi di gestione.
Per le imprese di assicurazioni, il fatturato è sostituito dal valore di premi lordi emessi, che comprendono tutti gli importi incassati o da incassare a titolo di contratti d'assicurazione stipulati direttamente da dette imprese o per loro conto, inclusi i premi ceduti ai riassicuratori, previa detrazione delle imposte o tasse parafiscali riscosse sull'importo dei premi o sul relativo volume complessivo.
Si rammenta che l’articolo 5, par. 3 del Regolamento 2004/139/UE dispone, altresì, che il fatturato di un ente creditizio o istituto finanziario nell’Unione o in uno Stato membro comprende gli elementi dei proventi, così come definiti sopra, che sono imputati ad una succursale o ad una unità operativa dell'istituto interessato avente sede nella Comunità o nello Stato membro in questione, a seconda del caso.
Non risulta recepita nel testo del disegno di legge la proposta dell’AGCM, formulata nella Segnalazione, circa la modifica al comma 8 dell’articolo 16, al fine di estendere da 45 a 90 giorni il termine perentorio per la comunicazione, da parte dell’Autorità, della comunicazione delle proprie conclusioni sulle istruttorie sulle concentrazioni.
Art. 16 L. n. 287/1990 |
Art. 16 L. n. 287/1990 |
1. Le operazioni di concentrazione di cui all'articolo 5 devono essere preventivamente comunicate all'Autorità qualora il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall'insieme delle imprese interessate sia superiore a quattrocentonovantadue milioni di euro e qualora il fatturato totale realizzato individualmente a livello nazionale da almeno due delle imprese interessate sia superiore a trenta milioni di euro. Tali valori sono incrementati ogni anno di un ammontare equivalente all'aumento dell'indice del deflatore dei prezzi del prodotto interno lordo. |
Identico |
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1-bis. L’Autorità può richiedere alle imprese interessate di notificare entro trenta giorni un’operazione di concentrazione anche nel caso in cui sia superata una sola delle due soglie di fatturato di cui al comma 1, ovvero nel caso in cui il fatturato totale realizzato a livello mondiale dall’insieme delle imprese interessate sia superiore a 5 miliardi di euro, qualora sussistano concreti rischi per la concorrenza nel mercato nazionale, o in una sua parte rilevante, tenuto anche conto degli effetti pregiudizievoli per lo sviluppo e la diffusione di imprese di piccole dimensioni caratterizzate da strategie innovative, e non siano trascorsi oltre sei mesi dal perfezionamento dell’operazione. L’Autorità definisce con proprio provvedimento generale, in conformità all’ordinamento dell’Unione europea, le regole procedurali per l’applicazione della presente disposizione. In caso di omessa notifica si applicano le sanzioni di cui all'articolo 19, comma 2. Le previsioni di cui al presente comma non si applicano alle operazioni di concentrazione perfezionate prima della data di entrata in vigore della presente disposizione. |
2. Per gli istituti bancari e finanziari il fatturato è considerato pari al valore di un decimo del totale dell'attivo dello stato patrimoniale, esclusi i conti d'ordine, e per le compagnie di assicurazione pari al valore dei premi incassati. |
2. Per gli enti creditizi e gli altri istituti finanziari il fatturato è sostituito dalla somma delle seguenti voci di provento al netto, se del caso, dell'imposta sul valore aggiunto e di altre imposte direttamente associate ai proventi: a) interessi e proventi assimilati; b) proventi su titoli (proventi di azioni, quote ed altri titoli a reddito variabile, proventi di partecipazioni, proventi di partecipazioni in imprese collegate); c) proventi per commissioni; d) profitti da operazioni finanziarie; e) altri proventi di gestione. Per le imprese di assicurazioni il fatturato è sostituito dal valore di premi lordi emessi, che comprendono tutti gli importi incassati o da incassare a titolo di contratti d'assicurazione stipulati direttamente da dette imprese o per loro conto, inclusi i premi ceduti ai riassicuratori, previa detrazione delle imposte o tasse parafiscali riscosse sull'importo dei premi o sul relativo volume complessivo |
3. Entro cinque giorni dalla comunicazione di una operazione di concentrazione l'Autorità ne dà notizia al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato. |
identico |
4. Se l'Autorità ritiene che un'operazione di concentrazione sia suscettibile di essere vietata ai sensi dell'art. 6, avvia entro trenta giorni dal ricevimento della notifica, o dal momento in cui ne abbia comunque avuto conoscenza, l'istruttoria attenendosi alle norme dell'art. 14. L'Autorità, a fronte di un'operazione di concentrazione ritualmente comunicata, qualora non ritenga necessario avviare l'istruttoria deve dare comunicazione alle imprese interessate ed al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato delle proprie conclusioni nel merito, entro trenta giorni dal ricevimento della notifica. |
Identico |
5. L'offerta pubblica di acquisto che possa dar luogo ad operazione di concentrazione soggetta alla comunicazione di cui al comma 1 deve essere comunicata all'Autorità contestualmente alla sua comunicazione alla Commissione nazionale per le società e la borsa. |
identico |
6. Nel caso di offerta pubblica di acquisto comunicata all'Autorità ai sensi del comma 5, l'Autorità deve notificare l'avvio dell'istruttoria entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione e contestualmente darne comunicazione alla Commissione nazionale per le società e la borsa. |
Identico |
7. L'Autorità può avviare l'istruttoria dopo la scadenza dei termini di cui al presente articolo, nel caso in cui le informazioni fornite dalle imprese con la comunicazione risultino gravemente inesatte, incomplete o non veritiere. |
Identico |
8. L'Autorità, entro il termine perentorio di quarantacinque giorni dall'inizio dell'istruttoria di cui al presente articolo, deve dare comunicazione alle imprese interessate ed al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, delle proprie conclusioni nel merito. Tale termine può essere prorogato nel corso dell'istruttoria per un periodo non superiore a trenta giorni, qualora le imprese non forniscano informazioni e dati a loro richiesti che siano nella loro disponibilità |
Identico |
Trattamento delle imprese comuni
La lettera c) modifica l’articolo 5, della legge n. 287/1990, laddove esso prevede che si ha operazione di concentrazione quando due o più imprese, attraverso la costituzione di una nuova società, procedono alla costituzione di una impresa comune (comma 1, lett. c)), mentre, invece, non si dà luogo ad una concentrazione nel caso di coordinamento del comportamento di imprese indipendenti.
La modifica è finalizzata ad adeguare la normativa nazionale alla normativa europea contenuta nel Regolamento n. 139/2004/UE (articolo 2, par. 4 e 5 e articolo 3, par. 4).
Come evidenzia l’AGCM nella Segnalazione, nell’attuale quadro normativo nazionale, i requisiti per configurare come concentrazione la costituzione di una joint venture sono:
i) l’autonomia funzionale, ossia la natura di impresa a pieno titolo (full-function);
ii) l’assenza di rischi di coordinamento.
La disciplina nazionale riflette l’impostazione originaria del previgente Regolamento n. 4064/1989/UE. Il legislatore europeo ha successivamente ampliato la categoria delle imprese comuni soggette al controllo sulle concentrazioni fino a ricomprendervi le imprese comuni a carattere cooperativo idonee a generare effetti strutturali. A seguito di tale modifica, sono configurate come concentrazioni ed assoggettate al regolamento n. 139/2004/UE tutte le imprese comuni full-function, ossia che assumono le funzioni di una entità economica autonoma.
Conseguentemente, la lettera c) n. 1) sostituisce il comma 1, lett. c) dell’articolo 5 della legge n. 287/1990 al fine di definire “impresa comune” non più, unicamente, quella che deriva dalla costituzione di una nuova società, bensì quella che esercita stabilmente tutte le funzioni di una entità autonoma.
La lettera c), n. 2) sostituisce poi il comma 3 dell’articolo 5, al fine di prevedere che, qualora la costituzione di un'impresa comune che realizza una concentrazione abbia per oggetto o per effetto il coordinamento del comportamento di imprese indipendenti, tale coordinamento è valutato secondo i parametri adottati per la valutazione delle intese restrittive della libertà di concorrenza, al fine di stabilire se l'operazione comporti le conseguenze di cui all’articolo 6 della medesima legge (divieto dell’ operazione di concentrazione).
In tale valutazione, l’Autorità tiene conto, in particolare, della presenza significativa e simultanea di due o più imprese fondatrici sullo stesso mercato dell'impresa comune, o su uno situato a monte o a valle di tale mercato, ovvero contiguo strettamente legato, nonché della possibilità offerta alle imprese interessate, attraverso il loro coordinamento risultante direttamente dalla costituzione dell'impresa comune, di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti e servizi in questione.
Art. 5 L. n. 287/1990 |
Art. 5 L. n. 287/1990 |
1. L'operazione di concentrazione si realizza: a) quando due o più imprese procedono a fusione; |
identico |
b) quando uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno un'impresa ovvero una o più imprese acquisiscono direttamente od indirettamente, sia mediante acquisto di azioni o di elementi del patrimonio, sia mediante contratto o qualsiasi altro mezzo, il controllo dell'insieme o di parti di una o più imprese; |
identico |
c) quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla costituzione di un'impresa comune. |
c) quando due o più imprese procedono alla costituzione di un'impresa comune che esercita stabilmente tutte le funzioni di una entità autonoma. |
2. L'assunzione del controllo di un'impresa non si verifica nel caso in cui una banca o un istituto finanziario acquisti, all'atto della costituzione di un'impresa o dell'aumento del suo capitale, partecipazioni in tale impresa al fine di rivenderle sul mercato, a condizione che durante il periodo di possesso di dette partecipazioni, comunque non superiore a ventiquattro mesi, non eserciti i diritti di voto inerenti alle partecipazioni stesse. |
identico |
3. Le operazioni aventi quale oggetto o effetto principale il coordinamento del comportamento di imprese indipendenti non danno luogo ad una concentrazione. |
3. Qualora l’operazione di costituzione di un'impresa comune che realizza una concentrazione abbia per oggetto o per effetto il coordinamento del comportamento di imprese indipendenti, tale coordinamento è valutato secondo i parametri adottati per la valutazione delle intese restrittive della libertà di concorrenza, al fine di stabilire se l'operazione comporti le conseguenze di cui all’articolo 6. In tale valutazione l’Autorità tiene conto, in particolare, della presenza significativa e simultanea di due o più imprese fondatrici sullo stesso mercato dell'impresa comune, o su un mercato situato a monte o a valle di tale mercato, ovvero su un mercato contiguo strettamente legato a detto mercato, nonché della possibilità offerta alle imprese interessate, attraverso il loro coordinamento risultante direttamente dalla costituzione dell'impresa comune, di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti e servizi in questione. |
Nel 1989, con un apposito Regolamento (Reg. 4064/1989/CEE), si è introdotta in sede europea una disciplina specifica per il controllo antitrust delle operazioni di concentrazione. Il Regolamento è stato adottato in considerazione del fatto che gli articoli 85 (cartelli/intese orizzontali restrittive della concorrenza) e 86 (abuso di posizione dominante) del Trattato CEE (ora Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE, articoli 101 e 102), pur potendo essere applicati, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia[86] a talune concentrazioni, non erano tuttavia sufficienti a coprire tutte le operazioni di concentrazione potenzialmente incompatibili con il regime di concorrenza contemplato dal Trattato. Si rammenta, infatti, come solo l'articolo 66 del Trattato CECA, prevedesse l’assoggettamento di qualsiasi concentrazione ad una previa autorizzazione[87].
È stato quindi ritenuto necessario creare uno strumento giuridico nuovo - sotto forma di regolamento - che consentisse un controllo effettivo di tutte le operazioni di concentrazione in funzione della loro incidenza sulla struttura di concorrenza nel mercato comunitario. L’adozione del regolamento si è basata non soltanto sull'articolo 87 (ora 103 TFUE) ma principalmente sull'articolo 235 del Trattato (ora art. 308 TFUE), ai sensi del quale la Comunità può dotarsi dei poteri d'azione aggiuntivi necessari a realizzare i suoi obiettivi, anche per quanto riguarda le concentrazioni sui mercati dei prodotti agricoli di cui all'Allegato II del trattato.
Il sistema di controllo delineato nel Regolamento del 1989 (modificato dal successivo Reg. 1310/1997/CE) è stato riformato, con l’adozione del Regolamento 139/2004/CE «Regolamento comunitario sulle concentrazioni» e di un nuovo Regolamento di esecuzione della Commissione (Reg. n. 802/2004/CE), nonché di una serie di atti di natura interpretativa (Comunicazioni della Commissione).
Il nuovo Regolamento, al fine di preservare gli orientamenti desumibili dalle sentenze degli organi giurisdizionali europei e dalle decisioni della Commissione in applicazione del precedente regolamento, sancisce il principio secondo cui devono essere dichiarate incompatibili le concentrazioni di dimensione comunitaria che ostacolino in modo significativo una concorrenza effettiva nel mercato comune o una sua parte sostanziale, in particolare qualora ciò risulti dalla creazione o dal rafforzamento di una posizione dominante.
Inoltre, prevede l’applicazione dei criteri di cui all'articolo 101, par. 1 e 3, TFUE alle imprese comuni che esercitano stabilmente tutte le funzioni di una entità economica autonoma, se ed in quanto la loro costituzione ha come conseguenza una sensibile restrizione della concorrenza tra imprese che restano indipendenti.
L’articolo 21 del Regolamento fissa il criterio della “barriera unica”, disponendo l’applicabilità del regolamento alle concentrazioni di dimensione comunitaria definite dall'articolo 3 (par. 1). La Commissione ha competenza esclusiva per adottare le decisioni (par. 2). Dunque, gli Stati membri non applicano la loro normativa nazionale sulla concorrenza alle concentrazioni di dimensione comunitaria (par. 3). Ciononostante, gli Stati membri possono adottare gli opportuni provvedimenti per tutelare interessi legittimi diversi da quelli presi in considerazione dal regolamento e compatibili con i principi generali e le altre disposizioni del diritto comunitario (par. 4).
Sono considerati interessi legittimi la sicurezza pubblica, la pluralità dei mezzi di informazione, le norme prudenziali.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 22, vale il rinvio alla Commissione, per cui uno o più Stati membri possono chiedere alla Commissione di esaminare qualsiasi concentrazione, che non ha dimensione comunitaria, ma incide sul commercio fra Stati membri e rischia di incidere in misura significativa sulla concorrenza nel territorio dello Stato o degli Stati membri che presentano la richiesta.
L’articolo 1, par. 2 e 3, del regolamento definisce di dimensione comunitaria una concentrazione, quando:
a) il fatturato totale mondiale dell'insieme delle imprese interessate è superiore a 5 miliardi di euro e
b) il fatturato totale realizzato individualmente nella Comunità da almeno due delle imprese interessate è superiore a 250 milioni; salvo che ciascuna delle imprese interessate realizzi oltre i due terzi del suo fatturato totale nella Comunità all'interno di un solo e medesimo Stato membro.
Una concentrazione che non supera le predette soglie è tuttavia di dimensione comunitaria quando:
a) il fatturato mondiale dell'insieme delle imprese interessate è superiore a 2,5 miliardi;
b) in ciascuno di almeno tre Stati membri, il fatturato totale realizzato dall'insieme delle imprese interessate è superiore a 100 milioni;
c) in ciascuno di almeno tre degli Stati membri di cui alla lettera b), il fatturato totale realizzato individualmente da almeno due delle imprese interessate è superiore a 25 milioni e
d) il fatturato totale realizzato individualmente nella Comunità da almeno due delle imprese interessate è superiore a 100 milioni; salvo che ciascuna delle imprese interessate realizzi oltre i due terzi del suo fatturato totale nella Comunità all'interno di un solo e medesimo Stato membro.
L’articolo 2, paragrafo 3, sancisce dunque il principio per cui le concentrazioni che ostacolino in modo significativo la concorrenza effettiva nel mercato comune o in una parte sostanziale di esso, in particolare a causa della creazione o del rafforzamento di una posizione dominante, sono dichiarate incompatibili con il mercato comune. Viene così introdotto il Substantial Impediment of Effective Competition (SIEC) test , pur mantenendo il precedente test di dominanza[88].
Nella sua valutazione, la Commissione, ai sensi dell’articolo 2, par. 1, tiene conto:
a) della necessità di preservare e sviluppare una concorrenza effettiva nel mercato comune alla luce, segnatamente, della struttura di tutti i mercati interessati e della concorrenza effettiva o potenziale di imprese situate all'interno o esterno della Comunità;
b) della posizione sul mercato delle imprese partecipanti, del loro potere economico e finanziario, delle possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori, del loro accesso alle fonti di approvvigionamento o agli sbocchi, dell'esistenza di diritto o di fatto di ostacoli all'entrata, dell'andamento dell'offerta e della domanda dei prodotti e dei servizi in questione, degli interessi dei consumatori intermedi e finali nonché dell'evoluzione del progresso tecnico ed economico purché essa sia a vantaggio del consumatore e non costituisca impedimento alla concorrenza.
Le concentrazioni possono essere presunte compatibili con il mercato comune qualora, data la modesta quota di mercato delle imprese interessate, non siano tali da ostacolare la concorrenza effettiva. Fatti salvi gli articoli 101 e 102 TFUE, un'indicazione in tal senso sussiste qualora la quota di mercato delle imprese interessate non sia superiore al 25% né nel mercato comune né in una sua parte sostanziale.
Ai sensi dell'articolo 3, si ha operazione di concentrazione nei seguenti casi:
· fusione tra imprese indipendenti: fusione tramite creazione di una nuova entità (fusione propria); fusione per incorporazione (l’impresa assorbita perde la propria personalità giuridica) (par. 1, lett. a)) ;
· acquisizione di controllo (par. 1, lett. b));
· costituzione di un’impresa comune (IC) che esercita stabilmente tutte le funzioni di un’entità economica autonoma (c.d. full function joint venture) (par. 4).
Ai sensi dell’articolo 4, le concentrazioni di dimensione comunitaria sono notificate alla Commissione prima della loro realizzazione e dopo la conclusione dell'accordo, la comunicazione dell'offerta d'acquisto o di scambio o l'acquisizione di una partecipazione di controllo.
Si passa ora ad esaminare la disciplina nazionale sulle concentrazioni. Con la legge 10 ottobre 1990 n. 287, è stata introdotta, nell’ordinamento, una disciplina organica a tutela della concorrenza, nel solco dei principi stabiliti in sede europea dagli articoli 101 (cartelli/intese orizzontali restrittive della concorrenza) e 102 (abuso di posizione dominante) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).
La legge individua le fattispecie anticoncorrenziali vietate: intese restrittive della libertà di concorrenza, abusi di posizione dominante e concentrazioni aventi determinate caratteristiche, e provvede all'istituzione di un organo di tutela e di promozione dei meccanismi concorrenziali, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, i cui compiti istituzionali e la cui natura sono stabiliti dall'articolo 10 della legge stessa e alla quale sono attribuiti poteri sanzionatori in ordine alle fattispecie anticoncorrenziali individuate.
Il Titolo II, Capo II, della legge n. 287/1990 disciplina i poteri dell'Autorità, istruttori e sanzionatori, in materia di intese restrittive della concorrenza e abuso di posizione dominante (articoli 12-15), e in materia di divieto delle operazioni di concentrazione (articoli 16-19).
Le concentrazioni tra imprese non sono di per sé vietate, ma sono sottoposte – in linea con la disciplina europea - a un procedimento di controllo preventivo da parte dell’Antitrust, che può sfociare nel divieto per le imprese di realizzare l’operazione comunicata, quando risulta che questa possa creare o rafforzare una posizione dominante nel mercato.
L’articolo 5 della legge n. 287 dispone, al comma 1, che l'operazione di concentrazione si realizza:
a) quando due o più imprese procedono a fusione;
b) quando uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno un'impresa ovvero una o più imprese acquisiscono direttamente od indirettamente, sia mediante acquisto di azioni o di elementi del patrimonio, sia mediante contratto o qualsiasi altro mezzo, il controllo dell'insieme o di parti di una o più imprese;
c) quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla costituzione di un'impresa comune.
Si esclude che diano luogo ad una concentrazione operazioni aventi quale oggetto o effetto principale il coordinamento del comportamento di imprese indipendenti (comma 3).
Inoltre, l'assunzione del controllo di un'impresa non si verifica nel caso in cui una banca o un istituto finanziario acquisti, all'atto della costituzione di un'impresa o dell'aumento del suo capitale, partecipazioni in tale impresa al fine di rivenderle sul mercato, a condizione che durante il periodo di possesso delle partecipazioni, comunque non superiore a ventiquattro mesi, non eserciti i diritti di voto inerenti alle partecipazioni stesse (comma 2).
Ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 287/90, l'Autorità valuta se le operazioni assoggettate all’obbligo di notifica ai sensi dell’articolo 16 della medesima legge, comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza. Tale situazione deve essere valutata tenendo conto delle possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori, della posizione sul mercato delle imprese interessate, del loro accesso alle fonti di approvvigionamento o agli sbocchi di mercato, della struttura dei mercati, della situazione competitiva dell'industria nazionale, delle barriere all'entrata sul mercato di imprese concorrenti, nonché dell'andamento della domanda e dell'offerta dei prodotti o servizi in questione (comma 1). Al termine dell'istruttoria, quando si accerti che l'operazione comporta le conseguenze suddette, l’AGCM vieta la concentrazione ovvero l'autorizza prescrivendo le misure necessarie ad impedire tali conseguenze (comma 2).
L’articolo 6 prevede dunque attualmente il cosiddetto “test di dominanza”, ai sensi di quanto in precedenza disposto dal regolamento europeo del 1989, e non già il Substantial Impediment of Effective Competition (SIEC) test previsto dalla vigente disciplina europea.
L’articolo 7 disciplina i casi in cui si ha controllo richiamando l'art. 2359 del codice civile e, inoltre, la presenza di diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono, da soli o congiuntamente, e tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto, la possibilità di esercitare un'influenza determinante sulle attività di un'impresa. Ciò avviene anche attraverso a) diritti di proprietà o di godimento sulla totalità o su parti del patrimonio di un'impresa; b) diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono un'influenza determinante sulla composizione, sulle deliberazioni o sulle decisioni degli organi di un'impresa.
L’articolo 16 indica le soglie di fatturato in presenza delle quali le operazioni devono essere preventivamente comunicate all'Autorità: fatturato totale realizzato a livello nazionale dall'insieme delle imprese interessate superiore a quattrocentonovantadue milioni di euro e fatturato totale realizzato individualmente a livello nazionale da almeno due delle imprese interessate superiore a trenta milioni di euro. Tali valori sono incrementati ogni anno di un ammontare equivalente all'aumento dell'indice del deflatore dei prezzi del prodotto interno lordo (comma 1). Per gli istituti bancari e finanziari il fatturato è considerato pari al valore di un decimo del totale dell'attivo dello stato patrimoniale, esclusi i conti d'ordine, e per le compagnie di assicurazione pari al valore dei premi incassati (comma 2). Quanto alla procedura, entro 5 giorni dalla notifica, l’operazione è comunicata alla Presidenza del consiglio dei Ministri e al ministro dello sviluppo economico (comma 3). L’istruttoria è avviata dall’Autorità, qualora ritenga che l’operazione sia suscettibile di essere vietata, entro 30 giorni dalla notifica, avvalendosi dei poteri istruttori previsti dall’articolo 14 della L. n. 287, inerenti il vaglio dei cartelli e l’abuso di posizione dominante. Se non ritiene di avviare l’istruttoria, l’Autorità propone le proprie conclusioni nel merito, entro trenta giorni dal ricevimento della notifica (comma 4). L'Autorità può avviare l'istruttoria dopo la scadenza dei termini, nel caso in cui le informazioni fornite dalle imprese con la comunicazione risultino gravemente inesatte, incomplete o non veritiere (comma 7).
Entro quarantacinque giorni dall'inizio dell'istruttoria (termine perentorio), l’AGCM deve dare comunicazione alle imprese interessate ed al Ministro dello sviluppo economico delle proprie conclusioni nel merito. Il termine può essere prorogato nel corso dell'istruttoria per un periodo non superiore a trenta giorni, qualora le imprese non forniscano informazioni e dati a loro richiesti che siano nella loro disponibilità. L’AGCM può, ai sensi dell’articolo 17, disporre la sospensione temporanea dell’operazione di concentrazione fino al termine dell’istruttoria. Ai sensi dell’articolo 18, all'esito dell’istruttoria, se si accerta che una concentrazione rientra tra quelle contemplate dall'art. 6, l’Autorità ne vieta l'esecuzione.
Ove invece, non emergano elementi tali da consentire un intervento, l’AGCM provvede a chiudere l'istruttoria, e deve dare immediata comunicazione delle conclusioni alle imprese interessate ed al Ministro dello sviluppo economico. Tale provvedimento può essere adottato a richiesta delle imprese interessate che comprovino di avere eliminato dall'originario progetto di concentrazione gli elementi eventualmente distorsivi della concorrenza.
L'Autorità, se l'operazione di concentrazione è già stata realizzata, può prescrivere le misure necessarie a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva, per eliminare gli effetti distorsivi.
L’articolo 19 indica le sanzioni amministrative pecuniarie che l’AGCM può comminare in caso di inottemperanza al divieto di concentrazione o all'obbligo di notifica.
Per l’inottemperanza al divieto di concentrazione, le relative sanzioni sono non inferiori all'uno per cento e non superiori al dieci per cento del fatturato delle attività di impresa oggetto della concentrazione.
Nel caso di imprese che non abbiano ottemperato agli obblighi di comunicazione preventiva, l'Autorità può infliggere per tali violazioni sanzioni amministrative pecuniarie fino all'uno per cento del fatturato dell'anno precedente a quello in cui è effettuata la contestazione in aggiunta alle sanzioni eventualmente applicabili a seguito delle conclusioni dell'istruttoria.
Con la legge 10 ottobre 1990 n. 287, è stata introdotta nell’ordinamento nazionale una disciplina organica a tutela della concorrenza, nel solco dei principi stabiliti in sede europea dagli articoli 101 (cartelli/intese orizzontali restrittive della concorrenza) e 102 (abuso di posizione dominante) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).
La legge individua le fattispecie anticoncorrenziali vietate, ossia intese restrittive della libertà di concorrenza, abusi di posizione dominante e concentrazioni aventi determinate caratteristiche, e provvede all'istituzione di un organo di tutela e di promozione dei meccanismi concorrenziali, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, i cui compiti istituzionali e la cui natura sono stabiliti dall'articolo 10 della legge stessa e alla quale sono attribuiti poteri sanzionatori in ordine alle fattispecie anticoncorrenziali individuate.
L'Autorità applica, anche parallelamente, in relazione a uno stesso caso, gli articoli 101 e 102 del TFUE, nel caso di portata transfrontaliera dell'infrazione e di alterazione della concorrenza del mercato dell'UE, e gli articoli 2 e 3 della legge, relativi, rispettivamente, alle intese restrittive e all'abuso di posizione dominante.
L'articolo 2 della legge considera intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari (co. 1).
L'articolo vieta le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente la concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel:
- fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;
- impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;
- ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
- applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
- subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l'oggetto dei contratti stessi (co. 2).
Sancisce infine che le intese vietate sono nulle ad ogni effetto (co. 3).
L'articolo 3 vieta l'abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante. È inoltre vietato:
- imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;
- impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori;
- applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
- subordinare la conclusione dei contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l'oggetto dei contratti stessi.
Il Titolo II, Capo II, della legge n. 287/1990 disciplina i poteri dell'Autorità, istruttori e sanzionatori, in materia di intese restrittive della concorrenza e abuso di posizione dominante (articoli 12-15), e in materia di divieto delle operazioni di concentrazione (articoli 16-19).
La normativa nazionale è integrata da quella europea, volta ad assicurare la corretta applicazione del Trattato in sede di accertamento e repressione delle violazioni alla concorrenza da esso disciplinate. Al fine di una corretta applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE - inerenti il divieto di intese restrittive della concorrenza e il divieto di abuso di posizione dominante - è stato adottato il Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, il quale ha abrogato il primo regolamento europeo in materia (Regolamento (CE) n. 17/1962). Il Regolamento ha fortemente innovato il sistema di controllo e accertamento delle violazioni alle regole della concorrenza, attribuito, ai sensi del precedente regolamento, interamente in capo alla Commissione europea.
In luogo del sistema centralizzato, sancito dal primo regolamento, il Regolamento n. 1/2003 ha conferito alle giurisdizioni nazionali e alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri ("ANC"), oltre che alla Commissione europea, il potere di applicare integralmente le regole dell'UE in materia di concorrenza. Il Regolamento ha inoltre introdotto nuove forme di stretta cooperazione tra la Commissione e le ANC, nell'ambito della Rete europea della concorrenza (European Competition Network, "ECN"). In tal modo, è stato permesso alla Commissione di concentrarsi sull'accertamento delle violazioni più gravi, aventi dimensione trasfrontaliera, mentre, le ANC intervengono quando la concorrenza è pregiudicata in modo sostanziale sul loro territorio. Il criterio adottato è quello del "best or well placed", per cui la competenza a trattare singoli casi è spetta all'Autorità che meglio può esercitare i poteri ispettivi ed intervenire per rimuovere la violazione.
Il funzionamento del Regolamento è stato sottoposto, tra il 2013 ed il 2014, ad una valutazione da parte della Commissione, a conclusione della quale è stato adottato il Documento "Dieci anni di applicazione delle norme antitrust ai sensi del regolamento (CE) n. 1/2003: risultati e prospettive future" COM (2014) 453. Nel documento, si osservava come - sebbene fosse stato raggiunto un livello consistente di convergenza nell'attuazione delle norme - permanessero delle divergenze in gran parte dovute a talune disparità nella posizione istituzionale delle ANC, nonché nelle procedure e nelle sanzioni nazionali, con la mancanza di poteri effettivi tali da permettere di infliggere ammende dissuasive e di realizzare il sistema di competenze "parallele" delle Autorità nell'ambito dell'ENC. Venivano inoltre osservati problemi per quanto riguarda la necessità di garantire risorse umane e finanziarie sufficienti alle predette Autorità. La Commissione ha dunque considerato necessario intervenire ulteriormente per migliorare l'applicazione delle norme in materia, consolidare la posizione istituzionale di indipendenza e imparzialità delle ANC e, al tempo stesso, garantire un'ulteriore convergenza delle procedure e delle sanzioni nazionali applicabili alle violazioni delle norme europee antitrust.
Su queste basi, è stata adottata la Direttiva 2019/1/UE cd. "Direttiva ECN Plus", le cui norme di recepimento sono contenute nel Decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 185.
Il decreto legislativo implementa dei poteri d'indagine e sanzionatori dell'Autorità. Vengono a tal fine apportate modifiche ed integrazioni al Capo II del Titolo I (articoli 12-15) della legge n. 287/1990, disponendosi che l’Autorità applica - anche parallelamente in relazione a uno stesso caso – sia la disciplina nazionale sul divieto di pratiche anticoncorrenziali (cartelli/intese orizzontali restrittive della concorrenza e abuso di posizione dominante) di cui agli articoli 2 e 3 della legge n. 287/1990, nonché quella europea, nel caso di pratiche anticoncorrenziali di carattere transfrontaliero, di cui agli articoli 101 e 102 TFUE, il cui richiamo viene ora esplicitato (articolo 1, co. 2-5 e articolo 2, co. 1).
Relativamente ai poteri di indagine, il decreto legislativo n. 185/2021 integra l'articolo 12 della l. n. 287/1990 e:
- indica i tipi di prove ammissibili dinanzi all'Autorità: documenti, dichiarazioni orali, messaggi elettronici, registrazioni e tutti gli altri documenti contenenti informazioni, indipendentemente dalla loro forma e dal supporto su cui sono conservate (nuovo comma 1-bis nell'art. 12).
- riconosce all'Autorità, in conformità all'art. 5, par. 5 della Direttiva, il potere di definire le proprie priorità di intervento. L'AGCM può non dare seguito alle segnalazioni che non rientrino tra le proprie priorità (nuovo comma 1-ter nell'art. 12).
Si rammenta che l’Autorità può già procedere, d'ufficio o su richiesta del MISE o del MEF, ad indagini conoscitive di natura generale nei settori economici nei quali l'evoluzione degli scambi, il comportamento dei prezzi, o altre circostanze facciano presumere che la concorrenza sia impedita, ristretta o falsata (art. 12, co. 2);
- prevede che i procedimenti relativi alle infrazioni e l'esercizio dei poteri devono rispettare i principi generali del diritto dell'Unione europea e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (nuovo comma 1-quater nell'art. 12).
La disciplina inerente l'istruttoria dell'Autorità sui casi di presunta infrazione subisce rilevanti modifiche.
Il comma 3 dell'articolo 1 del decreto legislativo modifica e integra l'articolo 14 della legge n. 287/1990: in ogni momento dell’istruttoria, l’Autorità può richiedere informazioni e l’esibizione di documenti utili - a imprese, associazioni di imprese, persone fisiche o giuridiche - entro un termine ragionevole, da indicarsi nella richiesta stessa (modifica al comma 1 dell'art. 14). Le richieste di informazioni devono comunque essere proporzionate e non obbligano i destinatari ad ammettere l'infrazione (sostituzione del comma 2 dell'art. 14). Inoltre, l’AGCM, in ogni momento può convocare in audizione ogni rappresentante di un'impresa o di un'associazione di imprese, un rappresentante di altre persone giuridiche e ogni persona fisica in possesso di informazioni rilevanti ai fini dell'istruttoria.
Consistenti modifiche riguardano anche gli accertamenti ispettivi. Il potere dell'AGCM di disporre ispezioni viene riconosciuto in misura più pervasiva, in ogni momento dell'istruttoria. I funzionari incaricati dell'AGCM possono accedere a tutti i locali, terreni, mezzi di trasporto dei predetti soggetti, controllare i libri contabili e qualsiasi altro documento, fare o acquisire copie estratti, chiedere a qualsiasi rappresentante o membro del personale spiegazioni su fatti o documenti e verbalizzarne le risposte; nonché apporre sigilli a tutti i locali, libri e documenti, per la durata dell'accertamento e nella misura necessaria allo stesso (comma 2-quater dell’art. 14). Inoltre, l'AGCM può effettuare ispezioni fuori dei locali dell'impresa o delle associazioni di imprese, inclusa l'abitazione dei dirigenti, amministratori e altri membri del personale. In tal caso, i funzionari non possono apporre sigilli né chiedere informazioni e verbalizzare le risposte (comma 2-quinquies dell'art. 14) e l'accertamento ispettivo, può comunque essere eseguito solo se autorizzato con decreto motivato emesso dal procuratore della Repubblica del luogo ove deve svolgersi l'accesso. Avverso il decreto di diniego può essere proposta opposizione dall'AGCM, entro 10 giorni dalla notifica. L'atto di opposizione è presentato allo stesso procuratore ed è trasmesso, unitamente al decreto di diniego, al GIP ai sensi dell'art. 368 cpp. (comma 2-sexies dell'art. 14).
Nell'esercizio dell'attività ispettiva - sia quella presso che fuori la sede delle imprese - l'AGM può avvalersi della Guardia di finanza (come già avveniva) e di altri organi dello Stato.
Anche le sanzioni applicabili a chi rifiuta di collaborare agli accertamenti subiscono modifiche sostanziali. Si prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino all'1 per cento del fatturato totale realizzato a livello mondiale durante l'esercizio precedente se, dolosamente o per colpa:
a) le imprese o le associazioni di imprese ostacolino l'ispezione presso di loro;
b) sono stati infranti i sigilli, ferme le ulteriori sanzioni penali applicabili;
c) in risposta ad una domanda nel corso di un'ispezione presso le imprese e le associazioni di imprese, queste non forniscano una risposta completa o forniscono informazioni inesatte o fuorvianti;
d) in risposta ad una richiesta di informazioni, le imprese e le associazioni dì imprese forniscano informazioni inesatte, incomplete o fuorvianti oppure non forniscono le informazioni entro il termine stabilito;
e) le imprese o le associazioni di imprese non si presentino all'audizione (comma 5 novellato dell'art. 14).
L'AGCM può applicare una penalità di mora fino al 5 per cento del fatturato medio giornaliero realizzato a livello mondiale durante l'esercizio sociale precedente per ogni giorno di ritardo dalla data fissata nella richiesta o nel provvedimento, per costringerle:
a) a fornire informazioni complete ed esatte in risposta ad una richiesta di informazioni;
b) a presentarsi all'audizione;
c) a sottoporsi all'ispezione presso la loro sede (comma 6 novellato dell'art. 14).
Sanzioni amministrative pecuniarie - tra 150 e 25.823 euro - possono poi essere comminate dall'AGCM alle persone fisiche che, dolosamente o per colpa:
a) ostacolano l'accertamento ispettivo;
b) in risposta ad una richiesta di informazioni forniscono informazioni inesatte, incomplete o fuorvianti oppure non forniscono le informazioni entro il termine stabilito, salvo rifiuto motivato se le informazioni richieste possono far emergere la propria responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo o per un reato;
c) non si presentano all'audizione (comma 7 dell’art. 14).
Penalità di mora da 150 euro a 500 euro per ogni giorno di ritardo dalla data fissata nella richiesta o nel provvedimento, possono essere applicate dall'AGCM per costringere le persone fisiche a:
a) fornire informazioni complete ed esatte in risposta a una richiesta, salvo il rifiuto motivato suddetto;
b) presentarsi all'audizione;
c) sottoporsi all'ispezione ordinata fuori dalla sede dell'impresa o dell'associazione delle imprese (ad. es. a presso l'abitazione degli amministratori).
Infine, si segnala l’introduzione di una ampia e articolata disciplina inerente i programmi di clemenza in caso di qualificata collaborazione dell'impresa nell'accertamento delle infrazioni (cd. leniency programmes). L'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo n. 185 inserisce tale nuova disciplina integrando la legge n. 287/1990 di sei nuovi articoli, da 15-bis a 15-septies. Si rinvia, per un’analisi delle norme in questione, al dossier predisposto sullo schema di decreto legislativo.
L’articolo 33 – interamente sostituito al Senato - modifica ed integra la disciplina dell’abuso di dipendenza economica nell’attività di subfornitura tra imprese, di cui all’articolo 9 della legge n. 192/1998, introducendo una presunzione relativa (iuris tantum) di dipendenza economica nelle relazioni commerciali con un’impresa che offre i servizi di intermediazione di una piattaforma digitale, allorché quest’ultima abbia un ruolo determinante per raggiungere utenti finali e/o fornitori, anche in termini di effetti di rete e/o di disponibilità dei dati.
La finalità dell’intervento qui in esame è quella di rendere la normativa più appropriata rispetto alle caratteristiche dell’attività di intermediazione delle grandi piattaforme digitali.
L’articolo 9 della legge n. 192/1998 (“Disciplina della subfornitura nelle attività produttive”), al comma 1, vieta l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice.
La norma citata considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.
Il comma 2 dell’articolo 9 indica – a titolo esemplificativo e non esaustivo – le pratiche in cui si può concretizzare l’abuso di posizione dominante prevedendo che l'abuso possa consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie.
Segnatamente, l’articolo 33, alla lettera a), inserisce un ultimo periodo nel comma 1 dell’articolo 9, della legge n. 192/1998, ai sensi del quale - salvo prova contraria - si presume la dipendenza economica nel caso in cui un’impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati.
Tale previsione era già contenuta nel testo originario dell’articolo qui in commento, ma essa opera non più sotto forma di nuovo comma 1-bis dell’articolo 9, della legge n. 192/1998, bensì sotto forma di ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 9 citato.
Il medesimo articolo 33, alla lettera b), nel testo risultante dalla modifica apportata al Senato, aggiunge un ultimo periodo al comma 2 dell’articolo 9, il quale dispone che le pratiche abusive realizzate dalle piattaforme digitali di cui al comma 1 possono consistere anche nel fornire informazioni o dati insufficienti in merito all'ambito o alla qualità del servizio erogato e nel richiedere indebite prestazioni unilaterali non giustificate dalla natura o dal contenuto dall'attività svolta, ovvero nell'adottare pratiche che inibiscono od ostacolano l'utilizzo di diverso fornitore per il medesimo servizio, anche attraverso l'applicazione di condizioni unilaterali o costi aggiuntivi non previsti dagli accordi contrattuali o dalle licenze in essere.
Si rammenta che la lettera b), nella sua formulazione originaria, sostituiva il comma 2 dell’articolo 9 e, conformemente a quanto sollecitato dall’Autorità garante AGCM, proponeva di integrare l’elenco delle pratiche in cui si può concretizzare l’abuso di posizione dominante, con un generico richiamo (non testualmente legato alle piattaforme digitali di cui al comma 1) all’imposizione di condizioni anche retroattive, nonché all’applicazione di condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, al fornire informazioni o dati insufficienti in merito all’ambito o alla qualità del servizio fornito, alla richiesta di indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto dell’attività svolta.
Nella sua Segnalazione, l’Autorità garante aveva anche proposto di esplicitare in norma che possa costituire abuso il rifiuto dell’interoperabilità di prodotti e di servizi o della portabilità dei dati, limitando la concorrenza.
La lettera c) dell’articolo qui in esame, inserita al Senato, aggiunge al comma 3 dell’articolo 9 un ultimo periodo.
Il comma 3 dell’articolo 9 dispone la nullità dei patti attraverso i quali si realizza l'abuso di dipendenza economica e la competenza del giudice ordinario relativamente alle azioni in materia di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni.
La lettera c) precisa che le azioni civili esperibili sono proposte di fronte alle sezioni specializzate in materia di impresa di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 168/2003.
Il comma 2, inserito al Senato, prevede che le disposizioni di cui al comma 1 si applichino a decorrere dal 31 ottobre 2022.
Il comma 3, anch’esso inserito al Senato, prevede che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, d'intesa con il Ministero della giustizia e sentita l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, possa adottare apposite linee guida dirette a facilitare l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 1, in coerenza con i principi della normativa europea, anche al fine di prevenire il contenzioso e favorire buone pratiche di mercato in materia di concorrenza e libero esercizio dell'attività economica.
In considerazione delle competenze dell’AGCM, si valuti l’opportunità di prevedere l’adozione delle linee guida direttamente da parte della stessa AGCM.
Art. 9 L. n. 192/1998 |
Art. 9 L. n. 192/1998 |
Art. 9 L. n. 192/1998 |
1. È vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. |
1. È vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti |
1. È vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti |
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1-bis. Salvo prova contraria, si presume la dipendenza economica nel caso in cui un’impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati |
Salvo prova contraria, si presume la dipendenza economica nel caso in cui un'impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati |
2. L'abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto. |
2. L'abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, anche retroattive, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto, nell’applicazione di condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, nel fornire informazioni o dati insufficienti in merito all’ambito o alla qualità del servizio fornito, nella richiesta di indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto dell’attività svolta |
2. L'abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto. |
Le pratiche abusive realizzate dalle piattaforme digitali di cui al comma 1 possono consistere anche nel fornire informazioni o dati insufficienti in merito all'ambito o alla qualità del servizio erogato e nel richiedere indebite prestazioni unilaterali non giustificate dalla natura o dal contenuto dall'attività svolta, ovvero nell'adottare pratiche che inibiscono od ostacolano l'utilizzo di diverso fornitore per il medesimo servizio, anche attraverso l'applicazione di condizioni unilaterali o costi aggiuntivi non |
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previsti dagli accordi contrattuali o dalle licenze in essere. |
3. Il patto attraverso il quale si realizzi l'abuso di dipendenza economica è nullo. Il giudice ordinario competente conosce delle azioni in materia di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni. |
3. Il patto attraverso il quale si realizzi l'abuso di dipendenza economica è nullo. Il giudice ordinario competente conosce delle azioni in materia di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni. |
3. Il patto attraverso il quale si realizzi l'abuso di dipendenza economica è nullo. Il giudice ordinario competente conosce delle azioni in materia di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni. Le azioni civili esperibili alla stregua del presente articolo sono proposte di fronte alle sezioni specializzate in materia di impresa di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168. |
3-bis. Ferma restando l'eventuale applicazione dell'articolo 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato può, qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell'attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell'istruttoria, procedere alle diffide e sanzioni previste dall'articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti dell'impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso. In caso di violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, posta in essere ai danni delle imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie, l'abuso si configura a prescindere dall'accertamento della dipendenza economica. |
3-bis. Ferma restando l'eventuale applicazione dell'articolo 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato può, qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell'attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell'istruttoria, procedere alle diffide e sanzioni previste dall'articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti dell'impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso. In caso di violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, posta in essere ai danni delle imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie, l'abuso si configura a prescindere dall'accertamento della dipendenza economica. |
3-bis. Ferma restando l'eventuale applicazione dell'articolo 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato può, qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell'attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell'istruttoria, procedere alle diffide e sanzioni previste dall'articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti dell'impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso. In caso di violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, posta in essere ai danni delle imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie, l'abuso si configura a prescindere dall'accertamento della dipendenza economica. |
L’articolo 34 integra la legge n. 287/1990, introducendo la disciplina della transazione (cd. settlement) nei procedimenti amministrativi condotti dall’AGCM in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza e abuso di posizione dominante. L’Autorità può decidere in qualsiasi momento di cessare completamente le discussioni finalizzate all’accordo transattivo, qualora ritenga che ne sia comunque compromessa l'efficacia.
L’articolo 34 introduce nella legge n. 287/1990, un nuovo articolo 14-bis. Il nuovo articolo dispone, al comma 1, che l’Autorità, nel corso dell’istruttoria relativa a procedimenti in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza e di abuso di posizione dominante, fino all’invio della comunicazione delle risultanze istruttorie, possa fissare un termine entro il quale le imprese interessate possono manifestare per iscritto la loro disponibilità a partecipare a discussioni in vista dell’eventuale presentazione di proposte di transazione.
Ai sensi del comma 2, l’AGCM può informare le parti che partecipano a discussioni di transazione circa:
§ gli addebiti che intende muovere nei loro confronti e gli elementi probatori utilizzati a fondamento degli stessi;
§ le versioni non riservate di qualsiasi documento accessibile del fascicolo, per consentire alla parte richiedente di accertare la sua posizione in merito a un periodo di tempo o a qualsiasi altro aspetto particolare del cartello;
§ la forcella delle potenziali ammende.
Tali informazioni sono riservate verso i terzi, salvo che l’Autorità ne abbia esplicitamente autorizzato la divulgazione.
Ai sensi del comma 3, in caso di esito favorevole di tali discussioni, l’Autorità può fissare un termine entro il quale le imprese interessate possono presentare proposte transattive che rispecchino i risultati delle discussioni svolte e in cui riconoscano la propria partecipazione a un'infrazione di cui agli articoli 2 e 3 della legge n. 287/1990, ovvero agli articoli 101 e 102 TFUE, nonché la rispettiva responsabilità.
La procedura è dunque attivabile, sia nel caso di infrazioni di dimensione nazionale che nel caso di infrazioni di dimensione transfrontaliera con alterazione della concorrenza del mercato dell’UE.
Ai sensi del comma 4, l’Autorità può decidere in qualsiasi momento di cessare completamente le discussioni in vista di una transazione, anche rispetto a una o più parti specifiche, qualora ritenga che sia comunque compromessa l'efficacia della procedura. Prima che l’Autorità fissi un termine per la presentazione delle proposte di transazione, le parti interessate hanno il diritto di essere informate a tempo debito, su richiesta, degli addebiti e delle prove a fondamento degli stessi addebiti (di cui comma 2).
L’Autorità non è obbligata a tener conto di proposte di transazione ricevute dopo la scadenza del termine.
Infine, il comma 5 demanda all’AGCM la definizione, con proprio provvedimento generale, in linea con l’ordinamento dell’Unione europea, delle regole procedurali che disciplinano la presentazione e la valutazione delle proposte di transazione e l’entità della riduzione della sanzione da accordare in caso di completamento con successo della procedura.
La procedura qui in esame appare modellata sul settlement previsto nei procedimenti di competenza della Commissione europea per i casi di cartelli.
Si rinvia, sul punto, alla Comunicazione della Commissione concernente la transazione nei procedimenti per l'adozione di decisioni a norma dell'articolo 7 e dell'articolo 23 del regolamento (CE) n.1/2003 nei casi di cartelli (2008/C 167/01). La procedura di patteggiamento applicata dalla Commissione si applica solo alle indagini sui cartelli e prevede una riduzione della sanzione del 10%.
La procedura di transazione utilizzata dalla Commissione europea è finalizzata ad accelerare l'adozione di una decisione sul cartello. Le parti devono ammettere la loro partecipazione al comportamento anticoncorrenziale e raggiungere una "intesa comune" con la Commissione riguardo ai fatti e alla qualificazione giuridica della condotta. Le parti devono anche impegnarsi a rispettare l'importo massimo dell'ammenda che può essere loro imposta dalla Commissione nella decisione finale. In caso di successo della transazione, la parte riceve una riduzione del 10% dell’ammenda: l’AGCM, nella Segnalazione di marzo ha proposto di riportare in norma la citata percentuale di riduzione della sanzione. Nell’articolo in esame, si demanda invece l’entità della riduzione all’AGCM.
Nella procedura di transazione condotta dalla Commissione europea, le parti non hanno il diritto di chiedere di transigere, è la Commissione che può esplorare questa possibilità, se ritiene che il caso possa essere adatto alla transazione. Le parti non sono obbligate a partecipare a discussioni di transazione o alla fine a transigere. Se una parte si impegna in una procedura di transazione, ma poi la Commissione o la parte decide di interrompere le discussioni, la Commissione seguirà una procedura standard (normale). Una transazione ibrida si ha quando, nello stesso procedimento, la Commissione adotta una decisione contro le parti che seguono la procedura di transazione, mentre adotta una decisione contro le parti che hanno interrotto la procedura di transazione seguendo la procedura standard (normale).
La differenza tra la transazione e la clemenza (leniency) è che la transazione è uno strumento di efficienza procedurale, mentre la clemenza è uno strumento per raccogliere prove. Una richiesta di clemenza non è un prerequisito per una richiesta di transazione. Una parte che non ha fatto richiesta di clemenza può anche impegnarsi in una transazione.
Sui programmi di clemenza, recentemente introdotti nella legge n. 287/1990 dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 185, di recepimento della Direttiva 2019/1/UE cd. “ECN Plus”, si rinvia al dossier predisposto sullo schema di decreto legislativo.
Relativamente alle sanzioni da comminare, nell’ipotesi in cui, all’esito dell’istruttoria, l’AGCM ravvisi un’infrazione (per intese restrittive della libertà di concorrenza e/o abuso di posizione dominante), soccorre l’articolo 15 della legge n. 287/1990, come da ultimo novellato dal citato decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 185. L’ articolo 15 dispone che:
· l’Autorità fissa alle imprese e associazioni di imprese interessate il termine per l'eliminazione dell'infrazione ovvero, se l'infrazione è già cessata, ne vieta la reiterazione: fra due rimedi ugualmente efficaci, l'Autorità deve optare per quello meno oneroso per l'impresa, in linea con il principio di proporzionalità (comma 1);
· tenuto conto della gravità e della durata dell'infrazione, l’Autorità dispone inoltre l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o associazione di imprese nell'ultimo esercizio chiuso prima della diffida, determinando i termini entro i quali l'impresa deve pagare la sanzione (comma 1-bis)[89];
· in caso di inottemperanza alla diffida, l'Autorità applica la sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato ovvero, nei casi in cui sia stata applicata la sanzione, di importo minimo non inferiore al doppio della sanzione già applicata con un limite massimo del dieci per cento del fatturato, determinando altresì il termine entro il quale il pagamento della sanzione deve essere effettuato (comma 2).
Nei casi di reiterata inottemperanza l'Autorità può disporre la sospensione dell'attività d'impresa fino a trenta giorni.
L'Autorità può irrogare alle imprese e associazioni di imprese penalità di mora fino al 5 per cento del fatturato medio giornaliero realizzato a livello mondiale durante l'esercizio sociale precedente per ogni giorno di ritardo a decorrere dalla data fissata nella decisione, al fine di costringerle a:
a) ottemperare alla diffida;
b) ottemperare alle misure cautelari;
c) rispettare gli impegni presi dalle imprese a far venire meno i profili anticoncorrenziali della loro attività[90].
L’articolo 35, modificato al Senato, estende i poteri d’indagine dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. L’AGCM in ogni momento, dunque ora anche al di fuori di procedimenti istruttori, può richiedere, alle imprese o ad enti, informazioni e documenti utili, ai fini dell’applicazione della normativa, nazionale ed europea, che vieta le intese restrittive della libertà di concorrenza e l’abuso di posizione dominante e della normativa sulle operazioni di concentrazione.
Al Senato, è stato precisato che le richieste di informazioni devono indicare le relative basi giuridiche, devono essere proporzionate e non obbligano i destinatari ad ammettere un'infrazione. Inoltre, l’Autorità deve riconoscere un congruo periodo di tempo per rispondere alle richieste di informazioni, anche in ragione della complessità delle informazioni in oggetto, comunque non superiore a sessanta giorni, rinnovabili con richiesta motivata.
A tale fine, sono novellati gli articoli 12 e 16 della legge n. 287/1990.
L’articolo 35 qui in esame riprende le proposte formulate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella Segnalazione, inviata al Governo il 22 marzo 2021, ai sensi dell’articolo 47, comma 2, legge n. 99/2009.
Segnatamente, il comma 1, lettera a) inserisce nell’articolo 12 della legge n. 287/1990 due nuovi commi 2-bis e 2-ter.
Il comma 2-bis consente all’AGCM - in ogni momento - di richiedere alle imprese o ad enti informazioni e documenti utili, ai fini dell’applicazione della normativa che vieta le intese restrittive della libertà di concorrenza e l’abuso di posizione dominante, di cui agli articoli 2 e 3 della legge n. 287/1990, e, per le pratiche anticoncorrenziali di carattere transfrontaliero, agli articoli 101 e 102 TFUE.
Secondo quanto inserito al Senato, le richieste di informazioni indicano le basi giuridiche su cui sono fondate, sono proporzionate e non obbligano i destinatari ad ammettere un'infrazione della normativa testé citata.
Ai sensi del comma 2-ter, coloro che si rifiutano o omettono di fornire le informazioni e i documenti richiesti, o forniscano informazioni e documenti non veritieri, senza giustificato motivo, sono sottoposti, con provvedimento dell’Autorità, alle medesime sanzioni amministrative pecuniarie, previste dall’articolo 14, comma 5, della legge n. 287/1990 per chi, nel corso dell’istruttoria, si rifiuta, omette o fornisce informazioni e documenti non veritieri. Sono salve le diverse sanzioni previste dall’ordinamento vigente.
Per evitare di prevedere una ipotesi di “informazioni non veritiere” fornite per un “giustificato motivo”, si valuti l’opportunità di riformulare la disposizione.
Nel corso dell’esame al Senato, è stato soppresso l’inciso che faceva salvo il rifiuto motivato, qualora le informazioni potessero fare emergere la responsabilità della persona fisica destinataria della richiesta per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo o per un reato.
Al Senato, è stata introdotta la previsione per cui l'Autorità riconosce ai soggetti cui sono richieste le informazioni un congruo periodo di tempo per rispondere, anche in ragione della complessità delle stesse, comunque non superiore a sessanta giorni, rinnovabili con richiesta motivata.
La legge n. 287/1990 è stata integrata e modificata dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 185, di recepimento della direttiva 2019/1/UE cd. "ECN Plus".
In proposito, appare opportuno verificare e coordinare la disciplina in esame con le recenti modifiche intervenute, considerato che in materia di istruttoria e di sanzioni il testo vigente della legge n. 287 prevede che le sanzioni dell’AGCM possano ricorrere anche nei confronti delle persone fisiche e giuridiche che si rifiutano di collaborare agli accertamenti ispettivi circa l’esistenza di pratiche anticoncorrenziali.
Ai fini del coordinamento, si richiama, in particolare l’articolo 14, commi da 1 a 2-octies e, per l’impianto sanzionatorio, lo stesso articolo 14, commi 5-7, della legge n. 287/1990 come da ultimo novellata.
Si rinvia, per un’analisi delle norme in questione, al box in calce alla scheda relativa all’articolo 32.
Art. 12 L. n. 287/1990 |
Art. 12 L. n. 287/1990 |
Art. 12 L. n. 287/1990 |
1. L'Autorità, valutati gli elementi comunque in suo possesso e quelli portati a sua conoscenza da pubbliche amministrazioni o da chiunque vi abbia interesse, ivi comprese le associazioni rappresentative dei consumatori, procede ad istruttoria per verificare l'esistenza di infrazioni ai divieti stabiliti negli articoli 2 e 3. |
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2. L'Autorità può, inoltre, procedere, d'ufficio o su richiesta del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato o del Ministro delle partecipazioni statali, ad indagini conoscitive di natura generale nei settori economici nei quali l'evoluzione degli scambi, il comportamento dei prezzi, o altre circostanze facciano presumere che la concorrenza sia impedita, ristretta o falsata. |
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2-bis. Ai fini dell’applicazione degli articoli 2 e 3 della presente legge, nonché per l’applicazione degli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea l’Autorità può in ogni momento richiedere a imprese e a enti che ne siano in possesso, di fornire informazioni e di esibire documenti utili. |
2-bis. Ai fini dell'applicazione degli articoli 2 e 3 della presente legge, nonché per l'applicazione degli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, l'Autorità può in ogni momento richiedere a imprese e a enti che ne siano in possesso di fornire informazioni e di esibire documenti utili. Tali richieste di informazioni indicano le basi giuridiche su cui sono fondate le richieste, sono proporzionate e non obbligano i destinatari ad ammettere un'infrazione degli articoli 101 o 102 del TFUE ovvero degli articoli 2 o 3 della presente legge |
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2-ter. Con provvedimento dell’Autorità, i soggetti ai quali è richiesto di fornire o esibire gli elementi di cui al comma 2-bis sono sottoposti alle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’articolo 14, comma 5, se rifiutano od omettono, di fornire le informazioni o di esibire i documenti richiesti ovvero se forniscono informazioni od esibiscono documenti non veritieri, senza giustificato motivo e salvo rifiuto motivato qualora le informazioni richieste possano fare emergere la responsabilità della persona fisica destinataria della richiesta per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo o per un reato. Sono salve le diverse sanzioni previste dall’ordinamento vigente. |
2-ter. Con provvedimento dell'Autorità, i soggetti ai quali è richiesto di fornire o esibire gli elementi di cui al comma 2-bis sono sottoposti alle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all'articolo 14, comma 5, se rifiutano od omettono di fornire le informazioni o di esibire i documenti richiesti ovvero se forniscono informazioni od esibiscono documenti non veritieri, senza giustificato motivo. L'Autorità riconosce ai soggetti di cui al comma 2-bis un congruo periodo di tempo, anche in ragione della complessità delle informazioni in oggetto, comunque non superiore a sessanta giorni, rinnovabili con richiesta motivata, per rispondere alle richieste di informazioni avanzate dall'Autorità stessa. Sono salve le diverse sanzioni previste dall'ordinamento vigente |
Il comma 1, lettera b), inserisce un nuovo articolo 16-bis nella legge n. 287/1990, il quale, al comma 1, consente all’Autorità garante della concorrenza e del mercato - in ogni momento, dunque, anche al di fuori di procedimenti istruttori - di richiedere alle imprese o ad enti informazioni e documenti utili, ai fini dell’esercizio dei poteri in materia di divieto delle operazioni di concentrazione.
Secondo quanto precisato al Senato, le richieste di informazioni indicano le basi giuridiche su cui sono fondate, sono proporzionate e non obbligano i destinatari ad ammettere un'infrazione “degli articoli 101 o 102 del TFUE ovvero degli articoli 2 o 3 della legge n. 287/1990”.
Si rileva in proposito che il divieto di operazioni di concentrazione è sancito, nella legge n. 287/1990, non già dagli articoli 2 e 3, i quali riguardano, come sopra evidenziato, rispettivamente, il divieto di intese restrittive della libertà di concorrenza e di abuso di posizione dominante, bensì dall’articolo 5. Ciò considerato, si valuti l’opportunità di richiamare l’articolo 5 anziché gli articoli 2 e 3 della legge. Quanto alla disciplina europea, sarebbe invece opportuno richiamare il Regolamento 139/2004/CE «Regolamento comunitario sulle concentrazioni» e il Regolamento di esecuzione della Commissione (Reg. n. 802/2004/CE), la cui base giuridica poggia sull'articolo 103 TFUE e sull'articolo 308 TFUE (quindi non 101 e 102, come prevede il testo approvato).
Ai sensi del comma 2 del nuovo articolo 16-bis, coloro che si rifiutano o omettono di fornire le informazioni e i documenti richiesti, o forniscano informazioni e documenti non veritieri, senza giustificato motivo, sono sottoposti, con provvedimento dell’Autorità, alle medesime sanzioni amministrative pecuniarie, previste dall’articolo 14, comma 5 della legge n. 287/1990 per chi, nel corso dell’istruttoria, si rifiuta, omette o fornisce informazioni e documenti non veritieri. Sono salve le diverse sanzioni previste dall’ordinamento vigente.
Al Senato, è stata soppresso l’inciso che faceva salvo il rifiuto motivato, qualora le informazioni richieste potessero fare emergere la responsabilità della persona fisica destinataria della richiesta per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo o per un reato.
Secondo quanto inserito al Senato, l'Autorità riconosce ai soggetti cui le informazioni sono richieste un congruo periodo di tempo per rispondere, anche in ragione della complessità delle informazioni stesse, comunque non superiore a sessanta giorni, rinnovabili con richiesta motivata.
L'articolo 36 prevede che le disposizioni in esame si applichino alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con le norme dei rispettivi statuti e le relative disposizioni di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale n. 3 del 2001.
La disposizione in commento, introdotta nel corso dell'esame presso il Senato, stabilisce che le norme del decreto-legge in esame non sono idonee a disporre in senso difforme a quanto previsto negli statuti speciali di regioni e province autonome (si tratta pertanto di una clausola a salvaguardia dell'autonomia riconosciuta a tali autonomie territoriali). Tale inidoneità, che la norma in esame esplicita, trae invero origine dal rapporto fra le fonti giuridiche coinvolte e, nello specifico, rileva che norme di rango primario (quali quelle recate dal decreto-legge) non possono incidere sul quadro delle competenze definite dagli statuti (che sono adottati con legge costituzionale, fonte di grado superiore) e dalle relative norme di attuazione. Le norme di rango primario si applicano pertanto solo in quanto non contrastino con le speciali attribuzioni di tali enti.
Si tratta di una clausola, costantemente inserita nei provvedimenti che intervengono su ambiti materiali ascrivibile alle competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, che rende più agevole l'interpretazione delle norme legislative coperte dalla stessa, con un effetto potenzialmente deflattivo del contenzioso costituzionale. La mancata previsione della clausola potrebbe infatti indurre una o più autonomie speciali ad adire la Corte costituzionale, nel dubbio sull'applicabilità nei propri confronti di una determinata disposizione legislativa (incidente su attribuzioni ad esse riservate dai propri statuti speciali).
La presenza di una siffatta clausola tuttavia non esclude a priori la possibilità che una o più norme (ulteriori) del provvedimento legislativo possano contenere disposizioni lesive delle autonomie speciali, quando "singole norme di legge, in virtù di una previsione espressa, siano direttamente e immediatamente applicabili agli enti ad autonomia speciale"[91].
La disposizione in esame specifica che il rispetto degli statuti e delle norme di attuazione è assicurato anche con "riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3", di riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione. L'articolo 10 della citata legge costituzionale, nello specifico, ha introdotto la cosiddetta clausola di maggior favore nei confronti delle regioni e delle province con autonomia speciale. L'articolo prevede infatti che le disposizioni della richiamata legge costituzionale (e quindi, ad esempio, delle disposizioni che novellano l'art.117 della Costituzione rafforzando le competenze legislative in capo alle regioni ordinarie) si applichino ai predetti enti "per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite" e comunque "sino all’adeguamento dei rispettivi statuti".
Tale disposizione attribuisce agli enti territoriali ad autonomia speciale competenze aggiuntive rispetto a quelle già previste nei rispettivi statuti e consente alla Corte costituzionale di valutare, in sede di giudizio di legittimità, se prendere ad esempio a parametro l’articolo 117 della Costituzione, anziché le norme statutarie, nel caso in cui la potestà legislativa da esso conferita nell'ambito di una determinata materia assicuri una autonomia più ampia di quella prevista dagli statuti speciali.
[1] Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica.
[2] Si rinvia, in particolare, sul punto alla procedura di Infrazione n. 2011/2026 e alla lettera di messa in mora complementare del 7 marzo 2019 nei confronti dell’Italia. La procedura di infrazione è stata poi chiusa il 23 settembre 2021 (qui il comunicato stampa del Dip. Politiche europee della Presidenza del consiglio dei Ministri).
Nella stessa data del 7 marzo 2019, la Commissione UE ha inviato lettere di costituzione in mora ad altri sette Stati membri (Austria), Francia, Germania, Polonia, Portogallo, Regno Unito e Svezia, sempre per garantire che gli appalti pubblici nel settore dell'energia idroelettrica fossero aggiudicati e rinnovati in conformità del diritto dell'UE. Qui il comunicato stampa della Commissione.
[3] Interrogazione Lollobrigida Iniziative volte a tutelare il settore dello sviluppo e della produzione di energia elettrica tramite le grandi derivazioni d'acqua ad uso idroelettrico, anche nell'ottica di salvaguardarne il carattere strategico e di perseguire l'autonomia energetica – n. 3-02879.
[4] Fino al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali), relativamente alle derivazioni situate nel territorio delle Regioni a statuto ordinario, la competenza in materia apparteneva allo Stato, al quale spettavano, a titolo dominicale, i canoni di concessione, quando le grandi derivazioni afferivano al demanio idrico statale.
L'art. 86 del decreto legislativo n. 112 del 1998 ha profondamente innovato la materia, conferendo alle Regioni competenti per territorio l'intera gestione del demanio idrico (la cui titolarità resta comunque allo Stato), e il successivo art. 88 ha specificato che detta gestione comprende tutte le funzioni amministrative relative alle derivazioni di acqua pubblica, alla ricerca, estrazione e utilizzazione delle acque sotterranee, alla tutela del sistema idrico sotterraneo, nonché alla determinazione dei canoni di concessione e all'introito dei relativi proventi.
Nel conferire tali funzioni, il decreto legislativo n. 112 del 1998 ha peraltro fatto temporaneamente salva (art. 29, comma 3) la competenza dello Stato in materia di grandi derivazioni, prevedendo che, fino all'entrata in vigore delle norme di recepimento della direttiva 96/92/CE del 19 dicembre 1996 (Direttiva del parlamento europeo e del Consiglio concernente norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica), le concessioni sono rilasciate dallo Stato d'intesa con la Regione interessata ovvero, in caso di mancata intesa nel termine di sessanta giorni, dallo Stato.
Successivamente, con il decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, è stata data attuazione alla citata direttiva 96/92/CE e si è pertanto realizzata la condizione cui l'art. 29, comma 3, del decreto legislativo n. 112 del 1998 subordinava il trasferimento delle competenze alle Regioni.
Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 ottobre 2000 (Individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ed agli enti locali per l'esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di demanio idrico), adottato ai sensi dell'art. 7 della legge n. 59 del 1997, si è infine provveduto a dare definitiva attuazione al disegno prefigurato dal legislatore del 1997, prevedendosi il trasferimento alle Regioni, a decorrere dal 1° gennaio 2001, del personale, dei mezzi strumentali e di tutti gli atti relativi agli affari pendenti in materia di derivazioni di acque pubbliche.
Infine, con l'entrata in vigore delle modifiche del Titolo V della Parte II della Costituzione alle Regioni ordinarie è stata attribuita una competenza legislativa concorrente in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia» (cfr. C. cost. sent. n. 1/2008).
[5] Il regio decreto n. 1775/1933 ha disposto, all’articolo 25, primo comma, che al termine dell'utenza e nei casi di decadenza o rinuncia, nelle grandi derivazioni per forza motrice, passassero in proprietà dello Stato, senza compenso, tutte le opere cd. “bagnate” di raccolta, di regolazione e di derivazione, principali e accessorie, i canali adduttori dell'acqua, le condotte forzate ed i canali di scarico, il tutto in stato di regolare funzionamento.
Il secondo comma dell’articolo 25 ha altresì disposto che lo Stato avesse anche facoltà di immettersi nell'immediato possesso delle cd. “opere asciutte”: ogni altro edificio, macchinario, impianto di utilizzazione, di trasformazione e di distribuzione inerente alla concessione, corrispondendo agli aventi diritto un prezzo uguale al valore di stima del materiale in opera, calcolato al momento dell'immissione in possesso, astraendo da qualsiasi valutazione del reddito da esso ricavabile. In mancanza di accordo la controversia è deferita ad un collegio arbitrale costituito di tre membri, di cui uno di nomina ministeriale, uno dall'interessato, il terzo d'accordo tra le parti, o in mancanza di accordo, dal presidente del Tribunale delle acque.
[6] D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, in L. n. 27/2020. Il comma 1 dell’articolo 125-bis del decreto-legge ha disposto, in relazione allo stato d'emergenza dichiarato a seguito della diffusione epidemiologica da COVID-19, che il termine del 31 marzo 2020, previsto dall'articolo 12, comma 1-ter, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, per l'emanazione da parte delle regioni della disciplina sulle modalità e le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico, è prorogato al 31 ottobre 2020 e con esso gli effetti delle leggi approvate.
[7] Riferiti alla potenza di generazione e di producibilità da raggiungere nel complesso delle opere di derivazione, adduzione, regolazione e condotta dell'acqua e degli impianti di generazione, trasformazione e connessione elettrica.
[8] In coerenza con gli strumenti di pianificazione a scala di distretto idrografico in attuazione della direttiva 2000/60/CE.
[9] Determinato sulla base dei dati reperibili dagli atti contabili o mediante perizia asseverata.
[10] Il cui valore è determinato sulla base dei dati reperibili dagli atti contabili o mediante perizia asseverata.
[11] Circa la disciplina vigente in materia di servizi pubblici locali, si rinvia al quadro di sintesi in calce alla presente scheda di lettura.
[12] Si veda in proposito il Dossier dei Servizi studi di Senato e Camera n.339 "Testo unico dei servizi pubblici locali di interesse economico generale", giugno 2016.
[13] In proposito, il Consiglio di Stato, nel parere reso sul provvedimento in data 3 maggio 2016, ha asserito che lo stesso "si presenta come una base di normazione organica e stabile, in grado di rendere immediatamente intellegibile alle amministrazioni ed agli operatori del settore le regole applicabili in materia e di assicurare una gestione più efficiente dei servizi pubblici locali di interesse economico generale a vantaggio degli utenti del servizio, degli operatori economici e degli stessi enti locali. Le criticità da superare sono, infatti, quelle relative: a) alla non adeguata qualità del servizio reso in rapporto alle risorse pubbliche investite; b) alla presenza di ostacoli alla concorrenza; c) all’assenza di adeguati strumenti di regolazione; d) ad un tessuto normativo non sufficiente e disorganico; e) alla mancanza di congrui strumenti di tutela a favore degli utenti".
[14] Per approfondimenti si veda la Nota breve del Servizio studi del Senato "La sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2016 sulla legge n. 124 del 2015 di delega per la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche" n.140 del dicembre 2016.
[15] Convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. Si veda la scheda di approfondimento relativa alla disciplina dei servizi pubblici locali (v.infra).
[16] In tale articolo, rubricato "Soglie di rilevanza comunitaria e metodi di calcolo del valore stimato degli appalti" si individuano specifiche soglie di rilevanza comunitaria - peraltro periodicamente rideterminate con provvedimento della Commissione europea - distinte a seconda che si tratti di: i) appalti pubblici di lavori e concessioni; ii) appalti pubblici di forniture, di servizi, nonché concorsi pubblici di progettazione aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità governative centrali (indicate nell'allegato III); gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali; appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici elencati all'allegato IX alla medesima direttiva.
[17] Si tratta delle seguenti attività: a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi; b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016; c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all'articolo 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016, con un imprenditore (selezionato con le modalità di cui all'articolo 17, commi 1 e 2); d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento; e) servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici.
[18] Ai sensi di detta disposizione "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà".
[19] Tali richiami sono contenuti anche nella sent. n.131 del 2020, che si richiama a seguire. In tale decisione si stabilisce altresì la norma costituzionale individua "un ambito di organizzazione delle «libertà sociali» (sentenze n. 185 del 2018 e n. 300 del 2003) non riconducibile né allo Stato, né al mercato, ma a quelle «forme di solidarietà» che, in quanto espressive di una relazione di reciprocità, devono essere ricomprese «tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza n. 309 del 2013)".
[20] Per approfondimenti si rinvia alla nota breve a cura del Servizio studi del Senato "La sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2016 sulla legge n. 124 del 2015 di delega per la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche", dicembre 2016.
[21] Ai sensi di tale disposizione, si impone che gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del decreto non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea siano adeguati entro il 31 dicembre 2013. Per gli affidamenti in cui non è prevista una data di scadenza, gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento, prescrivendo, comunque, che il mancato adempimento degli obblighi previsti determina la cessazione dell'affidamento alla data del 31 dicembre 2013. In deroga a quanto previsto dalla disposizione originaria, nel corso della XVII legislatura è stata disposta la proroga della durata degli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del D.L. n. 179/2012 (18 ottobre 2012) fino al subentro del nuovo gestore e comunque non oltre il 31 dicembre 2014 (art. 13, co. 1, D.L. n. 150/2013, conv. dalla L. n. 15/2014). Inoltre, si è stabilito che la mancata deliberazione dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014 comporta l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Prefetto competente per territorio, le cui spese sono a carico dell'ente inadempiente, che provvede agli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014. Il mancato rispetto del termine comporta la cessazione degli affidamenti non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea alla data del 31 dicembre 2014.
[22] Tra i più recenti, v. lo studio di Mediobanca sugli Indicatori di efficienza e qualità delle local utilities operanti nei 10 maggiori comuni italiani (2019).
Con decreto del Ministro pro tempore Paola De Micheli in data 4 gennaio 2021, è stata poi istituita una commissione di studio per il TPL (presieduta dal prof. Bernardo Mattarella) che ha terminato i suoi lavori nel mese di settembre 2021. La Relazione finale è stata quindi trasmessa dall’attuale Ministro, Enrico Giovannini, alle Camere.
Elementi sulla tematica generale dei rapporti tra impresa, mercato unico europeo e diritto alla mobilità emergono anche a proposito della continuità territoriale delle isole maggiori. Al riguardo, la nozione di “onere di servizio pubblico” propone quesiti sostanzialmente analoghi a quelli del TPL: sul punto, v. il contenuto dell’audizione del presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar di Sardegna, Massimo Deiana, alla Commissione Trasporti della Camera, il 14 novembre 2021 (v. minuti da 30 in poi).
[23] Si ricorda, per esempio, che per il comune di Roma (consiliatura 2016-2021) si è svolto un referendum consultivo - ai sensi dell’articolo 8 del tuel e dell’articolo 10 dello statuto del comune di Roma (Roma Capitale) - sulla messa a gara pubblica del servizio di trasporto pubblico (c.d. privatizzazione dell’ATAC). La consultazione si è tenuta l’11 novembre 2018 ma non è stata ritenuta valida, poiché vi ha partecipato solo il 16,4 per cento degli aventi diritto (inferiore al 33 per cento richiesto dal citato articolo 10 dello statuto, al comma 2, secondo periodo). Successivamente, Roma Capitale ha riassegnato, con affidamento diretto, il servizio all’ATAC e il TAR Lazio (RM), sez. II, 3 febbraio 2020, n. 1408, ha dichiarato inammissibile il ricorso del comitato promotore del referendum – volto a impugnare tale affidamento diretto - in ragione della sopravvenuta carenza di legittimazione attiva (proprio in virtù dell’esaurimento della procedura referendaria).
[24] Nel testo del Codice dell'ambiente (D.lgs. 152/2006) previgente alle modifiche operate dal d.lgs. 116/2020, erano considerati rifiuti urbani non solo quelli domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione, ma anche “i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità…”. Nel medesimo testo previgente, il comma 10 dell’art. 238 si limitava a disporre che “alla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi”.
Il nuovo testo del Codice, come modificato dal d.lgs. 116/2020, prevede che tra i rifiuti urbani rientrano “i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell'allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell'allegato L-quinquies” (art. 183, comma 1, lettera b-ter), punto 2)).
In virtù di tale ridefinizione, il nuovo testo del comma 10 dell’art. 238 (come riscritto dall’art. 3, comma 12, del d.lgs. 116/2020) dispone, tra l’altro, che le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani di cui all'articolo 183 comma 1, lettera b-ter) punto 2 (cioè, nei fatti, in via approssimativa, quelli che nel testo previgente del Codice erano indicati come rifiuti assimilati) che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico e dimostrano di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti.
[25] Si ricorda che l’art. 30, comma 5, del D.L. 41/2021 dispone che la scelta delle utenze non domestiche di cui all'articolo 238, comma 10, del Codice, deve essere comunicata al comune, o al gestore del servizio rifiuti in caso di tariffa corrispettiva, entro il 30 giugno di ciascun anno, con effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo. Solo per l'anno 2021 la scelta deve essere comunicata entro il 31 maggio con effetto dal 1° gennaio 2022.
[26] Novella relativa all’articolo 8-quater del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni.
[27] La norma in esame richiama infatti l'articolo 8, comma 6, della L. 5 giugno 2003, n. 131; tale comma esclude l'applicazione della procedura sostitutiva prevista dall'articolo 3, commi 3 e 4, del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281.
[28] Tale norma è posta, nel testo vigente, dal comma 7 del citato articolo 8-quater del D.Lgs. n. 502; la norma specifica che l'eventuale verifica negativa comporta la sospensione automatica dell'accreditamento temporaneamente concesso.
[29] Novella relativa all’articolo 8-quinquies del citato D.Lgs. n. 502, e successive modificazioni.
[30] Viene richiamato l'articolo 12 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, e successive modificazioni; con riferimento alle modalità, viene richiamato specificamente il comma 7 del suddetto articolo 12, e successive modificazioni; si ricorda che il regolamento in materia di fascicolo sanitario elettronico è posto dal D.P.C.M. 29 settembre 2015, n. 178.
[31] Novella relativa all’articolo 8-octies del citato D.Lgs. n. 502 del 1992, e successive modificazioni. La novella fa salve le disposizioni in materia di controlli di cui ai commi 2 e 3 del medesimo articolo 8-octies, e successive modificazioni.
[32] Si ricorda che, in base alla norma richiamata (di cui al comma 1 del citato articolo 12 del D.L. n. 179 del 2012, e successive modificazioni), ogni prestazione sanitaria, erogata da operatori pubblici, privati accreditati e privati autorizzati, deve essere inserita, entro cinque giorni dalla prestazione medesima, nel fascicolo sanitario elettronico.
[33] Riguardo alla terminologia relativa agli accordi, cfr. infra (nella parte finale della scheda relativa alla lettera b) del presente comma 1).
[34] Tale novella concerne il citato articolo 8-quinquies del D.Lgs. n. 502.
[35] Ai sensi del comma 2-quinquies del citato articolo 8-quinquies del D.Lgs. n. 502.
[36] Si ricorda che l’accreditamento istituzionale è subordinato, a sua volta, al rilascio dell’autorizzazione, la quale concerne la realizzazione di strutture e l'esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie (il regime di autorizzazione è disciplinato dall’articolo 8-ter del citato D.Lgs. n. 502, e successive modificazioni).
[37] Le nuove prestazioni vengono inserite nell'ambito della categoria delle prestazioni aggiuntive, non comprese nei livelli essenziali di assistenza. Riguardo a tale categoria, cfr. il suddetto box.
[38] Tale novella concerne l’articolo 41, comma 6, del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, e successive modificazioni.
[39] Il citato articolo 41, comma 6, del D.Lgs. n. 33 del 2013 fa infatti riferimento ai soggetti summenzionati che eroghino prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale; tale locuzione equivale alla fattispecie suddetta di erogazione di prestazioni con accreditamento istituzionale (cfr. l’articolo 8-bis, comma 3, del citato D.Lgs. n. 502).
[40] Segnalazione concernente varie questioni, "al fine della predisposizione del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza".
[41] Riguardo a tale fase procedurale, cfr. il comma 3 del citato articolo 8-ter del D.Lgs. n. 502.
[42] La novella è relativa all’articolo 105 del D.Lgs. 24 aprile 2006, n. 219, e successive modificazioni.
[43] Riguardo alla nozione di medicinale generico, cfr. l’articolo 10 del citato D.Lgs. n. 219 del 2006.
[44] Regime di cui all’articolo 18 del citato D.Lgs. n. 219 del 2006.
[45] Riguardo al profilo territoriale della suddetta autorizzazione, cfr. l’articolo 100, comma 1, e l’articolo 102 del citato D.Lgs. n. 219, e successive modificazioni.
[46] Riguardo alla nozione di autorità competente per il rilascio dell’autorizzazione suddetta, cfr. il citato articolo 100, comma 1, del D.Lgs. n. 219.
[47] Ai sensi del comma 1, alinea e lettera a), del citato articolo 105 del D.Lgs. n. 219, e successive modificazioni.
[48] Segnalazione concernente varie questioni, "al fine della predisposizione del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza".
[49] Di cui all’articolo 11, comma 1-bis, del D.L. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 novembre 2012, n. 189.
[50] Segnalazione concernente varie questioni, "al fine della predisposizione del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza".
[51] L’articolo 18 in esame novella parzialmente l’articolo 12 del D.L. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, e successive modificazioni.
[52] La norma fa riferimento alla nozione di farmaci orfani di cui al regolamento (UE) n. 141/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1999. Si ricorda che i criteri posti da tale nozione (di cui all’articolo 3, paragrafo 1, del suddetto regolamento europeo) sono esplicitamente mutuati da parte dell’articolo 3 della L. 10 novembre 2021, n. 175.
[53] L’Anatomical Therapeutic Chemical Classification System (ATC), tradotto in italiano come Sistema di classificazione Anatomico Terapeutico e Chimico, è il sistema di codifica utilizzato per la classificazione sistematica dei farmaci ed è curato dal Centro Collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità WHO Collaborating Centre for Drug Statistics Methodology. La versione italiana è curata dal DURG?Italia - centro di riferimento per il sistema ATC/DDD -, un’associazione scientifica che è affiliata all’European Drug Utilization Research Group (EURO DURG) e che dal 1995 cura un archivio dei farmaci in commercio in Italia con ATC e DDD (Defined Daily Dose).
[54] Le relazioni suddette sono reperibili nell’A.S. n. 2469.
[55] Segnalazione concernente varie questioni, "al fine della predisposizione del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza".
[56] Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati.
[57] Il programma di autosufficienza nazionale del sangue e dei suoi derivati è stato adottato, per l'anno 2008, con D.M. 11 aprile 2008, per l'anno 2009, con D.M. 17 novembre 2009 per l'anno 2010, con D.M. 20 gennaio 2011 per l'anno 2011, con D.M. 7 ottobre 2011 per l'anno 2012, con D.M. 4 settembre 2012 per l'anno 2013, con D.M. 29 ottobre 2013 per l'anno 2014, con D.M. 24 settembre 2014 per l'anno 2015, con D.M. 20 maggio 2015 per l'anno 2016, con D.M. 28 giugno 2016 per l'anno 2017, con D.M. 20 luglio 2017 per l'anno 2018, con D.M. 8 agosto 2018 per l'anno 2019, con D.M. 31 luglio 2019 per l'anno 2020, con D.M. 24 luglio 2020 e, per l'anno 2021, con D.M. 27 luglio 2021.
[58] Decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, “Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano”.
[59] DM 12 aprile 2012. Modalità transitorie per l'immissione in commercio dei medicinali emoderivati prodotti dal plasma umano raccolto sul territorio nazionale.
[60] La novella in esame concerne l’articolo 15 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni.
[61] Cfr. l’articolo 15-quinquies, comma 6, del citato D.Lgs. n. 502 del 1992.
[62] Per il conferimento degli incarichi di direttore di dipartimento, cfr. l’articolo 17-bis del citato D.Lgs. n. 502 del 1992, nonché, per il dipartimento di prevenzione, l’articolo 7-quater, comma 1, dello stesso D.Lgs. n. 502, e successive modificazioni.
[63] Si ricorda, più in particolare, che il citato articolo 19, comma 2, del D.Lgs. n. 502 richiama, al fine suddetto, alcune disposizioni del medesimo D.Lgs., tra cui quelle poste dall'articolo 15, il quale è oggetto della presente novella.
[64] Come detto, la novella specifica che i criteri di attribuzione del punteggio devono essere stabiliti preventivamente.
[65] Cfr. il comma 7-ter del citato articolo 15 del D.Lgs. n. 502 del 1992.
[66] Riguardo al requisito in oggetto e ai relativi corsi degli enti territoriali, cfr. l’articolo 1, comma 4, lettera c), del D.Lgs. 4 agosto 2016, n. 171. Cfr. anche la parte successiva della presente scheda, anche in nota.
[67] La conclusione di tale accordo è prevista dalla citata lettera c) dell'articolo 1, comma 4, del D.Lgs. n. 171 del 2016. In attuazione di quest'ultima, l'accordo sulla disciplina dei corsi in oggetto degli enti territoriali è stato concluso il 16 maggio 2019 nella suddetta sede di Conferenza permanente.
[68] Riguardo all'obbligo in oggetto e ai relativi corsi, cfr. l'articolo 15, comma 8, e l’articolo 16-quinquies del citato D.Lgs. n. 502 del 1992, e successive modificazioni, e l'accordo concluso in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome il 10 luglio 2003.
[69] A quest'ultimo riguardo, cfr. supra, in nota.
[70] La riforma è finalizzata a
i) omogeneizzare le procedure autorizzative su tutto il territorio nazionale e semplificazione in continuità con quanto previsto dal Decreto Semplificazioni;
ii) semplificare le procedure per la realizzazione di impianti di generazione di energia rinnovabile off-shore e completamento del meccanismo di sostegno FER anche per tecnologie non mature e l'estensione del periodo di svolgimento dell'asta (anche per tenere conto del rallentamento causato dal periodo di emergenza sanitaria), mantenendo i principi dell'accesso competitivo;
iii) semplificare delle procedure di impatto ambientale;
iv) condividere a livello regionale di un piano di identificazione e sviluppo di aree adatte a fonti rinnovabili di potenza complessiva almeno pari a quello individuato dal PNIEC, per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili;
v) potenziare gli investimenti privati;
vi) incentivare lo sviluppo di meccanismi di accumulo di energia, con agevolazioni normative per gli investimenti nei sistemi di stoccaggio;
vii) incentivare gli investimenti pubblico-privati nel settore.
L’amministrazione titolare è il MITE.
Traguardo: T2 2024 Entrata in vigore di un quadro giuridico per la semplificazione delle procedure di autorizzazione a costruire strutture per le energie rinnovabili onshore e offshore.
[71] Il decreto legislativo n. 199/2021 prevede all’articolo 20, la delimitazione delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili. Ai fini della delimitazione:
§ con decreto interministeriale (decreto del Ministro della transizione ecologica di concerto con il Ministro della cultura, e il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, previa intesa in sede di Conferenza unificata), da adottare entro il 13 giugno 2022, sono fissati i principi e criteri generali, e la ripartizione della potenza installata tra regioni e province autonome (comma 1 e 2). Il decreto non è stato ancora adottato.
§ Entro i successivi 180 giorni dall’entrata in vigore dei decreti ministeriali attuativi, le Regioni dovranno individuare, con propria legge, le aree idonee. Nel caso di mancata adozione della legge, interviene lo Stato, in via sostitutiva (comma 4).
Nelle more dell'individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e delle modalità stabiliti con decreto ministeriale, il legislatore ha provveduto ad indicare una serie di aree come idonee ope legis (comma 8). Questa tipologia di aree, entro la quale la costruzione degli impianti usufruisce già delle tempistiche ridotte previste dall’art. 22 del decreto legislativo n. 199/2021, è stata considerevolmente estesa dai recenti interventi normativi.
[72] I regimi amministrativi generali per la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica a fonti rinnovabili previsti dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 28/2011- come sostituito dall’articolo 18 del decreto legislativo n. 199/2021, sono i seguenti:
a) comunicazione al comune per le attività in edilizia libera –CAEL, di cui all’art. 6, co.11, decreto legislativo n. 28/2011;
b) dichiarazione di inizio lavori asseverata – DILA, di cui all’art. 6-bis, decreto legislativo n. 28/2011). Il proprietario dell'immobile o chi abbia la disponibilità degli immobili interessati dall'impianto e dalle opere connesse presenta al comune, in formato cartaceo o in via telematica, una dichiarazione accompagnata da una relazione sottoscritta da un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che attesti il rispetto delle norme di sicurezza, antisismiche e igienico-sanitarie. La DILA si applica, come si dirà infra, alle casistiche indicate nell’art. 6-bis
c) procedura abilitativa semplificata –PAS, di cui all’art. 6 decreto legislativo n. 28/2011) (corrisponde alla SCIA). Il proprietario dell'immobile o chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati dall'impianto e dalle opere connesse presenta al comune, mediante mezzo cartaceo o in via telematica, almeno trenta giorni prima dell'effettivo inizio dei lavori, una dichiarazione accompagnata da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e dagli opportuni elaborati progettuali, che attesti la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e la non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie. Per la PAS vale il meccanismo del silenzio assenso: trascorso il termine di 30 giorni dalla presentazione della PAS, senza riscontri o notifiche da parte del comune, è possibile iniziare i lavori.
d) autorizzazione unica –AU, di cui all’art. 5, decreto legislativo n. 28/2011. La costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi, nonché le modifiche sostanziali degli impianti stessi, sono soggetti all'autorizzazione unica, se superiori a date soglie di potenza individuate dal legislatore (cfr. art. 12 e Tabella A del decreto legislativo 387/2003). L’autorizzazione unica è rilasciata dalla regione o dalle province delegate dalla regione, ovvero, per impianti con potenza termica installata pari o superiore ai 300 MW, dal Ministero della transizione ecologica.
Al di sotto delle soglie di cui alla Tabella A gli impianti rientrano nel campo di applicazione della Procedura Autorizzativa Semplificata (PAS), della comunicazione al comune, a seconda della tecnologia, della taglia e della potenza. Le Regioni hanno la facoltà di ampliare il campo di applicazione della PAS ad impianti di potenza fino a 1.000 kW (quindi 1 MW).
La normativa vigente prevede poi anche talune eccezioni legate alla localizzazione degli impianti in questione.
[73] Restano comunque fermi gli obblighi di trasparenza già previsti in capo alla P.A. dal D.lgs. n. 33 del 2013.
[74] Cit. Considerando n. 43 della direttiva 2006/123/CE.
[75] Ciò significa, in particolare, che l'imposizione di un'autorizzazione preventiva è ammissibile soltanto nei casi in cui un controllo a posteriori non sarebbe efficace a causa dell'impossibilità di constatare a posteriori le carenze dei servizi interessati, tenuto conto dei rischi e dei pericoli che potrebbero risultare dall'assenza di tale controllo a priori. Cit. Considerando n. 54 della direttiva 2006/123/CE.
[76] Cit. Considerando n. 43 della direttiva 2006/123/CE.
[77] La direttiva servizi ha ricevuto altresì attuazione (la formulazione testuale della norma reca “adempimento”) con l’articolo 38 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008, il quale, sotto la rubrica “impresa in un giorno” ha attribuito al Governo il potere di procedere, per via regolamentare, anche attraverso interventi di delegificazione alla semplificazione e al riordino della disciplina dello sportello unico per le attività produttive (SUAP), già istituito e normato dal D.P.R. n. 447/1998. In attuazione dell’articolo 38 del decreto-legge n. 112/2008, nonché dell’articolo 25 del citato decreto legislativo n. 59/2010 e del citato decreto legislativo n. 235/2010, è stato emanato il D.P.R. 7 settembre 2010 n. 160, recante il “Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive”.
La disciplina in questione è stata poi oggetto di modifiche ed integrazioni, sempre nell’ottica di introdurre ulteriori semplificazioni per le imprese, con i decreti legislativi attuativi della Legge cd. “Madia” (legge n. 124/2015).
[78] La definizione è utilizzata nel parere reso dal Consiglio di Stato (parere n. 1784/2016 del 04/08/2016) sullo schema di decreto legislativo cd. “Scia 2” (adottato poi con decreto legislativo n. 222/2016).
[79] Un'amministrazione pubblica efficiente e una regolazione semplice e trasparente costituiscono una pre-condizione essenziale per lo sviluppo competitivo dell'economia italiana in termini d'innovazione e di crescita. Ciò è stato ribadito più volte dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, da ultimo nella Segnalazione di marzo 2021, unitamente alla necessità di ridurre gli oneri burocratici che rappresentano un significativo ostacolo all'attività di impresa e creano barriere all'apertura dei mercati.
[80] cfr. anche Esame Approfondito (IDR) per l'Italia sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici, pubblicato dalla Commissione UE il 2 giugno 2021a norma dell'articolo 5 del regolamento (UE) n. 1176/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio.
[81] Il PNRR italiano è stato approvato con Decisione di esecuzione del Consiglio, che ha recepito la proposta della Commissione europea. Si rinvia al relativo tema dell’attività parlamentare.
[82] Si rammenta a questo proposito che il decreto legislativo 5 novembre 2016, n. 222 (cd. SCIA 2), in esecuzione della delega contenuta nell’articolo 5 della L. n. 124/2015, ha provveduto alla “mappatura” e alla individuazione delle attività oggetto di procedimento di mera comunicazione o segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso (articolo 1) e ha introdotto le conseguenti disposizioni normative di coordinamento.
In particolare, il decreto riporta nella tabella A allegata la ricognizione delle attività e dei procedimenti nei settori del commercio e delle attività assimilabili, dell'edilizia e dell'ambiente (per un totale di 246 attività). Per ciascun procedimento o attività, la tabella indica il regime amministrativo applicabile (autorizzazione, silenzio assenso, SCIA, SCIA unica, SCIA condizionata, comunicazione) l'eventuale concentrazione dei regimi e i riferimenti normativi (articolo 2).
[83] In relazione a: 1) attività esercitata; 2) cessazione attività; 3) modifica denominazione impresa individuale; 4) modifica ragione sociale; 5) riattivazione attività; 6) sospensione attività; 7) modifica della sede legale; 8) modifica della sede operativa; g) domanda di iscrizione, variazione e cessazione di impresa agricola ai fini INPS; h) domanda di iscrizione, variazione e cessazione di impresa artigiana nell'albo delle imprese artigiane.
[84] I valori sono incrementati ogni anno di un ammontare equivalente all'aumento dell'indice del deflatore dei prezzi del prodotto interno lordo (articolo 16, comma 1).
[85] Le modifiche al calcolo del fatturato rilevante ai fini dell’obbligo di operazioni di concentrazione da parte di banche ed istituti finanziari, hanno trovato la loro ragion d’essere nella considerazione, in sede europea, che tale variabile non rappresenta correttamente la dimensione delle imprese coinvolte.
[86] La Corte di Giustizia, con sentenza del 21 febbraio1973 (causa 6/72, caso “Continental Can”) ha affermato che le concentrazioni che rafforzano una preesistente posizione dominante sono coperte dal disposto dell'art.86 (ora102 TFUE). Tra le righe, si afferma come la Commissione europea (parte convenuta) fosse d'accordo nel ritenere che l'art. 86 del trattato non offrisse il fondamento necessario per intervenire con efficacia en in anticipo in un processo di concentrazione.
La Corte di Giustizia, nella sentenza del 17 novembre1987 (cause 142 e 156/84, Caso “Philip Morris”) ha affermato che : “l’acquisizione di una partecipazione al capitale di un concorrente, sebbene non costituisca di per se un comportamento restrittivo della concorrenza, può peraltro costituire un mezzo idoneo per influire sul comportamento commerciale delle imprese in questione, in modo da restringere o falsare la concorrenza sul mercato in cui operano dette imprese. Ciò avverrebbe in particolare se, mediante l'acquisto della partecipazione o mediante clausole accessorie dell'accordo, l'impresa che investe ottiene il controllo di diritto o di fatto del comportamento commerciale dell'altra impresa o se l'accordo contempla la collaborazione commerciale fra le imprese o crea strutture atte ad agevolare tale collaborazione”. La Corte ha dunque ammesso l’applicabilità dell’art.85 (ora 101 TFUE) per sanzionare forme di concentrazioni tra imprese.
[87] Cfr, Corte di Giustizia, sentenza del 21 febbraio1973 cit. nota precedente.
[88] Il nuovo test rappresenterebbe, secondo alcuni commenti dottrinali, un compromesso tra il test utilizzato nel sistema statunitense (SLC), imperniato sulla riduzione sostanziale della concorrenza, e il test di dominanza.
[89] Se l'infrazione commessa da un'associazione di imprese riguarda le attività dei suoi membri, la sanzione amministrativa pecuniaria è fino al 10 per cento della somma dei fatturati totali a livello mondiale realizzati nell'ultimo esercizio chiuso prima della diffida di ciascun membro operante sul mercato interessato dall'infrazione. Tuttavia, la responsabilità finanziaria di ciascuna impresa non può superare il 10 per cento del fatturato da essa realizzato nell'ultimo esercizio chiuso prima della diffida. Quando l'associazione non è solvibile, essa è tenuta a richiedere ai propri membri contributi a concorrenza dell'importo della sanzione. Se i contributi non sono stati versati integralmente all'associazione di imprese entro il termine fissato, l'Autorità può esigere il pagamento della sanzione direttamente da qualsiasi impresa i cui rappresentanti erano membri degli organi decisionali dell'associazione quando quest'ultima ha assunto la decisione che ha costituito l'infrazione.
Se necessario per garantire il pagamento integrale della sanzione, dopo aver richiesto il pagamento a queste imprese, l'Autorità può anche esigere il pagamento dell'importo della sanzione ancora dovuto da qualsiasi membro dell'associazione che operava sul mercato nel quale si è verificata l'infrazione. Tuttavia, il pagamento non si può chiedere alle imprese che dimostrano che non hanno attuato la decisione dell'associazione che ha costituito l'infrazione e che o non ne erano a conoscenza, o si sono attivamente dissociate prima dell'inizio dell'indagine (comma 1-bis e 1-ter).
[90] Si rinvia a Delibera AGCM 22 ottobre 2014, n.25152 - Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90. Circa i minimi edittali fissati dall’AGCM, cfr. sentenza C. Cost. sentenza 28 luglio 2020, n. 171.
[91] Si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2016. In altra decisione (la n.191 del 2017) la Corte afferma che occorre "verificare, con riguardo alle singole disposizioni impugnate, se esse si rivolgano espressamente anche agli enti dotati di autonomia speciale, con l’effetto di neutralizzare la portata della clausola generale". Sul tema si vedano altresì le sentenze nn.154 e 231 del 2017.