Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Attività Produttive
Titolo: Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021
Serie: Progetti di legge   Numero: 527
Data: 11/01/2022
Organi della Camera: X Attività produttive

 

Servizio Studi

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Dossier n. 490

 

 

 

 

 

 

 

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Progetti di legge n. 527

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I N D I C E

 

 

Schede di lettura. 5

Articolo 1 (Finalità) 7

Articolo 2 (Delega per la mappatura e la trasparenza dei regimi concessori di beni pubblici) 11

Articolo 3 (Concessione delle aree demaniali portuali) 14

Articolo 4 (Concessioni di distribuzione del gas naturale) 21

Articolo 5 (Disposizioni in materia di concessioni di grande derivazione idroelettrica) 30

Articolo 6 (Delega in materia di servizi pubblici locali) 35

Articolo 7 (Disposizioni in materia di trasporto pubblico locale) 62

Articolo 8 (Delega al Governo in materia di trasporto pubblico non di linea) 66

Articolo 9 (Procedure alternative di risoluzione delle controversie tra operatori economici che gestiscono reti, infrastrutture e servizi di trasporto e utenti e consumatori) 69

Articolo 10 (Modifica della disciplina dei controlli sulle società partecipate) 70

Articolo 11 (Colonnine di ricarica) 73

Articolo 12 (Servizi di gestione dei rifiuti) 75

Articolo 13 (Revisione e trasparenza dell’accreditamento e del convenzionamento delle strutture e dei soggetti privati) 78

Articolo 14 (Obblighi di detenzione di medicinali a carico dei grossisti) 81

Articolo 15 (Rimborsabilità di farmaci equivalenti) 83

Articolo 16 (Medicinali in attesa di definizione del prezzo) 84

Articolo 17 (Revisione del sistema di produzione dei medicinali emoderivati da plasma italiano) 86

Articolo 18 (Conferimento degli incarichi di direzione di strutture complesse) 97

Articolo 19 (Procedure per la realizzazione di infrastrutture di nuova generazione) 100

Articolo 20 (Interventi di realizzazione delle reti in fibra ottica) 101

Articolo 21 (Blocco e attivazione dei servizi premium e acquisizione della prova del consenso) 102

Articolo 22 (Norme in materia di servizi postali) 103

Articolo 23 (Deleghe al Governo per la revisione dei procedimenti amministrativi in funzione pro-concorrenziale) 104

Articolo 24 (Delega in materia di semplificazione dei controlli sulle attività economiche) 114

Articolo 25 (Abbreviazione dei termini della comunicazione unica per la nascita dell’impresa) 121

Articolo 26 (Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/1020 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, e per la semplificazione e il riordino del relativo sistema di vigilanza del mercato) 123

Articolo 27 (Modifica alla disciplina del risarcimento diretto per la responsabilità civile auto) 134

Articolo 28 (Concentrazioni) 136

Articolo 29 (Rafforzamento del contrasto all’abuso di dipendenza economica) 156

Articolo 30 (Procedura di transazione) 159

Articolo 31 (Poteri istruttori dell’AGCM) 163

Articolo 32 (Procedure di selezione dei presidenti e dei componenti delle Autorità amministrative indipendenti) 166

 


Schede di lettura


Articolo 1
(Finalità)

 

 

L’articolo 1 illustra le finalità della legge, volta a promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche al fine di garantire l’accesso ai mercati di imprese di minori dimensioni, nonché di contribuire al rafforzamento della giustizia sociale, di migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici e di potenziare la tutela dell’ambiente, il diritto alla salute dei cittadini e la tutela dei consumatori.

 

L’articolo 1 illustra le finalità della legge, richiamando l’articolo 117, comma 2, lettera e), della Costituzione, che attribuisce la competenza in materia di tutela della concorrenza allo Stato, e l’articolo 47 della legge 23 luglio 2009, n. 99, che prevede l’adozione annuale della legge sulla concorrenza.

 

Le disposizioni della legge annuale 2021 sono, in particolare, finalizzate, a:

a)     promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche al fine di garantire l’accesso ai mercati di imprese di minori dimensioni, tenendo in adeguata considerazione gli obiettivi di politica sociale connessi alla tutela dell’occupazione, nel quadro dei principi dell’Unione europea, nonché di contribuire al rafforzamento della giustizia sociale, di migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici e di potenziare la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute dei cittadini;

b)    rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati;

c)     garantire la tutela dei consumatori.

 

Il PNRR, per la cui illustrazione si fa rinvio al relativo tema, considera la tutela e la promozione della concorrenza – principi-cardine dell’ordinamento dell’Unione europea – come fattori essenziali per favorire l’efficienza e la crescita economica e per garantire la ripresa dopo la pandemia, nonché una maggiore giustizia sociale.

“La concorrenza”, prosegue il documento, “è idonea ad abbassare i prezzi e ad aumentare la qualità dei beni e dei servizi: quando interviene in mercati come quelli dei farmaci o dei trasporti pubblici, i suoi effetti sono idonei a favorire una più consistente eguaglianza sostanziale e una più solida coesione sociale”.

Il PNRR pone come traguardo l’entrata in vigore della legge annuale sulla concorrenza 2021 per la fine del 2022.

 

Nonostante sia prevista dal 2009, come già detto, la legge annuale per il mercato e la concorrenza è stata in realtà adottata solo nel 2017 (legge n. 124/2017).

Nel PNRR, il Governo ha assunto l’impegno di realizzare la cadenza annuale, essendo tale legge “essenziale per rivedere in via continuativa lo stato della legislazione al fine di verificare se permangano vincoli normativi al gioco competitivo e all’efficiente funzionamento dei mercati, tenendo conto del quadro socioeconomico. Una prima serie di misure in materia concorrenziale sarà prevista dalla legge per il mercato e la concorrenza per il 2021, mentre altre verranno considerate nelle leggi annuali per gli anni successivi”.

Del resto, è proprio la ricordata legge 23 luglio 2009, n. 99 (art. 47) a declinare la finalità della legge annuale per il mercato e la concorrenza, che viene adottata al fine “di rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori”.

In base al cronoprogramma

 

La relazione illustrativa rammenta che “la tutela e la promozione della concorrenza trovano il loro presidio nei Trattati europei e nella Commissione europea come autorità antitrust e, a livello nazionale, nella legge generale per la tutela della concorrenza e del mercato del 1990 (legge 10 ottobre 1990, n. 287) e nell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (“AGCM”) chiamata ad attuarla”.

 

Proprio la appena citata Autorità il 22 marzo 2021 ha inviato al Governo la Segnalazione Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2021”, che – come riporta la relazione illustrativa - ha costituito un “essenziale punto di riferimento per il presente disegno di legge: buona parte delle proposte dell’AGCM sono state recepite, con modifiche; altre troveranno spazio in differenti norme, come quelle attuative di importanti direttive europee in materia di disciplina delle comunicazioni elettroniche, di energie verdi o di procedure antitrust riguardanti intese restrittive e abusi di posizione dominante”.

 

Quest’ultimo riferimento va probabilmente ricondotto a due temi che sembravano dovessero essere compresi nel disegno di legge, vale a dire il tema delle concessioni demaniali su aree marittime e quelle delle concessioni per il posteggio ai fini del commercio su aree pubbliche (o ambulante). Entrambi questi temi erano compresi nella ricordata Segnalazione dell’Autorità della concorrenza e del mercato e sono quindi rinviati ad altro provvedimento.

Per quanto riguarda le concessioni demaniali è prevista una delega per procedere ad una mappatura delle concessioni (articolo 2, alla cui scheda si fa rinvio), mentre il tema del commercio ambulante resta fuori dal disegno di legge presentato.

 

Nella seguente tabella sono riportati i temi annunciati nel PNRR per la legge annuale del 2021, con a fianco l’indicazione degli articoli del disegno di legge presentato che affrontano il tema:

 

 

Sviluppo delle reti di telecomunicazione nelle aree ancora prive di copertura;

Art. 19

Rilascio di concessioni per la gestione di porti;

Art. 3

Concessioni di grande derivazione idroelettrica (legge annuale 2021 ovvero altro provvedimento da adottare entro il 2022);

Art. 5

Gare in materia di concessioni di distribuzione del gas naturale;

Art. 4

Testo unico in materia di servizi pubblici, soprattutto locali, che assicuri – anche nel settore del trasporto pubblico locale – un ricorso più responsabile da parte delle amministrazioni al meccanismo dell’in house providing (legge annuale 2021 ovvero altro provvedimento da adottare entro il 2022);

Art.

Modalità e criteri più trasparenti nel sistema di accreditamento con riguardo all’erogazione dei servizi a livello regionale, in ambito sanitario

Art. 13

In relazione alla gestione dei rifiuti, rafforzare efficienza e dinamismo concorrenziale;

Art. 12

Adeguare la disciplina sul sistema di vigilanza e sulla conformità dei prodotti.

Art. 26

In materia di servizi pubblici locali, rafforzare la concorrenza nei contratti di servizio pubblico locale, in particolare per rifiuti e trasporti pubblici locali, anche rivedendo i meccanismi di incentivazione delle aggregazione tra comuni in ambiti ottimali)

Art. 6 e 12

 

 

Non risultano affrontati i seguenti temi:

 

·       potenziare il contrasto al potere economico di imprese operanti in più mercati, valorizzando il raccordo tra Commissione europea e autorità nazionale di concorrenza. Si tratta di una misura richiesta dall’AGCM nella citata Segnalazione di marzo, con la quale si propone di attribuire all'Autorità il potere di qualificare le imprese che operano in più mercati, con proprio provvedimento, come di primaria importanza per la concorrenza, utilizzando a tal fine una serie di indici. L'Autorità può vietare comportamenti particolarmente distorsivi all'impresa di primaria importanza, salvo che l'impresa non dimostri che la propria condotta sia oggettivamente giustificata. Una disciplina simile è stata introdotta nel 2021 in Germania.

·       rafforzare la diffusione delle energie rinnovabili. Su questo argomento va tuttavia ricordato il decreto legislativo 8 novembre 2021 n. 199, di recepimento Direttiva 2018/2001/UE (cd. RED II) sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili. Il Titolo II del Decreto (art. 4-17), introduce una generale ridefinizione della disciplina dei regimi di sostegno delle fonti di energia rinnovabile e in tal senso costituisce avvio dell'attuazione della Riforma M2C2-R.1. relativa alla "Semplificazione delle procedure di autorizzazione per gli impianti rinnovabili onshore e offshore, nuovo quadro giuridico per sostenere la produzione da fonti rinnovabili e proroga dei tempi e dell'ammissibilità degli attuali regimi di sostegno".

 

 

Occorre far presente che il disegno di legge in esame è stato qualificato come "collegato" alla manovra di finanza pubblica 2022-2024 con la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2021 in base all'articolo 10-bis, comma 7, della legge di contabilità (legge n. 196 del 2009).

Nella seduta del 22 dicembre 2021, la Commissione Bilancio del Senato ha riconosciuto al disegno di legge in esame, composto di 32 articoli raccolti in nove capi, un contenuto “sostanzialmente corrispondente a quello indicato nella citata NADEF 2021”.

I capi in cui è articolato il disegno di legge sono le seguenti:

1.     Capo I - Finalità;

2.     Capo II - Rimozione di barriere all'entrata nei mercati. Regimi concessori;

3.     Capo III - Servizi pubblici locali e trasporti;

4.     Capo IV - Concorrenza, energia e sostenibilità ambientale;

5.     Capo V - Concorrenza e tutela della salute;

6.     Capo VI - Concorrenza, sviluppo delle infrastrutture digitali e servizi di comunicazione elettronica;

7.     Capo VII - Concorrenza, rimozione degli oneri per le imprese e parità di trattamento tra gli operatori;

8.     Capo VIII - Rafforzamento dei poteri di attività antitrust;

9.     Capo IX - Nomine nelle Autorità indipendenti.

 


Articolo 2
(Delega per la mappatura e la trasparenza dei regimi concessori di beni pubblici)

 

 

L’articolo 2, comma 1, delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sentita la Conferenza unificata, un decreto legislativo per la costituzione e il coordinamento di un sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici al fine di promuovere la massima pubblicità e trasparenza, anche in forma sintetica, dei principali dati e delle informazioni relativi a tutti i rapporti concessori, tenendo conto delle esigenze di difesa e sicurezza.

Il comma 2 elenca i seguenti principi e criteri direttivi:

a) definizione dell'ambito oggettivo della rilevazione, includendo tutti gli atti, i contratti e le convenzioni che comportano l'attribuzione a soggetti privati o pubblici dell'utilizzo in via esclusiva del bene pubblico;

b) identificazione dei destinatari degli obblighi di comunicazione continuativa dei dati, in tutte le amministrazioni pubbliche di cui al d.lgs. n. 165/2001 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) che abbiano la proprietà del bene ovvero la sua gestione;

 

L'art. 1, co. 2, del d.lgs. n. 165/2001 stabilisce che per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni del d.lgs. n. 165/2001 continuano ad applicarsi anche al CONI.

 

c) previsione della piena conoscibilità della durata, dei rinnovi in favore del medesimo concessionario, di una società dallo stesso controllata o ad esso collegata ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile, del canone, dei beneficiari, della natura della concessione, dell'ente proprietario e, se diverso, dell'ente gestore, nonché di ogni altro dato utile a verificare la proficuità dell'utilizzo economico del bene in una prospettiva di tutela e valorizzazione del bene stesso nell'interesse pubblico;

 

Per l’articolo 2359 del codice civile sono considerate società controllate: 1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa.

Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi.

Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati.

 

d) obbligo di trasmissione e gestione dei dati esclusivamente in modalità telematica;

e) standardizzazione della nomenclatura e delle altre modalità di identificazione delle categorie di beni oggetto di rilevazione per classi omogenee di beni, in relazione alle esigenze di analisi economica del fenomeno;

f) affidamento della gestione del sistema informativo al Ministero dell'economia e delle finanze;

g) previsione di adeguate forme di trasparenza dei dati relativi a rapporti concessori di cui alla lettera c), anche in modalità telematica, nel rispetto della normativa in materia di tutela dei dati personali;

h) coordinamento e interoperabilità con gli altri sistemi informativi e di trasparenza esistenti in materia di concessioni di beni pubblici.

 

Il comma 3 autorizza la spesa di 1 milione di euro per il 2022 e di 2 milioni di euro per il 2023 per la progettazione e la realizzazione del sistema informativo, nonché la spesa di 2 milioni di euro annui a decorrere dal 2024 per la sua gestione, la sua manutenzione e il suo sviluppo.

Il comma 4 dispone in ordine ai relativi oneri, ai quali si provvede, quanto a 1 milione di euro per il 2022, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2021-2023, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del MEF per il 2021, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero, e, quanto a 2 milioni di euro annui a decorrere dal 2023, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2021-2023, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del MEF per il 2021, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

 

 

 

Segnalazione 1730 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, inviata il 22 marzo 2021 (Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2021)

 

Il paragrafo "A. Riforma delle concessioni evitando il mantenimento dello status quo" contiene osservazioni di carattere generale in relazione alle concessioni di beni pubblici.

In tale paragrafo, si ricorda che l’Autorità ha già avuto modo, nel 2018, di segnalare le principali criticità concorrenziali riscontrate a seguito dell’utilizzo distorto dello strumento concessorio in molti mercati italiani, auspicandone un profondo ripensamento in relazione all’ampiezza, alla durata e alle modalità di subentro al concessionario presente.

In particolare, è stata sottolineata l’importanza del ricorso a modalità di affidamento competitive, soprattutto per le concessioni in scadenza o già scadute, evitando rinnovi automatici e proroghe ingiustificate; inoltre, è stato evidenziato come il perimetro delle concessioni oggetto di affidamento non dovrebbe essere ingiustificatamente ampio, dovendo piuttosto tenere conto delle caratteristiche specifiche della domanda e dell’offerta, mentre la loro durata dovrebbe essere limitata, in rapporto ad esigenze di natura tecnica, economica e finanziaria ed alle caratteristiche degli investimenti; infine, è stata suggerita l’eliminazione dei casi di preferenza per i gestori uscenti o per l’anzianità acquisita.

L’Autorità ha rilevato come un regime concessorio maggiormente coerente con i principi della concorrenza e volto a valorizzare i limitati spazi per il confronto competitivo sarebbe estremamente prezioso per garantire ai cittadini una gestione delle infrastrutture e un’offerta di servizi pubblici più efficiente e di migliore qualità e sicurezza; non ultimo, potrebbe contribuire in misura significativa alla crescita economica e, soprattutto, alla ripresa degli investimenti di cui il Paese necessita.

Nonostante quanto segnalato, nel corso del 2019 e del 2020 vi sono stati numerosi interventi che, anziché ampliare le opportunità di ingresso di nuovi operatori, hanno mantenuto ingessata la struttura di molti mercati, anche prorogando la durata delle relative concessioni. In più di un’occasione, la proroga automatica e ingiustificatamente lunga delle concessioni è stata motivata dall’impatto sociale che gli affidamenti competitivi avrebbero comportato. Una lettura che, tuttavia, sottostima largamente i costi sopportati dai soggetti esclusi e le implicazioni per la competitività.

Seppure, in una fase emergenziale come quella attuale, possa ritenersi giustificabile il ricorso a meccanismi di affidamento più rapidi e snelli, l’assenza di adeguate procedure competitive per la selezione del miglior offerente difficilmente potrebbe consentire di individuare operatori economici in grado di competere efficacemente sul mercato e di offrire il servizio qualitativamente migliore.

 


Articolo 3
(
Concessione delle aree demaniali portuali)

 

 

L’art. 3 del disegno di legge porta una novella all’art. 18 della legge n. 84 del 1994.

 

Vale la pena rammentare che la legge n. 84 del 1994 (Riordino della legislazione in materia portuale) ha delineato, in luogo del precedente basato su porti interamente pubblici, un nuovo modello organizzativo, caratterizzato dalla separazione tra le funzioni pubbliche di programmazione e di controllo del territorio e delle infrastrutture portuali, affidate alle autorità portuali, e le funzioni di gestione del traffico e dei terminali, ritenute di carattere imprenditoriale e date in concessione a soggetti privati.

La legge n. 84 del 1994 è stata oggetto di numerose proposte di riforma organica in sede parlamentare (si ricorda, in particolare, l’a.C. 5453 della XVI legislatura, che era stato approvato dal Senato ma il cui iter alla Camera, viceversa, non ha trovato conclusione. V. qui il relativo dossier).

Più circoscritte modifiche sono intervenute nel corso degli anni. In particolare, proprio l’art 18 è stato modificato a più riprese: prima con il decreto-legge n. 535 del 1996, poi con la legge n. 472 del 1999 e poi ancora con la legge n. 172 del 2003 e il decreto-legge n. 5 del 2012 e, da ultimo, con la legge di bilancio per il 2018 (n. 232 del 2017).    

 

Per migliore comprensione della modifica proposta con il disegno di legge, è opportuno premettere un testo a fronte.

 

 

Testo vigente dell’art. 18
della legge n. 84 del 1994

Testo modificato
dall’A.S. 2469

1. L'Autorità di sistema portuale e, dove non istituita, ovvero prima del suo insediamento, l'organizzazione portuale o l'autorità marittima danno in concessione le aree demaniali e le banchine comprese nell'ambito portuale alle imprese di cui all'articolo 16, comma 3, per l'espletamento delle operazioni portuali, fatta salva l'utilizzazione degli immobili da parte di amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di funzioni attinenti ad attività marittime e portuali. E' altresì sottoposta a concessione da parte dell'Autorità di sistema portuale e, laddove non istituita dall'autorità marittima, la realizzazione e la gestione di opere attinenti alle attività marittime e portuali collocate a mare nell'ambito degli specchi acquei esterni alle difese foranee anch'essi da considerarsi a tal fine ambito portuale, purché interessati dal traffico portuale e dalla prestazione dei servizi portuali anche per la realizzazione di impianti destinati ad operazioni di imbarco e sbarco rispondenti alle funzioni proprie dello scalo marittimo. Le concessioni sono affidate, previa determinazione dei relativi canoni, anche commisurati all'entità dei traffici portuali ivi svolti, sulla base di idonee forme di pubblicità, stabilite dal Ministro dei trasporti e della navigazione, di concerto con il Ministro delle finanze, con proprio decreto. Con il medesimo decreto sono altresì indicati:

a) la durata della concessione, i poteri di vigilanza e controllo delle Autorità concedenti, le modalità di rinnovo della concessione ovvero di cessione degli impianti a nuovo concessionario;

b) i limiti minimi dei canoni che i concessionari sono tenuti a versare.

1. L’Autorità di sistema portuale e, dove non istituita, l'autorità marittima danno in concessione le aree demaniali e le banchine comprese nell'ambito portuale alle imprese di cui all'articolo 16, comma 3, per l'espletamento delle operazioni portuali, fatta salva l'utilizzazione degli immobili da parte di amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di funzioni attinenti ad attività marittime e portuali. È, altresì, sottoposta a concessione da parte dell'Autorità di sistema portuale, e laddove non istituita, dall'autorità marittima, la realizzazione e la gestione di opere attinenti alle attività marittime e portuali collocate a mare nell'ambito degli specchi acquei esterni alle difese foranee anch'essi da considerarsi a tal fine ambito portuale, purché interessati dal traffico portuale e dalla prestazione dei servizi portuali anche per la realizzazione di impianti destinati ad operazioni di imbarco e sbarco rispondenti alle funzioni proprie dello scalo marittimo. Le concessioni sono affidate, previa determinazione dei relativi canoni, anche commisurati all'entità dei traffici portuali ivi svolti, sulla base di procedure ad evidenza pubblica, avviate anche ad istanza di parte, con pubblicazione di un avviso, nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità e proporzionalità, garantendo condizioni di concorrenza effettiva. Gli avvisi devono definire in modo chiaro, trasparente, proporzionato rispetto all’oggetto della concessione e non discriminatorio, i requisiti soggettivi di partecipazione e i criteri di selezione delle domande, nonché la durata massima delle concessioni. Gli avvisi devono, altresì, indicare gli elementi riguardanti il trattamento di fine concessione, anche in relazione agli eventuali indennizzi da riconoscere al concessionario uscente. Il termine minimo per la ricezione delle domande di partecipazione è di trenta giorni dalla data di pubblicazione dell’avviso.

1-bis. Sono fatti salvi, fino alla scadenza del titolo concessorio, i canoni stabiliti dalle Autorità di sistema portuale relativi a concessioni già assentite alla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1.

2. Sono fatti salvi, fino alla scadenza del titolo concessorio, i canoni stabiliti dalle Autorità di sistema portuale relativi a concessioni già assentite alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

2. Con il decreto di cui al comma 1 sono altresì indicati i criteri cui devono attenersi le Autorità di sistema portuale o marittime nel rilascio delle concessioni al fine di riservare nell'ambito portuale spazi operativi allo svolgimento delle operazioni portuali da parte di altre imprese non concessionarie.

3. La riserva di spazi operativi funzionali allo svolgimento delle operazioni portuali da parte di altre imprese non titolari della concessione avviene nel rispetto dei principi di trasparenza, equità e parità di trattamento.

3. Con il decreto di cui al comma 1, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti adegua la disciplina relativa alle concessioni di aree e banchine alle normative comunitarie.

Soppresso.

4. Per le iniziative di maggiore rilevanza, il presidente dell'Autorità di sistema portuale può concludere, previa delibera del comitato portuale, con le modalità di cui al comma 1, accordi sostitutivi della concessione demaniale ai sensi dell'art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Soppresso.

4-bis. Le concessioni per l'impianto e l'esercizio dei depositi e stabilimenti di cui all'articolo 52 del codice della navigazione e delle opere necessarie per l'approvvigionamento degli stessi, dichiarati strategici ai sensi della legge 23 agosto 2004, n. 239, hanno durata almeno decennale.

4. Identico.

 

5. Le concessioni o gli accordi sostitutivi di cui al comma 4 possono comprendere anche la realizzazione di opere infrastrutturali.

5. Le concessioni possono comprendere anche la realizzazione di opere infrastrutturali.

 

6. Ai fini del rilascio della concessione di cui al comma 1 è richiesto che i destinatari dell'atto concessorio:

a) presentino, all'atto della domanda, un programma di attività, assistito da idonee garanzie, anche di tipo fideiussorio, volto all'incremento dei traffici e alla produttività del porto;

b) possiedano adeguate attrezzature tecniche ed organizzative, idonee anche dal punto di vista della sicurezza a soddisfare le esigenze di un ciclo produttivo ed operativo a carattere continuativo ed integrato per conto proprio e di terzi;

c) prevedano un organico di lavoratori rapportato al programma di attività di cui alla lettera a).

6. Ai fini del rilascio della concessione di cui al comma 1, è richiesto che i partecipanti alla procedura di affidamento:

a) presentino, all'atto della domanda, un programma di attività, assistito da idonee garanzie, anche di tipo fideiussorio, volto all'incremento dei traffici e alla produttività del porto;

b) possiedano adeguate attrezzature tecniche ed organizzative, idonee anche dal punto di vista della sicurezza a soddisfare le esigenze di un ciclo produttivo ed operativo a carattere continuativo ed integrato per conto proprio e di terzi;

c) prevedano un organico di lavoratori rapportato al programma di attività di cui alla lettera a).

 

7. In ciascun porto, l'impresa concessionaria di un'area demaniale deve esercitare direttamente l'attività per la quale ha ottenuto la concessione, non può essere al tempo stesso concessionaria di altra area demaniale nello stesso porto, a meno che l'attività per la quale richiede una nuova concessione sia differente da quella di cui alle concessioni già esistenti nella stessa area demaniale, e non può svolgere attività portuali in spazi diversi da quelli che le sono stati assegnati in concessione. Su motivata richiesta dell'impresa concessionaria, l'autorità concedente può autorizzare l'affidamento ad altre imprese portuali, autorizzate ai sensi dell'articolo 16, dell'esercizio di alcune attività comprese nel ciclo operativo.

7In ciascun porto, l'impresa concessionaria di un'area demaniale deve esercitare direttamente l'attività per la quale ha ottenuto la concessione e non può essere al tempo stesso concessionaria di altra area demaniale nello stesso porto, a meno che l'attività per la quale richiede una nuova concessione sia differente da quella di cui alle concessioni già esistenti nella stessa area demaniale, e non può svolgere attività portuali in spazi diversi da quelli che le sono stati assegnati in concessione. Il divieto di cumulo non si applica nei porti di rilevanza economica internazionale e nazionale, individuati ai sensi dell’articolo 4 e, in tale caso, è vietato lo scambio di manodopera tra le diverse aree demaniali date in concessione alla stessa impresa o a soggetti comunque alla stessa riconducibili. Su motivata richiesta dell'impresa concessionaria, l'autorità concedente può autorizzare l'affidamento ad altre imprese portuali, autorizzate ai sensi dell'articolo 16, dell'esercizio di alcune attività comprese nel ciclo operativo.

8. L'Autorità di sistema portuale o, laddove non istituita, l'autorità marittima sono tenute ad effettuare accertamenti con cadenza annuale al fine di verificare il permanere dei requisiti in possesso al momento del rilascio della concessione e l'attuazione degli investimenti previsti nel programma di attività di cui al comma 6, lettera a).

8. Identico.

 

9. In caso di mancata osservanza degli obblighi assunti da parte del concessionario, nonché di mancato raggiungimento degli obiettivi indicati nel programma di attività, di cui al comma 6, lettera a), senza giustificato motivo, l'Autorità di sistema portuale https://pa.leggiditalia.it/rest?print=1 - 197o, laddove non istituita, l'autorità marittima revocano l'atto concessorio.

9. In caso di mancata osservanza degli obblighi assunti da parte del concessionario, nonché di mancato raggiungimento degli obiettivi indicati nel programma di attività, di cui al comma 6, lettera a), senza giustificato motivo, l'Autorità di sistema portuale o, laddove non istituita, l'autorità marittima dichiarano la decadenza del rapporto concessorio.

9-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai depositi e stabilimenti di prodotti petroliferi e chimici allo stato liquido, nonché di altri prodotti affini, siti in ambito portuale.

10. Identico.

 

 

Il comma 1 dell’art. 18 della legge n. 84 del 1994 è la disposizione che subisce la modifica più profonda, poiché nel suo tessuto viene inserito il principio dell’evidenza pubblica, prima non previsto (secondo la formulazione attualmente vigente i criteri per l’affidamento dovevano essere determinati con un decreto ministeriale – v. supra, colonna di sinistra, commi 1 e 3 – che tuttavia non è mai stato emanato).

 

Resta fermo che le operazioni e i servizi portuali possono essere svolte solo da imprese autorizzate dalle autorità portuali (siano esse autorità di sistema o marittime) e che per il loro svolgimento le aree demaniali e le banchine possono essere date in concessione.

 

Trattandosi di concessioni su beni pubblici (e non già di lavori o di servizi) non si applicano le norme del codice dei contratti pubblici (art. 164 del decreto legislativo n. 50 del 2016). Si stabilisce nondimeno che l’affidamento delle concessioni devono avvenire con una procedura che prenda avvio con la pubblicazione di un avviso pubblico.

 

L’impulso all’avvio del procedimento può anche promanare da una parte privata.

 

I principi ispiratori della procedura sono la trasparenza, l’imparzialità e la proporzione, con la connessa garanzia di condizioni di concorrenza effettiva.

 

L’affermazione in sede legislativa di questi principi appare essere motivata da un cospicuo filone giurisprudenziale sulla tutela della concorrenza e sulla contendibilità delle concessioni demaniali marittime.

 

Quanto alla giurisprudenza amministrativa, il Consiglio di Stato (sez. VI, 25 gennaio 2005) ha ritenuto necessaria una procedura competitiva per l’affidamento in concessione del demanio marittimo, in conformità ai principi comunitari (analogamente si è poi pronunciata l’Adunanza plenaria, 25 febbraio 2013, n. 5, in tema di concessioni di spazi pubblici a fini di pubblicità).

Da ultimo, si segnala il recente pronunciamento dell’Adunanza plenaria del medesimo Consiglio di Stato del 9 novembre 2021 (sentenze nn. 17 e 18) secondo cui “le norme italiane che prorogano in modo automatico le concessioni demaniali marittime sono in contrasto con il diritto europeo e, pertanto, vanno disapplicate. A ogni modo, quelle attualmente in vigore restano efficaci fino e non oltre il 31 dicembre 2023, al fine di dare alle Pubbliche amministrazioni il tempo per organizzare le gare” (sentenza 17).

Inoltre: “al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative in essere, nonché di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell'auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano a essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell'ordinamento dell'Ue” (sentenza n. 18).

 

Era intervenuta a sua volta anche la Corte costituzionale (per esempio, sentenze nn. 180 e 340 del 2010, 109 del 2018 e 1 del 2019) la quale ha sempre ritenuto illegittime le proroghe ope legis delle concessioni in essere.

 

Con più specifico riferimento alle concessioni disciplinate dall’art. 18 della legge n. 84 del 1994, il TAR Friuli V.G. (TS), sez. I, 5 luglio 2017, n. 235, ha ritenuto insufficiente – in relazione all’affidamento di una concessione per 60 anni – la mera pubblicazione dell’avviso nell’albo pretorio; a sua volta il TAR Liguria (GE), sez. I, 13 maggio 2019, n. 441, ha considerato illegittima la procedura nella quale – a fronte di distinte richieste di privati di ottenere la concessione portuale – non si sia proceduta alla pubblicazione dell’avviso relativo all’istanza presentata per seconda, in modo da assicurare la par condicio all’operatore che l’aveva presentata per primo.

La raccomandazione a intervenire nel senso prescelto dal Governo nel presente disegno di legge è venuta anche dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), nel parere del 22 marzo 2021.

 

Nella nuova disposizione, il soggetto destinatario del dovere di pubblicare l’avviso è l’autorità portuale.

 

Circa il contenuto dell’avviso, il disegno di legge lo individua nei:

-        requisiti soggettivi di partecipazione;

-        criteri di selezione delle domande;

-        durata massima delle concessioni;

-        elementi inerenti al trattamento di fine concessione, anche in relazione agli eventuali indennizzi da riconoscere al concessionario uscente.

 

Quanto alle modalità, gli avvisi devono essere connotati da indicazioni chiare, trasparenti, proporzionate rispetto all’oggetto della concessione e non discriminatorie.

 

Devono lasciare un termine di almeno 30 giorni dalla data di pubblicazione per la ricezione delle domande di partecipazione.

 

Al riguardo, parrebbe che le domande debbano pervenire all’autorità procedente entro il termine stabilito dall’avviso. Non dovrebbe valere - pertanto – il criterio della data di spedizione.

 

Si osservi inoltre che neanche nel nuovo testo proposto è compiutamente disciplinata la fase esecutiva della selezione del concessionario, limitandosi il disegno di legge ad affermare che nell’avviso devono essere inseriti i criteri di selezione delle domande. Non appaiono specificati elementi in ordine ai componenti delle commissioni giudicatrici né sui tempi della procedura (a tale ultimo riguardo, potrebbe ritenersi implicito il rinvio alla legge n. 241 del 1990). 

 

Il comma 7 dell’art. 18 contiene attualmente (e contiene anche nella nuova formulazione) una disposizione tipicamente rivolta a evitare concentrazioni e posizioni di dominio. Vi si stabilisce che il concessionario di un’area portuale possa svolgervi l’attività autorizzata solo nell’area oggetto della concessione e non possa ottenere che una sola concessione nel medesimo porto, salvo che si tratti di plurime concessioni inerenti ad attività merceologicamente differenti.

 

Nella nuova disposizione proposta, tuttavia, questo divieto di cumulo verrebbe meno in relazione ai porti di dimensioni maggiori. Tali porti – anche qui nella valutazione dell’AGCM fatta propria dal Governo - per traffico e capacità si trovano a competere in un orizzonte globale, tale per cui la posizione dominante deve valutarsi con parametri più larghi. Per questo, la nuova formulazione del comma 7 reca un periodo aggiunto, che prevede la deroga al divieto di cumulo per i porti che l’art. 4 della medesima legge n. 84 classifica come di rilevanza economica internazionale (comma 1, lett. b).

Nondimeno e in coerenza con il comma 6, lett. c), resta vietato lo scambio di manodopera tra le diverse aree demaniali date in concessione alla stessa impresa o a soggetti comunque alla stessa riconducibili. Tale precisazione è volta a chiarire che è consentito il solo cumulo di attività ma non la strutturazione di un operatore che - per elementi oggettivi - si presenterebbe come dominante. Essa potrebbe avere anche riflessi in termini di diritto del lavoro.  


Articolo 4
(Concessioni di distribuzione del gas naturale)

 

 

L’articolo 4, comma 1, elenca le disposizioni che si applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge in esame, al fine di valorizzare adeguatamente le reti di distribuzione del gas di proprietà degli enti locali e di rilanciare gli investimenti nel settore della distribuzione del gas naturale, accelerando al contempo le procedure per l'effettuazione delle gare per il servizio di distribuzione di gas naturale previste dal Regolamento per i criteri di gara e per la valutazione dell'offerta per l'affidamento del servizio della distribuzione del gas naturale (DM n. 226/2011).

 

La lettera a) estende le disposizioni di cui all’articolo 14, comma 8, del d.lgs. n.164/2000 (Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale) anche ai casi di trasferimento di proprietà di impianti da un ente locale al nuovo gestore subentrante all’atto della gara di affidamento del servizio di distribuzione.

 

Per tale disposizione, il nuovo gestore, con riferimento agli investimenti realizzati sugli impianti oggetto di trasferimento di proprietà nei precedenti affidamenti o concessioni, è tenuto a subentrare nelle garanzie e nelle obbligazioni relative ai contratti di finanziamento in essere o ad estinguere queste ultime e a corrispondere una somma al distributore uscente in misura pari al valore di rimborso per gli impianti la cui proprietà è trasferita dal distributore uscente al nuovo gestore. Nella situazione a regime, al termine della durata delle nuove concessioni di distribuzione del gas naturale affidate mediante gara per periodi non superiori a dodici anni (ai sensi del comma 1), il valore di rimborso al gestore uscente è pari al valore delle immobilizzazioni nette di località del servizio di distribuzione e misura, relativo agli impianti la cui proprietà viene trasferita dal distributore uscente al nuovo gestore, incluse le immobilizzazioni in corso di realizzazione, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, calcolato secondo la metodologia della regolazione tariffaria vigente e sulla base della consistenza degli impianti al momento del trasferimento della proprietà.

 

La lettera b) prevede che, qualora un ente locale o una società patrimoniale delle reti, in occasione delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale intenda alienare le reti e gli impianti di distribuzione e di misura di sua titolarità, dette reti e impianti sono valutati secondo il valore industriale residuo calcolato in base alle linee guida adottate ai sensi dell’articolo 4, comma 6, del D.L. n. 69/2013 (L. n. 98/2013) e in accordo con la disciplina stabilita dall' ARERA entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame;

 

L’articolo 4, comma 6, del D.L. n. 69/2013, aveva affidato al Ministero dello sviluppo economico il potere di emanare linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale, al fine di facilitare lo svolgimento delle gare per l'affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale (di cui al comma 2 dello stesso articolo) e di ridurre i costi per gli enti locali e per le imprese.

Si veda il DM 22 maggio 2014, recante Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale, pubblicato nella GU n. 129 del 6 giugno 2014.

Le "linee guida" in questione sono contenute nell'allegato al predetto DM.

 

La lettera c) prevede l'applicazione dell’articolo 15, comma 5, del d.lgs. n. 164/2000 (si veda, infra, il comma 2 per le modifiche a tale articolo), nei casi di alienazione delle reti e degli impianti di distribuzione e di misura dell'ente locale o della società patrimoniale delle reti, di cui alla lettera b), con riferimento alla verifica degli scostamenti del valore di rimborso da parte dell'ARERA prima della pubblicazione del bando di gara e alle eventuali osservazioni. L'ARERA riconosce in tariffa al gestore entrante l'ammortamento della differenza tra il valore di rimborso e il valore delle immobilizzazioni nette, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località.

 

La disciplina attualmente recata dall’articolo 15, comma 5, del d.lgs. n. 164/2000, prevede che, qualora il valore di rimborso risulti maggiore del 10 per cento del valore delle immobilizzazioni nette di località calcolate nella regolazione tariffaria, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, l'ente locale concedente trasmette le relative valutazioni di dettaglio del valore di rimborso all'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico per la verifica prima della pubblicazione del bando di gara. Tale disposizione non si applica qualora l'ente locale concedente possa certificare anche tramite un idoneo soggetto terzo che il valore di rimborso è stato determinato applicando le disposizioni contenute nel DM 22 maggio 2014, recante approvazione delle "Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale", e che lo scostamento del valore di rimborso e del valore delle immobilizzazioni nette, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, aggregato d'ambito, non risulti superiore alla percentuale dell'8 per cento, purché lo scostamento del singolo comune non superi il 20 per cento. Nel caso di valore delle immobilizzazioni nette disallineate rispetto alle medie di settore secondo le definizioni dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, il valore delle immobilizzazioni nette rilevante ai fini del calcolo dello scostamento è determinato applicando i criteri di valutazione parametrica definiti dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico. La stazione appaltante tiene conto delle eventuali osservazioni dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico ai fini della determinazione del valore di rimborso da inserire nel bando di gara.

 

La lettera d) prevede, con riferimento alla disciplina delle gare di affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale di cui all’articolo 13 del DM n. 226/2011 (il quale elenca e descrive le condizioni economiche oggetto di gara), il gestore, nell’offerta di gara, può versare agli enti locali l’ammontare pari al valore dei titoli di efficienza energetica corrispondenti agli interventi di efficienza energetica previsti nel bando di gara.

 

Il comma 2 novella l'articolo 15, comma 5, del d.lgs. n. 164/2000, sostituendone il sesto e il settimo periodo.

La novella stabilisce le condizioni il cui ricorrere esonera l'ente locale concedente dall'obbligo di trasmettere le relative valutazioni di dettaglio del valore di rimborso all'ARERA per la verifica prima della pubblicazione del bando di gara. Tale obbligo non opera nel caso in cui l'ente locale possa certificare, anche tramite un idoneo soggetto terzo, che il valore di rimborso è stato determinato applicando le disposizioni contenute nel decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 maggio 2014 (recante Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale), e che lo scostamento del valore di rimborso e del valore delle immobilizzazioni nette, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, aggregato d'ambito, tenuto conto della modalità di valorizzazione delle immobilizzazioni nette (RAB) rilevante ai fini del calcolo dello scostamento:

a) non risulti superiore alla percentuale del 10 per cento, nel caso di RAB valutata al 100 per cento sulla base della RAB effettiva, purché lo scostamento del singolo comune non superi il 25 per cento;

b) non risulti superiore alla percentuale del 35 per cento, nel caso di RAB valutata al 100 per cento sulla base dei criteri di valutazione parametrica definiti dall'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (RAB parametrica), purché lo scostamento del singolo comune non superi il 45 per cento;

c) non risulti superiore alla somma dei prodotti del peso della RAB effettiva moltiplicato per il 10 per cento e il peso della RAB parametrica moltiplicato per il 35 per cento, negli altri casi, purché lo scostamento del singolo comune non superi il 35 per cento.

 

Decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164

Articolo 15 (Regime di transizione nell'attività di distribuzione)

Testo vigente

Testo modificato

5. Per l'attività di distribuzione del gas, gli affidamenti e le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché quelli alle società derivate dalla trasformazione delle attuali gestioni, proseguono fino alla scadenza stabilita, se compresa entro i termini previsti dal comma 7 per il periodo transitorio. Gli affidamenti e le concessioni in essere per i quali non è previsto un termine di scadenza o è previsto un termine che supera il periodo transitorio, proseguono fino al completamento del periodo transitorio stesso. In quest'ultimo caso, ai titolari degli affidamenti e delle concessioni in essere è riconosciuto un rimborso, a carico del nuovo gestore ai sensi del comma 8 dell'articolo 14, calcolato nel rispetto di quanto stabilito nelle convenzioni o nei contratti, purché stipulati prima della data di entrata in vigore del regolamento di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale 12 novembre 2011, n. 226, e, per quanto non desumibile dalla volontà delle parti nonché per gli aspetti non disciplinati dalle medesime convenzioni o contratti, in base alle linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso di cui all'articolo 4, comma 6, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98. In ogni caso, dal rimborso di cui al presente comma sono detratti i contributi privati relativi ai cespiti di località, valutati secondo la metodologia della regolazione tariffaria vigente. Qualora il valore di rimborso risulti maggiore del 10 per cento del valore delle immobilizzazioni nette di località calcolate nella regolazione tariffaria, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, l'ente locale concedente trasmette le relative valutazioni di dettaglio del valore di rimborso all'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico per la verifica prima della pubblicazione del bando di gara. Tale disposizione non si applica qualora l'ente locale concedente possa certificare anche tramite un idoneo soggetto terzo che il valore di rimborso è stato determinato applicando le disposizioni contenute nel decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 maggio 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 129 del 6 giugno 2014, recante approvazione delle "Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale", e che lo scostamento del valore di rimborso e del valore delle immobilizzazioni nette, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, aggregato d'ambito, non risulti superiore alla percentuale dell'8 per cento, purché lo scostamento del singolo comune non superi il 20 per cento. Nel caso di valore delle immobilizzazioni nette disallineate rispetto alle medie di settore secondo le definizioni dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, il valore delle immobilizzazioni nette rilevante ai fini del calcolo dello scostamento è determinato applicando i criteri di valutazione parametrica definiti dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico. La stazione appaltante tiene conto delle eventuali osservazioni dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico ai fini della determinazione del valore di rimborso da inserire nel bando di gara. I termini di scadenza previsti dal comma 3 dell'articolo 4 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, sono prorogati di ulteriori quattro mesi. Le date limite di cui all'allegato 1 al regolamento di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico 12 novembre 2011, n. 226, relative agli ambiti ricadenti nel terzo raggruppamento dello stesso allegato 1, nonché i rispettivi termini di cui all'articolo 3 del medesimo regolamento, sono prorogati di quattro mesi. Resta sempre esclusa la valutazione del mancato profitto derivante dalla conclusione anticipata del rapporto di gestione.

5. Per l'attività di distribuzione del gas, gli affidamenti e le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché quelli alle società derivate dalla trasformazione delle attuali gestioni, proseguono fino alla scadenza stabilita, se compresa entro i termini previsti dal comma 7 per il periodo transitorio. Gli affidamenti e le concessioni in essere per i quali non è previsto un termine di scadenza o è previsto un termine che supera il periodo transitorio, proseguono fino al completamento del periodo transitorio stesso. In quest'ultimo caso, ai titolari degli affidamenti e delle concessioni in essere è riconosciuto un rimborso, a carico del nuovo gestore ai sensi del comma 8 dell'articolo 14, calcolato nel rispetto di quanto stabilito nelle convenzioni o nei contratti, purché stipulati prima della data di entrata in vigore del regolamento di cui al decreto del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro per i rapporti con le regioni e la coesione territoriale 12 novembre 2011, n. 226, e, per quanto non desumibile dalla volontà delle parti nonché per gli aspetti non disciplinati dalle medesime convenzioni o contratti, in base alle linee guida su criteri e modalità operative per la valutazione del valore di rimborso di cui all'articolo 4, comma 6, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98. In ogni caso, dal rimborso di cui al presente comma sono detratti i contributi privati relativi ai cespiti di località, valutati secondo la metodologia della regolazione tariffaria vigente. Qualora il valore di rimborso risulti maggiore del 10 per cento del valore delle immobilizzazioni nette di località calcolate nella regolazione tariffaria, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, l'ente locale concedente trasmette le relative valutazioni di dettaglio del valore di rimborso all'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico per la verifica prima della pubblicazione del bando di gara. Tale disposizione non si applica qualora l'ente locale concedente possa certificare, anche tramite un idoneo soggetto terzo, che il valore di rimborso è stato determinato applicando le disposizioni contenute nel decreto del Ministro dello sviluppo economico 22 maggio 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 129 del 6 giugno 2014, recante approvazione delle "Linee Guida su criteri e modalità applicative per la valutazione del valore di rimborso degli impianti di distribuzione del gas naturale", e che lo scostamento del valore di rimborso e del valore delle immobilizzazioni nette, al netto dei contributi pubblici in conto capitale e dei contributi privati relativi ai cespiti di località, aggregato d'ambito, tenuto conto della modalità di valorizzazione delle immobilizzazioni nette (RAB) rilevante ai fini del calcolo dello scostamento:

a) non risulti superiore alla percentuale del 10 per cento, nel caso di RAB valutata al 100 per cento sulla base della RAB effettiva, purché lo scostamento del singolo comune non superi il 25 per cento;

b) non risulti superiore alla percentuale del 35 per cento, nel caso di RAB valutata al 100 per cento sulla base dei criteri di valutazione parametrica definiti dall'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (RAB parametrica), purché lo scostamento del singolo comune non superi il 45 per cento;

c) non risulti superiore alla somma dei prodotti del peso della RAB effettiva moltiplicato per il 10 per cento e il peso della RAB parametrica moltiplicato per il 35 per cento, negli altri casi, purché lo scostamento del singolo comune non superi il 35 per cento.

 

 

Il comma 3 novella l’articolo 14 del d.lgs. n. 164/2000, introducendovi il nuovo comma 7-bis.

La nuova disposizione prevede che il gestore uscente è tenuto a fornire all’ente locale tutte le informazioni necessarie per predisporre il bando di gara (per l'affidamento dell'attività di distribuzione di gas naturale), entro un termine, stabilito dallo stesso ente in funzione dell’entità delle informazioni richieste, comunque non superiore a trenta giorni. Qualora il gestore uscente, senza giustificato motivo, ometta di fornire le informazioni richieste ovvero fornisca informazioni inesatte o fuorvianti oppure non fornisca le informazioni entro il termine stabilito, l’ente locale può imporre una sanzione amministrativa pecuniaria il cui importo può giungere fino all'1 per cento del fatturato totale realizzato durante l'esercizio sociale precedente e valutare il comportamento tenuto dal gestore uscente ai fini dell'esclusione dalla partecipazione alla procedura d'appalto.

È appositamente richiamata l’applicazione dell’articolo 80, comma 5, lettera c-bis) del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016).

Il comma 5 elenca le situazioni, anche riferite a un subappaltatore, alla cui presenza le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico.

La lettera c-bis) contempla l'ipotesi in cui l'operatore economico abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione.

 

 

Segnalazione 1730 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, inviata il 22 marzo 2021 (Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2021)

 

Nel paragrafo L’accelerazione delle gare per le concessioni di distribuzione del gas naturale, si osserva che la selezione del concessionario del servizio di distribuzione del gas attraverso procedure di concorrenza per il mercato, già stabilita dal d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164 (c.d. Decreto Letta), definisce un’occasione importante per massimizzare l’impegno del gestore negli investimenti e ottimizzare le condizioni economiche alle quali viene svolto il servizio. Nonostante il quadro normativo per l’espletamento delle gare d’ATEM sia definito da tempo, il programma di svolgimento delle stesse è in grave ritardo: ad oggi sono state avviate solo 35 delle 177 gare previste. L’Autorità è intervenuta più volte per sottolineare tale ritardo, invitare il governo a esercitare i propri poteri sostitutivi e suggerire modifiche alle norme esistenti volte a favorire una più rapida attuazione del programma di gare; anche alla luce dell’esperienza maturata attraverso l’applicazione della normativa antitrust in questo settore, intende quindi suggerire in questa sede alcune modifiche normative idonee a velocizzare il processo di predisposizione dei bandi e/o ad accrescere la partecipazione e la concorrenza attesa alle future gare. In primo luogo, si ritiene necessario accrescere gli incentivi degli enti locali (sia le stazioni appaltanti che gli altri comuni dell’ATEM) a bandire le gare in tempi brevi, considerando che detti incentivi possono risultare affievoliti nel caso in cui gli enti locali siano proprietari della rete esistente o di una sua parte. In questo caso, infatti, la prassi attualmente in vigore prevede che per acquisire tali asset il gestore subentrante paghi una somma inferiore (la cd. RAB) rispetto a quella percepita dal gestore uscente per la cessione degli impianti di sua proprietà (il cd. VIR, valore di rimborso). Al fine di evitare resistenze e, al contempo, incentivare l’indizione delle gare, sarebbe quindi opportuno equiparare per legge la remunerazione che i comuni possono ottenere dalla cessione degli impianti di loro proprietà a quella garantita ai gestori uscenti, integrando opportunamente l’articolo 14, comma 8, del d.lgs. 23 maggio 2000 n. 164. In secondo luogo, appare necessario eliminare le situazioni di conflitto di interesse che possono generarsi nei casi, non infrequenti, in cui le stazioni appaltanti risultano essere anche azionisti, spesso di controllo, delle società di distribuzione che partecipano alle gare. Al fine di evitare che situazioni simili finiscano non solo per nuocere all’effettivo dispiegarsi in gara della concorrenza per il mercato ma anche per scoraggiare la stessa partecipazione alla gara, si ritiene opportuno istituire un albo nazionale di commissari di gara. A tale albo, che avrebbe anche il vantaggio di garantire una riserva di esperti in grado di apportare una adeguata competenza tecnica e amministrativa alle commissioni di gara, si dovrebbe attingere quantomeno in casi di conflitto di interesse, al fine di garantire la terzietà delle valutazioni compiute per conto delle stazioni appaltanti. In tal senso andrebbe modificato l’articolo 11 del DM 12 novembre 2011 n. 226, così come modificato con DM 20 maggio 2015, che definisce nomina e caratteristiche della commissione delle gare per l’aggiudicazione delle concessioni d’ATEM. In terzo luogo, ai fini di una accelerazione nell’indizione delle gare, sarebbe opportuna una semplificazione di alcune delle procedure propedeutiche allo svolgimento delle stesse, anche mediante una riduzione dei casi di verifica dello scostamento tra VIR e RAB di competenza del regolatore di settore ARERA. Da ultimo, al fine di tutelare la concorrenza effettiva in sede di gara, si ritiene indispensabile che le inevitabili asimmetrie informative tra gestori uscenti e potenziali terzi partecipanti siano minimizzate, in modo da evitare che i primi godano di eccessivi vantaggi nella predisposizione dell’offerta. Gli obblighi informativi cui sono assoggettati i gestori uscenti per predisporre dei bandi di gara sono stabiliti dagli artt. 4 e 5 del DM n. 226/2011. Nella propria esperienza applicativa l’Autorità ha verificato che la attuale definizione di tali obblighi non risulta sempre sufficientemente chiara e inequivocabile. In particolare, con riferimento ad un importante elemento informativo come la cartografia dell’impianto, che fa parte dello stato di consistenza che il gestore uscente deve fornire ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera a), del citato DM, è emerso che l’obbligo che la stessa sia fornita in formato aperto e interoperabile (e dunque effettivamente fruibile dai potenziali concorrenti), si deduce solo da un chiarimento pubblicato sul sito del MISE. Al fine di scongiurare incertezze interpretative che si potrebbero riverberare negativamente sulla predisposizione degli atti di gara, è essenziale che tale obbligo sia chiarito attraverso una adeguata modifica del predetto comma 1 dell’articolo 4 del DM n. 226/2011. Più in generale, è necessario che sia fatta definitiva chiarezza su tutte le prescrizioni in materia di obblighi informativi dei gestori uscenti per le quali possano emergere dubbi interpretativi. Sempre al fine di tutelare la concorrenza effettiva in sede di gara, e ridurre le inevitabili asimmetrie informative tra gestori uscenti e potenziali terzi partecipanti alla gara, si ritiene necessaria una modifica della normativa primaria tesa a ampliare i poteri delle stazioni appaltanti, mediante la previsione di meccanismi di penalizzazione per i distributori che non forniscano i dati richiesti.

 

Al fine di accelerare lo svolgimento delle gare d’ATEM per la concessione del servizio di distribuzione del gas e accrescere il livello di concorrenza nelle medesime, si propone di:

1.modificare l’articolo 14, comma 8, del d.lgs. 23 maggio 2000 n. 164, prevedendo che anche gli impianti di proprietà comunale siano valorizzati a VIR, anziché a RAB, in caso di loro cessione al gestore entrante;

2.modificare l’articolo 11 del DM n. 226/2011, prevedendo l’istituzione di un albo nazionale di commissari di gara cui si possa attingere per la formazione delle commissioni, quantomeno nei casi in cui si palesino dei conflitti di interesse tra la stazione appaltante e i possibili partecipanti alla gara;

3.introdurre una casistica più ampia di situazioni in cui lo scostamento tra VIR e RAB non richiede la verifica da parte di ARERA;

4.specificare, al comma 1 dell’articolo 4 del DM n. 226/2011, che la cartografia e le altre componenti dello stato di consistenza dell’impianto per le quali ciò sia applicabile vengano fornite in formato aperto e interoperabile, e, più in generale, evitare che residuino margini di discrezionalità o incertezza interpretativa in merito al contenuto degli obblighi informativi dei gestori uscenti nei confronti delle stazioni appaltanti;

5.adottare una norma di fonte primaria finalizzata a rafforzare il potere delle stazioni appaltanti nei confronti dei gestori uscenti nel raccogliere le informazioni, prevedendo meccanismi di penalizzazione per i distributori che non forniscano i dati richiesti.

 

 

Nel PNRR, a p.76, si ribadisce che, in materia di concessioni di distribuzione del gas naturale, occorre modificare la relativa disciplina normativa al fine di favorire il rapido ed efficace svolgimento delle gare da parte degli Ambiti territoriali minimi (legge annuale 2021 ovvero altro provvedimento da adottare entro il 2022).

 

 

 


Articolo 5
(Disposizioni in materia di concessioni di grande derivazione idroelettrica)

 

 

L’articolo 5, comma 1 novella in alcune parti l'articolo 12 del d.lgs. n. 79/1999 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica), al quale sono apportate le seguenti modificazioni:

La lettera a) inserisce il nuovo comma 1-ter.1.

La nuova disposizione prevede che le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche si svolgono in ogni caso secondo parametri competitivi, equi e trasparenti, sulla base di un'adeguata valorizzazione economica dei canoni concessori e di un'idonea valorizzazione tecnica degli interventi di miglioramento della sicurezza delle infrastrutture esistenti e degli interventi di recupero della capacità di invaso, con la previsione di un congruo indennizzo, da porre a carico del concessionario subentrante, che tenga conto dell'ammortamento degli investimenti effettuati dal concessionario uscente, definendo la durata della concessione, nel rispetto dei limiti previsti dalla normativa vigente, sulla base di criteri economici basati sull'entità degli investimenti. Al fine di promuovere l'innovazione tecnologica e la sostenibilità delle infrastrutture di grande derivazione idroelettrica, l'affidamento delle relative concessioni può avvenire anche facendo ricorso alle procedure previste dall'articolo 183 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016) in relazione alla finanza di progetto.

 

Il comma dell'articolo 183 prevede che per la realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità, ivi inclusi quelli relativi alle strutture dedicate alla nautica da diporto, inseriti negli strumenti di programmazione formalmente approvati dall'amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa vigente, ivi inclusi i Piani dei porti, finanziabili in tutto o in parte con capitali privati, le amministrazioni aggiudicatrici possono, in alternativa all'affidamento mediante concessione ai sensi della parte III del codice dei contratti pubblici, affidare una concessione ponendo a base di gara il progetto di fattibilità, mediante pubblicazione di un bando finalizzato alla presentazione di offerte che contemplino l'utilizzo di risorse totalmente o parzialmente a carico dei soggetti proponenti. In ogni caso per le infrastrutture afferenti le opere in linea, è necessario che le relative proposte siano ricomprese negli strumenti di programmazione approvati dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

 

La lettera b) sostituisce il comma 1-quater dell'articolo 12 del d.lgs. 79/1999.

Rispetto al testo in vigore,

- viene fissato al 31 dicembre 2022 il termine finale entro il quale devono essere avviate le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche;

 

Attualmente, il comma 1-quater prevede l'avvio delle suddette procedure "entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge regionale di cui al comma 1-ter", cioè della legge con cui le regioni avrebbero dovuto disciplinare, non oltre il 31 ottobre 2020 (ovvero, per le regioni interessate dalle elezioni regionali del 2020, entro i sette mesi decorrenti dalla data di insediamento del nuovo Consiglio regionale), le modalità e le procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d'acqua a scopo idroelettrico.

 

- è introdotta una specifica disciplina secondo cui le regioni comunicano tempestivamente al MIMS l'avvio e gli esiti delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche. Decorso il termine per l'avvio delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche (il quale, come visto supra, viene ora fissato al 31 dicembre 2022) e comunque in caso di mancata adozione delle leggi regionali entro i termini prescritti dal comma 1-ter, il Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili propone l'esercizio del potere sostitutivo secondo la relativa disciplina dettata dall'articolo 8 della L. n. 131/2003, ai fini dell'avvio, sulla base della disciplina legislativa regionale di cui al comma 1-ter, ove adottata, e di quanto previsto dal nuovo comma 1-ter.1, delle procedure di assegnazione delle concessioni.

 

Attualmente, il comma 1-quater prevede l'adozione, entro il 31 dicembre 2021 (prorogato al 31 luglio 2022 dall'articolo 125-bis, comma 3, lettera a), del D.L. n. 18/2020 - L. n. 27/2020), di un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, previa intesa con la Conferenza unificata, per l'individuazione delle modalità e delle procedure di assegnazione applicabili nell'ipotesi di mancato rispetto del termine di avvio, da parte della regione interessata, delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche. Si prevede quindi che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in applicazione dell'articolo 8 della L. n. 131/2003, "procede in via sostitutiva", sulla base della predetta disciplina, all'assegnazione delle concessioni.

 

La lettera c) sostituisce il comma 1-sexies dell'articolo 12 del d.lgs. 79/1999.

Rispetto al testo vigente, è dettata una disciplina parzialmente diversa per le concessioni di grandi derivazioni idroelettriche che prevedono un termine di scadenza anteriore al 31 dicembre 2023 (prorogato al 31 luglio 2024 dall'articolo 125-bis, comma 3, lettera b), del D.L. n. 18/2020 - L. n. 27/2020), ivi incluse quelle già scadute.

In particolare, si prevede ora che le regioni procedono alla rinegoziazione dei rapporti concessori, per il tempo strettamente necessario al completamento delle procedure di assegnazione e comunque non oltre due anni dalla data di entrata in vigore dell'articolo in esame, tenendo conto, ai fini della congrua quantificazione dei corrispettivi e di altri oneri aggiuntivi da porre a carico del concessionario uscente, del vantaggio competitivo derivante dalla prosecuzione del rapporto concessorio oltre il termine di scadenza.

 

Attualmente, il comma 1-sexies qui novellato prevede che le regioni che non abbiano già provveduto disciplinano con legge, entro un anno dalla data di entrata in vigore dello stesso comma 1-sexies e comunque non oltre il 31 marzo 2020 (prorogato al 31 ottobre 2020 dall'articolo 125-bis, comma 3, lettera c), del D.L. n. 18/2020 - L. n. 27/2020), le modalità, le condizioni, la quantificazione dei corrispettivi aggiuntivi e gli eventuali altri oneri conseguenti, a carico del concessionario uscente, per la prosecuzione, per conto delle regioni stesse, dell'esercizio delle derivazioni, delle opere e degli impianti oltre la scadenza della concessione e per il tempo necessario al completamento delle procedure di assegnazione e comunque non oltre il 31 dicembre 2023 (prorogato al 31 luglio 2024 dall'articolo 125-bis, comma 3, lettera b), del D.L. n. 18/2020 - L. n. 27/2020).

 

Ai fini dell'avvio delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche ai sensi dell'articolo 12, comma 1-ter, del d.lgs. n. 79/1999, il comma 2 prevede l'applicazione anche delle disposizioni di cui al comma 1-ter.1 dello stesso articolo 12 (introdotto dal comma 1, lettera a), dell'articolo in esame), qualificando dette disposizioni come norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.

Perché vi sia l'obbligo di applicare il nuovo comma 1-ter.1 è richiesto:

- che le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, alla data di entrata in vigore della legge in esame, abbiano già adottato una disciplina legislativa per l'avvio delle procedure di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche;

- non abbiano ancora avviato dette procedure.

 

Le disposizioni legislative statali qualificate come " norme fondamentali di riforma economico-sociale" costituiscono un vincolo per le autonomie speciali nell'esercizio della loro potestà legislativa primaria: «Questa Corte ha già avuto modo di affermare che, a seguito della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, il legislatore statale conserva "il potere di vincolare la potestà legislativa primaria della Regione a statuto speciale attraverso l'emanazione di leggi qualificabili come "riforme economico-sociali" (....)» (punto 4.6 dei motivi della decisione, sentenza n. 262 del 30 dicembre 2021).

 

Con particolare riferimento all’assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni a scopo idroelettrico, la Corte ricorda nella sentenza n. 28 del 2014 che «Da una interpretazione sistematica delle norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige sulla disciplina delle grandi derivazioni di acque pubbliche a scopo idroelettrico, dunque, discende che in tale materia, da un lato, spetta allo Stato intervenire in via esclusiva sugli aspetti riconducibili agli ambiti di cui all’art. 117, secondo comma, Cost. (come per le procedure di assegnazione delle concessioni, che rientrano nella tutela della concorrenza: sentenza n. 1 del 2008), nonché stabilire i principi fondamentali (come per la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia: sentenza 383 del 2005); dall’altro, compete alle Province autonome regolare tutti gli altri profili, quali, ad esempio, l’uso delle acque, la trasparenza delle concessioni e la disciplina delle funzioni amministrative» (punto 4.1 considerato in diritto).

«Queste disposizioni [i commi 4, 5, 6, 7 e 8 dell’art. 37 del D.L. n. 83 del 2012] mirano ad agevolare l’accesso degli operatori economici al mercato dell’energia secondo condizioni uniformi sul territorio nazionale, regolando le relative procedure di evidenza pubblica con riguardo alla tempistica delle gare e al contenuto dei relativi bandi (commi 4, 5, 6 e 8), nonché all’onerosità delle concessioni messe a gara (comma 7). Tali norme – al pari di quelle che disciplinano «l’espletamento della gara ad evidenza pubblica» per i casi di scadenza, decadenza, rinuncia o revoca di concessione di grande derivazione d’acqua per uso idroelettrico (sentenza n. 1 del 2008) – rientrano nella materia «tutela della concorrenza», di competenza esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.): a detto ambito va ricondotta l’intera disciplina delle procedure di gara pubblica (sentenze n. 46 e n. 28 del 2013, n. 339 del 2011 e n 283 del 2009), in quanto quest’ultima costituisce uno strumento indispensabile per tutelare e promuovere la concorrenza in modo uniforme sull’intero territorio nazionale (sentenze n. 339 del 2011, n. 1 del 2008 e n. 401 del 2007)» (punto 4.2 considerato in diritto).

 

 

Segnalazione 1730 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, inviata il 22 marzo 2021 (Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2021)

 

Nel paragrafo Concessioni di grande derivazione idroelettrica (a pagina 30), si ricorda innanzi tutto che la legge 27 dicembre 2017, n. 205 (c.d. legge di Bilancio 2018), ha trasferito alla competenza legislativa esclusiva delle Province Autonome la disciplina in materia di assegnazione delle concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico, mentre il D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito con legge 11 febbraio 2019, n. 12, ha attribuito la materia alla competenza legislativa concorrente delle Regioni, dettando una normativa di principio e rimettendo quella di dettaglio ad apposite leggi regionali da adottare entro il 31 marzo 2020. Tale termine è stato prorogato dal D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27 (c.d. Decreto Cura Italia), al 31 ottobre 2020 e di ulteriori sette mesi per le Regioni interessate dalle elezioni amministrative regionali.

Al riguardo, l’Autorità rileva che le procedure per l’assegnazione di concessioni per grandi derivazioni idroelettriche dovrebbero essere definite dal legislatore statale in maniera unitaria su tutto il territorio nazionale. Infatti, rientra nella materia della «tutela della concorrenza», attribuita alla competenza legislativa esclusiva statale, di cui all’articolo 117, comma 2, lett. e), Cost., l’intera disciplina delle procedure di gara, comprensiva della tempistica, della definizione del contenuto dei bandi, nonché dell’onerosità delle concessioni messe a gara nel settore idroelettrico, in quanto volta a garantire e promuovere la concorrenza in modo uniforme sull’intero territorio nazionale (cfr., ex multis, Corte costituzionale, sentenza n. 28/2014).

La frammentazione normativa derivante dall’adozione di discipline regionali non omogenee, innalzando i costi di partecipazione alle gare, è idonea ad alterare il confronto concorrenziale, in particolar modo a danno degli operatori di minori dimensioni, nonché a creare un’artificiale compartimentazione territoriale nella produzione energetica da fonte idroelettrica, che costituisce parte del più ampio mercato nazionale della generazione elettrica.

Con specifico riguardo alla definizione delle modalità di assegnazione delle concessioni, l’Autorità auspica, innanzitutto, che venga individuata una procedura equa, non discriminatoria e trasparente come modalità ordinaria di assegnazione delle concessioni. In secondo luogo, la garanzia di massima partecipazione e di parità di condizioni tra partecipanti richiede un attento vaglio dei criteri di quantificazione dei canoni concessori e dei criteri per l’ammissione alla procedura di assegnazione, affinché non risultino ingiustificatamente gravosi in termini di requisiti tecnici ed economici, tali da costituire una barriera all’accesso non necessaria né proporzionata alla selezione di un operatore qualificato. Nello stesso senso, deve essere evitata l’introduzione di misure che possano impropriamente avvantaggiare il gestore uscente. In particolare si deve assicurare una corretta quantificazione delle somme spettanti al gestore uscente per l’eventuale utilizzo dei beni di cui all’articolo 25, comma 2, del Testo Unico delle Acque (R.D. n. 1775/1933) all’atto del trasferimento del ramo d’azienda idroelettrico in favore dell’eventuale nuovo entrante. A tale riguardo, sussiste, nel settore in esame, un problema di conflitto di interessi, in considerazione della frequente coincidenza, in capo a Regione o Provincia Autonoma, dei ruoli di Legislatore, Stazione appaltante e gestore uscente (sovente società partecipata direttamente o indirettamente dalla Regione o dalla Provincia Autonoma o da altri Enti locali): le Province Autonome e le Regioni devono, pertanto, evitare l’introduzione, anche surrettizia, di misure di protezione e/o agevolazione delle società dalle stesse partecipate, a maggior ragione se si tratta di gestori incumbent.

Nel settore della generazione idroelettrica, si propone di:

1. rivedere l’attuale assetto normativo delle procedure di assegnazione delle concessioni di grande derivazione idroelettrica, basato su discipline regionali, definendo viceversa procedure uniche per tutto il territorio nazionale in ossequio all’articolo 117, comma 2, lett. e), della Costituzione, che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale la materia della tutela della concorrenza;

2. individuare come modalità ordinaria di assegnazione delle concessioni procedure eque, non discriminatorie e trasparenti, assicurando la massima partecipazione, a parità di condizioni tra i partecipanti, tramite l’adeguata quantificazione dei canoni concessori e requisiti di ammissione che non risultino ingiustificatamente gravosi né discriminatori in favore del gestore incumbent.

 

Nel PNRR si osserva a pagina 76 che in materia di concessioni di grande derivazione idroelettrica, occorre modificare la relativa disciplina al fine di favorire, secondo criteri omogenei, l’assegnazione trasparente e competitiva delle concessioni medesime, anche eliminando o riducendo le previsioni di proroga o di rinnovo automatico, soprattutto nella prospettiva di stimolare nuovi investimenti (legge annuale 2021 ovvero altro provvedimento da adottare entro il 2022).


Articolo 6
(Delega in materia di servizi pubblici locali)

 

 

L’articolo 6, comma 1, reca la delega al Governo per il riordino della materia dei servizi pubblici locali, da esercitare anche tramite l’adozione di un apposito testo unico. Nell'esercizio della delega, il Governo è tenuto ad attenersi ai principi e ai criteri direttivi di cui al comma 2.

Il decreto delegato è approvato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge. Nella relativa procedura di adozione, si prevede il parere o l'intesa in sede di Conferenza unificata a seconda degli ambiti materiali contenuti nel provvedimento (comma 3). Non è invece contemplato alcun coinvolgimento del Parlamento.

 

Preliminarmente si osserva che la ratio dell'intervento normativo, nonché i principi e i criteri direttivi (infra) paiono porsi in linea con talune indicazioni contenute nella Relazione annuale sull'attività svolta dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato del 31 marzo 2021, che sollecita alcuni interventi sulla disciplina vigente in materia[1].

Nel segnalare l'esigenza di puntare ad un sistema efficiente di erogazione di servizi pubblici locali anche al fine di far sì che il settore costituisca un fattore di spinta della produttività e degli investimenti, nonché, più in generale, per la crescita  del prodotto pro capite, la Relazione richiama la centralità "della chiarezza delle regole" rilevando che "il quadro normativo in materia di servizi pubblici locali è disaggregato e complesso, e [che] si è stratificato nel tempo a causa di una iperproduzione legislativa, con interventi non omogenei tra loro - molti dei quali realizzati attraverso la decretazione d’urgenza - dovuti anche alla necessità di armonizzare la normativa nazionale con i principi dell’ordinamento UE, di un’abrogazione referendaria, nonché di una consistente attività ermeneutica da parte della giurisprudenza, anche costituzionale". Partendo da tali considerazioni, l'Autorità rileva l’esigenza di adottare un testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale, che disciplini in maniera organica le modalità di affidamento di tutti i servizi pubblici locali e la relativa gestione. Oltre al tema di una normazione univoca, nella Relazione si segnala un inadeguato livello concorrenziale nel settore in esame, in termini di concorrenza sia "nel mercato", sia "per il mercato". Sussistono pertanto, ad avviso dell'Autorità, margini per migliorare qualità e produttività dei servizi pubblici locali attraverso maggiore concorrenza.

Sul punto, la Corte dei Conti, nella propria Relazione sugli organismi partecipati dagli enti territoriali e sanitari di fine 2019 - richiamata anche dalla stessa Autorità garante - dà conto di una netta prevalenza di affidamenti in house: su un totale di 14.626 affidamenti, quelli assegnati a conclusione di gare con impresa terza risultano pari a 878 (pari a circa il 6 per cento). Anche gli affidamenti a società mista, con gara a doppio oggetto, sono in numero contenuto (pari a 178).

Il ricorso al mercato è spesso osteggiato - come rileva l'Autorità - dal controllo economico e politico che gli enti locali tendono a conservare sui servizi delle proprie partecipate, da fenomeni di "cattura del regolatore", nonché dal timore delle implicazioni sociali che potrebbero conseguire ricorrendo al mercato. L'inefficienza da un punto di vista economico di un  ricorso pervasivo all'affidamento c.d. in house providing viene spiegato dall'Autorità con la circostanza che esso si "realizza spesso a favore di società prive dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla normativa ovvero in assenza di adeguata motivazione circa la convenienza della forma di affidamento prescelta", mentre risulterebbe necessario fondare tale scelta "su valutazioni di carattere sostanziale ed economico, svolgendo un'effettiva indagine comparativa per stabilire l’opportunità di ricorrere alla forma di affidamento in-house, e rendendo trasparente e tempestivo il processo d’individuazione del modello più efficiente ed economico alla luce di una valutazione di tutti gli interessi pubblici e privati coinvolti".

Il perseguimento degli obiettivi di efficacia ed efficienza dovrebbe riguardare anche il settore delle concessioni, e in proposito l'Autorità rileva che anche in tale ambito il ricorso al mercato è spesso ostacolato dai timori circa l’impatto sociale che gli affidamenti competitivi comporterebbero. Tale timore potrebbe essere fugato introducendo disposizioni che riconoscano forme di indennizzo a tutela degli investimenti effettuati dai concessionari uscenti. Come rileva ancora l'Autorità, negli "ultimi anni, piuttosto che ampliare le opportunità di ingresso di nuovi operatori, una serie di interventi ha mantenuto ingessata la struttura di molti mercati, con profili di incompatibilità con il diritto europeo".

 

Il comma 2 reca un elenco di principi e criteri direttivi che presentano talune affinità con i criteri e i principi di cui all'articolo 19 della legge n.124 del 2015 di delega legislativa per il riordino dei servizi pubblici locali, non esercitata entro i prescritti termini (v.infra).

Nella tabella in calce alla presente scheda si propone un raffronto fra i principi e criteri direttivi recati nel testo in esame e quelli nel citato articolo 19 della legge n.124 del 2015.

 

 

Nel corso della XVII Legislatura era stata conferita una delega al Governo per il riordino dei servizi pubblici locali di interesse economico generale, che non venne tuttavia esercitata nei prescritti termini. La legge 7 agosto 2015, n. 124 ("Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche"), ai sensi del combinato disposto degli articoli 16 e 19, aveva infatti conferito siffatta delega. Il Governo, in attuazione di tale delega, presentò entro i termini uno schema di decreto legislativo (Atto del Governo n.308[2]) recante il "Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale". Tale provvedimento mirava  - come rilevato dal Governo nella relazione illustrativa - a dettare una “disciplina generale organica” del settore dei servizi pubblici locali, attraverso un riordino dell’attuale quadro normativo che è “il risultato di una serie di interventi disorganici che hanno oscillato tra la promozione delle forme pubbliche di gestione e gli incentivi più o meno marcati all’affidamento a terzi mediante gara”[3].

Su tale provvedimento si registrò un orientamento favorevole delle Commissioni parlamentari coinvolte: in Senato, la Commissione affari costituzionali e la Commissione bilancio espressero, rispettivamente, un parere favorevole con condizioni e osservazioni e un parere non ostativo. Alla Camera, la Commissione affari costituzionali e la Commissione bilancio espressero, rispettivamente, un parere favorevole con condizioni ed osservazioni e un parere favorevole.

Nonostante ciò il Governo non ritenne di approvare in via definitiva il decreto legislativo essendo nel frattempo intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n.251 del 2016[4].

 

Il primo dei principi e criteri direttivi contenuti nel comma 2 in esame consiste nell'invarianza degli oneri per la finanza pubblica (comma 2, alinea).

A seguire sono elencati (all'articolo 2, dalla lettera a) alla lettera z)) i seguenti principi e criteri, che si ritiene opportuno raggruppare nei seguenti ambiti:

 

·       Definizione delle attività di interesse generale

 

Si prevede (al comma 2, lettera a)) l'individuazione delle attività di interesse generale il cui svolgimento e? necessario al fine di assicurare la soddisfazione delle esigenze delle comunità locali, in condizioni di accessibilità fisica ed economica, di continuità, universalità e non discriminazione, e dei migliori livelli di qualità e sicurezza, cosi? da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale e territoriale. Al riguardo, la disciplina viene esercitata nell’ambito della competenza esclusiva statale di cui all’articolo 117, secondo comma, della Costituzione.

Nello specifico, la norma: i) richiama l'art.117, secondo comma, lettera p), relativa (fra l'altro) alla competenza legislativa dello Stato per la definizione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; ii) specifica che tale competenza va esercitata nel rispetto della "tutela della concorrenza" e dei principi e dei criteri dettati dalla normativa dell'Unione europea e dalla legge statale. Al riguardo, si rammenta che la materia "tutela della concorrenza" è fra quelle attribuite, ai sensi della lettera e) del medesimo articolo 117, secondo comma, Cost., alla competenza esclusiva dello Stato.

·       Misure dirette a favorire il ricorso al mercato

In tale ambito rilevano:

- la definizione dei criteri per l’istituzione di regimi speciali o esclusivi. Nello specifico, si chiede che nella delega si disciplini tale ambito tenendo conto dei principi di adeguatezza e proporzionalità e in conformità alla normativa europea. L'obiettivo è il superamento dei regimi di esclusiva non conformi con tali principi e, comunque, non indispensabili per assicurare la qualità e l’efficienza del servizio (comma 2, lettera c));

- la previsione di condizioni stringenti volte alla verifica dell'economicità e dell'efficienza del modello in house. Tale principio si inserisce in un quadro normativo europeo che, come noto, riconosce il diritto delle autorità nazionali di decidere in ordine alle modalità di gestione dei servizi di interesse pubblico ritenute più opportune per l'esecuzione di lavori e la fornitura di servizi e lo declina nel senso di privilegiare il ricorso al mercato. Tale impostazione, che mira a rendere più rigorose le procedure per il ricorso all'in house providing, come si dirà meglio a seguire, ha superato il vaglio di costituzionalità da parte della Corte costituzionale (si veda la sentenza n.100 del 2020 relativa all'art.192 del Codice degli appalti).

Sotto tale profilo rileva l'individuazione, fra i criteri e principi direttivi:

i) di uno specifico obbligo motivazionale, in capo all'ente locale, nel caso in cui opti per il modello dell’autoproduzione in luogo del ricorso al mercato (comma 2, lettera f)). In particolare, fatto salvo il divieto di artificioso frazionamento delle prestazioni, nella delega occorrerà prevedere che, per gli affidamenti di importo superiore alle soglie di rilevanza comunitaria (di cui all’articolo 35[5] del Codice dei contratti pubblici - decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), di una motivazione, da parte dell’ente locale, per la scelta o la conferma del modello dell’autoproduzione ai fini di una efficiente gestione del servizio. Tale motivazione, che si prevede essere "anticipata e qualificata", deve contenere le ragioni "che, sul piano economico, degli investimenti e della qualità e dei costi dei servizi per gli utenti" giustificano il mancato ricorso al mercato. A tal riguardo la scelta di una gestione in house dovrà essere fondata su argomentazioni che tengano conto dei risultati conseguiti nelle pregresse gestioni in autoproduzione.

Tale previsione è già contenuta nell'articolo 192 del Codice dei contratti già impone un onere rafforzato per legittimare il ricorso all'in house providing.

 

All'articolo 192, comma 2, si dispone infatti che ai fini dell'affidamento in house di un contratto avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell'offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all'oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche.

Si coglie l'occasione per segnalare che la Consulta (v. sentenza 100 del 2020), nel dichiarare l'infondatezza di una questione di legittimità promossa nei confronti di tale disposizione, segnala che il maggior rigore contenuto nell'art.192 non si pone in contrasto con la disciplina europea che, essendo diretta a favorire l'assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile da parte degli Stati membri. Nella stessa direzione il Consiglio di Stato (v. sent. 2102 del 12 marzo 2021) sottolinea come la motivazione rafforzata richiesta per l'autoproduzione "risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa e della tutela della concorrenza".

 

La disposizione in esame parrebbe porsi in linea anche con l'art.5 del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al D.lgs. n.175 del 2016, che impone oneri di motivazione nel caso in cui l'ente intenda costituire una società partecipata.

Nello specifico, l'atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica - anche nei casi di costituzione di una società mista pubblico-privata o di acquisto di partecipazioni, anche indirette, da parte di amministrazioni pubbliche in società già costituite - deve essere analiticamente motivato con riferimento alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali (di cui all'articolo 4 del medesimo provvedimento), evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato. La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con i princìpi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa.

ii) dell'obbligo in capo all'ente locale che decida di optare per il richiamato affidamento in house di trasmettere tempestivamente tale decisione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (comma 2, lettera g)).

Al riguardo, la disposizione non attribuisce alcuna specifica competenza in capo all'Autorità, se non quella di ricevere tale documentazione.

Si valuti un approfondimento al riguardo.  

iii) della previsione che nell'assolvimento dell’obbligo di procedere alla revisione periodica delle partecipazioni pubbliche (di cui all’articolo 20 del decreto legislativo n. 175 del 2016), si tenga conto delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificano il mantenimento dell’autoproduzione anche in relazione ai risultati conseguiti nella gestione.

Al riguardo, si rammenta che il citato testo unico in materia di società a partecipazione pubblica prevede, all'articolo 20, disposizioni in materia di razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche. Nello specifico, le amministrazioni pubbliche sono chiamate ad effettuare, con cadenza annuale, un'analisi dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, predisponendo, ove ricorrano i presupposti di legge (v. art. 20, comma 2), un piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione. Ai sensi del comma 2 si specifica che i piani di razionalizzazione (da corredare con relazione tecnica che indichi modalità e tempi di attuazione dei medesimi piani) sono adottati qualora si ricada in una delle seguenti condizioni:

a) partecipazioni societarie che non rientrino negli ambiti di attività che ai sensi (dell'articolo 4) del testo unico in materia di società a partecipazione giustifichino la costituzione di società pubbliche, nonché l'acquisto o il mantenimento di partecipazioni societarie[6];

b) società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;

c) partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali;

d) partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro;

e) partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d'interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti;

f) necessità di contenimento dei costi di funzionamento;

g) necessità di aggregazione di società aventi ad oggetto le attività consentite (ai sensi del citato articolo 4 del testo unico).

Tenuto conto dei contenuti dell'articolo 20 del citato testo unico, la disposizione in esame parrebbe imporre all'ente locale l'obbligo di dar conto, in sede di definizione dell'analisi annuale dell'assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette, anche delle ragioni che giustificano il mantenimento dell’autoproduzione anche in relazione ai risultati conseguiti nella gestione. Non pare invece che tale disposizione sia idonea ad incidere, in funzione integrativa, sulle condizioni (elencate, come illustrato, all'art.20, comma 2) al verificarsi delle quali l'ente è tenuto a razionalizzare, fondere o sopprimere tali società.

Qualora si ritenesse opportuno, di contro, incidere anche su tale aspetto, prevedendo cioè che l'ente locale sia tenuto alla razionalizzazione delle società dallo stesso partecipate per le quali non risulti conveniente il ricorso ad affidamenti in house, si valuti la possibilità di integrare la disposizione in commento;

iv) di sistemi di monitoraggio dei costi ai fini del mantenimento degli equilibri di finanza pubblica e della tutela della concorrenza, nell’ipotesi di ricorso da parte dell’ente locale al modello dell’autoproduzione (comma 2, lettera h)).

La disposizione non precisa se l'istituzione di tale sistema di monitoraggio costituisca un obbligo in capo all'ente locale o se si preveda una forma di coinvolgimento di soggetti terzi, fra cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, alla quale peraltro sono trasmesse (ai sensi della citata lettera g)) le decisioni da parte dell'ente locale di ricorso all'autoproduzione) e l'Autorità nazionale anticorruzione[7], che potrebbe essere opportuna tenuto conto che una delle finalità del sistema di monitoraggio è la tutela della concorrenza.

Anche su tale ambito si valuti un approfondimento.

 

·       Ambiti territoriali ottimali e incentivi alle gestioni aggregate

Si dispone, al riguardo, la definizione dei criteri per l’ottimale organizzazione territoriale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, con la specificazione che tale disciplina dovrà prevedere anche l’armonizzazione delle normative di settore. In tale ottica, tenuto conto che un ambito ottimale richiede una gestione aggregata a livello sovracomunale, almeno nelle realtà territoriali minori, fra i principi e criteri direttivi è presente anche la previsione di incentivi e meccanismi di premialità al fine di  favorire l’aggregazione delle attività e delle gestioni dei servizi a livello locale (comma 2, lettera d)); si segnala che le disposizioni riferite all'ambito materiale in esame  (unitamente a quelle di cui alla lettera o)) sono le sole per le quali è prevista, nell'ambito della procedura di approvazione del decreto delegato, la previa intesa in sede Conferenza unificata.

 

·       Razionalizzazione e armonizzazione delle normative vigenti

In tale ambito, si segnalano:

-        la razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di affidamento e di gestione dei servizi pubblici, nonché la durata dei relativi rapporti contrattuali. Al riguardo, siffatta razionalizzazione è operata nel rispetto dei principi dell’ordinamento europeo e dei principi di proporzionalità e ragionevolezza (comma 2, lettera e));

-        l'estensione anche al settore del trasporto pubblico locale della disciplina, applicabile ai servizi pubblici locali, relativa alla scelta della modalità di gestione del servizio e di affidamento dei contratti (comma 2, lettera m));

-        la revisione delle discipline di settore, con particolare riferimento al settore dei rifiuti e alla gestione del servizio idrico, al fine di assicurarne l’armonizzazione e il coordinamento (comma 2, lettera n));

-        il coordinamento della disciplina dei servizi pubblici locali con la normativa in materia di contratti pubblici e in materia di società "in" (rectius "a") partecipazione pubblica per gli affidamenti in auto-produzione (comma 2, lettera p)). Quanto alla disciplina in materia di contratti pubblici, essa è essenzialmente contenuta nel citato Codice degli appalti, di cui al d.lgs. n.50 del 2016; mentre quella sulle società a partecipazione pubblica è contenuta nel richiamato d.lgs. 175 del 2016.

 

·       Riordino delle competenze

Tale finalità è perseguita tramite i richiami:

-        alla razionalizzazione della ripartizione dei poteri di regolazione e di controllo sia con riferimento ai diversi livelli di governo (con particolare riguardo alle amministrazioni locali e alle autorità indipendenti), sia nell'ambito del livello di governo locale stesso. Quanto a tale ultimo aspetto si prevede la separazione, a livello locale, tra le funzioni di regolazione dei servizi e le funzioni di diretta gestione degli stessi (comma 2, lettera b));

-        alla razionalizzazione della disciplina e dei criteri per la definizione dei regimi tariffari. Tale intervento dovrà mirare anche ad assicurare una più razionale distribuzione delle competenze tra autorità di indipendenti ed enti locali (comma 2, lettera r)).

 

·       Rafforzamento della trasparenza

Si premette che tale obiettivo è perseguito indirettamente anche nell'ambito di alcuni criteri e principi direttivi già richiamati che mirano ad altre finalità. Si pensi in proposito, ad esempio, alla previsione dell'obbligo motivazionale, posto in capo all'ente locale, nel caso in cui quest'ultimo opti per il modello dell’autoproduzione in luogo del ricorso al mercato (comma 2, lettera f)) e al contestuale vincolo di trasmissione di tale determinazione alla richiamata Autorità garante (lettera g)). Quanto alle disposizioni che mirano più direttamente a garantire la trasparenza, si segnalano le lettere u), s), t) (per uno specifico aspetto) g)) del comma 2 in materia di:

-        rafforzamento della trasparenza e della comprensibilità degli atti e dei dati concernenti la scelta del regime di gestione, la regolazione negoziale del rapporto tramite contratti di servizio, il concreto andamento della gestione dei servizi pubblici locali dal punto di vista sia economico sia della qualità dei servizi e del rispetto degli obblighi di servizio pubblico. In proposito, si prevede che tale rafforzamento avvenga anche tramite il ricorso a banche dati nazionali già costituite (comma 2, lettera u));

-        la definizione di strumenti per la trasparenza dei contratti di servizio nonché introduzione di contratti di servizio tipo (comma 2, lettera z));

-        l'individuazione delle modalità per assicurare talune forme di trasparenza dell'attività posta in essere dai soggetti affidatari. Al riguardo, nella normativa di delega, il Governo è chiamato a disciplinare le modalità con cui tali soggetti provvedono alla pubblicazione di dati dai quali si possa avere contezza: della qualità del servizio; del livello degli investimenti effettuati annualmente; della programmazione dei medesimi investimenti sino al termine dell’affidamento (comma 2, lettera s));

-        nell'ambito del richiamato obbligo di trasmissione all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, da parte dell'ente locale, della decisione di ricorrere al modello dell'autoproduzione, si inserisce la previsione di una razionalizzazione della disciplina vigente sugli oneri di trasparenza in relazione agli affidamenti in house (comma 2, lettera g));

-        il coinvolgimento degli utenti nella fase di definizione della qualità, degli obiettivi e dei costi del servizio pubblico locale e, conseguentemente, il rafforzamento degli strumenti di tutela attivabili da parte degli utenti. A tale ultimo riguardo si specifica la possibilità di prevedere meccanismi non giurisdizionali (comma 2, lettera t)).

 

In materia, giova peraltro segnalare che l'art.29 del d.lgs. n.50 del 2016 reca disposizioni sulla trasparenza in relazione (anche) agli affidamenti.

Il comma 1, nello specifico, dispone che tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonché alle procedure per l'affidamento e l'esecuzione di appalti pubblici di servizi, forniture, lavori e opere, di concorsi pubblici di progettazione, di concorsi di idee e di concessioni, compresi quelli tra enti nell'ambito del settore pubblico, alla composizione della commissione giudicatrice e ai curricula dei suoi componenti  - ove non considerati riservati ovvero secretati - devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione "Amministrazione trasparente". Nella stessa sezione sono pubblicati anche i resoconti della gestione finanziaria dei contratti al termine della loro esecuzione.

 

·       Rimozione di alcune cause che ostacolano gli affidamenti competitivi

Come anche segnalato nella richiamata Relazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, l'ingresso di nuovi operatori nel mercato e gli affidamenti competitivi possono essere ostacolati dal timore di ripercussioni sociali, sia di tipo occupazionale (con la perdita di posti di lavoro delle professionalità impegnate nella società precedente affidataria), sia di tipo equitativo nei casi in cui a fronte di investimenti effettuati nell'interesse pubblico da parte di concessionari uscenti non sia possibile assicurare loro forme di adeguato indennizzo.

A tal riguardo, si segnalano le disposizioni di cui al comma 2, lettere l) e q). Nello specifico:

-        il Governo dovrà prevedere una disciplina che si faccia carico di tutelare l'occupazione di coloro che prestano la propria attività presso le società in house nel caso in cui l'ente locale, non rinnovando l'appalto nei confronti di tale società, opti per il ricorso al mercato per la gestione dei servizi pubblici locali (comma 2, lettera l)). In tal caso, la norma prevede che si preveda anche l’impiego di apposite clausole sociali.

Quello della clausola sociale è un istituto - previsto nei bandi o negli inviti da parte della stazione appaltante - che mira alla salvaguardia dei livelli occupazionali e delle condizioni di lavoro dei lavoratori impiegati dal precedente aggiudicatario.

L'art. 50 del citato Codice degli appalti (di cui al d.lgs. n.50 del 2016) stabilisce che per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell'Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l'applicazione, da parte dell'aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore (di cui all'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81). I servizi ad alta intensità di manodopera sono quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell'importo totale del contratto.

I contorni dell'istituto sono stati delineati in via giurisprudenziale.

In proposito, è stato affermato (ex multis, Consiglio di Stato, n. 6148 del 12 settembre 2019) come la clausola non comporti “alcun obbligo per l’impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato ed in forma automatica e generalizzata, nonché alle medesime condizioni, il personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria, ma solo che l’imprenditore subentrante salvaguardi i livelli retributivi dei lavoratori riassorbiti in modo adeguato e congruo”, sicché “l’obbligo di garantire ai lavoratori già impiegati le medesime condizioni contrattuali ed economiche non è assoluto né automatico”; in altra occasione (Consiglio di Stato, 16 gennaio 2020, n. 389) è stato precisato che sull’aggiudicatario non grava “l’obbligo di applicare ai lavoratori esattamente le stesse mansioni e qualifiche che avevano alle dipendenze del precedente datore di lavoro”;

 

-        nell'ambito della revisione della disciplina dei regimi di proprietà e di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, l'Esecutivo è chiamato ad assicurare, al contempo, un’adeguata valorizzazione della proprietà pubblica e un’adeguata tutela del gestore uscente (comma 2, lettera q)). In proposito, la tutela nei confronti del gestore uscente parrebbe evocare l'esigenza di forme di indennizzo per gli investimenti eventualmente effettuati nell'interesse pubblico, sollecitata dalla stessa Autorità garante per la concorrenza e il mercato (v. supra).

 

·       Razionalizzazione del rapporto tra la disciplina dei servizi pubblici locali e la disciplina per l’affidamento dei rapporti negoziali di partenariato regolati dal Codice del terzo settore

La disposizione (comma 2, lettera o)) si limita a prevedere che tale attività di razionalizzazione debba avvenire in conformità agli indirizzi della giurisprudenza costituzionale.

Si segnala che l'articolo 56 del Codice del terzo settore, di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, consente alle amministrazioni pubbliche di sottoscrivere con le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale, iscritte (da almeno sei mesi) nel Registro unico nazionale del Terzo settore, convenzioni finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato. Dette convenzioni possono prevedere esclusivamente il rimborso a tali organizzazioni e associazioni delle spese effettivamente sostenute e documentate. L'individuazione delle organizzazioni e delle associazioni con cui stipulare la convenzione è compiuta nel rispetto dei principi di imparzialità, pubblicità, trasparenza, partecipazione e parità di trattamento, mediante procedure comparative riservate alle medesime. Le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale devono essere in possesso dei requisiti di moralità professionale, e dimostrare adeguata attitudine, da valutarsi in riferimento alla struttura, all'attività concretamente svolta, alle finalità perseguite, al numero degli aderenti, alle risorse a disposizione e alla capacità tecnica e professionale. Le convenzioni devono, fra l'altro, contenere disposizioni dirette a garantire l'esistenza delle condizioni necessarie a svolgere con continuità le attività oggetto della convenzione, nonché il rispetto dei diritti e della dignità degli utenti, e, ove previsti dalla normativa nazionale o regionale, degli standard organizzativi e strutturali di legge.

Si vedano altresì le linee guida sul rapporto tra Pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore adottate con D.M. 31 marzo 2021, n. 72.

Per quanto riguarda gli indirizzi della giurisprudenza costituzionale in materia, si segnala l'inquadramento dell'art. 118, quarto comma, Cost., in termini di valorizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale[8].

La Corte costituzionale, nello specifico, ha affermato che l'art.118 Cost. esplicita le implicazioni di sistema derivanti dal riconoscimento della «profonda socialità» che connota la persona umana (sentenza n. 228 del 2004) e della sua possibilità di realizzare una «azione positiva e responsabile» (sentenza n. 75 del 1992). La disposizione costituzionale intende superare l’idea per cui solo l’azione del sistema pubblico è intrinsecamente idonea allo svolgimento di attività di interesse generale e riconosce che tali attività ben possono, invece, essere perseguite anche da una «autonoma iniziativa dei cittadini» che, in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, risulta ancora oggi fortemente radicata nel tessuto comunitario del nostro Paese (sentenza n. 75 del 1992)[9].

Per quanto di particolare interesse in questa sede (nel silenzio della relazione illustrativa), la Corte costituzionale, nella sentenza n.131 del 2020, ha affermato che tra i soggetti pubblici e gli enti del terzo settore si instaura (in forza dell’art. 55 del Codice del terzo settore) "un canale di amministrazione condivisa, alternativo a quello del profitto e del mercato: la «co-programmazione», la «co-progettazione» e il «partenariato» (che può condurre anche a forme di «accreditamento») si configurano come fasi di un procedimento complesso espressione di un diverso rapporto tra il pubblico ed il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico.

 

·       Regime transitorio

Nell'esercizio della delega, il Governo è chiamato a prevedere una disciplina transitoria che individui termini e modalità per "l’adeguamento degli affidamenti in essere ai criteri relativi alla scelta della modalità di gestione di cui alla lettera f), al fine di garantire la tutela della concorrenza"(comma 2, lettera v), prima parte del primo periodo).

In proposito, la formulazione letterale della norma non chiarisce quali siano le implicazioni dell'espressione "adeguamento degli affidamenti in essere" tenuto conto che la richiamata lettera f) prevede "una motivazione anticipata e qualificata [..] da parte dell'ente locale [..] per la scelta o la conferma del modello dell'autoproduzione ai fini di un'efficiente gestione del servizio, che dia conto delle ragioni che [..] giustificano il mancato ricorso al mercato". Al riguardo, si valuti l’opportunità di chiarire se l'ente affidante, nel caso in cui non sia in grado di individuare una motivazione qualificata circa la convenienza dell'affidamento in house in corso, sia tenuto a (o abbia la facoltà di) revocare l'affidamento stesso.

La disposizione non chiarisce altresì se la motivazione qualificata debba o meno riferirsi al contesto esistente al momento in cui è avvenuto l'affidamento o ad un momento successivo. Si valuti un approfondimento anche sotto tale profilo.

In tale contesto, si demanda all'Esecutivo la definizione dei relativi interventi sostitutivi (rectius dei criteri e delle modalità con cui tali interventi sono adottati) ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione (comma 2, lettera v), seconda parte del primo periodo).

Il riferimento è inequivocabilmente al secondo comma dell'articolo 120 (si valuti una precisazione in proposito) a norma del quale il Governo può sostituirsi a organi - per quanto qui rileva - delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.

 

Il comma 3 definisce la procedura per l'adozione del decreto legislativo in esame.

Si premette che, a differenza della richiamata delega di cui alla legge n.124 del 2015 in materia di servizi pubblici locali, nella delega in esame: i) non è previsto il parere delle Commissioni parlamentari; ii) non è previsto il parere del Consiglio di Stato; iii) su alcuni ambiti si richiede l'intesa, e non un mero parere, alla Conferenza unificata (v.infra).

 

All'articolo 16, comma 4, L.124/2015 si dispone che i decreti legislativi (incluso quello sui servizi pubblici locali) sono adottati su proposta del Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con i Ministri interessati, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e del parere del Consiglio di Stato, che sono resi nel termine di quarantacinque giorni dalla data di trasmissione di ciascuno schema di decreto legislativo, decorso il quale il Governo può comunque procedere. Lo schema di ciascun decreto legislativo è successivamente trasmesso alle Camere per l'espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari e della Commissione parlamentare per la semplificazione, che si pronunciano nel termine di sessanta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il decreto legislativo può essere comunque adottato.

 

Nello specifico, la procedura delineata dal comma 3 in esame, prevede la previa intesa in sede di "Conferenza di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997" con riguardo alle disposizioni che danno attuazione ai criteri di delega di cui al comma 2, lettere d) e o) e il parere "della Conferenza medesima" sulle restanti disposizioni.

Si segnala che il citato articolo 8 dispone in ordine a due distinte conferenze: la Conferenza Stato-città e autonomie locali (commi 2 e 3) e la Conferenza unificata (commi 1 e 4).

Alla luce della giurisprudenza costituzionale (ex multis, v. sent. n.251 del 2016, v.infra), il soggetto coinvolto nella procedura di adozione del testo parrebbe dover essere la Conferenza unificata.

Si valuti l'opportunità di precisare quale sia l'organo chiamato ad esprimere l'intesa.

 

L'intesa è richiesta sulle parti del decreto legislativo che danno attuazione ai principi e criteri di cui alle lettere d) e o) del comma 2, mentre con riguardo alle altre disposizioni (relative ai principi e criteri di cui alle a), b), c), e), f), g), h), i), l), m), n), p), q), r), s), t), u), v), z)) è richiesto il mero parere.

Con riferimento alla richiamata sentenza n.251 del 2016[10], si segnala che essa ha censurato talune disposizioni della legge n.124 del 2015, incluse quelle (che interessano in questa sede) in materia di servizi pubblici locali di interesse economico generale, in quanto lesive del principio di leale collaborazione, non soddisfatto dalla richiesta di parere nell'ambito del sistema delle Conferenze, in luogo del parere.

La Corte rileva un inscindibile intreccio fra competenze esclusive statali (con riferimento alla materia “tutela della concorrenza”, cui sono riconducibili, fra le altre, le disposizioni sulla soppressione dei regimi di esclusiva non conformi ai principi generali di concorrenza) e competenze regionali residuali (in materia di organizzazione amministrativa cui sono riconducibili, fra le altre, le disposizioni sulla soppressione dei regimi di esclusiva non indispensabili per assicurare la qualità e l’efficienza del servizio, nonché sugli ambiti territoriali ottimali). In presenza di tale intreccio, funzionale al progetto complessivo di riordino del settore, sarebbe stato necessario, ad avviso della Consulta, nel rispetto del principio di leale collaborazione, subordinare l’esercizio della delega alla concertazione con Regioni ed enti locali, attraverso lo strumento dell’intesa in sede di Conferenza unificata, non ritenendo sufficiente il previo parere (previsto dall’articolo 16, comma 4, della legge delega).

Ciò ha condotto la Corte costituzionale a censurare l’art. 19, lettere b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t) e u), nella parte in cui, in combinato disposto con l’art. 16, commi 1 e 4, prevede che il Governo adotti i relativi decreti legislativi attuativi previo parere, anziché previa intesa, in sede di Conferenza unificata.

Si noti che le disposizioni della legge n.124 appena richiamate, oggetto di censura costituzionale per la previsione di un parere e non dell'intesa in sede di Conferenza unificata, investono anche i seguenti ambiti, sostanzialmente contemplai anche nel comma 3 in esame: l'individuazione e allocazione dei poteri di regolazione e controllo tra i diversi livelli di governo e le autorità indipendenti (lettera n)), la distinzione tra le funzioni di regolazione e controllo e le funzioni di gestione dei servizi (lettera l)), la soppressione dei regimi di esclusiva (lettera b)), la revisione della disciplina dei regimi di proprietà e gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro (lettera m)), l'individuazione dei criteri per la definizione dei regimi tariffari (lettera g)), il coinvolgimento e la tutela degli utenti (lettere p), h) e o)), nonché la definizione di strumenti per la trasparenza e la pubblicizzazione dei contratti di servizio (lettera u)).

Si valuti l'opportunità di estendere gli ambiti su cui la Conferenza unificata è tenuta a sancire l'intesa ai sensi del comma 3 in esame alla luce della sentenza della Corte costituzionale e, nello specifico, della declaratoria di incostituzionalità rivolta alle lettere b), g), h), l), n), o), p) e u) dell'articolo 19, comma 1, della legge n.124 del 2016, in combinato disposto con l’articolo 16, commi 1 e 4[11].

 

Il comma 4 reca una clausola di invarianza finanziaria. Dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tale fine, le amministrazioni provvedono agli adempimenti previsti dal decreto legislativo con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 

 

 

 


 

 

Nel nostro ordinamento la disciplina dei servizi pubblici locali di interesse economico generale ha subito numerose modifiche, dovute anche alla necessità di armonizzare la normativa nazionale con i principi comunitari. Negli ultimi anni gli interventi del legislatore si sono concentrati sull'assetto organizzativo per lo svolgimento dei servizi di interesse economico generale. In particolare, è stato introdotto l'obbligo per gli enti locali di partecipare agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali ed è intervenuta la legge Delrio che ha riconosciuto in capo alle città metropolitane la titolarità, quale funzione fondamentale, dei compiti di organizzazione dei servizi di interesse generale di ambito metropolitano. Inoltre con il nuovo Codice appalti è stata rielaborata la disciplina in materia di affidamenti in house per adeguarla alle direttive europee del 2014 in materia di concessioni e appalti dei settori ordinari e speciali.

 

Sulle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali (SPL) di rilevanza economica si sono succedute diverse discipline, specie nel corso della XVI legislatura, nella cui successione temporale si sono inserite sia un'abrogazione referendaria (2011) sia una pronuncia di illegittimità costituzionale (2012). Tali interventi si sono succeduti in un ristretto ambito temporale e sono stati adottati, per lo più, con provvedimenti d'urgenza.

In particolare, il riferimento generale per la disciplina applicabile nell'ordinamento italiano in materia di affidamento del servizio è rappresentato dalla normativa europea (direttamente applicabile) relativa alle regole concorrenziali minime per le gare ad evidenza pubblica che affidano la gestione di servizi pubblici di rilevanza economica (Corte cost., sentenza n. 24 del 2011).

 

La sentenza n. 199 del 2012 della Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, (conv. L. n. 148/2011), nella parte in cui tale disposizione, rubricata come «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum   popolare e alla normativa dall'Unione europea», detta la nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica in luogo dell'art. 23- bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, abrogato a seguito del referendum del 12 e 13 giugno 2011. Secondo la Corte, infatti, costituisce effettivamente ripristino della normativa abrogata, considerato che essa introduce una nuova disciplina della materia, «senza modificare né i principi ispiratori della complessiva disciplina normativa preesistente né i contenuti normativi essenziali dei singoli precetti», in palese contrasto, quindi, con l'intento perseguito mediante il referendum abrogativo.

 

Secondo la normativa dell'Unione europea gli enti locali possono procedere ad affidare la gestione dei servizi pubblici locali attraverso:

§  esternalizzazione a terzi mediante procedure ad evidenza pubblica, secondo le disposizioni in materia di appalti e concessioni di servizi;

§  società mista pubblico-privata, la cui selezione del socio privato avvenga mediante gara a doppio oggetto;

§  gestione diretta da parte dell'ente locale, cosiddetta gestione "in house", purché sussistano i requisiti previsti dall'ordinamento comunitario, e vi sia il rispetto dei vincoli normativi vigenti. In particolare, la giurisprudenza europea consente la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente locale, allorquando l'applicazione delle regole di concorrenza ostacoli, in diritto o in fatto, la «speciale missione» dell'ente pubblico (art. 106 TFUE), alle sole condizioni del capitale totalmente pubblico della società affidataria, del cosiddetto controllo "analogo" (il controllo esercitato dall'aggiudicante sull'affidatario deve essere di "contenuto analogo" a quello esercitato dall'aggiudicante sui propri uffici) ed infine dello svolgimento della parte più importante dell'attività dell'affidatario in favore dell'aggiudicante.

Per i servizi a rete di rilevanza economica il soggetto che affida il servizio deve tener conto sia della disciplina europea sia delle norme nazionali settoriali.

La scelta delle modalità di affidamento del servizio è rimessa dalla normativa vigente all'ente di governo dell'ambito o bacino territoriale, al quale partecipano obbligatoriamente gli enti locali, sulla base di una relazione, da rendere pubblica sul sito internet dell'ente stesso, che deve dare conto "delle ragioni e della sussistenza dei requisiti previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta e che definisce i contenuti specifici degli obblighi di servizio pubblico e servizio universale, indicando le compensazioni economiche (se previste)" (art. 34, co. 20-25, del D.L. n. 179 del 2012, convertito da L. n. 221/2012).

Obiettivi dell'obbligo di pubblicare la relazione sono:

§  il rispetto della disciplina europea;

§  la parità tra gli operatori;

§  l'economicità della gestione;

§  l'adeguata informazione della collettività di riferimento.

Pertanto, la scelta della modalità di affidamento risulta rimessa alla valutazione dell'ente locale, nel presupposto che la discrezionalità in merito sia esercitata nel rispetto dei principi europei; di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Da tale disciplina sono stati espressamente esclusi i servizi di distribuzione di gas naturale e di distribuzione di energia elettrica, nonché quelli di gestione delle farmacie comunali.

Gli enti di governo sono tenuti ad inviare le relazioni all'Osservatorio per i servizi pubblici locali, istituito presso il Ministero dello sviluppo economico (MISE), che provvede a pubblicarle nel proprio portale telematico contenente dati concernenti l'applicazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sul territorio (art. 13, co. 25-bis, D.L. 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 9/2014).

 

La normativa richiamata aveva previsto anche una disciplina transitoria (art. 34, co. 21)[12].

 

Disposizioni particolari sono state stabilite per gli "affidamenti diretti" (cioè senza gara) in essere alla data di entrata in vigore del D.L. n. 179/2012 (18 ottobre 2012), anche se non conformi alla normativa europea. Per questi era inizialmente previsto che cessassero alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto; mentre gli affidamenti che non prevedevano una data di scadenza sarebbero cessati il 31 dicembre 2020 (art. 34, co. 22). Tale particolare regime veniva previsto solo a condizione che gli affidamenti: fossero stati assentiti alla data del 1º ottobre 2003; riguardassero società a partecipazione pubblica già quotate in borsa alla data del 1° ottobre 2003 ovvero società da esse controllate ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile.

A seguito delle procedure di infrazione UE n. 2012/2050 e 2011/4003, nel 2015 il legislatore è nuovamente intervenuto sulla questione, disponendo che: 

a) siano salvi gli affidamenti diretti assentiti a società a partecipazione pubblica già quotate in mercati regolamentati prima del 31 dicembre 2004 e a quelle da esse controllate. Tali affidamenti, come già previsto, cessano alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto, oppure entro il 31 dicembre 2020, se gli affidamenti non prevedono una data di scadenza, improrogabilmente e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante;

b) gli affidamenti diretti a società poste, dopo il 31 dicembre 2004, sotto il controllo di società quotate, a seguito di operazioni societarie effettuate in assenza di procedure conformi alle disposizioni dell'Unione europea, cessano improrogabilmente, e senza necessità di apposita deliberazione dell'ente affidante, il 31 dicembre 2018, oppure alla scadenza prevista nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto, se anteriore al 31 dicembre 2018 (art. 8, L. n. 115/2015, che ha sostituito l'art. 34, co. 22, del D.L. n. 179/2012).

 

Non è invece giunto a conclusione, come anticipato, il tentativo di riordinare in modo organico le disposizioni vigenti in modo da rendere intellegibili le regole applicabili in materia per le amministrazioni e gli operatori del settore. Infatti, la norma di delega per l'adozione di un Testo unico dei servizi pubblici locali (art. 19, L. 124 del 2015) non ha concluso il proprio iter nel corso della XVII legislatura, anche alla luce della citata sentenza n.251 del 2016, che ha censurato l'assenza di un idoneo coinvolgimento del sistema delle conferenze.

 

Quanto al nuovo Codice degli appalti (D.lgs. n. 50/2016), così come modificato dal decreto correttivo (D.lgs. n. 56/2017), sono state recepite le disposizioni in materia di affidamenti in house contenute nelle direttive europee in materia di concessioni e appalti dei settori ordinari e speciali (acqua, energia, trasporti e servizi postali).

Si tratta dell'art. 17 della direttiva 2014/23/UE (Concessioni tra enti nell'ambito del settore pubblico), dell'art. 12 della direttiva 2014/24/UE (Appalti pubblici tra enti nell'ambito del settore pubblico), dell'art. 28 della direttiva 2014/25/UE (Appalti tra amministrazioni aggiudicatrici), i quali - con identiche disposizioni - disciplinano tipologie di concessioni e di appalti che presentano caratteristiche tali da poter essere escluse dall'ambito di applicazione della normativa europea in materia di procedure di affidamento dei contratti pubblici e da consentire il ricorso all'affidamento in house. Tra le disposizioni europee richiamate, la previsione di cui all'art. 12 della direttiva 2014/24/UE, che disciplina l'in house nei settori classici, può essere assunta a paradigma anche per l'in house nell'ambito delle concessioni e dei settori speciali, vista l'identità dei testi normativi specifici. Il citato art. 12 ha definito le condizioni che necessitano ai fini dell'esclusione, dall'ambito di applicazione della direttiva stessa, di un appalto pubblico aggiudicato da un'amministrazione a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato.

 

Già prima della codificazione normativa europea, la giurisprudenza europea e quella nazionale avevano avuto modo di elaborare indici identificativi da utilizzare per verificare la legittimità del ricorso all'in house providing: la totale partecipazione pubblica; il controllo analogo, anche congiunto nel caso di affidamento in house in favore di società partecipata da più enti pubblici; la prevalenza dell'attività con l'ente affidante. La formulazione della disciplina dell'in house recata dalle citate direttive ha recepito la giurisprudenza della Corte di Giustizia sui requisiti dell'in house, introducendo, tuttavia, alcune innovazioni, che sono state diffusamente illustrate, tra gli altri, nel parere del Consiglio di Stato n. 298/2015.

Il nuovo Codice, recependo i presupposti elaborati nel corso degli anni dalla giurisprudenza comunitaria in materia di affidamenti diretti e i princìpi contenuti nelle citate Direttive, disciplina tutti i presupposti per gli affidamenti in house (art. 5). Accanto a ciò il Codice prevede che, per poter legittimamente affidare un contratto con modalità in house, avente ad oggetto servizi disponibili sul mercato in regime di concorrenza, le stazioni appaltanti devono effettuare preventivamente una valutazione della congruità economica dell'offerta formulata del soggetto in house, avendo riguardo all'oggetto e al valore della prestazione (art. 192).

 

Inoltre è disposta l'istituzione presso l'ANAC dell'elenco delle stazioni appaltanti che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house. L'iscrizione in tale elenco deve avvenire secondo le modalità e i criteri definiti dall'ANAC e consente di procedere mediante affidamenti diretti dei contratti. Le linee guida adottate dall'Autorità prevedono anche che, con riferimento ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, gli enti di governo degli ambiti ottimali istituiti devono richiedere l'iscrizione nell'Elenco, indicando nella domanda di iscrizione gli enti locali partecipanti.

 

Per rendere più efficiente la gestione dei servizi e favorire i processi di aggregazione dei gestori, il legislatore è intervenuto a dettare una disciplina in materia di organizzazione per lo svolgimento dei servizi pubblici locali (art. 3-bis, D.L. n. 138/2011, introdotto dall'art. 25, co. 1, del D.L. n 1/2012). In base a tale disciplina - che si applica solo ai servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica - spetta alle Regioni e alle province autonome il compito di:

·        individuare ambiti o bacini territoriali che consentano di sfruttare economie di scala e di differenziazione. Gli ambiti devono essere: ottimali, omogenei, di dimensione normalmente non inferiore a quella del territorio provinciale. È riconosciuta alle Regioni la possibilità di derogare alla dimensione provinciale, individuando ambiti di dimensione diversa. Ciò purché la scelta sia motivata in base a criteri di differenziazione territoriale e socio economica e rispetto a specifiche caratteristiche del servizio;

·        istituire o designare gli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali. Ad essi la legge riserva in via esclusiva le seguenti funzioni: organizzazione del servizio; scelta della forma di gestione; affidamento della gestione; controllo della gestione; determinazione delle tariffe all'utenza per quanto di competenza (art. 3-bis, comma 1-bis, del D.L. n. 138/2011, introdotto dall'art. 34 del D.L. n. 179/2012).

È, in ogni caso, fatta salva l'organizzazione per ambiti di singoli servizi già prevista da normative di settore e da disposizioni regionali e già avviata mediante costituzione di bacini di dimensioni non inferiori alla dimensione provinciale, anche sulla base di direttive europee.

In base al testo originario del decreto, le regioni avrebbero dovuto provvedere alla definizione del perimetro degli ambiti e alla designazione dei relativi enti di governo entro il 30 giugno 2012, termine la cui inutile decorrenza autorizzava il Consiglio dei Ministri ad esercitare i poteri sostitutivi di cui all'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131 a tutela dell'unità giuridica ed economica.

Nel corso della XVII legislatura, su tale disciplina sono intervenute alcune modifiche. Dapprima il legislatore ha previsto, in caso di mancata istituzione o designazione dell'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale, l'esercizio di poteri sostitutivi da parte del prefetto, in modo da provvedere al compimento degli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014 (art. 13, co. 2, D.L. n. 150/2013).

Successivamente è stato introdotto l'obbligo per gli enti locali di partecipare agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali o omogenei (art. 1, co. 609, L. n. 190/2014). In caso di inottemperanza è attribuito al Presidente della Regione l'esercizio dei poteri sostituitivi, previa diffida all'ente locale ad adempiere entro il termine di trenta giorni. La predisposizione della relazione richiesta dalla legislazione vigente per l'affidamento del servizio viene quindi posta in capo ai suddetti enti di governo; nella relazione è ricompreso anche un piano economico finanziario.

Per quanto riguarda il ruolo degli enti locali, la c.d. legge Delrio, che ha dettato la riforma amministrativo-istituzionale degli enti territoriali, disciplina le funzioni dei "nuovi" enti, alcune delle quali interessano anche i servizi pubblici locali di rilevanza economica. In particolare, le città metropolitane hanno la funzione fondamentale di organizzazione dei servizi di interesse generale di ambito metropolitano, inclusi quelli a rete di rilevanza economica (L. 56/2014, art. 1 co. 44). La legge Delrio impone, inoltre, allo Stato o alle Regioni, in funzione della materia, la soppressione di enti o agenzie (consorzi, società in house) alle quali siano state attribuite funzioni di organizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica in ambito provinciale o sub-provinciale, con contestuale riattribuzione di tali funzioni alle province (art. 1, co. 90).

 

L'ambito di applicazione della disciplina in materia di organizzazione per lo svolgimento dei SPL e, più in generale, delle disposizioni in materia di SPL a rete di rilevanza economica comprende anche il settore dei rifiuti urbani ed i settori sottoposti alla regolazione da parte di un'Autorità indipendente, salvo deroghe espresse (art. 3-bis, co. 6-bis, D.L. 138/2011, introdotto dalla legge di stabilità 2015).

 

 

Criteri e principi direttivi per l'esercizio della delega legislativa di cui all'articolo 6 del presente disegno di legge e quelli di cui all'articolo 19 della legge n. 124 del 2015.

 

Articolo 6

Ddl concorrenza

(AS 2469)

 

Articolo 19

Legge n. 124 del 2015

 

1. Il Governo e? delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo di riordino della materia dei servizi pubblici locali, anche tramite l’adozione di un apposito testo unico.

 

 

2. Il decreto legislativo di cui al comma 1 e? adottato, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

 

 

a) individuazione, nell’ambito della competenza esclusiva statale di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, da esercitare nel rispetto della tutela della concorrenza, dei principi e dei criteri dettati dalla normativa europea e dalla legge statale, delle attività di interesse generale il cui svolgimento e? necessario al fine di assicurare la soddisfazione delle esigenze delle comunità locali, in condizioni di accessibilità fisica ed economica, di continuità, universalità e non discriminazione, e dei migliori livelli di qualità e sicurezza, cosi? da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale e territoriale;

 

1. Il decreto legislativo per il riordino della disciplina in materia di servizi pubblici locali di interesse economico generale è adottato, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi, che si aggiungono a quelli di cui all'articolo 16:

 

a) riconoscimento, quale funzione fondamentale dei comuni e delle città metropolitane, da esercitare nel rispetto dei princìpi e dei criteri dettati dalla normativa europea e dalla legge statale, dell'individuazione delle attività di interesse generale il cui svolgimento è necessario al fine di assicurare la soddisfazione dei bisogni degli appartenenti alle comunità locali, in condizioni di accessibilità fisica ed economica, di continuità e non discriminazione, e ai migliori livelli di qualità e sicurezza, così da garantire l'omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale;

 

 

b) razionalizzazione della ripartizione dei poteri di regolazione e di controllo tra i diversi livelli di governo locale

 

 

 

 

e le autorità indipendenti e previsione della separazione, a livello locale, tra le funzioni regolatorie e le funzioni di diretta gestione dei servizi;

 

n) individuazione e allocazione dei poteri di regolazione e controllo tra i diversi livelli di governo e le autorità indipendenti, al fine di assicurare la trasparenza nella gestione e nell'erogazione dei servizi, di garantire l'eliminazione degli sprechi, di tendere al continuo contenimento dei costi aumentando nel contempo gli standard qualitativi dei servizi;

l) previsione di una netta distinzione tra le funzioni di regolazione e controllo e le funzioni di gestione dei servizi, anche attraverso la modifica della disciplina sulle incompatibilità o sull'inconferibilità di incarichi o cariche;

 

c) definizione dei criteri per l’istituzione di regimi speciali o esclusivi, in base ai principi di adeguatezza e proporzionalità e in conformità alla normativa europea e superamento dei regimi di esclusiva non conformi con tali principi e, comunque, non indispensabili per assicurare la qualità e l’efficienza del servizio;

b) soppressione, previa ricognizione, dei regimi di esclusiva, comunque denominati, non conformi ai princìpi generali in materia di concorrenza e comunque non indispensabili per assicurare la qualità e l'efficienza del servizio;

 

Cfr, in particolare,  lettere b), c) ed  e)

c) individuazione della disciplina generale in materia di regolazione e organizzazione dei servizi di interesse economico generale di ambito locale, compresa la definizione dei criteri per l'attribuzione di diritti speciali o esclusivi, in base ai princìpi di adeguatezza, sussidiarietà e proporzionalità e in conformità alle direttive europee; con particolare riferimento alle società in partecipazione pubblica operanti nei servizi idrici, risoluzione delle antinomie normative in base ai princìpi del diritto dell'Unione europea, tenendo conto dell'esito del referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011;

 

d) definizione dei criteri per l’ottimale organizzazione territoriale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, anche mediante l’armonizzazione delle normative di settore,

 

 

 

e introduzione di incentivi e meccanismi di premialità che favoriscano l’aggregazione delle attività e delle gestioni dei servizi a livello locale; 

d) definizione, anche mediante rinvio alle normative di settore e armonizzazione delle stesse, dei criteri per l'organizzazione territoriale ottimale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica; 

f) introduzione, nell'ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente, di incentivi e meccanismi di premialità o di riequilibrio economico-finanziario nei rapporti con i gestori per gli enti locali che favoriscono l'aggregazione delle attività e delle gestioni secondo criteri di economicità ed efficienza, ovvero l'eliminazione del controllo pubblico;

 

e) razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di affidamento e di gestione dei servizi pubblici, nonché la durata dei relativi rapporti contrattuali, nel rispetto dei principi dell’ordinamento europeo e dei principi di proporzionalità e ragionevolezza;

 

cfr lett.e)

f)         fatto salvo il divieto di artificioso frazionamento delle prestazioni, previsione, per gli affidamenti di importo superiore alle soglie di cui all’articolo 35 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, di una motivazione anticipata e qualificata, da parte dell’ente locale, per la scelta o la conferma del modello dell’autoproduzione ai fini di una efficiente gestione del servizio, che dia conto delle ragioni che, sul piano economico, degli investimenti e della qualità e dei costi dei servizi per gli utenti, giustificano il mancato ricorso al mercato, anche in relazione ai risultati conseguiti nelle pregresse gestioni in autoproduzione;

e) individuazione, anche per tutti i casi in cui non sussistano i presupposti della concorrenza nel mercato, delle modalità di gestione o di conferimento della gestione dei servizi nel rispetto dei princìpi dell'ordinamento europeo, ivi compresi quelli in materia di auto-produzione, e dei princìpi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei princìpi di autonomia organizzativa, economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità;

 

g) previsione dell’obbligo dell’ente locale, nei casi di cui alla lettera f), di trasmettere tempestivamente la decisione motivata di utilizzare il modello dell’autoproduzione all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, anche razionalizzando la disciplina vigente sugli oneri di trasparenza in relazione agli affidamenti in house;

 

 

cfr lettera e)

h) previsione di sistemi di monitoraggio dei costi ai fini del mantenimento degli equilibri di finanza pubblica e della tutela della concorrenza, nell’ipotesi di ricorso da parte dell’ente locale al modello dell’autoproduzione;

 

 

cfr lettera e)

i)         previsione che l’obbligo di procedere alla revisione periodica di cui all’articolo 20 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, tenga conto anche delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificano il mantenimento dell’autoproduzione anche in relazione ai risultati conseguiti nella gestione;

 

 

cfr lettera e)

l) previsione di una disciplina che, in caso di superamento del regime di gestione dei servizi pubblici locali in autoproduzione, assicuri un’adeguata tutela occupazionale anche mediante l’impiego di apposite clausole sociali;

 

t) armonizzazione con la disciplina generale delle disposizioni speciali vigenti nei servizi pubblici locali, relative alla disciplina giuridica dei rapporti di lavoro;

m) estensione, nel rispetto della normativa dell’Unione europea, della disciplina applicabile ai servizi pubblici locali, in materia di scelta della modalità di gestione del servizio e di affidamento dei contratti, anche al settore del trasporto pubblico locale;

 

 

n) revisione delle discipline settoriali in materia di servizi pubblici locali, con particolare riferimento al settore dei rifiuti e alla gestione del servizio idrico, al fine di assicurarne l’armonizzazione e il coordinamento;

i) revisione delle discipline settoriali ai fini della loro armonizzazione e coordinamento con la disciplina generale in materia di modalità di affidamento dei servizi;

 

 

o) razionalizzazione del rapporto tra la disciplina dei servizi pubblici locali e la disciplina per l’affidamento dei rapporti negoziali di partenariato regolati dal decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, in conformità agli indirizzi della giurisprudenza costituzionale;

 

 

p) coordinamento della disciplina dei servizi pubblici locali con la normativa in materia di contratti pubblici e in materia di società in partecipazione pubblica per gli affidamenti in auto-produzione;

 

 

q) revisione della disciplina dei regimi di proprietà e di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, anche al fine di assicurare un’adeguata valorizzazione della proprietà pubblica, nonché un’adeguata tutela del gestore uscente;

m) revisione della disciplina dei regimi di proprietà e gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, in base a princìpi di tutela e valorizzazione della proprietà pubblica, di efficienza, di promozione della concorrenza, di contenimento dei costi di gestione, di semplificazione;

 

r) razionalizzazione della disciplina e dei criteri per la definizione dei regimi tariffari, anche al fine di assicurare una più razionale distribuzione delle competenze tra autorità di indipendenti ed enti locali;

 

g) individuazione dei criteri per la definizione dei regimi tariffari che tengano conto degli incrementi di produttività al fine di ridurre l'aggravio sui cittadini e sulle imprese;

s) previsione di modalità per la pubblicazione, a cura degli affidatari, dei dati relativi alla qualità del servizio, al livello annuale degli investimenti effettuati ed alla loro programmazione sino al termine dell’affidamento;

 

q) promozione di strumenti per supportare gli enti proprietari nelle attività previste all'articolo 18, per favorire investimenti nel settore dei servizi pubblici locali e per agevolare i processi di razionalizzazione, riduzione e miglioramento delle aziende che operano nel settore;

 

t) razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di partecipazione degli utenti nella fase di definizione della qualità, degli obiettivi e dei costi del servizio pubblico locale e rafforzamento degli strumenti di tutela degli utenti, anche attraverso meccanismi non giurisdizionali;

 

p) introduzione e potenziamento di forme di consultazione dei cittadini e di partecipazione diretta alla formulazione di direttive alle amministrazioni pubbliche e alle società di servizi sulla qualità e sui costi degli stessi;

 

h) definizione delle modalità di tutela degli utenti dei servizi pubblici locali;

 

o) previsione di adeguati strumenti di tutela non giurisdizionale per gli utenti dei servizi;

 

u) rafforzamento, anche attraverso banche dati nazionali già costituite, della trasparenza e della comprensibilità degli atti e dei dati concernenti la scelta del regime di gestione, la regolazione negoziale del rapporto tramite contratti di servizio, il concreto andamento della gestione dei servizi pubblici locali dal punto di vista sia economico sia della qualità dei servizi e del rispetto degli obblighi di servizio pubblico;

 

v) definizione di strumenti di rilevazione, anche attraverso banche dati nazionali già costituite, dei dati economici e industriali, degli obblighi di servizio pubblico imposti e degli standard di qualità, nel rispetto dei princìpi dettati dalla normativa nazionale in materia di trasparenza.

v) previsione di una disciplina transitoria che, in sede di prima attuazione, individui termini e modalità per l’adeguamento degli affidamenti in essere ai criteri relativi alla scelta della modalità di gestione di cui alla lettera f), al fine di garantire la tutela della concorrenza, nonché definizione dei relativi interventi sostitutivi ai sensi dell’articolo 120 della Costituzione;

r) previsione di termini e modalità per l'adeguamento degli attuali regimi alla nuova disciplina;

 

s) definizione del regime delle sanzioni e degli interventi sostitutivi, in caso di violazione della disciplina in materia;

 

z) definizione di strumenti per la trasparenza dei contratti di servizio nonché introduzione di contratti di servizio tipo.

 

u) definizione di strumenti per la trasparenza e la pubblicizzazione dei contratti di servizio, relativi a servizi pubblici locali di interesse economico generale, da parte degli enti affidanti anche attraverso la definizione di contratti di servizio tipo per ciascun servizio pubblico locale di interesse economico generale;

 

 


Articolo 7
(Disposizioni in materia di trasporto pubblico locale)

 

 

L’art. 7 reca disposizioni volte a dare seguito all’intenzione legislativa – emersa a più riprese nel recente passato - di mettere a regime il sistema dell’affidamento mediante procedure di pubblica evidenza nel trasporto pubblico locale (TPL).

 

Al proposito, giova ricordare che il TPL – servizio pubblico da ricondursi al diritto di circolazione e di soggiorno di cui all’art. 16 della Costituzione (d’ora innanzi: diritto alla mobilità) – è stato oggetto sull’arco degli anni di ampi studi e riflessioni (come si evince anche dal Considerando 7 del regolamento 2007/1370/CE)[13].

 

Nel Libro bianco della Commissione europea del 12 settembre 2001, intitolato La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte, ha stabilito quale obiettivo principale – per come riportato nel Considerando 4 del medesimo regolamento – “garantire servizi di trasporto passeggeri sicuri, efficaci e di qualità grazie a una concorrenza regolamentata, che assicuri anche la trasparenza e l’efficienza dei servizi di trasporto pubblico di passeggeri, tenendo conto, in particolare, dei fattori sociali, ambientali e di sviluppo regionale, o nell’offrire condizioni tariffarie specifiche a talune categorie di viaggiatori (a esempio, i pensionati), e nell’eliminare le disparità fra imprese di trasporto provenienti da Stati membri diversi che possono alterare in modo sostanziale la concorrenza”.

 

In tempi più recenti e dopo l’emanazione del citato regolamento 2007/1370/CE è stato istituito – con la legge finanziaria per il 2008 (art. 1, comma 300, della legge n. 244 del 2007) – l’osservatorio nazionale sulle politiche del TPL, cui partecipano i rappresentanti dei Ministeri competenti, delle regioni e degli enti locali, al fine di creare una banca dati e un sistema informativo pubblico, correlati a quelli regionali, e di assicurare la verifica dell'andamento del settore e del completamento del processo di riforma

 

Nella scorsa legislatura (la XVII), una ricognizione è stata svolta con l’indagine conoscitiva sul TPL condotta dalla IX Commissione Trasporti della Camera dei deputati e terminata l’8 aprile 2014, con l’approvazione del documento conclusivo.

 

Sul piano normativo, il citato regolamento 2007/1370/CE prevede tre modalità di gestione del servizio del TPL: la gestione diretta dell’ente pubblico territoriale, l’affidamento diretto[14] e la messa a gara, a seconda del livello di equilibrio che i Paesi membri intendano stabilire tra le esigenze di assicurare il diritto alla mobilità e quelle della concorrenza, funzionali al mercato interno.

 

Attualmente, l’ordinamento italiano è impostato sull’affidamento con gara pubblica. Tale opzione risulta dal decreto legge n. 50 del 2017; esso infatti:

-        da un lato, ha novellato l’art. 37 del decreto legge n. 201 del 2011 (c.d. Salva Italia) in ordine ai compiti dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART), prevedendo che esso approvi gli schemi dei contratti di servizio per il TPL nei casi sia di affidamento diretto a società in house sia di gara pubblica (comma 2, lett. f), periodi secondo e terzo);

-        dall’altro, ha inciso sul concorso finanziario dello Stato agli enti locali e territoriali per il TPL.

 

Proprio tale concorso finanziario – in larga misura – costituisce un temperamento alla scelta di propendere per il sistema delle gare pubbliche ed è giustificato dalla considerazione che il diritto alla mobilità rientra tra le prestazioni essenziali, cui deve essere assicurato su tutto il territorio nazionale un livello minimo uniforme (esso rientra, in definitiva, tra i LEP). Il decreto-legge n. 95 del 2012 ha dunque che ha istituito (all’art. 16-bis) il Fondo per il predetto concorso finanziario.

 

Il senso di questa disposizione appare ben spiegato in un passaggio della sentenza della Corte costituzionale n. 137 del 2018: “Tale fondo è istituito dall’art. 16-bis, comma 1, del decreto-legge n. 95 del 2012 è alimentato da una compartecipazione al gettito derivante dalle accise sul gasolio per autotrazione e sulla benzina” (peraltro, questa fonte di finanziamento del fondo è stata modificata proprio dal decreto-legge n. 50 del 2017, n.d.r.). “Il comma 3 dello stesso art. 16-bis prevede che i criteri e le modalità di riparto delle risorse del fondo fra le regioni a statuto ordinario sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa intesa in sede di Conferenza unificata. I criteri di riparto sono diretti a incentivare le regioni e gli enti locali a razionalizzare e favorire un incremento dell’efficienza nella programmazione e gestione dei servizi relativi al trasporto pubblico locale, mediante: un’offerta di servizio più idonea, più efficiente ed economica per il soddisfacimento della domanda di trasporto pubblico; il progressivo incremento del rapporto tra ricavi da traffico e costi operativi; la progressiva riduzione dei servizi offerti in eccesso in relazione alla domanda e un corrispondente incremento qualitativo e quantitativo dei servizi a domanda elevata; la definizione di livelli occupazionali appropriati; la predisposizione di strumenti di monitoraggio e di verifica. Il successivo comma 5 prevede che la ripartizione è operata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare, sentita la Conferenza unificata, entro il 30 giugno di ciascun anno” (v. punto 3 del Considerato in diritto).

 

Orbene, l’art. 27, comma 2, lett. d) del citato decreto-legge n. 50 del 2017 prevede una “riduzione in ciascun anno delle risorse del Fondo da trasferire alle regioni, qualora i servizi di trasporto pubblico locale e regionale non risultino affidati con procedure di evidenza pubblica entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello di riferimento, ovvero ancora non ne risulti pubblicato alla medesima data il bando di gara, nonché nel caso di gare non conformi alle misure di cui alle delibere dell'Autorità di regolazione dei trasporti adottate ai sensi dell'art. 37, comma 2, lettera f)del decreto-legge n. 201 del 2011.

 

L’entrata in vigore di questo sistema di penalizzazione per gli enti che non mettono a gara il servizio di TPL – tuttavia - è stata più volte differita (da ultimo, con il decreto-legge n. 183 del 2020). Viceversa, con l’art. 7 del disegno di legge governativo qui in commento, si dà nuovo impulso legislativo al principio dell’affidamento dei servizi di TPL locale e regionale mediante procedure di evidenza pubblica.

 

A tal fine e anche per consentire l’applicazione delle decurtazioni di cui all’articolo 27, comma 2, lett. d), del decreto–legge n. 50 del 2017, il comma 1 prevede che le regioni a Statuto ordinario attestano, mediante apposita comunicazione inviata entro il 31 maggio di ciascun anno al citato Osservatorio di cui all'articolo 1, comma 300, della legge finanziaria per il 2008, l’avvenuta pubblicazione, entro il 31 dicembre dell’anno precedente, dei bandi di gara ovvero l’avvenuto affidamento, entro la medesima data, con procedure ad evidenza pubblica di tutti i servizi di TPL con scadenza entro il 31 dicembre dell’anno di trasmissione dell’attestazione, nonché la conformità delle medesime procedure di gara alle misure di cui alle delibere dell'Autorità di regolazione dei trasporti adottate ai sensi dell'articolo 37, comma 2, lettera f), del decreto-legge n. 201 del 2011.

 

In caso di avvenuto esercizio della facoltà di sospensione dell’obbligo della messa a gara (prevista all’articolo 92, comma 4-ter, del decreto-legge n. 18 del 2020), l’attestazione di cui al primo periodo reca l’indicazione degli affidamenti prorogati e la data di cessazione della proroga.

 

Il comma 2 dell’art. 7 dispone che l’omessa o ritardata trasmissione dell’attestazione ovvero l’incompletezza del suo contenuto rileva ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comporta responsabilità dirigenziale e disciplinare (ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001).

 

In punto di controllo sull’attuazione di queste disposizioni, il comma 3 prevede che il MIMS, d’intesa con il MEF, e l’ART, ciascuno in relazione agli specifici ambiti di competenza, definiscono, con propri provvedimenti, le modalità di controllo, anche a campione, delle attestazioni, ai fini dell’acquisizione delle informazioni necessarie ai fini delle predette decurtazioni al fondo per il concorso statale.

 

Il comma 4 prevede poi l’esercizio di poteri sostitutivi da parte del Ministro IMS, nelle forme dell’art. 8 della legge c.d. La Loggia (n. 131 del 2003).

 

Il comma 5 prevede che, se anche l’assegnazione alle regioni delle quote del fondo avvenga secondo criteri diversi da quelli previsti dall’articolo 27 del decreto-legge n. 50 del 2017, la decurtazione prevista si applica comunque sulla quota assegnata.

 

Il comma 6 prevede – a ogni modo – che dall’attuazione di questo articolo non possano derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.


Articolo 8
(Delega al Governo in materia di trasporto pubblico non di linea)

 

 

L’art. 8 contiene una delega legislativa ai sensi dell’art. 76 della Costituzione volta a rivedere la disciplina in materia di trasporto pubblico non di linea (vale a dire taxi e noleggio con conducente – NCC).

Il decreto delegato dovrà essere adottato entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge, su proposta del Ministro IMS, di concerto con il Ministro EF. Il decreto legislativo non dovrà comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Occorre rammentare che il trasporto pubblico non di linea assicura il trasporto collettivo o individuale di persone con funzione complementare e integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea ed è disciplinato, a livello legislativo nazionale, dalla legge 15 gennaio 1992, n. 21.

 

Sinora, la normativa nazionale disciplina espressamente soltanto i servizi di taxi e di NCC, i quali peraltro rappresentano servizi con un alto impatto occupazionale (in Italia operano, nel libero mercato, oltre 80.000 imprese titolari di Autorizzazioni NCC, con circa 200.000 addetti). Accanto a tali servizi tuttavia si sono sviluppate negli ultimi anni, attraverso le nuove tecnologie, nuove forme di servizi di trasporto in taluni casi di natura non commerciale (a esempio, il car pooling), in altri casi come specifiche applicazioni dei servizi di noleggio con conducente realizzati sulla base di piattaforme informatiche ovvero attraverso forme ibride di trasporto effettuato da autisti non professionisti. Con riferimento ai servizi disciplinati dalla legge n. 21 del 1992 il regime dell'accesso al mercato nelle due tipologie di servizio, taxi e NCC, è assai differente in quanto, benché le due tipologie di servizio siano effettuate a richiesta dei trasportati, in modo non continuativo o periodico, su itinerari e secondo orari stabiliti di volta in volta (definizioni queste stabilite dall'art. 1, co. 1 della legge n. 21 del 1992), il servizio di taxi si rivolge ad un'utenza indifferenziata mentre il servizio di noleggio con conducente si rivolge all'utenza specifica che avanza, presso la sede o la rimessa, apposita richiesta per una determinata prestazione a tempo e od o viaggio. Il servizio di NCC non è soggetto ad obblighi di servizio pubblico, mentre il servizio di taxi rientra tra i servizi di trasporto pubblico locale, sia pure non di linea.

Dalla natura pubblica del servizio taxi discendono pertanto il carattere:

-        doveroso delle prestazioni;

-        capillare sul piano territoriale e sociale della fornitura e l'accessibilità del servizio di taxi sotto il profilo economico;

-        obbligatorio del servizio e la sua offerta indifferenziata a chiunque ne faccia richiesta

Ne deriva anche la determinazione pubblica delle tariffe e delle modalità di svolgimento del servizio e la previsione che lo stazionamento dei taxi avvenga in luogo pubblico e che il prelievo dell'utente o l'inizio del servizio avvengano all'interno dell'area comunale o comprensoriale di riferimento.

 

Sulla materia sono intervenuti nel recente passato diversi provvedimenti legislativi e – da ultimo - il decreto-legge n. 143 del 2018, il quale tuttavia non è stato convertito, bensì espressamente abrogato dalla legge n. 12 del 2019, il cui art. 1, comma 2, reca testualmente – ai sensi dell’art. 77, terzo comma, secondo periodo, della Costituzione - : “il decreto-legge 29 dicembre 2018, n. 143, è abrogato. Restano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base” del medesimo decreto legge.

 

Per un più completo quadro ricostruttivo della materia, si rinvia comunque al dossier sul citato decreto legge n. 143 del 2018. Vi si possono rintracciare anche ampi riferimenti, oltre che all’evoluzione legislativa, agli orientamenti della giurisprudenza sia amministrativa sia costituzionale

 

E’ restata pertanto in vigore la disciplina di cui al decreto legge n. 135 del 2018 che ha modificato la citata legge n. 21 del 1992. Le modifiche sono state oggetto di esame da parte della Corte costituzionale a fronte di un articolato ricorso promosso dalla regione Calabria. La Corte si è pronunciata sul ricorso con la sentenza n. 56 del 2020, depositata il 26 marzo 2020.

 

La nuova disposizione prevede i seguenti princìpi e criteri direttivi di delega:

a) definizione di una disciplina per gli autoservizi pubblici non di linea che provvedono al trasporto collettivo o individuale di persone che contribuisca a garantire il diritto alla mobilità di tutti i cittadini e che assicuri agli autoservizi una funzione complementare e integrativa rispetto ai trasporti pubblici di linea ferroviari, automobilistici, marittimi, lacuali e aerei;

b) adeguamento dell'offerta di servizi alle forme di mobilità che si svolgono mediante l'uso di applicazioni web che utilizzano piattaforme tecnologiche per l'interconnessione dei passeggeri e dei conducenti;

c) riduzione degli adempimenti amministrativi a carico degli esercenti degli autoservizi pubblici non di linea e razionalizzazione della normativa, ivi compresa quella relativa ai vincoli territoriali, alle tariffe e ai sistemi di turnazione, anche in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale in materia;

d) promozione della concorrenza, anche in sede di conferimento delle licenze, al fine di stimolare standard qualitativi più elevati;

e) garanzia di una migliore tutela del consumatore nella fruizione del servizio, al fine di favorire una consapevole scelta nell'offerta;

f) armonizzazione delle competenze regionali e degli enti locali in materia, al fine di definire comuni standard nazionali;

g) adeguamento del sistema sanzionatorio per le violazioni amministrative, individuando sanzioni efficaci, dissuasive e proporzionate alla gravità della violazione, anche al fine di contrastare l'esercizio non autorizzato del servizio di trasporto pubblico, demandando la competenza per l'irrogazione delle sanzioni amministrative agli enti locali.

E’ previsto che il decreto legislativo di attuazione sia adottato sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

Non è invece previsto il parere delle Commissioni parlamentari competenti, a motivo che la delega è da esercitarsi in un tempo inferiore ai due anni.

 

 


Articolo 9
(Procedure alternative di risoluzione delle controversie tra operatori economici che gestiscono reti, infrastrutture e servizi di trasporto e utenti e consumatori)

 

 

L’articolo 9 interviene con alcune modifiche all'articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 al fine di rafforzare i meccanismi di risoluzione delle controversie tra operatori economici che gestiscono reti, infrastrutture e servizi di trasporto e i consumatori. 

 

A tale riguardo si ricorda che l’articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011 aveva introdotto delle misure finalizzate alla liberalizzazione del settore dei trasporti, istituendo l'Autorità di regolazione dei trasporti.

Nello specifico, per quanto attiene alle forme di risoluzione delle controversie, il richiamato articolo 37, al comma 3, lettera h), in materia di controversie tra esercenti e utenti, già prevede che l’Autorità promuova l'istituzione di procedure semplici e poco onerose per la conciliazione e la risoluzione delle suddette controversie.

 

L'articolo 9 del disegno di legge in esame, interviene ora al fine di rafforzare la tutela degli utenti e dei consumatori inserendo alcune modifiche all'articolo 37 del citato decreto-legge n. 201 del 2011.

In particolare al comma 1 si prevede che l'Autorità possa disciplinare le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie tra operatori economici e utenti e consumatori tramite procedure semplici e non onerose, anche in forma telematica.

 Per tali controversie, in base a quanto previsto dall'articolo in commento, si potrà proporre ricorso giurisdizionale solo dopo aver esperito un tentativo di conciliazione da definire entro trenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorità.

A tal fine, i termini per agire in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione.

 

Il comma 2, invece, prevede che la disposizione introdotta dal comma 1 acquisti efficacia dopo sei mesi dall’entrata in vigore della legge annuale sulla concorrenza e si applichi alle procedure iniziate successivamente a tale termine.

 


Articolo 10
(Modifica della disciplina dei controlli sulle società partecipate)

 

 

L’articolo 10 modifica la disciplina dei controlli sulle società partecipate attribuendo alle sezioni riunite della Corte dei conti la competenza del controllo sull'atto deliberativo di costituzione della società o di acquisizione della partecipazione diretta o indiretta in società già costituite, innovando, al contempo, l'oggetto e le modalità di tale controllo.

La disposizione interviene, inoltre, sulla disciplina sanzionatoria, prevedendo l'applicazione della sanzione della cancellazione d'ufficio dal registro delle imprese della società a controllo pubblico che non abbia depositato il bilancio di esercizio o non abbia compiuto atti di gestione per oltre due anni consecutivi (in luogo di tre anni previsti dalla disciplina vigente).

 

A tal fine l'articolo in esame reca novelle agli articoli 5 e 20 del decreto legislativo n. 175 del 2016 (testo unico in materia di società a partecipazione pubblica).

In particolare, viene sostituito il comma 4 dell'articolo 5 del citato decreto legislativo n. 175, attribuendo, come detto, alle sezioni riunite della Corte dei conti, in sede di controllo, la competenza del controllo sull'atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica o di acquisto di partecipazioni, anche indirette, da parte di amministrazioni pubbliche in società già costituite.

Nel testo vigente, tale competenza è attribuita:

§  alle sezioni riunite in sede di controllo per i soli atti delle amministrazioni dello Stato e degli enti nazionali;

§  alla sezione regionale di controllo per gli atti delle regioni e degli enti locali, nonché dei loro enti strumentali, delle università o delle altre istituzioni pubbliche di autonomia aventi sede nella regione;

§  alla sezione del controllo sugli enti per gli atti degli enti assoggettati a controllo della Corte dei conti ai sensi della legge n. 259 del 1958 (recante la disciplina sulla partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria).

La novella mira quindi ad attribuire alle sole sezioni riunite una competenza attualmente attribuita a più sezioni della Corte dei conti.

 

Secondo quanto rappresentato dalla relazione illustrativa, la novella intende superare talune criticità emerse in sede di controllo "sugli atti di costituzione di società pubbliche o di acquisto di partecipazioni, soprattutto sotto il profilo della frammentazione degli esiti del controllo sugli atti deliberativi delle regioni e degli enti locali".

 

Secondo la novella al medesimo comma 4 dell'articolo 5 del testo unico, le sezioni riunite esprimono un parere sulla sostenibilità finanziaria e sulla compatibilità con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa.

 

Un'ulteriore modifica riguarda il comma 3 dell'articolo 5. Il testo vigente di tale comma 3 dell'articolo 5 stabilisce che l'atto deliberativo (di costituzione della società o di acquisizione della partecipazione diretta o indiretta) sia inviato dall'amministrazione interessata alla Corte dei conti "a fini conoscitivi". Con una modifica a tale comma 3, si propone di introdurre il riferimento "ai fini di quanto previsto dal comma 4" in luogo della finalità meramente conoscitiva del controllo qui attribuito alle sezioni riunite.

 

Si rammenta, per completezza, che il comma 3 dell'articolo 5 citato dispone l'invio dell'atto deliberativo anche all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, la quale può esercitare i poteri previsti dall'art. 21-bis della legge n. 287 del 1990. In particolare, l'Autorità:

§  è legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato; a tali giudizi si applica la disciplina del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010);

§  può emettere, entro sessanta giorni, un parere motivato, ove ritenga che una pubblica amministrazione abbia emanato un atto in violazione delle norme a tutela della concorrenza e del mercato.

 

Per quanto concerne i contenuti dell'atto deliberativo in parola, l'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 175 del 2016, dispone che il medesimo atto debba contenere una motivazione analitica concernente la necessità della deliberazione (ad eccezione dei casi in cui la costituzione della partecipata sia espressamente prevista dalla legge) per il perseguimento delle finalità istituzionali, evidenziando, altresì, le ragioni e le finalità che giustificano le scelte intraprese, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, specificando la natura della gestione (diretta o esternalizzata) del servizio affidato. La motivazione deve anche dare conto della compatibilità della scelta con i princìpi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa. Inoltre, specifica il comma 2 del medesimo art. 5, l'atto in oggetto deve dar conto della compatibilità dell'intervento finanziario previsto con le norme dei trattati europei e, in particolare, con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato.

 

L'ulteriore novella recata dall'articolo in esame prevede la modifica dell'articolo 20, comma 9, del medesimo decreto legislativo n. 175. Nel testo vigente, tale comma 9 stabilisce che si proceda alla cancellazione d'ufficio dal registro delle imprese, da parte del conservatore del registro, della società a controllo pubblico che, secondo il testo vigente, "per oltre tre anni consecutivi", non abbia depositato il bilancio d'esercizio ovvero non abbia compiuto atti di gestione. Con la modifica in esame si prevede che tale sanzione si applichi in caso di mancato deposito del bilancio ovvero in caso di mancata effettuazione di atti di gestione per oltre due anni consecutivi.

 

Il comma 9 dell'articolo 20 in oggetto specifica che la cancellazione comporti gli effetti previsti dall'articolo 2495 del codice civile. Tale articolo 2495 stabilisce che, ferma restando l'estinzione della società, "dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l'ultima sede della società".

Prima di procedere alla cancellazione, prosegue il comma 9 in parola, il conservatore del registro delle imprese comunica l'avvio del procedimento agli amministratori o ai liquidatori, che possono, entro 60 giorni, presentare formale e motivata domanda di prosecuzione dell'attività, corredata dell'atto deliberativo delle amministrazioni pubbliche socie, adottata nelle forme e con i contenuti previsti dall'articolo 5 dello stesso decreto legislativo n. 175. In caso di regolare presentazione della domanda, non si dà seguito al procedimento di cancellazione.

 

Per un approfondimento sulla disciplina delle società a partecipazione pubblica si rinvia al relativo tema del portale di documentazione della Camera dei deputati.

 


Articolo 11
(
Colonnine di ricarica)

 

 

L’articolo 11 modifica l’articolo 1, comma 697 della legge di bilancio 2021 (legge 30 dicembre 2020, n. 178), in materia di dotazione della rete autostradale di punti di ricarica elettrica veloce, prevedendo che i concessionari autostradali debbano selezionare l’operatore che richieda di installare colonnine di ricarica mediante procedure competitive, trasparenti e non discriminatorie.

 

In dettaglio, il richiamato comma 697 della legge di bilancio aveva previsto l’obbligo per i concessionari autostradali di dotare la propria rete di punti di ricarica elettrica di potenza elevata per gli autoveicoli (cioè quelli di potenza superiore a 22 kW, sia veloci sia ultra-veloci), garantendo che le infrastrutture messe a disposizione consentissero agli utilizzatori tempi di attesa per l'accesso al servizio non superiori a quelli offerti agli utilizzatori di veicoli a motore termico. Il comma 697 aveva previsto altresì che:

-        i concessionari pubblicassero le caratteristiche tecniche minime delle strutture da installare nelle tratte di loro competenza (il termine era fissato a 60 giorni dall’entrata in vigore della legge);

-        qualora entro 180 giorni (quindi entro il 30 giugno 2021) i concessionari non avessero provveduto a dotarsi di un numero adeguato di punti di ricarica, essi fossero tenuti a consentire a chiunque ne facesse richiesta, di candidarsi a installare le colonnine sulla rete di competenza; in tali casi il concessionario autostradale doveva pubblicare una manifestazione d’interesse per selezionare l’operatore per l’installazione dei punti di ricarica (entro 30 giorni dalla richiesta dell’operatore), sulla base delle caratteristiche tecniche della soluzione proposta, delle condizioni commerciali e dei modelli contrattuali proposti.

 

Con la novella dell’articolo 11 in commento, si inserisce, proprio nell’ultimo periodo del comma 697, la prescrizione che l’operatore debba essere selezionato dal concessionario autostradale mediante procedure competitive, trasparenti e non discriminatorie.

 

Giova tuttavia osservare, al proposito, che - di fatto - gli operatori interessati non hanno potuto finora trarre vantaggio concreto dalle opportunità offerte da tale disciplina, la cui ratio è restata in larga sostanza frustrata.

Ciò è dovuto in parte alla ripartizione delle competenze, non del tutto chiara.

Per un verso, gli obblighi appena descritti sono posti in capo al concessionario dell’autostrada; per l’altro – però - l’art. 37 del decreto legge n. 201 del 2011 (c.d. Salva Italia) – sul punto mai modificato – individua nell’Autorità di Regolazione dei Trasporti quella competente a predisporre gli schemi di bando di gara di cui i concessionari devono servirsi. Sicché, con delibera 77/2021, l’ART ha, al riguardo, avviato un procedimento volto a definire gli schemi dei bandi ma ha fissato il termine di tale procedimento al 28 febbraio 2022.

Peraltro, nell’ambito del PNRR, la mobilità sostenibile è uno dei punti qualificanti della Missione 2, dedicata alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica e che nell’ambito della sua componente 2 sono previsti investimenti per le infrastrutture di ricarica elettrica per 741,32 milioni di euro al fine di raggiungere gli obiettivi europei in materia di decarbonizzazione, con un parco circolante previsto di circa 6 milioni di veicoli elettrici al 2030 per i quali sono necessari 31.500 punti di ricarica rapida pubblici: l’intervento è finalizzato allo sviluppo di 7.500 punti di ricarica rapida in autostrada (75 per cento del target PNIRE) e 13.755 di ricarica rapida nei centri urbani (70 per cento del target PNIRE), oltre a 100 stazioni di ricarica sperimentali con tecnologie per lo stoccaggio dell’energia. Le milestones del PNRR prevedono in particolare, entro il secondo trimestre del 2023 l’aggiudicazione dei contratti per la realizzazione di non meno di 2.500 punti di ricarica rapida lungo le autostrade.

 

Si rammenta infine che l’articolo 18, comma 5, del decreto legislativo n. 257 del 2016 (di attuazione della direttiva 2014/94/UE- c.d. DAFI), prevede l’obbligo in capo ai concessionari autostradali di rispettare, in caso di affidamento a terzi del servizio di ricarica elettrica, di gas naturale compresso e gas naturale liquido, al verificarsi dei presupposti ivi previsti, le procedure competitive di cui all’articolo 11, comma 5-ter della legge n. 498/1992, che disciplina gli affidamenti dei servizi di distribuzione carbolubrificanti e delle attività commerciali e ristorative (cd. servizi “oil” e “non oil”) nelle aree di servizio delle reti autostradali.

In materia è intervenuto anche l’articolo 57, comma 13, del decreto-legge n.76/2020, che ha previsto che le nuove concessioni (rilasciate a partire dalla data di entrata in vigore del decreto), ivi compreso il rinnovo di quelle esistenti, prevedano che le aree di servizio di cui all'articolo 61 del regolamento di attuazione del Codice della strada siano dotate delle colonnine di ricarica per i veicoli elettrici.

 


Articolo 12
(Servizi di gestione dei rifiuti)

 

 

L’articolo 12 reca alcune novelle al Codice dell'ambiente (D.lgs. 152/2006) relative: alla scelta - da parte delle utenze non domestiche che producono i c.d. rifiuti assimilati agli urbani - di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato (comma 1); ai compiti dell’ARERA (comma 2); nonché all’esclusione, dal novero dei soggetti coinvolti nell’accordo di programma CONAI sui rifiuti di imballaggio, dei gestori delle piattaforme di selezione (comma 3).

 

Il comma 1 interviene sulla parte della disciplina della tariffa rifiuti che riguarda le utenze non domestiche che producono i c.d. rifiuti assimilati agli urbani.

Il comma in esame modifica infatti il comma 10 dell’art. 238 del Codice dell'ambiente (D.lgs. 152/2006), secondo cui le utenze non domestiche che producono i c.d. rifiuti assimilati agli urbani (vale a dire quella sottocategoria di rifiuti urbani definita dall’art. 183 comma 1, lettera b-ter), punto 2, del Codice)[15] che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico e dimostrano di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi:

- sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti;

- effettuano la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato[16].

 

Il comma in esame interviene proprio su tale ultima parte della disposizione. Mentre il testo vigente dispone che la scelta di servirsi del gestore del servizio pubblico o del ricorso al mercato va fatta per un periodo non inferiore a cinque anni, il nuovo testo previsto dalla norma in commento riduce tale periodo minimo a soli 2 anni.

Viene inoltre soppressa la parte della disposizione vigente ove si fa “salva la possibilità per il gestore del servizio pubblico, dietro richiesta dell'utenza non domestica, di riprendere l'erogazione del servizio anche prima della scadenza quinquennale”.

La norma in esame accoglie l’osservazione formulata dall’AGCM nella segnalazione n. 4143 (pag. 70), ove viene evidenziato che «il d.lgs. 3 settembre 2020, n. 116, ha modificato la definizione dei rifiuti urbani, introducendo in tale categoria la nozione di c.d. "rifiuti simili" merceologicamente a quelli domestici, e riaffermando la piena libertà delle attività economiche che producono rifiuti "simili" di affidarne la raccolta e l'avvio a recupero e/o a smaltimento al di fuori della gestione del servizio pubblico. Tanto premesso, si osserva che la nuova formulazione del comma 10 dell'art. 238 del TUA (Tariffa per la gestione dei rifiuti urbani), nel prevedere in questi casi l'esclusione dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti", stabilisce la necessità di stipulare con il gestore pubblico o con l'operatore privato prescelto un accordo contrattuale con una durata minima quinquennale stabilita ope legis. Tale previsione appare tuttavia discriminatoria per i gestori privati, in quanto, mentre è possibile rientrare nella gestione pubblica in ogni momento e, quindi, anche prima del decorso dei cinque anni, non è consentito il contrario; al fine di non ostacolare la concorrenza tra i diversi operatori (privati e pubblico) del servizio di raccolta e avvio a recupero dei rifiuti estendendo impropriamente la privativa delle gestioni pubbliche, si ritiene quindi necessaria l'eliminazione della durata minima quinquennale dell'accordo».

 

 

Il comma 2 integra il testo dell’art. 202 del Codice dell'ambiente (che disciplina l’affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti) al fine di inserirvi due nuovi commi (1-bis e 1-ter) che prevedono i seguenti nuovi compiti per l’ARERA (Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente):

- definizione, entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente disposizione, di adeguati standard tecnici e qualitativi per lo svolgimento dell’attività di smaltimento e di recupero, procedendo alla verifica in ordine ai livelli minimi di qualità e alla copertura dei costi efficienti (1-bis);

- richiesta agli operatori di informazioni relative ai costi di gestione, alle caratteristiche dei flussi e a ogni altro elemento idoneo a monitorare le concrete modalità di svolgimento dell’attività di smaltimento e di recupero e la loro incidenza sui corrispettivi applicati all’utenza finale (1-ter).

In proposito, nella relazione illustrativa si legge che «con riguardo al perimetro di affidamento del servizio sotto il profilo verticale, si osserva che la nozione di “gestione integrata del servizio” viene spesso utilizzata impropriamente, ampliando il novero delle attività lungo la filiera che vengono ricomprese nella privativa senza verificare l’effettiva sussistenza di un rischio di fallimento di mercato per tali attività. Si tratta, in particolare, della tendenza ad affidare insieme alle attività di raccolta, trasporto e avvio a smaltimento e recupero delle diverse frazioni della raccolta urbana, anche le attività di smaltimento, recupero e riciclo, tipicamente svolte in regime di mercato; ciò anche mediante una impropria attribuzione di titolarità esclusiva in capo al gestore delle suddette frazioni (c.d. monopolizzazione dei mercati concorrenziali a valle). Si modifica, a tal fine, l’articolo 202 del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativo al servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, inserendo due nuovi commi che attribuiscono nuovi compiti all’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA)».

 

 

Il comma 3 modifica il comma 5 dell’art. 224 del Codice dell'ambiente ove si prevede la stipula di un accordo di programma su base nazionale tra CONAI e sistemi autonomi e tutti gli operatori del comparto di riferimento (intendendosi, secondo quanto precisato dal testo vigente, i sistemi collettivi operanti e i gestori delle piattaforme di selezione (CSS)), con l'Associazione nazionale Comuni italiani (ANCI), con l'Unione delle province italiane (UPI) o con gli Enti di gestione di Ambito territoriale ottimale.

Tale accordo, secondo l’art. 224, comma 5, stabilisce in particolare:

1. la copertura dei costi di cui all'art. 222, commi 1 e 2, del Codice; vale a dire i costi della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggi che, in base al richiamato comma 2, “sono posti a carico dei produttori e degli utilizzatori nella misura almeno dell'80 per cento”;

2. le modalità di raccolta dei rifiuti da imballaggio ai fini delle attività di riciclaggio e di recupero;

3. gli obblighi e le sanzioni posti a carico delle parti contraenti.

Informazioni sull’accordo vigente sono disponibili sul sito web del CONAI.

 

La modifica in esame è volta all’esclusione, dal novero dei soggetti coinvolti nell’accordo, dei gestori delle piattaforme di selezione (CSS).

La norma in esame accoglie l’osservazione formulata dall’AGCM nella segnalazione n. 4143 (pag. 71), ove viene ritenuto improprio che l'accordo di programma quadro (o di comparto) introdotto dall’art. 224 del Codice “includa, oltre a tutti i sistemi di compliance (consorzi di filiera, CORIPET ed eventuali nuovi consorzi), l'ANCI, l'Unione delle province italiane (UPI), gli Enti di gestione di Ambito territoriale ottimale, anche le associazioni rappresentative dei centri di selezione (CSS). Ciò in quanto detti soggetti sono in competizione tra loro per la fornitura dei propri servizi ai sistemi di compliance o direttamente ai gestori della raccolta, e non risulta opportuno, quindi, che vi sia alcuna definizione concordata delle condizioni economiche e/o di servizio applicate”.

 

Si ricorda infine che la relazione illustrativa sottolinea che l’articolo in esame è finalizzato al perseguimento dell’obiettivo, indicato nel PNRR (v. pag. 81), di introdurre “norme finalizzate a rafforzare l’efficienza e il dinamismo concorrenziale nel settore della gestione dei rifiuti, nella prospettiva di colmare le attuali lacune impiantistiche”.


Articolo 13
(Revisione e trasparenza dell’accreditamento e del convenzionamento delle strutture e dei soggetti privati)

 

 

La lettera a) del comma 1 dell’articolo 13 modifica la disciplina sull’accreditamento istituzionale - da parte della regione - relativo a nuove strutture sanitarie o sociosanitarie, pubbliche o private, o a nuove attività in strutture preesistenti; tale riformulazione, tra l’altro, sopprime la possibilità di un accreditamento provvisorio. La successiva lettera b) modifica la disciplina sulla selezione dei soggetti privati - strutture sanitarie e socio-sanitarie, professionisti sanitari, organizzazioni autorizzate per l'erogazione di cure domiciliari -, titolari del suddetto accreditamento, ai fini della stipulazione degli accordi contrattuali con il Servizio sanitario nazionale. La riformulazione, tra l’altro, introduce la previsione di una selezione periodica, basata su criteri oggettivi, indicati in un avviso della regione. Il comma 2 integra la disciplina sugli obblighi di pubblicazione, sul proprio sito internet istituzionale, relativi agli enti, aziende e strutture, pubblici e privati, che erogano prestazioni con accreditamento istituzionale da parte del Servizio sanitario nazionale; la novella richiede la pubblicazione anche dei bilanci e dei dati sugli aspetti qualitativi e quantitativi dei servizi erogati e sull'attività medica svolta.

 

La novella di cui alla lettera a) del comma 1[17] prevede che, nel caso di richiesta alla regione di accreditamento istituzionale da parte di nuove strutture sanitarie o sociosanitarie, pubbliche o private, o relativa all'avvio di nuove attività in strutture preesistenti, l'accreditamento possa essere concesso in base alla qualità e ai volumi dei servizi da erogare, nonché sulla base dei risultati dell'attività eventualmente già svolta, tenuto altresì conto degli obiettivi di sicurezza delle prestazioni sanitarie. In base a tale riformulazione, si sopprime la previsione che, per le richieste in oggetto, l’accreditamento possa essere concesso, in via provvisoria, per il tempo necessario alla verifica del volume di attività svolto e della qualità dei suoi risultati[18].

La novella di cui al numero 1) della successiva lettera b)[19] introduce la previsione che i soggetti privati - strutture sanitarie e socio-sanitarie, professionisti sanitari, organizzazioni autorizzate per l'erogazione di cure domiciliari -, titolari del suddetto accreditamento, siano individuati dalla regione o dall’azienda sanitaria locale, ai fini della stipulazione degli accordi contrattuali, mediante procedure trasparenti, eque e non discriminatorie, previa pubblicazione, da parte delle regioni, di un avviso contenente criteri oggettivi di selezione, i quali devono far riferimento, in via prioritaria, alla qualità delle specifiche prestazioni sanitarie da erogare; si prevede altresì che la selezione in esame sia effettuata periodicamente, tenuto conto della programmazione sanitaria regionale e sulla base di verifiche relative sia alle eventuali esigenze di razionalizzazione della rete con i soggetti convenzionati sia (per i soggetti già titolari di accordi contrattuali) all'attività svolta.

Il numero 2) della stessa lettera b) reca una novella di coordinamento[20] in relazione a quella di cui al precedente numero 1). La novella di coordinamento - oltre ad inserire un richiamo interno - sopprime il riferimento alle valutazioni comparative della qualità e dei costi, come fase propedeutica alla stipulazione degli accordi da parte delle regioni o delle aziende sanitarie locali - fase che viene ora sostituita dalle procedure di selezione periodica suddetta -.

Si ricorda, in via generale, che l’accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, dei professionisti sanitari e delle organizzazioni, pubbliche e private, autorizzate per l'erogazione di cure domiciliari è sospeso[21] in caso di mancata stipulazione di accordi (nel caso dei summenzionati soggetti pubblici) o di accordi contrattuali (nel caso dei summenzionati soggetti privati)[22].

La novella di cui al comma 2[23] stabilisce che gli enti, le aziende e le strutture, pubblici e privati, che erogano prestazioni con accreditamento istituzionale da parte del Servizio sanitario nazionale[24], sono tenuti a pubblicare sul proprio sito internet istituzionale i bilanci e i dati sugli aspetti qualitativi e quantitativi dei servizi erogati e sull'attività medica svolta. Tale disposizione si aggiunge a quella vigente, secondo la quale i soggetti summenzionati sono tenuti ad indicare sul proprio sito internet istituzionale, in un’apposita sezione denominata "Liste di attesa", i criteri di formazione delle medesime liste, i tempi di attesa previsti e i tempi medi effettivi per ciascuna tipologia di prestazione erogata (e rientrante nell’ambito del suddetto accreditamento).

L’introduzione delle novelle di cui al presente articolo 13 è stata auspicata nella Segnalazione al Governo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 22 marzo 2021 (Atto di Segnalazione 1730)[25]. Un’altra modifica ritenuta opportuna nella suddetta Segnalazione, relativa alla soppressione - nell’ambito della procedura di autorizzazione della realizzazione di strutture sanitarie e sociosanitarie - della valutazione, da parte della regione, del fabbisogno complessivo e della localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale[26], non è presente nel disegno di legge in esame. Si ricorda che la suddetta procedura di autorizzazione prescinde ed è antecedente ad eventuali accreditamenti ed accordi.

 


Articolo 14
(Obblighi di detenzione di medicinali a carico dei grossisti)

 

 

L’articolo 14 modifica la disciplina sull’obbligo, a carico dei grossisti di farmaci, di detenzione di un assortimento relativo ai medicinali oggetto di autorizzazione all’immissione in commercio ed ammessi a rimborso a carico del Servizio sanitario nazionale e ad alcuni medicinali omeopatici. La novella, tra l’altro, sopprime la percentuale fissa del novanta per cento (relativa all’ampiezza minima dell’assortimento).

 

Più in particolare, la novella[27] prevede che i grossisti siano tenuti a detenere un assortimento dei medicinali oggetto di autorizzazione all’immissione in commercio ed ammessi a rimborso a carico del Servizio sanitario nazionale, inclusi i medicinali generici[28], nonché dei medicinali omeopatici rientranti in uno specifico regime di autorizzazione[29], che sia tale da rispondere alle esigenze del territorio a cui sia riferita l'autorizzazione alla distribuzione all'ingrosso[30]; tali esigenze sono valutate dall'autorità competente per il rilascio dell'autorizzazione (alla distribuzione all'ingrosso di medicinali)[31] sulla base degli indirizzi vincolanti forniti dall'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).

La norma vigente prevede invece che i grossisti siano tenuti a detenere almeno il novanta per cento dei medicinali oggetto di autorizzazione all’immissione in commercio ed ammessi a rimborso a carico del Servizio sanitario nazionale, nonché dei medicinali omeopatici rientranti nel suddetto specifico regime di autorizzazione, e che tale percentuale debba essere rispettata anche nell'ambito dei soli medicinali generici.

Riguardo ai medicinali non ammessi a rimborso - che, come detto, restano esclusi dall’obbligo in esame -, la novella conferma la norma che garantisce il diritto, per il rivenditore al dettaglio, di rifornirsi presso altro grossista.

Resta fermo che[32]:

-        il grossista è in ogni caso tenuto a detenere i medicinali di cui alla tabella n. 2 allegata alla Farmacopea Ufficiale della Repubblica Italiana (tabella che elenca le sostanze medicinali la cui detenzione da parte delle farmacie è obbligatoria);

-        gli obblighi di detenzione in esame non si applicano ai soggetti che importano medicinali o distribuiscono esclusivamente sostanze attive o gas medicinali, medicinali utilizzabili soltanto in ambiente ospedaliero o in strutture ad esso assimilabili, medicinali utilizzabili esclusivamente dallo specialista, medicinali non soggetti a prescrizione e medicinali di cui il medesimo soggetto detenga l'autorizzazione all’immissione in commercio o la concessione di vendita.

 

Si ricorda che la revisione dell’obbligo di assortimento in oggetto, ai fini dell’introduzione di soglie flessibili, è stata auspicata anche dalla Segnalazione al Governo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 22 marzo 2021 (Atto di Segnalazione 1730)[33].


Articolo 15
(Rimborsabilità di farmaci equivalenti)

 

 

L’articolo 15 abroga la norma[34] che esclude la possibilità di inserimento con decorrenza anteriore alla data di scadenza della tutela brevettuale - relativa al medicinale di riferimento - dei medicinali equivalenti nell’ambito dei medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale.

 

L’abrogazione concerne, dunque, l’attuale disposizione sul cosiddetto patent linkage; la soppressione consente che i medicinali in oggetto siano eventualmente classificati a carico del Servizio sanitario nazionale - in sede di aggiornamento del prontuario farmaceutico nazionale - prima della suddetta data di scadenza, con conseguente possibilità di applicazione di tale regime già dal giorno successivo a tale data nonché di svolgimento dell’attività, da parte delle aziende interessate, sulla base di un quadro definito con certezza; resta fermo che tali medicinali (benché già prodotti ed oggetto di stoccaggio) non possono essere ceduti (o somministrati) agli assistiti prima della suddetta data.

L’abrogazione in esame è stata auspicata nella Segnalazione al Governo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 22 marzo 2021 (Atto di Segnalazione 1730)[35].

Si ricorda che la suddetta tutela brevettuale del medicinale di riferimento può derivare da brevetto o da certificato di protezione complementare (la data di scadenza è resa pubblica dal Ministero dello sviluppo economico).

Si ricorda altresì che la categoria generale dei farmaci equivalenti concerne sia medicinali ammessi a rimborso a carico del Servizio sanitario nazionale sia altri farmaci la cui somministrazione è subordinata a prescrizione medica. Per la nozione di equivalenza, cfr. l’articolo 7, comma 1, del D.L. 18 settembre 2001, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla L. 16 novembre 2001, n. 405, e gli articoli 1 e 1-bis del D.L. 27 maggio 2005, n. 87, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 luglio 2005, n. 149, e successive modificazioni.


Articolo 16
(Medicinali in attesa di definizione del prezzo)

 

 

L’articolo 16 introduce[36], con riferimento ad alcune fattispecie di medicinali, una disciplina specifica, di natura suppletiva, per l’inclusione degli stessi nell’elenco dei medicinali rimborsabili (da parte del Servizio sanitario nazionale), con la connessa determinazione di un prezzo di rimborso. Tale disciplina viene posta per l’ipotesi di mancata presentazione della domanda di rimborsabilità da parte dell’azienda titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio e concerne esclusivamente: i medicinali orfani[37]; altri farmaci di eccezionale rilevanza terapeutica e sociale, previsti in una specifica deliberazione dell’Azienda Italiana del Farmaco (AIFA), adottata su proposta della propria Commissione consultiva tecnico-scientifica; i medicinali utilizzabili esclusivamente in ambiente ospedaliero o in strutture ad esso assimilabili.

 

Più in particolare, la novella di cui al comma 1, lettera b), modifica, per i farmaci summenzionati, la disciplina dell’ipotesi di mancata presentazione, da parte dell’azienda titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio, di una domanda di classificazione del medicinale ai fini della rimborsabilità (a carico del Servizio sanitario nazionale). La novella prevede che, decorso inutilmente il termine di trenta giorni, decorrente dal relativo sollecito (alla presentazione della domanda) da parte dell’AIFA, sia applicato il prezzo più basso all’interno del quarto livello del sistema di classificazione anatomico-terapeutico-chimico (ATC)[38]. La norma vigente prevede invece che, decorso inutilmente il suddetto termine di trenta giorni, il farmaco permanga in regime di non rimborsabilità (con espunzione del medesimo medicinale dalla lista dei farmaci non ancora valutati ai fini della rimborsabilità e l’inserimento nell’elenco ordinario dei farmaci non rimborsabili).

La novella - come indicano le relazioni illustrativa e tecnica[39] - è intesa a contrastare pratiche dilatorie, attuate talora dalle aziende al fine di mantenere un prezzo libero di mercato (non rimborsabile), anziché un prezzo (a carico del Servizio sanitario nazionale) definito in base alla procedura di negoziazione. L’esigenza di una revisione normativa inerente alle situazioni di prezzo (di medicinale) non ancora negoziato è stata auspicata anche nella Segnalazione al Governo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato del 22 marzo 2021 (Atto di Segnalazione 1730)[40].

Resta fermo che - con riferimento ai farmaci summenzionati - l’AIFA provvede al sollecito suddetto nell’ipotesi di mancata presentazione della domanda entro trenta giorni dal rilascio dell’autorizzazione all’immissione in commercio e che, qualora decorra inutilmente il successivo termine di trenta giorni dal sollecito, l’AIFA provvede alla relativa informativa sul proprio sito internet istituzionale (informativa che, nel contesto della novella, concerne anche il prezzo stabilito ai sensi della stessa).

La novella di cui al comma 1, lettera a), costituisce un intervento di coordinamento con la novella di cui alla suddetta lettera b).


Articolo 17
(
Revisione del sistema di produzione dei medicinali emoderivati da plasma italiano)

 

 

L’articolo 17 apporta modifiche alla disciplina che riguarda il sistema di produzione dei medicinali emoderivati, individuando i principi che fondano il sistema di plasmaderivazione italiano basati sulla donazione volontaria e gratuità del sangue e definendo quali indennizzi ristorativi sono compatibili con tale sistema. In particolare viene chiarito che i medicinali emoderivati prodotti dal plasma raccolto dai servizi trasfusionali italiani sono destinati al soddisfacimento del fabbisogno nazionale e sono utilizzati prioritariamente rispetto agli equivalenti commerciali (comma 1).

Per la lavorazione del plasma nazionale, si considera necessario stipulare apposite convenzioni tra le regioni o le province autonome e le aziende produttrici di medicinali emoderivati, sulla base di uno schema tipo definito con decreto del Ministro della salute, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome (comma 2). Vengono inoltre definiti specifici requisiti di accesso per le aziende produttrici di medicinali emoderivati alla lavorazione del plasma nazionale tramite le convenzioni, tra cui l’ubicazione degli stabilimenti di lavorazione, frazionamento e produzione in Stati membri dell’Unione europea o in Stati terzi con cui sono previsti accordi di mutuo riconoscimento con l’Unione europea, in cui il plasma raccolto sul proprio territorio derivi soltanto da donatori volontari non remunerati (comma 3).

Le aziende autorizzate alla stipula delle convenzioni devono essere inserite in un apposito elenco approvato con decreto del Ministro della salute (comma 4).

Viene definita la documentazione da presentare ai fini dell’inserimento in tale elenco delle aziende autorizzate alla stipula delle convenzioni, rinviando ad un decreto del Ministro della salute, la definizione delle modalità di presentazione e di valutazione, da parte dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), delle istanze presentate (comma 5).

Presso le aziende convenzionate deve essere conservata specifica documentazione da esibire a richiesta dell'autorità sanitaria nazionale o regionale, al fine di individuare le donazioni di plasma da cui il prodotto finito è derivato (comma 6).

I lotti di medicinali emoderivati da plasma nazionale, prima della loro restituzione alle Regioni e alle province autonome, fornitrici del plasma, devono essere sottoposti, con esito favorevole, al controllo di Stato, secondo le procedure europee, in un laboratorio della rete europea (comma 7). Le aziende convenzionate devono documentare, per ogni lotto di produzione di emoderivati, compresi gli intermedi, le regioni e le province autonome di provenienza del plasma utilizzato, il rispetto delle buone pratiche di fabbricazione e di tutte le altre norme stabilite dall'Unione europea, nonché l'esito del controllo di Stato (comma 8).

Vengono individuate le risorse finanziarie necessarie a garantire l’incentivazione alla donazione di plasma, prevedendo che siano definiti dal Ministero della salute, sentiti il Centro Nazionale Sangue e la Conferenza Stato-regioni, programmi finalizzati al raggiungimento dell’autosufficienza nella produzione di medicinali emoderivati prodotti da plasma nazionale derivante dalla donazione volontaria, periodica, responsabile, anonima e gratuita (comma 9).

Inoltre, al fine di promuovere la donazione volontaria e gratuita di sangue e di emocomponenti, viene autorizzata la spesa di 1 milione di euro annui a decorrere dal 2022, per la realizzazione da parte del Ministero della salute, in collaborazione con il Centro Nazionale Sangue e le associazioni e le federazioni di donatori volontari di sangue, di iniziative, campagne e progetti di comunicazione e informazione istituzionale (comma 10).

Alla copertura degli oneri previsti in 7 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2022, si provvede mediante utilizzo delle risorse destinate alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale (comma 11).

In base alla disciplina transitoria (comma 12) si stabilisce che, nelle more dell’adozione dei decreti di cui ai commi 2, 4 e 5 in attuazione di quanto previsto dalle norme in esame, devono continuare a trovare applicazione le convenzioni stipulate anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge mentre ove necessario per garantire la continuità delle prestazioni assistenziali devono essere stipulate nuove convenzioni.

 

L’articolo 17 dispone una revisione della normativa vigente in materia di emoderivati, modificando l’attuale disciplina prevista dall’articolo 15 della legge n. 219 del 2005[41], riformulando l’attuale cornice normativa del sistema di plasmaderivazione italiano.

Vengono in particolare richiamati i principi fondanti tale sistema nazionale, tra cui la gratuità del sangue, che non può essere fonte di profitto, bensì donazione volontaria, periodica, responsabile, anonima e gratuita del sangue e dei suoi componenti, al fine di raggiungere l’autosufficienza nazionale.

 

Come indicato dalla relazione illustrativa alla norma, il citato articolo 15 che viene qui modificato è già stato oggetto di censura da parte della Commissione europea (EU-PILOT 7931/15/GROW) per aver introdotto requisiti stringenti per la selezione dei centri di frazionamento e produzione dei derivati del plasma, basati sul possesso di stabilimenti idonei ad effettuare il processo di frazionamento che si trovano nei Paesi dell’Unione europea in cui il plasma raccolto non sia oggetto di cessione a fini di lucro. Pertanto, la finalità di questa revisione è garantire l’accesso al mercato della lavorazione del plasma italiano che viene raccolto da donatori non remunerati, oltre che alle imprese, mediante la stipula di apposite convenzioni con le regioni e province autonome, con stabilimenti produttivi in Paesi dell’Unione europea dove la cessione a fini di lucro del plasma, a seguito di raccolta, viene consentita senza ostacoli.

A tal fine, non si considera remunerazione il rimborso delle spese sostenute dal donatore o altre forme di indennizzo “ristorativo” ma non lucrativo, come il check up gratuito, piccoli omaggi, spuntini, buoni pasto, rimborsi per spese di viaggio, corresponsione del guadagno giornaliero non incassato, congedi speciali per l'assenza da lavoro nel settore pubblico, e che in tal modo, pertanto, non inficia la gratuità della donazione, ma è da considerarsi compatibile con la medesima.

 

Al comma 1, si chiarisce che i medicinali emoderivati prodotti dal plasma raccolto dai servizi trasfusionali italiani sono destinati al soddisfacimento del fabbisogno nazionale e sono utilizzati prioritariamente rispetto agli equivalenti commerciali, nell’ottica della piena valorizzazione del gesto del dono del sangue e dei suoi componenti, tenendo conto della continuità terapeutica di specifiche categorie di assistiti.

 

Si stabilisce inoltre che, per la lavorazione del plasma raccolto dai servizi trasfusionali italiani per la produzione di medicinali emoderivati dotati dell’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) in Italia, è necessaria la stipula di apposite convenzioni tra le regioni o le province autonome (singolarmente o consorziandosi tra loro) e le aziende produttrici di medicinali emoderivati, sulla base di uno schema tipo definito, ai sensi del successivo comma 4, con decreto del Ministro della salute, d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e province autonome (comma 2).

Detta disposizione è prevista in coerenza con i princìpi di cui agli articoli 4 (gratuità del sangue e dei suoi prodotti) e 7, comma 1 (riconoscimento della funzione civica e sociale e dei valori umani e solidaristici che si esprimono nella donazione del sangue). Lo schema tipo di convenzione deve tenere conto dei princìpi strategici per l’autosufficienza nazionale di cui all’articolo 14 che prevede un programma annuale per l’autosufficienza nazionale, prevedendo adeguati livelli di raccolta del plasma e un razionale e appropriato utilizzo dei prodotti emoderivati e degli intermedi derivanti dalla lavorazione del plasma nazionale, anche in un’ottica di compensazione interregionale. Le aziende devono garantire che i medicinali emoderivati oggetto delle convenzioni siano prodotti esclusivamente con il plasma nazionale.

 

In base al programma annuale per l’autosufficienza nazionale di cui all’articolo 14, l'autosufficienza del sangue e dei suoi derivati costituisce un obiettivo nazionale finalizzato a garantire a tutti i cittadini uguali condizioni di qualità e sicurezza della terapia trasfusionale. Considerato che la citata legge n. 219 del 2005 riconosce la funzione sovraregionale e sovraziendale dell'autosufficienza, devono essere individuati specifici meccanismi di programmazione, organizzazione e finanziamento del sistema trasfusionale nazionale. Per tale finalità, il Ministro della salute, sulla base delle indicazioni fornite dal Centro nazionale sangue di cui all'articolo 12 della sopra richiamata legge n. 219 e dalle strutture regionali di coordinamento, in accordo con la Conferenza permanente Stato- Regioni, deve definire annualmente il programma di autosufficienza nazionale, che individua i consumi storici, il fabbisogno reale, i livelli di produzione necessari, le risorse, i criteri di finanziamento del sistema, le modalità organizzative ed i riferimenti tariffari per la compensazione tra le regioni, i livelli di importazione ed esportazione eventualmente necessari[42]. La Conferenza permanente è chiamata a determinare, tenuto conto delle indicazioni del Centro nazionale sangue, il prezzo unitario di cessione delle unità di sangue e dei suoi componenti uniforme su tutto il territorio nazionale, nonché le azioni di incentivazione dell'interscambio tra le aziende sanitarie all'interno della regione e tra le regioni, secondo princìpi che garantiscano un'adeguata copertura dei costi di produzione e trasferimento del sangue e dei suoi prodotti, in coerenza con gli indirizzi adottati in sede di programmazione sanitaria nazionale, con aggiornamento annuale.

 

Ai fini della stipula delle convenzioni, per l’accesso delle aziende produttrici di medicinali emoderivati alla lavorazione del plasma nazionale tramite le convenzioni, gli stabilimenti di lavorazione, frazionamento e produzione delle aziende devono essere ubicati in Stati membri dell’Unione europea o in Stati terzi con cui sono previsti accordi di mutuo riconoscimento con l’Unione europea, in cui il plasma raccolto sul proprio territorio derivi soltanto da donatori volontari non remunerati (comma 3). Esclusivamente tali stabilimenti sono autorizzati alla lavorazione, al frazionamento del plasma e alla produzione di medicinali emoderivati dalle rispettive autorità nazionali competenti, secondo quanto previsto dalle vigenti disposizioni nazionali e dell’Unione europea.

 

Con decreto del Ministro della salute, sentiti il Centro nazionale sangue e la Conferenza permanente Stato-Regioni è approvato l’elenco delle aziende autorizzate alla stipula delle predette (comma 4).  

 

Le aziende interessate alla stipula delle convenzioni in esame, presentando al Ministero della salute l’istanza per l’inserimento nell’elenco di cui al comma 4, devono documentare il possesso dei requisiti di cui al comma 3. A tal fine indicano gli stabilimenti interessati alla lavorazione, al frazionamento e alla produzione dei medicinali derivati da plasma nazionale e producono le autorizzazioni alla produzione e le certificazioni rilasciate dalle autorità competenti. Con decreto del Ministro della salute devono essere definite le modalità per la presentazione e per la valutazione, da parte dell’Agenzia italiana del farmaco, delle sopra indicate istanze (comma 5).

 

In base ai successivi commi 6, 7 e 8 viene in sostanza riproposto, con alcune modifiche formali, quanto previsto dall’attuale articolo 15 del D. Lgs. n. 219 del 2005 in coerenza con la normativa del cd. codice comunitario dei medicinali[43]:

-        presso le aziende convenzionate deve essere conservata specifica documentazione da esibire a richiesta dell'autorità sanitaria nazionale o regionale, al fine di individuare le donazioni di plasma da cui il prodotto finito è derivato (comma 6);

-        i lotti di medicinali emoderivati da plasma nazionale, prima della loro restituzione alle Regioni e alle Province autonome, fornitrici del plasma, devono essere sottoposti, con esito favorevole, al controllo di Stato, secondo le procedure europee, in un laboratorio della rete europea (comma 7), cd. General european Official medicines control laboratories (OMCL) network - GEON;

In proposito, la Commissione UE e il Consiglio d'Europa hanno deciso il 26 maggio 1994 di creare una rete di laboratori ufficiali di controllo dei medicinali (OMCL) per definire una rete di collaborazione nel campo del controllo di qualità dei medicinali commercializzati per uso umano e veterinario ed evitare in tal modo duplicazione del lavoro, condividere tecnologie all'avanguardia e a procedure analitiche selettive.

-        le aziende che stipulano le convenzioni devono documentare, per ogni lotto di produzione di emoderivati, compresi quelli intermedi, le Regioni e le province autonome di provenienza del plasma utilizzato, il rispetto delle buone pratiche di fabbricazione e di tutte le altre norme stabilite dall'Unione europea, nonché l'esito del controllo dello Stato (comma 8);

 

Il comma 9 individua le risorse finanziarie necessarie a garantire l’incentivazione alla donazione di plasma, prevedendo che siano definiti dal Ministero della salute, sentiti il Centro Nazionale Sangue e la Conferenza Stato-Regioni, programmi finalizzati al raggiungimento dell’autosufficienza nella produzione di medicinali emoderivati prodotti da plasma nazionale derivante dalla donazione volontaria, periodica, responsabile, anonima e gratuita. Il Ministero della salute definisce tali programmi nell’esercizio delle funzioni di cui alla legge n. 219 del 2005 in commento, ed in particolare:

-        nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 10, comma 2, lettera i), che assegna, al Ministero della salute, tra le competenze ad esso attribuite nello svolgimento dei compiti di indirizzo e programmazione del settore trasfusionale, l’individuazione, in accordo con le associazioni di volontariato del sangue, di un programma nazionale di iniziative per la razionalizzazione ed il rafforzamento delle attività trasfusionali;

-        nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 14, per la definizione del programma annuale per l’autosufficienza nazionale (v. ante).

 

Per il perseguimento delle predette finalità viene autorizzata una spesa di 6 milioni di euro annui a decorrere dal 2022 per interventi di miglioramento organizzativo delle strutture dedicate alla raccolta, alla qualificazione e alla conservazione del plasma nazionale destinato alla produzione di medicinali emoderivati.

 

Inoltre, il comma 10, al fine di promuovere la donazione volontaria e gratuita di sangue e di emocomponenti, autorizza la spesa di 1 milione di euro annui a decorrere dal 2022, per la realizzazione da parte del Ministero della salute, in collaborazione con il Centro Nazionale Sangue e le associazioni e le federazioni di donatori volontari di sangue, di iniziative, campagne e progetti di comunicazione e informazione istituzionale.

 

 

Il comma 11 individua la copertura degli oneri previsti ai precedenti commi 9 e 10, pari a complessivi 7 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2022, mediante utilizzo delle risorse destinate alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.

Si ricorda che in base a tale norma il CIPE, su proposta del Ministro della salute, d'intesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni può vincolare quote del Fondo sanitario nazionale alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, con priorità, tra gli altri, per progetti finalizzati alla prevenzione, e in particolare alla prevenzione delle malattie ereditarie, nonché alla realizzazione degli obiettivi definiti dal Patto per la salute purché relativi al miglioramento dell'erogazione dei LEA.

 

Il comma 12 definisce la disciplina transitoria, stabilendo che nelle more dell’adozione dei decreti di cui ai commi 2, 4 e 5 in attuazione di quanto previsto dal presente articolo, continuano a trovare applicazione le convenzioni stipulate prima della data di entrata in vigore della presente legge e sono stipulate nuove convenzioni, qualora necessario per garantire la continuità delle prestazioni assistenziali.

 

Di seguito si riporta la tabella di confronto tra il testo dell’articolo 15 della legge n. 219 del 2005 Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati e il testo modificato dalla proposta di legge in esame.

 

Articolo 15
 (Produzione di farmaci emoderivati)

Articolo 15
(Revisione del sistema di produzione dei medicinali emoderivati da plasma italiano)

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1. I medicinali emoderivati prodotti dal plasma raccolto dai servizi trasfusionali italiani sono destinati al soddisfacimento del fabbisogno nazionale e, nell’ottica della piena valorizza-zione del gesto del dono del sangue e dei suoi componenti, sono utilizzati prioritaria-mente rispetto agli equivalenti commerciali, tenendo conto della continuità terapeutica di specifiche categorie di assistiti.

 

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2. In coerenza con i princìpi di cui agli articoli 4 e 7, comma 1, per la lavorazione del plasma raccolto dai servizi trasfusionali italiani per la produzione di medicinali emoderivati dotati dell’autorizzazione all’immissione in commercio in Italia, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, singolarmente o consorziandosi tra loro, stipulano convenzioni con le aziende autorizzate ai sensi del comma 4, in conformità allo schema tipo di convenzione predisposto con decreto del Ministro della salute, d’in-tesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Lo schema tipo di convenzione tiene conto dei princìpi strategici per l’autosufficienza nazionale di cui all’articolo 14, prevedendo adeguati livelli di raccolta del plasma e un razionale e appropriato utilizzo dei prodotti emoderivati e degli intermedi derivanti dalla lavorazione del plasma nazionale, anche nell’ottica della compensazione interregionale. Le aziende garantiscono che i medicinali emoderivati oggetto delle convenzioni sono prodotti esclusivamente con il plasma nazionale.

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3. Ai fini della stipula delle convenzioni di cui al comma 2, le aziende produttrici di medicinali emoderivati si avvalgono di stabilimenti di lavorazione, frazionamento e produzione ubicati in Stati membri dell’Unione europea o in Stati terzi che sono parte di accordi di mutuo riconoscimento con l’Unione europea, nel cui territorio il plasma ivi raccolto provenga esclusivamente da donatori volontari non remunerati. Gli stabili-menti di cui al primo periodo sono autorizzati alla lavorazione, al frazionamento del plasma e alla produzione di medicinali emoderivati dalle rispettive autorità nazionali competenti, secondo quanto previsto dalle vigenti disposizioni nazionali e dell’Unione europea.

1. Il Ministro della salute, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Consulta e previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, predispone uno schema tipo di convenzione, in conformità del quale le regioni, singolarmente o consorziandosi fra loro, stipulano convenzioni con i centri e le aziende di cui al comma 5 per la lavorazione del plasma raccolto in Italia[44]

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2. Ai fini della stipula delle convenzioni di cui al comma 1, i centri e le aziende di frazionamento e di produzione di emoderivati devono essere dotati di adeguate dimensioni, disporre di avanzata tecnologia e avere gli stabilimenti idonei ad effettuare il processo di frazionamento ubicati nei Paesi dell'Unione europea in cui il plasma raccolto non è oggetto di cessione a fini di lucro ed è lavorato in un regime di libero mercato compatibile con l'ordinamento comunitario. I suddetti centri ed aziende devono produrre i farmaci emoderivati oggetto delle convenzioni di cui al comma 1, dotati dell'autorizzazione all'immissione in commercio in Italia

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3. Tali stabilimenti devono risultare idonei alla lavorazione secondo quanto previsto dalle norme vigenti nazionali e dell'Unione europea a seguito di controlli effettuati dalle rispettive autorità nazionali responsabili ai sensi dei propri ordinamenti, e di quelli dell'autorità nazionale italiana.

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4. Gli emoderivati prodotti, autorizzati alla commercializzazione e destinati al soddisfacimento del fabbisogno nazionale, devono derivare da plasma raccolto esclusivamente sul territorio italiano, sia come materia prima sia come semilavorati intermedi. Presso i centri e le aziende di produzione deve essere conservata specifica documentazione atta a risalire dal prodotto finito alle singole donazioni, da esibire a richiesta dell'autorità sanitaria nazionale o regionale.

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5. Il Ministro della salute, con proprio decreto, sentiti la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, il Centro nazionale sangue di cui all'articolo 12 e la Consulta, individua tra i centri e le aziende di frazionamento e di produzione di emoderivati quelli autorizzati alla stipula delle convenzioni

4. Con decreto del Ministro della salute, sentiti il Centro nazionale sangue e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è approvato l’elenco delle aziende autorizzate alla stipula delle convenzioni di cui al comma 2.

6. [Le convenzioni di cui al presente articolo sono stipulate decorso un anno dalla data di entrata in vigore del decreto previsto dal comma 5 del presente articolo] comma abrogato

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7. I centri e le aziende di frazionamento e produzione documentano, per ogni lotto di emoderivati, le regioni di provenienza del plasma lavorato nel singolo lotto, il rispetto delle buone pratiche di fabbricazione e di tutte le altre norme stabilite dall'Unione europea, nonché l'esito del controllo di Stato.

5. Le aziende interessate alla stipula delle convenzioni di cui al comma 2, nel presentare al Ministero della salute l’istanza per l’inserimento nell’elenco di cui al comma 4, documentano il possesso dei requisiti di cui al comma 3, indicano gli stabilimenti interessati alla lavorazione, al frazionamento e alla produzione dei medicinali derivati da plasma nazionale e producono le autorizza-zioni alla produzione e le certificazioni rilasciate dalle autorità competenti. Con decreto del Ministro della salute sono definite le modalità per la presentazione e per la valutazione, da parte dell’Agenzia italiana del farmaco, delle istanze di cui al primo periodo.

8. Gli emoderivati, prima dell'immissione in commercio dei singoli lotti, sono sottoposti al controllo di Stato secondo le direttive emanate con decreto del Ministro della salute, sentita la Consulta.

6. Presso le aziende che stipulano le con-venzioni è conservata specifica documentazione, da esibire a richiesta dell’autorità sanitaria nazionale o regionale, al fine di individuare le donazioni di plasma da cui il prodotto finito è derivato.

 

7. I lotti di medicinali emoderivati da plasma nazionale, prima della loro restituzione alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, fornitrici del plasma, come specialità medicinali, sono sottoposti, con esito favorevole, al controllo di Stato, secondo le procedure europee, in un laboratorio della rete europea dei laboratori ufficiali per il controllo dei medicinali (General european Official medicines control laboratories (OMCL) network - GEON).

 

8. Le aziende che stipulano le conven-zioni documentano, per ogni lotto di produzione di emoderivati, compresi gli intermedi, le regioni e le province autonome di provenienza del plasma utilizzato, il rispetto delle buone pratiche di fabbricazione e di tutte le altre norme stabilite dall’Unione europea, nonché l’esito del controllo di Stato.

 

9. Nell’esercizio delle funzioni di cui agli articoli 10, comma 2, lettera i), e 14, il Ministero della salute, sentiti il Centro nazionale sangue e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definisce specifici programmi finalizzati al raggiungimento dell’autosufficienza nella produzione di medicinali emoderivati prodotti da plasma nazionale derivante dalla dona-zione volontaria, periodica, responsabile, anonima e gratuita. Per il perseguimento delle finalità di cui al primo periodo è autorizzata la spesa di 6 milioni di euro annui a decorrere dal 2022 per interventi di miglioramento organizzativo delle strutture de-dicate alla raccolta, alla qualificazione e alla conservazione del plasma nazionale desti-nato alla produzione di medicinali emoderivati.

 

10. Al fine di promuovere la donazione volontaria e gratuita di sangue e di emocomponenti, è autorizzata la spesa di 1 milione di euro annui a decorrere dal 2022, per la realizzazione da parte del Ministero della salute, in collaborazione con il Centro nazionale sangue e le associazioni e le federa-zioni di donatori volontari di sangue, di iniziative, campagne e progetti di comunica-zione e informazione istituzionale.

 

11. Agli oneri derivanti dai commi 9 e 10, pari a 7 milioni di euro annui a decorrere dal 2022, si provvede mediante utilizzo delle risorse destinate alla realizzazione di specifici obiettivi del Piano sanitario nazionale, ai sensi dell’articolo 1, comma 34, della legge 23 dicembre 1996, n. 662. 12. Nelle more dell’adozione dei decreti di cui ai commi 2, 4 e 5 in attuazione di quanto previsto dal presente articolo, continuano a trovare applicazione le convenzioni stipulate prima della data di entrata in vi-gore del presente articolo e sono stipulate nuove convenzioni, ove necessario per garantire la continuità delle prestazioni assistenziali

 


Articolo 18
(Conferimento degli incarichi di direzione di strutture complesse)

 

 

L’articolo 18 modifica[45] la disciplina sul conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa nell’ambito degli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale. Le modifiche concernono: la composizione della commissione che procede alla selezione dei candidati; la soppressione della possibilità di scelta (da parte del direttore generale dell’ente o azienda) di un candidato diverso da quello avente il miglior punteggio; gli elementi da pubblicare sul sito internet dell'ente o azienda prima della nomina.

 

Si ricorda che le strutture complesse degli enti ed aziende in esame sono costituite[46] dai dipartimenti nonché dalle altre unità operative qualificate come strutture complesse in base alle disposizioni regionali; tuttavia, le norme oggetto della presente novella riguardano esclusivamente le strutture complesse diverse dai dipartimenti[47].

La novella conferma (comma 1, capoverso 7-bis, alinea, del presente articolo 18) il principio secondo cui le regioni, nei limiti delle risorse finanziarie ordinarie e nei limiti del numero delle strutture complesse previste dall'atto di organizzazione aziendale, tenuto conto delle norme in materia stabilite dalla contrattazione collettiva, disciplinano i criteri e le procedure per il conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa, previo avviso a cui l'ente o azienda è tenuto a dare adeguata pubblicità; i criteri e le procedure sono in ogni caso definiti in base ai seguenti princìpi, come riformulati dalla novella in esame - questi ultimi non si applicano (nell’ambito delle aziende ospedaliero-universitarie) nelle ipotesi di unità operativa complessa a direzione universitaria, per le quali la novella conferma i princìpi vigenti (cfr. infra) -. In base ai princìpi, come riformulati dalla novella:

-        la selezione - così come nella versione vigente - è effettuata da una commissione composta dal direttore sanitario dell'ente o azienda interessato e da tre direttori di struttura complessa nella medesima disciplina dell'incarico da conferire, individuati, tramite sorteggio, nell’ambito di un elenco nazionale nominativo, costituito dall'insieme degli elenchi regionali dei direttori di struttura complessa appartenenti ai ruoli regionali del Servizio sanitario nazionale (lettera a) del citato capoverso 7-bis). La novella prevede che, in ogni caso, almeno due di tali tre soggetti - anziché, come nel testo vigente, almeno uno dei tre - siano scelti tra i responsabili di strutture complesse in regioni diverse da quella in cui abbia sede l'azienda interessata. La novella - rispetto al testo vigente - inserisce la previsione che la commissione sia composta in base al principio della parità di genere; al riguardo, si valuti l’opportunità di chiarire se la parità debba essere commisurata con riferimento anche al direttore sanitario summenzionato, considerato che, in merito, la prima parte della norma fa riferimento alla "metà dei direttori di struttura complessa" (i quali sono in numero di tre). Il presidente della commissione, in base alla novella, è il componente, tra i membri sorteggiati, con maggiore anzianità di servizio, mentre il testo vigente prevede l’elezione da parte della medesima commissione (con scelta nell’ambito dei membri sorteggiati); si valuti l’opportunità di chiarire se e quali incarichi precedenti si computino, ai fini in oggetto, nell’anzianità di servizio. La novella conferma che, in caso di parità, nelle deliberazioni prevale il voto del presidente;

-        la commissione (lettera b) del citato capoverso 7-bis) definisce la graduatoria - attribuendo a ciascun candidato un punteggio complessivo secondo criteri fissati preventivamente - e il direttore generale dell’ente o azienda procede alla nomina del candidato con il miglior punteggio, ovvero di quello più giovane di età tra quelli aventi il miglior identico punteggio. Il testo vigente prevede invece che la commissione presenti al direttore generale una terna di candidati, formata sulla base dei migliori punteggi attribuiti, e che il direttore generale proceda alla nomina nell'ambito della terna, motivando analiticamente la scelta nel caso in cui intenda nominare uno dei due candidati non aventi il migliore punteggio. Restano ferme le altre norme sui criteri e le modalità di formazione della graduatoria; secondo tali disposizioni, la commissione riceve dall'ente o azienda il profilo professionale del dirigente da incaricare e procede sulla base dell'analisi comparativa dei curricula, dei titoli professionali posseduti (avendo anche riguardo alle necessarie competenze organizzative e gestionali), dei volumi dell'attività svolta, dell'aderenza al profilo ricercato e degli esiti di un colloquio[48]. Resta ferma la norma secondo cui l’ente o azienda può preventivamente stabilire che, nei due anni successivi alla data del conferimento dell'incarico in esame, nel caso di dimissioni o di decadenza del dirigente nominato, si procede alla sostituzione in base alla selezione già operata; al riguardo, la novella prevede il conferimento dell'incarico mediante scorrimento della graduatoria, mentre il testo vigente prevede il conferimento ad uno degli altri due soggetti facenti parte della terna iniziale;

-        il profilo professionale del dirigente da incaricare, i curricula dei candidati, i criteri di attribuzione del punteggio, la graduatoria dei candidati, la relazione della commissione sono pubblicati sul sito internet dell'ente o azienda prima della nomina (rispetto alla norma corrispondente del testo vigente, la novella - di cui alla lettera d) del citato capoverso 7-bis - inserisce la previsione della pubblicazione suddetta dei criteri di attribuzione del punteggio e della graduatoria).

Come accennato, la novella conferma i princìpi vigenti - con riferimento alle aziende ospedaliero-universitarie - per l’ipotesi di unità operativa complessa a direzione universitaria. In base ad essi: la nomina dei responsabili (di tali unità operative complesse) è effettuata dal direttore generale dell’azienda, d'intesa con il rettore - sentito il dipartimento universitario competente, ovvero, laddove costituita, la competente struttura di raccordo interdipartimentale - sulla base del curriculum scientifico e professionale del responsabile da nominare (lettera c) del citato capoverso 7-bis); i curricula dei candidati e l'atto motivato di nomina sono pubblicati sui siti internet istituzionali dell'ateneo e dell'azienda ospedaliero-universitaria interessati (lettera d) del medesimo capoverso 7-bis).

 

Si ricorda altresì che l'incarico di direttore di struttura complessa è soggetto a conferma al termine di un periodo di prova di sei mesi - prorogabile di altri sei -, a decorrere dalla data di nomina, sulla base della valutazione relativa al medesimo titolare[49].


Articolo 19
(Procedure per la realizzazione di infrastrutture di nuova generazione)

 

 

L’articolo 19 prevede alcune modifiche all’articolo 3 del decreto legislativo n. 33 del 2016 che definisce un quadro di regole volto a ridurre i costi per la realizzazione di reti a banda ultra-larga.

 

A tale riguardo è utile ricordare come il richiamato articolo 3 pone degli obblighi in capo ai gestori di infrastrutture fisiche (quali le reti per la distribuzione di gas naturale, acqua, reti stradali, metropolitane, ferroviarie) di garantire l’utilizzo delle stesse in caso di richiesta da parte di un operatore di comunicazioni elettroniche per la posa di cavi in fibra ottica.

 

Passando quindi alla illustrazione delle modifiche apportate dall'articolo 19 al decreto legislativo n. 22 del 2016, si segnala che, con riferimento all’accesso all’infrastruttura fisica esistente, si prevede che l’accesso possa essere rifiutato dal gestore e dall’operatore di rete nel caso in cui l’infrastruttura fisica sia oggettivamente inidonea a ospitare gli elementi di reti di comunicazione elettronica ad alta velocita?.

In tal caso, si stabilisce che nel comunicare il rifiuto devono essere elencati gli specifici motivi di inidoneità per ogni singola tratta oggetto di richiesta di accesso, allegando documenti fotografici, planimetrie e ogni documentazione tecnica che avvalori l’oggettiva inidoneità.

 

Il rifiuto può ricorrere anche nel caso di indisponibilità? di spazio per ospitare gli elementi di reti di comunicazione elettronica ad alta velocita?. L’indisponibilità può avere riguardo anche a necessita? future del fornitore della infrastruttura fisica, sempre che tali necessita? siano concrete, adeguatamente dimostrate, oltre che oggettivamente e proporzionalmente correlate allo spazio predetto.

 

L'articolo in esame, infine, precisa che nel comunicare il rifiuto devono essere elencati gli specifici motivi di carenza di spazio per ogni singola tratta oggetto di richiesta di accesso, allegando documenti fotografici, planimetrie e ogni documentazione tecnica che avvalori l’oggettiva indisponibilità rispetto allo spazio richiesto.

 

 


Articolo 20
(Interventi di realizzazione delle reti in fibra ottica)

 

 

L’articolo 20, interviene con l'obiettivo di razionalizzare gli interventi dedicati alla realizzazione di reti di accesso in fibra ottica.

L'articolo in questione sostituisce il comma 1 dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 33 del 2016 prevedendo l’obbligatorietà del coordinamento tra il gestore di infrastrutture fisiche e ogni operatore di rete che esegue direttamente o indirettamente opere di genio civile laddove, sulla base dei piani pubblici sia previsto che due o più? operatori intendano realizzare reti in fibra ottica nelle stesse aree.

 

Nello specifico, le novità introdotte dall'articolo 20 consentono di limitare le duplicazioni degli scavi e delle connesse opere civili e di ridurre le tempistiche complessive.

A tale riguardo si prevede che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni vigili sul rispetto delle disposizioni in questione e possa intervenire con provvedimenti che stabiliscono le modalità? di coordinamento.

Si prevede, inoltre, che in assenza di infrastrutture disponibili, l’installazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocita? e? effettuata preferibilmente con tecnologie di scavo a basso impatto ambientale

Da ultimo si stabilisce che continuano a trovare applicazione le norme tecniche e le prassi di riferimento nella specifica materia elaborate dall’Ente nazionale italiano di unificazione.

 

 


Articolo 21
(Blocco e attivazione dei servizi premium e acquisizione della prova del consenso)

 

 

L’articolo 21 introduce delle disposizioni volte a rendere più efficace il contrasto al persistente fenomeno delle attivazioni inconsapevoli e di quelle fraudolente di servizi di telefonia e di comunicazioni elettroniche.

 

In particolare, con l'articolo in esame viene vietata ai soggetti gestori dei servizi di telefonia e di comunicazioni elettroniche la possibilità di attivare, senza il previo consenso espresso e documentato del consumatore o dell’utente, servizi in abbonamento da parte degli operatori stessi o di terzi, inclusi quei servizi che prevedono l’erogazione di contenuti digitali forniti sia attraverso SMS e MMS, sia tramite connessione dati, con addebito su credito telefonico o documento di fatturazione, offerti sia da terzi, sia direttamente dagli operatori.


Articolo 22
(Norme in materia di servizi postali)

 

 

L’articolo 22 reca alcune modifiche all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, recante attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio.

In particolare, l'articolo in questione, al comma 1, stabilisce che il Ministero dello sviluppo economico, sentita l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, riesamini periodicamente l’ambito di applicazione degli obblighi di servizio universale sulla base degli orientamenti della Commissione europea, delle esigenze degli utenti e delle diverse offerte presenti sul mercato nazionale in termini di disponibilità, qualità e prezzo accessibile, segnalando periodicamente al Parlamento le modifiche normative ritenute necessarie in ragione dell’evoluzione dei mercati e delle tecnologie.

Il comma 2, invece, mira ad agevolare l’attività di acquisizione e gestione delle informazioni relative al settore postale, da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

Lo stesso comma 2, infatti estende anche al settore postale il parere che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni rende all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per i provvedimenti adottati da quest’ultima in materia di intese restrittive della concorrenza, abusi di posizione dominante e operazioni di concentrazione.

Da ultimo si segnala che il comma in esame prevede l’estensione dell’obbligo di iscrizione al registro degli operatori di comunicazione ai fornitori di servizi postali, compresi i fornitori di servizi di consegna dei pacchi.

 

 

 


Articolo 23
(Deleghe al Governo per la revisione dei procedimenti amministrativi in funzione pro-concorrenziale)

 

 

L’articolo 23 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per procedere ad una nuova ricognizione dei regimi amministrativi delle attività private e alla loro semplificazione mediante eliminazione delle autorizzazioni e degli adempimenti non necessari.

Sono previsti criteri e principi generali volti, in gran parte, a tipizzare e individuare le attività private soggette ai diversi regimi, semplificare i procedimenti relativi ai provvedimenti autorizzatori, estendere l’ambito delle attività private liberamente esercitabili senza necessità di alcun adempimento, inclusa la mera comunicazione, nonché digitalizzare le procedure.

La delega deve essere esercitata entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame. È altresì prevista la facoltà di adottare decreti integrativi e correttivi entro un anno dall’entrata in vigore di ciascun decreto. È affidata alla Commissione parlamentare per la semplificazione la verifica periodica dello stato di attuazione dell’articolo in esame, su cui riferisce ogni sei mesi alle Camere.

 

Le disposizioni introdotte proseguono il cammino di riforme per la semplificazione amministrativa, sulla quale il Governo italiano si è impegnato ad agire anche in sede europea, da ultimo nell’ambito del PNRR, in particolare attraverso lo snellimento delle procedure autorizzative e di controllo nei settori nei quali è più avvertito dai cittadini e dalle imprese l'eccessivo carico di oneri normativi e burocratici.

In proposito è utile ricordare che la semplificazione delle procedure di autorizzazione ha ricevuto un forte impulso con la direttiva 2006/123/CE (c.d. Direttiva Servizi) che ha imposto agli Stati membri di esaminare procedure e requisiti per l’accesso e l’esercizio di attività di servizi e di valutarne la compatibilità con la Direttiva, modificandoli ove necessario. Oggetto di tale revisione e semplificazione sono stati i regimi di autorizzazione, ad opera del D.lgs. n. 58 del 2010, che ha dato attuazione alla direttiva europea.

Successivamente, una ampia attività di ricognizione delle attività private assoggettate ai differenti regimi amministrativi è stata avviata con la delega contenuta nella c.d. Legge Madia (legge n. 124 del 2015, articolo 5), e con il D.lgs. n. 222/2016 (c.d. SCIA 2) che ha operato una prima ricognizione delle attività e dei procedimenti nei settori del commercio e delle attività assimilabili, dell'edilizia e dell'ambiente (per un totale di 246 attività/procedimenti), indicando per ciascun procedimento o attività il regime amministrativo applicabile. Successivamente, con il D.L. n. 76 del 2020 (art. 15) è stato previsto un completamento della ricognizione dei procedimenti amministrativi da parte dello Stato, con le Regioni e le autonomie locali, sentiti le associazioni imprenditoriali, gli ordini e le associazioni professionali, da realizzare entro 150 giorni, nell’ambito dell’Agenda per la semplificazione 2020-2023.

I medesimi obiettivi sono stati ripresi ed inclusi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che nell’asse 3 della componente M1C1 prevede in primo luogo lo screening dei procedimenti amministrativi, identificandone i regimi di esercizio, nonché la conseguente semplificazione dei procedimenti, mediante eliminazione delle autorizzazioni non giustificate da motivi imperativi di interesse generale, estensione dei meccanismi di silenzio-assenso ove possibile o adottando gli strumenti di SCIA o della mera comunicazione.

Per approfondimenti sulle misure di semplificazione amministrativa previste nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza si rinvia allo specifico tema web.

 

 

In relazione all’opera di ricognizione dei procedimenti amministrativi e di semplificazione procedimentale, in questa sede è utile ricordare che nella scorsa legislatura la legge delega di riforma delle pubbliche amministrazioni – c.d. “Legge Madia” (legge n. 124/2015, articolo 5) - ha delegato il Governo all’adozione di uno o più decreti legislativi per:

1.     la precisa individuazione dei procedimenti oggetto di segnalazione certificata di inizio attività(SCIA) o di silenzio assenso, nonché quelli per i quali è necessaria l'autorizzazione espressa e di quelli per quali è sufficiente una comunicazione preventiva;

2.     l'introduzione di una disciplina generale delle attività non assoggettate ad autorizzazione preventiva espressa.

La delega ha previsto, infine, l'obbligo di comunicare ai soggetti interessati, all'atto della presentazione di un'istanza, i termini entro i quali l'amministrazione è tenuta a rispondere ovvero entro i quali il silenzio dell'amministrazione equivale ad accoglimento della domanda.

La delega è stata attuata con due decreti legislativi.

Il primo di essi (D.lgs. 30 giugno 2016, n. 126) contiene alcune disposizioni generali applicabili ai procedimenti relativi alle attività non assoggettate ad autorizzazione espressa (c.d. SCIA 1). Nel decreto è stata anche introdotta una clausola in base alla quale le attività private non espressamente individuate ai sensi dei medesimi decreti o non specificamente oggetto di disciplina da parte della normativa europea, statale e regionale, sono libere. Ulteriore novità di rilievo è rappresentata dalla introduzione di una disciplina per le ipotesi in cui per lo svolgimento di un'attività soggetta a SCIA siano necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche, ovvero atti di assenso o pareri da parte di altre amministrazioni. Per evitare che la stessa SCIA diventi più complicata del procedimento ordinario a causa dei numerosi atti presupposti, il decreto prevede una concentrazione dei regimi amministrativi.

L'attuazione della delega è proseguita con il decreto legislativo 5 novembre 2016, n. 222 (cd. SCIA 2), che provvede alla mappatura e alla individuazione delle attività oggetto di procedimento di mera comunicazione o segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso e introduce le conseguenti disposizioni normative di coordinamento.

In particolare, il decreto riporta nella tabella A allegata la ricognizione delle attività e dei procedimenti nei settori del commercio e delle attività assimilabili, dell'edilizia e dell'ambiente (per un totale di 246 attività/procedimenti), indicando per ciascun procedimento o attività, la tabella indica il regime amministrativo applicabile (autorizzazione, silenzio assenso, SCIA, SCIA unica, SCIA condizionata, comunicazione) l'eventuale concentrazione dei regimi e i riferimenti normativi. Le amministrazioni, nell'ambito delle rispettive competenze, possono ricondurre le attività non espressamente elencate nella tabella, anche in ragione delle loro specificità territoriali, a quelle corrispondenti, pubblicandole sul proprio sito istituzionale (art. 2, co. 6, D.lgs. n. 222/2016).

La ricognizione poteva essere integrata e completata con decreti successivi, previsti dalla legge delega, che tuttavia non sono stati adottati. Inoltre, si prevede un meccanismo di aggiornamento periodico della tabella, con decreto del Ministro delegato per la pubblica amministrazione, previa intesa in Conferenza unificata, al fine di tener conto delle disposizioni di legge intervenute successivamente (art. 2, co. 7, D.lgs. n. 222/2016). Le regioni e gli enti locali, nel disciplinare i regimi amministrativi di loro competenza, devono adeguarsi ai livelli di semplificazione e alle garanzie assicurate ai privati dal decreto, nonché possono prevedere livelli ulteriori di semplificazione.

 

 

Oggetto, principi e criteri direttivi delle deleghe

L’oggetto delle deleghe è stabilito in via generale dal comma 1:

-        individuare l’elenco dei nuovi regimi amministrativi delle attività private;

-        semplificare e reingegnerizzare in digitale le relative procedure amministrative, con la finalità, evidenziata nella relazione illustrativa, di “stimolare il dinamismo concorrenziale”.

 

Per regimi amministrativi, la citata disposizione richiama la segnalazione certificata di inizio attività (scia), il silenzio assenso, il titolo espresso e la comunicazione preventiva.

 

L’intervento del legislatore delegato è previsto al fine di eliminare le autorizzazioni e gli adempimenti non necessari, nel rispetto dei principi di diritto dell’Unione europea relativi all’accesso alle attività dei servizi e in modo da ridurre gli oneri regolatori su cittadini e imprese.

 

Per quanto riguarda i principi di diritto dell’Unione Europea, si ricorda che in base alla direttiva servizi, e come ribadito all’articolo 14, comma 1, del D.lgs. n. 59/2010, l’accesso ad un’attività di servizi può essere subordinato al rilascio di un’autorizzazione soltanto in presenza di tre condizioni, ovvero quando:

a) il regime di autorizzazione non è discriminatorio nei confronti del prestatore;

b) la previsione di un regime di autorizzazione è giustificata da un motivo imperativo di interesse generale;

c) l’obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva, in particolare in quanto un controllo a posteriori potrebbe risultare inefficace.

Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, costituiscono motivi imperativi di interesse generale, tra gli altri, la sanità pubblica, la tutela dei consumatori, la salute degli animali e la protezione dell’ambiente urbano. Il regime di autorizzazione è ammesso soltanto qualora l’obiettivo di interesse generale perseguito non possa essere raggiunto tramite una misura alternativa meno restrittiva. Ciò accade, in particolare, nei casi in cui un controllo a posteriori non sarebbe efficace a causa dell’impossibilità di constatare a posteriori le carenze dei servizi interessati, tenuto debito conto dei rischi e dei pericoli che potrebbero risultare dall’assenza di un controllo a priori. Le condizioni richieste per ottenere il rilascio dell’autorizzazione devono essere proporzionate all’interesse generale che si vuole proteggere e non discriminatorie riguardo alla provenienza o al Paese di stabilimento dei prestatori. Tutti i regimi autorizzatori che non soddisfano tali requisiti sono incompatibili con la Direttiva e devono essere sostituiti con un regime meno restrittivo di accesso all’attività di servizi.

 

 

La disposizione precisa che si tiene conto anche della individuazione dei regimi amministrativi di cui alla tabella A del D.lgs. n. 222/2016 (c.d. decreto SCIA 2).

 

In particolare, il decreto riporta nella tabella A allegata la ricognizione delle attività e dei procedimenti nei settori del commercio e delle attività assimilabili, dell'edilizia e dell'ambiente (per un totale di 246 attività). Per ciascun procedimento o attività, la tabella indica il regime amministrativo applicabile (autorizzazione, silenzio assenso, SCIA, SCIA unica, SCIA condizionata, comunicazione) l'eventuale concentrazione dei regimi e i riferimenti normativi (articolo 2).

La tabella A è suddivisa in tre sezioni:

1) Sezione I, denominata “Attività commerciali e assimilabili”, che ricomprende attività di commercio su area privata (esercizi di vicinato, medie e grandi strutture di vendita, sia di carattere alimentare che non, commercio all’ingrosso, sia alimentare che non, vendita di prodotti agricoli, etc.), commercio su area pubblica (itinerante e non, alimentare e non), l’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, strutture ricettive e stabilimenti balneari, attività di spettacolo o intrattenimento, sale giochi, autorimesse, distributori di carburante, officine di autoriparazione, acconciatori ed estetisti, panifici, tintolavanderie, arti tipografiche, litografiche, fotografiche e di stampa. Si tratta di 14 aree, per un totale di 107 attività;

2) Sezione II, denominata “Edilizia”, che ricomprende gli interventi edilizi e i relativi regimi amministrativi, altri adempimenti successivi all’intervento edilizio e alcuni interventi relativi a impianti alimentati da fonti rinnovabili, per un totale di 105 attività;

3) Sezione III, denominata “Ambiente”, che ricomprende le autorizzazioni integrate ambientali (AIA), le valutazioni di impatto ambientale (VIA), le autorizzazioni uniche ambientali (AUA), nonché le attività relative alle emissioni in atmosfera, alla gestione rifiuti, all’inquinamento acustico, agli scarichi idrici, alle dighe, alle bonifiche e altri procedimenti in materia di tutela dei corpi idrici, per un totale di 34 attività.

 

Il comma 2 stabilisce che i decreti siano adottati, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, secondo i principi di ragionevolezza e proporzionalità, di derivazione europea (su cui, si v. supra).

 

Quanto ai criteri direttivi, il legislatore delegato è tenuto in primo luogo a tipizzare e individuare:

§  le attività soggette ad autorizzazione, giustificate da motivi imperativi di interesse generale e i provvedimenti autorizzatori posti a tutela di principi e interessi costituzionalmente rilevanti (lettera a));

§  le attività soggette ai regimi amministrativi di cui agli articoli 19 (SCIA), 19-bis (SCIA unica o condizionata) e 20 (silenzio-assenso) della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero al mero obbligo di comunicazione (lettera b)).

 

I regimi amministrativi per l’avvio di attività private

 

Autorizzazione: l’atto con cui la pubblica amministrazione, su istanza dell’interessato, rimuove un limite legale posto all’esercizio di un’attività inerente un diritto soggettivo o una potestà pubblica preesistenti in capo al destinatario. Il tradizionale sistema di autorizzazione è basato sull’emanazione di provvedimenti espressi, salvi i casi in cui è previsto il silenzio assenso (si v. infra). Qualora per lo svolgimento dell’attività siano necessari ulteriori atti di assenso si applicano le disposizioni in materia di conferenza di servizi di cui agli articoli 14 e ss. della L. n. 241 del 1990.

 

Silenzio assenso: è un comportamento omissivo dell’amministrazione di fronte a un dovere di provvedere, di emanare un atto e di concludere il procedimento con l’adozione di un provvedimento entro un termine prestabilito (art. 2, co. 1 e 5, 20, L. 241/1990), che l’ordinamento qualifica, attraverso una norma di legge, in senso positivo. Pertanto, il silenzio assenso non elimina il regime autorizzatorio, ossia il fatto che sia necessario un provvedimento amministrativo di autorizzazione, bensì semplifica il procedimento per ottenere tale autorizzazione.

L’articolo 20 della legge n. 241/1990, con la riforma del 2005, ha generalizzato il ricorso all’istituto, stabilendo che in tutti i procedimenti a istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, esclusi quelli disciplinati dall’art. 19 (SCIA), «il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda», se la stessa amministrazione non comunica all’interessato, nel termine indicato dalla legge o dai regolamenti, il provvedimento di diniego ovvero se, entro 30 giorni dalla presentazione dall’istanza, non indice una conferenza di servizi. Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, dopo la scadenza del termine l’amministrazione competente può in ogni caso assumere determinazioni in via di autotutela, ossia annullare o revocare l’atto implicito di assenso (art. 21-quinquies e 21-nonies, L. n. 241/1990).

La legge prevede alcune eccezioni in relazione a determinati interessi pubblici (patrimonio culturale e paesaggistico, tutela del rischio idrogeologico, ambiente, difesa nazionale, pubblica sicurezza, immigrazione, asilo e cittadinanza, salute e pubblica incolumità), nonché a casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, a casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza e ad altre eccezioni singolarmente individuate.

 

SCIA: la segnalazione certifica di inizio attività sostituisce al potere autorizzatorio della pubblica amministrazione, finalizzato all’emanazione di un atto di consenso all’esercizio dell’attività, il diritto ex lege del privato di svolgere un’attività avviandone l’esercizio previa segnalazione. Ai sensi dell’art. 19 della L. n. 241 del 1990, oggetto di numerose modifiche fino all’intervento riformatore del 2016, la segnalazione certificata di inizio attività sostituisce ogni atto di autorizzazione, licenza, permesso, nulla osta il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e dei presupposti previsti dalle norme di settore, cioè ogni atto di tipo vincolato (mentre il silenzio assenso opera in procedimenti in cui sono previste autorizzazioni a carattere discrezionale). In secondo luogo, deve trattarsi di attività per le quali non sia previsto alcun limite o contingente complessivo.

In tali casi, la disciplina generale consente l’avvio dell’attività contestualmente alla presentazione della segnalazione allo sportello unico.

Resta in capo all’amministrazione un potere di controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dal privato con i presupposti e i requisiti previsti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale. I provvedimenti che l'amministrazione può adottare in seguito a SCIA, entro il termine perentorio di 60 giorni (30 giorni per la SCIA edilizia), sono, a seconda delle ipotesi: divieto di prosecuzione dell'attività e rimozione degli effetti dannosi, ovvero invito a conformare l'attività, ovvero sospensione dell'attività in caso di attestazioni non veritiere o di pericolo per la tutela dell'interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale. (art. 19, commi 3 e 4).

 

SCIA unica: riguarda le attività soggette a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) per le quali siano necessarie altre SCIA, comunicazioni, attestazioni, asseverazioni e notifiche (art. 19-bis, comma 2). Si tratta pertanto di attività "liberalizzate", ossia attività per le quali all'amministrazione spetta solo verificare la sussistenza di requisiti o presupposti fissati dalle norme. Risultano escluse da tale disciplina le ipotesi in cui per lo svolgimento di un'attività soggetta a SCIA siano necessarie anche autorizzazioni, comunque denominate, espresse o perfezionate con il silenzio assenso. La disposizione prevede che in tali casi l'interessato presenta la SCIA allo sportello unico indicato sul sito (c.d. SCIA unica). L'efficacia della SCIA unica è immediata, in quanto l'attività può essere iniziata dalla data di presentazione della segnalazione.

L'amministrazione che riceve la SCIA la trasmette alle altre amministrazioni interessate, al fine di consentire le verifiche sulla sussistenza dei presupposti e requisiti di loro competenza. Le amministrazioni interessate che ricevono la SCIA, fino a cinque giorni prima della scadenza del termine previsto dall'art. 19, L. 241/1990, possono presentare eventuali proposte motivate (all'amministrazione che ha ricevuto la SCIA) per l'adozione di provvedimenti inibitori, conformativi o sospensivi previsti dal medesimo articolo 19 in caso di accertamento della carenza dei requisiti e dei presupposti.

 

SCIA condizionata: riguarda le attività soggette a Scia per le quali sia necessaria anche l'acquisizione di atti di assenso, comunque denominati, o pareri di altri uffici e amministrazioni, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive (art. 19-bis, co. 3). Si parla di SCIA condizionata in quanto, a differenza dei casi di SCIA unica, il presupposto per la presentazione della SCIA è un atto di autorizzazione o una valutazione discrezionale da parte dell'amministrazione. Pertanto, in tali casi un procedimento autorizzatorio si innesta sulla SCIA come fase prodromica. Anche in questo caso è comunque prevista una concentrazione di regimi. Infatti, l'interessato presenta una istanza unica allo sportello unico a seguito del quale viene rilasciata la ricevuta. A decorrere dalla data della presentazione di tale istanza-segnalazione allo sportello unico si procede alla convocazione della conferenza di servizi di cui all'art. 14 della L. 241/1990. Il termine di 5 giorni per la convocazione della conferenza di servizi decorre dalla data di presentazione dell'istanza allo sportello unico.

La differenza principale rispetto alle ipotesi di SCIA unica consiste nel fatto che nei casi di SCIA condizionata non vi è la possibilità di iniziare subito l'attività. Piuttosto, l'inizio dell'attività resta subordinato al rilascio delle autorizzazioni o altri titoli espressi presupposti, di cui lo sportello unico deve dare comunicazione all'interessato.

 

Comunicazione: in questi casi, il privato ha l’obbligo di comunicare preventivamente l’intenzione di svolgere una determinata attività. La comunicazione produce effetto con la presentazione allo Sportello unico o all’amministrazione competente. Quando per l’avvio, lo svolgimento o la cessazione dell’attività sono richieste altre attestazioni, l’interessato può presentare un’unica comunicazione allo sportello unico.

 

 

In secondo luogo, il legislatore delegato deve provvedere a:

§  eliminare i provvedimenti autorizzatori, gli adempimenti e le misure incidenti sulla libertà di iniziativa economica ritenuti non indispensabili fatti salvi quelli imposti dalla normativa dell’Unione europea o quelli a tutela di principi e interessi costituzionalmente rilevanti (lettera c));

 

§  semplificare i procedimenti relativi ai provvedimenti autorizzatori, agli adempimenti e alle misure non eliminati ai sensi delle lettere a) e b), in modo da ridurne il numero delle fasi e delle amministrazioni coinvolte, anche eliminando e razionalizzando le competenze degli uffici, accorpando le funzioni per settori omogenei, individuando discipline e tempi uniformi per tipologie omogenee di procedimenti (lettera d));

 

§  estendere l’ambito delle attività private liberamente esercitabili senza necessità di alcun adempimento, inclusa la mera comunicazione, da parte dei privati (lettera e));

 

§  semplificare e reingegnerizzare le procedure e gli adempimenti per la loro completa digitalizzazione (lettera f));

 

§  eliminare i livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti per l’adeguamento alla normativa europea (lettera g));

 

Si ricorda che, in base all'articolo 14, commi da 24-bis a 24-quater, della L. 28 novembre 2005, n. 246, gli atti di recepimento di direttive europee non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, salva l'ipotesi in cui l'amministrazione dia conto delle circostanze eccezionali in relazione alle quali si renda necessario il superamento del livello minimo di regolazione europea. Quest'ultima fattispecie deve essere previamente valutata nella suddetta AIR o comunque, per gli atti normativi non sottoposti ad AIR, in base ai metodi di analisi adottati (per la redazione dell'AIR e della VIR) con direttive del Presidente del Consiglio dei Ministri.

In particolare, secondo il comma 24-ter del citato articolo 14, costituiscono livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive europee:

a) l'introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l'attuazione delle direttive;

b) l'estensione dell'ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari;

c) l'introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l'attuazione delle direttive.

I commi 5 e 8 del citato articolo 14 della L. n. 246, e successive modificazioni, ed il regolamento di cui al D.P.C.M. 15 settembre 2017, n. 169, individuano i casi di esclusione dell'AIR, tra cui l'ipotesi in cui l'amministrazione proponente chieda al DAGL (Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri) l'esenzione in relazione al ridotto impatto dell'intervento.

 

§  ridurre i tempi dei procedimenti autorizzatori per l’avvio dell’attività di impresa (lettera h)).

 

La procedura per l’adozione dei decreti legislativi

Il comma 3 dispone che i decreti legislativi siano adottati entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con i Ministri competenti per materia.

Sugli schemi di decreti legislativi è acquisito:

§  il parere delle associazioni imprenditoriali;

§  il parere nonché, per i profili di competenza regionale, l’intesa della Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 8 del d.lgs. n. 281 del 1997;

 

In proposito si ricorda che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 251 del 2016, sulla legge n. 124 del 2015, ha evidenziato come nel caso di decreti legislativi per il riordino di numerosi settori inerenti a tutte le amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e degli enti locali, che influiscono su varie materie, cui corrispondono interessi e competenze sia statali, sia regionali e, in alcuni casi, degli enti locali occorre, anzitutto, verificare se, nei singoli settori in cui intervengono le norme impugnate, fra le varie materie coinvolte, ve ne sia una, di competenza dello Stato, cui ricondurre, in maniera prevalente, il disegno riformatore nel suo complesso. Quando non è possibile individuare una materia di competenza dello Stato cui ricondurre, in via prevalente, la normativa impugnata, perché vi è, invece, una concorrenza di competenze, statali e regionali, relative a materie legate in un intreccio inestricabile, è necessario che il legislatore statale rispetti il principio di leale collaborazione e preveda adeguati strumenti di coinvolgimento delle Regioni (e degli enti locali), a difesa delle loro competenze.

In tale pronuncia - in senso evolutivo rispetto alla giurisprudenza precedente – la Corte ha ritenuto che l’intesa nella Conferenza “costituisca un necessario passaggio procedurale anche quando la normativa statale deve essere attuata con decreti legislativi delegati, che il Governo adotta sulla base di quanto stabilito dall’art. 76 Cost. Tali decreti, sottoposti a limiti temporali e qualitativi e condizionati a tutte le indicazioni contenute nella Costituzione e nella legge delega, non possono sottrarsi alla procedura concertativa, proprio per garantire il pieno rispetto del riparto costituzionale delle competenze”.

 

§  il parere del Consiglio di Stato.

 

Tutti i pareri sono resi nel termine di 45 giorni dalla data di trasmissione di ciascuno schema, decorso il quale il Governo può comunque procedere.

Successivamente è prevista l’espressione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196nel termine di 45 giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti legislativi possono essere comunque adottati.

 

Si segnala in proposito che, nella sentenza n. 261 del 2017, la Corte costituzionale ha confermato che l’avverbio "successivamente" - collocato in fattispecie analoghe a quella descritta - scandisce un ordine procedimentale, in virtù del quale non è tassativo richiedere prima i pareri della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome (o, a seconda dei casi, della Conferenza unificata Stato-regioni-province autonome-città ed autonomie locali) e del Consiglio di Stato e soltanto all’esito della formulazione dei medesimi richiedere quelli delle Commissioni parlamentari. Secondo la Corte, l’adempimento procedurale imprescindibile è infatti che queste ultime rendano il parere dopo avere avuto contezza di quelli espressi dagli altri organi dianzi indicati.

 

Entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi (di cui al comma 1), il Governo ha la facoltà di adottare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni integrative e correttive, nel rispetto della procedura e dei princìpi e criteri direttivi di cui all’articolo in esame (comma 4).

 

È affidata alla Commissione parlamentare per la semplificazione la verifica periodica dello stato di attuazione dell’articolo in esame, su cui riferisce ogni sei mesi alle Camere (comma 5).

 

La Commissione parlamentare per la semplificazione della legislazione è stata istituita dall'articolo 14, comma 19, della legge 28 novembre 2005, n. 246 (legge di semplificazione e riassetto normativo per l'anno 2005). A seguito della novella introdotta dall'articolo 4, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69, ha assunto la denominazione di "Commissione parlamentare per la semplificazione", a decorrere dal 4 luglio 2009. La Commissione è composta da 20 senatori e da 20 deputati nominati rispettivamente dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati nel rispetto della proporzione esistente tra i gruppi parlamentari.

Nell'ambito delle politiche di semplificazione degli ultimi anni, l'articolo 24 del decreto-legge n. 90 del 2014 - che ha dato vita all'agenda per la semplificazione - ha attribuito alla Commissione il ruolo di interlocuzione con il Governo, chiamato a riferire sullo stato di attuazione dell’Agenda entro il 30 aprile di ciascun anno. L’articolo 24 prevede infatti che il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione illustri alla Commissione parlamentare per la semplificazione i contenuti dell'Agenda per la semplificazione entro quarantacinque giorni dalla sua approvazione da parte del Consiglio dei ministri e riferisce sul relativo stato annualmente.

 

Il Governo, nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato adotta le norme regolamentari di attuazione o esecuzione adeguandole alla nuova disciplina di livello primario (comma 6).

 

Dall’attuazione delle deleghe non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tale fine, agli adempimenti previsti dai relativi decreti legislativi le Amministrazioni provvedono attraverso una diversa allocazione delle ordinarie risorse umane, finanziarie e strumentali, allo stato in dotazione alle medesime amministrazioni (comma 7).

 

In via generale si ricorda che in conformità all’articolo 17, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, le leggi di delega comportanti oneri recano i mezzi di copertura necessari per l'adozione dei relativi decreti legislativi. Qualora, in sede di conferimento della delega, per la complessità della materia trattata, non sia possibile procedere alla determinazione degli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, la quantificazione degli stessi è effettuata al momento dell'adozione dei singoli decreti legislativi. I decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie.

 


Articolo 24
(Delega in materia di semplificazione dei controlli sulle attività economiche)

 

 

L’articolo 24 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per semplificare, rendere più efficaci ed efficienti e coordinare i controlli sulle attività economiche, ed in particolare, eliminare gli adempimenti non necessari, favorire la programmazione dei controlli per evitare duplicazioni, sovrapposizioni e ritardi al normale esercizio dell’attività di impresa, consentire l’accesso ai dati e allo scambio delle informazioni da parte dei soggetti con funzioni di controllo, anche attraverso l’interoperabilità delle banche dati.

 

Principi e criteri direttivi della delega

Il comma 1 delega il Governo ad adottare - senza nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica - uno o più decreti legislativi, volti a semplificare, rendere più efficaci ed efficienti e coordinare i controlli sulle attività economiche, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi, oltre che nel rispetto dei criteri per l’esercizio delle deleghe di semplificazione di cui all’art.20, comma 3 della legge n. 59/1997, cd. “Legge Bassanini”:

a)     eliminazione degli adempimenti non necessari alla tutela degli interessi pubblici e delle corrispondenti attività di controllo;

b)    semplificazione degli adempimenti amministrativi necessari sulla base del principio di proporzionalità rispetto alle esigenze di tutela degli interessi pubblici;

c)     coordinamento e programmazione dei controlli da parte delle amministrazioni per evitarne duplicazioni e sovrapposizioni e ritardi al normale esercizio delle attività dell’impresa, assicurando l’efficace tutela dell’interesse pubblico;

d)    programmazione dei controlli secondo i principi di efficacia, efficienza e proporzionalità, tenendo conto delle informazioni in possesso delle amministrazioni competenti, definendone contenuti, modalità e frequenza anche sulla delle verifiche e delle ispezioni pregresse;

e)     ricorso alla diffida o ad altri meccanismi di promozione dell’ottemperanza alla disciplina a tutela di interessi pubblici;

f)     promozione della collaborazione tra le amministrazioni e i soggetti controllati al fine di prevenire rischi e situazioni di irregolarità, anche introducendo meccanismi di dialogo e di valorizzazione dei comportamenti virtuosi, anche attraverso strumenti premiali;

g)    accesso ai dati e scambio delle informazioni da parte dei soggetti che svolgono funzioni di controllo ai fini del coordinamento e della programmazione dei controlli anche attraverso l’interoperabilità delle banche dati. Si richiama, in proposito, la disciplina di cui al Codice dell’amministrazione digitale (decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82);

h)    individuazione, trasparenza e conoscibilità degli obblighi e degli adempimenti da parte delle imprese e dei processi e metodi dei controlli, con l’uso di strumenti standardizzati e orientati alla gestione dei rischi, quali liste di verifica, manuali e linee guida e indirizzi uniformi;

i)      verifica e valutazione degli esiti dell’attività di controllo in termini di efficacia, efficienza e sostenibilità;

j)      si ribadisce altresì il divieto per le pubbliche amministrazioni, nell’ambito dei controlli sulle attività economiche, di richiedere la produzione di documenti e informazioni già in loro possesso.

 

Nel rinviare più diffusamente al Dossier di Documentazione e ricerche “La semplificazione degli adempimenti amministrativi per le attività produttive” (Doc. Ric. n. 136/5 febbraio 2021) e, di seguito, al Box ricostruttivo, si rammenta in questa sede che il legislatore europeo, con la Direttiva 2006/123/CE Direttiva sui servizi del mercato interno, cd. Direttiva Bolkenstein o Direttiva Servizi, ha considerato necessario stabilire principi quadro di semplificazione amministrativa comuni per tutti gli Stati membri, a partire dalla limitazione dell'obbligo di autorizzazione preliminare ai casi in cui essa è indispensabile, alla luce del principio di proporzionalità, di non discriminazione, e di necessità, e del principio della tacita autorizzazione da parte delle autorità competenti allo scadere di un determinato termine. La Direttiva sancisce inoltre un sostanziale divieto del bis in idem, o principio del once only, in quanto le condizioni di rilascio dell’autorizzazione relativa ad un nuovo stabilimento non devono rappresentare un doppione di requisiti e controlli equivalenti o sostanzialmente comparabili, quanto a finalità, a quelli ai quali il prestatore è già assoggettato in un altro Stato membro o nello stesso Stato membro (articolo 10).

Il decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 126, (c.d. SCIA 1) sancisce il principio per cui l'amministrazione può chiedere all'interessato informazioni o documenti solo in caso di mancata corrispondenza del contenuto dell'istanza, segnalazione o comunicazione e dei relativi allegati prescritti e viene vietata ogni richiesta di informazioni o documenti ulteriori rispetto a quelli indicati dalla normativa, nonché di documenti (già) in possesso di una pubblica amministrazione.

Inoltre, la mancata pubblicazione delle informazioni e dei documenti e la richiesta di integrazioni documentali non corrispondenti alle informazioni e ai documenti pubblicati costituiscono illecito disciplinare punibile con la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da tre giorni a sei mesi[50] (articolo 2, co.4-6).

La previsione in esame è riconducibile alla necessità di dare cogenza al principio comunitario “once only previsto nella direttiva servizi (2006/123/CE).

Procedura di adozione dei decreti legislativi delegati

Ai sensi del comma 2, i decreti legislativi sono adottati entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, del Ministro dello sviluppo economico, del Ministro per la transizione al digitale, del Ministro dell’economia e delle finanze e dei Ministri competenti per materia, sentite le associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, previa:

·     acquisizione dell’intesa in sede di Conferenza Unificata, e

·     del parere del Consiglio di Stato,

Intesa e parere sono resi entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione dello schema di decreto legislativo. Decorso tale termine il Governo può comunque procedere.

Lo schema di decreto legislativo è successivamente trasmesso alle Camere per l'espressione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, che si pronunciano entro quarantacinque giorni dalla data trasmissione. Decorso tale termine il provvedimento può essere comunque adottato.

Ai sensi del comma 4, entro dodici mesi dall’entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, uno o più decreti legislativi integrativi e correttivi possono essere adottati dal Governo.

Clausola di salvaguardia per le autonomie territoriali

Ai sensi del comma 3, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, nell’ambito dei propri ordinamenti, conformano le attività di controllo di loro competenza ai principi e criteri direttivi indicati dal comma 1.

Clausola di salvaguardia finanziaria

Ai sensi del comma 5, dall’attuazione delle norme qui in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tale fine, le amministrazioni provvedono agli adempimenti previsti dai decreti legislativi con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

 

Si osserva che l’articolo in esame – nel delegare il Governo all’adozione di uno o più decreti legislativi per semplificare, rendere più efficaci ed efficienti e coordinare i controlli sulle attività economiche – non delimita l’ambito dei controlli stessi, richiamando le attività economiche nel loro complesso, senza indicare le categorie di attività interessate, né se si tratta di controlli ex ante (necessari all’avvio dell’attività d’impresa), ovvero ex post, ovvero di entrambe. La delega non opera alcun richiamo e coordinamento con le attività previste nel PNRR, né con quelle, già avviate, ai sensi dell’articolo 15 del D.L. n. 76/2020, né con l’ulteriore delega contenuta nell’articolo 23.

 

 

 

La semplificazione degli adempimenti amministrativi per le attività produttive

 

L’input comunitario

Una delle principali difficoltà riscontrate dagli operatori economici privati, in particolare dalle PMI, nell'accesso alle attività di servizi e nel loro esercizio è rappresentato – secondo le analisi delle Istituzioni comunitarie[51]- dalla complessità, dalla lunghezza e dall'incertezza giuridica delle procedure amministrative. Per tale motivo, il legislatore europeo ha considerato necessario stabilire principi quadro di semplificazione amministrativa comuni per tutti gli Stati membri, a partire dalla limitazione dell'obbligo di autorizzazione preliminare ai casi in cui essa è indispensabile, alla luce del principio di proporzionalità, di non discriminazione, e di necessità[52], e dall'introduzione del principio della tacita autorizzazione da parte delle autorità competenti allo scadere di un determinato termine.

L’azione di semplificazione delle procedure e la riduzione dei regimi autorizzatori - realizzata dal legislatore dell’UE con la direttiva 2006/123/CE Direttiva sui servizi del mercato interno, cd. Direttiva Bolkenstein - è stata esplicitamente finalizzata “ad eliminare ritardi, costi ed effetti dissuasivi che derivano da procedure non necessarie o eccessivamente complesse e onerose e dalla loro duplicazione, complicazioni burocratiche nella presentazione di documenti, abuso di potere da parte delle autorità competenti, termini di risposta non precisati o eccessivamente lunghi, validità limitata dell'autorizzazione rilasciata o costi e sanzioni sproporzionati”[53], pur con la necessità dichiarata di mantenere gli obblighi di trasparenza e di aggiornamento delle informazioni relative agli operatori. Con riferimento alle duplicazioni, opera un sostanziale divieto del bis in idem, o principio del once only, in quanto le condizioni di rilascio dell’autorizzazione relativa ad un nuovo stabilimento non devono rappresentare un doppione di requisiti e controlli equivalenti o sostanzialmente comparabili, quanto a finalità, a quelli ai quali il prestatore è già assoggettato in un altro Stato membro o nello stesso Stato membro.

Per agevolare l'accesso alle attività, la Direttiva ha poi considerato essenziale che ogni prestatore abbia un interlocutore unico tramite il quale espletare tutte le procedure e formalità, ha così imposto a tutti gli Stati membri la costituzione, di uno sportello unico di riferimento per le attività dei prestatori di servizi.

L’intervento del legislatore europeo nel 2006 ha dunque inciso in modo sostanziale sulla disciplina nazionale inerente il regime amministrativo autorizzativo delle attività produttive, condizionandone il successivo sviluppo.

 

Le semplificazioni adottate a livello nazionale

La “Direttiva servizi” è stata attuata in Italia con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, successivamente modificato e integrato, in particolare, dal Decreto legislativo 6 agosto 2012, n. 147[54].

Relativamente ai procedimenti di competenza del Ministero dello sviluppo economico, il decreto prevede espressamente il regime semplificato della segnalazione certificata di inizio attività- SCIA, da presentare allo sportello unico per le attività produttive (SUAP) competente per territorio, per una serie di attività ivi indicate. Nell’impianto complessivo della disciplina attuativa della Direttiva servizi, per ciò che attiene ai procedimenti di competenza del MISE inerenti l’esercizio delle attività economico produttive, emerge dunque la centralità della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA già dichiarazione di inizio attività D.I.A.), quale misura di liberalizzazione dell’attività del privato, in quanto sostituisce al potere autorizzatorio della pubblica amministrazione, finalizzato all’emanazione di un atto di consenso all’esercizio dell’attività, il diritto ex lege del privato di svolgere un’attività, avviandone l’esercizio previa dichiarazione (ora segnalazione). Con essa, resta in capo all’Amministrazione un potere di controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dal privato con i presupposti e i requisiti previsti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale.

Sull’istituto della S.C.I.A., nell’ottica di una ulteriore semplificazione circa la sua applicazione, sono intervenuti i decreti legislativi attuativi della legge delega di riforma della pubblica amministrazione (legge n. 124/2015 – c.d. “Legge Madia”), in particolare il decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 126 e il decreto legislativo 26 novembre 2016, n. 222 (c.d. Decreto SCIA 2).  Tale ultimo decreto ha avuto l’intento di procedere ad una sorta di «mappatura»[55] delle attività assoggettate a SCIA, di quelle assoggettate ad autorizzazione e di quelle per cui è prevista la comunicazione. In particolare, il decreto riporta nella tabella A allegata la ricognizione delle attività e dei procedimenti nei settori del commercio e delle attività assimilabili, dell'edilizia e dell'ambiente (per un totale di 246 attività). Per ciascun procedimento o attività, la tabella indica il regime amministrativo applicabile (autorizzazione, silenzio assenso, SCIA, SCIA unica, SCIA condizionata, comunicazione), l’eventuale concentrazione dei regimi amministrativi e i riferimenti normativi (articolo 2). La tabella A è suddivisa in tre sezioni:

1)     Sezione I, denominata “Attività commerciali e assimilabili”, che ricomprende attività di commercio su area privata. Si tratta di 14 aree, per un totale di 107 attività.

2)     Sezione II, denominata “Edilizia” per un totale di 105 attività;

3)     Sezione III, denominata “Ambiente”, per un totale di 34 attività.

Si evidenzia che l’elenco contenuto nella Tabella A non ha carattere esaustivo di tutte le attività che vengono svolte nella realtà dei rapporti economico-commerciali.

Si rinvia per un dettaglio al Dossier di Documentazione e ricercheLa semplificazione degli adempimenti amministrativi per le attività produttive”, di febbraio 2021.

Le Raccomandazioni delle Istituzioni europee all’Italia, il PNRR e i più recenti interventi

La necessità di una rimozione degli oneri eccessivi di natura amministrativa e normativa per l’esercizio delle attività economiche, è questione rilevante, e rilevata dalle Istituzioni europee anche sede di valutazione degli squilibri macroeconomici degli Stati membri con l’elaborazione di atti di indirizzo nei confronti di questi ultimi (Raccomandazioni specifiche per Paese) per l’avvio di interventi legislativi appropriati. Per quanto riguarda il nostro Paese, gli oneri eccessivi di natura amministrativa e normativa all’esercizio dell’attività di impresa costituiscono, secondo le Istituzioni europee, impedimenti strutturali alla crescita della produttività e costituiscono un freno agli investimenti.

Nei confronti dell’Italia, è stato pertanto più volte reiterato l’invito ad intervenire in sede legislativa attraverso riforme volte a migliorare l'efficienza della pubblica amministrazione (cfr. Consiglio dell’Unione europea Raccomandazione del 9 luglio 2019 sul PNR 2019 dell’Italia, CSR. n. 3) e a rimuovere gli eccessivi ostacoli burocratici amministrativi per le imprese[56], punti sui quali si registrano a tutt’oggi progressi solo limitati per l’Italia[57](cfr. Commissione Europea, Relazione per Paese relativa all'Italia 2020, cd. Country Report 2020, del 26 febbraio 2020).

Gli indirizzi espressi dalle Istituzioni europee in sede di ciclo di governance economica europea hanno costituito il parametro e criterio di riferimento ai fini dell’elaborazione, nel contesto dell’attuale crisi pandemica, del Piano nazionale di ripresa e resilienza, volto a definire ambiti e obiettivi di utilizzo delle risorse europee destinate alla ripresa economica dell’Unione.

In considerazione di ciò, il Piano nazionale di ripresa e resilienza approvato il 13 luglio scorso[58], mira, tra l’altro, a ridurre i tempi e i costi dei procedimenti amministrativi garantendo servizi di qualità per cittadini e imprese. In questo ambito, obiettivo è adottare misure di riforma volte a ridurre i tempi per la gestione delle procedure, con particolare riferimento a quelle che prevedono l’intervento di una pluralità di soggetti, quale presupposto essenziale per accelerare gli interventi cruciali nei settori chiave per cittadini e imprese, liberalizzare e semplificare, anche mediante l’eliminazione di adempimenti non necessari, reingegnerizzare e uniformare le procedure (cfr. Missione 1, Componente 1, Riforma 2.2 Buona amministrazione e semplificazione).

Le riforme in questione trovano una base in quanto già attuato ai sensi dall’articolo 15 del D.L. n. 76/2020 (cd. D.L. semplificazioni, convertito con modificazioni in Legge n. 120/2020).

Sulla base della citata norma è stata adottata l’Agenda per la semplificazione 2020-2023, volta a delineare un quadro programmatico di interventi per l’eliminazione sistematica dei vincoli burocratici alla ripresa; la riduzione dei tempi e dei costi delle procedure per le attività di impresa e per i cittadini. L’articolo 15 ha poi previsto che entro il 14 dicembre 2020, lo Stato, le Regioni e le autonomie locali, sentite le associazioni imprenditoriali, gli ordini e le professionali, completassero la ricognizione dei procedimenti amministrativi[59] al fine di individuare:

- le attività soggette ad autorizzazione, giustificate da motivi imperativi di interesse generale e le attività soggette ai regimi giuridici della SCIA, della SCIA Unica, e del silenzio assenso, ovvero al mero obbligo di comunicazione;

- i provvedimenti autorizzatori, gli adempimenti e le misure incidenti sulla libertà di iniziativa economica ritenuti non indispensabili, fatti salvi quelli imposti dalla normativa dell'Unione europea e quelli posti a tutela di principi e interessi costituzionalmente rilevanti;

- i procedimenti da semplificare;

- le discipline e i tempi uniformi per tipologie omogenee di procedimenti;

- i procedimenti per i quali l'Autorità competente può adottare un'autorizzazione generale;

- i livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti per l'adeguamento alla normativa dell'Unione europea.

La Ministra per la Pubblica amministrazione pro tempore, Fabiana Dadone, in audizione il 13 gennaio 2020 presso la Commissione parlamentare per la semplificazione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla semplificazione delle procedure amministrative connesse all'avvio e all'esercizio delle attività di impresa, ha dichiarato il programma di innovazione strategica per la P.A. parte integrante del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Il censimento è propedeutico alla successiva eliminazione degli adempimenti non necessari e frutto di una duplicazione, con una prosecuzione – secondo quanto dichiarato dalla Ministra - della mappatura delle attività e dei relativi regimi amministrativi, già avviata nel 2016 (con il decreto legislativo cd. Scia 2). Al censimento è collegato una standardizzazione delle procedure, con la predisposizione di forme digitali con una effettiva implementazione del principio once only.


Articolo 25
(Abbreviazione dei termini della comunicazione unica per la nascita dell’impresa)

 

 

L’articolo 25 interviene sulla disciplina della comunicazione unica per la nascita dell’impresa, riducendo da sette a quattro giorni il termine entro cui le amministrazioni competenti comunicano, per via telematica, all’interessato (che ha presentato la comunicazione) e al registro delle imprese (che accoglie la comunicazione) i dati definitivi relativi alle posizioni registrate. Si tratta di dati ulteriori rispetto al codice fiscale e partita IVA, i quali, ai sensi della disciplina già vigente, sono comunicati immediatamente.

 

L’articolo 25, segnatamente, sostituisce il comma 4 dell’articolo 9 del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7 (l. n. 40/2007), il quale reca la disciplina della comunicazione unica.

Ai sensi di tale disciplina, con una procedura unica, gli interessati assolvono una serie di adempimenti nei confronti delle Camere di Commercio, dell'Agenzia delle Entrate, dell'INAIL e dell'INPS:

·        richiesta dell'iscrizione al Registro Imprese

·        richiesta dell’iscrizione al Repertorio Economico – Amministrativo (REA)

·        richieste di Codice Fiscale e Partita IVA

·        richiesta dell'iscrizione all'INPS dei dipendenti o dei lavoratori autonomi

·        apertura della posizione assicurativa presso l'INAIL.

Nel dettaglio, il comma 1 dell’articolo 9 consente all’interessato, ai fini dell'avvio dell'attività d'impresa, di presentare all'ufficio del registro delle imprese, per via telematica o su supporto informatico, la comunicazione unica per gli adempimenti indicati nello stesso articolo 9.

Ai sensi del comma 2, la comunicazione unica vale quale assolvimento di tutti gli adempimenti amministrativi previsti per l'iscrizione al registro delle imprese ed ha effetto, sussistendone i presupposti di legge, ai fini previdenziali, assistenziali, fiscali individuati con il D.P.C.M. 6 maggio 2009 recante le regole tecniche per la presentazione della comunicazione e per l'immediato trasferimento dei dati tra le P.A. interessate (articolo 5), nonché per l'ottenimento del codice fiscale e della partita IVA.

L’articolo 5 del citato D.P.C.M. 6 maggio 2009 dispone, in particolare, che gli adempimenti assolti tramite Comunicazione unica sono:

a) segnalazione certificata di inizio attività, variazione dati o cessazione attività ai fini IVA (art. 35, D.P.R. n. 633 del 1972);

b) domanda d'iscrizione di nuove imprese, modifica, cessazione nel registro imprese e nel R.E.A., con esclusione dell'adempimento del deposito del bilancio;

c) domanda d'iscrizione, variazione, cessazione dell'impresa ai fini INAIL;

d) domanda d'iscrizione, variazione, cessazione al registro imprese con effetto per l'INPS relativamente alle imprese artigiane ed esercenti attività commerciali;

e) domanda di iscrizione e cessazione di impresa con dipendenti ai fini INPS;

f) variazione dei dati d'impresa con dipendenti ai fini INPS[60].

 

Ai sensi del comma 3 dell’articolo 9 del D.L. n. 7/2007, l'ufficio del registro delle imprese rilascia contestualmente la ricevuta, la quale costituisce titolo per l'immediato avvio dell'attività imprenditoriale, ove sussistano i presupposti di legge, e dà notizia alle Amministrazioni competenti dell'avvenuta presentazione della comunicazione unica.

Ai sensi del comma 4, nella sua formulazione attualmente vigente, le Amministrazioni competenti comunicano all'interessato e all'ufficio del registro delle imprese, per via telematica, immediatamente il codice fiscale e la partita IVA ed entro i successivi sette giorni gli ulteriori dati definitivi relativi alle posizioni registrate.

Ai sensi del comma 5, la procedura si applica anche in caso di modifiche o cessazione dell'attività d'impresa.

Ai sensi del comma 6, la comunicazione, la ricevuta e gli atti amministrativi sono adottati in formato elettronico e trasmessi per via telematica.

A tale fine le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura assicurano, gratuitamente, previa intesa con le associazioni imprenditoriali, il necessario supporto tecnico ai privati interessati.


Articolo 26
(Delega al Governo per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/1020 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, e per la semplificazione e il riordino del relativo sistema di vigilanza del mercato)

 

 

L’articolo 26, comma 1, delega il Governo ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge in esame e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, uno o più decreti legislativi per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/1020, al fine di rafforzare la concorrenza nel mercato unico dell'Unione europea, assicurando adeguati livelli di controllo sulle conformità delle merci, e di promuovere, al contempo, una semplificazione e razionalizzazione del sistema di vigilanza a vantaggio di operatori e utenti finali.

 

Lo stesso comma 1, oltre a richiamare, in quanto compatibili, quelli di cui all'articolo 32 della L. n. 234/2012, elenca i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:

a) individuazione delle autorità di vigilanza e delle autorità incaricate del controllo, compreso il controllo delle frontiere esterne, dei prodotti che entrano nel mercato dell'Unione europea ai sensi, rispettivamente, degli articoli 10 e 25 del regolamento (UE) 2019/1020 e delle relative attribuzioni, attività e poteri conformemente alla disciplina dell'Unione europea, con contestuale adeguamento, revisione, riorganizzazione, riordino e semplificazione della normativa vigente, nella maniera idonea a implementare e massimizzare l'efficienza e l'efficacia del sistema dei controlli e i livelli di tutela per utenti finali e operatori, favorendo, ove funzionale a tali obiettivi, la concentrazione nell'attribuzione e nella definizione delle competenze, anche mediante accorpamenti delle medesime per gruppi omogenei di controlli o prodotti e la razionalizzazione del loro riparto tra le autorità e tra strutture centrali e periferiche della singola autorità, sulla base dei princìpi di competenza, adeguatezza, sussidiarietà, differenziazione e unitarietà dei processi decisionali, anche mediante l'attribuzione della titolarità dei procedimenti di vigilanza secondo le regole di prevalenza dei profili di competenza rispetto alla natura e al normale utilizzo dei prodotti, e comunque garantendo la netta definizione delle competenze e una distribuzione e allocazione delle risorse, di bilancio, umane e strumentali, disponibili in maniera adeguata all'espletamento delle funzioni attribuite, ad eccezione delle attribuzioni delle autorità di pubblica sicurezza, quali autorità di sorveglianza del mercato in materia di esplosivi per uso civile e articoli pirotecnici;

 

Il richiamato articolo 10 del regolamento 2019/1020 impone innanzi tutto agli Stati membri di organizzare ed effettuare la vigilanza del mercato secondo le modalità definite nel regolamento stesso. Ogni Stato membro designa una o più autorità di vigilanza del mercato nel proprio territorio. Ogni Stato membro informa la Commissione e gli altri Stati membri circa le sue autorità di vigilanza del mercato e gli ambiti di competenza di ciascuna autorità, utilizzando il sistema di informazione e comunicazione di cui all'articolo 34. Ogni Stato membro designa un ufficio unico di collegamento. L'ufficio unico di collegamento è almeno responsabile di rappresentare la posizione coordinata delle autorità di vigilanza del mercato e delle autorità designate a norma dell'articolo 25, paragrafo 1 (su cui si veda infra), nonché di comunicare le strategie nazionali di cui all'articolo 13. L'ufficio unico di collegamento fornisce altresì sostegno alla cooperazione tra le autorità di vigilanza del mercato di diversi Stati membri, come stabilito al capo VI. Al fine di svolgere una vigilanza del mercato dei prodotti messi in vendita online e in modo tradizionale con la stessa efficacia per tutti i canali di distribuzione, gli Stati membri garantiscono che le rispettive autorità di vigilanza del mercato e i rispettivi uffici unici di collegamento dispongano delle risorse - tra cui sufficienti risorse di bilancio e di altro tipo, come un numero sufficiente di dipendenti competenti - delle competenze, delle procedure e altre disposizioni necessarie per espletare correttamente le proprie funzioni. Qualora nel loro territorio siano presenti più autorità di vigilanza del mercato, gli Stati membri garantiscono che le loro rispettive funzioni siano chiaramente definite e che siano istituiti adeguati meccanismi di comunicazione e coordinamento affinché dette autorità possano operare in stretta collaborazione ed espletare efficacemente le proprie funzioni.

L'articolo 25, § 1, del regolamento, prevede che gli Stati membri designano le autorità doganali, una o più autorità di vigilanza del mercato o qualsiasi altra autorità nei rispettivi territori quali autorità incaricate del controllo dei prodotti che entrano nel mercato dell'Unione. Ogni Stato membro informa la Commissione e gli altri Stati membri in merito alle autorità designate a norma del primo comma e ai loro rispettivi ambiti di competenza mediante il sistema di informazione e comunicazione di cui all'articolo 34.

In base al § 2, le autorità designate a norma del paragrafo 1 dispongono dei poteri e delle risorse necessari per svolgere adeguatamente i loro compiti di cui al suddetto paragrafo.

Il § 3 stabilisce che i prodotti soggetti al diritto dell'Unione che devono essere vincolati al regime doganale di «immissione in libera pratica» sono sottoposti a controlli effettuati dalle autorità designate a norma del paragrafo 1 dell'articolo 25. Le autorità effettuano tali controlli sulla base di un'analisi dei rischi conformemente agli articoli 46 e 47 del regolamento (UE) n. 952/2013 e, se del caso, sulla base dell'approccio basato sul rischio di cui all'articolo 11, paragrafo 3, secondo comma, del regolamento 2019/1020.

Secondo il § 4, le informazioni relative al rischio sono scambiate tra: a) le autorità designate a norma del paragrafo 1 dell'articolo 25 conformemente all'articolo 47, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 952/2013; e b) le autorità doganali conformemente all'articolo 46, paragrafo 5, del regolamento (UE) n. 952/2013. Le autorità doganali del primo punto di entrata, qualora abbiano motivo di ritenere che prodotti soggetti al diritto dell'Unione posti in custodia temporanea o vincolati a un regime doganale diverso dall'«immissione in libera pratica» non siano conformi al diritto dell'Unione applicabile o comportino un rischio, trasmettono tutte le informazioni pertinenti all'ufficio doganale di destinazione competente.

Il § 5 prevede che le autorità di vigilanza del mercato forniscono alle autorità designate a norma del paragrafo 1 informazioni sulle categorie di prodotti o sull'identità degli operatori economici a rischio più elevato di non conformità.

Il § 6 obbliga gli Stati membri a trasmettere, entro il 31 marzo di ogni anno, alla Commissione dati statistici dettagliati sui controlli effettuati nel corso dell'anno civile precedente dalle autorità designate a norma del paragrafo 1 in relazione a prodotti soggetti alla normativa dell'Unione. I dati statistici riguardano il numero di interventi nell'ambito dei controlli su tali prodotti, in materia di sicurezza e conformità dei prodotti; Entro il 30 giugno di ogni anno, la Commissione elabora una relazione contenente le informazioni presentate dagli Stati membri per l'anno civile precedente e l'analisi dei dati forniti. La relazione è pubblicata nel sistema di informazione e comunicazione di cui all'articolo 34.

Il § 7 prevede che la Commissione, qualora venga a conoscenza del fatto che prodotti soggetti al diritto dell'Unione che sono importati da un paese terzo presentano un rischio grave, raccomanda allo Stato membro interessato di adottare opportune misure di vigilanza del mercato.

Il § 8 attribuisce alla Commissione, previa consultazione della rete, il potere di adottare atti di esecuzione che definiscano parametri di riferimento e tecniche per i controlli sulla base di un'analisi comune del rischio a livello di Unione, onde garantire un'applicazione coerente del diritto dell'Unione, rafforzare i controlli sui prodotti che entrano nel mercato dell'Unione e garantire un livello efficace e uniforme di tali controlli. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d'esame di cui all'articolo 43, paragrafo 2.

In base al § 9, la Commissione adotta atti di esecuzione che specificano ulteriormente i dati che devono essere presentati a norma del paragrafo 6 del presente articolo. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d'esame di cui all'articolo 43, paragrafo 2.

 

b) semplificazione ed ottimizzazione del sistema di vigilanza e conformità dei prodotti, riducendo, senza pregiudizio per gli obiettivi di vigilanza, gli oneri amministrativi, burocratici ed economici a carico delle imprese, anche mediante la semplificazione del coordinamento tra le procedure connesse ai controlli dei prodotti che entrano nel mercato dell'Unione europea e quelle rimesse alle autorità di vigilanza e semplificazione dei procedimenti, nel rispetto della normativa dell'Unione europea, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, tenendo conto anche dei casi in cui i rischi potenziali o i casi di non conformità siano bassi o delle situazioni in cui i prodotti siano commercializzati principalmente attraverso catene di approvvigionamento tradizionali, nonché garantire a operatori e utenti finali, secondo i princìpi di concentrazione e trasparenza, facile accesso a informazioni pertinenti e complete sulle procedure e sulle normative applicabili, ad eccezione delle attribuzioni delle autorità di pubblica sicurezza, ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (R.D. n. 773/1931), e al relativo regolamento di esecuzione (R.D. n. 635/1940);

c) individuazione dell'ufficio unico di collegamento di cui all'articolo 10 del regolamento (UE) 2019/1020 (su tale articolo si veda supra), anche in base al criterio della competenza prevalente, prevedendo che al medesimo siano attribuite le funzioni di rappresentanza della posizione coordinata delle autorità di vigilanza e delle autorità incaricate del controllo dei prodotti che entrano nel mercato dell'Unione europea e di comunicazione delle strategie nazionali di vigilanza adottate ai sensi dell'articolo 13 del regolamento (UE) 2019/1020, garantendo, per lo svolgimento delle funzioni assegnate, adeguate risorse finanziarie, strumentali e di personale, anche mediante assegnazione di unità di personale, dotate delle necessarie competenze ed esperienze, proveniente dalle autorità di vigilanza o comunque dalle amministrazioni competenti per le attività di vigilanza e controllo delle normative armonizzate di cui al regolamento (UE) 2019/1020, in posizione di comando o altro analogo istituto previsto dai rispettivi ordinamenti, ai sensi delle disposizioni vigenti e dell'articolo 17, comma 14, della L. n. 127/1997;

 

L'articolo 13 del regolamento 2019/1020 prevede, al § 1, l'elaborazione, da parte di ogni Stato membro, di una strategia nazionale globale di vigilanza del mercato, almeno ogni quattro anni. Ogni Stato membro elabora la prima di tali strategie entro il 16 luglio 2022. La strategia promuove un approccio nazionale coerente, globale e integrato alla vigilanza del mercato e all'applicazione della normativa di armonizzazione dell'Unione nel territorio dello Stato membro. Nell'elaborazione della strategia nazionale di vigilanza del mercato sono presi in considerazione tutti i settori disciplinati dalla normativa di armonizzazione dell'Unione e tutte le fasi della catena di fornitura del prodotto, comprese le importazioni e le catene di approvvigionamento digitale. Possono essere prese in considerazione anche le priorità stabilite nel programma di lavoro della rete.

Il § 2 elenca gli elementi che la strategia nazionale di vigilanza del mercato deve "almeno" comprendere purché essi non compromettano le attività di vigilanza del mercato: a) le informazioni disponibili sulla presenza di prodotti non conformi, che tengano conto in particolare dei controlli di cui all'articolo 11, paragrafo 3, e all'articolo 25, paragrafo 3, se del caso, come pure delle tendenze del mercato che possono incidere sui tassi di non conformità delle categorie di prodotti e di eventuali minacce e rischi inerenti alle tecnologie emergenti; b) i settori definiti prioritari dagli Stati membri ai fini dell'applicazione della normativa di armonizzazione dell'Unione; c) le attività di applicazione delle norme previste al fine di ridurre i casi di non conformità nei settori definiti come prioritari, compresi, se del caso, i livelli minimi di controllo previsti per le categorie di prodotti che presentano livelli significativi di non conformità; d) una valutazione della cooperazione con le autorità di vigilanza del mercato degli altri Stati membri come enunciato all'articolo 11, paragrafo 8, del capo VI.

Il § 3 obbliga gli Stati membri a comunicare alla Commissione e agli altri Stati membri le rispettive strategie nazionali di vigilanza del mercato mediante il sistema di informazione e comunicazione di cui all'articolo 34. Ciascuno Stato membro pubblica la sintesi delle strategie.

 

L'articolo 17, comma 14, della L. n. 127/1997 enuncia il principio per cui, nel caso in cui disposizioni di legge o regolamentari dispongano l'utilizzazione presso le amministrazioni pubbliche di un contingente di personale in posizione di fuori ruolo o di comando, le amministrazioni di appartenenza sono tenute ad adottare il provvedimento di fuori ruolo o di comando entro quindici giorni dalla richiesta.

 

d) previsione di adeguati meccanismi di comunicazione, coordinamento e cooperazione tra le autorità di vigilanza e con le autorità incaricate del controllo dei prodotti che entrano nel mercato dell'Unione europea e tra tali autorità e l'ufficio unico di collegamento, favorendo l'utilizzo del sistema di informazione e comunicazione di cui all'articolo 34 del regolamento (UE) 2019/1020 e comunque garantendo un adeguato flusso informativo con l'ufficio unico di collegamento;

 

L'articolo 34 del regolamento 2019/1020, al § 1, prevede che la Commissione sviluppa ulteriormente e mantiene un sistema di informazione e comunicazione per la raccolta, l'elaborazione e la conservazione, in forma strutturata, di informazioni su questioni relative all'applicazione della normativa di armonizzazione dell'Unione, allo scopo di migliorare la condivisione dei dati tra gli Stati membri, anche ai fini delle richieste di informazione, fornendo un quadro esaustivo delle attività, dei risultati e dell'andamento della vigilanza del mercato. La Commissione, le autorità di vigilanza del mercato, gli uffici unici di collegamento e le autorità designate a norma dell'articolo 25, paragrafo 1, hanno accesso a tale sistema. La Commissione mette a punto e mantiene l'interfaccia pubblica di tale sistema, in cui sono fornite informazioni essenziali per gli utenti finali sulle attività di vigilanza del mercato.

Secondo il § 2, la Commissione mette inoltre a punto e mantiene interfacce elettroniche tra i sistemi di cui al paragrafo 1 e i sistemi nazionali di sorveglianza del mercato.

Il § 3 elenca le informazioni e le comunicazioni che gli uffici unici di collegamento inseriscono nel sistema: a) l'identità delle autorità di vigilanza del mercato nei rispettivi Stati membri e gli ambiti di competenza di tali autorità a norma dell'articolo 10, paragrafo 2; b) l'identità delle autorità designate ai sensi dell'articolo 25, paragrafo 1; c) la strategia nazionale di vigilanza del mercato elaborata dai rispettivi Stati membri in conformità dell'articolo 13 e i risultati del riesame e della valutazione della strategia di vigilanza del mercato.

In base al § 4, le autorità di vigilanza del mercato inseriscono nel sistema le informazioni e comunicazioni seguenti per quanto riguarda i prodotti messi a disposizione sul mercato, per i quali è stata effettuata una verifica approfondita della conformità, fatte salve le disposizioni dell'articolo 12 della direttiva 2001/95/CE e dell'articolo 20 del regolamento 2019/1020 e, ove applicabile, per quanto riguarda i prodotti che entrano nel mercato dell'Unione per i quali la procedura di immissione in libera pratica è stata sospesa nei rispettivi territori conformemente all'articolo 26 del regolamento 2019/1020, le informazioni seguenti riguardanti: a) misure in conformità dell'articolo 16, paragrafo 5, adottate dall'autorità di vigilanza del mercato; b) relazioni sulle prove effettuate dalle autorità stesse; c) misure correttive adottate dagli operatori economici interessati; d) relazioni prontamente disponibili sulle lesioni causate dal prodotto in questione; e) qualsiasi obiezione sollevata da uno Stato membro conformemente alla procedura di salvaguardia applicabile prevista dalla normativa di armonizzazione dell'Unione applicabile al prodotto e l'eventuale seguito dato; f) ove disponibile, l'inosservanza delle disposizioni dell'articolo 5, paragrafo 2, da parte dei rappresentanti autorizzati; g) ove disponibile, l'inosservanza delle disposizioni dell'articolo 5, paragrafo 1, da parte dei fabbricanti.

Secondo il § 5, qualora le autorità di vigilanza del mercato lo considerino utile, possono inserire nel sistema di informazione e comunicazione qualsiasi informazione supplementare relativa alle verifiche che effettuano e ai risultati delle prove effettuate da loro stesse o su loro richiesta.

Il § 6 prevede che, se pertinente ai fini dell'applicazione della normativa di armonizzazione dell'Unione e allo scopo di ridurre al minimo il rischio, le autorità doganali estraggono dai sistemi doganali nazionali informazioni relative ai prodotti vincolati al regime doganale di «immissione in libera pratica» in relazione all'attuazione della normativa di armonizzazione dell'Unione e le trasmettono al sistema di informazione e comunicazione.

Il § 7 prevede che la Commissione sviluppa un'interfaccia elettronica per consentire la trasmissione di dati tra i sistemi doganali nazionali e il sistema di informazione e comunicazione. Tale interfaccia è operativa entro quattro anni dalla data di adozione del pertinente atto di esecuzione di cui al paragrafo 8.

In base al § 8, la Commissione adotta atti di esecuzione che specificano le modalità di attuazione dei paragrafi da 1 a 7 del presente articolo, e in particolare sull'elaborazione dei dati, da applicare ai dati raccolti in conformità del paragrafo 1 del presente articolo, e definiscono i dati da trasmettere conformemente ai paragrafi 6 e 7 del presente articolo. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d'esame di cui all'articolo 43, paragrafo 2.

 

e) rafforzamento della digitalizzazione delle procedure di controllo, di vigilanza e di raccolta dei dati, anche al fine di favorire l'applicazione dei sistemi di intelligenza artificiale per il tracciamento di prodotti illeciti e per l'analisi dei rischi;

f) previsione, in materia di sorveglianza sui prodotti rilevanti ai fini della sicurezza in caso di incendio, della possibilità per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco di stipulare convenzioni con altre pubbliche amministrazioni per l'affidamento di campagne di vigilanza su prodotti di interesse prevalente e lo sviluppo delle strutture di prova dei vigili del fuoco;

g) verifica e aggiornamento, in base ad approcci basati, in particolare, sulla valutazione del rischio, delle procedure di analisi e test per ogni categoria di prodotto e previsione di misure specifiche per le attività di vigilanza sui prodotti offerti per la vendita online o comunque mediante altri canali di vendita a distanza e ricognizione degli impianti e dei laboratori di prova esistenti in applicazione dell'articolo 21 del regolamento (UE) 2019/1020;

 

L'articolo 21 del regolamento 2019/1020, al § 1, prevede che gli impianti di prova dell'Unione sono intesi a contribuire al conseguimento di una capacità di laboratorio, come pure ad assicurare l'affidabilità e la coerenza delle prove ai fini della vigilanza del mercato nell'Unione.

Ai fini del paragrafo 1, la Commissione può designare un impianto pubblico di prova di uno Stato membro come impianto di prova dell'Unione per determinate categorie di prodotti o per determinati rischi relativi a una categoria di prodotti. La Commissione può designare altresì uno dei propri impianti di prova come impianto di prova dell'Unione per categorie specifiche di prodotti o per rischi specifici connessi a una categoria di prodotti o per prodotti per i quali la capacità di prova è inesistente o insufficiente (§ 2).

Il § 3 rinvia espressamente al regolamento (CE) n. 765/2008 per l'accreditamento degli impianti di prova dell'Unione.

Il § 4 stabilisce che la designazione di impianti di prova dell'Unione non incide sulla libertà delle autorità di vigilanza del mercato, della rete e della Commissione di scegliere gli impianti di prova ai fini delle loro attività.

Secondo il § 5, gli impianti di prova dell'Unione designati forniscono i loro servizi esclusivamente alle autorità di vigilanza del mercato, alla rete, alla Commissione e ad altri organismi governativi o intergovernativi.

Il § 6 prevede che gli impianti di prova dell'Unione, nell'ambito delle loro competenze, svolgono le attività seguenti: a) effettuano prove su prodotti su richiesta delle autorità di vigilanza del mercato, della rete o della Commissione; b) forniscono pareri tecnici o scientifici indipendenti su richiesta della rete; c) sviluppano tecniche e metodi di analisi nuovi.

Il § 7 prevede la remunerazione delle attività sopra elencate e la possibilità che esse siano finanziate dall'Unione in conformità dell'articolo 36, paragrafo 2.

Il § 8 consente che gli impianti di prova dell'Unione possano ricevere finanziamenti dall'Unione in conformità dell'articolo 36, paragrafo 2, al fine di potenziarne le capacità di prova o crearne di nuove per determinate categorie di prodotti o per rischi specifici a una categoria di prodotti per i quali la capacità di prova è assente o insufficiente.

Il § 9 prevede che la Commissione adotta atti di esecuzione che specificano le procedure per la designazione degli impianti di prova dell'Unione. Tali atti di esecuzione sono adottati secondo la procedura d'esame di cui all'articolo 43, paragrafo 2.

 

h) definizione, anche mediante riordino e revisione della normativa vigente, del sistema sanzionatorio da applicare per le violazioni del regolamento (UE) 2019/1020 e delle normative indicate all'allegato II del medesimo regolamento (UE) 2019/1020, nel rispetto dei princìpi di efficacia e dissuasività nonché di ragionevolezza e proporzionalità e previsione della riassegnazione di una quota non inferiore al 50 per cento delle somme introitate, da destinare agli appositi capitoli di spesa delle autorità di vigilanza, di controllo e dell'ufficio unico di collegamento;

i) definizione delle ipotesi in cui è ammesso il recupero, totale ai sensi dell'articolo 15 del regolamento (UE) 2019/1020 o parziale, dall'operatore economico dei costi delle attività di vigilanza, dei relativi procedimenti, dei costi che possono essere recuperati e delle relative modalità di recupero.

 

L'articolo 15 del regolamento 2019/1020, al § 1, consente che gli Stati membri possano autorizzare le proprie autorità di vigilanza del mercato a recuperare dall'operatore economico interessato la totalità dei costi delle loro attività in relazione ai predetti casi di non conformità.

Secondo il § 2, tra tali costi possono rientrare i costi per la realizzazione di prove, i costi per l'adozione di misure a norma dell'articolo 28, paragrafi 1 e 2, e i costi di magazzinaggio e delle attività inerenti ai prodotti risultati non conformi e oggetto di misure correttive prima della loro immissione sul mercato.

 

Il comma 2 reca la clausola d'invarianza finanziaria.

 

Sintesi del regolamento (UE) 2019/1020 — Vigilanza del mercato e conformità dei prodotti

Il regolamento si applica ai prodotti:

Alcuni prodotti non possono essere offerti in vendita ai consumatori dell’UE in assenza di un operatore economico stabilito nell’UE il quale:

Le autorità di vigilanza del mercato:

Gli Stati membri:

La Commissione:

Per i prodotti importati vengono applicate regole specifiche:

Il regolamento:

Il regolamento si applica dal 16 luglio 2021. Tuttavia, gli articoli 29, 30, 31, 32, 33 (sulla rete dell’Unione per la conformità dei prodotti) e 36 (sulle attività di finanziamento) si applicano a partire dal 1o gennaio 2021.

 

A pagina 77, il PNRR ricorda che il regolamento 2019/1020 ha modificato le regole sul sistema di vigilanza e sulla conformità dei prodotti.

Verranno introdotte le norme necessarie all’attuazione del regolamento, nell’ottica di consolidare, semplificare e digitalizzare il sistema di sorveglianza.

Tempi di attuazione – Si prevede la presentazione in Parlamento del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza entro luglio 2021.


Articolo 27
(Modifica alla disciplina del risarcimento diretto per la responsabilità civile auto)

 

 

L’articolo 27 sostituisce il comma 2 dell'articolo 150 del codice delle assicurazioni private (d.lgs. n. 209/2005), al fine di estendere anche alle imprese di assicurazione con sede legale in altri Stati membri che operano nel territorio della Repubblica (cosiddette imprese comunitarie) la procedura di risarcimento diretto prevista dall'articolo 149 del codice delle assicurazioni private.

Per quanto riguarda la nozione di "operatività" nel territorio della Repubblica, si rinvia espressamente agli articoli 23 e 24 del codice delle assicurazioni private, disciplinanti, rispettivamente, le attività in regime di stabilimento e le attività in regime di prestazione di servizi.

Nella formulazione vigente, l'articolo 150, comma 2, qui novellato, esclude in via generale l'applicazione della procedura di risarcimento diretto alle imprese comunitarie (cioè, come visto, alle imprese di assicurazione con sede legale in altri Stati membri che operano nel territorio della Repubblica), salvo che le medesime abbiano aderito al sistema di risarcimento diretto.

 

La relazione illustrativa motiva l'estensione "per eliminare un potenziale trattamento discriminatorio a danno delle imprese italiane rispetto alle imprese con sede legale in altri Stati membri. Infatti, le imprese “comunitarie” non aventi sede legale in Italia godono di un ingiustificato vantaggio in quanto, non essendo obbligate ad assicurare il risarcimento diretto, hanno maggiori possibilità di praticare tariffe più basse".

 

Il comma 1 dell'articolo 150 aveva demandato a un DPR, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del codice delle assicurazioni private la definizione: a) dei criteri di determinazione del grado di responsabilità delle parti anche per la definizione dei rapporti interni tra le imprese di assicurazione; b) del contenuto e le modalità di presentazione della denuncia di sinistro e gli adempimenti necessari per il risarcimento del danno; c) delle modalità, le condizioni e gli adempimenti dell'impresa di assicurazione per il risarcimento del danno; d) dei limiti e le condizioni di risarcibilità dei danni accessori; e) dei principi per la cooperazione tra le imprese di assicurazione, ivi compresi i benefici derivanti agli assicurati dal sistema di risarcimento diretto.

In attuazione di tale previsione è stato quindi emanato il regolamento recante disciplina del risarcimento diretto dei danni derivanti dalla circolazione stradale (DPR n. 254/2006).

Il comma 3 dello stesso articolo 150 prevede che l'IVASS vigila sul sistema di risarcimento diretto e sui principi adottati dalle imprese per assicurare la tutela dei danneggiati, il corretto svolgimento delle operazioni di liquidazione e la stabilità delle imprese.

 

L'articolo 149, comma 1, del codice delle assicurazioni private prevede che, in caso di sinistro tra due veicoli a motore identificati ed assicurati per la responsabilità civile obbligatoria, dal quale siano derivati danni ai veicoli coinvolti o ai loro conducenti, i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all'impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato.

Per il comma 2, la procedura di risarcimento diretto riguarda i danni al veicolo nonché i danni alle cose trasportate di proprietà dell'assicurato o del conducente. Essa si applica anche al danno alla persona subito dal conducente non responsabile se risulta contenuto nel limite previsto dall'articolo 139. La procedura non si applica ai sinistri che coinvolgono veicoli immatricolati all'estero ed al risarcimento del danno subito dal terzo trasportato come disciplinato dall'articolo 141.

Il comma 3 obbliga l'impresa, a seguito della presentazione della richiesta di risarcimento diretto, a provvedere alla liquidazione dei danni per conto dell'impresa di assicurazione del veicolo responsabile, ferma la successiva regolazione dei rapporti fra le imprese medesime.

In base al comma 4, se il danneggiato dichiara di accettare la somma offerta, l'impresa di assicurazione provvede al pagamento entro quindici giorni dalla ricezione della comunicazione e il danneggiato è tenuto a rilasciare quietanza liberatoria valida anche nei confronti del responsabile del sinistro e della sua impresa di assicurazione.

Il comma 5 prevede che l'impresa di assicurazione, entro quindici giorni, corrisponde la somma offerta al danneggiato che abbia comunicato di non accettare l'offerta o che non abbia fatto pervenire alcuna risposta. La somma in tale modo corrisposta è imputata all'eventuale liquidazione definitiva del danno.

Secondo il comma 6, in caso di comunicazione dei motivi che impediscono il risarcimento diretto ovvero nel caso di mancata comunicazione di offerta o di diniego di offerta entro i termini previsti dall'articolo 148 o di mancato accordo, il danneggiato può proporre l'azione diretta di cui all'articolo 145, comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione. L'impresa di assicurazione del veicolo del responsabile può chiedere di intervenire nel giudizio e può estromettere l'altra impresa, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato ferma restando, in ogni caso, la successiva regolazione dei rapporti tra le imprese medesime secondo quanto previsto nell'ambito del sistema di risarcimento diretto.

 

 


Articolo 28
(Concentrazioni)

 

 

L’articolo 28 apporta modifiche alla disciplina sulla valutazione e controllo delle operazioni di concentrazione da parte dell’Autorità garante della concorrenza e il mercato (lett. a)), sulle soglie di fatturato da cui scaturisce l’obbligo di notifica delle operazioni di concentrazione (lett. b)) e sul trattamento delle imprese comuni (lett. c)).

Le modifiche sono finalizzate ad adeguare la normativa nazionale alla normativa europea contenuta nel Regolamento sulle operazioni di concentrazione (Reg. n. 139/2004/UE).

 

L’articolo 28 apre il Capo VIII del disegno di legge, costituita dagli articoli 28-31, relativa al “Rafforzamento dei poteri in materia di attività Antitrust”. In tale Capo, si propongono modifiche varie alla legge n. 287/1990 finalizzate ad implementare l’efficacia del controllo dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato sulle concentrazioni, nonché sulle intese restrittive della libertà di concorrenza e l’abuso di posizione dominante, anche con l’introduzione di norme rivolte alle realtà dell’economia digitale.

Si tratta di modifiche che riprendono, in buona parte, le proposte formulate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella Segnalazione, inviata al Governo il 22 marzo 2021, ai sensi dell’articolo 47, comma 2, L. n. 99/2009. Di ciò sarà dato conto in ciascuna scheda di lettura.

Le modifiche muovono dall’opportunità – evidenziata dall’AGCM – che il quadro normativo nazionale sia quanto più possibile coerente con quello già adottato dalla Commissione europea e dalla prevalenza dei Paesi dell’UE. La divergenza tra quadri normativi espone le imprese che devono notificare in Italia al rischio di incoerenze nella valutazione della compatibilità dell’operazione non solo riguardo ai precedenti della Commissione relativi ai medesimi mercati, ma anche rispetto ad altri Stati Membri.

La descrizione del contenuto dell’articolo è quindi accompagnata da due approfondimenti:

1.     il primo riguarda la disciplina europea e nazionale sul controllo delle concentrazioni;

2.     il secondo descrive i poteri di indagine e sanzionatori dell’AGCM in materia di cartelli e abuso di posizione dominante e il loro potenziamento con il recepimento della Direttiva ECN Plus.

 

 

Armonizzazione del controllo delle concentrazioni con la normativa UE

L’articolo 28 in esame, al comma 1, lettera a), sostituisce il comma 1 dell’articolo 6 della legge n. 287/1990, apportando modifiche ai criteri della valutazione e del controllo, da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, delle operazioni di concentrazione.

L’articolo 6 citato, al comma 1, prevede – attualmente - che l’eventuale divieto di un’operazione di concentrazione presupponga l’accertamento “della costituzione o del rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza” (cd. “test di dominanza”).

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato - nella ricordata Segnalazione al Governo – ha evidenziato come tale previsione ricalchi il “test di dominanza” del previgente regolamento europeo (Reg. n. 4064/89/UE), che è stato successivamente modificato con il nuovo Reg. n. 139/2004/UE.

Ai sensi di tale ultimo regolamento, il nuovo test utilizzato a livello europeo richiede invece che, ai fini della valutazione di compatibilità di una concentrazione, l’operazione “non ostacoli in modo significativo una concorrenza effettiva nel mercato comune o una parte sostanziale di esso, in particolare a causa della creazione o del rafforzamento di una posizione dominante” (art. 2, par. 2 e 3 del regolamento n. 139/2004/UE).

Il nuovo test pone dunque al centro della valutazione l’impatto della concentrazione sulla concorrenza effettiva, rendendo non più necessario l’accertamento della dominanza, sebbene tale situazione continui ad essere ritenuta la forma principale di ostacolo alla concorrenza.

Con novella qui in esame, il comma 1 dell’articolo 6 della L. n. 287/1990 viene, dunque, corrispondentemente adeguato.

Il test impiegato dalla Commissione, rileva sempre l’AGCM, consente di cogliere meglio gli effetti delle operazioni che vengono a realizzarsi in mercati oligopolistici con beni differenziati o in presenza di relazioni verticali particolarmente complesse. In tali contesti, la concentrazione potrebbe essere in grado di produrre un peggioramento delle condizioni concorrenziali anche in assenza di una posizione dominante.

Attualmente tutti gli Stati membri, ad eccezione di Italia e Austria, dispongono di un test di valutazione delle operazioni di concentrazione nazionali coerente con quello introdotto dal regolamento n. 139/2004/UE.

 

La novella apportata al comma 1 dell’articolo 6 della legge n. 287/1990 è anche finalizzata a recepire quanto dispone il Reg. n. 139/2004/UE, in tema di valutazione sostanziale delle operazioni di concentrazione, circa la possibilità di bilanciare gli effetti restrittivi della concorrenza al realizzarsi di una concentrazione, con i vantaggi di efficienza che si produrrebbero solo con il realizzarsi della stessa, sempre laddove siano significativamente riversati anche ai consumatori (articolo 1, par. 1, comma 2, lett. a) e b)).

Ai sensi del Regolamento citato, la Commissione tiene conto:

a) della necessità di preservare e sviluppare una concorrenza effettiva nel mercato comune alla luce della struttura di tutti i mercati interessati e della concorrenza effettiva o potenziale di imprese situate all'interno o esterno della Comunità;

b) della posizione sul mercato delle imprese partecipanti, del loro potere economico e finanziario, delle possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori, del loro accesso alle fonti di approvvigionamento o agli sbocchi, dell'esistenza di diritto o di fatto di ostacoli all'entrata, dell'andamento dell'offerta e della domanda dei prodotti e dei servizi in questione, degli interessi dei consumatori intermedi e finali nonché dell'evoluzione del progresso tecnico ed economico purché essa sia a vantaggio del consumatore e non costituisca impedimento alla concorrenza.

Tali previsioni trovano ora riproduzione nell’articolo 6 della legge n. 287/1990, come risulta dal successivo testo a fronte.

 

Con la novella, si introduce, infine, nel comma 1 dell’articolo 6 la previsione per cui l’Autorità può valutare gli effetti anticompetitivi di acquisizioni di controllo su imprese di piccole dimensioni caratterizzate da strategie innovative, anche nel campo delle nuove tecnologie.

Tale ultima previsione appare aggiuntiva rispetto alla proposta di modifica all’articolo 6 da parte dell’Autorità, peraltro interamente recepita.

 

Art. 6 L. n. 287/1990
testo vigente

Art. 6 L. n. 287/1990
testo novellato dal DDL concorrenza

1. Nei riguardi delle operazioni di concentrazione soggette a comunicazione ai sensi dell'art. 16, l'Autorità valuta se comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza. Tale situazione deve essere valutata tenendo conto delle possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori, della posizione sul mercato delle imprese interessate, del loro accesso alle fonti di approvvigionamento o agli sbocchi di mercato, della struttura dei mercati, della situazione competitiva dell'industria nazionale, delle barriere all'entrata sul mercato di imprese concorrenti, nonché dell'andamento della domanda e dell'offerta dei prodotti o servizi in questione.

1. Nei riguardi delle operazioni di concentrazione soggette a comunicazione ai sensi dell’articolo 16, l’Autorità valuta se ostacolino in modo significativo la concorrenza effettiva nel mercato nazionale o in una sua parte rilevante, in particolare a causa della costituzione o del rafforzamento di una posizione dominante. Tale situazione deve essere valutata in ragione della necessità di preservare e sviluppare la concorrenza effettiva tenendo conto della struttura di tutti i mercati interessati e della concorrenza attuale o potenziale, nonché della posizione sul mercato delle imprese partecipanti, del loro potere economico e finanziario, delle possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori, del loro accesso alle fonti di approvvigionamento o agli sbocchi di mercato, dell'esistenza di diritto o di fatto di ostacoli all'entrata, dell'andamento dell'offerta e della domanda dei prodotti e dei servizi in questione, degli interessi dei consumatori intermedi e finali, nonché del progresso tecnico ed economico purché essa sia a vantaggio del consumatore e non costituisca impedimento alla concorrenza. L’Autorità può valutare gli effetti anticompetitivi di acquisizioni di controllo su imprese di piccole dimensioni caratterizzate da strategie innovative, anche nel campo delle nuove tecnologie.

2. L'Autorità, al termine dell'istruttoria di cui all'art. 16, comma 4, quando accerti che l'operazione comporta le conseguenze di cui al comma 1, vieta la concentrazione ovvero l'autorizza prescrivendo le misure necessarie ad impedire tali conseguenze.

Identico.

 

 

Modifiche al sistema di notifica delle operazioni di concentrazione

L’articolo 28, comma 1, lettera b), interviene, attraverso modifiche ed integrazioni, sull’articolo 16 della legge n. 287/1990, relativo alla notifica delle operazioni di concentrazione.

L’articolo 16, al comma 1, prevede l’obbligo di notifica delle operazioni di concentrazione qualora superino le seguenti soglie di fatturato su base nazionale: 492 milioni di euro dalle imprese interessate all’operazione nel loro insieme e 30 milioni di euro da almeno due delle imprese interessate[61].

La lettera b), n. 1 dell’articolo qui in esame – attraverso l’inserimento di un nuovo comma 1-bis, nel citato articolo 16 – consente all’Autorità di richiedere alle imprese interessate di notificare, entro trenta giorni, un’operazione di concentrazione anche nel caso in cui sia superata una sola delle due soglie di fatturato sopra indicate, ovvero nel caso in cui il fatturato totale realizzato a livello mondiale dall’insieme delle imprese interessate sia superiore a 5 miliardi di euro, qualora sussistano concreti rischi per la concorrenza nel mercato nazionale, o in una sua parte rilevante, tenuto anche conto degli effetti pregiudizievoli per lo sviluppo e la diffusione di imprese di piccole dimensioni caratterizzate da strategie innovative, e non siano trascorsi oltre sei mesi dal perfezionamento dell’operazione.

In caso di omessa notifica, si applicano le sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’articolo 19, comma 2, non inferiori all'uno per cento e non superiori al dieci per cento del fatturato delle attività di impresa oggetto della concentrazione.

La modifica corrisponde nella sostanza a quanto proposto dall’AGCM nella menzionata Segnalazione al Governo di marzo scorso. L’Autorità ha auspicato un intervento del legislatore per rafforzare l’attuale sistema di controllo delle concentrazioni evitando che operazioni sotto-soglia potenzialmente problematiche non sfuggano al vaglio dell’Autorità.

Secondo quanto rilevato dall’AGCM, negli ultimi anni, il “sistema di notifica basato sulla dimensione attuale delle imprese rischia di essere inadeguato nel cogliere lo sviluppo in chiave prospettica delle imprese interessate dalle operazioni di concentrazione nonché nel prevenire la formazione di monopoli locali. La sfida proviene, ad esempio, dall’economia digitale - dove si assiste ad un fenomeno sempre più diffuso di acquisizione, da parte di grandi operatori di mercato, di potenziali futuri concorrenti - ma interessa anche settori tradizionali, dove alcune concentrazioni possono avere un impatto significativo su mercati geografici locali, ma il fatturato delle imprese coinvolte non supera le soglie per la notifica.

La previsione della facoltà per l’Autorità di richiedere, motivandola, la notifica di concentrazioni sotto-soglia di cui si è venuti a conoscenza, è già stata adottata da alcuni Paesi europei (Germania, Norvegia, Svezia, Lituania) e da paesi extra-europei come Stati Uniti e Giappone.

Inoltre, in Francia, ancorché il sistema di notifica si basi ancora sulle soglie di fatturato, l’Autorità di concorrenza francese ha assunto, in ambito OCSE, una posizione favorevole all’introduzione di un meccanismo di controllo anche per operazioni sotto soglia potenzialmente idonee a generare criticità concorrenziali.

La lettera b), al n. 2, sostituisce il comma 2 dell’articolo 16, laddove attualmente si prevede che - per gli istituti bancari e finanziari - il fatturato rilevante ai fini dell’obbligo di notifica delle operazioni di concentrazione - è pari al valore di un decimo del totale dell'attivo dello stato patrimoniale, esclusi i conti d'ordine, e, per le compagnie di assicurazione. pari al valore dei premi incassati.

La finalità è quella di adeguare la normativa nazionale – ancorata alla disciplina europea precedente al Regolamento n. 139/2004/UE – a quella introdotta da ultimo con tale Regolamento. Come evidenzia l’AGCM nella Segnalazione, il Regolamento europeo del 2004 considera l’ammontare dei proventi derivanti dalla gestione, ovvero elementi che - come per le imprese industriali - rilevino le dimensioni dell’attività economica svolta, piuttosto che le dimensioni patrimoniali[62].

Dunque, in simmetria con quanto prevede il Regolamento del 2004 (art. 5, par. 3)), la lettera b), n. 2, sostituisce il comma 2 dell’articolo 16, prevedendo che, per gli enti creditizi e gli altri istituti finanziari, il fatturato è sostituito dalla somma delle seguenti voci di provento al netto, nel caso, dell'imposta sul valore aggiunto e di altre imposte direttamente associate ai suddetti proventi:

a) interessi e proventi assimilati;

b) proventi su titoli (proventi di azioni, quote ed altri titoli a reddito variabile, proventi di partecipazioni, proventi di partecipazioni in imprese collegate);

c) proventi per commissioni; profitti da operazioni finanziarie;

d) altri proventi di gestione.

Per le imprese di assicurazioni, il fatturato è sostituito dal valore di premi lordi emessi, che comprendono tutti gli importi incassati o da incassare a titolo di contratti d'assicurazione stipulati direttamente da dette imprese o per loro conto, inclusi i premi ceduti ai riassicuratori, previa detrazione delle imposte o tasse parafiscali riscosse sull'importo dei premi o sul relativo volume complessivo.

Si rammenta che l’articolo 5, par. 3 del Regolamento 2004/139/UE dispone, altresì, che il fatturato di un ente creditizio o istituto finanziario nell’Unione o in uno Stato membro comprende gli elementi dei proventi, così come definiti sopra, che sono imputati ad una succursale o ad una unità operativa dell'istituto interessato avente sede nella Comunità o nello Stato membro in questione, a seconda del caso.

Non risulta recepita nel testo del disegno di legge la proposta dell’AGCM, formulata nella Segnalazione, circa la modifica al comma 8 dell’articolo 16, al fine di estendere da 45 a 90 giorni il termine perentorio per la comunicazione, da parte dell’Autorità, della comunicazione delle proprie conclusioni sulle istruttorie sulle concentrazioni.

 

Art. 16 L. n. 287/1990
testo vigente

Art. 16 L. n. 287/1990
testo novellato dal DDL concorrenza

1. Le operazioni di concentrazione di cui all'articolo 5 devono essere preventivamente comunicate all'Autorità qualora il fatturato totale realizzato a livello nazionale dall'insieme delle imprese interessate sia superiore a quattrocentonovantadue milioni di euro e qualora il fatturato totale realizzato individualmente a livello nazionale da almeno due delle imprese interessate sia superiore a trenta milioni di euro. Tali valori sono incrementati ogni anno di un ammontare equivalente all'aumento dell'indice del deflatore dei prezzi del prodotto interno lordo.

Identico

 

1-bis. L’Autorità può richiedere alle imprese interessate di notificare entro trenta giorni un’operazione di concentrazione anche nel caso in cui sia superata una sola delle due soglie di fatturato di cui al comma 1, ovvero nel caso in cui il fatturato totale realizzato a livello mondiale dall’insieme delle imprese interessate sia superiore a 5 miliardi di euro, qualora sussistano concreti rischi per la concorrenza nel mercato nazionale, o in una sua parte rilevante, tenuto anche conto degli effetti pregiudizievoli per lo sviluppo e la diffusione di imprese di piccole dimensioni caratterizzate da strategie innovative, e non siano trascorsi oltre sei mesi dal perfezionamento dell’operazione. In caso di omessa notifica si applicano le sanzioni di cui all’articolo 19, comma 2

2. Per gli istituti bancari e finanziari il fatturato è considerato pari al valore di un decimo del totale dell'attivo dello stato patrimoniale, esclusi i conti d'ordine, e per le compagnie di assicurazione pari al valore dei premi incassati.

2. Per gli enti creditizi e gli altri istituti finanziari il fatturato è sostituito dalla somma delle seguenti voci di provento al netto, se del caso, dell'imposta sul valore aggiunto e di altre imposte direttamente associate ai proventi: a) interessi e proventi assimilati; b) proventi su titoli (proventi di azioni, quote ed altri titoli a reddito variabile, proventi di partecipazioni, proventi di partecipazioni in imprese collegate); c) proventi per commissioni; d) profitti da operazioni finanziarie;  e) altri proventi di gestione. Per le imprese di assicurazioni il fatturato è sostituito dal valore di premi lordi emessi, che comprendono tutti gli importi incassati o da incassare a titolo di contratti d'assicurazione stipulati direttamente da dette imprese o per loro conto, inclusi i premi ceduti ai riassicuratori, previa detrazione delle imposte o tasse parafiscali riscosse sull'importo dei premi o sul relativo volume complessivo

3. Entro cinque giorni dalla comunicazione di una operazione di concentrazione l'Autorità ne dà notizia al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato.

identico

4. Se l'Autorità ritiene che un'operazione di concentrazione sia suscettibile di essere vietata ai sensi dell'art. 6, avvia entro trenta giorni dal ricevimento della notifica, o dal momento in cui ne abbia comunque avuto conoscenza, l'istruttoria attenendosi alle norme dell'art. 14. L'Autorità, a fronte di un'operazione di concentrazione ritualmente comunicata, qualora non ritenga necessario avviare l'istruttoria deve dare comunicazione alle imprese interessate ed al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato delle proprie conclusioni nel merito, entro trenta giorni dal ricevimento della notifica.

Identico

5. L'offerta pubblica di acquisto che possa dar luogo ad operazione di concentrazione soggetta alla comunicazione di cui al comma 1 deve essere comunicata all'Autorità contestualmente alla sua comunicazione alla Commissione nazionale per le società e la borsa.

identico

6. Nel caso di offerta pubblica di acquisto comunicata all'Autorità ai sensi del comma 5, l'Autorità deve notificare l'avvio dell'istruttoria entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione e contestualmente darne comunicazione alla Commissione nazionale per le società e la borsa.

Identico

7. L'Autorità può avviare l'istruttoria dopo la scadenza dei termini di cui al presente articolo, nel caso in cui le informazioni fornite dalle imprese con la comunicazione risultino gravemente inesatte, incomplete o non veritiere.

Identico

8. L'Autorità, entro il termine perentorio di quarantacinque giorni dall'inizio dell'istruttoria di cui al presente articolo, deve dare comunicazione alle imprese interessate ed al Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, delle proprie conclusioni nel merito. Tale termine può essere prorogato nel corso dell'istruttoria per un periodo non superiore a trenta giorni, qualora le imprese non forniscano informazioni e dati a loro richiesti che siano nella loro disponibilità

Identico

 

Trattamento delle imprese comuni

La lettera c) modifica l’articolo 5, della legge n. 287/1990, laddove esso prevede che si ha operazione di concentrazione quando due o più imprese, attraverso la costituzione di una nuova società, procedono alla costituzione di una impresa comune (comma 1, lett. c)), mentre, invece, non si dà luogo ad una concentrazione nel caso di coordinamento del comportamento di imprese indipendenti.

La modifica è finalizzata ad adeguare la normativa nazionale alla normativa europea contenuta nel Regolamento n. 139/2004/UE (articolo 2, par. 4 e 5 e articolo 3, par. 4).

Come evidenzia l’AGCM nella Segnalazione, nell’attuale quadro normativo nazionale, i requisiti per configurare come concentrazione la costituzione di una joint venture sono:

i) l’autonomia funzionale, ossia la natura di impresa a pieno titolo (full-function);

ii) l’assenza di rischi di coordinamento.

 

La disciplina nazionale riflette l’impostazione originaria del previgente Regolamento n. 4064/1989/UE. Il legislatore europeo ha successivamente ampliato la categoria delle imprese comuni soggette al controllo sulle concentrazioni fino a ricomprendervi le imprese comuni a carattere cooperativo idonee a generare effetti strutturali. A seguito di tale modifica, sono configurate come concentrazioni ed assoggettate al regolamento n. 139/2004/UE tutte le imprese comuni full-function, ossia che assumono le funzioni di una entità economica autonoma.

 

Conseguentemente, la lettera c) n. 1) sostituisce il comma 1, lett. c) dell’articolo 5 della legge n. 287/1990 al fine di definire “impresa comune” non più, unicamente, quella che deriva dalla costituzione di una nuova società, bensì quella che esercita stabilmente tutte le funzioni di una entità autonoma.

 

La lettera c), n. 2) sostituisce poi il comma 3 dell’articolo 5, al fine di prevedere che, qualora la costituzione di un'impresa comune che realizza una concentrazione abbia per oggetto o per effetto il coordinamento del comportamento di imprese indipendenti, tale coordinamento è valutato secondo i parametri adottati per la valutazione delle intese restrittive della libertà di concorrenza, al fine di stabilire se l'operazione comporti le conseguenze di cui all’articolo 6 della medesima legge (divieto dell’ operazione di concentrazione).

In tale valutazione, l’Autorità tiene conto, in particolare, della presenza significativa e simultanea di due o più imprese fondatrici sullo stesso mercato dell'impresa comune, o su uno situato a monte o a valle di tale mercato, ovvero contiguo strettamente legato, nonché della possibilità offerta alle imprese interessate, attraverso il loro coordinamento risultante direttamente dalla costituzione dell'impresa comune, di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti e servizi in questione.

 

 

 

 

Art. 5 L. n. 287/1990
testo vigente

Art. 5 L. n. 287/1990
testo novellato dal DDL concorrenza

1. L'operazione di concentrazione si realizza:

a) quando due o più imprese procedono a fusione;

identico

b) quando uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno un'impresa ovvero una o più imprese acquisiscono direttamente od indirettamente, sia mediante acquisto di azioni o di elementi del patrimonio, sia mediante contratto o qualsiasi altro mezzo, il controllo dell'insieme o di parti di una o più imprese;

identico

c) quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla costituzione di un'impresa comune.

c) quando due o più imprese procedono alla costituzione di un'impresa comune che esercita stabilmente tutte le funzioni di una entità autonoma.

2. L'assunzione del controllo di un'impresa non si verifica nel caso in cui una banca o un istituto finanziario acquisti, all'atto della costituzione di un'impresa o dell'aumento del suo capitale, partecipazioni in tale impresa al fine di rivenderle sul mercato, a condizione che durante il periodo di possesso di dette partecipazioni, comunque non superiore a ventiquattro mesi, non eserciti i diritti di voto inerenti alle partecipazioni stesse.

identico

3. Le operazioni aventi quale oggetto o effetto principale il coordinamento del comportamento di imprese indipendenti non danno luogo ad una concentrazione.

3. Qualora l’operazione di costituzione di un'impresa comune che realizza una concentrazione abbia per oggetto o per effetto il coordinamento del comportamento di imprese indipendenti, tale coordinamento è valutato secondo i parametri adottati per la valutazione delle intese restrittive della libertà di concorrenza, al fine di stabilire se l'operazione comporti le conseguenze di cui all’articolo 6. In tale valutazione l’Autorità tiene conto, in particolare, della presenza significativa e simultanea di due o più imprese fondatrici sullo stesso mercato dell'impresa comune, o su un mercato situato a monte o a valle di tale mercato, ovvero su un mercato contiguo strettamente legato a detto mercato, nonché della possibilità offerta alle imprese interessate, attraverso il loro coordinamento risultante direttamente dalla costituzione dell'impresa comune, di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti e servizi in questione.

 

 

Nel 1989, con un apposito Regolamento (Reg. 4064/1989/CEE), si è introdotta in sede europea una disciplina specifica per il controllo antitrust delle operazioni di concentrazione. Il Regolamento è stato adottato in considerazione del fatto che gli articoli 85 (cartelli/intese orizzontali restrittive della concorrenza) e 86 (abuso di posizione dominante) del Trattato CEE (ora Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE, articoli 101 e 102), pur potendo essere applicati, secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia[63] a talune concentrazioni, non erano tuttavia sufficienti a coprire tutte le operazioni di concentrazione potenzialmente incompatibili con il regime di concorrenza contemplato dal Trattato. Si rammenta, infatti, come solo l'articolo 66 del Trattato CECA, prevedesse l’assoggettamento di qualsiasi concentrazione ad una previa autorizzazione[64].

È stato quindi ritenuto necessario creare uno strumento giuridico nuovo - sotto forma di regolamento - che consentisse un controllo effettivo di tutte le operazioni di concentrazione in funzione della loro incidenza sulla struttura di concorrenza nel mercato comunitario. L’adozione del regolamento si è basata non soltanto sull'articolo 87 (ora 103 TFUE) ma principalmente sull'articolo 235 del Trattato (ora art. 308 TFUE), ai sensi del quale la Comunità può dotarsi dei poteri d'azione aggiuntivi necessari a realizzare i suoi obiettivi, anche per quanto riguarda le concentrazioni sui mercati dei prodotti agricoli di cui all'Allegato II del trattato.

Il sistema di controllo delineato nel Regolamento del 1989 (modificato dal successivo Reg. 1310/1997/CE) è stato riformato, con l’adozione del Regolamento 139/2004/CE «Regolamento comunitario sulle concentrazioni» e di un nuovo Regolamento di esecuzione della Commissione (Reg. n. 802/2004/CE), nonché di una serie di atti di natura interpretativa (Comunicazioni della Commissione).

Il nuovo Regolamento, al fine di preservare gli orientamenti desumibili dalle sentenze degli organi giurisdizionali europei e dalle decisioni della Commissione in applicazione del precedente regolamento, sancisce il principio secondo cui devono essere dichiarate incompatibili le concentrazioni di dimensione comunitaria che ostacolino in modo significativo una concorrenza effettiva nel mercato comune o una sua parte sostanziale, in particolare qualora ciò risulti dalla creazione o dal rafforzamento di una posizione dominante.

Inoltre, prevede l’applicazione dei criteri di cui all'articolo 101, par. 1 e 3, TFUE alle imprese comuni che esercitano stabilmente tutte le funzioni di una entità economica autonoma, se ed in quanto la loro costituzione ha come conseguenza una sensibile restrizione della concorrenza tra imprese che restano indipendenti.

L’articolo 21 del Regolamento fissa il criterio della “barriera unica”, disponendo l’applicabilità del regolamento alle concentrazioni di dimensione comunitaria definite dall'articolo 3 (par. 1). La Commissione ha competenza esclusiva per adottare le decisioni (par. 2). Dunque, gli Stati membri non applicano la loro normativa nazionale sulla concorrenza alle concentrazioni di dimensione comunitaria (par. 3). Ciononostante, gli Stati membri possono adottare gli opportuni provvedimenti per tutelare interessi legittimi diversi da quelli presi in considerazione dal regolamento e compatibili con i principi generali e le altre disposizioni del diritto comunitario (par. 4).

Sono considerati interessi legittimi la sicurezza pubblica, la pluralità dei mezzi di informazione, le norme prudenziali.

Inoltre, ai sensi dell’articolo 22, vale il rinvio alla Commissione, per cui uno o più Stati membri possono chiedere alla Commissione di esaminare qualsiasi concentrazione, che non ha dimensione comunitaria, ma incide sul commercio fra Stati membri e rischia di incidere in misura significativa sulla concorrenza nel territorio dello Stato o degli Stati membri che presentano la richiesta.

L’articolo 1, par. 2 e 3, del regolamento definisce di dimensione comunitaria una concentrazione, quando:

a) il fatturato totale mondiale dell'insieme delle imprese interessate è superiore a 5 miliardi di euro e

b) il fatturato totale realizzato individualmente nella Comunità da almeno due delle imprese interessate è superiore a 250 milioni; salvo che ciascuna delle imprese interessate realizzi oltre i due terzi del suo fatturato totale nella Comunità all'interno di un solo e medesimo Stato membro.

Una concentrazione che non supera le predette soglie è tuttavia di dimensione comunitaria quando:

a) il fatturato mondiale dell'insieme delle imprese interessate è superiore a 2,5 miliardi;

b) in ciascuno di almeno tre Stati membri, il fatturato totale realizzato dall'insieme delle imprese interessate è superiore a 100 milioni;

c) in ciascuno di almeno tre degli Stati membri di cui alla lettera b), il fatturato totale realizzato individualmente da almeno due delle imprese interessate è superiore a 25 milioni e

d) il fatturato totale realizzato individualmente nella Comunità da almeno due delle imprese interessate è superiore a 100 milioni; salvo che ciascuna delle imprese interessate realizzi oltre i due terzi del suo fatturato totale nella Comunità all'interno di un solo e medesimo Stato membro.

 

L’articolo 2, paragrafo 3, sancisce dunque il principio per cui le concentrazioni che ostacolino in modo significativo la concorrenza effettiva nel mercato comune o in una parte sostanziale di esso, in particolare a causa della creazione o del rafforzamento di una posizione dominante, sono dichiarate incompatibili con il mercato comune. Viene così introdotto il Substantial Impediment of Effective Competition (SIEC) test , pur mantenendo il precedente test di dominanza[65].

Nella sua valutazione, la Commissione, ai sensi dell’articolo 2, par. 1, tiene conto:

a) della necessità di preservare e sviluppare una concorrenza effettiva nel mercato comune alla luce, segnatamente, della struttura di tutti i mercati interessati e della concorrenza effettiva o potenziale di imprese situate all'interno o esterno della Comunità;

b) della posizione sul mercato delle imprese partecipanti, del loro potere economico e finanziario, delle possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori, del loro accesso alle fonti di approvvigionamento o agli sbocchi, dell'esistenza di diritto o di fatto di ostacoli all'entrata, dell'andamento dell'offerta e della domanda dei prodotti e dei servizi in questione, degli interessi dei consumatori intermedi e finali nonché dell'evoluzione del progresso tecnico ed economico purché essa sia a vantaggio del consumatore e non costituisca impedimento alla concorrenza.

Le concentrazioni possono essere presunte compatibili con il mercato comune qualora, data la modesta quota di mercato delle imprese interessate, non siano tali da ostacolare la concorrenza effettiva. Fatti salvi gli articoli 101 e 102 TFUE, un'indicazione in tal senso sussiste qualora la quota di mercato delle imprese interessate non sia superiore al 25% né nel mercato comune né in una sua parte sostanziale.

Ai sensi dell'articolo 3, si ha operazione di concentrazione nei seguenti casi:

·     fusione tra imprese indipendenti: fusione tramite creazione di una nuova entità (fusione propria); fusione per incorporazione (l’impresa assorbita perde la propria personalità giuridica) (par. 1, lett. a)) ;

·     acquisizione di controllo (par. 1, lett. b));

·     costituzione di un’impresa comune (IC) che esercita stabilmente tutte le funzioni di un’entità economica autonoma (c.d. full function joint venture) (par. 4).

Ai sensi dell’articolo 4, le concentrazioni di dimensione comunitaria sono notificate alla Commissione prima della loro realizzazione e dopo la conclusione dell'accordo, la comunicazione dell'offerta d'acquisto o di scambio o l'acquisizione di una partecipazione di controllo.

 

Si passi ora ad esaminare la disciplina nazionale sulle concentrazioni. Con la legge 10 ottobre 1990 n. 287, è stata introdotta, nell’ordinamento, una disciplina organica a tutela della concorrenza, nel solco dei principi stabiliti in sede europea dagli articoli 101 (cartelli/intese orizzontali restrittive della concorrenza) e 102 (abuso di posizione dominante) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

La legge individua le fattispecie anticoncorrenziali vietate: intese restrittive della libertà di concorrenza, abusi di posizione dominante e concentrazioni aventi determinate caratteristiche, e provvede all'istituzione di un organo di tutela e di promozione dei meccanismi concorrenziali, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, i cui compiti istituzionali e la cui natura sono stabiliti dall'articolo 10 della legge stessa e alla quale sono attribuiti poteri sanzionatori in ordine alle fattispecie anticoncorrenziali individuate.

Il Titolo II, Capo II, della legge n. 287/1990 disciplina i poteri dell'Autorità, istruttori e sanzionatori, in materia di intese restrittive della concorrenza e abuso di posizione dominante (articoli 12-15), e in materia di divieto delle operazioni di concentrazione (articoli 16-19).

Le concentrazioni tra imprese non sono di per sé vietate, ma sono sottoposte – in linea con la disciplina europea -  a un procedimento di controllo preventivo da parte dell’Antitrust, che può sfociare nel divieto per le imprese di realizzare l’operazione comunicata, quando risulta che questa possa creare o rafforzare una posizione dominante nel mercato.

L’articolo 5 della legge n. 287 dispone, al comma 1, che l'operazione di concentrazione si realizza:

a) quando due o più imprese procedono a fusione;

b) quando uno o più soggetti in posizione di controllo di almeno un'impresa ovvero una o più imprese acquisiscono direttamente od indirettamente, sia mediante acquisto di azioni o di elementi del patrimonio, sia mediante contratto o qualsiasi altro mezzo, il controllo dell'insieme o di parti di una o più imprese;

c) quando due o più imprese procedono, attraverso la costituzione di una nuova società, alla costituzione di un'impresa comune.

Si esclude che diano luogo ad una concentrazione operazioni aventi quale oggetto o effetto principale il coordinamento del comportamento di imprese indipendenti (comma 3).

Inoltre, l'assunzione del controllo di un'impresa non si verifica nel caso in cui una banca o un istituto finanziario acquisti, all'atto della costituzione di un'impresa o dell'aumento del suo capitale, partecipazioni in tale impresa al fine di rivenderle sul mercato, a condizione che durante il periodo di possesso delle partecipazioni, comunque non superiore a ventiquattro mesi, non eserciti i diritti di voto inerenti alle partecipazioni stesse (comma 2).

Ai sensi dell’articolo 6 della legge n. 287/90, l'Autorità valuta se le operazioni assoggettate all’obbligo di notifica ai sensi dell’articolo 16 della medesima legge, comportino la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante sul mercato nazionale in modo da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza. Tale situazione deve essere valutata tenendo conto delle possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori, della posizione sul mercato delle imprese interessate, del loro accesso alle fonti di approvvigionamento o agli sbocchi di mercato, della struttura dei mercati, della situazione competitiva dell'industria nazionale, delle barriere all'entrata sul mercato di imprese concorrenti, nonché dell'andamento della domanda e dell'offerta dei prodotti o servizi in questione (comma 1). Al termine dell'istruttoria, quando si accerti che l'operazione comporta le conseguenze suddette, l’AGCM vieta la concentrazione ovvero l'autorizza prescrivendo le misure necessarie ad impedire tali conseguenze (comma 2).

L’articolo 6 prevede dunque attualmente il cosiddetto “test di dominanza”, ai sensi di quanto in precedenza disposto dal regolamento europeo del 1989, e non già il Substantial Impediment of Effective Competition (SIEC) test previsto dalla vigente disciplina europea.

L’articolo 7 disciplina i casi in cui si ha controllo richiamando l'art. 2359 del codice civile e, inoltre, la presenza di diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono, da soli o congiuntamente, e tenuto conto delle circostanze di fatto e di diritto, la possibilità di esercitare un'influenza determinante sulle attività di un'impresa. Ciò avviene anche attraverso a) diritti di proprietà o di godimento sulla totalità o su parti del patrimonio di un'impresa; b) diritti, contratti o altri rapporti giuridici che conferiscono un'influenza determinante sulla composizione, sulle deliberazioni o sulle decisioni degli organi di un'impresa.

L’articolo 16 indica le soglie di fatturato in presenza delle quali le operazioni devono essere preventivamente comunicate all'Autorità: fatturato totale realizzato a livello nazionale dall'insieme delle imprese interessate superiore a quattrocentonovantadue milioni di euro e fatturato totale realizzato individualmente a livello nazionale da almeno due delle imprese interessate superiore a trenta milioni di euro. Tali valori sono incrementati ogni anno di un ammontare equivalente all'aumento dell'indice del deflatore dei prezzi del prodotto interno lordo (comma 1). Per gli istituti bancari e finanziari il fatturato è considerato pari al valore di un decimo del totale dell'attivo dello stato patrimoniale, esclusi i conti d'ordine, e per le compagnie di assicurazione pari al valore dei premi incassati (comma 2). Quanto alla procedura, entro 5 giorni dalla notifica, l’operazione è comunicata alla Presidenza del consiglio dei Ministri e al ministro dello sviluppo economico (comma 3). L’istruttoria è avviata dall’Autorità, qualora ritenga che l’operazione sia suscettibile di essere vietata, entro 30 giorni dalla notifica, avvalendosi dei poteri istruttori previsti dall’articolo 14 della L. n. 287, inerenti il vaglio dei cartelli e l’abuso di posizione dominante. Se non ritiene di avviare l’istruttoria, l’Autorità propone le proprie conclusioni nel merito, entro trenta giorni dal ricevimento della notifica (comma 4). L'Autorità può avviare l'istruttoria dopo la scadenza dei termini, nel caso in cui le informazioni fornite dalle imprese con la comunicazione risultino gravemente inesatte, incomplete o non veritiere (comma 7).

Entro quarantacinque giorni dall'inizio dell'istruttoria (termine perentorio), l’AGCM deve dare comunicazione alle imprese interessate ed al Ministro dello sviluppo economico delle proprie conclusioni nel merito. Il termine può essere prorogato nel corso dell'istruttoria per un periodo non superiore a trenta giorni, qualora le imprese non forniscano informazioni e dati a loro richiesti che siano nella loro disponibilità. L’AGCM può, ai sensi dell’articolo 17, disporre la sospensione temporanea dell’operazione di concentrazione fino al termine dell’istruttoria. Ai sensi dell’articolo 18, all'esito dell’istruttoria, se si accerta che una concentrazione rientra tra quelle contemplate dall'art. 6, l’Autorità ne vieta l'esecuzione.

Ove invece, non emergano elementi tali da consentire un intervento, l’AGCM provvede a chiudere l'istruttoria, e deve dare immediata comunicazione delle conclusioni alle imprese interessate ed al Ministro dello sviluppo economico. Tale provvedimento può essere adottato a richiesta delle imprese interessate che comprovino di avere eliminato dall'originario progetto di concentrazione gli elementi eventualmente distorsivi della concorrenza.

L'Autorità, se l'operazione di concentrazione è già stata realizzata, può prescrivere le misure necessarie a ripristinare condizioni di concorrenza effettiva, per eliminare gli effetti distorsivi.

L’articolo 19 indica le sanzioni amministrative pecuniarie che l’AGCM può comminare in caso di inottemperanza al divieto di concentrazione o all'obbligo di notifica.

Per l’inottemperanza al divieto di concentrazione, le relative sanzioni sono non inferiori all'uno per cento e non superiori al dieci per cento del fatturato delle attività di impresa oggetto della concentrazione.

Nel caso di imprese che non abbiano ottemperato agli obblighi di comunicazione preventiva, l'Autorità può infliggere per tali violazioni sanzioni amministrative pecuniarie fino all'uno per cento del fatturato dell'anno precedente a quello in cui è effettuata la contestazione in aggiunta alle sanzioni eventualmente applicabili a seguito delle conclusioni dell'istruttoria.

 

Con la legge 10 ottobre 1990 n. 287, è stata introdotta nell’ordinamento nazionale una disciplina organica a tutela della concorrenza, nel solco dei principi stabiliti in sede europea dagli articoli 101 (cartelli/intese orizzontali restrittive della concorrenza) e 102 (abuso di posizione dominante) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).

La legge individua le fattispecie anticoncorrenziali vietate, ossia intese restrittive della libertà di concorrenza, abusi di posizione dominante e concentrazioni aventi determinate caratteristiche, e provvede all'istituzione di un organo di tutela e di promozione dei meccanismi concorrenziali, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, i cui compiti istituzionali e la cui natura sono stabiliti dall'articolo 10 della legge stessa e alla quale sono attribuiti poteri sanzionatori in ordine alle fattispecie anticoncorrenziali individuate.

L'Autorità applica, anche parallelamente, in relazione a uno stesso caso, gli articoli 101 e 102 del TFUE, nel caso di portata transfrontaliera dell'infrazione e di alterazione della concorrenza del mercato dell'UE, e gli articoli 2 e 3 della legge, relativi, rispettivamente, alle intese restrittive e all'abuso di posizione dominante.

L'articolo 2 della legge considera intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari (co. 1).

L'articolo vieta le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente la concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel:

-    fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;

-    impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;

-    ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;

-    applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;

-    subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l'oggetto dei contratti stessi (co. 2).

Sancisce infine che le intese vietate sono nulle ad ogni effetto (co. 3).

L'articolo 3 vieta l'abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante. È inoltre vietato:

-    imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;

-    impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori;

-    applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;

-    subordinare la conclusione dei contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l'oggetto dei contratti stessi.

Il Titolo II, Capo II, della legge n. 287/1990 disciplina i poteri dell'Autorità, istruttori e sanzionatori, in materia di intese restrittive della concorrenza e abuso di posizione dominante (articoli 12-15), e in materia di divieto delle operazioni di concentrazione (articoli 16-19).

La normativa nazionale è integrata da quella europea, volta ad assicurare la corretta applicazione del Trattato in sede di accertamento e repressione delle violazioni alla concorrenza da esso disciplinate. Al fine di una corretta applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE - inerenti il divieto di intese restrittive della concorrenza e il divieto di abuso di posizione dominante - è stato adottato il Regolamento (CE) n. 1/2003 del Consiglio, il quale ha abrogato il primo regolamento europeo in materia (Regolamento (CE) n. 17/1962). Il Regolamento ha fortemente innovato il sistema di controllo e accertamento delle violazioni alle regole della concorrenza, attribuito, ai sensi del precedente regolamento, interamente in capo alla Commissione europea.

In luogo del sistema centralizzato, sancito dal primo regolamento, il Regolamento n. 1/2003 ha conferito alle giurisdizioni nazionali e alle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri ("ANC"), oltre che alla Commissione europea, il potere di applicare integralmente le regole dell'UE in materia di concorrenza. Il Regolamento ha inoltre introdotto nuove forme di stretta cooperazione tra la Commissione e le ANC, nell'ambito della Rete europea della concorrenza (European Competition Network, "ECN"). In tal modo, è stato permesso alla Commissione di concentrarsi sull'accertamento delle violazioni più gravi, aventi dimensione trasfrontaliera, mentre, le ANC intervengono quando la concorrenza è pregiudicata in modo sostanziale sul loro territorio. Il criterio adottato è quello del "best or well placed", per cui la competenza a trattare singoli casi è spetta all'Autorità che meglio può esercitare i poteri ispettivi ed intervenire per rimuovere la violazione.

Il funzionamento del Regolamento è stato sottoposto, tra il 2013 ed il 2014, ad una valutazione da parte della Commissione, a conclusione della quale è stato adottato il Documento "Dieci anni di applicazione delle norme antitrust ai sensi del regolamento (CE) n. 1/2003: risultati e prospettive future" COM (2014) 453. Nel documento, si osservava come - sebbene fosse stato raggiunto un livello consistente di convergenza nell'attuazione delle norme - permanessero delle divergenze in gran parte dovute a talune disparità nella posizione istituzionale delle ANC, nonché nelle procedure e nelle sanzioni nazionali, con la mancanza di poteri effettivi tali da permettere di infliggere ammende dissuasive e di realizzare il sistema di competenze "parallele" delle Autorità nell'ambito dell'ENC. Venivano inoltre osservati problemi per quanto riguarda la necessità di garantire risorse umane e finanziarie sufficienti alle predette Autorità. La Commissione ha dunque considerato necessario intervenire ulteriormente per migliorare l'applicazione delle norme in materia, consolidare la posizione istituzionale di indipendenza e imparzialità delle ANC e, al tempo stesso, garantire un'ulteriore convergenza delle procedure e delle sanzioni nazionali applicabili alle violazioni delle norme europee antitrust.

Su queste basi, è stata adottata la Direttiva 2019/1/UE cd. "Direttiva ECN Plus", le cui norme di recepimento sono contenute nel Decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 185.

Il decreto legislativo implementa dei poteri d'indagine e sanzionatori dell'Autorità. Vengono a tal fine apportate modifiche ed integrazioni al Capo II del Titolo I (articoli 12-15) della legge n. 287/1990, disponendosi che l’Autorità applica - anche parallelamente in relazione a uno stesso caso – sia la disciplina nazionale sul divieto di pratiche anticoncorrenziali (cartelli/intese orizzontali restrittive della concorrenza e abuso di posizione dominante) di cui agli articoli 2 e 3 della legge n. 287/1990, nonché quella europea, nel caso di pratiche anticoncorrenziali di carattere transfrontaliero, di cui agli articoli 101 e 102 TFUE, il cui richiamo viene ora esplicitato (articolo 1, co. 2-5 e articolo 2, co. 1).

Relativamente ai poteri di indagine, il decreto legislativo n. 185/2021 integra l'articolo 12 della l. n. 287/1990 e:

-       indica i tipi di prove ammissibili dinanzi all'Autorità: documenti, dichiarazioni orali, messaggi elettronici, registrazioni e tutti gli altri documenti contenenti informazioni, indipendentemente dalla loro forma e dal supporto su cui sono conservate (nuovo comma 1-bis nell'art. 12).

-       riconosce all'Autorità, in conformità all'art. 5, par. 5 della Direttiva, il potere di definire le proprie priorità di intervento. L'AGCM può non dare seguito alle segnalazioni che non rientrino tra le proprie priorità (nuovo comma 1-ter nell'art. 12).
Si rammenta che l’Autorità può già procedere, d'ufficio o su richiesta del MISE o del MEF, ad indagini conoscitive di natura generale nei settori economici nei quali l'evoluzione degli scambi, il comportamento dei prezzi, o altre circostanze facciano presumere che la concorrenza sia impedita, ristretta o falsata (art. 12, co. 2);

-       prevede che i procedimenti relativi alle infrazioni e l'esercizio dei poteri devono rispettare i principi generali del diritto dell'Unione europea e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (nuovo comma 1-quater nell'art. 12).

La disciplina inerente l'istruttoria dell'Autorità sui casi di presunta infrazione subisce rilevanti modifiche.

Il comma 3 dell'articolo 1 del decreto legislativo modifica e integra l'articolo 14 della legge n. 287/1990: in ogni momento dell’istruttoria, l’Autorità può richiedere informazioni e l’esibizione di documenti utili - a imprese, associazioni di imprese, persone fisiche o giuridiche - entro un termine ragionevole, da indicarsi nella richiesta stessa (modifica al comma 1 dell'art. 14). Le richieste di informazioni devono comunque essere proporzionate e non obbligano i destinatari ad ammettere l'infrazione (sostituzione del comma 2 dell'art. 14). Inoltre, l’AGCM, in ogni momento può convocare in audizione ogni rappresentante di un'impresa o di un'associazione di imprese, un rappresentante di altre persone giuridiche e ogni persona fisica in possesso di informazioni rilevanti ai fini dell'istruttoria.

Consistenti modifiche riguardano anche gli accertamenti ispettivi. Il potere dell'AGCM di disporre ispezioni viene riconosciuto in misura più pervasiva, in ogni momento dell'istruttoria. I funzionari incaricati dell'AGCM possono accedere a tutti i locali, terreni, mezzi di trasporto dei predetti soggetti, controllare i libri contabili e qualsiasi altro documento, fare o acquisire copie estratti, chiedere a qualsiasi rappresentante o membro del personale spiegazioni su fatti o documenti e verbalizzarne le risposte; nonché apporre sigilli a tutti i locali, libri e documenti, per la durata dell'accertamento e nella misura necessaria allo stesso (comma 2-quater dell’art. 14). Inoltre, l'AGCM può effettuare ispezioni fuori dei locali dell'impresa o delle associazioni di imprese, inclusa l'abitazione dei dirigenti, amministratori e altri membri del personale. In tal caso, i funzionari non possono apporre sigilli né chiedere informazioni e verbalizzare le risposte (comma 2-quinquies dell'art. 14) e l'accertamento ispettivo, può comunque essere eseguito solo se autorizzato con decreto motivato emesso dal procuratore della Repubblica del luogo ove deve svolgersi l'accesso. Avverso il decreto di diniego può essere proposta opposizione dall'AGCM, entro 10 giorni dalla notifica. L'atto di opposizione è presentato allo stesso procuratore ed è trasmesso, unitamente al decreto di diniego, al GIP ai sensi dell'art. 368 cpp. (comma 2-sexies dell'art. 14).

Nell'esercizio dell'attività ispettiva - sia quella presso che fuori la sede delle imprese - l'AGM può avvalersi della Guardia di finanza (come già avveniva) e di altri organi dello Stato.

Anche le sanzioni applicabili a chi rifiuta di collaborare agli accertamenti subiscono modifiche sostanziali. Si prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino all'1 per cento del fatturato totale realizzato a livello mondiale durante l'esercizio precedente se, dolosamente o per colpa:

a)   le imprese o le associazioni di imprese ostacolino l'ispezione presso di loro;

b)  sono stati infranti i sigilli, ferme le ulteriori sanzioni penali applicabili;

c)   in risposta ad una domanda nel corso di un'ispezione presso le imprese e le associazioni di imprese, queste non forniscano una risposta completa o forniscono informazioni inesatte o fuorvianti;

d)  in risposta ad una richiesta di informazioni, le imprese e le associazioni dì imprese forniscano informazioni inesatte, incomplete o fuorvianti oppure non forniscono le informazioni entro il termine stabilito;

e)   le imprese o le associazioni di imprese non si presentino all'audizione (comma 5 novellato dell'art. 14).

 

L'AGCM può applicare una penalità di mora fino al 5 per cento del fatturato medio giornaliero realizzato a livello mondiale durante l'esercizio sociale precedente per ogni giorno di ritardo dalla data fissata nella richiesta o nel provvedimento, per costringerle:

a)   a fornire informazioni complete ed esatte in risposta ad una richiesta di informazioni;

b)  a presentarsi all'audizione;

c)   a sottoporsi all'ispezione presso la loro sede (comma 6 novellato dell'art. 14).

 

Sanzioni amministrative pecuniarie - tra 150 e 25.823 euro - possono poi essere comminate dall'AGCM alle persone fisiche che, dolosamente o per colpa:

a) ostacolano l'accertamento ispettivo;

b) in risposta ad una richiesta di informazioni forniscono informazioni inesatte, incomplete o fuorvianti oppure non forniscono le informazioni entro il termine stabilito, salvo rifiuto motivato se le informazioni richieste possono far emergere la propria responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo o per un reato;

c) non si presentano all'audizione (comma 7 dell’art. 14).

 

Penalità di mora da 150 euro a 500 euro per ogni giorno di ritardo dalla data fissata nella richiesta o nel provvedimento, possono essere applicate dall'AGCM per costringere le persone fisiche a:

a)   fornire informazioni complete ed esatte in risposta a una richiesta, salvo il rifiuto motivato suddetto;

b)  presentarsi all'audizione;

c)   sottoporsi all'ispezione ordinata fuori dalla sede dell'impresa o dell'associazione delle imprese (ad. es. a presso l'abitazione degli amministratori).

 

Infine, si segnala l’introduzione di una ampia e articolata disciplina inerente i programmi di clemenza in caso di qualificata collaborazione dell'impresa nell'accertamento delle infrazioni (cd. leniency programmes). L'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo n. 185 inserisce tale nuova disciplina integrando la legge n. 287/1990 di sei nuovi articoli, da 15-bis a 15-septies. Si rinvia, per un’analisi delle norme in questione, al dossier predisposto sullo schema di decreto legislativo.


Articolo 29
(Rafforzamento del contrasto all’abuso di dipendenza economica)

 

 

L’articolo 29 modifica ed integra la disciplina dell’abuso di dipendenza economica nell’attività di subfornitura tra imprese, di cui all’articolo 9 della legge n. 192/1998, introducendo una presunzione relativa (iuris tantum) di dipendenza economica nelle relazioni commerciali con un’impresa che offre i servizi di intermediazione di una piattaforma digitale, allorché quest’ultima abbia un ruolo determinante per raggiungere utenti finali e/o fornitori, anche in termini di effetti di rete e/o di disponibilità dei dati.

 

Le modifiche, che riprendono in buona parte i rilievi dell’AGCM espressi nella Segnalazione al Governo del 22 marzo scorso,

La finalità delle modifiche è quella di rendere la normativa più appropriata rispetto alle caratteristiche dell’attività di intermediazione delle grandi piattaforme digitali.

 

L’articolo 9 della legge n. 192/1998 (“Disciplina della subfornitura nelle attività produttive”), al comma 1, vieta l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice.

La norma citata considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.

 

Segnatamente, l’articolo 29, alla lettera a), inserisce nell’articolo 9 della legge n. 192/1998 un nuovo comma 1-bis, il quale dispone che - salvo prova contraria, si presume la dipendenza economica nel caso in cui un’impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati.

 

Il medesimo articolo 29, alla lettera b), sostituisce il comma 2 dell’articolo 9, il quale indica – a titolo esemplificativo e non esaustivo – le pratiche in cui si può concretizzare l’abuso di posizione dominante.

L’attuale formulazione del comma 2 – che qui si propone di integrare – precisa che l'abuso può consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie.

La lettera b), conformemente a quanto sollecitato dall’AGCM, propone di integrare la predetta formulazione con un richiamo all’imposizione di condizioni anche retroattive, nonché all’applicazione di condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, al fornire informazioni o dati insufficienti in merito all’ambito o alla qualità del servizio fornito, alla richiesta di indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto dell’attività svolta.

 

Nella Segnalazione, l’AGCM aveva anche proposto di esplicitare in norma che possa costituire abuso il rifiuto dell’interoperabilità di prodotti e di servizi o della portabilità dei dati, limitando la concorrenza.

 

Art. 9 L. n. 192/1998
testo vigente

Art. 9 L. n. 192/1998
testo novellato dal DDL concorrenza

1. È vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.

 

 

1-bis. Salvo prova contraria, si presume la dipendenza economica nel caso in cui un’impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati

2. L'abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto.

2. L'abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, anche retroattive, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto, nell’applicazione di condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, nel fornire informazioni o dati insufficienti in merito all’ambito o alla qualità del servizio fornito, nella richiesta di indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto dell’attività svolta

3. Il patto attraverso il quale si realizzi l'abuso di dipendenza economica è nullo. Il giudice ordinario competente conosce delle azioni in materia di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni.

Identico

3-bis. Ferma restando l'eventuale applicazione dell'articolo 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato può, qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, anche su segnalazione di terzi ed a seguito dell'attivazione dei propri poteri di indagine ed esperimento dell'istruttoria, procedere alle diffide e sanzioni previste dall'articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti dell'impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso. In caso di violazione diffusa e reiterata della disciplina di cui al decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231, posta in essere ai danni delle imprese, con particolare riferimento a quelle piccole e medie, l'abuso si configura a prescindere dall'accertamento della dipendenza economica.

Identico

 


Articolo 30
(Procedura di transazione)

 

 

L’articolo 30 integra la legge n. 287/1990, introducendo la disciplina della transazione (cd. settlement) nei procedimenti amministrativi condotti dall’AGCM in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza e abuso di posizione dominante. L’Autorità può decidere in qualsiasi momento di cessare completamente le discussioni finalizzate all’accordo transattivo, qualora ritenga che ne sia comunque compromessa l'efficacia.

 

L’articolo 30 introduce nella legge n. 287/1990, un nuovo articolo 14-bis. Il nuovo articolo dispone, al comma 1, che l’Autorità, nel corso dell’istruttoria relativa a procedimenti in materia di intese restrittive della libertà di concorrenza e di abuso di posizione dominante, fino all’invio della comunicazione delle risultanze istruttorie, possa fissare un termine entro il quale le imprese interessate possono manifestare per iscritto la loro disponibilità a partecipare a discussioni in vista dell’eventuale presentazione di proposte di transazione.

Ai sensi del comma 2, l’AGCM può informare le parti che partecipano a discussioni di transazione circa:

· gli addebiti che intende muovere nei loro confronti e gli elementi probatori utilizzati a fondamento degli stessi;

· le versioni non riservate di qualsiasi documento accessibile del fascicolo, per consentire alla parte richiedente di accertare la sua posizione in merito a un periodo di tempo o a qualsiasi altro aspetto particolare del cartello;

· la forcella delle potenziali ammende.

Tali informazioni sono riservate verso i terzi, salvo che l’Autorità ne abbia esplicitamente autorizzato la divulgazione.

Ai sensi del comma 3, in caso di esito favorevole di tali discussioni, l’Autorità può fissare un termine entro il quale le imprese interessate possono presentare proposte transattive che rispecchino i risultati delle discussioni svolte e in cui riconoscano la propria partecipazione a un'infrazione di cui agli articoli 2 e 3 della legge n. 287/1990, ovvero agli articoli 101 e 102 TFUE, nonché la rispettiva responsabilità.

La procedura è dunque attivabile, sia nel caso di infrazioni di dimensione nazionale che nel caso di infrazioni di dimensione transfrontaliera con alterazione della concorrenza del mercato dell’UE.

Ai sensi del comma 4, l’Autorità può decidere in qualsiasi momento di cessare completamente le discussioni in vista di una transazione, anche rispetto a una o più parti specifiche, qualora ritenga che sia comunque compromessa l'efficacia della procedura. Prima che l’Autorità fissi un termine per la presentazione delle proposte di transazione, le parti interessate hanno il diritto di essere informate a tempo debito, su richiesta, degli addebiti e delle prove a fondamento degli stessi addebiti (di cui comma 2).

L’Autorità non è obbligata a tener conto di proposte di transazione ricevute dopo la scadenza del termine.

Infine, il comma 5 demanda all’AGCM la definizione, con proprio provvedimento generale, in linea con l’ordinamento dell’Unione europea, delle regole procedurali che disciplinano la presentazione e la valutazione delle proposte di transazione e l’entità della riduzione della sanzione da accordare in caso di completamento con successo della procedura.

La procedura qui in esame appare modellata sul settlement previsto nei procedimenti di competenza della Commissione europea per i casi di cartelli.

Si rinvia, sul punto, alla Comunicazione della Commissione concernente la transazione nei procedimenti per l'adozione di decisioni a norma dell'articolo 7 e dell'articolo 23 del regolamento (CE) n.1/2003 nei casi di cartelli (2008/C 167/01). La procedura di patteggiamento applicata dalla Commissione si applica solo alle indagini sui cartelli e prevede una riduzione della sanzione del 10%.

La procedura di transazione utilizzata dalla Commissione europea è finalizzata ad accelerare l'adozione di una decisione sul cartello. Le parti devono ammettere la loro partecipazione al comportamento anticoncorrenziale e raggiungere una "intesa comune" con la Commissione riguardo ai fatti e alla qualificazione giuridica della condotta. Le parti devono anche impegnarsi a rispettare l'importo massimo dell'ammenda che può essere loro imposta dalla Commissione nella decisione finale. In caso di successo della transazione, la parte riceve una riduzione del 10% dell’ammenda: l’AGCM, nella Segnalazione di marzo ha proposto di riportare in norma la citata percentuale di riduzione della sanzione. Nell’articolo in esame, si demanda invece l’entità della riduzione all’AGCM.

Nella procedura di transazione condotta dalla Commissione europea, le parti non hanno il diritto di chiedere di transigere, è la Commissione che può esplorare questa possibilità, se ritiene che il caso possa essere adatto alla transazione. Le parti non sono obbligate a partecipare a discussioni di transazione o alla fine a transigere. Se una parte si impegna in una procedura di transazione, ma poi la Commissione o la parte decide di interrompere le discussioni, la Commissione seguirà una procedura standard (normale). Una transazione ibrida si ha quando, nello stesso procedimento, la Commissione adotta una decisione contro le parti che seguono la procedura di transazione, mentre adotta una decisione contro le parti che hanno interrotto la procedura di transazione seguendo la procedura standard (normale).

La differenza tra la transazione e la clemenza (leniency) è che la transazione è uno strumento di efficienza procedurale, mentre la clemenza è uno strumento per raccogliere prove. Una richiesta di clemenza non è un prerequisito per una richiesta di transazione. Una parte che non ha fatto richiesta di clemenza può anche impegnarsi in una transazione.

Sui programmi di clemenza, recentemente introdotti nella legge n. 287/1990 dal decreto legislativo  8 novembre 2021, n. 185, di recepimento della Direttiva 2019/1/UE cd. “ECN Plus”, si rinvia al dossier predisposto sullo schema di decreto legislativo.

 

Relativamente alle sanzioni da comminare, nell’ipotesi in cui, all’esito dell’istruttoria, l’AGCM ravvisi un’infrazione (per intese restrittive della libertà di concorrenza e/o abuso di posizione dominante), soccorre l’articolo 15 della legge n. 287/1990, come da ultimo novellato dal citato decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 185. L’ articolo 15 dispone che:

·       l’Autorità fissa alle imprese e associazioni di imprese interessate il termine per l'eliminazione dell'infrazione ovvero, se l'infrazione è già cessata, ne vieta la reiterazione: fra due rimedi ugualmente efficaci, l'Autorità deve optare per quello meno oneroso per l'impresa, in linea con il principio di proporzionalità (comma 1);

·       tenuto conto della gravità e della durata dell'infrazione, l’Autorità dispone inoltre l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria fino al 10 per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o associazione di imprese nell'ultimo esercizio chiuso prima della diffida, determinando i termini entro i quali l'impresa deve pagare la sanzione (comma 1-bis)[66];

·       in caso di inottemperanza alla diffida, l'Autorità applica la sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato ovvero, nei casi in cui sia stata applicata la sanzione, di importo minimo non inferiore al doppio della sanzione già applicata con un limite massimo del dieci per cento del fatturato, determinando altresì il termine entro il quale il pagamento della sanzione deve essere effettuato (comma 2).

Nei casi di reiterata inottemperanza l'Autorità può disporre la sospensione dell'attività d'impresa fino a trenta giorni.

L'Autorità può irrogare alle imprese e associazioni di imprese penalità di mora fino al 5 per cento del fatturato medio giornaliero realizzato a livello mondiale durante l'esercizio sociale precedente per ogni giorno di ritardo a decorrere dalla data fissata nella decisione, al fine di costringerle a:

a) ottemperare alla diffida;

b) ottemperare alle misure cautelari;

c) rispettare gli impegni presi dalle imprese a far venire meno i profili anticoncorrenziali della loro attività[67].


Articolo 31
(Poteri istruttori dell’AGCM)

 

 

L’articolo 31 estende i poteri d’indagine dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. L’AGCM in ogni momento, dunque ora anche al di fuori di procedimenti istruttori, può richiedere, alle imprese o ad enti, informazioni e documenti utili, ai fini dell’applicazione della normativa, nazionale ed europea, che vieta le intese restrittive della libertà di concorrenza e l’abuso di posizione dominante e della normativa sulle operazioni di concentrazione. A tal fine, viene integrato l’articolo 12 e introdotto l’articolo 16-bis nella legge n. 287/1990.

 

L’intervento riprende proposte formulate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella Segnalazione (pp. 100 e 101) inviata al Governo il 22 marzo 2021, ai sensi dell’articolo 47, comma 2, legge n. 99/2009.

 

Segnatamente, il comma 1, lettera a) inserisce nell’articolo 12 della legge n. 287/1990 due nuovi commi 2-bis e 2-ter.

Il comma 2-bis consente all’AGCM in ogni momento di richiedere alle imprese o ad enti informazioni e documenti utili, ai fini dell’applicazione della normativa che vieta le intese restrittive della libertà di concorrenza e l’abuso di posizione dominante, di cui agli articoli 2 e 3 della legge n. 287/1990, e, per le pratiche anticoncorrenziali di carattere transfrontaliero, articoli 101 e 102 TFUE.

Ai sensi del comma 2-ter, coloro che si rifiutano o omettono di fornire le informazioni e i documenti richiesti, o forniscano informazioni e documenti non veritieri, senza giustificato motivo e salvo rifiuto motivato, qualora le informazioni richieste possano fare emergere la responsabilità della persona fisica destinataria della richiesta per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo o per un reato, sono sottoposti, con provvedimento dell’Autorità, alle medesime sanzioni amministrative pecuniarie, previste dall’articolo 14, comma 5, della legge n. 287/1990 per chi, nel corso dell’istruttoria, si rifiuta, omette o fornisce informazioni e documenti non veritieri. Sono salve le diverse sanzioni previste dall’ordinamento vigente.

 

Si valuti l’opportunità di verificare e coordinare la disciplina in esame con le recenti modifiche intervenute alla legge n. 287/1990 in materia di istruttoria e di sanzioni che l’AGCM può comminare nei confronti delle persone fisiche e giuridiche che si rifiutano di collaborare agli accertamenti ispettivi svolti dall’Autorità istruttoria circa l’esistenza di pratiche anticoncorrenziali.

La legge n. 287/1990 è stata integrata e modificata dal decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 185, di recepimento della Direttiva 2019/1/UE cd. "ECN Plus".

Ai fini del coordinamento, si richiama, in particolare l’articolo 14, commi da 1 a 2-octies e, per l’impianto sanzionatorio, commi 5-7 della legge n. 287/1990 come da ultimo novellata.

 

Si rinvia, per un’analisi delle norme in questione, al box in calce alla scheda relativa all’articolo 28.

 

Per evitare di prevedere una paradossale ipotesi di “informazioni non veritiere” fornite per un “giustificato motivo”, si valuti l’opportunità di riformulare la disposizione prevedendo che possano essere sottoposti alle sanzioni amministrative pecuniarie i soggetti che si rifiutano od omettono di fornire le informazioni o di esibire i documenti richiesti senza giustificato motivo e salvo rifiuto motivato, ovvero forniscono informazioni od esibiscono documenti non veritieri, qualora le informazioni richieste possano fare emergere la responsabilità della persona fisica destinataria della richiesta per un illecito passibile di sanzioni  amministrative di carattere punitivo o per un reato.

 

 

Art. 12 L. n. 287/1990
testo vigente

Art. 12 L. n. 287/1990
testo novellato dal DDL concorrenza

1. L'Autorità, valutati gli elementi comunque in suo possesso e quelli portati a sua conoscenza da pubbliche amministrazioni o da chiunque vi abbia interesse, ivi comprese le associazioni rappresentative dei consumatori, procede ad istruttoria per verificare l'esistenza di infrazioni ai divieti stabiliti negli articoli 2 e 3.

 

2. L'Autorità può, inoltre, procedere, d'ufficio o su richiesta del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato o del Ministro delle partecipazioni statali, ad indagini conoscitive di natura generale nei settori economici nei quali l'evoluzione degli scambi, il comportamento dei prezzi, o altre circostanze facciano presumere che la concorrenza sia impedita, ristretta o falsata.

 

 

2-bis. Ai fini dell’applicazione degli articoli 2 e 3 della presente legge, nonché per l’applicazione degli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea l’Autorità può in ogni momento richiedere a imprese e a enti che ne siano in possesso, di fornire informazioni e di esibire documenti utili.

 

2-ter. Con provvedimento dell’Autorità, i soggetti ai quali è richiesto di fornire o esibire gli elementi di cui al comma 2-bis sono sottoposti alle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’articolo 14, comma 5, se rifiutano od omettono, di fornire le informazioni o di esibire i documenti richiesti ovvero se forniscono informazioni od esibiscono documenti non veritieri, senza giustificato motivo e salvo rifiuto motivato qualora le informazioni richieste possano fare emergere la responsabilità della persona fisica destinataria della richiesta per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo o per un reato. Sono salve le diverse sanzioni previste dall’ordinamento vigente.

 

Il comma 1, lettera b), inserisce un nuovo articolo 16-bis nella legge n. 287/1990, il quale, al comma 1, consente all’Autorità garante della concorrenza e del mercato in ogni momento – dunque, anche al di fuori di procedimenti istruttori - di richiedere alle imprese o ad enti informazioni e documenti utili, ai fini dell’esercizio dei poteri in materia di divieto delle operazioni di concentrazione.

Ai sensi del comma 2 del nuovo articolo 16-bis, coloro che si rifiutano o omettono di fornire le informazioni e i documenti richiesti, o forniscano informazioni e documenti non veritieri, senza giustificato motivo e salvo rifiuto motivato, qualora le informazioni richieste possano fare emergere la responsabilità della persona fisica destinataria della richiesta per un illecito passibile di sanzioni amministrative di carattere punitivo o per un reato, sono sottoposti, con provvedimento dell’Autorità, alle medesime sanzioni amministrative pecuniarie, previste dall’articolo 14, comma 5 della legge n. 287/1990 per chi, nel corso dell’istruttoria, si rifiuta, omette o fornisce informazioni e documenti non veritieri. Sono salve le diverse sanzioni previste dall’ordinamento vigente.


Articolo 32
(Procedure di selezione dei presidenti e dei componenti delle Autorità amministrative indipendenti)

 

 

L’articolo 32 detta disposizioni comuni sul procedimento di nomina dei membri delle autorità amministrative indipendenti. In particolare, si prevede l’istituzione di una Commissione tecnica, per ciascuna autorità e per ciascuna nomina, chiamata a selezionare le candidature a presidente e componente delle authorities, nell’ambito delle quali i soggetti competenti alla nomina potranno procedere alla designazione. È fatta salva l’autonomia di Camera e Senato e dei rispettivi Presidenti nel disciplinare le procedure di nomina di rispettiva competenza.

 

La disciplina che s’introduce riguarda, per espressa previsione del comma 1, i componenti delle autorità alle quali si applicano le disposizioni di semplificazione e trasparenza di cui all’art. 22 del D.L. 90/2014 (conv. L. 114/2014), ossia:

·       Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm, 1990);

·       Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob, 1974);

·       Autorità di regolazione dei trasporti (2013);

·       Autorità per di regolazione per energia reti e ambiente (Arera, 1995);

·       Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom, 1997);

·       Garante per la protezione dei dati personali (1996);

·       Autorità nazionale anticorruzione (Anac, 2009);

·       Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP, 1993);

·       Commissione di garanzia per l'attuazione della legge sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali (1990).

 

Si ricorda in proposito che l’art. 22 del D.L. 90/2014 (conv. L. 114/2014) ha dettato alcune misure comuni alle citate autorità, in materia di incompatibilità, reclutamento e trattamento economico del personale, gestione dei servizi strumentali, acquisti di beni e servizi, ubicazione delle sedi, anche al fine di raggiungere risparmi di spesa.

 

La proposta introduce una fase preliminare nella selezione delle candidature a componente di ciascuna authority, con la finalità, sottolineata nella relazione illustrativa, di rafforzarne l’expertise e l’indipendenza. Tale fase comune si innesta nelle diverse procedure di nomina delle singole autorità indipendenti riepilogate nella tabella in calce alla scheda di lettura, alla quale si rinvia.

In dettaglio, il comma 1 stabilisce che ciascun soggetto competente per la nomina delle richiamate autorità istituisce una Commissione tecnica per la selezione delle candidature a presidente e componente delle authorities.

Ai sensi del comma 2 tale Commissione si compone di cinque membri scelti tra personalità di indiscussa indipendenza, moralità ed elevata qualificazione professionale “nei settori di rispettiva competenza”, nel rispetto del principio della parità di genere.

Il comma 5 specifica altresì che la partecipazione alla Commissione è svolta a titolo gratuito e che ai membri non spetta alcun compenso, indennità, gettone di presenza, rimborso spese o emolumento comunque denominato.

 

Quanto all’ambito di applicazione della fase preliminare che si intende introdurre, l’articolo in esame reca, al comma 1, una clausola di salvaguardia nei confronti delle Camere del Parlamento, nonché dei loro Presidenti, stabilendo che essi provvedono, nell’ambito della loro autonomia costituzionale, a disciplinare le procedure di nomina di rispettiva competenza.

 

In proposito si ricorda che i Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica sono titolari del potere di nomina di tutti i componenti dell’Autorità garante del mercato e della concorrenza (Agcm) e della Commissione di garanzia per il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali.

A loro volta, le Assemblee di Camera e Senato sono competenti alla nomina di 4 commissari dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e dei 4 componenti dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali (in entrambi i casi due componenti per ciascun ramo del Parlamento).

Si ricorda infine che per tutte le altre Autorità di nomina governativa, è prevista l’espressione di un parere favorevole da parte delle Commissioni parlamentari competenti.

Al fine di individuare un iter più aperto e trasparente per la nomina dei vertici delle autorità indipendenti, a partire dal 2018 le Camere hanno strutturato una nuova procedura per le nomine di propria competenza, basata sull’avviso pubblico per le manifestazioni di interesse per le nomine a componente di autorità, da inviare con tutta la documentazione necessaria ai titolari del potere di nomina. Questa procedura è stata attivata dapprima per la nomina del Presidente dell’Agcm e, successivamente, per la nomina dei membri di Agcm, Garante privacy e Commissione di garanzia della legge sull’attuazione del diritto di sciopero.

 

Il comma 3 assegna alla Commissione tecnica il compito di:

ü  verificare la sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa vigente in relazione alla nomina dei componenti di ciascuna Autorità. Tali requisiti sono stabiliti dalle singole norme di settore e riepilogati nella tabella in calce. La disposizione specifica che tale verifica può avvenire “anche sulla base delle manifestazioni di disponibilità ricevute, a seguito di un avviso pubblico”, dai soggetti competenti alla nomina;

ü  trasmettere ai soggetti competenti alla nomina una lista di almeno quattro candidati per ciascun membro da nominare, dotati di “comprovata competenza ed esperienza” nel settore in cui opera l’Autorità, oltre che di “notoria indipendenza e di indiscussa moralità”, nel rispetto del principio della parità di genere. A tal fine, la Commissione può procedere ad audizioni dei candidati.

 

In base al vigente quadro normativo, solo in due casi (ANAC e Autorità di regolazione dei trasporti) le leggi istitutive richiamano esplicitamente il rispetto dell’equilibrio di genere nella scelta dei componenti dell’Autorità. Attualmente, sul totale dei componenti delle Autorità, 9 sono donne (24%); nessuna delle Autorità elencate nell’art. 22 del D.L. 90/2014 è al momento presieduta da una donna.

 

Al fine di consentire il perfezionamento della procedura di nomina non oltre tre mesi antecedenti alla data della scadenza del mandato del presidente o del componente in carica, l’istituzione della Commissione e la trasmissione della lista di cui al primo periodo deve avvenire con congruo anticipo.

 

Come esplicitato al comma 4 i soggetti competenti nominano il presidente e i componenti tra i candidati individuati nella lista trasmessa dalla Commissione. Inoltre la stessa disposizione specifica che restano ferme le specifiche disposizioni di legge che disciplinano le competenze per la nomina dei membri di ciascuna Autorità (per le quali, si rinvia, infra, alla tabella di riepilogo).

Da ultimo, il comma 6, con una disposizione di salvaguardia, chiarisce che la nuova normativa non incide sui mandati in corso, stabilendo che i presidenti e i componenti delle Autorità che risultano in carica alla data di entrata in vigore della legge proseguono nelle funzioni fino al termine del loro mandato.

 

 

Autorità

Modalità di nomina

Requisiti

Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM)

 

 

3 membri

 

7 anni (non confermabili)

Il presidente e i due membri sono nominati con determinazione adottata d'intesa dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica

 

articolo 10, co. 2 e 3, L. 10 ottobre 1990, n. 287

Il presidente è scelto tra persone di notoria indipendenza che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilievo. I membri sono scelti tra persone di notoria indipendenza da individuarsi tra magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti o della Corte di cassazione, professori universitari ordinari di materie economiche o giuridiche, e personalità provenienti da settori economici dotate di alta e riconosciuta professionalità.

Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB)

 

 

5 membri

 

7 anni (non confermabili)

Il Presidente e i quattro membri sono nominati con d.P.R. su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia

 

articolo 1, co. 3, D.L. 8 aprile 1974, n. 95 (conv, L. 216/1974)
articolo 47-quater, D.L. 31 dicembre 2007, n. 248 (conv. L. 31 /2008)

 

Il presidente e i membri sono scelti tra persone di specifica e comprovata competenza ed esperienza e di indiscussa moralità e indipendenza.

Autorità di regolazione dei trasporti

(ART)

 

 

3 membri

 

7 anni (non confermabili)

I componenti sono nominati, nel rispetto dell'equilibrio di genere, con d.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro competente e con il parere favorevole di almeno due terzi dei componenti delle competenti Commissioni parlamentari

 

articolo 37, co. 1-bis e 1-ter, D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (conv. L. 214/2011)

I componenti sono scelti tra persone di indiscussa moralità e indipendenza e di comprovata professionalità e competenza nei settori in cui opera l'Autorità.

Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente (ARERA)

 

 

5 membri

 

7 anni (non confermabili)

I componenti sono nominati con d.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro dello sviluppo economico, d'intesa con il Ministro dell'ambiente e con il parere favorevole di almeno due terzi dei componenti delle competenti Commissioni parlamentari Le medesime Commissioni possono procedere all'audizione delle persone designate.

 

articolo 2, co. 7 e 8, L. 14 novembre 1995, n. 481
articolo 1, co. 528, L. 27 dicembre 2017, n. 205

I componenti sono scelti fra persone dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore.

Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM)

 

 

5 membri

 

7 anni (non confermabili

Il Presidente è nominato con d.P.R. su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, d'intesa con il Ministro dello sviluppo economico e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari a maggioranza dei due terzi dei componenti. Il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati eleggono due Commissari ciascuno, i quali vengono nominati con d.P.R.

 

articolo 1, comma 3, L. 31 luglio 1997, n. 249
articolo 2, comma 7, legge n. 481/1995

I componenti sono scelti fra persone dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore.

Autorità garante per la protezione dei dati personali (Garante)

 

 

4 membri

 

7 anni (non confermabili)

I componenti sono eletti due dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica con voto limitato. I componenti eleggono nel loro ambito un presidente.

I componenti devono essere eletti tra coloro che presentano la propria candidatura nell'ambito di una procedura di selezione il cui avviso deve essere pubblicato nei siti internet della Camera, del Senato e del Garante almeno sessanta giorni prima della nomina. Le candidature devono pervenire almeno trenta giorni prima della nomina e i curricula devono essere pubblicati negli stessi siti internet.

 

articolo 153, comma 1, D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196

Le candidature possono essere avanzate da persone che assicurino indipendenza e che risultino di comprovata esperienza nel settore della protezione dei dati personali, con particolare riferimento alle discipline giuridiche o dell'informatica.

Autorità nazionale anticorruzione (ANAC)

 

 

5 membri

 

6 anni (non confermabili)

Il presidente e i componenti sono nominati, tenuto conto del principio delle pari opportunità di genere, con d.P.R., previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, previo parere favorevole delle Commissioni parlamentari competenti espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti. Il presidente è nominato su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro della giustizia e il Ministro dell'interno; i componenti sono nominati su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione.

 

articolo 13, co. 3, D.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150

I componenti sono scelti tra esperti di elevata professionalità, anche estranei all'amministrazione, con comprovate competenze in Italia e all'estero, sia nel settore pubblico che in quello privato, di notoria indipendenza e comprovata esperienza in materia di contrasto alla corruzione. Non possono essere scelti tra persone che rivestono incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano rivestito tali incarichi e cariche nei tre anni precedenti la nomina e, in ogni caso, non devono avere interessi di qualsiasi natura in conflitto con le funzioni dell'Autorità.

Commissione di vigilanza sui fondi pensione (COVIP)

 

 

3 membri

 

7 anni (non confermabili)

I componenti sono nominati con d.P.R. che segue a una deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia.

 

articolo 18, co. 3, D.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252

I componenti sono scelti tra persone dotate di riconosciuta competenza e specifica professionalità nelle materie di pertinenza della stessa e di indiscussa moralità e indipendenza.

Commissione di garanzia per il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali

 

 

5 membri

 

6 anni (non confermabili)

 

I componenti sono nominati con d.P.R. su designazione dei Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. I componenti eleggono nel loro ambito un presidente.

 

articolo 12, comma 2, L. 12 giugno 1990, n. 146

I componenti sono scelti tra esperti in materia di diritto costituzionale, di diritto del lavoro e di relazioni industriali.

 

 

 

Le modalità di nomina dei componenti delle Autorità indipendenti, sulla base delle singole norme istitutive, sono tra loro differenti.

In alcuni casi, la nomina è rimessa ai Presidenti delle Camere. Ad esempio, sono nominati con determinazione adottata d’intesa dai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica i componenti dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato – AGCM. Sono designati dai Presidenti delle Assemblee parlamentari e nominati con decreto del Presidente della Repubblica i componenti della Commissione di garanzia sull'esercizio del diritto di sciopero – CGS.

In altri casi è prevista l’elezione da parte dei due rami del Parlamento (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni – AGCom), anche utilizzando il sistema del voto limitato (Garante per la protezione dei dati personali).

Vi sono poi altre modalità di nomina per le quali la scelta dei componenti è rimessa al Governo e che vedono l'intervento parlamentare limitato al parere delle Commissioni competenti: è il caso del presidente dell’AGCom (su cui però è previsto il parere parlamentare a maggioranza qualificata) e dei membri della Consob, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, adottato previa deliberazione del Consiglio stesso, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri ovvero dei Ministri competenti, sentite le commissioni parlamentari competenti.

È più forte il coinvolgimento del Parlamento nelle ipotesi (Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente - ARERA, Autorità nazionale anticorruzione - ANAC, Autorità dei trasporti e Presidente dell’AGCom) in cui la nomina è vincolata al parere favorevole delle Commissioni parlamentari competenti, espresso a maggioranza qualificata (in genere, pari ai due terzi dei componenti).

 

Per quanto riguarda le autorità di più recente istituzione, l'Autorità dei trasporti è un organo collegiale composto da un presidente e due componenti, nominati con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente. Le designazioni effettuate dal Governo sono previamente sottoposte al parere vincolante delle competenti Commissioni parlamentari, da esprimersi con maggioranza dei due terzi.

L'Autorità nazionale anticorruzione è organo collegiale composto dal presidente e da quattro componenti scelti tra esperti di elevata professionalità, anche estranei all'amministrazione, con comprovate competenze in Italia e all'estero, sia nel settore pubblico che in quello privato, di notoria indipendenza e comprovata esperienza in materia di contrasto alla corruzione, di management e misurazione della performance, nonché di gestione e valutazione del personale (si cfr. art. 13, co. 3, D.lgs. n. 150/2009, come modificato da art. 5, co. 5, D.L. 101/2013). Il presidente non è scelto tra i componenti della Commissione, ma direttamente individuato in sede di nomina.

Il presidente e i componenti sono nominati, tenuto conto del principio delle pari opportunità di genere, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, previo parere favorevole delle Commissioni parlamentari competenti espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti.

Il potere di proposta per la nomina con d.P.R. dei componenti viene differenziato: infatti, il presidente è nominato su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con il Ministro della giustizia e il Ministro dell'interno; i componenti sono nominati su proposta del solo Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. Il presidente e i componenti dell'Autorità non possono essere scelti tra persone che rivestono incarichi pubblici elettivi o cariche in partiti politici o in organizzazioni sindacali o che abbiano rivestito tali incarichi e cariche nei tre anni precedenti la nomina e, in ogni caso, non devono avere interessi di qualsiasi natura in conflitto con le funzioni dell'Autorità. I componenti sono nominati per un periodo di sei anni e non possono essere confermati nella carica.

 

Nell'ambito di un’indagine conoscitiva svolta dalla I Commissione della Camera dei deputati sulle autorità indipendenti (nella XVI legislatura) il tema dei criteri di nomina è stato ampiamente affrontato in quanto le garanzie che assistono tali processi condizionano l'indipendenza delle autorità stesse. In merito, è affiorata da più parti l’esigenza di individuare un criterio unico di nomina dei componenti, con la finalità di rafforzare i caratteri di autonomia e indipendenza.

In sede di indagine c'è stata larga condivisione del fatto che costituisca un buon presidio dell'indipendenza la previsione di processi di nomina degli organi di vertice delle Autorità che non affidino la scelta al solo apparato governativo, ma prevedano l'intervento di altre qualificate istituzioni o, comunque, la manifestazione di un ampio consenso parlamentare.

Nell'individuare possibili soluzioni unitarie, sono stati sottolineati i vantaggi della procedura di nomina adottata per le autorità di ultima generazione (ARERA, Presidente AGCom, ANAC), che, prevedendo il parere vincolante delle commissioni parlamentari a maggioranza qualificata, accentua i controlli in sede parlamentare e promuove la ricerca di soluzioni condivise tra maggioranza e opposizioni.

 

 



[1]     Circa la disciplina vigente in materia di servizi pubblici locali, si rinvia al quadro di sintesi in calce alla presente scheda di lettura.

[2]     Si veda in proposito il Dossier dei Servizi studi di Senato e Camera n.339 "Testo unico dei servizi pubblici locali di interesse economico generale", giugno 2016.

[3]      In proposito, il Consiglio di Stato, nel parere reso sul provvedimento in data 3 maggio 2016, ha asserito che lo stesso "si presenta come una base di normazione organica e stabile, in grado di rendere immediatamente intellegibile alle amministrazioni ed agli operatori del settore le regole applicabili in materia e di assicurare una gestione più efficiente dei servizi pubblici locali di interesse economico generale a vantaggio degli utenti del servizio, degli operatori economici e degli stessi enti locali. Le criticità da superare sono, infatti, quelle relative: a) alla non adeguata qualità del servizio reso in rapporto alle risorse pubbliche investite; b) alla presenza di ostacoli alla concorrenza; c) all’assenza di adeguati strumenti di regolazione; d) ad un tessuto normativo non sufficiente e disorganico; e) alla mancanza di congrui strumenti di tutela a favore degli utenti".

[4]     Per approfondimenti si veda la Nota breve del Servizio studi del Senato "La sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2016 sulla legge n. 124 del 2015 di delega per la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche" n.140 del dicembre 2016.

[5]     In tale articolo, rubricato "Soglie di rilevanza comunitaria e metodi di calcolo del valore stimato degli appalti" si individuano specifiche soglie di rilevanza comunitaria - peraltro periodicamente rideterminate con provvedimento della Commissione europea - distinte a seconda che si tratti di: i) appalti pubblici di lavori e concessioni; ii) appalti pubblici di forniture, di servizi, nonché concorsi pubblici di progettazione aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici che sono autorità governative centrali (indicate nell'allegato III); gli appalti pubblici di forniture, di servizi e per i concorsi pubblici di progettazione aggiudicati da amministrazioni aggiudicatrici sub-centrali; appalti di servizi sociali e di altri servizi specifici elencati all'allegato IX alla medesima direttiva.

[6]     Si tratta delle seguenti attività: a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi; b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'articolo 193 del decreto legislativo n. 50 del 2016; c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato di cui all'articolo 180 del decreto legislativo n. 50 del 2016, con un imprenditore (selezionato con le modalità di cui all'articolo 17, commi 1 e 2); d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento; e) servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici.

[7]     Fra le attività demandate a tale Autorità in materia, si segnala che presso di essa è istituito l’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house, ai sensi dell'art. 192 del d.lgs. n. 50/2016.

[8]     Ai sensi di detta disposizione "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà".

[9]     Tali richiami sono contenuti anche nella sent. n.131 del 2020, che si richiama a seguire. In tale decisione si stabilisce altresì la norma costituzionale individua "un ambito di organizzazione delle «libertà sociali» (sentenze n. 185 del 2018 e n. 300 del 2003) non riconducibile né allo Stato, né al mercato, ma a quelle «forme di solidarietà» che, in quanto espressive di una relazione di reciprocità, devono essere ricomprese «tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, riconosciuti, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal Costituente» (sentenza n. 309 del 2013)".

[10]   Per approfondimenti si rinvia alla nota breve a cura del Servizio studi del Senato "La sentenza della Corte costituzionale n. 251 del 2016 sulla legge n. 124 del 2015 di delega per la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche", dicembre 2016.

[11]   Come già segnalato in precedenza, in calce alla presente scheda si propone un testo a fronte dei principi e criteri direttivi dettati dall'articolo in esame e quelli di cui all'art.19, comma 1, della legge n.124 del 2015.

[12]   Ai sensi di tale disposizione, si impone che gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del decreto non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea siano adeguati entro il 31 dicembre 2013. Per gli affidamenti in cui non è prevista una data di scadenza, gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserire nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto un termine di scadenza dell'affidamento, prescrivendo, comunque, che il mancato adempimento degli obblighi previsti determina la cessazione dell'affidamento alla data del 31 dicembre 2013. In deroga a quanto previsto dalla disposizione originaria, nel corso della XVII legislatura è stata disposta la proroga della durata degli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del D.L. n. 179/2012 (18 ottobre 2012) fino al subentro del nuovo gestore e comunque non oltre il 31 dicembre 2014 (art. 13, co. 1, D.L. n. 150/2013, conv. dalla L. n. 15/2014). Inoltre, si è stabilito che la mancata deliberazione dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014 comporta l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Prefetto competente per territorio, le cui spese sono a carico dell'ente inadempiente, che provvede agli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014. Il mancato rispetto del termine comporta la cessazione degli affidamenti non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea alla data del 31 dicembre 2014.

[13]    Tra i più recenti, v. lo studio di Mediobanca sugli Indicatori di efficienza e qualità delle local utilities operanti nei 10 maggiori comuni italiani (2019).

      Con decreto del Ministro pro tempore Paola De Micheli in data 4 gennaio 2021, è stata poi istituita una commissione di studio per il TPL (presieduta dal prof. Bernardo Mattarella) che ha terminato i suoi lavori nel mese di settembre 2021. La Relazione finale è stata quindi trasmessa dall’attuale Ministro, Enrico Giovannini, alle Camere.

      Elementi sulla tematica generale dei rapporti tra impresa, mercato unico europeo e diritto alla mobilità emergono anche a proposito della continuità territoriale delle isole maggiori. Al riguardo, la nozione di “onere di servizio pubblico” propone quesiti sostanzialmente analoghi a quelli del TPL: sul punto v. il contenuto dell’audizione del presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar di Sardegna, Massimo Deiana, nella Commissione Trasporti della Camera, il 14 novembre 2021 (v. minuti da 30 in poi).

[14]    Si ricorda, per esempio, che per il comune di Roma (consiliatura 2016-2021) si è svolto un referendum consultivo - ai sensi dell’art. 8 del tuel e dell’art. 10 dello statuto del comune di Roma (Roma Capitale) - sulla messa a gara pubblica del servizio di trasporto pubblico (c.d. privatizzazione dell’ATAC). La consultazione si è tenuta l’11 novembre 2018 ma non è stata ritenuta valida, poiché vi ha partecipato solo il 16,4 per cento degli aventi diritto (inferiore al 33 per cento richiesto dal citato art. 10 dello statuto, al comma 2, secondo periodo). Successivamente, Roma Capitale ha riassegnato, con affidamento diretto, il servizio all’ATAC e il TAR Lazio (RM), sez. II, 3 febbraio 2020, n. 1408, ha dichiarato inammissibile il ricorso del comitato promotore del referendum – volto a impugnare tale affidamento diretto - in ragione della sopravvenuta carenza di legittimazione attiva (proprio in virtù dell’esaurimento della procedura referendaria). 

 

[15]   Nel testo del Codice dell'ambiente (D.lgs. 152/2006) previgente alle modifiche operate dal d.lgs. 116/2020, erano considerati rifiuti urbani non solo quelli domestici, anche ingombranti, provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione, ma anche “i rifiuti non pericolosi provenienti da locali e luoghi adibiti ad usi diversi da quelli di cui alla lettera a), assimilati ai rifiuti urbani per qualità e quantità…”. Nel medesimo testo previgente, il comma 10 dell’art. 238 si limitava a disporre che “alla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi”.

      Il nuovo testo del Codice, come modificato dal d.lgs. 116/2020, prevede che tra i rifiuti urbani rientrano “i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell'allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell'allegato L-quinquies” (art. 183, comma 1, lettera b-ter), punto 2)).

      In virtù di tale ridefinizione, il nuovo testo del comma 10 dell’art. 238 (come riscritto dall’art. 3, comma 12, del d.lgs. 116/2020) dispone, tra l’altro, che le utenze non domestiche che producono rifiuti urbani di cui all'articolo 183 comma 1, lettera b-ter) punto 2 (cioè, nei fatti, in via approssimativa, quelli che nel testo previgente del Codice erano indicati come rifiuti assimilati) che li conferiscono al di fuori del servizio pubblico e dimostrano di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi sono escluse dalla corresponsione della componente tariffaria rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti.

[16]   Si ricorda che l’art. 30, comma 5, del D.L. 41/2021 dispone che la scelta delle utenze non domestiche di cui all'articolo 238, comma 10, del Codice, deve essere comunicata al comune, o al gestore del servizio rifiuti in caso di tariffa corrispettiva, entro il 30 giugno di ciascun anno, con effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo. Solo per l'anno 2021 la scelta deve essere comunicata entro il 31 maggio con effetto dal 1° gennaio 2022.

[17]   Novella relativa all’articolo 8-quater del D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni.

[18]   Tale norma è posta, nel testo vigente, dal comma 7 del citato articolo 8-quater del D.lgs. n. 502; la norma specifica che l'eventuale verifica negativa comporta la sospensione automatica dell'accreditamento temporaneamente concesso.

[19]   Novella relativa all’articolo 8-quinquies del citato D.lgs. n. 502, e successive modificazioni.

[20]   Anche tale novella concerne il citato articolo 8-quinquies del D.lgs. n. 502.

[21]   Ai sensi del comma 2-quinquies del citato articolo 8-quinquies del D.lgs. n. 502.

[22]   Si ricorda che l’accreditamento istituzionale è subordinato, a sua volta, al rilascio dell’autorizzazione, la quale concerne la realizzazione di strutture e l'esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie (il regime di autorizzazione è disciplinato dall’articolo 8-ter del citato D.lgs. n. 502, e successive modificazioni).

[23]   Tale novella concerne l’articolo 41, comma 6, del D.lgs. 14 marzo 2013, n. 33, e successive modificazioni.

[24]   Il citato articolo 41, comma 6, del D.lgs. n. 33 del 2013 fa infatti riferimento ai soggetti summenzionati che eroghino prestazioni per conto del Servizio sanitario nazionale; tale locuzione equivale alla fattispecie suddetta di erogazione di prestazioni con accreditamento istituzionale (cfr. l’articolo 8-bis, comma 3, del citato D.lgs. n. 502).

[25]   Segnalazione concernente varie questioni, "al fine della predisposizione del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza".

[26]   Riguardo a tale fase procedurale, cfr. il comma 3 del citato articolo 8-ter del D.lgs. n. 502.

[27]   La novella è relativa all’articolo 105 del D.lgs. 24 aprile 2006, n. 219, e successive modificazioni.

[28]   Riguardo alla nozione di medicinale generico, cfr. l’articolo 10 del citato D.lgs. n. 219 del 2006.

[29]   Regime di cui all’articolo 18 del citato D.lgs. n. 219 del 2006.

[30]   Riguardo al profilo territoriale della suddetta autorizzazione, cfr. l’articolo 100, comma 1, e l’articolo 102 del citato D.lgs. n. 219, e successive modificazioni.

[31]   Riguardo alla nozione di autorità competente per il rilascio dell’autorizzazione suddetta, cfr. il citato articolo 100, comma 1, del D.lgs. n. 219.

[32]   Ai sensi del comma 1, alinea e lettera a), del citato articolo 105 del D.lgs. n. 219, e successive modificazioni.

[33]   Segnalazione concernente varie questioni, "al fine della predisposizione del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza".

[34]   Di cui all’articolo 11, comma 1-bis, del D.L. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 novembre 2012, n. 189.

[35]   Segnalazione concernente varie questioni, "al fine della predisposizione del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza".

[36]   L’articolo 16 in esame novella parzialmente l’articolo 12 del D.L. 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 novembre 2012, n. 189, e successive modificazioni.

[37]   La norma fa riferimento alla nozione di farmaci orfani di cui al regolamento (UE) n. 141/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1999. Si ricorda che i criteri posti da tale nozione (di cui all’articolo 3, paragrafo 1, del suddetto regolamento europeo) sono esplicitamente mutuati da parte dell’articolo 3 della L. 10 novembre 2021, n. 175.

[38]   L’Anatomical Therapeutic Chemical Classification System (ATC), tradotto in italiano come Sistema di classificazione Anatomico Terapeutico e Chimico, è il sistema di codifica utilizzato per la classificazione sistematica dei farmaci ed è curato dal Centro Collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità WHO Collaborating Centre for Drug Statistics Methodology. La versione italiana è curata dal DURG?Italia - centro di riferimento per il sistema ATC/DDD -, un’associazione scientifica che è affiliata all’European Drug Utilization Research Group (EURO DURG) e che dal 1995 cura un archivio dei farmaci in commercio in Italia con ATC e DDD (Defined Daily Dose).

[39]   Le relazioni suddette sono reperibili nell’A.S. n. 2469.

[40]   Segnalazione concernente varie questioni, "al fine della predisposizione del disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza".

[41] Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati.

[42]   Il programma di autosufficienza nazionale del sangue e dei suoi derivati è stato adottato, per l'anno 2008, con D.M. 11 aprile 2008, per l'anno 2009, con D.M. 17 novembre 2009 per l'anno 2010, con D.M. 20 gennaio 2011 per l'anno 2011, con D.M. 7 ottobre 2011 per l'anno 2012, con D.M. 4 settembre 2012  per l'anno 2013, con D.M. 29 ottobre 2013  per l'anno 2014, con D.M. 24 settembre 2014  per l'anno 2015, con D.M. 20 maggio 2015  per l'anno 2016, con D.M. 28 giugno 2016 per l'anno 2017, con D.M. 20 luglio 2017 per l'anno 2018, con D.M. 8 agosto 2018 per l'anno 2019, con D.M. 31 luglio 2019 per l'anno 2020, con D.M. 24 luglio 2020 e, per l'anno 2021, con D.M. 27 luglio 2021.

[43]   Decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, “Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano”.

[44] DM 12 aprile 2012. Modalità transitorie per l'immissione in commercio dei medicinali emoderivati prodotti dal plasma umano raccolto sul territorio nazionale.

 

[45]   La novella in esame concerne l’articolo 15 del D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni.

[46]   Cfr. l’articolo 15-quinquies, comma 6, del citato D.lgs. n. 502 del 1992.

[47]   Per il conferimento degli incarichi di direttore di dipartimento, cfr. l’articolo 17-bis del citato D.lgs. n. 502 del 1992, nonché, per il dipartimento di prevenzione, l’articolo 7-quater, comma 1, dello stesso D.lgs. n. 502, e successive modificazioni.

[48]   Come detto, la novella specifica che i criteri di attribuzione del punteggio devono essere stabiliti preventivamente.

[49]   Cfr. il comma 7-ter del citato articolo 15 del D.lgs. n. 502 del 1992.

[50]   Restano comunque fermi gli obblighi di trasparenza già previsti in capo alla P.A. dal D.lgs. n. 33 del 2013.

[51]   Cit. Considerando n. 43 della direttiva 2006/123/CE.

[52]   Ciò significa, in particolare, che l'imposizione di un'autorizzazione preventiva è ammissibile soltanto nei casi in cui un controllo a posteriori non sarebbe efficace a causa dell'impossibilità di constatare a posteriori le carenze dei servizi interessati, tenuto conto dei rischi e dei pericoli che potrebbero risultare dall'assenza di tale controllo a priori. Cit. Considerando n. 54 della direttiva 2006/123/CE.

[53]   Cit. Considerando n. 43 della direttiva 2006/123/CE.

[54]   La direttiva servizi ha ricevuto altresì attuazione (la formulazione testuale della norma reca “adempimento”) con l’articolo 38 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133/2008, il quale, sotto la rubrica “impresa in un giorno” ha attribuito al Governo il potere di procedere, per via regolamentare, anche attraverso interventi di delegificazione alla semplificazione e al riordino della disciplina dello sportello unico per le attività produttive (SUAP), già istituito e normato dal D.P.R. n. 447/1998. In attuazione dell’articolo 38 del decreto-legge n. 112/2008, nonché dell’articolo 25 del citato decreto legislativo n. 59/2010 e del citato decreto legislativo n. 235/2010, è stato emanato il D.P.R. 7 settembre 2010 n. 160, recante il “Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive”.

      La disciplina in questione è stata poi oggetto di modifiche ed integrazioni, sempre nell’ottica di introdurre ulteriori semplificazioni per le imprese, con i decreti legislativi attuativi della Legge cd. “Madia” (legge n. 124/2015).

[55]   La definizione è utilizzata nel parere reso dal Consiglio di Stato (parere n. 1784/2016 del 04/08/2016) sullo schema di decreto legislativo cd. “Scia 2” (adottato poi con decreto legislativo n. 222/2016).

[56]   Un'amministrazione pubblica efficiente e una regolazione semplice e trasparente costituiscono una pre-condizione essenziale per lo sviluppo competitivo dell'economia italiana in termini d'innovazione e di crescita. Ciò è stato ribadito più volte dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, da ultimo nella Segnalazione di marzo 2021, unitamente alla necessità di ridurre gli oneri burocratici che rappresentano un significativo ostacolo all'attività di impresa e creano barriere all'apertura dei mercati.

[57]   cfr. anche Esame Approfondito (IDR) per l'Italia sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici, pubblicato dalla Commissione UE il 2 giugno 2021a norma dell'articolo 5 del regolamento (UE) n. 1176/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio.

[58]   Il PNRR italiano è stato approvato con Decisione di esecuzione del Consiglio, che ha recepito la proposta della Commissione europea. Si rinvia al relativo tema dell’attività parlamentare.

[59]   Si rammenta a questo proposito che il decreto legislativo 5 novembre 2016, n. 222 (cd. SCIA 2), in esecuzione della delega contenuta nell’articolo 5 della L. n. 124/2015, ha provveduto alla “mappatura” e alla individuazione delle attività oggetto di procedimento di mera comunicazione o segnalazione certificata di inizio attività o di silenzio assenso, nonché quelle per le quali è necessario il titolo espresso (articolo 1) e ha introdotto le conseguenti disposizioni normative di coordinamento.

      In particolare, il decreto riporta nella tabella A allegata la ricognizione delle attività e dei procedimenti nei settori del commercio e delle attività assimilabili, dell'edilizia e dell'ambiente (per un totale di 246 attività). Per ciascun procedimento o attività, la tabella indica il regime amministrativo applicabile (autorizzazione, silenzio assenso, SCIA, SCIA unica, SCIA condizionata, comunicazione) l'eventuale concentrazione dei regimi e i riferimenti normativi (articolo 2).

[60]   In relazione a: 1) attività esercitata;2) cessazione attività; 3) modifica denominazione impresa individuale; 4) modifica ragione sociale; 5) riattivazione attività; 6) sospensione attività; 7) modifica della sede legale; 8) modifica della sede operativa; g) domanda di iscrizione, variazione e cessazione di impresa agricola ai fini INPS; h) domanda di iscrizione, variazione e cessazione di impresa artigiana nell'albo delle imprese artigiane.

[61]   I valori sono incrementati ogni anno di un ammontare equivalente all'aumento dell'indice del deflatore dei prezzi del prodotto interno lordo (articolo 16, comma 1).

[62] Le modifiche al calcolo del fatturato rilevante ai fini dell’obbligo di operazioni di concentrazione da parte di banche ed istituti finanziari, hanno trovato la loro ragion d’essere nella considerazione, in sede europea, che tale variabile non rappresenta correttamente la dimensione delle imprese coinvolte.

[63]   La Corte di Giustizia, con sentenza del 21 febbraio1973 (causa 6/72, caso “Continental Can”) ha affermato che le concentrazioni che rafforzano una preesistente posizione dominante sono coperte dal disposto dell'art.86 (ora102 TFUE). Tra le righe, si afferma come la Commissione europea (parte convenuta) fosse d'accordo nel ritenere che l'art. 86 del trattato non offrisse il fondamento necessario per intervenire con efficacia en in anticipo in un processo di concentrazione.

      La Corte di Giustizia, nella sentenza del 17 novembre1987 (cause 142 e 156/84, Caso “Philip Morris”) ha affermato che : “l’acquisizione di una partecipazione al capitale di un concorrente, sebbene non costituisca di per se un comportamento restrittivo della concorrenza, può peraltro costituire un mezzo idoneo per influire sul comportamento commerciale delle imprese in questione, in modo da restringere o falsare la concorrenza sul mercato in cui operano dette imprese. Ciò avverrebbe in particolare se, mediante l'acquisto della partecipazione o mediante clausole accessorie dell'accordo, l'impresa che investe ottiene il controllo di diritto o di fatto del comportamento commerciale dell'altra impresa o se l'accordo contempla la collaborazione commerciale fra le imprese o crea strutture atte ad agevolare tale collaborazione”. La Corte ha dunque ammesso l’applicabilità dell’art.85 (ora 101 TFUE) per sanzionare forme di concentrazioni tra imprese.

[64]   Cfr, Corte di Giustizia, sentenza del 21 febbraio1973 cit. nota precedente.

[65]   Il nuovo test rappresenterebbe, secondo alcuni commenti dottrinali, un compromesso tra il test utilizzato nel sistema statunitense (SLC), imperniato sulla riduzione sostanziale della concorrenza, e il test di dominanza.

[66]   Se l'infrazione commessa da un'associazione di imprese riguarda le attività dei suoi membri, la sanzione amministrativa pecuniaria è fino al 10 per cento della somma dei fatturati totali a livello mondiale realizzati nell'ultimo esercizio chiuso prima della diffida di ciascun membro operante sul mercato interessato dall'infrazione. Tuttavia, la responsabilità finanziaria di ciascuna impresa non può superare il 10 per cento del fatturato da essa realizzato nell'ultimo esercizio chiuso prima della diffida. Quando l'associazione non è solvibile, essa è tenuta a richiedere ai propri membri contributi a concorrenza dell'importo della sanzione. Se i contributi non sono stati versati integralmente all'associazione di imprese entro il termine fissato, l'Autorità può esigere il pagamento della sanzione direttamente da qualsiasi impresa i cui rappresentanti erano membri degli organi decisionali dell'associazione quando quest'ultima ha assunto la decisione che ha costituito l'infrazione.
Se necessario per garantire il pagamento integrale della sanzione, dopo aver richiesto il pagamento a queste imprese, l'Autorità può anche esigere il pagamento dell'importo della sanzione ancora dovuto da qualsiasi membro dell'associazione che operava sul mercato nel quale si è verificata l'infrazione. Tuttavia, il pagamento non si può chiedere alle imprese che dimostrano che non hanno attuato la decisione dell'associazione che ha costituito l'infrazione e che o non ne erano a conoscenza, o si sono attivamente dissociate prima dell'inizio dell'indagine (comma 1-bis e 1-ter).

[67]   Si rinvia a Delibera AGCM 22 ottobre 2014, n.25152 - Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dall’Autorità in applicazione dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90. Circa i minimi edittali fissati dall’AGCM, cfr. sentenza C. Cost. sentenza  28 luglio 2020, n. 171.