Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Attività Produttive
Titolo: Istituzione e disciplina delle zone del commercio nei centri storici
Riferimenti: AC N.1072/XVIII AC N.3036/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 469
Data: 28/07/2021
Organi della Camera: X Attività produttive


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Istituzione e disciplina delle zone del commercio nei centri storici

28 luglio 2021
Schede di lettura


Indice

Contenuto|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Le leggi regionali|Il regolamento del Comune di Roma|


Contenuto

Le proposte di legge n. 1072 e 3036 intendono introdurre una disciplina nazionale di tutela delle attività commerciali che si svolgono nei centri storici, al fine di preservare la tradizione e la continuità culturale dei luoghi.

In particolare, le proposte lamentano la perdita dei caratteri tradizionali dei centri storici, in particolare di quelli a vocazione commerciale.

A tal fine, viene evocato anche il rischio di una perdita dell'attrattività turistica dei centri storici, che verrebbero snaturati dalla incontrastata penetrazione delle attività dei grandi gruppi industriali, finanziari e commerciali, spesso stranieri, con la marginalizzazione e l'espulsione delle piccole imprese commerciali tradizionali.

Le proposte di legge si inseriscono in un quadro normativo e giurisprudenziale in cui gli interventi volti alla liberalizzazione del settore del commercio non sembrano ancora aver trovato una sistemazione e un consolidato contemperamento con altri valori, connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali.

Si tenga peraltro presente che ai fini della ripartizione di competenze legislative, la tutela della concorrenza spetta allo Stato, mentre la disciplina del commercio è rimessa alle regioni. L'equilibrio tra i due livelli normativi è oggetto di illustrazione nei paragrafi che seguono.

La proposta di legge Molinari ed altri n. 1072 introduce un regime di autorizzazione per l'esercizio delle attività commerciali ubicate in zone all'interno dei centri storici, a garanzia degli obiettivi di interesse generale di tutela dell'ambiente e dei consumatori, dell'ordine pubblico, della sicurezza e dell'incolumità pubblica, della sanità pubblica e della conservazione del patrimonio nazionale storico, artistico e culturale.

Ai sensi dell'articolo 2, spetta ai comuni predisporre un elenco di zone ubicate all'interno dei centri storici nelle quali l'insediamento, l'apertura, l'ampliamento di superficie, il mutamento di settore merceologico, il trasferimento di sede e il subingresso degli esercizi commerciali sono soggetti al rilascio di un'autorizzazione da parte dello sportello unico per le attività produttive.

L'articolo 3 – ai fini della predisposizione dell'elenco di cui all'articolo precedente – chiarisce che esso deve tendere alla salvaguardia della sostenibilità territoriale e ambientale, attraverso iniziative di riqualificazione del tessuto commerciale, allo sviluppo del commercio tradizionale attraverso il rafforzamento e la diffusione degli esercizi di vicinato, ai fini di una maggiore tutela del consumatore; alla tutela del consumatore è finalizzata anche la creazione di una rete del commercio orientata alla qualificazione dei consumi, alla trasparenza delle informazioni e alla sicurezza dei prodotti e allo sviluppo, come la valorizzazione di attività commerciali di particolare valore storico e artistico.

L'articolo 4 reca una misura di incentivazione economica, istituendo presso il Ministero dello sviluppo economico un Fondo, con una dotazione di 300 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2019, 2020 e 2021 (ovviamente andrebbero riconsiderati gli esercizi finanziari indicati) per la riqualificazione e il potenziamento delle attività commerciali all'interno dei comuni con popolazione inferiore 5.000 abitanti.

 

La proposta di legge Spena ed altri n. 3036 qualifica negozi o bottega storici le attività di produzione, somministrazione o vendita al dettaglio nello stesso settore merceologico esercitate nello stesso locale per almeno cinquanta anni, nei centri storici e aventi una superficie di vendita non superiore a 2.500 metri quadrati.

Per la definizione dei centri storici la proposta fa ricorso alla lettera A) dell'articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, che definisce "zone territoriali omogenee" le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale.

Se le attività commerciali appena ricordate vengono esercitate da almeno tre generazioni consecutive da una medesima famiglia, si può ottenere la qualifica di negozi e botteghe storici «di eccellenza». Le regioni possono richiedere il possesso di ulteriori caratteristiche ai fini dell'attribuzione della qualifica di negozio o bottega storici.

L'articolo 2 prevede l'istituzione degli albi regionali e comunali dei negozi e delle botteghe storici e di eccellenza.

L'articolo 3 prevede il diritto di prelazione all'acquisto degli immobili dove tali attività sono insediate a favore dei titolari delle attività stesse. Il comma 2 prevede che negozi e botteghe storici, compresi quelli di eccellenza, siano classificati come beni culturali, su richiesta degli interessati.

L'articolo 4 modifica l'articolo 31 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, nella parte in cui stabilisce la soppressione del rispetto di distanze minime obbligatorie tra attività commerciali appartenenti alla medesima tipologia di esercizio, al dichiarato fine di tutelare i negozi di vicinato dei centri storici dall'invadenza del commercio ambulante e dal proliferare dei negozi etnici.

L'articolo 5 istituisce presso il Ministero dello sviluppo economico l'Albo nazionale dei negozi e botteghe storici e di eccellenza.

Il comma 2 reca una delega al Governo per l'adozione di un decreto legislativo che individui i contenuti e le caratteristiche dell'Albo nazionale, prevedendo specifiche agevolazioni normative e fiscali o quote riservate di fondi o finanziamenti già esistenti a favore dei negozi e delle botteghe iscritti all'Albo nazionale.


Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

La Costituzione, dopo la riforma del Titolo V, affianca alla libertà di iniziativa economica (articolo 41) il concetto di tutela della concorrenza (articolo 117), che costituisce materia in cui lo Stato ha competenza legislativa esclusiva.

A sua volta, in base allo stesso articolo 117, la competenza in materia di commercio è affidata in via residuale alle regioni.

Nella legislazione più recente, si registra una notevole difficoltà nel trovare il punto di equilibrio tra le affermazioni volte a rafforzare il principio di libertà economica e la tutela di altri interessi pubblici, che limitano tale trincipio. Per una migliore comprensione delle radici di tale difficoltà, è opportuna anche una breve illustrazione della disciplina dell'Unione europea e di alcune sentenze della Corte costituzionale, ai cui paragrafi si fa pertanto rinvio.  

Storicamente, si ricorda che la legge di pubblica sicurezza 30 giugno 1889, n. 6144, si limitava a richiedere la licenza dell'autorità di pubblica sicurezza per le rivendite di alcolici, non prevedendo altre forme di programmazione o limitazione delle attività commerciali.
Questa logica viene ribaltata con il Regio decreto legge 16 dicembre 1926, n. 2174, che subordinava il rilascio della licenza comunale anche alla valutazione sulla sufficienza "degli spacci già esistenti ... tenuto conto dello sviluppo edilizio, della densità della popolazione, dell'ubicazione dei mercati rionali" (art. 3).
Negli anni 70 è stata approvata la legge 11 giugno 1971, n. 426, che all'articolo 46 ha abrogato il citato regio decreto e che ha posto in relazione il procedimento di rilascio dell'autorizzazione commerciale con quello di predisposizione del c.d. piano del commercio, che doveva tener conto delle previsioni urbanistiche. L'avvio di una attività commerciale era sottoposta al duplice limite della programmazione economica e della pianificazione urbanistica.

Questo impianto è stato riformato con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (cosiddetto decreto Bersani, richiamato in senso critico nella relazione della proposta di legge n. 1072). Il decreto legislativo introduce il principio della liberalizzazione delle attività commerciali, ma richiede una notevole attività attuativa delle regioni. In ogni caso, il decreto ha abrogato i piani del commercio, ha soppresso il Registro Esercenti il Commercio (REC) e ha sostituito il sistema delle tabelle merceologiche con la semplice distinzione fra settore alimentare e non alimentare, oltre a semplificare il procedimento autorizzatorio.

Come anticipato, alla completa affermazione dei principi liberalizzatori avrebbe dovuto concorrere l'azione delle regioni e degli enti locali, posto che spetta alle Regioni la definizione degli "indirizzi generali per l'insediamento delle attività commerciali" e dei "criteri di programmazione urbanistica riferiti al settore commerciale", mentre i comuni avrebbero dovuto recepire tali indirizzi negli strumenti urbanistici comunali.

L'intento di rafforzare i principi liberalizzatori della materia da parte della legislazione statale è stato posto in essere con il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223.  Sulla base della tutela della concorrenza, sono stati eliminati diversi limiti all'esercizio delle attività commerciali (iscrizioni in registri abilitanti, soglie per l'assortimento merceologico, rispetto di quote di mercato predefinite, divieti di vendite promozionali).

Successivamente, il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, ha stabilito che "l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge", mentre l'articolo 31 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, statuisce che "secondo la disciplina dell'Unione Europea e nazionale in materia di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi, costituisce principio generale dell'ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro il 30 settembre 2012, potendo prevedere al riguardo, senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali solo qualora vi sia la necessità di garantire la tutela della salute, dei lavoratori, dell'ambiente, ivi incluso l'ambiente urbano, e dei beni culturali".

Da ultimo, si ricorda che il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, ha disposto l'abrogazione di tutte le disposizioni di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente contenuto economico che pongono limiti, programmi e controlli non ragionevoli, ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche dichiarate".

Per completezza, si sottolinea che negli ultimi anni, a seguito della crisi pandemica, sono state introdotte norme di ristoro economico in favore degli esercizi commerciali dei centri storici.

Così:

  • il decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104 (articolo 59) prevedeva contributi a fondo perduto a favore delle imprese e delle attività commerciali localizzate nei centri storici di comuni capoluogo di provincia e di città metropolitana a forte vocazione turistica. Il contributo, nel dettaglio, è stato riconosciuto ai soggetti esercenti attività di impresa di vendita di beni o servizi al pubblico, svolta nelle zone A o equipollenti (dunque, centri storici) dei comuni capoluogo di provincia o di città metropolitana e dei comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti ove sono situati santuari religiosi che abbiano registrato consistenti presenze turistiche di cittadini residenti in paesi esteri. Il contributo è stato riconosciuto a condizione che l'ammontare del fatturato e dei corrispettivi realizzati nelle zone A dei comuni riferito al mese di giugno 2020, sia inferiore ai due terzi dell'ammontare del fatturato e dei corrispettivi realizzati nel corrispondente mese del 2019. Per le modalità di èreentazione della domanda, vedi il provvedimento del 12 novembre 2020 dell'Agenzia delle entrate ;
  • il decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (articolo 26) prevede l'istituzione di un fondo, per l'anno 2021, da destinare al sostegno delle categorie economiche particolarmente colpite dall'emergenza da COVID-19, ivi incluse le imprese esercenti attività commerciale o di ristorazione operanti nei centri storici e le imprese operanti nel settore dei matrimoni e degli eventi privati.

La disciplina dell'Unione europea

L'impostazione liberalizzatrice che ha trovato espressione nel decreto-legge n. 1 del 2012 trova spiegazione nell'evoluzione della disciplina dell'Unione europea.

In particolare si fa riferimento (anche nella relazione della proposta di legge n. 1072) alla direttiva c.d. Bolkestein (2006/123/CE), detta anche direttiva servizi (per una più compiuta illustrazione, si rinvia al dossier di documentazione sulla semplificazione degli adempimenti amministrativi per le attività produttive), volta – con norma di carattere generale - a eliminare – tramite l'intervento del legislatore nazionale - i regimi di autorizzazione non necessari, anche quando essi avessero la forma del silenzio assenso o della dichiarazione di inizio attività.

Similmente a quanto afferma il decreto-legge n. 1 del 2012, la direttiva prevede che la permanenza di un regime di autorizzazione deve essere giustificata in base a un motivo imperativo di interesse generale e, comunque, rispettare i principi di non discriminazione e proporzionalità.

Inoltre, la direttiva esclude che le autorizzazioni possano essere collegate a valutazioni della domanda di mercato o dell'adeguatezza dell'attività rispetto agli obiettivi di programmazione economica stabiliti dall'autorità competente.

La direttiva Bolkestein è stata recepita con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.

La relazione alla proposta di legge n. 1072 sottolinea peraltro che il legislatore può adottare misure di regolamentazione per l'esercizio di un'attività di servizio di fronte a un «motivo imperativo di interesse generale» di cui il legislatore comunitario, all'articolo 4 della medesima direttiva 2006/123/CE, dà una definizione nella quale rientrano l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica e la tutela dell'ambiente urbano.

In questo senso, si rileva che il Consiglio di Stato, con la sentenza 14 gennaio 2019, n. 298, ha ritenuto che una legge regionale volta a contemperare la libertà di iniziativa economica con valori quali la garanzia della sostenibilità economica, sociale, territoriale ed ambientale del sistema commerciale; la compatibilità della localizzazione degli interventi commerciali all'interno dei centri storici e urbani; l'incentivazione del risparmio di suolo, nonché il rafforzamento del servizio di prossimità e del pluralismo delle forme distributive, rientra nei principi della Direttiva Bolkestein, "atteso che l'intervento normativo è stato incentrato proprio sul principio di libertà dell'esercizio dell'attività commerciale che, come è noto, non è illimitata, ma deve essere posta in equilibrio con altri principi e valori di pari rango se non superiore (tutela dell'ambiente, lotta al degrado urbano, divieto di consumo di nuovo suolo, quando è possibile un'alternativa)".


La giurisprudenza costituzionale

Il tema della conciliazione tra tutela della concorrenza e tutela dei valori della salute, dell'ambiente e dei beni culturali ha provocato diversi ricorsi alla Corte costituzionale, che è quindi ripetutamente intervenuta.

Si ricordano alcune pronunce più rilevanti, riferite all'attuale riparto di competenze legislative. 

La sentenza 20 luglio 2012 n. 200, premesso che "il principio della liberalizzazione prelude a una razionalizzazione della regolazione, che elimini, da un lato, gli ostacoli al libero esercizio dell'attività economica che si rivelino inutili o sproporzionati e, dall'altro, mantenga le normative necessarie a garantire che le dinamiche economiche non si svolgano in contrasto con l'utilità sociale", ha chiarito che "appare corretto inquadrare il principio di liberalizzazione delle attività economiche nell'ambito della competenza statale in materia di tutela della concorrenza".

La sentenza 23 gennaio 2013, n. 8, ha sottolineato che "il principio di liberalizzazione delle attività economiche - adeguatamente temperato dalle esigenze di tutela di altri beni di valore costituzionale - si rivolge tanto al governo centrale (...) quanto a Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni (...), perché solo con la convergenza dell'azione di tutti i soggetti pubblici esso può conseguire risultati apprezzabili".

La sentenza 14 aprile 2014, n. 104, ha – tra l'altro - dichiarato costituzionalmente illegittima una disposizione di una legge regionale della Val d'Aosta che poneva il divieto di apertura e trasferimento di sede nei centri storici per le grandi strutture di vendita. Se è vero che l'articolo 31 del decreto-legge n. 201 del 2011 consente di introdurre limiti alla apertura di nuovi esercizi commerciali per ragioni di tutela dell'ambiente, «ivi incluso l'ambiente urbano», riconoscendo alle Regioni la possibilità di prevedere anche aree interdette agli esercizi commerciali, è altresì vero che la disposizione statale stabilisce che ciò debba avvenire senza discriminazioni tra gli operatori nel rispetto dei principi di stretta necessità e proporzionalità della limitazione. Un divieto assoluto pertanto costituisce una indebita limitazione alla libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali, andando ad incidere direttamente sull'accesso degli operatori economici al mercato.

La sentenza 11 giugno 2014, n. 165, infine, ha conferito alla tutela della concorrenza un ruolo privilegiato, sottolineando che "l'eventuale esigenza di contemperare la liberalizzazione del commercio con quelle di una maggiore tutela della salute, del lavoro, dell'ambiente e dei beni culturali deve essere intesa sempre in senso sistematico, complessivo e non frazionato (...), tenendo conto che la tutela della concorrenza, attesa la sua natura trasversale, assume carattere prevalente e funge, quindi, da limite alla disciplina che le Regioni possono dettare in forza della competenza in materia di commercio (...) o in altre materie".


Le leggi regionali

La tutela dei negozi storici è oggetto di diversi interventi regionali, citati anche nella relazione alla proposta di legge n. 3036.

La regione Lombardia riconosce negozi, locali e botteghe storiche caratterizzate dalla continuità nel tempo, per almeno 40 anni, della gestione, dell'insegna e della merceologia offerta, e da altri fattori, quali la collocazione in strutture di pregio e la conservazione di arredi e attrezzature storici (vedi legge regionale 2 febbraio 2010, n. 6, articoli 148-bis e 148-ter , introdotti nel 2019), prevedendo contributi per tutelare i negozi nel ricambio generazionale, nella riqualificazione dei locali di svolgimento dell'attività, nel restauro e conservazione delle strutture di particolare interesse storico, culturale, artistico e architettonico, nell'attività di innovazione.

La regione Emilia-Romagna definisce "Bottega storica" e "Mercato storico" le attività commerciali che continuano da almeno cinquanta anni continuativi (legge regionale 10 marzo 2008, n. 5 "Promozione e valorizzazione delle botteghe storiche).

La regione Campania considera negozi a rilevanza storica le attività commerciali che si svolgono da almeno cinquant'anni nella medesima struttura e dello stesso genere merceologico (legge regionale 10 marzo 2014, n. 11 "Valorizzazione dei locali, dei negozi, delle botteghe d'arte e degli antichi mestieri a rilevanza storica e delle imprese storiche ultracentenarie").

La regione Veneto promuove la valorizzazione e il sostegno delle attività commerciali con valore storico e artistico, il cui esercizio costituisce testimonianza dell'identità commerciale delle aree urbane di antica formazione (articolo 11 legge regionale 28 dicembre 2012, n. 50). In attuazione di tale disposizione, la delibera della Giunta regionale 13 maggio 2014, n. 696, ha istituito l'elenco regionale dei luoghi storici del commercio, nel quale vengono iscritte le attività commerciali aperte al pubblico da almeno 40 anni. A queste attività sono destinate risorse finanziarie (vedi delibera della Giunta regionale 19 maggio 2020, n. 617, che disciplina l'assegnazione di contributi per 2 milioni di euro volti a finanziare interventi per la messa in sicurezza degli ambienti di lavoro in connessione alle disposizioni normative in materia di emergenza da COVID-19, l'acquisto di software, hardware, brevetti, licenze per innovare il sistema distributivo attraverso sistemi digitali, l'acquisto di cicli, ciclomotori e motocicli elettrici per un utilizzo strettamente correlato alla tipologia di attività esercitata, in sostanza per la consegna a domicilio).

La regione Lazio considera locali, botteghe e attività storici quelli caratterizzati da valore storico-artistico e architettonico destinati ad attività commerciali ed artigianali e di pubblico esercizio svolte continuativamente anche da soggetti diversi e in modo documentabile da almeno cinquanta anni (legge regionale 10 agosto 2016, n. 12, ripresa dal testo unico sul commercio di cui alla legge regionale 6 novembre 2019, n. 22). Risulta attualmente all'esame del Consiglio regionale la proposta di legge n. 267 del 30 dicembre 2020, concernente: "Disciplina per la tutela e la valorizzazione delle botteghe storiche", che intende tutelare i locali storici, i locali e le botteghe connotati da valore storico-artistico e architettonico, destinati ad attività di commercio, somministrazione, artigianato, artistiche o miste, compresi cinema, teatri, librerie e cartolibrerie, svolte continuativamente anche da soggetti diversi e in modo documentabile da almeno settanta anni, con la possibilità, da parte dei comuni, di ridurre i canoni di locazione o gli altri oneri sugli immobili di loro proprietà

La regione Umbria considera negozi storici le attività commerciali svolte da almeno cinquanta anni continuativi che costituiscono testimonianza della storia, dell'arte, della cultura e della tradizione imprenditoriale locale e che si svolgono in locali o aree aventi valore storico, artistico, architettonico ed ambientale (legge regionale 13 giugno 2014, n. 10 "Testo unico in materia di commercio", articolo 21)

La regione Abruzzo qualifica storiche le attività' commerciali se svolte da almeno quaranta anni continuativi nello stesso locale o nella stessa area pubblica (legge regionale 31 luglio 2018, n. 23 "Testo unico in materia di commercio", articolo 66).

 

La regione Marche promuove la conservazione e la valorizzazione dei pubblici esercizi in attività da almeno quaranta anni (legge regionale 4 aprile 2011, n. 5 "Interventi regionali per il sostegno e la promozione dei locali storici"). La legge si riferisce in particolare a osterie, locande, taverne, bar e spacci di campagna.


Il regolamento del Comune di Roma

La relazione alla proposta di legge n. 3036 cita un intervento a tutela delle attività commerciali storiche nel comune di Roma, con riferimento alla deliberazione 21 luglio 1997, n. 139, recante «Misure di tutela per i negozi storici di Roma».

Va precisato che alla delibera citata si è affiancata la delibera dell'Assemblea capitolina (DAC) 17 aprile 2018, n. 47 ("Regolamento per l'esercizio delle attività commerciali e artigianali nel territorio della Città Storica"), che prevede tre ambiti territoriali caratterizzati da diversa disciplina, al fine di "conciliare le esigenze di sviluppo del tessuto economico della Società Storica con quelle di tutela del decoro nelle aree di maggior pregio, alcune delle quali attualmente caratterizzate da un diffuso degrado dovuto anche alla scarsa qualità offerta dalle attività commerciali e artigianali della tipologia alimentare". In particolare, "si passa da un ambito più ampio - Città Storica (…) - caratterizzato da disposizioni specifiche ma non troppo limitative, ad un ambito intermedio - Città Storica (…) - con una regolamentazione più rigida - e ad uno più ristretto - Sito Unesco e Rioni che ricadono anche parzialmente nello stesso - ove sono previste prescrizioni ancor più stringenti, volte a garantire la qualità dell'offerta nel settore alimentare, e comprensive dei divieti di nuove aperture in tale settore a causa del superamento delle soglie di saturazione".

Nella Città storica è consentita (art.4) l'apertura di esercizi di vicinato, alimentari e non, e di laboratori artigianali; non sono previste attività "tutelate" o "vietate".

All'interno della Città Storica, le attività commerciali sono classificate in "tutelate" (individuate dall'art. 8 e condotte in via esclusiva, ovvero condotte in locali destinati esclusivamente all'esercizio di detta ed unica attività, per le quali è sancita una speciale regolamentazione inerente la chiusura e l'attivazione successiva di nuovi esercizi) e "vietate" (art. 11), che vanno – a titolo di esempio - dal commercio all'ingrosso alle sale giochi, dall'autolavaggio ai sexy shop.

Nell'area del sito Unesco, è consentita solo l'apertura di attività tutelate (e cioè di una delle attività di cui all'articolo 8 condotte in via esclusiva), di cui si forniscono alcuni esempi: vendita settore alimentare a condizione che non venga effettuato il consumo sul posto; laboratori artigiani (ad esclusione delle attività di carrozzeria e autofficina), erboristeria, vendita di libri, anche abbinati a prodotti audiovisivi e a strumenti musicali, vendita esclusiva di articoli di cancelleria e di libri, vendita di articoli religiosi e arredi sacri, vendita di oggetti di antiquariato, galleria d'arte, attività di filatelia e numismatica, vendita di articoli per disegno, vendita di giocattoli, vendita di fiori e piante, gioielleria,  "Negozi Storici" (si tratta degli esercizi commerciali, i pubblici esercizi, le parti di qualità e di particolare pregio nelle strutture alberghiere e le imprese artigianali che hanno svolto per più di cinquant'anni nello stesso locale, ovvero in uno analogo per posizione e significato storico-ambientale, un'attività di vendita al dettaglio e produzione e vendita al dettaglio inerente lo stesso genere merceologico), vendita di prodotti di alta moda o di prêt à porter, vendita di elementi di arredo, articoli da regalo, vendita di tessuti, filati e passamaneria, vendita specializzata di articoli di ferramenta esercitata in via esclusiva, profumeria, vendita di prodotti provvisti esclusivamente del marchio di certificazione di commercio equo e solidale, ciclofficina, vendita di prodotti ecologici e biologici, parafarmacia.

Il regolamento è stato oggetto di vari ricorsi, ma la giurisprudenza amministrativa (vedi T.A.R. Lazio Roma, sentenza 3 maggio 2019, n. 5581) sembra ferma nel ritenere, anche sulla scorta dei principi elaborati dalla Corte Costituzionale, che la potestà normativa dell'Ente locale, a seguito della introduzione della disciplina sulle liberalizzazioni conserva la possibilità di introdurre specifiche limitazioni all'apertura, al trasferimento ed all'esercizio di attività commerciali, quando ciò sia necessario a tutela di particolari esigenze di protezione di caratteristiche locali di natura sanitaria, artistica, culturale ed urbanistica come quelle che, nel caso di specie, caratterizzano notoriamente il Centro storico della città di Roma ed il sito Unesco, quando ciò sia giustificato dall'esistenza di motivi imperativi di interesse generale.