Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Esercizio dell'attività di avvocato svolta in regime di monocommittenza
Riferimenti: AC N.428/XVIII AC N.2722/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 524
Data: 20/12/2021
Organi della Camera: II Giustizia


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Esercizio dell'attività di avvocato svolta in regime di monocommittenza

20 dicembre 2021
Schede di lettura


Indice

Quadro normativo|Contenuto delle proposte di legge|


Le proposte di legge C. 428 (Gribaudo) e C. 2272 (D'Orso) sono volte a disciplinare la collaborazione professionale esclusiva (c.d. monocommittenza), ossia quella che un avvocato presta nei confronti di un unico studio legale, indipendentemente dal fatto che si tratti di una società tra avvocati, di una associazione professionale o di uno studio che fa capo ad un singolo avvocato. La proposta C. 428 è in primo luogo volta a rimuovere l'incompatibilità tra l'esercizio della professione di avvocato in monocommittenza e lo svolgimento di lavoro subordinato o parasubordinato, demandando poi al Ministro del lavoro e delle politiche sociali la disciplina, con propri decreti, della definizione dei parametri attraverso i quali determinare la natura della monocommittenza come lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo. La proposta C. 2272 regolamenta invece, direttamente e con un approccio organico, il contratto di monocommttenza,  quale collaborazione professionale dell'avvocato, non  configurabile quale lavoro subordinato e del quale vengono disciplinati altresì gli aspetti previdenziali, fiscali e assicurativi.

Quadro normativo

La professione di avvocato, attualmente regolamentata dalla legge 31 dicembre 2012, n. 247, che reca "nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense", si inquadra storicamente tra i lavori di tipo autonomo, il cui fondamento giuridico si rinviene nell'art. 2222 c.c. sui contratti d'opera. Secondo la definizione ivi contenuta il lavoratore autonomo è colui che dietro corrispettivo si impegna a compiere un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio, a favore di un terzo committente, al quale non è legato da vincolo di subordinazione. In questo senso il lavoratore autonomo si contrappone al lavoratore subordinato, definito invece dall'art. 2094 c.c. come colui che presta la propria attività lavorativa, manuale o intellettuale, alle dipendenze e sotto la direzione di un datore di lavoro privato a fronte della corresponsione di una retribuzione.

La Corte di Cassazione (si veda in particolare Cass. 7024/2015) ha contribuito a delineare la linea di demarcazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato, individuando i c.d. "indici di subordinazione" ovvero retribuzione fissa mensile in relazione sinallagmatica con la prestazione lavorativa; orario di lavoro fisso e continuativo; continuità della prestazione lavorativa, in funzione di collegamento tecnico organizzativo e produttivo con le esigenze dell'azienda; limitazione dell'autonomia del lavoratore e soggezione al potere direttivo del datore di lavoro; inserimento nell'organizzazione aziendale.
Per quanto riguarda in particolare la professione di avvocato, è proprio l'art. 18, comma 1, lettera d), della citata legge 31 dicembre 2012, n. 247, a stabilire che la stessa non è compatibile « con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato».
La professione forense non è neppure inquadrabile nell'ambito di una particolare fattispecie di lavoro parasubordinato, ovvero quello delle collaborazioni organizzate dal committente (di cui all'art. 2, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2015, come modificato dal D.L. n. 101/2019), che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, per l'espressa esclusione delle «collaborazioni prestate nell'esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali» contenuta nel comma 2, lett. b), del medesimo art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015.
È opportuno sul punto richiamare l'orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. 3594/2011, recentemente ribadita in Cass. 22634/2019) in relazione alla sussistenza o meno della subordinazione con riferimento alle prestazioni rese da un professionista in uno studio professionale, che deve essere verificata in relazione alla intensità della etero-organizzazione della prestazione (fattispecie relativa ad un consulente fiscale in uno studio legale tributarista).
Negli ultimi anni, oltre alle due tipologie tradizionalmente riconosciute di lavoro autonomo e lavoro subordinato, è venuta sempre più in evidenza quella del c.d. lavoro parasubordinato, ovvero un rapporto di collaborazione che si sostanzia in una prestazione d'opera coordinata e continuativa prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. Secondo la definizione data dall'art. 409 c.p.c. (come modificato dalla legge 81/2017), al fine di delineare gli ambiti di applicazione delle disposizioni sulle controversie di lavoro proprie dei rapporti di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione, la collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa.

 Più in dettaglio, l'attività di collaborazione coordinata e continuativa si riferisce a prestazioni d'opera prevalentemente personali, svolte senza vincolo di subordinazione in un rapporto unitario e continuativo, senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita. Tali rapporti, pur non svolgendosi alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro, hanno caratteristiche di continuità e di coordinamento rispetto alla complessiva attività del committente cui i lavoratori prestano la propria collaborazione. Si tratta, dunque, di una prestazione soggetta alle direttive di quest'ultimo, seppure nell'ambito di una certa autonomia professionale. Allo stesso tempo, essi sono accomunati al lavoro autonomo da caratteristiche specifiche, quali l'assenza di un corrispettivo diretto tra retribuzione e disponibilità temporale del lavoratore, nonché la mancanza del vincolo di esclusività del rapporto.

Il legislatore è intervenuto a più riprese al fine di estendere ai lavoratori parasubordinati alcune tutele tradizionalmente previste per i lavoratori subordinati, trattandosi di collaborazione che può determinare una soggezione socio-economica del lavoratore rispetto al committente.

E, infatti, il D. Lgs. n. 81/2015 ha disposto l'applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione che si concretano in una prestazione di lavoro esclusivamente personale, continuativa e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente, anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. A tali rapporti è stata successivamente estesa l'applicazione delle disposizioni sul processo del lavoro (ad opera della L. n. 533/1973); sono stati poi ritenuti applicabili l'art. 2113 c.c. (che prevede l'invalidità delle rinunzie e delle transazioni del lavoratore) e l'art. 429 c.p.c., che prevede, in caso di condanna del datore di lavoro al pagamento di crediti di lavoro, anche quella al risarcimento del danno da svalutazione monetaria e agli interessi nella misura legale.

Sono state in seguito introdotte ulteriori forme di tutela per i lavoratori parasubordinati, tra le quali: la tutela previdenziale (l'apposita gestione c.d. separata che opera presso l'INPS, di cui alla L. n. 335/1995); la tutela derivante dall'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali (D. Lgs. n. 38/2000); il diritto all'indennità di maternità indipendentemente dalla effettiva astensione dall'attività lavorativa; la normativa in materia di congedi parentali (cfr. art. 2- bis del D. Lgs. n. 81/2015 e artt. 13 e 26 L. n. 81/2017).


Contenuto delle proposte di legge


A.C. 428

La proposta di legge C. 428 è volta a prevedere un'eccezione all'incompatibilità tra l'esercizio della professione di avvocato in regime di monocommittenza e l'esercizio di una "qualsiasi attività di lavoro subordinato", di cui all'articolo 18, comma 1, lettera d), della predetta legge.

 

Attualmente, l'articolo 18 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, stabilisce che la professione di avvocato è incompatibile:
  • con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l'esercizio dell'attività di notaio (lettera a);
  • con l'esercizio di qualsiasi attività di impresa commerciale svolta in nome proprio o in nome o per conto altrui (lettera b);
  • con la qualità di socio illimitatamente responsabile o di amministratore di società di persone, aventi quale finalità l'esercizio di attività di impresa commerciale, in qualunque forma costituite, nonché con la qualità di amministratore unico o consigliere delegato di società di capitali, anche in forma cooperativa, nonché con la qualità di presidente di consiglio di amministrazione con poteri individuali di gestione (a meno che la società non abbia ad oggetto esclusivamente l'amministrazione di beni personali o familiari o si tratti di enti e consorzi pubblici o società a capitale interamente pubblico) (lettera c);
  • con qualsiasi attività di lavoro subordinato anche se con orario di lavoro limitato (lettera d).
Sono invece consentite l'iscrizione nell'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, nell'elenco dei pubblicisti e nel registro dei revisori contabili o nell'albo dei consulenti del lavoro, e l'assunzione di incarichi di gestione e vigilanza nelle procedure concorsuali o in altre procedure relative a crisi di impresa.
L'art. 19 della medesima legge prevede un'eccezione all'incompatibilità per l'insegnamento o la ricerca in materie giuridiche presso le università, le scuole secondarie pubbliche o private parificate e le istituzioni e gli enti di ricerca e sperimentazione pubblici.

 

Eccezione all'incompatibilità tra la professione di avvocato e il lavoro subordinatoAl riguardo, l'articolo 1 prevede che non sussista incompatibilità tra la professione di avvocato e lo svolgimento di lavoro subordinato o parasubordinato, purché ricorrano entrambe le seguenti condizioni:

  • l'attività venga esercitata in via esclusiva (c.d. monocommittenza) presso lo studio di un altro avvocato, un'associazione professionale ovvero una società tra avvocati o multidisciplinare;
  • l'attività svolta sia esclusivamente riconducibile a quella propria della professione forense.

 

In presenza di tali condizioni, l'avvocato può dunque instaurare un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato. La disposizione in commento specifica che a tale rapporto si applicano le norme del CCNL di riferimento e che se tale CCNL non contiene norme riguardanti la determinazione del compenso, questo deve essere calcolato in proporzione alla qualità ed alla quantità delle prestazioni offerte, tenendo in particolare in considerazione l'impegno richiesto in termini di tempo ed avendo come riferimento la retribuzione prevista dal medesimo CCNL per le figure professionali assimilabili a quella dell'avvocato sotto l'aspetto della competenza e dell'esperienza.

 

Con riguardo al CCNL di riferimento, la proposta sembra richiamare, anche alla luce di quanto specificato nella relazione illustrativa, l'applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti degli studi professionali.

Disciplina della professione di avvocato svolta come lavoratore dipendenteL'articolo 2 della proposta in esame prevede l'intervento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali al fine di disciplinare, con propri decreti, taluni aspetti della professione di avvocato svolta come lavoratore dipendente, concernenti in particolare gli obblighi previdenziali e la definizione dei parametri attraverso i quali determinare la natura della monocommittenza come lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo.

Per quanto riguarda gli obblighi previdenziali (comma 1, lett. a)), essi sono posti, per almeno i due terzi, a carico del datore di lavoro il quale, operando in qualità di sostituto d'imposta, è tenuto ad effettuare le operazioni di conguaglio fiscale e previdenziale tenendo conto di tutti i redditi riconducibili al rapporto di lavoro in essere ovvero dei diversi rapporti di lavoro avuti dall'avvocato dipendente o parasubordinato nel corso dell'anno, qualora esistenti. Si applica altresì il principio dell'automaticità delle prestazioni.

In base a tale principio, il lavoratore dipendente mantiene il diritto alle prestazioni previdenziali anche quando il datore di lavoro non ha versato i contributi, purché si tratti di contributi non prescritti. La determinazione degli importi e delle modalità di versamento dei contributi per gli avvocati con contratto di lavoro subordinato o parasubordinato spetta alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.
 

Per quanto riguarda invece la definizione dei parametri attraverso i quali determinare la natura della monocommittenza come lavoro subordinato, parasubordinato o autonomo (comma 1, lett. b)), è la stessa proposta di legge ad individuare quali indicatori la durata temporale del rapporto, la presenza di una postazione fissa presso il datore di lavoro o il committente, la partecipazione ai risultati economici dell'attività, la previsione e l'eventuale indennizzo di clausole di esclusività.

I suddetti decreti del Ministro del lavoro e delle politiche sociali devono essere emanati, entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge, di concerto con il Ministro della giustizia e previo confronto con le parti sociali, con il Consiglio nazionale forense, con l'Organismo congressuale forense, con la Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, e con le associazioni forensi riconosciute o non riconosciute come più rappresentative a livello nazionale dal Congresso nazionale forense.


A.C. 2722

L'AC 2722, che si compone di 13 articoli, è volto alla regolamentazione del rapporto di collaborazione professionale della figura dell'avvocato che esercita in regime di monocommitenza  nei riguardi di un altro avvocato o di un'associazione professionale o una società tra avvocati.

Definizione della collaborazione professionale dell'avvocato in regime di monocommittenzaL'articolo 1nell'individuare l'oggetto della proposta di legge, definisce la collaborazione professionale dell'avvocato in regime di monocommittenza, quella prestata in via continuativa e prevalente - se non esclusiva - a favore di un altro avvocato, di un'associazione professionale o di una società tra avvocati, a fronte di un un compenso fisso o variabile, da corrispondere preferibilmente su base mensile.

La proposta specifica che la collaborazione:

  • è resa "nell'esercizio della professione intellettuale per la quale è necessaria l'iscrizione a un apposito albo professionale"; nonostante l'oggetto della proposta in esame sia individuato nella collaborazione dell'avvocato in regime di monocommittenza a favore di altro avvocato, la formulazione letterale della disposizione non appare circoscrivere l'attività in cui si sostanzia la collaborazione a quella della professione forense, facendo più ampio riferimento alle professioni individuali per l'esercizio delle quali è richiesta l'iscrizione all'albo. Si valuti l'opportunità di chiarire l'ambito di applicazione della disposizione;
  • non configura un rapporto di lavoro subordinato;
  • non si applica alle pubbliche amministrazioni e al loro personale.

Si specifica inoltre che resta impregiudicata l'applicazione di clausole di contratto individuale più favorevoli per il collaboratore monocommittente.

Forma e contenuto del contrattoL'articolo 2 disciplina la forma ed il contenuto del contratto che, a pena di nullità, deve essere stipulato in forma scritta e deve necessariamente includere indicazioni circa la durata del rapporto di collaborazione (che può essere determinata o indeterminata), la determinazione del compenso (e i tempi e le modalità per il pagamento), il rimborso di eventuali spese, la durata del periodo di prova (durante il quale il rapporto può essere risolto da entrambe le parti senza obbligo di preavviso, fermo restando il diritto dell'avvocato collaboratore a ricevere il compenso per le prestazioni effettuate) da concordare tra le parti, la definizione di un periodo di preavviso congruo affinché ciascuna delle due parti possa esercitare il diritto di recesso, con facoltà di pattuire il rinnovo automatico del rapporto lavorativo in mancanza di preavviso contrario comunicato almeno sei mesi prima della scadenza.

La disposizione specifica inoltre che gli accordi che non rispettino le caratteristiche sopra indicate (in particolare gli accordi verbali e quelli che violino una o più di tali norme) sono di diritto sostituiti da accordi ad esse conformi.

CompensoL'articolo 3 riguarda la determinazione del compenso, che deve essere congruo e proporzionato alla qualità e quantità delle prestazioni lavorative fornite dal collaboratore. Inoltre non può essere inferiore ai minimi stabiliti dal Ministro della giustizia con proprio decreto, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. Il compenso deve essere corrisposto preferibilmente su base mensile.

L'articolo 4 dispone riguardo al rimborso di eventuali spese sostenute dal collaboratore nell'ambito del rapporto di lavoro. Le spese di cui il collaboratore ha diritto al rimborso sono quelle inerenti alla formazione per il conseguimento del titolo di avvocato specialista, di cui all'art. 9 della legge n. 247 del 2012 (se tale titolo è richiesto dal committente o ne è stato con lui concordato il conseguimento) ovvero all'espletamento di incarichi professionali svolti su specifica richiesta del committente e da questi preventivamente autorizzati.

Obblighi del collaboratore e del committenteGli articoli 5 e 6 stabiliscono quali sono gli obblighi a cui devono attenersi, rispettivamente, il collaboratore ed il committente.

In base all'articolo 5, l'avvocato collaboratore deve:

  • prestare la propria opera in via continuativa e prevalente (se non esclusiva) nei confronti del committente, concordando, insieme a quest'ultimo, anche verbalmente, le modalità e le indicazioni da seguire per l'espletamento dell'incarico affidatogli;
  • rispettare le regole del codice deontologico forense e ad agire nell'interesse del cliente;
  • non svolgere attività che si pongano potenzialmente in concorrenza con l'attività del committente.

La violazione di tali obblighi comporta la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1456 c.c., con l'unico obbligo residuo, a carico del committente, di corrispondere il compenso dovuto per le prestazioni eseguite dall'avvocato in regime di mocommittenza.

Si ricorda che l'art. 1456 c.c. prevede che i contraenti di un contratto possano convenire di inserire nel contratto medesimo una clausola risolutiva espressa, della quale può avvalersi la parte interessata qualora l'altra parte non adempisse una determinata obbligazione secondo le modalità stabilite. In tal caso, la dichiarazione fatta alla parte inadempiente di volersi avvalere della clausola comporta l'immediata risoluzione di diritto del contratto stesso.

La disposizione specifica che l'avvocato collaboratore può assumere incarichi professionali presso altri soggetti, diversi dal committente con il quale ha stipulato un contratto di monocommittenza, purché di essi sia data al committente immediata comunicazione, conservando in tal caso  i diritti previsti dalla proposta di legge in esame.

L'articolo 6 prevede invece che il committente è tenuto a corrispondere all'avvocato collaboratore il compenso dovuto per le prestazioni eseguite e il rimborso delle spese effettuate, secondo i tempi e le modalità concordati nel contratto di monocommittenza stipulato e nel rispetto delle norme previste dalla proposta di legge in esame. Il committente si impegna inoltre ad agevolare l'esecuzione della prestazione professionale dell'avvocato collaboratore, anche fornendogli tutti quei beni strumentali utili a facilitarne l'attività svolta a favore del committente medesimo.

Sull'avvocato collaboratore grava, ai sensi dell'articolo 7, un obbligo di riservatezza circa i dati e le informazioni di cui egli viene a conoscenza in virtù dello svolgimento degli incarichi a lui affidati, che si impegna a non divulgare in nessun modo a soggetti terzi. L'obbligo permane anche a seguito della cessazione del contratto di monocommittenza.

L'articolo 8 prevede la stipula facoltativa di un patto di non concorrenza, da redigere in forma scritta durante la vigenza del contratto di monocommittenza o al momento della sua cessazione, con il quale l'avvocato collaboratore, a fronte del pagamento di un contributo a suo favore, si impegna a non sollecitare i clienti e/o gli altri collaboratori dello studio e a non fare uso delle informazioni relative allo studio medesimo ed alla sua clientela apprese durante la collaborazione, per un periodo di tempo che non può eccedere i tre anni successivi alla cessazione del contratto di monocommittenza.

I patti che limitano la concorrenza sono disciplinati dall'art. 2596 c.c. (richiamato dal medesimo art. 8), il quale dispone che gli stessi debbano essere provati in forma scritta e siano validi solo se circoscritti ad una determinata zona o attività e abbiano una durata non eccedente i cinque anni (la validità dei patti di durata superiore è automaticamente ridotta a cinque anni).

Recesso dal contrattoL'articolo 9 regola la facoltà delle parti di recedere dal contratto prima della scadenza, dandone adeguato preavviso alla controparte con le modalità stabilite nel contratto medesimo. I termini di preavviso considerati congrui per l'esercizio del recesso da parte del committente sono di tre mesi per i contratti di durata inferiore a 5 anni e di sei mesi per quelli di durata superiore ai 5 anni; se il recesso viene esercitato dall'avvocato collaboratore i termini sono ridotti alla metà, così come sono ridotti alla metà qualora il committente receda a causa della mancata comunicazione, da parte del collaboratore, dell'assunzione di incarichi professionali presso altri soggetti (si veda supra, art. 5). In caso di mancato rispetto dei termini stabiliti, la parte inadempiente è tenuta a corrispondere un'indennità sostitutiva del periodo di preavviso. Durante il periodo di preavviso, restano comunque fermi tutti gli obblighi contrattuali cui sono tenute entrambe le parti.

Resta inoltre possibile la risoluzione del contratto per inadempimento ex art. 1453 c.c.

Come è noto, ai sensi dell'art. 1453 c.c., quando uno dei contraenti di un contratto a prestazioni corrispettive non adempie alle sue obbligazioni, l'altra parte può scegliere di chiedere l'adempimento oppure la risoluzione del contratto, fatto salvo in ogni caso il diritto al risarcimento del danno. La risoluzione può essere chiesta anche se è stato promosso il giudizio per l'adempimento, ma non è possibile il contrario, ovvero richiedere l'adempimento se è stata previamente chiesta la risoluzione del contratto.

Tanto nel caso di risoluzione, quanto nel caso di scadenza naturale del contratto, l'avvocato collaboratore non ha diritto a percepire il trattamento di fine rapporto.

Il trattamento di fine rapporto, disciplinato dall'art. 2120 c.c., consiste in una somma di denaro corrisposta al lavoratore al termine del rapporto di lavoro e spetta ai dipendenti pubblici assunti con contratto a tempo determinato in essere o successivo al 30 maggio 2000, oppure assunti a tempo indeterminato successivamente al 31 dicembre 2000, ad esclusione del personale cd. non contrattualizzato, cui spetta invece il trattamento di fine servizio anche se assunto con contratto a tempo indeterminato a decorrere dal 1° gennaio 2001. Il diritto al TFR sorge alla risoluzione di un contratto di lavoro della durata minima di 15 giorni continuativi nell'arco di un mese.
La somma è determinata dall'accantonamento, per ogni anno di servizio o frazione di anno, di una quota pari al 6,91% della retribuzione annua utile e delle relative rivalutazioni. L'accantonamento, con esclusione della quota maturata nell'anno, è incrementato, su base composita, al 31 dicembre di ogni anno, con l'applicazione di un tasso costituito dall'1,5% in misura fissa e dal 75% dell'aumento dell'indice ISTAT.

Non si applica, inoltre, la normativa in materia di licenziamenti individuali e collettivi.

L'istituto del licenziamento collettivo (che non trova applicazione nei confronti dei dirigenti) è disciplinato principalmente dall'articolo 24 della L. 23 luglio 1991, n. 223. Le cause che giustificano il ricorso a tale istituto risiedono nella riduzione o trasformazione dell'attività o del lavoro e nella cessazione dell'attività. L'ipotesi di licenziamento collettivo si verifica nel caso in cui le imprese che occupano più di 15 dipendenti, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendono effettuare almeno 5 licenziamenti nell'arco temporale di 120 giorni nell'unità produttiva oppure in più unità produttive dislocate nella stessa provincia. La normativa si applica a tutti i licenziamenti che, nel medesimo arco temporale e nello stesso territorio siano riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione.
Qualora sia assente il requisito quantitativo o quello temporale, si applica invece la disciplina sui licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo. È sempre obbligatoria la verifica della sussistenza di un nesso di causalità tra la trasformazione produttiva effettuata ed il ridimensionamento dei dipendenti, nonché un nesso di congruità tra gli stessi (cioè una piccola trasformazione produttiva non può comportare un rilevante numero di licenziamenti). Spetta al datore di lavoro provare l'effettività e la definitività della diminuzione del fabbisogno di forza-lavoro, attraverso la mancata sostituzione dei lavoratori licenziati o l'assenza di ulteriori assunzioni. Si ricorda che la procedura stabilita per il licenziamento collettivo è applicata anche alle aziende in CIGS, qualora nel corso o al termine del programma si verifichi la necessità di procedere anche ad un solo licenziamento. La procedura è contenuta nell'articolo 4 della L. 223/1991, che disciplina la procedura per la dichiarazione di mobilità (identica in caso di licenziamenti collettivi). In particolare, tale procedura può essere avviata dall'impresa che sia stata ammessa alla CIGS, qualora nel corso di attuazione del programma – che l'impresa stessa intende attuare con riferimento anche alle eventuali misure previste per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale – ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative.

Gravidanza, adozione, malattia e infortunioL'articolo 10 dispone (comma 1) la sospensione del rapporto contrattuale, senza erogazione del corrispettivo, nei casi di gravidanza, di adozione, di malattia e di infortunio con indisponibilità continuativa per un periodo non superiore a centottanta giorni. La norma, inoltre, consente:

  • al committente di sostituire il collaboratore, durante tale periodo, con un altro avvocato;
  • alle parti di concordare per iscritto, al momento del verificarsi della maternità, dell'adozione, della malattia o dell'infortunio, la concessione di un ulteriore periodo di indisponibilità che non comporti il diritto di recesso da parte del committente.
Si valuti l'opportunità di chiarire se la suddetta facoltà, attribuita al committente, di sostituire il collaboratore con un altro avvocato, operi anche durante l'ulteriore periodo di indisponibilità eventualmente concesso al collaboratore.

E' prevista inoltre (comma 2)  la facoltà di recesso del committente, con obbligo di corresponsione dell'indennità sostitutiva del diritto al preavviso, quando, decorso il suddetto termine di 180 giorni, eventualmente prorogato, permanga l'indisponibilità del collaboratore.

Con specifico riferimento alla gravidanza e all'adozione, si dispone la proroga della durata del rapporto per un periodo di centottanta giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale (comma 3).
La norma in commento risulta parzialmente sovrapponibile a quanto previsto dall'articolo 14 della L. n. 81/2017 a tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale. In particolare, la norma prevede che la gravidanza, la malattia e l'infortunio dei lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente non comportano l'estinzione del rapporto di lavoro, la cui esecuzione, su richiesta del lavoratore, rimane sospesa, senza diritto al corrispettivo, per un periodo non superiore a centocinquanta giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell'interesse del committente. È prevista inoltre, in caso di maternità, previo consenso del committente, la possibilità di sostituzione delle lavoratrici autonome da parte di altri lavoratori autonomi di fiducia delle lavoratrici stesse, in possesso dei necessari requisiti professionali, nonché dei soci, anche attraverso il riconoscimento di forme di compresenza della lavoratrice e del suo sostituto. Infine, è prevista, in caso di malattia o infortunio di gravità tale da impedire lo svolgimento dell'attività lavorativa per oltre sessanta giorni, la sospensione del versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi per l'intera durata della malattia o dell'infortunio fino ad un massimo di due anni, decorsi i quali il lavoratore è tenuto a versare i contributi e i premi maturati durante il periodo di sospensione in un numero di rate mensili pari a tre volte i mesi di sospensione.
In caso di malattie con indisponibilità non continuativa, si prevede (comma 4) l'applicazione degli articoli 1463 e 1464 del c.c.
Le norme richiamate concernono la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, rispettivamente, totale o parziale. In particolare, l'articolo 1463 c.c. dispone che nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non possa chiedere la controprestazione e debba restituire quella già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito. Qualora, invece, ai sensi dell'articolo 1464 c.c., la prestazione di una parte sia divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, potendo anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale.

Oneri fiscali, previdenziali e assicurativiL'articolo 11 detta norme in materia di oneri fiscali, previdenziali e assicurativi.

In particolare, il comma 1 inquadra il rapporto di collaborazione professionale dell'avvocato in regime di monocommittenza nella prestazione d'opera intellettuale regolata dagli articoli 2222 e ss. del codice civile.

I richiamati artt. 2222 e ss. disciplinano l'attività autonoma "occasionale" (o prestazione d'opera), ossia l'attività svolta dal soggetto che si obbliga a compiere verso un corrispettivo un'opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Il prestatore di lavoro autonomo non opera, dunque, sotto le direttive tecniche e organizzative dell'imprenditore, ma esegue e organizza liberamente la propria attività. È tuttavia possibile che l'esecuzione del lavoro sia sottoposta a verifiche periodiche, ma nei limiti di un semplice coordinamento, non concretizzandosi, invece, un potere direttivo da parte del committente.

Ai sensi del comma 2, all'atto dell'erogazione del compenso o degli acconti, il committente opera come sostituto d'imposta, provvedendo alle ritenute fiscali secondo la normativa vigente in materia, ove lo imponga il regime fiscale del collaboratore.

Con riferimento ai compensi percepiti dall'avvocato in regime di monocommittenza, il comma 3 li assoggetta ai contributi previdenziali da versare alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, ponendoli per un terzo a carico del committente e per due terzi a carico del collaboratore. Il soggetto committente, al quale il versamento compete per intero, è tenuto ad operare la trattenuta della quota spettante all'avvocato in regime di monocommittenza all'atto dell'erogazione.

 

Incompatibilità con lavoro subordinatoL'articolo 12 conferma che resta in vigore l'incompatibilità tra la professione di avvocato e qualsiasi attività svolta sotto forma di lavoro subordinato stabilita dall'art. 18, comma 1, lettera d), della legge n. 247 del 2012 (vedi sopra). La disposizione richiama inoltre le disposizioni dell'art. 348 del codice penale sull'esercizio abusivo di una professione, che si applicano nei casi in cui per lo svolgimento di una determinata professione venga richiesta dallo Stato una specifica abilitazione come nel caso dell'esercizio della professione di avvocato.

La commissione di tale reato è punita con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 10.000 a 50.000 euro (reclusione e multa che diventano rispettivamente da uno a cinque anni e da 15.000 a 75.000 euro per il professionista che ha determinato altri a commettere il reato o ha diretto l'attività delle persone che vi hanno concorso), nonché con la confisca delle cose utilizzate per commettere il reato. La sentenza di condanna è inoltre pubblicata e trasmessa all'Ordine di riferimento al fine di disporre l'interdizione de uno a tre anni dalla professione regolarmente esercitata.

Disposizioni transitorie e finaliInfine, l'articolo 13, che reca le disposizioni transitorie e finali, dispone che la proposta in esame si applichi anche ai rapporti insorti prima della sua entrata in vigore: in tal caso le parti sono tenute a stipulare un contratto di collaborazione entro sei mesi dall'entrata in vigore della legge, in mancanza del quale si applicano comunque le disposizioni inderogabili in essa previste. Si valuti l'opportunità di indicare espressamente quali tra le disposizioni della proposta di legge siano da considerare inderogabili.  

La disposizione prevede altresì che le prestazioni professionali svolte in regime di monocommittenza siano valevoli ai fini dell'ammissione al corso per l'iscrizione all'Albo speciale per le giurisdizioni superiori e del raggiungimento dei requisiti per l'acquisizione e il mantenimento del titolo di avvocato specialista. Il Governo deve a tal fine adeguare la normativa vigente entro tre mesi dall'entrata in vigore della egge. Si valuti l'opportunità di precisare con quali modalità il Governo deve procedere all'adeguamento della normativa. 

Ai sensi dell'art. 22, comma 2, della legge n. 247 del 2012, l'iscrizione all'Albo speciale per le giurisdizioni superiori può essere richiesta, tra gli altri, da coloro i quali, avendo maturato una anzianità di iscrizione all'albo di otto anni, abbiano lodevolmente e proficuamente frequentato la Scuola superiore dell'avvocatura, istituita e disciplinata con regolamento dal Consiglio nazionale forense. A tal fine, il CNF promuove, attraverso propri bandi, specifici corsi propedeutici all'iscrizione al predetto Albo.
Per quanto riguarda invece il conseguimento del titolo di avvocato specialista, regolamentato dal decreto del Ministro della giustizia 12 agosto 2015, n. 144, come recentemente modificato dal decreto del Ministro della giustizia 1° ottobre 2020, n. 163, si prevede che tale titolo possa essere conseguito:
  • per comprovata esperienza, dimostrando di aver maturato un'anzianità di iscrizione all'albo degli avvocati ininterrotta e senza sospensioni di almeno otto anni e di aver esercitato negli ultimi cinque anni in modo assiduo, prevalente e continuativo attività di avvocato in uno dei settori di specializzazione; titoli ed incarichi sono valutati da una commissione composta da tre avvocati iscritti all'albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori e da due professori universitari di ruolo in materie giuridiche in possesso di documentata qualificazione nel settore di specializzazione oggetto delle domande sottoposte a valutazione nella singola seduta;
  • a seguito della frequenza, negli ultimi cinque anni, di appositi corsi di formazione organizzati presso gli ambiti di giurisprudenza delle università legalmente riconosciute e inserite in un elenco del Ministero dell'istruzione, università e ricerca che hanno stipulato apposite convenzioni con il CNF o i consigli dell'ordine degli avvocati.
Si ricorda che il titolo di avvocato specialista può riguardare i seguenti settori: diritto civile; diritto penale; diritto amministrativo; diritto del lavoro e della previdenza sociale; diritto tributario, doganale e della fiscalità internazionale; diritto internazionale; diritto dell'Unione europea; diritto dei trasporti e della navigazione; diritto della concorrenza; diritto dell'informazione, della comunicazione digitale e della protezione dei dati personali; diritto della persona, delle relazioni familiari e dei minorenni; tutela dei diritti umani e protezione internazionale; diritto dello sport.
Nell'ambito del diritto civile, penale ed amministrativo sono previsti dei sottosettori di specializzazione.