Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Giustizia |
Titolo: | Riforma dell'ordinamento giudiziario e del Consiglio superiore della magistratura |
Riferimenti: | AC N.2681/XVIII |
Serie: | Progetti di legge Numero: 360/3 |
Data: | 15/04/2022 |
Organi della Camera: | Assemblea |
A.C. 2681-A
Servizio Studi
Ufficio ricerche sulle questioni istituzionali, giustizia e cultura
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Dossier n. 299/3
Servizio Studi
Dipartimento Giustizia
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Progetti di legge n. 360/3
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Sintesi del contenuto dell’A.C. 2681-A
Capo I Delega al Governo per la riforma ordinamentale della magistratura
Articolo 1 (Oggetto e procedimento)
Articolo 2, comma 1 (Criteri di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi)
Articolo 2, comma 2 (Organizzazione degli uffici giudicanti)
Articolo 2, comma 3 (Conferimento delle funzioni di legittimità)
Articolo 4 (Riduzione dei tempi per l’accesso in magistratura)
Articolo 5 (Collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili)
Articolo 6 (Coordinamento con le disposizioni vigenti)
Capo II Modifiche alle disposizioni dell’ordinamento giudiziario
Articolo 8 (Ulteriori modifiche all’ordinamento giudiziario)
Articolo 9 (Modifiche in materia di aspettativa per infermità)
Articolo 10 (Modifiche in materia di corsi di formazione per le funzioni direttive e semidirettive)
Articolo 11 (Modifiche in materia di illeciti disciplinari)
Articolo 12 (Modifiche in materia di accesso in magistratura e di funzioni dei magistrati)
Articolo 13 (Modifiche in materia di progetto organizzativo della Procura)
Articolo 15 (Eleggibilità dei magistrati)
Articolo 16 (Aspettativa per incarichi di governo nazionale, regionale, locale)
Articolo 18 (Ricollocamento dei magistrati candidati e non eletti).
Articolo 19 (Ricollocamento dei magistrati a seguito della cessazione di mandati elettivi)
Articolo 21 (Modifica del numero dei componenti del CSM)
Articolo 22 (Modifiche concernenti la composizione delle commissioni).
Articolo 23 (Modifica del numero dei componenti della sezione disciplinare)
Articolo 24 (Modifiche in materia di validità delle deliberazioni del CSM)
Articolo 25 (Selezione dei magistrati addetti alla segreteria)
Articolo 26 (Modifiche in materia di personale del CSM)
Articolo 27 (Modifiche in materia di ufficio studi e documentazione).
Articolo 28 (Modifiche in materia di formazione delle tabelle degli uffici giudiziari)
Articolo 29 (Regolamento generale)
Articolo 30 (Eleggibilità dei componenti eletti dal Parlamento)
Articolo 31 (Modifiche in materia di componenti eletti dai magistrati)
Articolo 32 (Modifiche in materia di elettorato attivo e passivo)
Articolo 33 (Modifiche in materia di convocazione delle elezioni e verifica delle candidature)
Articolo 34 (Modifiche in materia di votazioni)
Articolo 35 (Modifiche in materia di scrutinio e dichiarazione degli eletti)
Articolo 36 (Modifiche in materia di sostituzione dei componenti eletti dai magistrati)
Articolo 37 (Modifiche in materia di indennità dei componenti del CSM)
Articolo 38 (Modifiche in materia di ricollocamento in ruolo dei magistrati del CSM)
Articolo 39 (Disposizioni per l’attuazione e il coordinamento del nuovo sistema elettorale del CSM)
Capo V Delega al Governo in materia di ordinamento giudiziario militare
Articolo 40 (Oggetto, principi e criteri direttivi, procedimento)
Capo VI Disposizioni finanziarie e finali
Articolo 41 (Disposizioni finali)
Articolo 42 (Disposizioni finanziarie)
Articolo 43 (Entrata in vigore)
L’A.C. 2681-A contiene una delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario e per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario militare e introduce nuove norme, immediatamente precettive, in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura.
Si ricorda che il disegno di legge C. 2681 è stato presentato alla Camera nel settembre 2020 dal Ministro della Giustizia Bonafede (Governo Conte II) ed assegnato alla Commissione Giustizia che ne ha avviato l’esame svolgendo altresì un ciclo di audizioni informali.
Con il cambio di Governo, la Ministra della Giustizia Cartabia ha costituito una apposita commissione di studio per proporre modifiche da inserire nell'iter legislativo già avviato (si vedano i lavori della c.d. Commissione Luciani).
Nel febbraio 2022 il Governo ha dunque presentato i propri emendamenti al disegno di legge in relazione ai quali la Commissione ha svolto un ulteriore ciclo di audizioni informali.
Il testo all’esame dell’Assemblea deriva dall’approvazione di numerosi emendamenti in sede referente.
Il disegno di legge C. 2681-A è articolato in sei Capi.
Il Capo I (articoli da 1 a 6) prevede una "delega al Governo per la riforma ordinamentale della magistratura".
In particolare, l'articolo 1 prevede la delega e le procedure per il suo esercizio (da realizzare entro un anno dall'entrata in vigore della legge) e definisce l'oggetto dell'intervento riformatore. In particolare, la delega mira alla riforma dei criteri di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi, alla revisione del numero degli incarichi semidirettivi, alla revisione dei criteri di accesso alle funzioni di legittimità, del procedimento di approvazione delle tabelle organizzative degli uffici giudicanti e al riordino della disciplina del collocamento in posizione di fuori ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili.
L'articolo 2 presenta un triplice contenuto.
Il comma 1 detta principi e criteri direttivi per la revisione, secondo principi di trasparenza e di valorizzazione del merito, dei criteri di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi. Il disegno di legge detta principi per lo svolgimento delle procedure comparative per l'attribuzione degli incarichi (dalla pubblicità delle stesse, al divieto per ciascun magistrato di presentare contemporaneamente più di due domande, all'ordine di definizione dei procedimenti, alle audizioni dei candidati) e interviene sulla valutazione delle attitudini e del merito dei candidati. In particolare, il legislatore delegato dovrà tenere conto delle specifiche competenze richieste per l'incarico al quale il candidato aspira, considerando le esperienze fatte in posizione di fuori ruolo solo se idonee a favorire l'acquisizione di competenze coerenti con le funzioni direttive e semidirettive. In caso di parità di valutazione degli indicatori del merito e delle attitudini, subentrano due criteri residuali: anzitutto il criterio del genere meno rappresentato (se a livello nazionale e distrettuale emerge nella copertura dei posti direttivi o semidirettivi, una significativa sproporzione tra i generi) e, infine, il criterio dell'anzianità. Ulteriori principi sono dettati per la conferma dei magistrati che già svolgono le funzioni direttive e semidirettive e, infine, il Governo è delegato a ridurre il numero degli incarichi semidirettivi.
Il comma 2 detta principi e criteri direttivi per la riforma del procedimento di approvazione delle tabelle organizzative degli uffici giudiziari, disciplinando la documentazione che il presidente della Corte d'appello dovrà allegare al progetto inviato al CSM e semplificando le successive fasi di approvazione.
Il comma 3 individua principi e criteri direttivi per la revisione dei criteri di accesso alle funzioni di consigliere di Cassazione e di sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Il provvedimento, in primo luogo, consente l'accesso alle funzioni di legittimità dopo 10 anni di esercizio effettivo delle funzioni di merito (in luogo degli attuali 16). Inoltre, detta criteri per la valutazione delle specifiche attitudini e del merito richiesto per l'accesso a queste funzioni e specifica i parametri dei quali dovrà tenere conto la Commissione tecnica chiamata a valutare la capacità scientifica e di analisi delle norme dei magistrati che aspirano alle funzioni di legittimità.
L'articolo 3 attiene alla valutazione di professionalità dei magistrati e contiene principi e criteri direttivi in merito:
L'articolo 4 interviene sulla disciplina dell'accesso in magistratura, dettando principi e criteri direttivi volti ad abbandonare l'attuale modello del concorso di secondo grado, così da ridurre i tempi che intercorrono tra la laurea dell'aspirante magistrato e la sua immissione in ruolo. Il Governo è altresì delegato:
L'articolo 5 detta principi e criteri direttivi per il riordino della disciplina del fuori ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili.
In particolare, il legislatore delegato dovrà individuare tra i vari incarichi extragiudiziari, quelli che determinano obbligatoriamente il collocamento fuori ruolo e quelli che possono invece essere svolti ponendosi in aspettativa, e dovrà dettare una regolamentazione specifica per gli incarichi da svolgere a livello internazionale. La riforma dovrà essere volta a un complessivo ridimensionamento dell'istituto del collocamento fuori dal ruolo organico, riducendo il numero dei magistrati che possono accedervi e contenendo tanto la durata del periodo quanto la tipologia degli incarichi che i magistrati potranno assumere. In particolare, il Governo dovrà:
L'articolo 6 chiude il Capo I del disegno di legge, relativo alla riforma di specifici profili ordinamentali della magistratura, delegando il Governo a provvedere anche al coordinamento delle disposizioni vigenti con quelle introdotte in sede di riforma.
Il Capo II del disegno di legge (articoli da 7 a 14) novella alcune disposizioni dell'ordinamento giudiziario. Diversamente dal Capo I, quindi, su alcuni specifici argomenti il disegno di legge non procede con una delega al Governo, ma modifica direttamente le norme in vigore.
In particolare, l'articolo 7 riscrive l'art. 115 del regio decreto n. 12 del 1941, relativo ai magistrati destinati all'ufficio del massimario e del ruolo della Corte di Cassazione. Il nuovo articolo 115, nel confermare l'attuale pianta organica dell'ufficio, che prevede 67 magistrati, interviene sui requisiti che devono possedere i magistrati chiamati a comporlo richiedendo che essi:
La riforma sopprime la disposizione che attualmente consente al Primo Presidente della Cassazione di destinare, anno per anno, fino a trenta magistrati dell'ufficio del massimario alle sezioni della Corte con compiti di assistente di studio. La metà dei componenti dell'ufficio potranno infatti essere destinati dal Primo Presidente alle sezioni della Corte per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali di legittimità.
La riforma sul punto modifica la disciplina vigente, che già attualmente consente lo svolgimento di tali funzioni da parte dei componenti dell'ufficio del massimario, prevedendo:
- che possano essere applicati "la metà dei magistrati addetti all'ufficio";
- che tale applicazione non sia più "temporanea", per un periodo non superiore a 3 anni e non rinnovabile.
- che possano essere applicati soltanto i magistrati che abbiano conseguito la quarta valutazione di professionalità (attualmente è sufficiente la terza).
L'articolo 8 introduce ulteriori modifiche all'ordinamento giudiziario in materia di organizzazione degli uffici di giurisdizione, di incompatibilità di sede per ragioni di parentela o coniugio e di tramutamenti ad altra sede o ufficio. Più nel dettaglio, la disposizione:
L'articolo 9 interviene sul regio decreto legislativo n. 511 del 1946 (Legge sulla guarentigie della magistratura), ampliando i casi di collocamento in aspettativa dei magistrati, attraverso l'inserimento dell'ipotesi in cui al magistrato sia stato già accertato uno stato di infermità incompatibile con lo svolgimento delle funzioni giudiziarie, malgrado non sia ancora concluso il procedimento volto alla verifica della natura permanente dell'infermità ai fini della dispensa dal servizio.
L'articolo 10 modifica il d.lgs. n. 26 del 2006, relativo alle funzioni della Scuola superiore della magistratura. Attraverso alcune novelle all'articolo 26-bis del decreto legislativo, in tema di corsi di formazione per il conferimento degli incarichi direttivi, è esteso il campo d'applicazione della disposizione, riferendola anche al conferimento degli incarichi semidirettivi e dettagliando le caratteristiche dei corsi di formazione, che dovranno avere una durata non inferiore a 3 settimane e prevedere una prova finale.
L'articolo 11 apporta una serie di modifiche al d.lgs. n. 109 del 2006, in materia di illeciti disciplinari dei magistrati. Sono, in particolare, oggetto di intervento:
L'articolo introduce inoltre, nel predetto decreto legislativo, due nuovi istituti:
L'articolo 12 modifica il d.lgs. n. 160 del 2006, intervenendo sulle disposizioni in materia di:
L'articolo 13 modifica l'art. 1 del d.lgs. n. 106 del 2006, in tema di attribuzioni del Procuratore della Repubblica, per definire i contenuti necessari del progetto organizzativo della Procura e l'iter per la sua adozione. Sostituendo i commi 6 e 7 dell'art. 1, il provvedimento prevede che il progetto debba necessariamente contenere:
Quanto al procedimento, la riforma prevede che il Progetto abbia una durata di 4 anni (potendo essere variato i corso di esercizio, per sopravvenute esigenze d'ufficio) e debba essere adottato sulla base di criteri previamente dettati dal CSM. Il Procuratore predisporrà il progetto dopo aver sentito il dirigente dell'ufficio giudicante corrispondente e il presidente del Consiglio dell'ordine degli avvocati. Successivamente trasmetterà il progetto organizzativo al consiglio giudiziario - che formulerà un parere - e al Ministero della giustizia - che potrà formulare osservazioni. Infine, l'approvazione competerà al CSM.
L'articolo 14 apporta una serie di modifiche all'articolo 37 del decreto-legge n. 98 del 2011, recante disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie. In particolare, il disegno di legge specifica che nel programma annuale che deve redigere il capo dell'ufficio giudiziario dovranno essere indicati, per ciascuna sezione o, in assenza, per ciascun magistrato, dei risultati attesi, e si dovrà dare altresì conto del conseguimento degli obiettivi prefissati l'anno precedente. La disposizione, inoltre, prevede puntuali obblighi per i capi degli uffici per assicurare la funzionalità degli uffici stessi e lo smaltimento degli eventuali procedimenti arretrati. In particolare, inserendo nell'art. 37 tre nuovi commi il disegno di legge:
Il Capo III del disegno di legge, composto dagli articoli da 15 a 20, interviene con disposizioni puntuali - e immediatamente precettive - sulla disciplina dello status dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, con particolare riferimento alla loro eleggibilità, all'assunzione di incarichi di governo e al loro ricollocamento al termine del mandato.
In particolare, l'articolo 15 detta disposizioni in materia di eleggibilità dei magistrati realizzando una più accentuata separazione tra politica e magistratura. Il disegno di legge, infatti (comma 1):
Il provvedimento, inoltre, specifica che l'ineleggibilità non opera per i magistrati che da almeno 3 anni prestino servizio presso gli uffici giudiziari con competenza territoriale nazionale; per coloro che svolgono tale servizio da meno di 3 anni si deve valutare, ai fini dell'ineleggibilità, la sede presso ha quale hanno svolto le precedenti funzioni (comma 2). La disciplina dell'ineleggibilità si applica anche ai magistrati in posizione di fuori ruolo, avendo anche in questo caso riguardo alla sede in cui hanno prestato servizio in precedenza (comma 3).
La riforma richiede in ogni caso al magistrato che intenda candidarsi di trovarsi al momento dell'accettazione della candidatura in aspettativa senza assegni (comma 4).
Infine, il comma 5 dell'art. 12 esclude l'eleggibilità a parlamentare nazionale ed europeo, a consigliere regionale o presidente di regione (o di provincia autonoma), a sindaco o consigliere comunale, nonché l'assunzione dell'incarico di assessore e di sottosegretario regionale e di assessore comunale, al magistrato che alla data di indizione delle elezioni sia componente del CSM, o lo sia stato nei 2 anni precedenti.
L'articolo 16 prescrive che i magistrati - ordinari, amministrativi, contabili e militari - non possano assumere l'incarico di componente del Governo (Presidente del Consiglio dei ministri, vicepresidente del Consiglio dei ministri, ministro, viceministro, sottosegretario di Stato), o di sottosegretario o assessore regionale, o di assessore comunale, se non siano collocati in aspettativa senza assegni all'atto dell'assunzione dell'incarico.
L'articolo 17 stabilisce che durante il mandato elettivo – tanto nazionale quanto locale – e durante lo svolgimento di incarichi di governo – tanto nazionali quanto locali – il magistrato deve obbligatoriamente trovarsi in aspettativa, in posizione di fuori ruolo. Quanto al trattamento economico, il disegno di legge prevede che il magistrato possa scegliere tra la conservazione del trattamento economico in godimento in magistratura, senza possibile cumulo con altra indennità, e la corresponsione della sola indennità di carica, salvo, in entrambi i casi, il rispetto dei limiti di reddito attualmente previsti per i componenti del Governo. La possibilità di optare per la conservazione del trattamento economico in godimento in magistratura è peraltro esclusa per i magistrati che assumono una delle cariche previste dall'art. 81 del TU enti locali (sindaci, presidenti delle province, presidenti dei consigli comunali e provinciali, presidenti dei consigli circoscrizionali, presidenti delle comunità montane e delle unioni di comuni, membri delle giunte di comuni e province).
L'articolo 18 disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati che si siano candidati alle elezioni europee, politiche, regionali o amministrative, senza essere stati eletti, prevedendo che essi non possano, per i successivi 3 anni, essere ricollocati in ruolo:
Per quanto riguarda i magistrati in servizio presso le giurisdizioni superiori o presso gli uffici giudiziari con competenza territoriale a carattere nazionale, spetterà agli organi di autogoverno individuare attività non giurisdizionali alle quali destinare tali magistrati per i 3 anni successivi alla candidatura.
L'articolo 19 disciplina il ricollocamento dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari che abbiano svolto il mandato elettorale al Parlamento europeo o al Parlamento nazionale ovvero abbiano ricoperto la carica di componente del Governo, di consigliere regionale o provinciale nelle Province autonome di Trento e Bolzano, di Presidente o assessore nelle giunte delle Regioni o delle Province autonome di Trento e Bolzano, di sindaco o di consigliere comunale, a prescindere dalla durata del mandato o dell'incarico. Il disegno di legge prevede che, alla cessazione del mandato o dell'incarico, i magistrati possano essere:
La nuova disciplina è destinata a trovare applicazione unicamente con riguardo alle cariche assunte dai magistrati successivamente all'entrata in vigore della riforma.
L'articolo 20 disciplina il ricollocamento dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari collocati fuori ruolo per l'assunzione di incarichi politico-amministrativi apicali a livello nazionale o regionale e incarichi di governo non elettivi. In particolare, per quanto riguarda i magistrati che hanno svolto incarichi politico-amministrativi apicali (capo e vicecapo dell'ufficio di gabinetto; segretario generale della Presidenza dei Consiglio dei ministri o di un Ministero; capo e vicecapo di dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e i Ministeri; capo e vicecapo di dipartimento presso i consigli e le giunte regionali) il provvedimento prevede due alternative (comma 1):
Anche i magistrati che abbiano svolto incarichi di governo non elettivi (componente del Governo; assessore regionale o nelle giunte delle province autonome; assessore comunale) hanno a disposizione due possibilità (comma 2):
Le disposizioni sul ricollocamento non si applicano se l'incarico è cessato prima che sia trascorso un anno dall'assunzione, sempre che la cessazione non dipenda da dimissioni volontarie non conseguenti a ragioni di sicurezza, motivi di salute o altra giustificata ragione (comma 3).
Una norma transitoria (comma 4) prevede l'applicazione della riforma solo agli incarichi assunti dopo l'entrata in vigore della legge.
Il Capo IV del disegno di legge, composto dagli articoli da 21 a 39, contiene disposizioni immediatamente precettive, con le quali si modifica la legge n. 195 del 1958, recante Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura. Si tratta di un intervento organico che investe tutti i Capi della suddetta legge, incidendo sulla composizione ed organizzazione, sulle attribuzioni e sul funzionamento del CSM, sul sistema elettorale per la nomina dei componenti togati nonché sulla sul loro ricollocamento al termine del mandato.
In particolare, l'articolo 21 contiene modifiche al numero dei componenti elettivi del Consiglio superiore della magistratura (art. 1 della legge n. 195 del 1958), che vengono portati dagli attuali 24 a 30, di cui 20 magistrati ordinari (in luogo degli attuali 16) e 10 eletti dal Parlamento (in luogo degli attuali 8).
L'articolo 22 interviene sulla composizione delle commissioni del Consiglio superiore (art. 3 della legge n. 195 del 1958), prevedendo:
L'articolo 23 modifica la composizione della sezione disciplinare del CSM (art. 4 della legge n. 195 del 1958), portando da 4 a 5 il numero dei componenti supplenti e specificando che la presidenza della sezione dura per l'intera durata della consiliatura. Si riconosce, inoltre, la possibilità di eleggere ulteriori supplenti nel caso in cui sia impossibile formare il collegio. Infine, il disegno di legge demanda al CSM la determinazione dei criteri per la sostituzione dei componenti della sezione (esclusivamente in caso di incompatibilità, astensione o altro impedimento motivato) e demanda invece al Presidente della sezione disciplinare (vice presidente del CSM) la determinazione dei criteri per l'assegnazione degli affari tra i componenti effettivi della sezione stessa.
L'articolo 24 reca modifiche alla disciplina del quorum per la validità delle deliberazioni del Consiglio superiore (art. 5 della legge n. 195 del 1958), in conseguenza dell'aumento del numero dei componenti del Consiglio (v. sopra): per la validità delle deliberazioni del Consiglio sarà necessaria la presenza di almeno 14 togati (invece degli attuali 10) e di 7 laici (in luogo degli attuali 5).
L'articolo 25 interviene sull'art. 7 della legge n. 195 del 1958 in merito alla segreteria del Consiglio superiore della magistratura, ponendola alle dipendenze funzionali del Comitato di presidenza del CSM e ponendo al suo vertice un magistrato con funzioni di segretario generale (in carica per massimo 6 anni), coadiuvato, ed eventualmente sostituito, da un vicesegretario generale.
L'articolo 26 sostituisce l'art. 3 del d.lgs. n. 37 del 2000, in materia di contratti di collaborazione continuativa presso il CSM. Il provvedimento prevede che tali contratti possano essere stipulati:
Con l'articolo 27 incide sulla disciplina dell'ufficio studi del CSM (art. 7-bis della legge n. 195 del 1958), introducendo la possibilità di stipulare contratti di collaborazione con personale esterno (massimo 12 unità, selezionate tramite una specifica procedura di valutazione, affidata a una apposita commissione). I magistrati assegnati all'ufficio dovranno essere collocati in posizione di fuori ruolo e potranno svolgere l'incarico per massimo 6 anni.
Con l'articolo 28 viene coordinato il disposto dell'art. 10-bis della legge n. 195 del 1958 che si occupa del procedimento di approvazione delle tabelle degli uffici, con la disposizione che ha elevato la durata di efficacia delle tabelle a quattro anni (v. sopra).
L'articolo 29 che, intervenendo sull'art. 20 della legge n. 195 del 1958, demanda al CSM l'adozione di un regolamento generale per disciplinare la propria organizzazione e il proprio funzionamento.
L'articolo 30 interviene in materia di eleggibilità dei membri laici, di cui all'articolo 22 della legge n. 195 del 1958.
In particolare, nel modificare il quarto comma dell'articolo 22, si afferma che il Parlamento, nella scelta dei componenti da eleggere, dovrà tenere conto degli articoli 3 e 51 della Costituzione, per quanto riguarda il rispetto della parità di genere, e dell'art. 104, per quanto riguarda i titoli che devono possedere professori universitari e avvocati.
Gli articoli da 31 a 35 delineano il nuovo sistema per eleggere i 20 componenti togati del CSM, attualmente disciplinato dagli articoli da 23 a 27 della legge n. 195 del 1958.
In particolare, l'articolo 31 individua una nuova articolazione dei collegi elettorali, così delineata:
La composizione dei collegi territoriali - formati in modo tale da essere composti, tendenzialmente, dal medesimo numero di elettori – è effettuata con decreto del Ministro della giustizia, sentito il CSM, mediante estrazione a sorte tra tutti i distretti di corte di appello, in modo tale che i distretti di corte di appello siano distribuiti in quattro collegi per i magistrati giudicanti e in due collegi per i magistrati requirenti. E' demandata ad un decreto del Ministro della giustizia, sentito il CSM la determinazione delle modalità delle estrazioni a sorte. In ogni collegio devono esserci almeno sei candidati, e ogni genere deve essere rappresentato in misura non inferiore alla metà dei candidati effettivi.
L'articolo 32 interviene in materia di elettorato attivo, per modificarne la disciplina in conseguenza dell'introduzione del nuovo sistema elettorale, e in materia di elettorato passivo dei membri togati del CSM, modificando la causa di ineleggibilità relativa all'anzianità di servizio che viene collegata al mancato conseguimento della terza valutazione di professionalità e introducendo nuove cause di ineleggibilità, tra cui quella relativa ai magistrati che, alla data di inizio del mandato, non assicurino almeno quattro anni di servizio prima della data di collocamento a riposo.
L'articolo 33 disciplina la convocazione delle elezioni, la costituzione degli uffici elettorali e la verifica delle candidature, apportando significative modifiche all'art. 25 della legge n. 195 del 1958. In particolare, per la presentazione delle candidature non è richiesta alcuna sottoscrizione ed essa può avvenire anche con modalità telematiche (si ricorda che sul punto della sottoscrizione delle candidature è pendente un referendum abrogativo giudicato ammissibile dalla Corte costituzionale con la sent. n. 60 del 2022).
Inoltre, le candidature devono essere espresse in un numero non inferiore a 6 per ciascun collegio, nonché rispecchiare la rappresentanza paritaria tra generi. Viene quindi introdotto un meccanismo di integrazione delle candidature quando le stesse sono in numero inferiore a sei oppure non è rispettato il rapporto tra i generi, che consiste nell'estrazione a sorte delle candidature mancanti tra tutti i magistrati che sono eleggibili e che non abbiano previamente manifestato la loro indisponibilità alla candidature.
Nei collegi territoriali per i magistrati giudicanti di merito è inoltre previsto che le candidature possano essere individuali ovvero collegate con quelle di altri: per l'ipotesi di candidature collegate si specifica che ciascun candidato non può appartenere a più di un gruppo e che il collegamento opera soltanto ove intercorra tra tutti i candidati del medesimo gruppo (reciprocità) e se è garantita - all'interno del gruppo - la rappresentanza di genere.
La scelta concernente la dichiarazione di collegamento non rileva ai fini dell'assegnazione degli 8 seggi dei collegi territoriali maggioritari, ma rileva ai fini dell'accesso al riparto proporzionale, su base nazionale, dei 5 seggi assegnati nel collegio unico nazionale.
L'articolo 34 interviene sulla disciplina delle operazioni di voto di cui all'art. 26 della legge n. 195 del 1958, modificandola per adeguarla al nuovo sistema elettorale. Al riguardo la riforma:
L'articolo 35 interviene sulla disciplina dello scrutinio e dell'assegnazione dei seggi di cui all'art. 27 della legge n. 195 del 1958. Le novelle delineano, in combinato disposto con le modifiche dell'art. 29, il nuovo sistema elettorale del CSM prevedendo un meccanismo maggioritario a turno unico, caratterizzato dall'elezione immediata di due candidati per ogni collegio e dai seguenti correttivi:
L'articolo 36 modifica l'art. 39 della legge n. 195 del 1958, in materia di sostituzione dei componenti eletti dai magistrati, in caso di cessazione degli stessi dalla carica, per qualsiasi ragione, prima della scadenza del Consiglio.
L'articolo 37 interviene sull'art. 40 della legge 195/1958, che stabilisce il diritto ad alcune indennità a favore dei membri del Consiglio superiore della magistratura eletti dal Parlamento. La modifica concerne l'applicazione anche ai componenti del CSM del limite massimo retributivo omnicomprensivo di 240.000 euro annui, fissato dall'art. 13 del decreto-legge 66/2014.
L'articolo 38 novella la disciplina del ricollocamento in ruolo dei componenti togati del CSM alla cessazione dell'incarico intervenendo sulle disposizioni di attuazione della legge sul funzionamento del CSM (art. 30 del DPR n. 916 del 1958), per escludere che tali magistrati possano:
La disposizione precisa che le nuove restrizioni non si applicano ai membri togati che facciano parte del C.S.M. prima dell'entrata in vigore della riforma.
L'articolo 39 detta disposizioni per lo svolgimento delle prime elezioni del CSM che si terranno dopo l'entrata in vigore della riforma prevedendo che il decreto con il quale il Ministro della giustizia determina i collegi elettorali debba essere emanato entro un mese dall'entrata in vigore della legge. La disposizione prevede inoltre la riduzione di alcuni termini relativi al procedimento elettorale.
Il Capo V, recante la delega al Governo per il riassetto delle norme dell'ordinamento giudiziario militare, si compone del solo articolo 40, nel quale sono indicati i principi e i criteri direttivi cui il Governo deve conformarsi nell'esercizio della delega, da esercitarsi entro 2 anni dall'entrata in vigore della legge.
Nell'esercizio della delega, il Governo dovrà adeguare la disciplina concernente i magistrati militari a quella dei magistrati ordinari di grado corrispondente, nei limiti di compatibilità tra i due ordinamenti di riferimento, in particolare in materia di accesso alla magistratura, stato giuridico, conferimento di funzioni e requisiti per la nomina, progressione nella valutazione di professionalità. Inoltre, il Governo è delegato:
Il Capo VI contiene, rispettivamente all'articolo 41 e all'articolo 42, le disposizioni finali e finanziarie.
L'articolo 43 prevede che la legge entri in vigore il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il Capo I del disegno di legge, composto dagli articoli da 1 a 6, prevede una “delega al Governo per la riforma ordinamentale della magistratura”.
L’articolo 1 del disegno di legge contiene la delega al Governo per la riforma di alcuni aspetti ordinamentali della magistratura, definendo l’oggetto dell’intervento riformatore e le procedure per l’esercizio della delega.
In particolare, il comma 1 elenca i diversi ambiti dell’intervento che il Governo dovrà svolgere, entro un anno dall’entrata in vigore della delega, nel rispetto di principi e criteri direttivi più compiutamente enunciati dagli articoli da 2 a 5.
In base alla lettera a), cui si riferiscono i principi e criteri direttivi del successivo articolo 2, il Governo dovrà, infatti, emanare decreti legislativi finalizzati «alla trasparenza e all’efficienza dell’ordinamento giudiziario» per:
§ rimodulare, secondo principi di trasparenza e di valorizzazione del merito, i criteri di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi;
§ rivedere il numero degli incarichi semidirettivi;
§ ridefinire, sulla base dei medesimi principi, i criteri di accesso alle funzioni di consigliere di cassazione e di sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione;
§ riformare il procedimento di approvazione delle tabelle organizzative degli uffici giudicanti.
In base alla lettera b), cui si riferiscono i principi e criteri direttivi dell’articolo 3, il Governo è delegato a razionalizzare il funzionamento del consiglio giudiziario con particolare riferimento all’esigenza di assicurare semplificazione, trasparenza e rigore nelle valutazioni di professionalità.
In base alla lettera c), da leggere in combinato disposto con l’articolo 4 del disegno di legge, il Governo è delegato a modificare i presupposti per l’accesso in magistratura dei laureati in giurisprudenza.
Infine, la lettera d) prevede la delega al Governo per il riordino della disciplina del collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili. Specifici principi e criteri direttivi per l’attuazione di questa delega sono contenuti nel successivo articolo 5.
Il comma 2 delinea il procedimento per l’esercizio della delega prevedendo che gli schemi di decreto legislativo:
§ debbano essere adottati su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e con il Ministro dell’università e della ricerca;
§ debbano essere trasmessi alle Camere, per consentire alle commissioni competenti di esprimere il proprio parere entro 30 giorni; trascorso detto termine il Governo potrà procedere in assenza di parere. È prevista la consueta clausola di scorrimento del termine per l’esercizio della delega, che comporta una proroga di 90 giorni del termine per l’emanazione dei decreti legislativi quando il termine per l’espressione del parere parlamentare scada nei 30 giorni antecedenti alla scadenza della delega o successivamente.
La procedura per l’emanazione dei decreti legislativi, e i principi e criteri direttivi della delega, dovranno essere rispettati dal Governo anche per l’adozione delle eventuali disposizioni integrative e correttive della riforma, che in base al comma 3 potranno essere introdotte entro 2 anni dalla scadenza del termine per l’esercizio della delega (e dunque entro 3 anni dall’entrata in vigore della legge delega).
Infine, in base al comma 4, il Governo è altresì delegato, entro 3 anni dall’entrata in vigore della legge, a raccogliere le disposizioni dell’ordinamento giudiziario in un testo unico compilativo (ex art. 17-bis, commi 1 e 2, legge n. 400 del 1988).
Il Governo è dunque delegato a ricondurre a una sola fonte tanto le disposizioni del R.D. n. 12 del 1941 (Ordinamento giudiziario), quanto il complesso dei decreti legislativi di riforma dell’ordinamento giudiziario emanati nel 2006, in attuazione della legge n. 150 del 2005[1], e successivamente modificati, a partire dalla legge n. 111 del 2007[2].
Il comma 1 dell’articolo 2 detta principi e criteri direttivi per la «revisione dell’assetto ordinamentale della magistratura, con specifico riferimento alla necessità di rimodulare, secondo principi di trasparenza e di valorizzazione del merito, i criteri di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi» (art. 1, d.d.l.).
In particolare, in relazione agli incarichi direttivi, il disegno di legge interviene sia con la delega prevista dall’articolo 2 che con alcune modifiche puntuali all’ordinamento giudiziario previste dall’articolo 10 (v. infra). In entrambi i casi sono previsti interventi tanto sui requisiti per l’accesso alle funzioni direttive e semidirettive, quanto sul procedimento di attribuzione delle stesse.
Quadro normativo. Si ricorda, che i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni (art. 107, III co., Cost.) e che le funzioni dei magistrati sono elencate dall’art. 10 del d.lgs. n. 160 del 2006, mentre l’art. 12 del medesimo decreto legislativo individua i requisiti e criteri per il conferimento delle funzioni, delineando i vari passaggi della carriera del magistrato ordinario (si veda infra la relativa tabella). Le funzioni direttive sono attribuite ai magistrati posti ai vertici degli uffici giudiziari mentre le semidirettive ai magistrati chiamati ad esercitare una funzione di direzione e organizzazione “intermedia” rispetto ai dirigenti degli uffici.
Le funzioni direttive e semidirettive hanno natura temporanea e sono conferite per la durata di quattro anni, al termine dei quali il magistrato può essere confermato, per altri quattro anni, a seguito di valutazione positiva da parte del Consiglio superiore della magistratura circa l’attività svolta. In caso di valutazione negativa, il magistrato non può partecipare a concorsi per il conferimento di altri incarichi direttivi per almeno 5 anni (artt. 45 e 46, d.lgs. n. 160 del 2006).
Per il conferimento delle funzioni semidirettive e direttive è necessario che, al momento della data della vacanza del posto messo a concorso, gli aspiranti assicurino almeno 4 anni di servizio prima della data di collocamento in pensione (artt. 34-bis e 35, d.lgs. n. 160 del 2006), termine ridotto a 3 anni per il conferimento delle funzioni direttive di legittimità (art. 35, d.lgs. n. 160 del 2006), al fine di garantire un periodo minimo di continuità nella “gestione” organizzativa dell’ufficio.
In base all’art. 105 Cost. spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario (riserva di legge), le promozioni dei magistrati. Nell’esercizio di questa competenza, dunque, spetta al CSM procedere al conferimento delle funzioni direttive e semidirettive, con provvedimento motivato, previo parere del consiglio giudiziario (art. 13, d.lgs. n. 160 del 2006) e “concerto” del Ministro della giustizia (art. 11, legge n. 195 del 1958).
L’attribuzione delle funzioni direttive fa seguito a una procedura concorsuale che ha l’obiettivo di valutare comparativamente gli aspiranti e selezionare, per ciascun ufficio da ricoprire, il candidato più idoneo. Gli incarichi di direzione sono dunque assegnati sulla base della valutazione del percorso professionale dei candidati (il c.d. merito) e della c.d. attitudine direttiva. Il Consiglio deve cioè valutare le capacità di organizzare e gestire l’ufficio e di programmare e gestire le risorse (art. 12, d.lgs. n. 160 del 2006). I generali criteri di valutazione fissati dalla legge sono poi oggetto di una disciplina adottata dal CSM, nella quale vengono specificati gli indicatori dell’attitudine direttiva e vengono definite le fonti di conoscenza e la procedura applicabile: si tratta del Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria (Circolare CSM n. P-14858-2015 del 28 luglio 2015). Come ha affermato il Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 21 maggio 2020, n. 3213 tale Testo unico, difettando la clausola legislativa a regolamentare e riguardando comunque una materia riservata alla legge (art. 108, comma 1, Cost.), non costituisce un atto normativo, ma un atto amministrativo di autovincolo nella futura esplicazione della discrezionalità del CSM a specificazione generale di fattispecie in funzione di integrazione, o anche suppletiva dei principi specifici espressi dalla legge, vale a dire si tratta soltanto di una delibera che vincola in via generale la futura attività discrezionale dell’organo di governo autonomo.
Il CSM attiva la procedura per l’attribuzione delle funzioni direttive e semidirettive (art. 13, d.lgs. n. 160 del 2006):
- in caso di collocamento a riposo del titolare per raggiunto limite di età, o di decorrenza del termine massimo (8 anni) di permanenza nella carica, entro la data di vacanza del relativo ufficio;
- negli altri casi, entro 6 mesi dalla pubblicazione della vacanza.
Anzitutto, in base alla lettera a) del comma 1 il Governo è delegato a estendere l’applicazione dei principi della legge sul procedimento amministrativo – legge n. 241 del 1990[3] - ai procedimenti per la copertura dei posti direttivi e semidirettivi.
In particolare, in diretta attuazione del principio di pubblicità e trasparenza, il Governo dovrà prevedere che tutti gli atti dei procedimenti di conferimento delle funzioni direttive e semidirettive siano pubblicati nel sito intranet del Consiglio superiore della magistratura, superando l’attuale disciplina che subordina la pubblicazione degli atti della procedura al consenso degli aspiranti dirigenti. Analoga previsione è introdotta con riguardo all’accesso alle funzioni di legittimità (v. infra, comma 3).
Si ricorda che in informatica e telecomunicazioni intranet è una networking di computer privata che utilizza le tecnologie del protocollo internet per condividere in modo sicuro informazioni dell'organizzazione o dei sistemi operativi all'interno di tale organizzazione, per uso interno.
La pubblicità dovrà essere effettuata nel rispetto dei principi sulla protezione dei dati personali, attraverso l’oscuramento dei “dati sensibili”.
Si valuti l’opportunità di modificare l’espressione “dati sensibili”, che rimanda alla disciplina della tutela della riservatezza anteriore al Regolamento UE n. 2016/679.
Attualmente, l’art. 5 della Circolare del CSM del 2015 dispone che «al fine di garantire la trasparenza dell’azione amministrativa, nelle procedure di conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, è facoltà degli aspiranti concedere il consenso alla pubblicazione sul sito intranet www.cosmag.it dell’autorelazione, del parere attitudinale, delle statistiche e del progetto organizzativo». Con il bando di pubblicazione il CSM rende invece disponibili sul sito «il più attuale progetto tabellare o il programma organizzativo dell’ufficio a concorso e i relativi pareri della Commissione Flussi, nonché le parti generali e conoscibili dell’ultima relazione ispettiva».
Più in generale, l’art. 29 del Regolamento del CSM, nell’escludere la pubblicità delle sedute delle commissioni, consente «per la trattazione dinanzi alle Commissioni competenti delle pratiche riguardanti il conferimento di uffici direttivi e semidirettivi, ovvero l’assegnazione di più posti di un medesimo ufficio pubblicati con un unico bando, la pubblicità di singole sedute» su richiesta anche solo di un terzo dei componenti la commissione e purché non ricorrano esigenze di tutela della riservatezza della vita privata del magistrato.
Infine, la lettera a) specifica che in sede di attuazione della riforma il Governo dovrà prevedere che ciascun magistrato non possa presentare contestualmente più di due domande di conferimento di funzioni direttive o semidirettive.
La lettera b) prevede inoltre che i procedimenti di conferimento delle funzioni dirigenziali debbano essere distinti in relazione alla copertura degli incarichi direttivi e semidirettivi per essere poi «definiti secondo l’ordine temporale con cui i posti si sono resi vacanti». Tale principio potrà essere derogato per “gravi e giustificati motivi” e, comunque, facendo salva la trattazione prioritaria dei procedimenti per l’attribuzione degli incarichi di Primo presidente e di Procuratore generale della Cassazione.
La lettera c) delega il Governo a intervenire sulla procedura comparativa per l’attribuzione delle funzioni direttive che si svolge presso il Consiglio superiore della magistratura, prevedendo che la competente commissione del CSM:
§ debba procedere all’audizione dei candidati, potendo derogare a tale regola solo quando il numero degli stessi sia eccessivamente elevato: in tal caso, la Commissione dovrà procedere all’audizione di almeno 3 candidati, da individuare “tenendo conto delle indicazioni di tutti i suoi componenti”;
Parere del CSM. In relazione all’audizione obbligatoria di tutti i candidati ad un incarico dirigenziale, con facoltà di limitare le audizioni a tre di essi solo qualora il loro numero sia eccessivamente elevato (lett. c)) il parere evidenzia l’inutile dispiego di energie e l’evidente dilatazione dei tempi di definizione della procedura, in contrasto con l’esigenza di assicurare il celere svolgimento dell’azione amministrativa.
§ debba introdurre modalità idonee a consentire l’audizione dei rappresentanti dell’avvocatura, dei magistrati e dei dirigenti amministrativi che lavorano presso l’ufficio giudiziario di provenienza dei candidati. L’audizione dei magistrati e dei dirigenti dovrà essere effettuata in forma semplificata e riservata, ma comunque non anonima;
Parere del CSM. Il Consiglio valuta criticamente la previsione dell’acquisizione del parere del Consiglio dell’ordine degli avvocati competente per territorio in quanto introduce nella procedura dei veri e propri giudizi valutativi (in ipotesi anche non collegati a fatti specifici), che paiono di difficile inquadramento nell’ambito del procedimento (connotato dall’acquisizione di fonti di conoscenza e da un conclusivo parere del Consiglio Giudiziario), potenzialmente tali da generare un ampio contenzioso e tali da introdurre inopportune ricerche di consenso presso il Foro locale. Il parere ha inoltre evidenziato come la disposta acquisizione di un “parere” anche da parte dei magistrati e dei dirigenti amministrativi susciti perplessità in quanto generica e tale da generare conflittualità all’interno dell’Ufficio giudiziario di provenienza del candidato; la natura riservata di tale interlocuzione confliggerebbe inoltre con le esigenze di trasparenza sottese all’intento riformatore. L’interlocuzione dei dirigenti amministrativi è ritenuta infine fuorviante ed inutile potendo la stessa riguardare solo aspetti marginali dell’attività giurisdizionale svolta dal magistrato.
§ debba valutare specificamente gli esiti di queste audizioni ai fini della comparazione dei candidati all’ufficio.
I principi e criteri direttivi delle lettere da d) a f) attengono ai criteri per la valutazione delle attitudini, del merito dei magistrati che aspirano alle funzioni direttive e semidirettive.
Quadro normativo. Come detto, gli incarichi di direzione sono assegnati sulla base di una valutazione comparativa tra i candidati nella quale si tengono in conto:
- le attitudini direttive, cioè la capacità del candidato di organizzare e gestire l’ufficio e di programmare e gestire le risorse;
- il merito, inteso come valutazione del percorso professionale già svolto dai candidati alla stregua dei parametri della capacità, laboriosità, diligenza e impegno.
I generali criteri di valutazione fissati dalla legge sono oggetto di una disciplina adottata dal CSM: il Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria di cui alla Circolare CSM n. P-14858-2015 del 28 luglio 2015. Tale circolare prevede che alla verifica delle attitudini si proceda valutando una serie di indicatori generali (artt. 6-13):
- le funzioni direttive e semidirettive in atto o pregresse;
- le esperienze maturate nel lavoro giudiziario;
- le esperienze di collaborazione nella gestione degli uffici;
- le soluzioni elaborate nelle proposte organizzative redatte sulla base dei dati e delle informazioni relative agli uffici contenuti nel bando concorsuale;
- le esperienze ordinamentali e organizzative;
- la formazione specifica in materia organizzativa;
- le altre esperienze organizzative maturate anche al di fuori dell’attività giudiziaria.
Inoltre, in funzione della tipologia e della dimensione degli uffici messi a concorso, la circolare ha individuato anche indicatori specifici (artt. 14-23). A titolo di esempio, attualmente in base all’art. 21 del TU dirigenza giudiziaria, per il conferimento degli uffici direttivi giudicanti di legittimità (presidente di sezione della Cassazione) sono indicatori specifici di attitudine direttiva: «l’adeguato periodo di permanenza nelle funzioni di legittimità almeno protratto per sei anni complessivi anche se non continuativi; la partecipazione alle Sezioni Unite; l’esperienza maturata all’ufficio spoglio; le esperienze e le competenze organizzative maturate nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, anche con riferimento alla presidenza dei collegi».
L’anzianità non è un parametro di valutazione ma, in caso di equivalenza tra i profili professionali dei candidati, prevale il più anziano nel ruolo (art. 24).
In particolare, in base alla lettera d), spetterà anzitutto al CSM individuare criteri specifici di valutazione delle attitudini e del merito dei candidati, in relazione all’incarico da ricoprire. In merito, il Consiglio dovrà attribuire rilievo alle specifiche competenze richieste dall’incarico per il quale si fa domanda. Si dovrà inoltre procedere all’accertamento della sussistenza delle attitudini sulla base, oltre che dei criteri già attualmente dettati dall’art. 12, commi da 10 a 12, del d.lgs. n. 160 del 2006[4], anche tenendo conto:
§ della conoscenza dei servizi resi dall’ufficio o dalla sezione per la cui direzione si fa domanda;
§ della capacità di analisi e di elaborazione dei dati statistici;
§ della conoscenza delle norme ordinamentali;
§ della capacità di organizzazione del lavoro giudiziario;
§ degli esiti delle ispezioni svolte negli uffici presso cui il candidato ha già svolto funzioni direttive o semidirettive.
Parere del CSM. In relazione alla previsione secondo la quale, nell’assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi, le attitudini, il merito e l’anzianità dei candidati siano valutati in conformità ai criteri dettati, con specifico riferimento all’incarico da ricoprire, dal C.S.M., il parere ha valutato positivamente la scelta di rimettere al Consiglio il potere di individuare i criteri per la valutazione delle attitudini degli aspiranti, in tal modo riconoscendo la centralità della discrezionalità consiliare, segnalando al riguardo alcune criticità legate al rilievo attribuito alla conoscenza del complesso dei servizi resi dall'ufficio o dalla sezione oggetto di conferimento, atteso che, in tal modo, si introduce un elemento di territorialità in una procedura concorsuale nazionale. Perplessità ha suscitato, altresì, sia la previsione secondo la quale le attitudini devono essere accertate in relazione alla capacità di analisi ed elaborazione dei dati (che rischia di determinare la sicura prevalenza dei soli magistrati che hanno già ricoperto precedenti incarichi semidirettivi), sia quella che prevede che anche il merito sia apprezzato in base agli stessi criteri delle attitudini (stante la non sovrapponibilità dei rispettivi profili valutativi).
La lettera e) specifica che ai fini della valutazione delle attitudini organizzative, non si debba in generale tenere conto delle esperienze fatte dal magistrato fuori dal ruolo organico, salvo casi specifici (se, in relazione alla natura e alle competenze dell’amministrazione presso la quale è stato svolto l’incarico, tali esperienze appaiano idonee a favorire l’acquisizione di competenze coerenti con le funzioni direttive e semidirettive).
Parere del CSM. Il parere ritiene apprezzabile la valutazione dell’esperienza fuori ruolo in relazione alle funzioni da conferire, ma solleva alcune perplessità in relazione all’esclusione di qualsiasi riferimento all'attinenza con le funzioni giudiziarie, la quale rischia invece di valorizzare esperienze direttive anche molto lontane dalle peculiarità della giurisdizione.
In base alla lettera f) il Governo dovrà continuare a considerare il criterio dell’anzianità nel ruolo come residuale, da far valere esclusivamente a parità di valutazione degli indicatori del merito e delle attitudini.
Il Governo è delegato sostanzialmente a codificare in una fonte primaria quanto attualmente previsto dal TU dirigenza giudiziaria approvato con circolare del CSM. L’art. 24 del TU, infatti, così dispone: «1. È esclusa la rilevanza dell’anzianità quale parametro di valutazione. 2. Il periodo trascorso dal conferimento delle funzioni giudiziarie rileva solo come criterio di validazione dei requisiti delle attitudini e del merito, dei quali attesta la costanza, la persistenza e lo specifico valore. 3. In applicazione del criterio generale di cui all’articolo 192, comma 4, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, nel caso in cui la valutazione comparativa fra due o più aspiranti al medesimo incarico si concluda con giudizio di equivalenza dei rispettivi profili professionali è dato rilievo, in via meramente residuale, alla maggiore anzianità nel ruolo della magistratura».
In caso di parità di valutazione degli indicatori del merito e delle attitudini, peraltro, se i candidati sono di genere diverso, si dovrà dare prevalenza al genere meno rappresentato se, a livello nazionale e distrettuale, emerga nella copertura dei posti direttivi o semidirettivi, una significativa sproporzione tra i generi.
Parere del CSM. Il parere, pur rilevando la condivisibilità del nuovo criterio introdotto, nonostante l’incertezza applicativa derivante da una non chiara formulazione, evidenzia alcune perplessità in relazione all’abbandono del sistema delle fasce di anzianità il quale consentiva di valorizzare il dato oggettivo dell’esperienza professionale del magistrato.
Nello studio del CSM su “Distribuzione per genere del personale di magistratura”, del marzo 2022, si afferma che «I 420 magistrati con incarichi direttivi (Tabella 3) si distribuiscono in modo non uniforme tra i due sessi. Infatti quasi tre magistrati su quattro (73%) tra coloro che esercitano funzioni direttive sono uomini.
La situazione è leggermente più equilibrata per quello che riguarda le funzioni semidirettive. In questo caso su dieci magistrati che svolgono tali mansioni quasi cinque di essi sono di sesso femminile (45% sui 722 complessivi). La percentuale di donne con incarichi direttivi sale se guardiamo ai soli uffici giudicanti (31%), mentre, per quanto attiene a quelli requirenti, soltanto nel 22,3% dei casi un magistrato donna ha responsabilità di comando (Tabella 4).
Tale squilibrio vale anche per gli incarichi semidirettivi, che sono assegnati a donne nel 48% dei casi fra i giudicanti, e soltanto nel 29% circa delle volte negli uffici requirenti.
Le lettere da g) ad m) del comma 1 individuano principi e criteri direttivi per la riforma della procedura di conferma del magistrato nell’incarico direttivo e semidirettivo.
Quadro normativo. In base agli articoli 45 e 46 del d.lgs. n. 160 del 2006, le funzioni direttive e semidirettive hanno natura temporanea e sono conferite per la durata di 4 anni. Allo spirare del quadriennio il magistrato può essere confermato nell’ufficio, per una sola volta, a seguito di valutazione positiva del CSM circa l’attività svolta (e concerto con il Ministro della giustizia, per gli uffici direttivi). Se la valutazione del CSM è negativa il magistrato non può partecipare a concorsi per il conferimento di altri incarichi direttivi per 5 anni.
Il TU dirigenza giudiziaria, di cui alla Circolare del CSM del 28 luglio 2015, disciplina la procedura di conferma quadriennale agli articoli da 71 a 92, incentrata sulla valutazione della capacità organizzativa, di programmazione e di gestione dell’ufficio, alla luce dei risultati conseguiti e di quelli programmati, nonché dell’attività giudiziaria espletata dal magistrato, nella diversa misura in cui essa rilevi in relazione alla natura dell’incarico svolto di direzione o di collaborazione, alla funzione direttiva e alle dimensioni dell’ufficio (art. 71)
Il CSM deve in particolare valutare:
- il parere espresso dal Consiglio giudiziario (o dal Consiglio direttivo della Corte di Cassazione), che si fonderà sulla autorelazione del magistrato e sugli atti di una specifica istruttoria (art. 83);
- tutti gli atti richiamati e gli elementi esistenti presso lo stesso Consiglio Superiore (programmi organizzativi e tabellari, sentenze disciplinari e procedimenti pendenti, procedure pendenti o definite presso la Prima Commissione, attività di formazione), oltre agli esiti di eventuali ispezioni ministeriali e gli eventuali incarichi extragiudiziari espletati (art. 87).
Il TU prevede inoltre l'audizione del magistrato sottoposto alla valutazione di conferma quando la V Commissione referente (Commissione per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi) riscontra elementi che possano portare alla formulazione di un giudizio negativo.
In particolare, in base alla lettera g), il Governo dovrà prevedere che nel giudizio di conferma il CSM tenga conto:
§ delle osservazioni del Consiglio dell’ordine degli avvocati;
Si ricorda, invece, che l’art. 75 del TU dirigenza giudiziaria prevede che i Consigli giudiziari e il Consiglio direttivo della Corte di Cassazione debbano invitare il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, nel cui circondario è compreso l’ufficio ove presta servizio il magistrato da confermare, e, per quelli con competenza distrettuale, al Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del capoluogo del distretto, a far pervenire, entro 30 giorni, informazioni scritte in relazione a eventuali fatti specifici e a situazioni oggettive rilevanti per la valutazione delle attitudini direttive riguardanti l’incarico oggetto di valutazione.
§ dei pareri espressi dai magistrati dell’ufficio;
§ dei pareri del Presidente del tribunale, quando si debba confermare il procuratore della Repubblica, e del Procuratore della Repubblica, quando la conferma riguarda il Presidente del Tribunale;
Parere del CSM. In relazione al rilievo attribuito ai “pareri espressi dai magistrati dell’ufficio”, ai pareri del Presidente del Tribunale o del Procuratore della Repubblica ed alle osservazioni del Consiglio dell’Ordine degli avvocati nell’ambito delle procedure di conferma, il parere osserva come, rispetto ai “pareri” dei magistrati dell’ufficio e del dirigente dell’ufficio giudiziario “dirimpettaio”, la loro acquisizione introduca nella procedura dei veri e propri giudizi valutativi (in ipotesi anche non collegati a fatti specifici), che paiono di difficile inquadramento nell’ambito del procedimento e potenzialmente suscettibili di generare un ampio contenzioso. Generica è apparsa altresì l’attribuzione di rilevanza alle “osservazioni” degli avvocati risultando per contro opportuna la modulazione dei suoi contenuti in relazione all’attuale art. 75 T.U. cit., nel quale è già previsto un meccanismo di acquisizione dall’Organo dell’avvocatura (per il tramite del Presidente del Consiglio dell’Ordine), di specifiche informazioni scritte. Ad avviso del parere, inoltre, le valutazioni espresse dai magistrati dell’ufficio rischiano di far transitare, nell’ambito della procedura valutativa, elementi generici e fuorvianti, inducendo il dirigente a privilegiare scelte organizzative non ottimali ma gradite ai magistrati dell’’ufficio; analogamente rispetto ai pareri del dirigente dell’ufficio giudiziario “contrapposto”, i quali appaiono eccentrici rispetto al sistema di valutazione del dirigente e finalizzati ad acquisire valutazioni di risultato non coerenti con le caratteristiche della procedura di conferma.
§ dei provvedimenti tabellari e organizzativi redatti dal magistrato da confermare;
§ di alcuni rapporti (scelti a campione) redatti dal magistrato da confermare ai fini della valutazione di professionalità dei magistrati dell’ufficio.
Parere del CSM. Con favore è stato accolto il rilievo attribuito nella procedura di conferma ai provvedimenti organizzativi adottati nel tempo dal dirigente ed ai rapporti redatti ai fini delle valutazioni di professionalità; pur rendendosi in tal modo più pesante la documentazione, già copiosa, da valutare, essa contribuisce infatti ad un controllo più rigoroso del dirigente oggetto di conferma.
La lettera h) riguarda l’ipotesi del magistrato che, titolare di incarico direttivo o semidirettivo, non chiede alla scadenza del quadriennio una conferma nell’ufficio, conseguentemente non sottoponendosi - attualmente - alla procedura di valutazione. In questi casi, il disegno di legge delega il Governo a prevedere che l’attività svolta dal magistrato debba essere valutata comunque al termine del quadriennio; la valutazione dovrà poi essere tenuta in considerazione laddove il magistrato, successivamente, chieda di concorrere per il conferimento di altri incarichi direttivi o semidirettivi.
Questo principio di delega pare voler superare l’attuale automatismo, previsto dall’art. 92 del TU, in base al quale «Il conferimento di un diverso incarico direttivo o semidirettivo, successivo alla scadenza del primo quadriennio, costituisce implicita valutazione positiva delle funzioni direttive o semidirettive in precedenza svolte, rendendo superflua l’adozione di una delibera espressa di conferma».
La lettera i) delega il Governo a prevedere che il magistrato titolare di incarico direttivo o semidirettivo non possa partecipare a concorsi per il conferimento di un ulteriore incarico prima di cinque anni dall’assunzione delle funzioni. Dunque, a prescindere dal fatto che abbia o meno chiesto la conferma nelle funzioni al termine del quadriennio, il magistrato non potrà concorrere a un diverso incarico direttivo (o semindirettivo) se non saranno trascorsi 5 anni.
Parere del CSM. Il parere valuta con favore sia il mantenimento della necessità di una valutazione del primo quadriennio anche nel caso in cui il dirigente non richieda la conferma nell’incarico sia la previsione di un termine di legittimazione più lungo per il successivo trasferimento del magistrato dirigente.
Inoltre, in base alla lettera l) il Governo è delegato a prevedere che il CSM debba negare la conferma nell’incarico direttivo quando i provvedimenti organizzativi adottati dal magistrato nell’esercizio delle funzioni direttive siano stati reiteratamente rigettati dal Consiglio stesso per più di una volta nel corso del quadriennio. Tale reiterata bocciatura dovrà inoltre essere oggetto di valutazione in sede di eventuale partecipazione a ulteriori procedure per il conferimento di incarichi direttivi.
Parere del CSM. Il parere rileva che la modifica proposta, laddove intesa nel senso di prevedere che tale reiterata mancata approvazione possa essere ostativa alla conferma, appare muoversi nel solco tracciato dalle vigenti circolari; laddove invece mediante la stessa s’intenda attribuire al legislatore delegato la possibilità di prevedere che, tale reiterata approvazione, risulti sempre ostativa alla conferma, la norma desta non poche perplessità. Ad avviso del Consiglio, pertanto, sarebbe opportuno invitare il legislatore ad un chiarimento sull’effettiva portata della delega in oggetto, così da ricondurre espressamente, al prudente apprezzamento consiliare, la valutazione del reale peso delle censure mosse ai provvedimenti organizzativi e le conseguenze di tali censure sulla valutazione complessiva della funzione direttiva svolta dal magistrato sottoposto alla procedura di conferma.
La lettera m) specifica che tanto nel giudizio per l’attribuzione degli incarichi direttivi e semidirettivi, quanto in quello per la conferma, si debba tenere conto della capacità del magistrato di dare compiuta attuazione al progetto organizzativo dell’ufficio giudiziario.
Parere del CSM. Il parere valuta positivamente tale previsione pur rilevando che la stessa risulta di non facile comprensione; se intesa in senso proprio, sembra infatti limitare l’ambito applicativo della disposizione al solo strumento organizzativo adottato negli uffici di Procura, mentre è viceversa evidente la necessità di valorizzare tale aspetto anche in relazione al dirigente giudicante, il cui strumento organizzativo è, come è noto, denominato progetto tabellare.
Infine, la lettera n) delega il Governo a procedere ad una complessiva rivisitazione degli incarichi semidirettivi, al fine di contenerne il numero.
Parere del CSM. In merito, il parere evidenzia perplessità in relazione alla mancata individuazione dei criteri in base ai quali operare la riduzione.
Normativa vigente: prospetto delle funzioni semidirettive
Funzioni |
- giudicanti |
- requirenti |
Requisiti per il conferimento delle funzioni |
|
Semidirettive |
semidirettive di secondo grado |
- presidente di sezione presso la corte di appello |
- avvocato generale presso la corte di appello |
Quarta valutazione di professionalità (riserva del 10% dei posti a chi, con la Seconda o Terza valutazione di professionalità, possiede titoli professionali e scientifici adeguati) |
semidirettive elevate di primo grado |
- presidente della sezione GIP di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia |
|
Terza valutazione di professionalità |
|
semidirettive di coordinamento nazionale |
|
- procuratore nazionale aggiunto presso la direzione nazionale antimafia e antiterrorismo |
Quarta valutazione di professionalità (Aver svolto funzioni di PM per almeno 10 anni e avere maturato esperienza nella trattazione di procedimenti in materia di criminalità organizzata e terroristica). |
|
semidirettive di primo grado |
- presidente di sezione presso il tribunale ordinario; - presidente e presidente aggiunto della sezione GIP |
- procuratore aggiunto presso il tribunale |
Seconda valutazione di professionalità |
Il comma 2 dell’articolo 2 detta principi e criteri direttivi per la “riforma del procedimento di approvazione delle tabelle organizzative degli uffici giudicanti” (art. 1, lett. a), disciplinando la documentazione che il presidente della Corte d’appello dovrà allegare al progetto inviato al CSM e semplificando le successive procedure di approvazione.
Quadro normativo. In base all’art. 7-bis dell’Ordinamento giudiziario (R.D. n. 12 del 1941), ogni 3 anni il Consiglio superiore della magistratura approva, su proposta dei presidenti delle Corti d’appello e sentiti i consigli giudiziari, le tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti. La deliberazione del CSM assume poi la forma di decreto del ministro della giustizia.
Le tabelle contengono: l’eventuale ripartizione in sezioni dell’ufficio, con l’indicazione dei magistrati assegnati a ciascuna di esse e dei presidenti delle singole sezioni; la designazione dei magistrati ai quali è eventualmente attribuito il coordinamento della sezione o dell’ufficio Gip/Gup; la formazione dei collegi giudicanti; i criteri per l’assegnazione degli affari alle singole sezioni, ai singoli giudici e collegi; i criteri per la sostituzione dei giudici astenuti, ricusati o impediti.
Le tabelle degli uffici giudiziari si formano, oltre che nel rispetto dell’art. 7-bis OG, anche in conformità di normative secondarie date da circolari del CSM; l'ultima circolare sulla formazione delle tabelle degli uffici giudicanti 2020-2022 è stata emanata lo scorso 23 luglio.
L’iter di formazione delle tabelle è particolarmente complesso e si sviluppa attraverso i seguenti passaggi:
- le tabelle sono discusse all’interno dei singoli uffici giudiziari. I dirigenti degli uffici a tal fine devono raccogliere i contributi di tutti i magistrati, richiedere e acquisire i contributi eventualmente offerti dal Consiglio dell’ordine degli Avvocati e dal Procuratore della Repubblica; sentire il dirigente amministrativo e consultare la commissione flussi per una approfondita lettura dei dati e delle pendenze, e i comitati pari opportunità decentrati, nell'ambito della loro competenza istituzionale. Esaurita questa istruttoria il dirigente dell’ufficio giudiziario inserisce la c.d. segnalazione tabellare nel sistema informatico;
- il presidente della Corte d’appello formula, sulla base delle segnalazioni tabellari, una proposta di tabella che trasmette al Consiglio giudiziario, che formula un parere entro 60 giorni;
- acquisito il parere e valutate le osservazioni e controdeduzioni eventuali del dirigente dell’ufficio giudiziario, il presidente della Corte d’appello conferma o modifica l’iniziale proposta tabellare, inserendola in un modulo informatico standardizzato;
- la competente commissione del CSM procede all’esame della proposta tabellare entro 90 giorni;
- la tabella dell’ufficio è formata e diviene efficace con l’adozione della delibera del Consiglio Superiore della Magistratura e del decreto ministeriale che la recepisce.
Nel corso del triennio il presidente della Corte d'appello può formulare proposte di variazione tabellare, seguendo però tutte le fasi della procedura ordinaria appena descritta.
Anzitutto, si anticipa che il disegno di legge prevede (v. infra, articolo 8) che l’approvazione delle tabelle di organizzazione degli uffici debba essere effettuata ogni 4 anni (in luogo degli attuali 3).
Inoltre, le lettere a) e b) dell’articolo 2, comma 2, del disegno di legge individuano una ampia documentazione che il Presidente della Corte d’appello deve trasmettere al CSM unitamente alle proposte tabellari. Si tratta di documenti relativi all’organizzazione delle risorse e alla programmazione degli obiettivi di buon funzionamento degli uffici, da elaborare, sulla base di modelli standard predisposti dal CSM, anche sulla base dei risultati conseguiti nel quadriennio precedente. Criteri standard dovranno essere individuati dal CSM anche per l’elaborazione dei pareri dei consigli giudiziari.
La lettera c) individua principi e criteri direttivi per la semplificazione delle procedure di approvazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti, e conseguentemente dei progetti di organizzazione dell’ufficio del PM. Le tabelle saranno date per approvate se il CSM non si esprime in senso contrario entro un termine dato, sempre che non siano i magistrati dell’ufficio o il consiglio giudiziario a rilevare criticità (i primi presentando osservazioni, il secondo approvando le tabelle a maggioranza invece che all’unanimità).
Il comma 3 dell’articolo 2 individua principi e criteri direttivi per la revisione dei criteri di accesso alle funzioni di consigliere di Cassazione e di sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione (art. 1, co. 1, lett. a).
Quadro normativo. In base all’art. 10, comma 6, del d.lgs. n. 160 del 2006, le funzioni giudicanti di legittimità sono quelle di consigliere presso la Corte di cassazione e le funzioni requirenti di legittimità sono quelle di sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione.
Ai sensi dell’art. 12, comma 5 del medesimo provvedimento, per il conferimento di quelle funzioni è richiesto il conseguimento almeno della quarta valutazione di professionalità (e dunque almeno sedici anni di anzianità). Il criterio della quarta valutazione di professionalità può essere derogato (art. 12, comma 14), limitatamente al 10% dei posti vacanti, in favore di magistrati che abbiano conseguito la seconda o la terza valutazione di professionalità (e dunque che abbiano almeno 8 o 12 anni di anzianità) e siano in possesso di titoli professionali e scientifici adeguati. Il conferimento delle funzioni di legittimità in deroga alla quarta valutazione non produce alcun effetto sul trattamento giuridico ed economico spettante al magistrato, né sulla collocazione nel ruolo di anzianità o ai fini del conferimento di funzioni di merito.
Per il conferimento delle funzioni di legittimità il CSM deve valutare, attraverso una specifica commissione tecnica prevista dall’art. 12, comma 13, la capacità scientifica e di analisi delle norme dei candidati. Tale commissione è composta da 5 membri, di cui 3 scelti tra magistrati che hanno conseguito almeno la quarta valutazione di professionalità e che esercitano o hanno esercitato funzioni di legittimità per almeno 2 anni, un professore universitario ordinario designato dal Consiglio universitario nazionale ed un avvocato abilitato al patrocinio innanzi alle magistrature superiori designato dal Consiglio nazionale forense. I componenti della commissione durano in carica 2 anni e non possono essere immediatamente confermati nell'incarico.
L'organizzazione della commissione, i criteri di valutazione della capacità scientifica e di analisi delle norme ed i compensi spettanti ai componenti sono definiti con delibera del CSM (cfr. Circolare P. 13778 del 2014 e successive modifiche al 9 settembre 2020).
Se la Terza commissione del CSM, competente per il conferimento delle funzioni di legittimità, intende discostarsi dal parere espresso dalla commissione tecnica di cui all’art. 12 comma 13, deve motivare la sua decisione.
In base alla lettera a) del comma 3, il Governo dovrà modificare i presupposti per l’accesso alle funzioni di legittimità richiedendo l’esercizio effettivo delle funzioni di merito, giudicanti o requirenti, di primo o secondo grado per almeno 10 anni. La delega esclude che il periodo di tempo trascorso dal magistrato in posizione di fuori ruolo possa essere considerato al fine del raggiungimento del requisito dei 10 anni di esercizio delle funzioni.
Parere del CSM. Quanto al conferimento delle funzioni di legittimità il parere apprezza l’impianto normativo, che si propone di introdurre quale condizione preliminare ai fini del conferimento delle funzioni di legittimità: “l’effettivo esercizio delle funzioni giudicanti o requirenti di primo o secondo grado per almeno dieci anni”, valorizzando così l’esperienza maturata nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, in linea di continuità con quanto previsto dal DDL originario, escludendo altresì che l’esercizio dell’attività fuori del ruolo organico possa essere equiparato al merito, ma auspica il ritorno alla previsione del DDL secondo cui ai fini dell’accesso alle funzioni di legittimità, occorre lo svolgimento delle funzioni di merito per almeno quattordici anni.
La lettera b) precisa che, fermo il possesso dei presupposti specifici richiesti per l’attribuzione delle funzioni di legittimità, in caso di parità dovrà prevalere il candidato che abbia svolto per almeno 4 anni le funzioni di giudice presso la Corte d’appello.
In base alla lettera c) il Governo dovrà prevedere che la valutazione delle attitudini, del merito e dell’anzianità dei candidati alle funzioni di legittimità venga effettuata sulla base di parametri predefiniti ai quali siano connessi specifici punteggi. In particolare, per quanto attiene all’anzianità, ad ogni verifica di professionalità dovrà corrispondere l’attribuzione di un punteggio.
Quadro normativo. La Circolare del CSM del 2014, come modificata da ultimo nel 2020, già prevede un sistema di punteggi (artt. 83-85).
Per quanto riguarda le attitudini, in base all’art. 83 «gli elementi che rivelino nel magistrato una specifica attitudine per le funzioni richieste consentono di attribuire sino a punti 6». Per il merito, che consente l’attribuzione fino ad un massimo di 4,5 punti, l’art. 84 è maggiormente dettagliato prevedendo: 0,25 punti per ogni anno di positivo esercizio di funzioni di merito effettivamente svolte in primo grado; 0,30 punti per ogni anno di positivo ed effettivo esercizio di funzioni di secondo grado o di funzioni di magistrato addetto all’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione; 0,35 punti per ogni anno di positivo ed effettivo esercizio di funzioni di legittimità o di funzioni di magistrato addetto all’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di Cassazione in caso di applicazione alle sezioni della Corte di Cassazione. Il punteggio può poi essere ulteriormente aumentato di 0,50 punti se il magistrato ha positivamente esercitato l’attività giudiziaria per almeno 3 anni negli ultimi 5 rispetto alla data della delibera di pubblicazione dei posti. Il punteggio per il merito non può essere attribuito con riferimento agli anni cui si riferiscono i ritardi a colui che ha riportato condanna in sede disciplinare per ritardi nel deposito dei provvedimenti. Con particolare riferimento all’anzianità l’art. 85 prevede che debba essere calcolata dalla data del conseguimento della quarta valutazione di professionalità, fatta eccezione per il concorso riservato, e che per ogni anno di anzianità o frazione di anno superiore a sei mesi siano riconosciuti 0,50 punti, fino a un massimo di 3 punti.
La lettera d) esplicita i parametri da considerare nella valutazione delle attitudini del magistrato che aspira alle funzioni di legittimità. Si tratta:
§ di considerare le esperienze maturate nel lavoro giudiziario, in relazione allo specifico ambito di competenza, penale o civile, e alle specifiche funzioni giudicanti o requirenti, in cui si colloca il posto da conferire;
§ di attribuire rilevanza alla capacità scientifica e di analisi delle norme, da valutare anche tenendo conto degli andamenti statistici gravemente anomali degli esiti degli affari nelle successive fasi e nei gradi del procedimento e del giudizio;
§ di attribuire rilevanza altresì al pregresso esercizio di funzioni presso l’ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione.
Le lettere da e) a g) individuano principi e criteri direttivi per la formulazione di un parere motivato da parte della commissione tecnica che, ai sensi dell’art. 12, comma 13, del d.lgs. n. 160/2006, deve valutare la capacità scientifica e di analisi delle norme dei candidati al conferimento delle funzioni di legittimità.
In particolare:
§ in base alla lettera e) il Governo dovrà prevedere che la commissione esprima, alternativamente, uno dei seguenti giudizi: inidoneo, discreto, buono o ottimo. Il giudizio di “ottimo” potrà essere espresso solo a fronte di titoli di particolare rilievo;
§ in base alla lettera f), la Commissione tecnica dovrà fondare il parere sull’esame di provvedimenti estratti a campione nelle ultime tre valutazioni di professionalità e su provvedimenti, atti o pubblicazioni liberamente prodotti dai candidati; spetterà al CSM definire il numero di tali atti;
§ in base alla lettera g), le pubblicazioni andranno valutate con riguardo alla loro rilevanza scientifica;
§ in base alla lettera h), la Commissione dovrà valutare altresì la capacità scientifica e di analisi delle norme, in relazione alle funzioni sino a quale momento esercitate.
Attualmente, in base agli articoli 77 e 78 della Circolare n. 13778 del 2014 (recentemente modificati dalla delibera dell’9 settembre 2020), il magistrato che intenda ottenere il conferimento delle funzioni di legittimità ha l’onere di produrre, all’atto della domanda, la scheda di autorelazione, i provvedimenti giudiziari e gli altri titoli scientifici che ritenga utile allegare per la valutazione, salva la facoltà di richiamare i documenti già inseriti nel fascicolo personale. In particolare, devono essere prodotti 5 provvedimenti giudiziari redatti dal candidato negli ultimi dieci anni e possono essere prodotti titoli scientifici in numero non superiore a 5. Devono, inoltre, essere prodotti 10 provvedimenti giudiziari acquisiti a campione tra quelli adottati negli ultimi 5 anni dal magistrato.
La commissione tecnica procede dapprima alla valutazione dei provvedimenti giudiziari prodotti dal candidato, poi dei titoli scientifici e, per ciascun provvedimento e titolo formula un sintetico giudizio e successivamente valuta se la capacità scientifica e di analisi delle norme sia elevata, buona o discreta distintamente per i provvedimenti giudiziari nel loro complesso e per i titoli scientifici nel loro complesso. Infine, tenuto conto anche dei provvedimenti acquisiti a campione, formula un giudizio complessivo di non idoneità o di idoneità.
In base alla lettera i) il Governo dovrà inoltre prevedere che il parere della commissione tecnica chiamata a valutare la capacità scientifica e di analisi delle norme abbia “valore preminente” e che dunque il CSM lo possa disattendere solo in base a “eccezionali e comprovate ragioni”.
Si ricorda che, attualmente, in base all’art. 12, comma 16, del d.lgs. n. 160 del 2006, «la commissione del CSM competente per il conferimento delle funzioni di legittimità, se intende discostarsi dal parere espresso dalla commissione di cui al comma 13, è tenuta a motivare la sua decisione».
La lettera l) introduce uno specifico criterio per la valutazione delle attitudini del magistrato che sia stato posto per alcuni periodi in fuori ruolo. Le attività esercitate in tali periodi potranno essere valutate solo se sono assimilabili a quelle giudiziarie o comportano una comprovata capacità scientifica e di analisi delle norme.
Attualmente, in base all’art. 81 della Circolare n. 13778 del 2014, «la valutazione delle attitudini generiche e specifiche, con riferimento alle attività esercitate in posizione fuori dal ruolo organico della magistratura, è effettuata nei casi nei quali l’incarico abbia a oggetto attività assimilabili a quelle giudiziarie, giudicanti o requirenti, o che presuppongano particolare attitudine allo studio e alla ricerca giuridica o siano pertinenti, per le loro caratteristiche, con quelle proprie del posto richiesto e per l’esercizio delle relative funzioni giudiziarie».
La lettera m) delega il Governo a consentire il conferimento delle funzioni di legittimità, in deroga agli ordinari criteri di anzianità, nel limite del 10% dei posti vacanti, a magistrati che oltre ad avere titoli professionali e scientifici adeguati, abbiano ottenuto dalla Commissione tecnica il giudizio di “ottimo” (v. sopra, lett. d).
Si ricorda che la possibilità di conferire le funzioni di legittimità in deroga è attualmente prevista dall’art. 12, comma 14, del d.lgs. n. 160 del 2006.
Infine - analogamente a quanto previsto dal comma 1, lett. a), relativamente al conferimento delle funzioni direttive e semidirettive – la lettera n) prevede che ai procedimenti per il conferimento delle funzioni di legittimità si applichino i principi della legge n. 241 del 1990 e che tutti gli atti dei suddetti procedimenti siano pubblicati nel sito intranet del CSM.
L’articolo 3 contiene principi e criteri direttivi in merito alla valutazione di professionalità dei magistrati, con riferimento:
§ al funzionamento dei consigli giudiziari, nei quali è esteso il ruolo dei componenti laici ed è soprattutto consentito agli avvocati di esprimere un voto unitario sul magistrato in verifica;
§ ai criteri di valutazione della professionalità, tra i quali sono inseriti il rispetto dei programmi annuali di gestione dei procedimenti e l’esito degli affari nelle successive fasi del giudizio;
§ alla semplificazione della procedura di valutazione in caso di esito positivo della stessa;
§ al rapporto tra procedimento disciplinare e valutazione di professionalità;
§ all’istituzione del fascicolo per la valutazione del magistrato, da tenere in considerazione oltre che in sede di verifica della professionalità anche in sede di attribuzione degli incarichi direttivi e semidirettivi;
§ agli effetti di reiterati giudizi non positivi.
In base all’art. 1, comma 1, lett. b), il Governo è delegato a razionalizzare il funzionamento del consiglio giudiziario con riferimento alla necessità di assicurare la semplificazione, la trasparenza e il rigore nelle valutazioni professionalità. L’articolo 3 del disegno di legge individua i principi e criteri direttivi per l’attuazione di questa delega.
Quadro normativo. I Consigli giudiziari – disciplinati dal d.lgs. n. 25 del 2006 - sono organi “ausiliari” del Consiglio superiore della magistratura chiamati, su numerose materie e provvedimenti di competenza del CSM, ad esprimere pareri motivati (non vincolanti); essendo costituiti presso ciascun distretto di Corte d’appello, infatti, i consigli giudiziari hanno una conoscenza diretta del singolo magistrato o dell’ufficio interessato dalla decisione del Consiglio superiore della magistratura.
I principali ambiti su cui sono espressi i pareri sono:
- le tabelle di composizione degli uffici (cioè i criteri di assegnazione dei magistrati alle sezioni e dei procedimenti ai singoli magistrati)
- le valutazioni di professionalità dei magistrati
- il trattenimento in servizio o la cessazione dall’impiego dei magistrati
- l’incompatibilità dei magistrati
- gli incarichi extragiudiziari dei magistrati
- il passaggio di funzioni dei magistrati
- le attitudini al conferimento di incarichi direttivi o semidirettivi.
Infine, i Consigli giudiziari vigilano sul corretto funzionamento degli uffici del distretto, segnalando eventuali disfunzioni al CSM e al Ministro della Giustizia.
I consigli giudiziari, che durano in carica 4 anni, hanno un numero di componenti che varia in funzione del numero complessivo di magistrati in servizio nel distretto, ed una composizione mista (che richiama quella del CSM). Vi fanno parte, infatti:
- il Presidente della Corte d’Appello e il Procuratore generale presso la Corte d’Appello, che ne sono membri di diritto, in ragione della funzione svolta;
- magistrati con funzioni giudicanti e con funzioni requirenti, in servizio nel distretto ed eletti da tutti i magistrati del distretto stesso;
- uno o più professori universitari in materie giuridiche, nominati dal Consiglio universitario nazionale su indicazione delle facoltà di giurisprudenza del territorio di competenza del Consiglio giudiziario;
- due o più avvocati, con almeno 10 anni di iscrizione all’albo, nominati dal Consiglio nazionale forense su indicazione dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati del distretto.
I componenti non magistrati partecipano esclusivamente alle decisioni relative alle tabelle di composizione degli uffici e alle funzioni di vigilanza.
Si ricorda che su questo aspetto è pendente un referendum abrogativo: il quesito è volto proprio ad estendere la possibilità, per i componenti laici dei consigli giudiziari, di partecipare alle discussioni e di deliberare in relazione ad argomenti che al momento sono loro preclusi.
Le funzioni dei consigli giudiziari sono svolte, per quanto riguarda la Corte di Cassazione, dal Consiglio direttivo della Corte di cassazione che è dunque competente a formulare pareri sulle tabelle di organizzazione della Corte, sulle valutazioni di professionalità e sugli incarichi extragiudiziari dei magistrati in servizio presso la Corte stessa o la Procura generale, oltre che ad esprimere pareri a richiesta del CSM su materie attinenti alle competenze ad esso attribuite[5].
I Consigli giudiziari, e il Consiglio direttivo della Cassazione, sono dotati di autonomia regolamentare, ai sensi del d.lgs. 25/2006, con riferimento alle regole di funzionamento, all'organizzazione e allo svolgimento dei lavori. Al fine di omogeneizzare le scelte dei diversi organi, il CSM con la delibera 13 maggio 2020 ha dettato Linee guida per il funzionamento e l’organizzazione dei Consigli Giudiziari e del Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione.
In base al comma 1, lettera a), il Governo è delegato a intervenire sulla disciplina dei consigli giudiziari e del consiglio direttivo della Corte di Cassazione, per consentire ai membri laici – avvocati e professori universitari – di «partecipare alle discussioni e assistere alle deliberazioni» relative alla formulazione dei pareri per la valutazione di professionalità dei magistrati.
Rispetto alla disciplina vigente, che esclude che i componenti non magistrati possano partecipare alle discussioni sulle valutazioni di professionalità dei magistrati, il disegno di legge delega intende consentire loro la partecipazione alla discussione.
Inoltre, per la sola componente degli avvocati, la delega prevede la possibilità di esprimere un voto unitario in sede di deliberazione sulla valutazione di professionalità dei magistrati. Il presupposto per l’espressione del voto da parte dell’avvocatura è l’effettuazione di segnalazioni specifiche – positive o negative – sul magistrato in verifica da parte del consiglio dell’ordine. In tal caso, se gli avvocati presenti nel Consiglio giudiziario intendono discostarsi dal contenuto della segnalazione (ad esempio esprimendo una valutazione negativa a fronte di segnalazioni positive da parte del consiglio dell’ordine), dovranno preventivamente richiedere una nuova deliberazione al consiglio dell’ordine.
La disposizione non chiarisce se la successiva deliberazione del consiglio dell’ordine sia vincolante per l’espressione del voto da parte degli avvocati.
Si ricorda che in base all’art. 11, comma 4, lettera f), del decreto legislativo n. 160 del 2006, alla scadenza del periodo di valutazione il consiglio giudiziario deve acquisire e valutare, tra l’altro, «le segnalazioni pervenute dal consiglio dell'ordine degli avvocati, sempre che si riferiscano a fatti specifici incidenti sulla professionalità, con particolare riguardo alle situazioni eventuali concrete e oggettive di esercizio non indipendente della funzione e ai comportamenti che denotino evidente mancanza di equilibrio o di preparazione giuridica». Le segnalazioni del consiglio dell'ordine degli avvocati sono trasmesse al consiglio giudiziario dal presidente della corte di appello o dal procuratore generale presso la medesima corte, titolari del potere-dovere di sorveglianza, con le loro eventuali considerazioni e quindi trasmessi obbligatoriamente al CSM.
Parere del CSM. Sul tema delle valutazioni di professionalità il parere, con riferimento alla previsione di riconoscere alla componente laica degli avvocati la possibilità di esprimere un voto unitario sulla base delle segnalazioni manifesta “forti perplessità” per il fatto che i membri laici continuano a svolgere, nel corso del mandato consiliare, l’attività forense nello stesso distretto del magistrato in valutazione e sottolinea che l’apporto conoscitivo degli avvocati è già garantito dallo strumento delle segnalazioni ex art. 11 co. 4 d.lgs 160/2006, cui potrebbe accompagnarsi un specifico onere di approfondimento e di motivazione rafforzata in capo all’organo distrettuale in relazione agli eventuali profili critici evidenziati. Il parere rileva altresì l’irragionevolezza della previsione nella discriminazione che introduce rispetto alla componente laica dei professori universitari cui non è riconosciuto il diritto di voto.
I successivi principi di delega riguardano specificamente la procedura per le valutazioni di professionalità.
Quadro normativo. Le valutazioni di professionalità dei magistrati sono disciplinate dall’art. 11 del d.lgs. n. 160 del 2006, in base al quale tutti i magistrati, con cadenza quadriennale, per 7 volte, a partire dall’ingresso in magistratura e fino al ventottesimo anno di carriera sono sottoposti a una verifica volta ad accertare l’indipendenza, imparzialità ed equilibrio; le capacità; l’impegno; la diligenza; la laboriosità. La disciplina attuativa è data dalla Circolare del CSM n. 20691 dell’8 ottobre 2007 e successive modificazioni.
La valutazione viene effettuata dal CSM sulla base di un parere motivato del Consiglio giudiziario del distretto in cui presta servizio il magistrato da valutare (per i magistrati della Corte di Cassazione e della relativa Procura generale è competente il Consiglio direttivo istituito presso la Corte di Cassazione).
Il giudizio si forma sulla base di numerosi atti e documenti tra i quali, i più significativi sono:
la c.d. “autorelazione”, un documento in cui l’interessato dà conto di tutti gli elementi che ritiene necessario o utile sottoporre all’attenzione del Consiglio giudiziario e del CSM relativamente ai profili oggetto di valutazione;
gli atti e i provvedimenti del magistrato, nonché i verbali di udienza, acquisiti “a campione” nell’ambito di quelli redatti nel quadriennio in valutazione;
il c.d. “rapporto informativo”, che consiste in una relazione sui diversi aspetti rilevanti ai fini della valutazione, redatta dal dirigente dell’ufficio di appartenenza del magistrato, il soggetto cioè che, per ruolo e vicinanza all’interessato, meglio ne conosce il profilo professionale;
le statistiche inerenti il numero di provvedimenti redatti, i tempi di trattazione dei procedimenti, i tempi di deposito degli atti, anche in paragone con gli altri magistrati dell’ufficio;
eventuali pubblicazioni scientifiche;
eventuali segnalazioni del consiglio dell’ordine avvocati.
Il Consiglio giudiziario redige il parere, sulla base degli atti sopraindicati, motivando specificamente sui diversi profili oggetto di valutazione e formulando un giudizio - che può essere “positivo”, “carente”, “gravemente carente” o “negativo” – su ciascuno degli elementi in cui si scompone la valutazione stessa, e un giudizio complessivo, sulla base dei singoli “giudizi parziali”, che può essere positivo, non positivo, negativo.
Tale parere non è vincolante per il CSM, che formula il giudizio finale (“positivo”, “non positivo” o “negativo”).
In base alla lettera b) il Governo dovrà prevedere che ogni anno il CSM comunichi ai consigli dell’ordine degli avvocati interessati l’elenco nominativo dei magistrati che dovranno essere sottoposti a verifica. Ciò al fine di consentire:
§ all’Avvocatura di esprimere per tempo le proprie segnalazioni sui magistrati,
§ al Consiglio giudiziario – o al Consiglio direttivo della Corte di cassazione - di acquisire e valutare le segnalazioni dell’Avvocatura ai fini del parere da rendere al CSM.
La lettera c) interviene sul tipo di giudizio che può essere espresso dal CSM in sede di valutazione, per specificare che il giudizio “positivo” deve essere articolato, secondo criteri che dovranno essere predeterminati, in più specifiche valutazioni - discreto, buono o ottimo – con particolare riferimento alle capacità organizzative del magistrato.
Parere del CSM. Il Consiglio formula osservazioni critiche sulla previsione di un giudizio ad hoc – graduato in discreto, buono e ottimo - sulla capacità del magistrato di organizzare il proprio lavoro che introduce un aspetto di comparazione estraneo alla procedura di valutazione incentrata sulla verifica della permanenza dei requisiti di capacità, laboriosità, diligenza e impegno e rischia di creare una classifica tra magistrati che potrebbe creare tensione negli uffici.
La lettera d) richiede che in sede di valutazione della laboriosità del magistrato (art. 11, co. 2, lett. b) del d.lgs. n. 160 del 2006) si tenga conto del rispetto dei programmi annuali di gestione dei procedimenti ai fini di riduzione dell’arretrato e della durata dei procedimenti (art. 37, d.l. n. 98 del 2011, v. infra art. 14 d.d.l.).
Parere del CSM. Il parere del Consiglio valuta non pertinente alla verifica della professionalità, il criterio del rispetto del programma di gestione ex art. 37 D.L. 98/2011, che attiene agli obiettivi di rendimento dell’intero ufficio e non del singolo magistrato.
Le lettere e) ed f) riguardano la valutazione di professionalità dei magistrati esonerati, nel periodo di riferimento per la valutazione, dall’attività giudiziaria prevedendo:
§ che essi debbano comunque produrre documentazione idonea alla valutazione;
§ che non siano sottoposti a valutazione i periodi di aspettativa del magistrato per lo svolgimento di incarichi elettivi e di governo, a qualsiasi livello (sul punto v. anche infra art. 15 e ss. d.d.l.).
La lettera g) richiede che in sede di valutazione della capacità del magistrato (art. 11, co. 2, lett. a) del d.lgs. n. 160 del 2006) il consiglio giudiziario debba:
§ acquisire informazioni necessarie ad accertare la sussistenza di gravi anomalie in relazione all’esito degli affari nelle successive fasi;
§ acquisire a campione i provvedimenti relativi all’esito degli affari trattati dal magistrato nelle successive fasi.
Si ricorda che in base all’art. 11, co. 2, lett. a) la capacità del magistrato, oltre che alla preparazione giuridica e al relativo grado di aggiornamento, è riferita anche al possesso delle tecniche di argomentazione e di indagine, «anche in relazione all'esito degli affari nelle successive fasi e nei gradi del procedimento e del giudizio».
La lettera h) prevede che in sede di attuazione della delega sulle valutazioni di professionalità (ma anche ai fini dell’attribuzione degli incarichi direttivi, semidirettivi e delle funzioni di legittimità) il Governo debba prevedere l’istituzione del fascicolo per la valutazione del magistrato e raccordare tale disciplina con quella attuale del fascicolo personale del magistrato.
Il fascicolo dovrà contenere, per ogni annualità, tra l’altro:
§ dati statistici e documentazione sull’attività svolta (inclusa l’attività cautelare);
§ dati sulla tempestività nell’adozione dei provvedimenti;
§ eventuali anomalie relative all’esito degli affari trattati nelle fasi successive.
Inoltre, in base alla lettera i) il Governo dovrà semplificare la procedura di valutazione di professionalità con esito positivo, prevedendo:
§ che la relazione del magistrato sul lavoro svolto e su quanto altro egli ritenga utile, ivi compresa la copia di atti e provvedimenti che il magistrato ritiene di sottoporre ad esame (ex art. 11, comma 4, lettera b), d.lgs. n. 160 del 2006), contenga esclusivamente i dati conoscitivi sull’attività giudiziaria svolta, anche in sede di mediazione e conciliazione, indispensabili alla valutazione di professionalità, e che sia redatta secondo le modalità e i criteri definiti dal CSM;
§ che il parere del consiglio giudiziario possa essere sinteticamente motivato quando adesivo rispetto alle conclusioni positive del rapporto del capo dell’ufficio giudiziario;
§ che il CSM possa esprimere il proprio giudizio positivo sulla valutazione di professionalità – dopo aver preso in considerazione tutti gli elementi imposti dalla normativa vigente - con provvedimento motivato per relazionem, richiamando il parere del consiglio giudiziario.
Parere del CSM. Il Consiglio valuta in maniera favorevole lo snellimento della procedura di valutazione attraverso la previsione di una motivazione semplificata da parte del Consiglio giudiziario e di una motivazione per relationem del Consiglio Superiore, nel caso esse convergano verso un giudizio positivo; si apprezza altresì che il rapporto del capo dell’ufficio debba essere corredato da apposita motivazione piuttosto che limitarsi ad una mera conferma dell’autorelazione, com’era nel DDL originario, e in ogni caso il parere rimarca la centralità del potere valutativo del Consiglio Giudiziario.
La lettera i), n. 4 interviene, in particolare, sul rapporto tra procedimento disciplinare e valutazione di professionalità, stabilendo che i fatti accertati in via definitiva in sede disciplinare debbano comunque essere oggetto di valutazione ai fini della progressione della carriera, anche se l’illecito si colloca in un quadriennio anteriore a quello sul quale verte la valutazione.
Parere del CSM. Il parere valuta con favore che ai fini del giudizio sulla professionalità si debba tener conto di un fatto accertato in via definitiva in sede disciplinare, anche se risalente al quadriennio precedente a quello in valutazione, se all’epoca non considerato, poiché, pur escludendo ogni automatismo tra i due giudizi, in tal modo si perviene ad una ricostruzione completa del profilo professionale del magistrato.
Quadro normativo. I procedimenti per far valere la responsabilità disciplinare (d.lgs. n. 109 del 2006) e per valutare la professionalità del magistrato al fine della progressione di carriera (d.lgs. n. 160 del 2006) sono diversi per natura, finalità e conseguenze. Infatti, il procedimento disciplinare assume natura giurisdizionale mentre la verifica della professionalità si realizza attraverso un procedimento amministrativo; di conseguenza, le pronunce della sezione disciplinare, che rivestono la forma delle ordinanze e delle sentenze, sono impugnabili dinanzi alle SSUU civili della Cassazione mentre contro le delibere dell’assemblea plenaria del CSM si può ricorrere davanti al giudice amministrativo.
Riguardo all’oggetto, inoltre, mentre il giudizio disciplinare verte su singoli comportamenti che rilevano in quanto sussumibili in una delle condotte qualificate come illeciti disciplinari, il giudizio di professionalità riguarda il lavoro del magistrato nel suo complesso attraverso l’esame delle funzioni esercitate in ruolo o fuori ruolo nel quadriennio sottoposto a valutazione sulla base dei prerequisiti dell’equilibrio, dell’autonomia, dell’indipendenza e dei parametri della capacità, della laboriosità, della diligenza e dell’impegno.
Il giudizio disciplinare si conclude con l’affermazione o l’esclusione della responsabilità e, quindi, con l’applicazione o meno di una sanzione. Il giudizio di professionalità può condurre al positivo riconoscimento della valutazione o alla sua negazione attraverso un esito non positivo o negativo. Peraltro, non necessariamente le sanzioni disciplinari sono più afflittive delle conseguenze sul piano professionale di una valutazione non positiva o negativa. La rimozione, ad esempio, nella scala delle sanzioni disciplinari è una misura estrema, mentre due valutazioni negative consecutive determinano la dispensa dal servizio.
Se prima del 2006 la legge consentiva di valutare ai fini della progressione in carriera ogni elemento reputato necessario per un migliore apprezzamento del magistrato, con la riforma da una parte gli interessi oggetto di tutela disciplinare sono stati tipizzati (imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo, equilibrio e rispetto della dignità della persona) e dall’altra anche per la progressione in carriera sono stati previsti precisi parametri da rispettare (capacità, laboriosità, diligenza e impegno) che la Circolare del CSM che disciplina la valutazione di professionalità ha integrato con l’individuazione dei prerequisiti dell’esercizio corretto dell’attività giudiziaria (indipendenza, imparzialità ed equilibrio). Appare evidente che i parametri delle valutazioni di professionalità e agli interessi oggetto di tutela disciplinare in parte coincidono (diligenza e laboriosità) e che coincidono anche due prerequisiti (imparzialità ed equilibrio); non coincidono, invece, capacità e impegno, che sono parametri per le valutazioni di professionalità e non interessi espressamente oggetto di tutela disciplinare.
In assenza oggi di una clausola generale come la previgente, il campo delle interferenze tra procedimento disciplinare e valutazione di professionalità è dunque più circoscritto e non prevede automatismi[6] né tantomeno pregiudizialità.
Quanto alla possibilità di acquisire atti, documenti, fonti di conoscenza per le valutazioni di professionalità, in base all’art. 11, comma 4, lett. a, del d.lgs. n. 160/2006 il consiglio giudiziario deve acquisire e valutare «le informazioni disponibili presso il CSM e il Ministero della giustizia anche per quanto attiene agli eventuali rilievi di natura contabile e disciplinare» mentre la Circolare del CSM si limita a disporre che si può tenere conto di elementi che attengono alla sfera privata del magistrato solo se sono «provvisti di rilievo ai fini dell’art. 2 r.d.l. 31 maggio 1946, n. 511, disciplinare o penale»; in questi casi, il Consiglio giudiziario o il Consiglio direttivo della Cassazione ne verificano l’incidenza sulle qualità professionali del magistrato, anche con riferimento al profilo dell’attualità qualora si tratti di elementi relativi a periodi oggetto di pregresse valutazioni.
Tra le fonti di conoscenza, acquisibili e utilizzabili ai fini della valutazione di professionalità, vi sono, pertanto, le informazioni disponibili presso la segreteria della sezione disciplinare (Capo VII, n. 1, circolare), cui si potrà accingere in sede di verifica della laboriosità e della capacità del magistrato. Il giudizio positivo sulla capacità, ad esempio, presuppone che non risultino «violazioni di norme giuridiche e errori di fatto rilevanti in sede disciplinare». Ciò non comporta, peraltro, una pregiudizialità disciplinare che determini l’automatica sospensione del procedimento concernente la valutazione, salvo i casi di sospensione dalle funzioni e dello stipendio. In tutte le altre ipotesi di pendenza di un procedimento disciplinare, anche anteriormente all’esercizio dell’azione, la Commissione può sospendere, con provvedimento motivato, la procedura per il conseguimento della valutazione di professionalità, sempre che l’accertamento dei fatti oggetto del procedimento incida sulla definizione della procedura di valutazione. La circolare, quindi, sottolinea l’autonomia dei due giudizi e il sistema attuale consente di valutare i fatti posti alla base del procedimento disciplinare solo se incidono su uno degli elementi necessari a fondare il giudizio di professionalità.
Per completezza, si ricorda invece che il Testo unico sulla dirigenza giudiziaria (Circolare CSM n.P?14858?2015 del 28 luglio 2015) espressamente dispone che «le decisioni adottate dalla Sezione Disciplinare nei confronti degli aspiranti sono comunque oggetto di valutazione» e che «le condanne disciplinari sono di regola preclusive al conferimento dell'ufficio in caso di irrogazione della sanzione della perdita dell'anzianità oppure nell’ipotesi di condanna alla censura per fatti commessi nell'ultimo decennio» (art. 37).
Infine, in base alla lettera l), il Governo è delegato a intervenire sull’attuale disciplina degli effetti di un giudizio “non positivo” o “negativo”.
Attualmente, in base all’art. 11, commi 9-13, del d.lgs. n. 160 del 2006:
- il giudizio di professionalità può essere «positivo», «non positivo» o «negativo»;
- il giudizio è “positivo” quando la valutazione risulta sufficiente in relazione a ciascuno dei parametri individuati dall’art. 11, comma 2;
- il giudizio è “non positivo” quando la valutazione evidenzia carenze in relazione a uno o più dei medesimi parametri. In questo caso, il CSM procede a nuova valutazione di professionalità dopo un anno, acquisendo un nuovo parere del consiglio giudiziario; in tal caso il nuovo trattamento economico o l'aumento periodico di stipendio sono dovuti solo a decorrere dalla scadenza dell'anno se il nuovo giudizio è "positivo". Peraltro, nel corso dell'anno antecedente alla nuova valutazione non può essere autorizzato lo svolgimento di incarichi extragiudiziari;
- il giudizio è “negativo” quando la valutazione evidenzia carenze gravi in relazione a due o più dei suddetti parametri o il perdurare di carenze in uno o più dei parametri quando l'ultimo giudizio sia stato "non positivo". In caso di giudizio negativo il magistrato è sottoposto a nuova valutazione di professionalità dopo un biennio. Il CSM può richiedere la partecipazione del magistrato a corsi di riqualificazione professionale, può assegnarlo a una diversa funzione o escluderlo, fino alla successiva valutazione, dalla possibilità di accedere a incarichi direttivi o semidirettivi o a funzioni specifiche. Anche in questo caso il magistrato non può essere autorizzato allo svolgimento di incarichi extragiudiziari. Inoltre, la valutazione negativa comporta la perdita del diritto all'aumento periodico di stipendio per un biennio. Il nuovo trattamento economico eventualmente spettante é dovuto solo a seguito di giudizio positivo e con decorrenza dalla scadenza del biennio. Se il CSM, previa audizione del magistrato, esprime un secondo giudizio negativo, il magistrato è dispensato dal servizio.
Nell’esercizio della delega il Governo dovrà prevedere:
§ che ad un giudizio “non positivo”, seguito dopo un anno da una valutazione che evidenzia il perdurare di carenze, non faccia seguito necessariamente il giudizio “negativo” (come attualmente previsto), ma debbano essere comunque previsti effetti sulla progressione economica e sull’attribuzione delle funzioni;
§ che ad un giudizio “negativo”, seguito dopo un biennio da un giudizio “non positivo” non faccia seguito necessariamente la dispensa dal servizio, ma debbano essere previsti ulteriori effetti negativi in riferimento alla progressione economica e all’attribuzione delle funzioni.
L’articolo 4 detta principi e criteri direttivi per la riforma della disciplina dell’accesso alla magistratura, con l’intento dichiarato di abbandonare l'attuale modello del concorso di secondo grado, così da ridurre i tempi che intercorrono tra la laurea dell'aspirante magistrato e la sua immissione in ruolo. Il Governo è altresì delegato:
- a consentire lo svolgimento del tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari anche ai laureandi in giurisprudenza;
- a prevedere che la Scuola superiore della magistratura organizzi corsi di preparazione al concorso destinati a coloro che abbiano svolto il predetto tirocinio formativo oltre che a coloro che abbiano prestato la propria attività nell'ambito dell'ufficio del processo, in attuazione dell'investimento previsto dal PNRR;
- a riformare tanto le prove scritte (tre, volte a verificare le capacità di inquadramento teorico sistematico del candidato) quanto quelle orali, nell'ottica di una riduzione delle materie.
Quadro normativo. L'accesso alla magistratura ordinaria prevede due snodi fondamentali: il superamento del concorso pubblico per esami; l'espletamento, con esito positivo, di un periodo di tirocinio.
Alla magistratura professionale si accede per concorso pubblico (art. 106, primo comma, Cost.), oggi disciplinato dal capo I del decreto legislativo n. 160 del 2006. Il concorso è strutturato sulla falsariga di un concorso di secondo grado. Alle prove scritte sono ammessi, infatti, coloro che già hanno accumulato esperienze professionali – magistrati amministrativi e contabili, avvocati, pubblici dipendenti con specifiche funzioni o qualifiche, professori universitari, magistrati onorari – o formative - come diplomi postuniversitari di perfezionamento, dottorati di ricerca in materia giuridiche, o anche il tirocinio presso gli uffici giudiziari. La selezione è attuata mediante esame scritto e orale in materie giuridiche.
I vincitori del concorso assumono la qualifica di "magistrati ordinari in tirocinio" e svolgono un periodo, appunto, di tirocinio, della durata complessiva di 18 mesi e articolato in corsi di approfondimento teorico-pratico (che si tengono presso la Scuola superiore della magistratura) e sessioni presso uffici giudiziari. Queste ultime prevedono una prima fase, il c.d. tirocinio generico, in cui i magistrati in tirocinio frequentano tutti gli uffici giudiziari, affiancando i magistrati già in servizio nello svolgimento delle funzioni giudiziarie, e una seconda fase, il c.d. tirocinio mirato, in cui i magistrati concentrano il tirocinio sulle funzioni che concretamente essi svolgeranno al momento della destinazione agli uffici giudiziari. Il magistrato in tirocinio non esercita funzioni giudiziarie.
Concluso il tirocinio, il Consiglio superiore della magistratura - sulla base delle relazioni, redatte dai magistrati affidatari presso gli uffici giudiziari e dai tutor della Scuola superiore della magistratura e inerenti l'attività svolta durante il periodo di tirocinio - valuta l’idoneità del magistrato a esercitare le funzioni giudiziarie.
Se il giudizio è positivo, vengono conferite le funzioni giurisdizionali e assegnata una sede di servizio. In caso di valutazione negativa, il magistrato ordinario è ammesso a un nuovo periodo di tirocinio della durata di un anno. L’eventuale seconda valutazione negativa determina la cessazione del rapporto di impiego del magistrato ordinario in tirocinio.
In particolare, il Governo, nell’esercizio della delega dovrà:
§ consentire la partecipazione al concorso in magistratura ai laureati in giurisprudenza, senza richiedere ulteriori titoli o pregresse esperienze professionali; si dovrà dunque abbandonare il modello del concorso di secondo grado (comma 1, lett. a).
Si ricorda che il concorso in magistratura è divenuto di secondo grado con la riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006. Prima, infatti, potevano partecipare al concorso i laureati in giurisprudenza, semplicemente a compimento del percorso di studi universitario. La crescita notevole dei candidati al concorso a partire dagli anni ’90 del secolo scorso ha dapprima indotto il legislatore a prevedere - dal 1997 al 2004 - una prova preselettiva informatizzata, per scremare i partecipanti agli scritti, e poi, a ristrutturare il concorso, mediante la previsione di titoli aggiuntivi rispetto alla laurea in giurisprudenza (art. 2 del d.lgs. n. 160 del 2006)[7].
Come rilevato dalla Commissione di studio sulla ricognizione delle attività formative finalizzate all’accesso alla magistratura ordinaria, istituita dal Ministro Orlando nel 2017, alla cui relazione si rinvia, l’intento deflattivo della partecipazione al concorso è stato solo in parte conseguito (nel 2008, a ridosso della riforma, furono presentate ben 31.857 domande al concorso) mentre indubbiamente si è innalzata l’età di ingresso in magistratura (dai 25 anni di età media degli anni ‘60 si è passati agli attuali 33 anni). Per la citata Commissione il concorso di secondo grado ha prodotto, inoltre, un ulteriore effetto negativo determinando, con l’innalzamento dell’età media dei partecipanti, «una selezione anche censitaria delle persone che possono parteciparvi, dal momento che le famiglie meno abbienti non hanno la possibilità economica di mantenere i figli allo studio per un numero così elevato di anni».
Parere del CSM sugli emendamenti del Governo al d.d.l. C. 2681
Il parere, valutando positivamente il ritorno al concorso di primo grado – peraltro già auspicato dal CSM nella risoluzione del 7 dicembre 2021 – evidenzia l'urgenza del ritorno a tale modalità di concorso segnalando l'opportunità di ricorrere a prescrizioni puntuali piuttosto che a una legge delega.
§ consentire lo svolgimento del tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari anche ai laureandi in giurisprudenza, senza attendere, come oggi previsto dall’art. 73 del decreto-legge n. 69 del 2013, il conseguimento della laurea. In particolare, il Governo è delegato a prevedere la facoltà di svolgere il tirocinio dopo il superamento dell’ultimo esame del corso di studi in giurisprudenza, nelle more della discussione della tesi di laurea (comma 1, lett. b).
Si ricorda che in base all'art. 73 del decreto-legge n. 69 del 2013, i laureati in giurisprudenza, che abbiano riportato una media di almeno 27/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo, ovvero un punteggio di laurea non inferiore a 105/110 e che non abbiano compiuto i 30 anni di età, possono accedere, a domanda e per una sola volta, a un periodo di formazione teorico-pratica presso la Corte di Cassazione, le Corti di appello, i tribunali ordinari, la Procura generale presso la Corte di cassazione, gli uffici requirenti di primo e secondo grado, gli uffici e i tribunali di sorveglianza e i tribunali per i minorenni della durata complessiva di 18 mesi. I laureati, con i medesimi requisiti, possono accedere a un periodo di formazione teorico-pratica, della stessa durata, anche presso il Consiglio di Stato, sia nelle sezioni giurisdizionali che consultive, e i Tribunali Amministrativi Regionali.
Per l'accesso allo stage gli interessati presentano domanda ai capi degli uffici giudiziari.
Gli ammessi allo stage sono affidati a un magistrato, che assistono e coadiuvano nel compimento delle ordinarie attività; hanno accesso ai fascicoli processuali, partecipano alle udienze del processo, anche non pubbliche e dinanzi al collegio, nonché alle camere di consiglio, salvo che il giudice ritenga di non ammetterli.
Lo svolgimento dello stage non dà diritto ad alcun compenso e non determina il sorgere di alcun rapporto di lavoro subordinato o autonomo né di obblighi previdenziali e assicurativi. Agli ammessi allo stage è peraltro attribuita una borsa di studio determinata in misura non superiore ad euro 400 mensili.
L'esito positivo dello stage costituisce, tra l’altro, titolo per l'accesso al concorso per magistrato ordinario.
§ prevedere che la Scuola superiore della magistratura organizzi, anche in sede decentrata, corsi di preparazione al concorso per magistrato ordinario per laureati che abbiano in corso o abbiano svolto il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari (v. sopra) o abbiano prestato attività nell’ufficio del processo nell’ambito delle assunzioni a tempo determinato previste dal PNRR. I costi di partecipazione dovranno essere parametrati alle condizioni reddituali dei partecipanti (comma 1, lett. c).
Si ricorda che per sostenere gli interventi di riforma della giustizia attraverso l'investimento in capitale umano per rafforzare l'ufficio del processo e superare le disparità tra tribunali, il PNRR stanzia 2.342,1 milioni di euro.
L'obiettivo principale dell'intervento è offrire un concreto ausilio alla giurisdizione, così da poter determinare un rapido miglioramento della performance degli uffici giudiziari per sostenere il sistema nell'obiettivo dell'abbattimento dell'arretrato e ridurre la durata dei procedimenti civili e penali. Il Governo prevede di realizzare l'obiettivo, in primo luogo, attraverso il potenziamento dello staff del magistrato con professionalità in grado di collaborare in tutte le attività collaterali al giudicare (ricerca, studio, monitoraggio, gestione del ruolo, preparazione di bozze di provvedimenti).
Nel rispetto della tempistica dettata dal PNRR, il decreto-legge n. 80 del 2021 ha dettato modalità speciali per il reclutamento del personale per l'attuazione del PNRR da parte delle amministrazioni pubbliche. In particolare, per il Ministero della Giustizia sono intervenuti gli artt. 11 e ss. che autorizzano il Ministero a reclutare (v. focus):
· nel periodo 2021-2024, in due scaglioni, un contingente massimo di 16.500 unità di addetti all'ufficio per il processo, con contratto di lavoro a tempo determinato della durata massima di due anni e sette mesi per il primo scaglione e di due anni per il secondo (400 unità dovranno essere destinate alla corte di cassazione);
· nel periodo 2021-2026, con contratto di lavoro a tempo determinato della durata massima di trentasei mesi, con decorrenza non anteriore al 1° gennaio 2022, un contingente massimo di 5.410 unità di personale amministrativo.
Nel lungo periodo, al fine di non disperdere lo sforzo e i risultati conseguiti con il reclutamento temporaneo di personale, laddove sia possibile, nel PNRR il Governo dichiara di voler stabilizzare la struttura organizzativa così costituita per mantenere inalterata la sua composizione e funzione. A tal fine è costruito un sistema di incentivi e corsie preferenziali volto al reclutamento e alla stabilizzazione delle risorse assunte in via temporanea.
Parere del CSM sugli emendamenti del Governo al d.d.l. C. 2681
Nel giudicare condivisibile la previsione del dovere della Scuola superiore della magistratura di organizzare i corsi di preparazione al concorso per magistrato ordinario, il parere ha segnalato, però, che la stessa dovrà essere dotata di idonee risorse e che l’accesso non solo dovrebbe essere gratuito per gli appartenenti a nuclei familiari che non posseggono un reddito elevato, ma dovrebbe essere assicurato attraverso la previsione di borse di studio che consentano alle famiglie di provenienza di affrontare i costi di un periodo di studi di certo non breve.
§ prevedere che gli scritti del concorso in magistratura debbano essere tre (civile, penale e amministrativo, anche alla luce del diritto dell’Unione europea) e debbano essere volti a verificare la capacità di inquadramento teorico-sistematico del candidato (comma 1, lett. d);
§ prevedere una riduzione delle materie oggetto della prova orale del concorso per magistrato ordinario, mantenendo almeno le seguenti: diritto civile, diritto penale, diritto processuale civile, diritto processuale penale, diritto amministrativo, diritto costituzionale, diritto dell’Unione europea, diritto del lavoro, diritto della crisi e dell’insolvenza ed ordinamento giudiziario, fermo il colloquio in lingua straniera (comma 1, lett. e);
Si ricorda che attualmente, mentre la prova scritta consiste nello svolgimento di tre elaborati teorici, rispettivamente vertenti sul diritto civile, sul diritto penale e sul diritto amministrativo, la prova orale verte su:
a) diritto civile ed elementi fondamentali di diritto romano;
b) procedura civile;
c) diritto penale;
d) procedura penale;
e) diritto amministrativo, costituzionale e tributario;
f) diritto commerciale e fallimentare;
g) diritto del lavoro e della previdenza sociale;
h) diritto comunitario;
i) diritto internazionale pubblico e privato;
l) elementi di informatica giuridica e di ordinamento giudiziario;
m) colloquio su una lingua straniera (a scelta fra inglese, spagnolo, francese e tedesco).
In base alla delega, dunque, il Governo potrebbe eliminare dalla prova orale le seguenti discipline:
§ elementi fondamentali di diritto romano;
§ diritto tributario;
§ diritto commerciale;
§ diritto della previdenza sociale;
§ diritto internazionale pubblico e privato;
§ elementi di informatica giuridica.
L’articolo 5, detta principi e criteri direttivi per il riordino della disciplina del fuori ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili.
Diversamente dagli interventi operati in precedenza (si pensi alla legge n. 190 del 2012), il legislatore non intende intervenire sul fuori ruolo dei magistrati militari (per quanto l’art. 39 del d.d.l. deleghi il Governo a “mantenere, per quanto compatibile, l’equiparazione dei magistrati militari ai corrispondenti magistrati ordinari”) e degli avvocati e procuratori dello Stato.
Peraltro, i magistrati militari sono inclusi negli interventi previsti dal disegno di legge al Capo III, in tema di eleggibilità e ricollocamento dei magistrati.
Quadro normativo. Il collocamento fuori ruolo è la destinazione di un dipendente pubblico ad una amministrazione o organo diversi da quello di appartenenza, per svolgervi temporaneamente una prestazione lavorativa.
La disciplina generale dell’istituto è contenuta agli artt. 58 e 59 del TU dello Statuto degli impiegati civili dello Stato (DPR n. 3 del 1957). I presupposti per cui può essere disposto il fuori ruolo consistono nel caso in cui l'impiegato debba svolgere funzioni che, seppur attinenti agli interessi della amministrazione di appartenenza, non rientrano nei suoi compiti istituzionali (ad esempio attività di ricerca scientifica, studio, documentazione). L'impiegato collocato fuori ruolo non occupa posto nella qualifica del ruolo organico cui appartiene (cd. soprannumero) e il suo posto in organico può essere ricoperto da altri[8]. Al collocamento fuori ruolo (su richiesta dell’amministrazione richiedente o dello stesso dipendente) si provvede con decreto del ministro competente di concerto con il ministro dell’economia, sentito il dipendente. Il periodo di tempo trascorso in posizione di comando o fuori ruolo resta comunque valido ai fini della progressione in carriera, della attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e previdenza.
L’ordinamento giudiziario (RD 12/1941) prevede il collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari destinati al Ministero della giustizia (art. 196); analogo collocamento è previsto per incarichi speciali non previsti da leggi o da regolamenti, conferiti dal Ministro della giustizia o con il suo consenso (art. 210).
Ulteriori, e numerose, ipotesi di collocamento fuori ruolo dei magistrati sono poi previste in leggi speciali, che hanno ampliato il catalogo sopra descritto. La legge non prevede limiti specifici relativi all’amministrazione di destinazione o al tipo di incarico, ma fissa un limite massimo di magistrati che possono essere collocati fuori ruolo, limite che attualmente è fissato a 200 unità (ai sensi del d.l. n. 143 del 2008). Tale previsione è funzionale a contemperare una duplice esigenza: per un verso, evitare un eccessivo allontanamento dei magistrati dagli uffici giudiziari e, per altro verso, consentire comunque, entro determinati limiti, che i magistrati possano apportare il proprio patrimonio di conoscenze ed esperienze professionali ad altre amministrazioni statali o internazionali.
L’art. 15 della legge 195/1958 prevede che il CSM deliberi il collocamento fuori ruolo, oltre che per le assegnazioni di magistrati al Ministero della giustizia, anche per il conferimento agli stessi, in base alle norme vigenti, di incarichi estranei alle loro funzioni. Un eventuale diniego del CSM può essere motivato solo sulla base della sussistenza di “gravi esigenze di servizio”.
I poteri del CSM sono regolamentati dalla normativa primaria e dalla Circolare n. 13778 del 2014, che disciplina nel dettaglio le condizioni formali e sostanziali per concedere l’autorizzazione. Gli incarichi autorizzabili sono:
- quelli di diretta collaborazione, previsti dalla legge, presso organi istituzionali (capo di gabinetto, capo di gabinetto vicario, capo ufficio legislativo, capo ufficio legislativo vicario, nonché incarichi apicali assimilabili ai medesimi);
- quelli caratterizzati dall’esercizio di funzioni giudiziarie e giurisdizionali presso organismi internazionali (ivi compresi gli incarichi di magistrato di collegamento e quelli di coordinamento di attività giudiziarie e giurisdizionali);
- quelli presso il Ministero della giustizia.
Tutti gli altri incarichi possono essere autorizzati solo ove vi sia l’esigenza di attribuirli esclusivamente a magistrati.
Le condizioni per l'autorizzazione riguardano: la qualificazione professionale minima per il collocamento fuori ruolo, la situazione dell'ufficio di provenienza, l'eventuale periodo già trascorso fuori ruolo dal magistrato. Il Consiglio, inoltre, valuta la compatibilità dell’incarico con le funzioni esercitate dal magistrato, verificando la disciplina in base alla quale questi viene chiamato a svolgere funzioni fuori ruolo, il tipo di attività da svolgere, l’opportunità dell’incarico stesso in relazione a possibili condizionamenti dell'indipendenza e imparzialità dell'interessato, le esigenze dell’ufficio di appartenenza.
Al fine di garantire la trasparenza del proprio operato e di rendere conoscibili i tipi di incarico svolti dai magistrati, è presente, sul sito internet del C.S.M., una pagina contenente l’albo dei magistrati attualmente collocati fuori dal ruolo organico della magistratura o che nel corso della loro carriera hanno svolto incarichi fuori ruolo.
Per i magistrati amministrativi, la legge n. 186 del 1982 (art. 29) prevede il collocamento fuori ruolo (da parte del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa) solo per lo svolgimento di funzioni giuridico-amministrative presso le amministrazioni dello Stato, ovvero enti od organismi internazionali. In nessun caso è consentito il collocamento fuori ruolo dei magistrati oltre le 20 unità. Il fuori ruolo può essere disposto soltanto per i magistrati che abbiano svolto funzioni di istituto per almeno 4 anni e non può avere durata superiore a 3 anni consecutivi; non è consentito, dopo il triennio, un nuovo collocamento fuori ruolo se non dopo 2 anni di effettivo esercizio delle funzioni di istituto.
Il DPR 418/1993 (regolamento sugli incarichi dei magistrati amministrativi) prevede che le cariche ricoperte presso autorità indipendenti o di alta amministrazione e garanzia, e gli incarichi di segretario generale presso la Presidenza della Repubblica, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Corte costituzionale, di capo dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e di capo di gabinetto presso i Ministeri, di direttore della Scuola superiore della pubblica amministrazione determinano obbligatoriamente il collocamento fuori ruolo (art. 9).
Per i magistrati della Corte dei Conti interviene il DPR 388/1995 (art. 7) individuando gli incarichi che determinano obbligatoriamente il collocamento fuori ruolo dei magistrati contabili ovvero: le cariche ricoperte presso autorità indipendenti o di alta amministrazione e garanzia, gli incarichi di Segretario generale presso la Presidenza della Repubblica, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Corte costituzionale, di capo dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e di capo di gabinetto presso i Ministeri, di direttore della Scuola superiore della pubblica amministrazione determinano il collocamento fuori ruolo.
In particolare, in sede di attuazione della delega, il Governo dovrà individuare tra i vari incarichi extragiudiziari, quelli che determinano obbligatoriamente il collocamento fuori ruolo (lettera a) e quelli che invece possono essere svolti ponendosi in aspettativa (lettera b). Tra i primi dovranno essere inclusi, in ogni caso, gli incarichi di capo di gabinetto, di vice capo di gabinetto, di direttore dell’ufficio di gabinetto e di capo della segreteria del Ministro.
La disposizione interviene su una materia già disciplinata dall’art. 1, co. 66 della legge n. 190 del 2012 (c.d. legge anticorruzione), come modificato dall’articolo 8, del D.L. n. 90 del 2014, che obbliga i magistrati e gli avvocati dello Stato al collocamento “fuori ruolo” quando intendano assumere la titolarità di uffici di diretta collaborazione, così affermando l’incompatibilità di tutti gli uffici di diretta collaborazione, “comunque denominati”, con le funzioni giudiziarie.
Diversamente, gli incarichi individuati dalla disposizione di delega in commento, per i quali deve essere senz’altro previsto il collocamento fuori ruolo ove attribuiti a magistrati, rappresentano solo una parte della più ampia categoria dei “titolari degli uffici di diretta collaborazione”, a cui il legislatore, più genericamente, si riferisce quando intende ricomprenderli tutti.
Si ricorda infatti che, ai sensi dell’art. 7 del D.lgs. n. 300 del 1999, il Ministro si avvale di uffici di diretta collaborazione, aventi esclusive competenze di supporto al Ministro e di raccordo con l'amministrazione.
Tali uffici sono istituiti e disciplinati con regolamento di delegificazione, adottato ai sensi del comma 4-bis dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
A tali uffici sono assegnati, nei limiti stabiliti dallo stesso regolamento: dipendenti pubblici anche in posizione di aspettativa, fuori ruolo o comando; collaboratori assunti con contratti a tempo determinato disciplinati dalle norme di diritto privato; esperti e consulenti per particolari professionalità e specializzazioni, con incarichi di collaborazione coordinata e continuativa.
Tutte le assegnazioni di personale a tali uffici, “compresi gli incarichi anche di livello dirigenziale e le consulenze e i contratti, anche a termine”, cessano automaticamente se non confermati entro trenta giorni dal giuramento del nuovo Ministro.
L’incarico di Capo degli uffici deve essere attribuito ad esperti, anche estranei all'amministrazione, dotati di elevata professionalità (art. 7, co. 2, lett. e)).
I regolamenti relativi agli uffici di diretta collaborazione dei vari Ministeri presentano una impostazione sostanzialmente similare (pur con le inevitabili differenze di dettaglio dovute anche alle diverse caratteristiche dei Ministeri). Essi dispongono relativamente all’articolazione degli uffici di diretta collaborazione, alle funzioni di tali uffici, ai responsabili e al personale di tali uffici (di cui viene fissato un contingente massimo), al trattamento economico di tale personale, alle modalità di gestione. Alcune specifiche disposizioni disciplinano il personale delle segreterie dei sottosegretari di Stato e dell’ufficio e delle segreterie dei vice Ministri (ove presenti). Generalmente si prevede un limite percentuale (rispetto al contingente complessivo di personale) entro cui è possibile avvalersi di collaboratori assunti con contratto a tempo determinato, esperti e consulenti per specifiche aree di attività e per particolari professionalità e specializzazioni, anche con incarichi di collaborazione coordinata e continuativa.
Tra le figure di vertice all’interno dell’area della diretta collaborazione dei Ministeri, di norma sono ricomprese: Capo di Gabinetto, Capo dell’ufficio legislativo, Segretario particolare del Ministro, Capo della segreteria del Ministro, Capo dell'ufficio stampa, Capi delle segreterie del Vice Ministro e dei Sottosegretari di Stato.
Dovrà inoltre essere dettata una specifica regolamentazione per gli incarichi fuori ruolo svolti in ambito internazionale, tenendo conto della loro specificità (lettera l).
Il Governo dovrà disciplinare i presupposti per il collocamento dei magistrati (ordinari, amministrativi e contabili) in posizione di fuori ruolo, prevedendo che il collocamento fuori ruolo possa essere consentito:
§ solo al magistrato che abbia effettivamente esercitato le funzioni giudiziarie per 10 anni (lettera f);
§ solo al magistrato che non presti servizio in una sede che presenta una rilevante scopertura di organico. Spetterà agli organi di autogoverno definire i parametri per qualificare una scopertura rilevante (lettera f);
§ solo al magistrato che, già rientrato da un fuori ruolo ultra quinquennale, sia rimasto nel ruolo almeno 3 anni. Il Governo dovrà disciplinare tassativamente le possibili deroghe a questa regola (lettera e);
§ solo al magistrato che non abbia già raggiunto il limite massimo di permanenza in posizione di fuori ruolo (lettera g). In merito, il Governo dovrà individuare in 7 anni tale limite, consentendo la deroga fino a 10 anni per incarichi, tassativamente indicati, presso gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, gli organi del Governo e gli organismi internazionali. Il limite massimo di durata del fuori ruolo non si dovrà applicare ai magistrati che siano membri di Governo, assumano cariche elettive, anche presso gli organi di autogoverno, e ai componenti delle Corti internazionali comunque denominate (vengono fatte salve le deroghe già attualmente previste dalla Legge Severino, art. 1, comma 70 della legge n. 190 del 2012);
§ solo quando per l’incarico che il magistrato andrà ad assumere risulti necessario un elevato grado di preparazione in materie giuridiche o l’esperienza pratica maturata nell’esercizio dell’attività giudiziaria o una particolare conoscenza dell’organizzazione giudiziaria. Spetterà al Governo individuare tassativamente le ipotesi cui tale presupposto non si applica (lettera h);
§ solo quando l’incarico che il magistrato andrà ad assumere corrisponda a un interesse dell’amministrazione di appartenenza. In merito, nell’esercizio della delega si dovranno valutare le possibili ricadute dell’incarico sull’imparzialità e l’indipendenza del magistrato individuando appositi criteri per indirizzare la decisione degli organi di autogoverno (lettera c). In particolare, la valutazione della sussistenza dell’interesse dell’amministrazione di appartenenza dovrà essere effettuata sulla base di criteri oggettivi che consentano di distinguere, “in ordine di rilevanza” (lettera d):
- gli incarichi che la legge affida esclusivamente a magistrati;
- gli incarichi di natura giurisdizionale presso organismi internazionali e sovranazionali;
- gli incarichi presso organi costituzionali e presso organi di rilievo costituzionale;
- gli incarichi non giurisdizionali apicali e di diretta collaborazione presso istituzioni nazionali o internazionali;
- gli altri incarichi.
Nell’esercizio della delega, inoltre, il Governo dovrà ridurre il numero massimo di magistrati che possono essere collocati in posizione di fuori ruolo, sia in termini assoluti che in relazione alle diverse tipologie di incarico (lettera h).
Coinvolgendo questa parte della delega le competenze della Presidenza del Consiglio dei ministri (per la magistratura amministrativa e contabile), il comma 2 dell’articolo 5, prevede uno specifico procedimento per l’esercizio di questa delega: gli schemi dei decreti legislativi dovranno infatti essere adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dell'università e della ricerca. Per le restanti fasi del procedimento si applica l’art. 1 del disegno di legge (v. sopra).
L’articolo 6 chiude il Capo I del disegno di legge, relativo alla riforma di specifici profili ordinamentali della magistratura, delegando il Governo a provvedere al coordinamento delle disposizioni vigenti con quelle introdotte in sede di riforma.
In particolare, il Governo è autorizzato a procedere alla riformulazione, allo spostamento e all’abrogazione di disposizioni dell’ordinamento giudiziario (R.D. n. 12 del 1941), dei decreti legislativi n. 106 e 160 del 2006 - relativi, rispettivamente, all’organizzazione degli uffici del pubblico ministero e all’accesso alla magistratura e alla carriera dei magistrati - oltre che di ogni altra legge speciale anche non direttamente investita dai principi e criteri direttivi della delega. In sede di riforma, inoltre, il Governo potrà prevedere le opportune disposizioni transitorie.
Il Capo II del disegno di legge, composto dagli articoli da 7 a 14, novella alcune disposizioni dell’ordinamento giudiziario. Diversamente dal Capo I, quindi, su alcuni specifici argomenti, il disegno di legge non procede con una delega al Governo ma modifica direttamente le norme in vigore.
L'articolo 7, comma 1, riscrive l'articolo 115 dell’ordinamento giudiziario (regio decreto n. 12 del 1941), il quale reca la disciplina dei magistrati dell’ufficio del massimario e del ruolo della Corte di Cassazione.
Quadro normativo. Il vigente articolo 115 del regio decreto n. 12 del 1941 stabilisce che della pianta organica della Corte di cassazione fanno parte sessantasette magistrati destinati all'ufficio del massimario e del ruolo, anche con compiti di assistente di studio. A tale ufficio possono essere designati magistrati con qualifica non inferiore a magistrato di tribunale con non meno di cinque anni di effettivo esercizio delle funzioni di merito (primo comma).
La disposizione consente inoltre al Primo Presidente della Corte di cassazione, tenuto conto delle esigenze dell'ufficio, osservati i criteri stabiliti dal Consiglio superiore della magistratura, anno per anno di poter destinare fino a trenta magistrati addetti all'ufficio del massimario e del ruolo alle sezioni della Corte con compiti di assistente di studio. Tali magistrati possono assistere alle camere di consiglio della sezione della Corte cui sono destinati, senza possibilità di prendere parte alla deliberazione o di esprimere il voto sulla decisione (secondo comma).
Il terzo comma dell'articolo 115 prevede inoltre che i magistrati addetti all'ufficio del Massimario e del Ruolo, che sono magistrati con funzioni di merito, possano essere impiegati dal primo presidente eccezionalmente per comporre i collegi giudicanti, tanto civili quanto penali, della Corte di Cassazione al fine di rafforzare i presidi organizzativi necessari a un più rapido smaltimento dell'arretrato. L'applicazione temporanea deve essere disposta tenuto conto delle tabelle di organizzazione della Corte e delle esigenze dell'ufficio del massimario. L'articolo circoscrive la possibilità di svolgere funzioni giurisdizionali di legittimità ai magistrati che hanno presso l'ufficio del massimario una anzianità di servizio di almeno due anni e che hanno conseguito almeno la terza valutazione di professionalità. È previsto infine un limite triennale (non rinnovabile) all'applicazione. Di ciascun collegio giudicante della Corte di cassazione - in base al quarto e ultimo comma dell'articolo 115 - non può fare parte più di un magistrato dell'ufficio del massimario e del ruolo, applicato ai sensi del terzo comma.
Il nuovo articolo 115, nel confermare l’attuale pianta organica della Corte di cassazione, che prevede 67 magistrati addetti all'ufficio del massimario e del ruolo, interviene sui requisiti che devono possedere i magistrati chiamati a comporre l’ufficio (commi 1 e 2). All’ufficio del massimario possono essere designati solo magistrati che:
§ hanno conseguito almeno la terza valutazione di professionalità e
§ hanno non meno di otto anni di effettivo esercizio delle funzioni giudicanti o requirenti di primo o di secondo grado;
§ la cui capacità scientifica e di analisi delle norme è stata valutata dalla Commissione tecnica del CSM competente per la valutazione ai fini dell’attribuzione delle funzioni di legittimità.
L'articolo 115 chiarisce, inoltre, che l’esercizio di funzioni a seguito del collocamento fuori dal ruolo della magistratura non può in alcun caso essere equiparato all’esercizio delle funzioni giudicanti o requirenti di primo o di secondo grado.
La riforma sopprime la disposizione che attualmente consente al Primo Presidente della Cassazione di destinare, anno per anno, fino a trenta magistrati dell’ufficio del massimario alle sezioni della Corte con compiti di assistente di studio.
In base al comma 3, la metà dei componenti dell’ufficio potranno infatti essere destinati dal Primo Presidente alle sezioni della Corte per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali di legittimità. La riforma sul punto modifica la disciplina vigente, che già attualmente consente lo svolgimento di tali funzioni da parte dei componenti dell’ufficio del massimario, prevedendo:
§ che possano essere applicati “la metà dei magistrati addetti all’ufficio”. Si valuti l’opportunità di specificare che il riferimento alla metà dei componenti è da intendersi come limite massimo, potendo il Primo Presidente anche destinarne in numero inferiore;
§ che tale applicazione non sia più “temporanea”, per un periodo non superiore a 3 anni e non rinnovabile. Si valuti l’opportunità di specificare la durata di tale applicazione, posto che altrimenti tali magistrati potrebbero svolgere stabilmente le funzioni di legittimità;
§ che possano essere applicati soltanto i magistrati che abbiano conseguito la quarta valutazione di professionalità (attualmente è sufficiente la terza).
La riforma conferma che di ciascun collegio giudicante della Cassazione potrà far parte un solo magistrato dell’ufficio del massimario e del ruolo (comma 4).
Parere del CSM. Con riferimento all’Ufficio del Massimario e del Ruolo (art. 6), il cui organico la proposta emendativa amplia portandolo a 67 unità, rispetto alla previsione contenuta nel DDL che l’aveva ridotto a 37 unità, si sottolinea la criticità della norma laddove attribuisce, con previsione innovativa rispetto al DDL, al Primo Presidente, il potere di applicare la metà dei magistrati del Massimario, allo svolgimento di funzioni di legittimità. Il parere sottolinea che la norma collide con il principio della naturalità e precostituzione del giudice ed espropria il Consiglio di una delle prerogative ad esso costituzionalmente riservate (la decisione in ordine alla destinazione alle funzioni di legittimità). Essa inoltre, appare incoerente con lo spirito della riforma, tendente a rafforzare l’Ufficio del Massimario, consentendone invece lo stabile svuotamento.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
R.D. n. 12 del 1941 Ordinamento giudiziario |
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Art. 115 Magistrati di tribunale destinati all'ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione |
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Della pianta organica della Corte di cassazione fanno parte sessantasette magistrati destinati all'ufficio del massimario e del ruolo, anche con compiti di assistente di studio; al predetto ufficio possono essere designati magistrati con qualifica non inferiore a magistrato di tribunale con non meno di cinque anni di effettivo esercizio delle funzioni di merito. |
1. Della pianta organica della Corte di cassazione fanno parte sessantasette magistrati destinati all’ufficio del massimario e del ruolo; al predetto ufficio possono essere designati magistrati che hanno conseguito almeno la terza valutazione di professionalità e con almeno otto anni di effettivo esercizio delle funzioni giudicanti o requirenti di primo o di secondo grado, previa valutazione della capacità scientifica e di analisi delle norme da parte della commissione di cui all’articolo 12, comma 13, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160. 2. L’esercizio di funzioni a seguito del collocamento fuori del ruolo della magistratura non può essere equiparato all’esercizio delle funzioni giudicanti o requirenti di primo o di secondo grado ai fini di cui al comma precedente. |
Il Primo Presidente della Corte di cassazione, tenuto conto delle esigenze dell'ufficio, osservati i criteri stabiliti dal Consiglio superiore della magistratura, anno per anno può destinare fino a trenta magistrati addetti all'ufficio del massimario e del ruolo alle sezioni della Corte con compiti di assistente di studio. I magistrati con compiti di assistente di studio possono assistere alle camere di consiglio della sezione della Corte cui sono destinati, senza possibilità di prendere parte alla deliberazione o di esprimere il voto sulla decisione. |
Soppresso |
Il primo presidente della Corte di cassazione, al fine di assicurare la celere definizione dei procedimenti pendenti, tenuto conto delle esigenze dell'ufficio del massimario e del ruolo e secondo i criteri previsti dalle tabelle di organizzazione, può applicare temporaneamente, per un periodo non superiore a tre anni e non rinnovabile, i magistrati addetti all'ufficio del massimario e del ruolo con anzianità di servizio nel predetto ufficio non inferiore a due anni, che abbiano conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, alle sezioni della Corte per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali di legittimità. |
3. Il primo presidente della Corte di cassazione, al fine di assicurare la celere definizione dei procedimenti pendenti, tenuto conto delle esigenze dell’ufficio del massimario e del ruolo e secondo i criteri previsti dalle tabelle di organizzazione, può applicare la metà dei magistrati addetti all’ufficio del massimario e del ruolo alle sezioni della Corte per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali di legittimità, purché abbiano conseguito almeno la quarta valutazione di professionalità e abbiano un’anzianità di servizio nel predetto ufficio non inferiore a due anni. |
Di ciascun collegio giudicante della Corte di cassazione non può fare parte più di un magistrato dell'ufficio del massimario e del ruolo, applicato ai sensi del terzo comma. |
4. A ciascun collegio non può essere applicato più di un magistrato addetto all’ufficio del massimario e del ruolo |
L’articolo 8 introduce ulteriori modifiche all’ordinamento giudiziario in materia di organizzazione degli uffici di giurisdizione, di incompatibilità di sede per ragioni di parentela o coniugio e di tramutamenti ad altra sede o ufficio.
Più nel dettaglio la lettera a) del comma unico dell'articolo 7 interviene sul comma 1 dell'articolo 7-bis del regio decreto n. 12 del 1941 prevedendo che le tabelle degli uffici giudicanti siano adottate per un quadriennio (attualmente sono, invece, triennali). Si ricorda che sulle tabelle interviene anche la delega (v. sopra, art. 2, co. 2) e, per coordinamento in relazione alle funzioni del CSM, l’art. 28 (v. infra).
La lettera b) aggiunge, poi, un ulteriore comma all’articolo 7-ter del regio decreto n. 12 del 1941, che detta i criteri generali per l'assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici impediti. La nuova disposizione prevede che il dirigente dell'ufficio debba verificare che la distribuzione dei ruoli e dei carichi di lavoro garantisca obiettivi di funzionalità e di efficienza dell'ufficio e assicuri costantemente l'equità tra tutti i magistrati dell'ufficio, delle sezioni e dei collegi.
Le lettere c) e d) modificano la disciplina delle incompatibilità di sede per ragioni di parentela o coniugio di cui agli articoli 18 e 19 dell’ordinamento giudiziario.
Quadro normativo. L’art. 18 dell’ordinamento giudiziario stabilisce che i magistrati giudicanti e requirenti delle corti di appello e dei tribunali non possono appartenere ad uffici giudiziari nelle sedi nelle quali i loro parenti fino al secondo grado, gli affini in primo grado, il coniuge o il convivente, esercitano la professione di avvocato. L’incompatibilità di sede deve essere verificata in concreto sulla base dei seguenti criteri:
a) rilevanza della professione forense svolta avanti all'ufficio di appartenenza del magistrato, tenuto, altresì, conto dello svolgimento continuativo di una porzione minore della professione forense e di eventuali forme di esercizio non individuale dell'attività da parte dei medesimi soggetti;
b) dimensione del predetto ufficio, con particolare riferimento alla organizzazione tabellare;
c) materia trattata sia dal magistrato che dal professionista, avendo rilievo la distinzione dei settori del diritto civile, del diritto penale e del diritto del lavoro e della previdenza, ed ancora, all'interno dei predetti e specie del settore del diritto civile, dei settori di ulteriore specializzazione come risulta, per il magistrato, dalla organizzazione tabellare;
d) funzione specialistica dell'ufficio giudiziario.
Si ha sempre incompatibilità:
- con riguardo ai tribunali ordinari organizzati in un'unica sezione o alle Procure della Repubblica istituite presso Tribunali strutturati con un'unica sezione, salvo che il magistrato operi esclusivamente in sezione distaccata ed il parente o l'affine non svolga presso tale sezione alcuna attività o viceversa;
- quando il magistrato è preposto alla direzione di uffici giudicanti e requirenti e il parente o affine esercita la professione forense presso il medesimo ufficio, salvo valutazione caso per caso per i Tribunali ordinari organizzati con una pluralità di sezioni per ciascun settore di attività civile e penale.
L’art. 19 dell’ordinamento giudiziario afferma che i magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità sino al secondo grado, di coniugio o di convivenza, non possono far parte della stessa Corte o dello stesso Tribunale o dello stesso ufficio giudiziario e demanda ai criteri dettati dall’art. 18 per l’incompatibilità con l’esercizio della professione forense per la verifica della ricorrenza in concreto dell'incompatibilità di sede tra magistrati.
L’art. 19 disciplina inoltre le incompatibilità quando i vincoli di parentela o affinità siano oltre il secondo grado e quando il magistrato sia preposto alla direzione di uffici giudicanti o requirenti, rinviando sempre ai criteri dettati dall’art. 18.
In particolare, in base alla lettera c), per l’ipotesi di parentela tra un magistrato e un avvocato, l’incompatibilità dovrà essere valutata alla luce dei concorrenti criteri già individuati dall’art. 18, che dovranno essere “valutati unitariamente”.
Parere del CSM. Il Consiglio ha osservato che la modifica dell’art. 18 non innova significativamente rispetto alla precedente disciplina la quale già imponeva, per la verifica della ricorrenza “in concreto” della situazione di incompatibilità, la necessaria valutazione complessiva della predetta situazione alla luce di tutti i criteri indicati dalla norma.
La lettera d) prevede che, in caso di parentela o affinità tra due magistrati, l’incompatibilità non vada più valutata alla luce dei criteri dettati per i rapporti con l’avvocatura dall’art. 18 (v. sopra), ma vada esclusa se la presenza dei due magistrati non comporta modifiche nell’organizzazione dell’ufficio e non interferisce nei rapporti tra uffici diversi della medesima sede. Tale esclusione dovrà essere comunicata anche al consiglio dell’ordine degli avvocati territorialmente competente.
La novella riguarda il secondo comma dell’art. 19, che viene sostituito dal disegno di legge. Si valuti l’opportunità di intervenire in coordinamento anche sui restanti commi della disposizione, che continuano a rinviare ai criteri dettati per l’avvocatura dall’art. 18, secondo comma, del R.D. n. 12 del 1941.
Parere del CSM. Il Consiglio ha espresso perplessità rispetto alle modifiche introdotte in relazione all’ipotesi di incompatibilità di cui all’art. 19 dell’ordinamento giudiziario, all’esito delle quali, per i magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità sino al secondo grado, di coniugio o di convivenza, si stabilisce che la situazione di incompatibilità possa essere esclusa in concreto solamente allorquando la stessa “non comporti modifiche nell’organizzazione dell’ufficio” e “non interferisca nei rapporti tra uffici diversi della medesima specie”. Il parere evidenzia infatti come tale innovazione, oltre ad attribuire alle incompatibilità tra magistrati maggiore lesività rispetto alle ipotesi di incompatibilità con avvocati, intende evitare che la situazione di potenziale incompatibilità possa assumere rilievo quale fattore distorsivo del corretto dispiegamento della funzione giudiziaria, senza tuttavia distinguere tra modifiche nell’organizzazione dell’ufficio tali da alterare significativamente la predetta organizzazione e modifiche marginali, prive di reale incidenza sull’assetto complessivo dell’ufficio giudiziario.
La lettera e) apporta modifiche all'articolo 194 dell’ordinamento giudiziario, in materia di tramutamento ad altra sede o ufficio.
Quadro normativo. L'art. 194 del regio decreto n. 12 del 1941, nella sua formulazione vigente, prevede che il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede, non può essere trasferito ad altre sedi o assegnato ad altre funzioni (cd. tramutamenti successivi) prima di 4 anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell'ufficio, salvo che ricorrano gravi motivi di salute ovvero gravi ragioni di servizio o di famiglia.
Il disegno di legge detta una disciplina speciale relativa ai trasferimenti dei magistrati che esercitano le funzioni presso la sede di prima assegnazione, per i quali viene subordinato il trasferimento ad altra sede (o l'assegnazione ad altre funzioni) ad un periodo di permanenza triennale (anziché quadriennale).
L'articolo 8 apporta poi una ulteriore modifica all'articolo 194 del regio decreto del 1941, estendendo l'ambito di applicazione della previsione che obbliga ad una permanenza di almeno quattro anni nella sede prescelta anche al presidente del tribunale superiore delle acque pubbliche, al presidente aggiunto della corte di cassazione, al procuratore generale aggiunto presso la corte di cassazione, nonché ai presidenti e ai procuratori generali di corte di appello, la cui applicazione era, invece, esclusa dall’articolo 195 del medesimo regio decreto n. 12 del 1941, che viene contestualmente abrogato (lettera f).
Il disegno di legge esclude che il limite temporale dei quattro anni possa precludere il mutamento di funzioni allorché le funzioni alle quali si ambisce siano quelle apicali di primo presidente della corte di cassazione e di procuratore generale presso la corte di cassazione.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
R.D. n. 12 del 1941 Ordinamento giudiziario |
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Art. 7-bis Tabelle degli uffici giudicanti |
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1. La ripartizione degli uffici giudiziari di cui all'articolo 1 in sezioni, la destinazione dei singoli magistrati alle sezioni e alle corti di assise, l'assegnazione alle sezioni dei presidenti, la designazione dei magistrati che hanno la direzione di sezioni a norma dell'articolo 47-bis, secondo comma, l'attribuzione degli incarichi di cui agli articoli 47-ter, terzo comma, 47-quater, secondo comma, e 50-bis, il conferimento delle specifiche attribuzioni processuali individuate dalla legge e la formazione dei collegi giudicanti sono stabiliti ogni triennio con decreto del Ministro di grazia e giustizia in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura assunte sulle proposte dei presidenti delle corti di appello, sentiti i consigli giudiziari. Decorso il triennio, l'efficacia del decreto è prorogata fino a che non sopravvenga un altro decreto. La violazione dei criteri per l'assegnazione degli affari, salvo il possibile rilievo disciplinare, non determina in nessun caso la nullità dei provvedimenti adottati. |
1. La ripartizione degli uffici giudiziari di cui all'articolo 1 in sezioni, la destinazione dei singoli magistrati alle sezioni e alle corti di assise, l'assegnazione alle sezioni dei presidenti, la designazione dei magistrati che hanno la direzione di sezioni a norma dell'articolo 47-bis, secondo comma, l'attribuzione degli incarichi di cui agli articoli 47-ter, terzo comma, 47-quater, secondo comma, e 50-bis, il conferimento delle specifiche attribuzioni processuali individuate dalla legge e la formazione dei collegi giudicanti sono stabiliti ogni triennio con decreto del Ministro di grazia e giustizia in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura assunte sulle proposte dei presidenti delle corti di appello, sentiti i consigli giudiziari. Decorso il triennio, l'efficacia del decreto è prorogata fino a che non sopravvenga un altro decreto. La violazione dei criteri per l'assegnazione degli affari, salvo il possibile rilievo disciplinare, non determina in nessun caso la nullità dei provvedimenti adottati. |
[omissis] |
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Art. 7-ter Criteri per l'assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici impediti |
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1. L'assegnazione degli affari alle singole sezioni ed ai singoli collegi e giudici è effettuata, rispettivamente, dal dirigente dell'ufficio e dal presidente della sezione o dal magistrato che la dirige, secondo criteri obiettivi e predeterminati, indicati in via generale dal Consiglio superiore della magistratura ed approvati contestualmente alle tabelle degli uffici e con la medesima procedura. Nel determinare i criteri per l'assegnazione degli affari penali al giudice per le indagini preliminari, il Consiglio superiore della magistratura stabilisce la concentrazione, ove possibile, in capo allo stesso giudice dei provvedimenti relativi al medesimo procedimento e la designazione di un giudice diverso per lo svolgimento delle funzioni di giudice dell'udienza preliminare. Qualora il dirigente dell'ufficio o il presidente della sezione revochino la precedente assegnazione ad una sezione o ad un collegio o ad un giudice, copia del relativo provvedimento motivato viene comunicata al presidente della sezione e al magistrato interessato. |
1. Identico. |
2. Il Consiglio superiore della magistratura stabilisce altresì i criteri per la sostituzione del giudice astenuto, ricusato o impedito. |
2. Identico. |
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2-bis. Il dirigente dell'ufficio deve verificare che la distribuzione dei ruoli e dei carichi di lavoro garantisca obiettivi di funzionalità e di efficienza dell'ufficio e assicuri costantemente l'equità tra tutti i magistrati dell'ufficio, delle sezioni e dei collegi. |
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Art. 18 |
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I magistrati giudicanti e requirenti delle corti di appello e dei tribunali non possono appartenere ad uffici giudiziari nelle sedi nelle quali i loro parenti fino al secondo grado, gli affini in primo grado, il coniuge o il convivente, esercitano la professione di avvocato. |
Identico |
La ricorrenza in concreto dell'incompatibilità di sede è verificata sulla base dei seguenti criteri: |
La ricorrenza in concreto dell'incompatibilità di sede è verificata sulla base dei seguenti concorrenti criteri, valutati unitariamente: |
a) rilevanza della professione forense svolta dai soggetti di cui al primo comma avanti all'ufficio di appartenenza del magistrato, tenuto, altresì, conto dello svolgimento continuativo di una porzione minore della professione forense e di eventuali forme di esercizio non individuale dell'attività da parte dei medesimi soggetti; |
a) identica; |
b) dimensione del predetto ufficio, con particolare riferimento alla organizzazione tabellare; |
b) identica; |
c) materia trattata sia dal magistrato che dal professionista, avendo rilievo la distinzione dei settori del diritto civile, del diritto penale e del diritto del lavoro e della previdenza, ed ancora, all'interno dei predetti e specie del settore del diritto civile, dei settori di ulteriore specializzazione come risulta, per il magistrato, dalla organizzazione tabellare; |
c) identica; |
d) funzione specialistica dell'ufficio giudiziario. |
d) identica; |
[omissis] |
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Art. 19 Incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con magistrati o ufficiali o agenti di polizia giudiziaria della stessa sede |
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I magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità sino al secondo grado, di coniugio o di convivenza, non possono far parte della stessa Corte o dello stesso Tribunale o dello stesso ufficio giudiziario. |
Identico. |
La ricorrenza in concreto dell'incompatibilità di sede è verificata sulla base dei criteri di cui all'articolo 18, secondo comma, per quanto compatibili. |
La ricorrenza dell’incompatibilità può essere esclusa in concreto quando la situazione non comporti modifiche nell’organizzazione dell’ufficio e non interferisca nei rapporti tra uffici diversi della medesima sede. L’esito del procedimento di accertamento della esclusione, in concreto, della ricorrenza della incompatibilità di cui al comma precedente è comunicata al Consiglio dell’Ordine degli avvocati del circondario in cui prestano servizio gli interessati. |
I magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità sino al terzo grado, di coniugio o di convivenza, non possono mai fare parte dello stesso Tribunale o della stessa Corte organizzati in un'unica sezione ovvero di un Tribunale o di una Corte organizzati in un'unica sezione e delle rispettive Procure della Repubblica, salvo che uno dei due magistrati operi esclusivamente in sezione distaccata e l'altro in sede centrale. |
Identico. |
I magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità fino al quarto grado incluso, ovvero di coniugio o di convivenza, non possono mai far parte dello stesso collegio giudicante nelle corti e nei tribunali. |
Identico. |
I magistrati preposti alla direzione di uffici giudicanti o requirenti della stessa sede sono sempre in situazione di incompatibilità, salvo valutazione caso per caso per i Tribunali o le Corti organizzati con una pluralità di sezioni per ciascun settore di attività civile e penale. Sussiste, altresì, situazione di incompatibilità, da valutare sulla base dei criteri di cui all'articolo 18, secondo comma, in quanto compatibili, se il magistrato dirigente dell'ufficio è in rapporto di parentela o affinità entro il terzo grado, o di coniugio o convivenza, con magistrato addetto al medesimo ufficio, tra il presidente del Tribunale del capoluogo di distretto ed i giudici addetti al locale Tribunale per i minorenni, tra il Presidente della Corte di appello o il Procuratore generale presso la Corte medesima ed un magistrato addetto, rispettivamente, ad un Tribunale o ad una Procura della Repubblica del distretto, ivi compresa la Procura presso il Tribunale per i minorenni. |
Identico. |
I magistrati non possono appartenere ad uno stesso ufficio giudiziario ove i loro parenti fino al secondo grado, o gli affini in primo grado, svolgono attività di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. La ricorrenza in concreto dell'incompatibilità è verificata sulla base dei criteri di cui all'articolo 18, secondo comma, per quanto compatibili. |
Identico. |
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Art. 194 Tramutamenti successivi |
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Il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede, non può essere trasferito ad altre sedi o assegnato ad altre funzioni prima di quattro anni al giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell'ufficio, salvo che ricorrano gravi motivi di salute ovvero gravi ragioni di servizio o di famiglia. |
Il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede, non può essere trasferito ad altre sedi o assegnato ad altre funzioni, ad esclusione di quelle di primo presidente della Corte di cassazione e di procuratore generale presso la Corte di cassazione, prima di quattro anni al giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell'ufficio, salvo che ricorrano gravi motivi di salute ovvero gravi ragioni di servizio o di famiglia. |
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Per i magistrati che esercitano le funzioni presso la sede di prima assegnazione il termine di cui al primo comma è di tre anni. |
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Art. 195 Disposizioni speciali |
Abrogato |
Le disposizioni degli articoli 192 e 194 non si applicano al presidente aggiunto della corte di cassazione, al presidente del tribunale superiore delle acque pubbliche, al procuratore generale aggiunto presso la corte di cassazione, ai presidenti di sezione della corte di cassazione, agli avvocati generali della corte di cassazione, ai presidenti e ai procuratori generali di corte di appello. |
Abrogato |
L’articolo 9 modifica l’articolo 3, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura) ampliando i casi di collocamento in aspettativa dei magistrati, attraverso l'inserimento dell'ipotesi in cui al magistrato sia stato già accertato uno stato di infermità incompatibile con lo svolgimento delle funzioni giudiziarie, malgrado non sia ancora concluso il procedimento volto alla verifica della natura permanente dell’infermità ai fini della dispensa dal servizio.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511 Guarentigie della magistratura |
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Art. 3 Dispensa dal servizio o collocamento in aspettativa di ufficio per debolezza di mente od infermità |
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Se per qualsiasi infermità, giudicata permanente, o per sopravvenuta inettitudine, un magistrato non può adempiere convenientemente ed efficacemente ai doveri del proprio ufficio, è dispensato dal servizio, previo parere conforme del Consiglio superiore della magistratura. Se l'infermità o la sopravvenuta inettitudine consentono l'efficace svolgimento di funzioni amministrative, il magistrato dispensato può essere destinato, a domanda, a prestare servizio, nei limiti dei posti disponibili, presso il Ministero della giustizia, secondo modalità e criteri di comparazione definiti con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica e il Ministro dell'economia e delle finanze, tenuto conto del tipo e della gravità dell'infermità o della sopravvenuta inettitudine. Il magistrato dispensato mantiene il diritto al trattamento economico in godimento, con l'eventuale attribuzione di un assegno ad personam riassorbibile, corrispondente alla differenza retributiva tra il trattamento economico in godimento alla data del provvedimento di dispensa e il trattamento economico corrispondente alla qualifica attribuita. |
Identico. |
Se la infermità ha carattere temporaneo, il magistrato può, su conforme parere del Consiglio superiore, essere collocato di ufficio in aspettativa fino al termine massimo consentito dalla legge. |
Se la infermità ha carattere temporaneo, il magistrato può, su conforme parere del Consiglio superiore, essere collocato di ufficio in aspettativa fino al termine massimo consentito dalla legge. Il magistrato può essere collocato in aspettativa fino alla conclusione del procedimento anche qualora nel corso dell'istruttoria diretta all'accertamento di una condizione di infermità permanente emerga che lo stato di infermità, per come già accertato, è incompatibile con il conveniente ed efficace svolgimento delle funzioni giudiziarie. |
Decorso tale termine, il magistrato che ancora non si trovi in condizioni di essere richiamato dall'aspettativa, è dispensato dal servizio. |
Identico. |
Le disposizioni precedenti per quanto concerne il parere del Consiglio superiore non si applicano agli uditori, i quali possono essere collocati in aspettativa o dispensati dal servizio con decreto del Ministro per la grazia e giustizia, previo parere del Consiglio giudiziario nel caso di dispensa. |
Identico. |
Per gli uditori con funzioni giudiziarie la dispensa dal servizio è disposta con decreto Reale, su conforme parere del Consiglio giudiziario. |
Identico. |
Avverso il parere del Consiglio giudiziario previsto nei due precedenti commi può essere proposto ricorso al Consiglio superiore della magistratura così dall'interessato come dal Ministro, entro dieci giorni dalla comunicazione. Il ricorso ha effetto sospensivo. |
Identico. |
Quadro normativo. Ai sensi dell'articolo 3 della legge sulle guarentigie (R.D.lgs. n. 511 del 1946), se a causa di qualsiasi infermità permanente o per sopravvenuta inettitudine un magistrato non può adempiere convenientemente ed efficacemente ai doveri del proprio ufficio, è dispensato dal servizio con delibera motivata del Csm. Se l'infermità ha carattere solo temporaneo, il magistrato può essere collocato di ufficio in aspettativa fino al termine massimo consentito dalla legge, decorso il quale, se non si trova in condizioni di essere richiamato dall'aspettativa, è dispensato dal servizio. È opportuno precisare che le norme menzionate sono considerate nella formulazione integrata dall’art. 55 del d.p.r. 16 settembre 1958, n. 916, che ha riconosciuto in materia la competenza deliberativa del Csm. Anche per la procedura di dispensa valgono le garanzie dettate dall'art. 4 della l. sulle guarentigie, nonché quelle ulteriori introdotte dal Csm in relazione ai trasferimenti. Il procedimento di dispensa dal servizio del magistrato per inabilità presenta profili di specialità rispetto alla disciplina generale valevole per i dipendenti pubblici (specialità già sottolineata, fra le altre, dalla sentenza della IV Sezione del Consiglio di stato n. 3259/2013) e trova la sua base normativa essenzialmente nella legge sulle guarentigie della magistratura e in particolare negli articoli 3 e 4 (oltre che nella circolare del C.S.M. 10 febbraio 1994).
Con riguardo al trattamento economico è opportuno ricordare che l'art. 3 della legge n. 27/1981 prevede che l'indennità giudiziaria, una speciale indennità non pensionabile, sia corrisposta «con esclusione dei periodi di congedo straordinario, di aspettativa per qualsiasi causa, di astensione facoltativa previsti dagli articoli 32 e 47, commi 1 e 2, del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e di sospensione dal servizio per qualsiasi causa». Dal gennaio 2005 l'indennità giudiziaria viene corrisposta nei periodi di astensione obbligatoria dal lavoro nei cinque mesi di assenza per gravidanza e puerperio e nei periodi antecedenti in cui vi sia interdizione dal lavoro disposta dal competente ispettorato del lavoro. La trattenuta dell'indennità per le ipotesi di assenza dal servizio necessitate da situazioni oggetto di specifica tutela costituzionale, come la malattia, ha fatto dubitare della legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge n. 27 del 1981. Tali dubbi sono stati fugati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale, da un lato, ha ribadito che la legge pone una "correlazione necessaria tra la corresponsione dell'indennità e il concreto esercizio delle funzioni", ritenendo dunque legittimo che l'indennità non sia dovuta in ogni ipotesi di assenza dal servizio, poiché "l'insieme degli oneri, in relazione ai quali tale indennità è stata istituita, viene meno quando il servizio, per qualsiasi causa, non è concretamente prestato" (C. cost., sent. n. 407/1996; nello stesso senso, cfr. C. cost., ord. n. 106/1997; sent. n. 287/2006; ord. n. 290/2006; ord. n. 302/2006; ord. n. 137/2008; ord. n. 346/2008). Dall'altro lato, la Corte ha affermato che l'indennità giudiziaria costituisce solo una parte del complessivo trattamento economico del magistrato, onde la sua esclusione in caso di assenza dal servizio per malattia o maternità non viola i precetti costituzionali posti a tutela di tali situazioni, i quali impongono soltanto che in tali situazioni il lavoratore conservi il posto di lavoro ed abbia mezzi adeguati alle esigenze di vita, che nel caso dei magistrati sono pienamente assicurati dal riconoscimento della retribuzione "di base" (C. cost., sentenza n. 287 del 14 luglio 2006; cfr. anche C. cost., ord. n. 290/2006; ord. n. 302/2006; ord. n. 137/2008 e ord. n. 346/2008). Sempre secondo la Consulta, una volta assicurato il rispetto dei precetti costituzionali attraverso il riconoscimento di un trattamento "di base", rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire la concreta misura del trattamento spettante per ognuna delle ipotesi "protette" di assenza dal servizio. Tanto è vero che, al fine di riconoscere l'indennità giudiziaria al magistrato in caso di congedo obbligatorio di maternità, si è reso necessario uno specifico intervento legislativo che ha novellato in tal senso, con effetto non retroattivo, l'art. 3 della legge n. 27 del 1981 (art. 1, comma 325, della legge 30 dicembre 2004, n. 311). Dunque l'indennità giudiziaria non è dovuta nei periodi in cui la prestazione lavorativa è sospesa salvo che l'eccezione al principio predetto sia prevista dallo stesso legislatore.
Si segnala che proprio su questa questione interviene la proposta di legge, A.C.1161, all'esame della Commissione giustizia della Camera, la quale estende la corresponsione della indennità giudiziaria anche ai periodi di aspettativa o congedo straordinario per causa di infermità e ai periodi di fruizione dei permessi previsti dalla legge n. 104 del 1992.
L’articolo 10 modifica il decreto legislativo n. 26 del 2006, relativo alle funzioni della Scuola superiore della magistratura. Attraverso alcune novelle all’articolo 26-bis del decreto legislativo, in tema di corsi di formazione per il conferimento degli incarichi direttivi, è esteso il campo d’applicazione della disposizione, riferendola anche al conferimento degli incarichi semidirettivi e dettagliando le caratteristiche dei corsi di formazione, che dovranno avere una durata non inferiore a 3 settimane e prevedere una prova finale.
In particolare, la disposizione in commento inserisce tra le finalità della Scuola superiore della magistratura (art. 2 del d.lgs. n. 26 del 2006), l'organizzazione di corsi di formazione per i magistrati che aspirano al conferimento degli incarichi non solo direttivi ma anche semidirettivi di primo e di secondo grado (art. 8-bis, comma 1, lett. a))
Tramite una serie di modifiche all’art. 26-bis del predetto decreto legislativo, con riguardo all’oggetto dei corsi di formazione:
§ si inserisce la capacità di analisi ed elaborazione dei dati statistici tra le competenze che devono essere acquisite tramite i corsi;
§ si specifica che la durata dei corsi è di almeno tre settimane, anche non consecutive, e che gli stessi devono includere lo svolgimento di una prova finale diretta ad accertare le capacità acquisite;
§ si inseriscono le schede valutative redatte dai docenti e la documentazione relativa alla prova finale, tra i documenti da comunicare al CSM per le valutazioni in ordine al conferimento dell'incarico direttivo;
§ si prevede che corsi di formazione specifici siano riservati ai magistrati cui è stata conferita, nell’anno precedente, la funzione direttiva o semidirettiva.
Parere del CSM. Nel parere è rilevato apprezzamento per l’estensione dei corsi di formazione per le funzioni dirigenziali agli aspiranti alle funzioni sia direttive che semidirettive; tuttavia si osserva come la stessa, ove non si accompagni ad una revisione del numero dei predetti incarichi rischia di rendere eccessivamente gravoso il compito della Scuola.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
D.lgs. 30/01/2006, n. 26 Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera b), della L. 25 luglio 2005, n. 150 |
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Art. 2 Finalità |
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1. La Scuola è preposta: |
1. Identico: |
a) alla formazione e all'aggiornamento professionale dei magistrati ordinari; |
a) identica; |
b) all'organizzazione di seminari di aggiornamento professionale e di formazione dei magistrati e, nei casi previsti dalla lettera n), di altri operatori della giustizia; |
b) identica; |
c) alla formazione iniziale e permanente della magistratura onoraria; |
c) identica; |
d) alla formazione dei magistrati titolari di funzioni direttive e semidirettive negli uffici giudiziari |
d) identica; |
d-bis) all'organizzazione di corsi di formazione per i magistrati giudicanti e requirenti che aspirano al conferimento degli incarichi direttivi di primo e di secondo grado; |
d-bis) all'organizzazione di corsi di formazione per i magistrati giudicanti e requirenti che aspirano al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi di primo e di secondo grado; |
e) alla formazione dei magistrati incaricati di compiti di formazione; |
e) identica; |
f) alle attività di formazione decentrata; |
f) identica; |
g) alla formazione, su richiesta della competente autorità di Governo, di magistrati stranieri in Italia o partecipanti all'attività di formazione che si svolge nell'ambito della Rete di formazione giudiziaria europea ovvero nel quadro di progetti dell'Unione europea e di altri Stati o di istituzioni internazionali, ovvero all'attuazione di programmi del Ministero degli affari esteri e al coordinamento delle attività formative dirette ai magistrati italiani da parte di altri Stati o di istituzioni internazionali aventi ad oggetto l'organizzazione e il funzionamento del servizio giustizia; |
g) identica; |
h) alla collaborazione, su richiesta della competente autorità di Governo, nelle attività dirette all'organizzazione e al funzionamento del servizio giustizia in altri Paesi; |
h) identica; |
i) alla realizzazione di programmi di formazione in collaborazione con analoghe strutture di altri organi istituzionali o di ordini professionali; |
i) identica; |
l) alla pubblicazione di ricerche e di studi nelle materie oggetto di attività di formazione; |
l) identica; |
m) all'organizzazione di iniziative e scambi culturali, incontri di studio e ricerca, in relazione all'attività di formazione; |
m) identica; |
n) allo svolgimento, anche sulla base di specifici accordi o convenzioni che disciplinano i relativi oneri, di seminari per operatori della giustizia o iscritti alle scuole di specializzazione forense; |
n) identica; |
o) alla collaborazione, alle attività connesse con lo svolgimento del tirocinio dei magistrati ordinari nell'ambito delle direttive formulate dal Consiglio superiore della magistratura e tenendo conto delle proposte dei consigli giudiziari. |
o) identica. |
Omissis |
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Art. 26-bis Oggetto |
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1. I corsi di formazione per i magistrati giudicanti e requirenti che aspirano al conferimento degli incarichi direttivi di primo e di secondo grado sono mirati allo studio dei criteri di gestione delle organizzazioni complesse nonché all'acquisizione delle competenze riguardanti la conoscenza, l'applicazione e la gestione dei sistemi informatici e dei modelli di gestione delle risorse umane e materiali utilizzati dal Ministero della giustizia per il funzionamento dei propri servizi. |
1. I corsi di formazione per i magistrati giudicanti e requirenti che aspirano al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi di primo e di secondo grado sono mirati allo studio della materia ordinamentale, dei criteri di gestione delle organizzazioni complesse nonché all'acquisizione delle competenze riguardanti la capacità di analisi ed elaborazione dei dati statistici, la conoscenza, l'applicazione e la gestione dei sistemi informatici e dei modelli di gestione delle risorse umane e materiali utilizzati dal Ministero della giustizia per il funzionamento dei propri servizi. |
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1-bis. I corsi hanno la durata di almeno tre settimane, anche non consecutive, e devono includere lo svolgimento di una prova finale diretta ad accertare le capacità acquisite. |
2. Al termine del corso di formazione, il comitato direttivo, sulla base delle schede valutative redatte dai docenti nonché di ogni altro elemento rilevante, indica per ciascun partecipante elementi di valutazione in ordine al conferimento degli incarichi direttivi, con esclusivo riferimento alle capacità organizzative.
|
2. Al termine del corso di formazione, il comitato direttivo, sulla base delle schede valutative redatte dai docenti nonché di ogni altro elemento rilevante, indica per ciascun partecipante elementi di valutazione in ordine al conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, con esclusivo riferimento alle materie oggetto del corso. |
3. Gli elementi di valutazione sono comunicati al Consiglio superiore della magistratura per le valutazioni di competenza in ordine al conferimento dell'incarico direttivo.
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3. Gli elementi di valutazione, le schede valutative redatte dai docenti e la documentazione relativa alla prova finale di cui al comma 1-bis, sono comunicati al Consiglio superiore della magistratura per le valutazioni di competenza in ordine al conferimento dell'incarico direttivo. |
4. Gli elementi di valutazione conservano validità per cinque anni. |
4. I dati di cui al comma 3 conservano validità per cinque anni. |
5. Possono concorrere all'attribuzione degli incarichi direttivi, sia requirenti che giudicanti, sia di primo che di secondo grado, soltanto i magistrati che abbiano partecipato al corso di formazione |
5. Possono concorrere all'attribuzione degli incarichi direttivi e semidirettivi, sia requirenti che giudicanti, sia di primo che di secondo grado, soltanto i magistrati che abbiano partecipato al corso di formazione in data non risalente a più di cinque anni prima della scopertura dell’incarico oggetto della domanda |
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5-bis. Specifici corsi di formazione con i contenuti di cui al comma 1 e per la durata di cui al comma 1-bis sono riservati ai magistrati ai quali è stata conferita nell’anno precedente la funzione direttiva o semidirettiva. |
L’articolo 11 apporta una serie di modifiche al decreto legislativo n. 109 del 2006, in materia di illeciti disciplinari. Sono, in particolare, oggetto di intervento:
· gli illeciti commessi nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, il cui elenco viene integrato con nuove condotte rilevanti sul piano disciplinare tra le quali, in particolare, il mancato rispetto delle nuove misure relative alla funzionalità degli uffici e allo smaltimento dei procedimenti arretrati: la condotta dell’omessa collaborazione del magistrato all’attuazione di tali misure costituisce illecito disciplinare punito con una sanzione non inferiore alla censura; la violazione reiterata dell’obbligo di adozione - da parte dei capi degli uffici giudiziari – delle suddette misure costituirà specifico illecito per gli stessi dirigenti, punito con la sanzione della temporanea incapacità di esercitare le funzioni direttive o semidirettive. Tra i nuovi illeciti disciplinari sono inoltre inserite le condotte relative alla violazione dei divieti concernenti i rapporti tra organi requirenti ed organi di informazione nonché l’avere indotto l'emissione di un provvedimento restrittivo della libertà personale in assenza dei presupposti previsti dalla legge, omettendo di trasmettere al giudice, per negligenza grave ed inescusabile, elementi rilevanti;
· gli illeciti commessi fuori dell’esercizio delle funzioni: anche in questo caso l’elenco viene integrato con nuove fattispecie, tra le quali il condizionamento indebito dell'esercizio delle funzioni del CSM, al fine di ottenere un ingiusto vantaggio per sé o per altri o di arrecare un danno ingiusto ad altri.
L’articolo introduce inoltre, nel predetto decreto legislativo, due nuovi istituti:
· l’estinzione dell’illecito per il magistrato cui sia stata addebitata la condotta di “ reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni”, a condizione che lo stesso rispetti del piano di smaltimento dell’arretrato (nuovo comma 5 bis dell’art. 37 del decreto legge 98/2011) adottato dal capo dell’ufficio;
· la riabilitazione, operante quando: siano state comminate le sanzioni disciplinari dell’ammonimento e della censura e siano trascorsi, rispettivamente, almeno 3 o 5 anni dall’irrevocabilità dell’accertamento disciplinare; il magistrato abbia conseguito una successiva positiva valutazione di professionalità ovvero, se gli sia già stata attribuita la settima valutazione, sia positivamente valutato il suo successivo percorso professionale.
Quadro normativo. Il sistema della responsabilità disciplinare dei magistrati è stato oggetto di una specifica disciplina da parte del decreto legislativo n. 109 del 2006. Il decreto legislativo contempla tre specifiche categorie di illeciti disciplinari:
- quelli commessi dal magistrato nell'esercizio delle funzioni giudiziarie (art. 2);
- quelli commessi dal magistrato fuori dall'esercizio delle funzioni (art. 3);
- quelli conseguenti a reato (art. 4).
In particolare il comma 1, lettera a) interviene sull’articolo 2 del decreto legislativo n. 109, introducendo nuove ipotesi di illeciti disciplinari commessi nell'esercizio delle funzioni giudiziarie.
Più nel dettaglio, la lettera a), n. 1) interviene sulla lettera a) del comma 1 del citato articolo 2 del d.lgs. n. 109 del 2006, la quale prevede che costituiscono illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni, i comportamenti che arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio ad una delle parti violando i doveri di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo, equilibrio e rispetto della dignità della persona (di cui all’art. 1 del D.lgs. 109/2006). Sono escluse dall’applicazione della suddetta disposizione le condotte già corredate di sanzione di cui alle lettere b) e c).
La novella, nell’intento di evitare il cumulo degli illeciti disciplinari, aggiunge all'elenco delle disposizioni escluse dall’applicazione della lettera a), altresì le condotte di cui alle lettere g) ed m) del medesimo articolo 2, ossia le condotte di "grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile" (lett. g) e quelle legate alla “adozione di provvedimenti adottati nei casi non consentiti dalla legge, per negligenza grave e inescusabile, che abbiano leso diritti personali o, in modo rilevante, diritti patrimoniali” (lett. m).
Si ricorda che l’articolo 2, comma 1, lettera b) si riferisce all'omissione della comunicazione, al Consiglio Superiore della Magistratura, della sussistenza di una delle situazioni di incompatibilità di cui agli articoli 18 e 19 dell'ordinamento giudiziario, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12; e la lettera c) si riferisce alla consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge".
La lettera a), numero 2) interviene sull’illecito disciplinare consistente nella reiterata o grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio giudiziario o sui servizi organizzativi e informatici adottate dagli organi competenti, di cui alla lettera n) dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo n. 109, per aggiungervi la reiterata o grave inosservanza delle direttive.
Parere del CSM Il parere ha evidenziato che la norma non chiarisce il significato dell’espressione ‘direttive’, che potrebbe essere riferita sia a quelle consiliari sia alle direttive del potere esecutivo nell’ambito dei servizi organizzativi e informatici, con conseguenti criticità sotto il profilo del principio della tassatività degli illeciti: le direttive consiliari, infatti, non pongono precetti specifici e immediatamente prescrittivi ma forniscono ai magistrati un supporto all'interpretazione delle norme; quelle adottate dal potere esecutivo nell'ambito dei "servizi organizzativi e informatici", costituiscono un concetto elastico ed indefinito collocato in una zona d'ombra del diritto a causa della difficoltà di ricostruirne il regime giuridico.
La lettera a), n. 3) introduce nel comma 1 dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 109 del 2006 la nuova lettera q-bis), che prevede fra le condotte illecite, rilevanti sul piano disciplinare, l’omessa collaborazione del magistrato nell'attuazione delle misure relative alla funzionalità degli uffici stessi e lo smaltimento degli eventuali procedimenti arretrati, dettate dai nuovi commi 5-bis e 5-ter dell'articolo 37 del decreto-legge n. 98/2011 (v. scheda relativa all’art. 11), nonché la reiterazione, all'esito della adozione di tali misure, delle condotte che le hanno imposte se attribuibili al magistrato.
Si ricorda che che ai sensi del nuovo comma 5-bis dell'articolo 37 del decreto-legge n. 98/2011, introdotto dall’articolo 11 del disegno di legge in esame (v. infra) viene imposto al capo dell’ufficio, al verificarsi di gravi e reiterati ritardi da parte di uno o più magistrati dell’ufficio, di accertare le cause degli stessi e di adottare ogni iniziativa idonea a consentirne l’eliminazione, attraverso la predisposizione di piani mirati di smaltimento. Il nuovo comma 5-ter del medesimo articolo 37 impone poi un analogo onere di controllo e di intervento al capo dell’ufficio, il quale, al verificarsi di un aumento delle pendenze dell’ufficio o di una sezione in misura superiore al 10% rispetto all’anno precedente, deve accertarne le cause e adottare ogni intervento idoneo a consentire l’eliminazione delle eventuali carenze organizzative che hanno determinato quell’aumento.
Con riguardo al requisito della "reiterazione" è opportuno ricordare che già l’articolo 2, comma 1, alla lettera q) del decreto legislativo n. 109 inserisce fra gli illeciti disciplinari il ritardo reiterato nel compimento di atti giudiziari. Secondo la giurisprudenza prevalente ai fini dell'accertamento della sussistenza della reiterazione non occorre che il comportamento sia abituale, ma è sufficiente che sia ripetuto, che si sia verificato più di una volta (Cass. S.U. sentenza n. 18696 del 2011).
La lettera a), n. 4) interviene sulla lettera v) dell’articolo 2, comma 1 (d.lgs. 109 del 2006) che individua alcuni illeciti disciplinari attinenti alle esternazioni dei magistrati in relazione a procedimenti in corso.
La lettera v) dell’art. 2, comma 1, del d. lgs. n. 109 del 2006 prevede nella formulazione vigente, che costituiscono illecito disciplinare le pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino i soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione, ovvero trattati e non definiti con provvedimento non soggetto a impugnazione ordinaria, quando sono dirette a ledere indebitamente diritti altrui. Inoltre, è un illecito anche la violazione del divieto previsto dall’art. 5, comma 2, del decreto legislativo n. 106 del 2006, ai sensi del quale le informazioni inerenti alle attività della procura devono essere fornite attribuendole in modo impersonale all'ufficio ed escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento.
Il disegno di legge interviene sulla lettera v) per ampliare il campo d’applicazione dell’illecito estendendolo anche alle condotte di violazione delle disposizioni sui rapporti tra gli organi requirenti e gli organi di informazione (di cui ai commi 1, 2-bis e 3 dell’art. 5 del d.lgs. n. 106 del 2006), come da ultimo disciplinati in attuazione della Direttiva europea sulla presunzione di innocenza.
Si ricorda che l’articolo 5 del d.lgs. n. 106 del 2006 è stato recentemente modificato dal d. lgs. n. 188 del 2021 recante disposizioni per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza. In particolare i commi 1, 2-bis e 3 dell’art. 5 prevedono che:
- il procuratore della Repubblica mantiene personalmente, ovvero tramite un magistrato dell'ufficio appositamente delegato, i rapporti con gli organi di informazione, esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa (comma 1);
- la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre specifiche ragioni di interesse pubblico. Le informazioni sui procedimenti in corso sono fornite in modo da chiarire la fase in cui il procedimento pende e da assicurare, in ogni caso, il diritto della persona sottoposta a indagini e dell'imputato a non essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili (comma 2-bis);
- i magistrati della procura della Repubblica non possono rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l'attività giudiziaria dell'ufficio (comma 3).
Parere del CSM Il parere ha evidenziato che l'introduzione del nuovo illecito disciplinare presenta notevoli criticità sia sotto il profilo del rispetto del principio di tassatività che con riguardo alla garanzia di indipendenza dei magistrati del pubblico ministero. Secondo il CSM le disposizioni richiamate avrebbero un contenuto molto ampio ed elastico, rinviando a concetti quali la rilevanza pubblica dei fatti ovvero specifiche ragioni di interesse pubblico o specifiche esigenze investigative, che si fondano prevalentemente su valutazioni discrezionali e di opportunità che non possono essere oggetto di sindacato in sede disciplinare.
Il parere sottolinea come il divieto per i magistrati del pubblico ministero di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazioni circa l’attività giudiziaria dell’ufficio è amplissimo ed involge qualsiasi dichiarazione e su qualsiasi procedimento, anche quelli già definiti e anche quelli non trattati dal magistrato. La norma si mostra, quindi, irrazionale e in contrasto con il diritto di manifestazione del pensiero dei magistrati; essa attribuisce, inoltre, ai titolari dell’azione disciplinare un potere di controllo e di condizionamento amplissimo sui procuratori della repubblica e su tutti i magistrati del pubblico ministero.
Secondo quanto evidenziato nel parere la novella, infine, non tiene conto che già esiste una disposizione (art. 2, comma 1, lett. g) D. Lgs. n. 109/2006) idonea a sanzionare le condotte realmente rimproverabili, peraltro sulla scorta di assetti applicativi ormai ben sedimentati nell’esperienza giuridica.
La lettera a) n. 5) introduce due ulteriori illeciti disciplinari, inserendo le nuove lettere ee-bis) e ee-ter) nel comma 1 dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 109 del 2006. Si tratta:
§ dell'omessa adozione da parte del capo dell'ufficio giudiziario delle iniziative per lo smaltimento dell’arretrato al verificarsi di gravi e reiterati ritardi da parte di uno o più magistrati dell’ufficio e delle iniziative per l’eliminazione delle eventuali carenze organizzative che abbiano comportato un aumento delle pendenze dell’ufficio (nuovi commi 5-bis e 5-ter dell'articolo 37 del decreto legge n. 98 del 2011); della violazione del dovere di segnalazione al capo dell’ufficio giudiziario, da parte dei presidenti di sezione (nuovo comma 5-quater dell'art. 37 d.l. 98 del 2011), in relazione al verificarsi di gravi e reiterati ritardi da parte dei magistrati e di un rilevante aumento delle pendenze della sezione (lettera ee-bis);
§ dell'omessa comunicazione al consiglio giudiziario e al consiglio direttivo della Corte di cassazione o al capo dell’ufficio, da parte del capo dell'ufficio o del presidente di una sezione, delle condotte del magistrato dell’ufficio che non collabori nell’attuazione delle misure predisposte per eliminare i ritardi nel deposito dei propri provvedimenti (lettera ee-ter).
Parere del CSM Il parere sottolinea come l’introduzione dei nuovi illeciti disciplinari connessi alla violazione, da parte del capo dell’ufficio, del dovere di adottare le misure di cui all’art. 37, co. 5 bis e 5 ter D.L. 6 luglio 2001, n. 98 e alla violazione, da parte del presidente di sezione, del dovere di segnalazione di gravi e reiterati ritardi da parte dei magistrati e del verificarsi di un rilevante aumento delle pendenze della sezione opta per un innalzamento della risposta sanzionatoria e rischia di creare eccessive rigidità nella gestione dell'ufficio, e rischia di trasformare il procedimento disciplinare in uno strumento di governo dell’organizzazione degli uffici, strumento che il CSM ritiene disfunzionale anche tenuto conto delle notevoli differenze di carico di lavoro degli uffici giudiziari e della non riconducibilità di tali differenze unicamente a scelte organizzative dei dirigenti
La lettera a) n. 6) modifica l’illecito disciplinare di cui alla lettera gg) del comma 1 dell’art. 2 del d.lgs. n. 109 del 2006), che consiste nell’emissione di un provvedimento restrittivo della libertà personale fuori dei casi consentiti dalla legge, determinata da negligenza grave ed inescusabile. Le novelle specificano che:
· per la configurazione dell’illecito il provvedimento deve essere stato emesso “in carenza dei presupposti previsti dalla legge” (in luogo del più generico riferimento ai “casi consentiti dalla legge”);
· costituisce altresì illecito disciplinare l’avere indotto l'emissione di un provvedimento restrittivo della libertà personale in assenza dei presupposti previsti dalla legge, omettendo di trasmettere al giudice, per negligenza grave ed inescusabile, elementi rilevanti.
La lettera b), modifica l’articolo 3 del d.lgs. n. 109 del 2006 concernente gli illeciti disciplinari fuori dell'esercizio delle funzioni.
In particolare è modificata la lettera e), ai sensi della quale costituisce illecito disciplinare l’avere ottenuto - direttamente o indirettamente - prestiti o agevolazioni da soggetti coinvolti in procedimenti pendenti presso l'ufficio giudiziario di appartenenza o presso altro ufficio che si trovi nel distretto di Corte d'appello nel quale esercita le funzioni giudiziarie. La novella prevede che il beneficio conseguito dal magistrato sia rilevante anche ove conseguito per altri.
Si ricorda, al riguardo, che la giurisprudenza (Cass. civ. Sez. Unite Sent., 09/12/2019, n. 32111) ha specificato che in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, ai fini dell'integrazione dell'elemento materiale dell'illecito di cui all'art. 3, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 109 del 2006, è necessaria la prova che il magistrato abbia personalmente ottenuto, direttamente o indirettamente, prestiti o agevolazioni da uno dei soggetti indicati dalla norma, atteso che tale disposizione - a differenza di quella contenuta nella lett. a) dello stesso art. 3 - non prevede che il conseguimento del vantaggio da parte del magistrato possa avvenire "per se o per altri". Peraltro, l'estensione anche ai prestiti ed alle agevolazioni ottenute "indirettamente" non consente di ritenere, senza violare la funzione descrittiva delle diverse locuzioni utilizzate dal medesimo art. 3, che il meccanismo percettivo previsto dalla norma possa arrestarsi alla percezione da parte di un terzo, essendo invece necessario, perché l'illecito in esame sia integrato, che l'intervento del terzo costituisca lo strumento per mezzo del quale l'agevolazione o il prestito pervenga - per l'appunto, indirettamente - al magistrato.
La lettera c) inserisce, nell’articolo 3 del d.lgs. n. 109 del 2006, due nuovi illeciti disciplinari fuori dell'esercizio delle funzioni ed in particolare le condotte consistenti:
· nell’adoperarsi per condizionare indebitamente l’esercizio delle funzioni del CSM, al fine di ottenere un ingiusto vantaggio per sé o per altri o di arrecare un danno ingiusto ad altri; (nuova lettera l-bis));
· nell'omissione, da parte del componente del CSM, della comunicazione agli organi competenti di fatti a lui noti che possono costituire l’illecito disciplinare del condizionamento indebito (nuova lettera l-ter).
La lettera d) inserisce, nel d.lgs. n. 109 del 2006, il nuovo articolo 3 ter, intitolato "estinzione dell'illecito" in base al quale, nel caso in cui al magistrato venga addebitata la condotta di cui all’art. 2, comma 1, lett. q), che punisce “il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni”, il rispetto, da parte dello stesso, del piano di rientro adottato dal capo dell’ufficio, ai sensi del comma 5 bis dell’art. 37 del decreto legge 98/2011 (introdotto dal disegno di legge in esame), determina l’estinzione dell’illecito. Tale beneficio può essere riconosciuto una sola volta.
Parere del CSM. Nel parere è stato rilevato come la disciplina posta dalla norma sia scarna e non adeguata a fornire all’interprete indicazioni per la soluzione di questioni rilevanti ai fini dell’operatività della causa estintiva.
In particolare, è stato evidenziato, quanto al dies a quo, l’opportunità di prevedere espressamente che è possibile procedere alla verifica dei presupposti applicativi dell’istituto anche in fase pre-disciplinare, onde evitare il promovimento della relativa azione nei confronti di magistrati che, se non già al momento dell’acquisizione della notizia circostanziata dei fatti, quantomeno nel corso delle indagini, mostrino l’effettiva volontà ed impegno nel rispetto del piano di rientro; in alternativa, e in caso di riscontrato avvio del “ravvedimento operoso”, di prevedere la sospensione della fase delle indagini (o del giudizio disciplinare ove questo fosse già iniziato). Il parere sottolinea come ciò sarebbe opportuno tanto allo scopo di evitare, se la causa estintiva si ritenesse operante sino a quando il procedimento disciplinare è pendente, l’irragionevole conseguenza di pervenire ad una pronuncia di condanna, pur quando il piano di smaltimento, nel rispetto del termine concesso, fosse adempiuto dopo la conclusione del procedimento disciplinare. Nel caso in cui, invece, proprio per ovviare a tali irragionevoli effetti, la causa estintiva si ritenesse operante anche dopo la condanna definitiva, occorrerebbe precisare che la sentenza di condanna deve essere revocata, con l’indicazione delle modalità con cui procedere alla revoca.
La lettera e) modifica l’articolo 12 del d.lgs. n. 109 del 2006 in materia di sanzioni disciplinari.
Quadro normativo. Sempre con riguardo alla responsabilità disciplinare è opportuno ricordare che gli articoli 5 e seguenti del decreto legislativo n. 109 del 2006 prevedono diverse tipologie di sanzioni da comminare a fronte di condotte che costituiscono illecito disciplinare. Si tratta, in particolare delle seguenti sanzioni:
- l'ammonimento inteso come richiamo espresso all'osservanza dei doveri del magistrato;
- la censura, quale dichiarazione formale di biasimo;
- la perdita di anzianità: che comporta la decurtazione di un periodo di servizio che non può essere inferiore a due mesi e superiore a due anni:
- l'incapacità temporanea ad esercitare un incarico direttivo o semidirettivo, la quale comporta la impossibilità di rivestire ruoli direttivi e semidirettivi per un arco temporale che va dai sei mesi ai due anni;
- la sospensione dalle funzioni, che determina l'allontanamento dal servizio con la sospensione dello stipendio e il collocamento fuori dal ruolo organico della magistratura per un minimo di tre mesi ed un massimo di due anni;
- la rimozione, quale cessazione del rapporto di servizio.
A queste sanzioni si aggiunge la sanzione accessoria del trasferimento d'ufficio, che il giudice disciplinare può adottare, quando infligge una sanzione principale più grave dell'ammonimento ovvero deve adottare nelle ipotesi di sospensione dalle funzioni.
In particolare, l’omessa collaborazione del magistrato nell’attuazione delle misure predisposte per lo smaltimento dell’arretrato e per l’eliminazione delle inefficienze organizzative, nonché la reiterazione, all’esito dell’adozione di quelle misure, delle condotte che le hanno imposte, se si tratta di condotte a lui attribuibili (nuova lett. q-bis dell'articolo 2, comma 1 del decreto legislativo n. 109, v. sopra) sono punite con una sanzione disciplinare non inferiore alla censura.
Comporterà invece la sanzione della temporanea incapacità di esercitare le funzioni direttive o semidirettive, la reiterata violazione degli obblighi di adozione da parte del capo dell'ufficio giudiziario delle iniziative per lo smaltimento dell’arretrato e delle iniziative per l’eliminazione delle eventuali carenze organizzative e degli obblighi di segnalazione al capo dell’ufficio giudiziario, da parte dei presidenti di sezione in relazione al verificarsi di gravi e reiterati ritardi da parte dei magistrati e di un rilevante aumento delle pendenze della sezione (nuovi commi 5-bis, 5-ter e 5-quater dell'articolo 37 del decreto-legge n. 98).
Inoltre è apportata una modifica al comma 4 dell’articolo 12, prevedendosi l’applicazione di una sanzione non inferiore alla sospensione dalle funzioni nei casi di emissione o induzione dell'emissione di un provvedimento restrittivo della libertà personale in assenza dei presupposti previsti (di cui alla lettera gg) comma 1, dell’articolo 2), sia seguito il riconoscimento dell’ingiusta detenzione ai sensi dell’articolo 314 c.p.c.
Si ricorda che l’art. 314 c.p.p. prevede il diritto a un'equa riparazione per la custodia cautelare subita per chi sia stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.. Lo stesso diritto spetta al prosciolto per qualsiasi causa o al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto a custodia cautelare, quando con decisione irrevocabile risulti accertato che il provvedimento che ha disposto la misura è stato emesso o mantenuto senza che sussistessero le condizioni di applicabilità
La lettera f) inserisce nel decreto legislativo n. 109 l'articolo 25-bis, il quale introduce e disciplina l'istituto della riabilitazione prevedendo:
· che la condanna disciplinare che ha comportato l’ammonimento del magistrato, perde efficacia dopo 3 anni dalla data in cui la sentenza disciplinare di condanna è divenuta irrevocabile, se il magistrato consegue la successiva valutazione di professionalità;
· che la condanna disciplinare che ha comportato la censura, perde efficacia dopo 5 anni dalla data in cui la sentenza disciplinare di condanna è divenuta irrevocabile se il magistrato consegue la successiva valutazione di professionalità;
· per i magistrati che hanno già raggiunto l’ultima valutazione di professionalità, che la perdita di efficacia sia subordinata al decorso del tempo e alla positiva valutazione del loro percorso professionale da parte del CSM, nei modi che il Consiglio stesso disciplinerà;
· che il CSM stabilisca le modalità dell’accertamento delle condizioni dettate per la riabilitazione, assicurando che vi si provveda in occasione del primo procedimento in cui ciò sia rilevante.
L'istituto della riabilitazione, disciplinato per i soli impiegati civili dello stato dall'art. 87 DPR n. 3/57, non è estensibile - in quanto non espressamente previsto - anche ai magistrati. La Corte costituzionale, con sentenza 6-22 giugno 1992 n. 289 ha a ben vedere dichiarato la illegittimità costituzionale del combinato disposto dall'art. 87 DPR 10 gennaio 1957, n. 3 e dell'art. 276 RD 30 gennaio 1941 n. 12 nella parte in cui consente l'applicazione ai magistrati della riabilitazione prevista per gli impiegati civili dello stato colpiti da sanzioni disciplinari.
Parere del CSM. Nel parere reso, pur a fronte di una positiva valutazione dell’intervento, è stata sollecitata un’integrazione della disposizione, con l’indicazione del periodo al quale riferire “la successiva valutazione di professionalità positiva”; inoltre, è stata evidenziata l’improprietà del riferimento alla cessazione degli effetti dell’illecito disciplinare, anziché della condanna, che è normalmente, e sulla base dei principi generali, la conseguenza prodotta della riabilitazione. Una diversa soluzione, peraltro, implicherebbe la violazione del principio di eguaglianza poiché risulterebbe sempre valutabile il fatto illecito accertato con una sentenza di assoluzione emessa ai sensi dell’art. 3 bis del d.lgs. 109 del 2006, mentre non lo sarebbe, dopo la riabilitazione, il fatto accertato con sentenza di condanna.
Ulteriori criticità sono state rilevate sia con riferimento all’automatismo con il quale l’istituto è destinato ad operare, per la mancata previsione di specifiche condizioni ostative al suo riconoscimento e l’assenza di ogni discrezionalità valutativa del Consiglio, almeno per i casi in cui il magistrato non abbia già conseguito la settima valutazione di professionalità, sia per l’assenza di un regime transitorio.
L’articolo 12 apporta una serie di modifiche al decreto legislativo n. 160 del 2006, intervenendo sulle disposizioni in materia di indizione del concorso in magistratura, passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa e di limiti di età per il conferimento di funzioni direttive.
In particolare, la lettera a) interviene sull’articolo 1 del decreto legislativo, relativo al concorso in magistratura, prevedendo che il Ministero della giustizia debba, ogni anno entro febbraio, determinare il numero di posti che si renderanno vacanti nel successivo quadriennio (nuovo comma 1-bis). Con una modifica all’articolo 3 del decreto legislativo, la lettera b) prevede che il concorso debba essere bandito entro il mese di settembre di ciascun anno (modifica del comma 2).
La lettera c) del comma 1 interviene, poi, sulla disciplina relativa al passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa, contenuta nell’articolo 13 del d.lgs. n. 160 del 2006.
Quadro normativo. L'originario articolo 190 del RD n. 12 del 1941 non prevedeva nessun impedimento al passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti, risultando sufficiente un parere attitudinale positivo del Consiglio giudiziario di appartenenza. Successivamente con la circolare n. P-5157/2003 del 14 marzo 2003) del CSM sono state previste alcune incompatibilità nel caso di passaggio di funzioni all'interno del medesimo circondario. La disciplina è integralmente cambiata in senso restrittivo con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 160 del 2006, successivamente modificato dalla legge n. 11 del 2007. L'articolo 13 del decreto legislativo n. 160 prevede infatti il divieto del passaggio di funzioni: all'interno dello stesso distretto; all'interno di altri distretti della stessa Regione; nel distretto di Corte di appello competente per legge ad accertare la responsabilità penale dei magistrati del distretto nel quale il magistrato presta servizio al momento della richiesta di tramutamento. Fermo il divieto di cambio di funzioni nell’ambito dello stesso circondario e della medesima Provincia, tuttavia, è ammesso il passaggio di funzioni nel medesimo distretto qualora il magistrato richiedente le funzioni requirenti abbia trattato negli ultimi cinque anni esclusivamente affari civili o del lavoro e viceversa quello richiedente le funzioni giudicanti civili o del lavoro sia destinato ad un ufficio giudiziario diviso in sezioni con posti vacanti in una sezione che si occupi esclusivamente di controversie civilistiche e lavoristiche. Nel primo caso il magistrato non può essere destinato nemmeno in qualità di sostituto a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Nel secondo caso lo stesso non può essere destinato neanche in qualità di sostituto a funzioni di natura penale o miste. Da un punto di vista soggettivo il comma 3 dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 160 prevede il limite massimo di quattro passaggi nel corso della carriera; nonché una permanenza minima di cinque anni nelle nuove funzioni.
Da un punto di vista attitudinale sono infine richiesti la partecipazione ad uno specifico corso presso la scuola superiore della magistratura (comma 5 dell'articolo 13), nonché l’emissione di un giudizio di idoneità al mutamento di funzioni da parte del consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario.
Il disegno di legge, intervenendo sul comma 3 dell’articolo 13, prevede come regola generale che il magistrato possa chiedere il cambio delle funzioni (secondo periodo del comma 3):
§ una volta nel corso della carriera;
§ entro il termine di 6 anni dal maturare per la prima volta della legittimazione al tramutamento previsto dall’articolo 194 dell’ordinamento giudiziario. Dunque, alla luce delle modifiche apportate dal d.d.l. all’art. 194 del R.D. n. 12 del 1941, entro 9 anni dalla prima assegnazione delle funzioni.
L’art. 194 dell’ordinamento giudiziario (Tramutamenti successivi) prevede che il magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede, non possa essere trasferito ad altre sedi o assegnato ad altre funzioni prima di 4 anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell'ufficio, salvo che ricorrano gravi motivi di salute ovvero gravi ragioni di servizio o di famiglia. Su tale previsione interviene l’articolo 7 del disegno di legge in commento (v. sopra) che, aggiungendovi un comma, precisa che “per i magistrati che esercitano le funzioni presso la sede di prima assegnazione il termine di cui al primo comma è di 3 anni”.
Trascorso tale periodo, il passaggio di funzioni è ancora consentito, per una sola volta se si tratta:
§ del passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti purché l'interessato non abbia mai svolto funzioni giudicanti penali;
§ del passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti civili o del lavoro, in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, purché il magistrato non si trovi, neanche in qualità di sostituto, a svolgere funzioni giudicanti penali o miste.
Resta ferma la disciplina attuale che consente il passaggio solo previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario.
Disposizioni specifiche sono dettate per il conferimento delle funzioni di legittimità, attraverso la sostituzione del comma 6 dell’art. 13 del d.lgs. n. 160 del 2006.
Le limitazioni al passaggio tra le funzioni previste dal comma 3, infatti, non si applicano:
§ al conferimento delle funzioni requirenti di legittimità (sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione) previste dall’art. 10, comma 6, del d.lgs. n. 160 del 2006;
§ al conferimento delle funzioni direttive requirenti di legittimità (avvocato generale presso la Corte di cassazione) di cui all’art. 10, comma 14 del d.lgs. n. 160 del 2006.
§ al conferimento delle funzioni direttive superiori giudicanti di legittimità (presidente aggiunto della Corte di cassazione e presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche) e delle funzioni direttive superiori requirenti di legittimità (procuratore generale aggiunto presso la Corte di cassazione), di cui all’art. 10, comma 15, del d.lgs. n. 160 del 2006;
§ al conferimento delle funzioni direttive apicali giudicanti di legittimità (primo presidente della Corte di cassazione) e delle funzioni direttive apicali requirenti di legittimità (procuratore generale presso la Corte di cassazione), di cui all’art. 10, comma 16, del d.lgs. n. 160 del 2006.
Al magistrato che svolge funzioni requirenti possono essere conferite le funzioni giudicanti di legittimità (consigliere di cassazione) e le funzioni direttive giudicanti di legittimità (presidente di sezione della cassazione) solo se non si tratta di funzioni giudicanti penali. In questo caso non si applicano le limitazioni previste dal comma 3 per la sede di destinazione.
Si ricorda che il comma 3 non consente il passaggio di funzioni all'interno dello stesso distretto, né all'interno di altri distretti della stessa regione, né con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all'atto del mutamento di funzioni.
Con riguardo ai magistrati che prima dell’entrata in vigore della legge hanno già effettuato almeno un cambio di funzioni, il comma 2 dell'articolo 12 introduce una norma transitoria, in base alla quale è ancora possibile – oltre che richiedere il conferimento delle funzioni requirenti di legittimità - sempre e solo un ulteriore mutamento, a condizione che, ovviamente, non abbiano già effettuato quattro mutamenti di funzione (limite previsto dalla normativa vigente).
Si ricorda che sul tema del passaggio tra le funzioni è pendente un referendum abrogativo giudicato ammissibile dalla Corte costituzionale con la sent. n. 58 del 2022.
Infine, la lettera d) apporta modifiche all'articolo 35 del decreto legislativo n. 160 del 2006, intervenendo sui limiti di età ivi previsti per l’assunzione di funzioni direttive e parificando tutte le funzioni, ad esclusione di quelle apicali. Per quelle apicali si prevede un limite, attualmente non esistente, imponendo che anche per esse sia garantita la copertura delle funzioni per almeno due anni.
Quadro normativo. L'articolo 35 del decreto legislativo n. 160 prevede dei precisi limiti di età per il conferimento di funzioni direttive. In particolare, per l'assunzione di funzioni direttive giudicanti e requirenti di primo e secondo grado (commi 10 e 12 dell'art. 10 del d.lgs. n. 160); di funzioni direttive giudicanti e requirenti elevate di primo grado (comma 11 dell'art. 10 del d.lgs. n. 160); nonché di funzioni direttive requirenti di coordinamento nazionale (comma 13 dell'art. 10 del d.lgs. n. 160) è necessario che, al momento della data della vacanza del posto messo a concorso, gli aspiranti assicurino almeno quattro anni di servizio prima della data di collocamento in pensione, al fine di garantire un periodo minimo di continuità nella “gestione” organizzativa dell’ufficio. Nel caso di funzioni direttive giudicanti o requirenti di legittimità (comma 4 dell'art. 10 del d.lgs. n. 160) gli aspiranti devono assicurare almeno tre anni di servizio prima della data di collocamento a risposo.
Il disegno di legge estende il limite di età attualmente previsto per l'assunzione delle sole funzioni direttive di cui ai commi da 10 a 13 (si tratta delle funzioni direttive giudicanti e requirenti di primo e secondo grado; delle funzioni direttive giudicanti e requirenti elevate di primo grado; nonché delle funzioni direttive requirenti di coordinamento nazionale) anche alle funzioni direttive giudicanti e requirenti di legittimità (comma 14 dell'art. 10 del d.lgs. n. 160) e alle funzioni direttive superiori giudicanti e requirenti di legittimità (comma 15 dell'art. 10 del d.lgs. n. 160).
Quindi anche per l'assunzione di queste funzioni è necessario che, al momento della data della vacanza del posto messo a concorso, gli aspiranti assicurino almeno quattro anni di servizio prima della data di collocamento in pensione.
Il disegno di legge poi estende la disciplina sui limiti di età anche alle ipotesi (attualmente non contemplate) di conferimento delle funzioni direttive apicali giudicanti e requirenti di legittimità (si tratta cioè delle funzioni di primo presidente della Corte di cassazione e di procuratore generale presso la Corte di cassazione). In questi casi si prevede che al momento della data della vacanza del posto messo a concorso, gli aspiranti assicurino almeno due anni di servizio prima della data di collocamento in pensione.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
D.lgs. n. 160 del 2006 Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della L. 25 luglio 2005, n. 150. |
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Capo I - Disposizioni in tema di ammissione in magistratura e tirocinio Art. 1 Concorso per magistrato ordinario |
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1. La nomina a magistrato ordinario si consegue mediante un concorso per esami bandito con cadenza di norma annuale in relazione ai posti vacanti e a quelli che si renderanno vacanti nel quadriennio successivo, per i quali può essere attivata la procedura di reclutamento. |
1. La nomina a magistrato ordinario si consegue mediante un concorso per esami bandito con cadenza di norma annuale in relazione ai posti vacanti e a quelli che si renderanno vacanti nel quadriennio successivo, per i quali in ragione dello stanziamento deliberato può essere attivata la procedura di reclutamento. |
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1-bis. Ai fini di cui al comma 1, il Ministero della giustizia determina annualmente, entro il mese di febbraio, i posti che si sono resi vacanti nell’anno precedente e quelli che si renderanno vacanti nel quadriennio successivo e ne dà comunicazione al Consiglio superiore della magistratura. |
[omissis] |
Identici. |
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Art. 3 Indizione del concorso e svolgimento della prova scritta. |
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1. Il concorso per esami di cui all'articolo 1 si svolge con cadenza di norma annuale in una o più sedi stabilite nel decreto con il quale è bandito il concorso. |
1. Il concorso per esami di cui all'articolo 1 si svolge in una o più sedi stabilite nel decreto con il quale è bandito il concorso. |
2. Il concorso è bandito con decreto del Ministro della giustizia, previa delibera del Consiglio superiore della magistratura, che determina il numero dei posti. Con successivi decreti del Ministro della giustizia, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, sono determinati il luogo ed il calendario di svolgimento della prova scritta. |
2. Il concorso, fermo il disposto dell’articolo 1, comma 1, è bandito entro il mese di settembre di ogni anno con decreto del Ministro della giustizia, previa delibera del Consiglio superiore della magistratura, che determina il numero dei posti tenendo conto degli elementi indicati ai sensi dell’articolo 1, comma 1-bis. Con successivi decreti del Ministro della giustizia, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale, sono determinati il luogo ed il calendario di svolgimento della prova scritta. |
[omissis] |
Identici |
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Capo IV - Passaggio di funzioni Art. 13 Attribuzione delle funzioni e passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa. |
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[omissis] |
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3. Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all'interno dello stesso distretto, né all'interno di altri distretti della stessa regione, né con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all'atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall'interessato, per non più di quattro volte nell'arco dell'intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario. Per tale giudizio di idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire le osservazioni del presidente della corte di appello o del procuratore generale presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni giudicanti o requirenti. Il presidente della corte di appello o il procuratore generale presso la stessa corte, oltre agli elementi forniti dal capo dell'ufficio, possono acquisire anche le osservazioni del presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità. Per il passaggio dalle funzioni giudicanti di legittimità alle funzioni requirenti di legittimità, e viceversa, le disposizioni del secondo e terzo periodo si applicano sostituendo al consiglio giudiziario il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonché sostituendo al presidente della corte d'appello e al procuratore generale presso la medesima, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale presso la medesima. |
3. Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all'interno dello stesso distretto, né all'interno di altri distretti della stessa regione, né con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all'atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall'interessato, per non più di una volta nell'arco dell'intera carriera, entro il termine di sei anni dal maturare per la prima volta della legittimazione al tramutamento previsto dall’articolo 194 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12. Oltre il termine temporale di cui al secondo periodo è consentito, per una solta volta, il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, quando l’interessato non abbia mai svolto funzioni giudicanti penali, nonché il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. In quest’ultimo caso, il magistrato non può in alcun modo essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni giudicanti di natura penale o miste, anche in occasione di successivi trasferimenti. In ogni caso il passaggio può essere disposto solo previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario. Per tale giudizio di idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire le osservazioni del presidente della corte di appello o del procuratore generale presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni giudicanti o requirenti. Il presidente della corte di appello o il procuratore generale presso la stessa corte, oltre agli elementi forniti dal capo dell'ufficio, possono acquisire anche le osservazioni del presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità. Per il passaggio dalle funzioni giudicanti di legittimità alle funzioni requirenti di legittimità, e viceversa, le disposizioni del quinto e sesto periodo si applicano sostituendo al consiglio giudiziario il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonché sostituendo al presidente della corte d'appello e al procuratore generale presso la medesima, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale presso la medesima. |
4. Ferme restando tutte le procedure previste dal comma 3, il solo divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all'interno dello stesso distretto, all'interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d'appello determinato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all'atto del mutamento di funzioni, non si applica nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. Nel primo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Nel secondo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. In tutti i predetti casi il tramutamento di funzioni può realizzarsi soltanto in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza. Il tramutamento di secondo grado può avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza. La destinazione alle funzioni giudicanti civili o del lavoro del magistrato che abbia esercitato funzioni requirenti deve essere espressamente indicata nella vacanza pubblicata dal Consiglio superiore della magistratura e nel relativo provvedimento di trasferimento. |
4. Identico. |
5. Per il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, l'anzianità di servizio è valutata unitamente alle attitudini specifiche desunte dalle valutazioni di professionalità periodiche. |
5. Identico. |
6. Le limitazioni di cui al comma 3 non operano per il conferimento delle funzioni di legittimità di cui all'articolo 10, commi 15 e 16, nonché, limitatamente a quelle relative alla sede di destinazione, anche per le funzioni di legittimità di cui ai commi 6 e 14 dello stesso articolo 10, che comportino il mutamento da giudicante a requirente e viceversa. |
6. Per il conferimento delle funzioni di legittimità di cui all'articolo 10, commi 15 e 16, nonché per il conferimento delle funzioni requirenti di cui ai commi 6 e 14 dello stesso articolo 10 non opera alcuna delle limitazioni di cui al comma 3 del presente articolo. Per il conferimento delle funzioni giudicanti di legittimità di cui ai commi 6 e 14 dell’articolo 10, che comportino il mutamento da requirente a giudicante, fermo il divieto di assegnazione di funzioni giudicanti penali, non operano le limitazioni di cui al comma 3 relative alla sede di destinazione. |
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Art. 35 Limiti di età per il conferimento di funzioni direttive |
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1. Le funzioni direttive di cui all'articolo 10, commi da 10 a 13, possono essere conferite esclusivamente ai magistrati che, data della vacanza del posto messo a concorso, assicurano almeno quattro anni di servizio prima della data di collocamento a riposo. Le funzioni direttive di cui all'articolo 10, comma 14, possono essere conferite esclusivamente ai magistrati che, data della vacanza del posto messo a concorso, assicurano almeno tre anni di servizio prima della data di collocamento a riposo. |
1. Le funzioni direttive di cui all'articolo 10, commi da 10 a 15, possono essere conferite esclusivamente ai magistrati che, data della vacanza del posto messo a concorso, assicurano almeno quattro anni di servizio prima della data di collocamento a riposo. Le funzioni direttive di cui all'articolo 10, comma 16, possono essere conferite esclusivamente ai magistrati che, data della vacanza del posto messo a concorso, assicurano almeno due anni di servizio prima della data di collocamento a riposo. |
2. Ai magistrati che non assicurano il periodo di servizio di cui al comma 1 non possono essere conferite funzioni direttive se non nell'ipotesi di conferma per un'ulteriore sola volta dell'incarico già svolto, di cui all'articolo 45. |
2. Identico. |
L’articolo 13 modifica l’art. 1 del decreto legislativo n. 106 del 2006, in tema di attribuzioni del Procuratore della Repubblica.
In particolare, il provvedimento sostituisce i commi 6 e 7 dell’art. 1 definendo i contenuti necessari del progetto organizzativo della Procura, che deve essere predisposto dal Procuratore in conformità ai principi generali elaborati dal CSM.
La disposizione sostanzialmente rende immediatamente precettivi i principi che il d.d.l. originario inseriva tra i criteri della delega al Governo all’art. 2, comma 2.
Sulla base dei principi elaborati dal Consiglio Superiore della magistratura il procuratore della Repubblica dovrà predisporre il progetto organizzativo che dovrà contenere (comma 6):
§ le misure organizzative dell’ufficio, finalizzate a garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale sulla base di criteri di priorità (lett. a);
§ i criteri di priorità per l’esercizio dell’azione penale, da elaborare sulla base dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, finalizzati a selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza, in ragione del numero complessivo degli affari da trattare, del contesto criminale e territoriale e dell’uso efficiente delle risorse disponibili (lett. b);
§ i compiti di coordinamento e direzione dei procuratori aggiunti (lett. c) e i criteri per designare il procuratore vicario (lett. f);
§ i criteri di assegnazione e di revoca dell’assegnazione dei procedimenti e le tipologie di reato per le quali l’assegnazione possa essere automatica (lett. d) ed e);
§ i gruppi di lavoro, laddove le dimensioni dell’ufficio li consentano (lett. g).
La disposizione, sostituendo il comma 7 dell’art. 1 del d.lgs. n. 106 del 2006 delinea il procedimento per l’adozione del progetto organizzativo della Procura, che dovrà avere una durata quadriennale (al pari delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti, v. sopra, art. 8 d.d.l.).
Il Procuratore, nel rispetto dei criteri dettati dal CSM, dovrà previamente consultare il dirigente dell’ufficio giudicante corrispondente e il presidente del Consiglio dell’ordine degli avvocati.
Potrà poi adottare il progetto organizzativo, che sarà successivamente trasmesso per il parere al consiglio giudiziario e al Ministero della giustizia che potrà formulare osservazioni.
Parere del CSM. Il Consiglio sul punto osserva come la previsione dell’obbligo di trasmettere i progetti organizzativi degli uffici requirenti (e le relative variazioni) al Ministro della Giustizia, al fine di consentirgli di formulare le proprie “eventuali” osservazioni, desti perplessità, in quanto contempla la formulazione, da parte del Ministro della Giustizia, delle proprie osservazioni in relazione ad una materia, quella del progetto organizzativo dell’Ufficio del Pubblico ministero, attinente al cuore dell’esercizio della funzione giurisdizionale requirente, incidendo dunque in maniera profonda sulle modalità mediante le quali il Procuratore organizza e svolge la funzione giurisdizionale requirente allo stesso assegnata in esclusiva titolarità.
Infine, l’approvazione competerà al CSM.
Il progetto organizzativo potrà essere variato nel corso del quadriennio, a fronte di sopravvenute esigenze dell’ufficio.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
D.lgs. n. 106 del 2006 Disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera d), della L. 25 luglio 2005, n. 150. |
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Art. 1. Attribuzioni del procuratore della Repubblica |
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1-5. [omissis] |
Identici |
6. Il procuratore della Repubblica determina: |
6. Il procuratore della Repubblica predispone, in conformità ai principi generali definiti dal Consiglio superiore della magistratura, il progetto organizzativo dell’ufficio, con il quale determina: |
a) i criteri di organizzazione dell'ufficio; |
a) le misure organizzative finalizzate a garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, tenendo conto dei criteri di priorità di cui alla lettera a-bis); a-bis) i criteri di priorità, finalizzati a selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre e definiti, nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, tenendo conto del numero degli affari da trattare, della specifica realtà criminale e territoriale e dell’utilizzo efficiente delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili; |
b) i criteri di assegnazione dei procedimenti ai procuratori aggiunti e ai magistrati del suo ufficio, individuando eventualmente settori di affari da assegnare ad un gruppo di magistrati al cui coordinamento sia preposto un procuratore aggiunto o un magistrato dell'ufficio; c) le tipologie di reati per i quali i meccanismi di assegnazione del procedimento siano di natura automatica. |
b) i compiti di coordinamento e direzione dei procuratori aggiunti; c) i criteri di assegnazione e di coassegnazione dei procedimenti e le tipologie di reato per le quali i meccanismi di assegnazione dei procedimenti sono di natura automatica; |
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d) i criteri e le modalità di revoca dell’assegnazione dei procedimenti; e) i criteri per l’individuazione del procuratore aggiunto o comunque del magistrato designato come vicario, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106; f) i gruppi di lavoro, salvo che la disponibilità di risorse umane non ne consenta la costituzione, e i criteri di assegnazione dei sostituti procuratori a tali gruppi, che devono valorizzare il buon funzionamento dell’ufficio e le attitudini dei magistrati, nel rispetto della disciplina della permanenza temporanea nelle funzioni. |
7. I provvedimenti con cui il procuratore della Repubblica adotta o modifica i criteri di cui al comma 6 devono essere trasmessi al Consiglio superiore della magistratura. |
7. Il progetto organizzativo dell’ufficio è adottato ogni quattro anni, sentito il dirigente dell’ufficio giudicante corrispondente e il presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati, ed è approvato dal Consiglio superiore della magistratura, previo parere del Consiglio giudiziario e valutate le eventuali osservazioni formulate dal Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 11 della legge 24 marzo 1958, n. 195. Decorso il quadriennio l’efficacia del progetto è prorogata fino a che non sopravvenga il nuovo. Con le medesime modalità di cui al primo periodo, il progetto organizzativo può essere variato nel corso del quadriennio per sopravvenute esigenze dell’ufficio. |
L'articolo 14 apporta una serie di modifiche all'articolo 37 del decreto-legge n. 98 del 2011, recante disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie. In particolare, il disegno di legge prevede puntuali obblighi per i capi degli uffici per assicurare la funzionalità degli uffici stessi e lo smaltimento degli eventuali procedimenti arretrati.
Quadro normativo. L’art. 37 del decreto-legge n. 98/2011, nella sua formulazione vigente, impone ai capi degli uffici giudiziari, sentiti i presidenti dei rispettivi consigli dell'ordine degli avvocati, di redigere, entro il 31 gennaio di ogni anno, un programma per la gestione dei procedimenti civili, penali, amministrativi e tributari pendenti. Con il programma il capo dell'ufficio giudiziario determina: gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti concretamente raggiungibili nell'anno in corso; gli obiettivi di rendimento dell'ufficio, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno, l'ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, individuati secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto della durata della causa, anche con riferimento agli eventuali gradi di giudizio precedenti, nonché della natura e del valore della stessa. Inoltre, a seguito di una modifica introdotta dal recente decreto-legge n. 152 del 2021, con il programma il capo dell’ufficio giudiziario deve anche determinare i criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti penali pendenti, sulla base delle disposizioni di legge e delle linee guida elaborate dal CSM.
Più nel dettaglio, il comma 1, lettera a), modifica il comma 1 dell'articolo 37 del decreto-legge n. 98 del 2011 specificando che nel programma annuale dovranno essere indicati, per ciascuna sezione o, in assenza, per ciascun magistrato dei risultati attesi, determinati sulla base:
- dei dati relativi al quadrienni precedente;
- del programma delle attività annuali, predisposto dal capo dell'ufficio giudiziario e dal dirigente amministrativo preposto all’ufficio, ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 240 del 2006[9]).
L’art. 4 del decreto legislativo n. 240 del 2006 prevede che entro 30 giorni dalle determinazioni adottate dagli organi dell'amministrazione centrale, a seguito dell'emanazione della direttiva del Ministro della giustizia e, comunque, non oltre il 15 febbraio di ciascun anno, il magistrato capo dell'ufficio giudiziario ed il dirigente amministrativo ad esso preposto redigono, tenendo conto delle risorse disponibili ed indicando le priorità, il programma delle attività da svolgersi nel corso dell'anno. Il programma può essere modificato, durante l'anno, su concorde iniziativa del magistrato capo e del dirigente, per sopravvenute esigenze dell'ufficio giudiziario. In caso di mancata predisposizione o esecuzione del suddetto programma, oppure di mancata adozione di modifiche divenute indispensabili per la funzionalità dell'ufficio giudiziario, il Ministro della giustizia fissa un termine perentorio entro il quale il magistrato capo dell'ufficio giudiziario ed il dirigente amministrativo ad esso preposto debbono provvedere ad adottare gli atti o i provvedimenti necessari. Qualora l'inerzia permanga, il Ministro, per gli adempimenti urgenti, incarica il presidente della Corte di appello del distretto di appartenenza dell'ufficio giudiziario inerte ed il dirigente del relativo ufficio, o provvede direttamente in caso di inerzia delle Corti di appello e della Corte di cassazione.
La lettera b) interviene sul comma 2 dell’art. 37 per precisare che ciascun programma annuale dovrà dare conto del conseguimento degli obiettivi fissati nell’anno precedente, anche in relazione suddetto programma delle attività previsto dal d.lgs. n. 240 del 2006.
Il comma 1, lettera c), inserisce dopo il comma 5 dell'articolo 37 del decreto-legge n. 98/2011, tre ulteriori disposizioni (commi da 5-bis a 5-quinquies).
Il nuovo comma 5-bis impone ai capi degli uffici giudiziari, al verificarsi di gravi e reiterati ritardi da parte di uno o più magistrati dell’ufficio, di accertare le cause degli stessi e di adottare ogni iniziativa idonea a consentirne l’eliminazione, attraverso la predisposizione di piani mirati di smaltimento, che possono anche prevedere, se necessario, la sospensione totale o parziale delle assegnazioni e la redistribuzione dei ruoli e dei carichi di lavoro.
Con cadenza trimestrale il capo dell'ufficio giudiziario è chiamato, sempre dalla disposizione, a verificare la concreta funzionalità del piano. Nella predisposizione e nella verifica di operatività del piano è coinvolto anche il Consiglio giudiziario, o, nel caso il problema riguardi un magistrato della Corte di cassazione, il Consiglio direttivo presso la Corte di cassazione, anche allorché il piano non comporti modifiche tabellari. Tali organi di autogoverno possono collaborare nell’elaborazione del piano, indicando interventi diversi da quelli adottati.
Il nuovo comma 5-ter impone poi un analogo onere di controllo e di intervento al capo dell’ufficio, il quale, al verificarsi di un aumento delle pendenze dell’ufficio o di una sezione in misura superiore al 10% rispetto all’anno precedente, e comunque a fronte di andamenti anomali, deve accertarne le cause e adottare ogni intervento idoneo a consentire l’eliminazione delle eventuali carenze organizzative che hanno determinato quell’aumento. Anche in questo caso è prevista una verifica periodica (semestrale) della concreta funzionalità, accompagnata dall’intervento a supporto del Consiglio giudiziario o, nel caso il problema riguardi sezioni della Corte di cassazione, del Consiglio direttivo.
Con riguardo ai profili disciplinari derivanti dalla violazione degli obblighi imposti dai commi 5-bis e 5-ter si rinvia alla scheda relativa all'articolo 11.
Il nuovo comma 5-quater prevede specifici obblighi di segnalazione al capo dell'ufficio per i presidenti di sezione. Compete ad essi segnalare:
§ la presenza di gravi e reiterati ritardi da parte di uno o più magistrati della sezione, indicandone le cause e trasmettendo la segnalazione al magistrato interessato, il quale deve parimenti indicarne le cause;
§ il verificarsi di un rilevante aumento delle pendenze della sezione, indicandone le cause e trasmettendo la segnalazione a tutti i magistrati della sezione, i quali possono parimenti indicarne le cause.
Il nuovo comma 5-quinquies prevede che la segnalazione ai presidenti di sezione dei ritardi può essere effettuata anche dagli avvocati difensori delle parti.
Il comma 2 dell’articolo 11 detta una disciplina transitoria stabilendo che in sede di prima applicazione della riforma, il programma annuale con i nuovi contenuti dovrà essere adottato da ciascun ufficio giudiziario entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge.
Il programma dovrà indicare i concreti obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti conseguibili entro il 31 dicembre dell’anno successivo, anche in assenza di determinazione dei carichi di lavoro.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
D.L. n. 98 del 2011 Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria |
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Art. 37 Disposizioni per l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie |
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1. I capi degli uffici giudiziari sentiti, per il settore penale, il procuratore della Repubblica presso il tribunale e, in ogni caso, i presidenti dei rispettivi consigli dell'ordine degli avvocati, entro il 31 gennaio di ogni anno redigono un programma per la gestione dei procedimenti civili, penali, amministrativi e tributari pendenti. Con il programma il capo dell'ufficio giudiziario determina: |
1. Identico: |
a) gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti concretamente raggiungibili nell'anno in corso; |
a) identica; |
b) gli obiettivi di rendimento dell'ufficio, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno, l'ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, individuati secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto della durata della causa, anche con riferimento agli eventuali gradi di giudizio precedenti, nonché della natura e del valore della stessa; |
b) gli obiettivi di rendimento dell'ufficio, con l’indicazione per ciascuna sezione o, in mancanza, per ciascun magistrato, dei risultati attesi sulla base dell’accertamento dei dati relativi al quadriennio precedente e di quanto indicato nel programma di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 240 e, comunque, nei limiti dei carichi esigibili di lavoro individuati dai competenti organi di autogoverno, nonché l'ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, individuati secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto della durata della causa, anche con riferimento agli eventuali gradi di giudizio precedenti, nonché della natura e del valore della stessa; |
b-bis) per il settore penale, i criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, sulla base delle disposizioni di legge e delle linee guida elaborate dal Consiglio superiore della magistratura[10]. |
b-bis) identica; |
2. Con il programma di cui al comma 1, sulla cui attuazione vigila il capo dell'ufficio giudiziario, viene dato atto dell'avvenuto conseguimento degli obiettivi fissati per l'anno precedente o vengono specificate le motivazioni del loro eventuale mancato raggiungimento. Ai fini della valutazione per la conferma dell'incarico direttivo ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, i programmi previsti dal comma 1 sono comunicati ai locali consigli dell'ordine degli avvocati e sono trasmessi al Consiglio superiore della magistratura. |
2. Con il programma di cui al comma 1, sulla cui attuazione vigila il capo dell'ufficio giudiziario, viene dato atto dell'avvenuto conseguimento degli obiettivi fissati per l'anno precedente anche in considerazione del piano di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 240 o vengono specificate le motivazioni del loro eventuale mancato raggiungimento. Ai fini della valutazione per la conferma dell'incarico direttivo ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, i programmi previsti dal comma 1 sono comunicati ai locali consigli dell'ordine degli avvocati e sono trasmessi al Consiglio superiore della magistratura. |
[omissis] |
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5-bis. Il capo dell'ufficio, al verificarsi di gravi e reiterati ritardi da parte di uno o più magistrati dell'ufficio, ne accerta le cause e adotta ogni iniziativa idonea a consentirne l'eliminazione, con la predisposizione di piani mirati di smaltimento, anche prevedendo, ove necessario, la sospensione totale o parziale delle assegnazioni e la redistribuzione dei ruoli e dei carichi di lavoro. La concreta funzionalità del piano è sottoposta a verifica ogni tre mesi. Il piano mirato di smaltimento, anche quando non comporta modifiche tabellari, nonché la documentazione relativa all'esito delle verifiche periodiche sono trasmessi al consiglio giudiziario o, nel caso riguardi magistrati in servizio presso la Corte di cassazione, al relativo Consiglio direttivo, i quali possono indicare interventi diversi da quelli adottati. 5-ter. Il capo dell'ufficio, al verificarsi di un aumento delle pendenze dell'ufficio o di una sezione in misura superiore al 10 per cento rispetto all'anno precedente e comunque a fronte di andamenti anomali, ne accerta le cause e adotta ogni intervento idoneo a consentire l'eliminazione delle eventuali carenze organizzative. La concreta funzionalità degli interventi è sottoposta a verifica ogni sei mesi. Gli interventi adottati, anche quando non comportano modifiche tabellari, nonché la documentazione relativa alle verifiche periodiche sono trasmessi al consiglio giudiziario o, nel caso riguardino sezioni della Corte di cassazione, al relativo Consiglio direttivo, i quali possono indicare interventi o soluzioni organizzative diversi da quelli adottati. 5-quater. Il presidente di sezione segnala immediatamente al capo dell'ufficio: a) la presenza di gravi e reiterati ritardi da parte di uno o più magistrati della sezione, indicandone le cause e trasmettendo la segnalazione al magistrato interessato, il quale deve parimenti indicarne le cause; b) il verificarsi di un rilevante aumento delle pendenze della sezione, indicandone le cause e trasmettendo la segnalazione a tutti i magistrati della sezione, i quali possono parimenti indicarne le cause. 5-quinquies. La segnalazione dei ritardi di cui al comma 5-quater può essere effettuata anche dagli avvocati difensori delle parti. |
Il Capo III del disegno di legge, composto dagli articoli da 15 a 20, interviene con disposizioni puntuali - e immediatamente precettive - sulla disciplina dello status dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, con particolare riferimento alla loro eleggibilità, all'assunzione di incarichi di governo e al loro ricollocamento al termine del mandato.
L'articolo 15 detta disposizioni in materia di eleggibilità dei magistrati realizzando una più accentuata separazione tra politica e magistratura. Destinatari delle previsioni sono i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari (anche se collocati fuori del ruolo organico).
Il campo d’applicazione di queste disposizioni è dunque più esteso rispetto a quello previsto per la riforma dell’istituto del “fuori ruolo” dall’art. 5 del disegno di legge, che non comprende i magistrati militari. Non sono comunque inclusi i magistrati onorari.
Quadro normativo. Una ricognizione della normativa vigente in materia di eleggibilità dei magistrati richiede - posta la collocazione delle norme entro fonti diverse - di considerare partitamente le diverse elezioni: politiche, europee, regionali, amministrative locali.
Elezioni politiche. Le cause di ineleggibilità a deputato sono disciplinate dall'articolo 8 del d.P.R. n. 361 del 1957 recante il Testo unico delle leggi per la elezione della Camera dei deputati.
Le cause di ineleggibilità a senatore sono disciplinate dalle medesime disposizioni, in forza del rinvio contenuto nell'articolo 5 del decreto legislativo n. 533 del 1993, recante il Testo unico delle leggi per la elezione del Senato della Repubblica.
Ebbene l'articolo 8, comma 1 del d.P.R. n. 361 del 1957 prevede una ineleggibilità dei magistrati nelle circoscrizioni elettorali sottoposte (in tutto o in parte) alla giurisdizione degli uffici ai quali siano stati assegnati nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura.
Tale ineleggibilità è prevista anche in caso di scioglimento anticipato delle Camere e di elezioni suppletive.
Si tratta di ineleggibilità relativa, perché è possibile per il magistrato di candidarsi in una circoscrizione elettorale diversa.
L'ineleggibilità non opera per i magistrati delle giurisdizioni superiori.
In ogni caso i magistrati, per essere eleggibili, devono trovarsi in aspettativa all'atto dell'accettazione della candidatura. L'aspettativa è obbligatoria per tutta la durata della campagna elettorale, e in caso di elezione per tutta la durata del mandato parlamentare.
Elezioni europee. La legge n. 18 del 1979 disciplina le elezioni europee.
Il suo articolo 4 prevede che possano essere eletti alla carica di rappresentante dell’Italia al Parlamento europeo i cittadini italiani che siano titolari del diritto di elettorato attivo e abbiano compiuto il 25° anno di età.
Sono inoltre eleggibili alla medesima carica i cittadini degli altri Paesi membri dell'Unione che risultino in possesso dei requisiti di eleggibilità al Parlamento europeo previsti dall'ordinamento italiano e che non siano decaduti dal diritto di eleggibilità nello Stato membro di origine, per effetto di una decisione giudiziaria individuale o di una decisione amministrativa, purché quest'ultima possa essere oggetto di ricorso giurisdizionale.
La legge non prevede altre cause di ineleggibilità al mandato europeo, oltre l'assenza dei requisiti necessari per godere dell'elettorato passivo.
Può dirsi dunque che per le elezioni europee non vi siano specifiche disposizioni circa l'elettorato passivo dei magistrati.
Specifiche cause di incandidabilità sono previste nel nostro ordinamento e valgono tanto per le elezioni politiche quanto per le europee (es. incandidabilità come portato di alcune condanne penali) ma non attengono, del pari, specificamente all'esercizio della funzione giudiziaria.
Elezioni regionali. L'articolo 122 della Costituzione pone in capo alla legislazione regionale la competenza a disciplinare i casi di ineleggibilità e di incompatibilità per l'accesso alle cariche regionali, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla legge dello Stato.
I principi fondamentali sono stati individuati dalla legge n. 165 del 2004, recante "Disposizioni di attuazione dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione".
Di quella legge, l'articolo 2 detta disposizioni di principio in materia di ineleggibilità. In particolare:
- fa salve le disposizioni legislative statali in materia di incandidabilità per coloro che abbiano riportato sentenze di condanna o nei cui confronti siano state applicate misure di prevenzione;
- vincola le regioni a individuare cause di ineleggibilità "qualora le attività o le funzioni svolte dal candidato, anche in relazione a peculiari situazioni delle regioni, possano turbare o condizionare in modo diretto la libera decisione di voto degli elettori ovvero possano violare la parità di accesso alle cariche elettive rispetto agli altri candidati";
- afferma l'inefficacia delle cause di ineleggibilità se l'interessato cessi "dalle attività o dalle funzioni che determinano l'ineleggibilità" prima dell'accettazione della candidatura, o altro termine anteriore altrimenti stabilito, ferma restando la tutela del diritto al mantenimento del posto di lavoro, pubblico o privato, del candidato;
- attribuisce ai Consigli regionali la competenza a decidere sulle cause di ineleggibilità dei propri componenti e del Presidente della Giunta, fatta salva la competenza dell'autorità giudiziaria a decidere sui relativi ricorsi.
In assenza di una legge regionale che disciplini la materia, le cause di ineleggibilità a livello regionale permangono disciplinate dalla legge statale n. 154 del 1981 ("Norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale")[11].
In particolare, l'articolo 2, primo comma, n. 6) della legge n. 154 dispone che non siano eleggibili a consigliere regionale, "nel territorio nel quale esercitano le loro funzioni, i magistrati addetti alle corti di appello, ai tribunali, alle preture ed ai tribunali amministrativi regionali nonché i vice pretori onorari e i giudici conciliatori".
La causa di ineleggibilità non ha effetto se l'interessato cessi dalle funzioni (per dimissioni, trasferimento, revoca, collocamento in aspettativa) entro il giorno fissato per la presentazione delle candidature (articolo 2, secondo comma).
Elezioni amministrative. Vale qui la disciplina posta dal Testo unico degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000).
Di questo, l'articolo 60, primo comma, n. 6), prevede che non siano eleggibili "a sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale e circoscrizionale, nel territorio nel quale esercitano le loro funzioni, i magistrati addetti alle corti di appello, ai tribunali, ai tribunali amministrativi regionali, nonché i giudici di pace".
La causa di ineleggibilità non ha effetto se l'interessato cessi dalle funzioni (per dimissioni, trasferimento, revoca, collocamento in aspettativa non retribuita) non oltre il giorno fissato per la presentazione delle candidature (articolo 60, comma 3).
Si tratta, a ben vedere, di disciplina analoga a quella dettata dalla legge n. 154 del 1981 per le elezioni regionali.
Il comma 1 del disegno di legge:
§ esclude l'eleggibilità a parlamentare nazionale ed europeo, a consigliere regionale o presidente di regione (o di provincia autonoma), nonché l'assunzione dell'incarico di assessore e di sottosegretario regionale, dei magistrati che prestano servizio, o l'hanno prestato nei 3 anni precedenti la candidatura, in uffici giudiziari aventi giurisdizione, anche parziale, sulla regione nella quale è inclusa la circoscrizione elettorale;
§ esclude l'eleggibilità a sindaco o consigliere comunale, nonché l'assunzione dell'incarico di assessore comunale, dei magistrati che prestano servizio, o l'hanno prestato nei 3 anni precedenti la candidatura, in uffici giudiziari aventi giurisdizione, anche parziale, sulla provincia in cui è compreso il comune o sulle province limitrofe.
Si tratta di previsioni che modificano per alcuni riguardi la normativa vigente (v. sopra), senza operare novelle espresse, ma convogliandola entro una cornice unitaria. In particolare, si introduce l’ineleggibilità alla carica di membro del Parlamento europeo spettante all’Italia, per l'accesso alla quale non vi è ad oggi una condizione limitativa attinente all'esercizio della funzione giudiziaria.
Parere del CSM. Il parere valuta positivamente questa norma, essendo stata prevista una causa d’ineleggibilità chiara ed uniforme, basata sulla individuazione di un limite territoriale e temporale valevole per tutti gli incarichi elettivi e di governo regionale e locale, e quella che prevede l’obbligo del collocamento in aspettativa nel momento in cui il magistrato accetti la candidatura.
Il comma 2 specifica che l'ineleggibilità non opera per i magistrati che da almeno 3 anni prestino servizio presso le giurisdizioni superiori e, più in generale, presso gli uffici giudiziari con competenza territoriale nazionale.
Per coloro che svolgono tale servizio da meno di 3 anni si deve valutare, ai fini dell'ineleggibilità, la sede presso ha quale hanno svolto le precedenti funzioni.
Il comma 3 prevede l’applicabilità della disciplina dell'ineleggibilità anche ai magistrati in posizione di fuori ruolo, avendo anche in questo caso riguardo alla sede in cui hanno prestato servizio in precedenza.
La riforma richiede in ogni caso al magistrato che intenda candidarsi di trovarsi al momento dell'accettazione della candidatura in aspettativa senza assegni (comma 4).
Infine, il comma 5 dell'art. 12 esclude l'eleggibilità a parlamentare nazionale ed europeo, a consigliere regionale o presidente di regione (o di provincia autonoma), a sindaco o consigliere comunale, nonché l'assunzione dell'incarico di assessore e di sottosegretario regionale e di assessore comunale, al magistrato che alla data di indizione delle elezioni sia componente del Consiglio superiore della magistratura, o lo sia stato nei 2 anni precedenti.
Parere del CSM. Il Consiglio evidenzia criticità con riferimento all’inedita previsione dell’art. 12, comma 5, relativamente alla incandidabilità temporanea per i componenti togati del Consiglio superiore della magistratura, che non possono assumere gli incarichi di cui al comma 1 nel corso del mandato presso il Consiglio superiore e nei due anni successivi. La norma appare caratterizzata da evidenti profili di irragionevolezza con riferimento alla mancata estensione della causa di incandidabilità introdotta per i componenti togati del Consiglio Superiore della Magistratura ai magistrati delle altre magistrature eletti nei rispettivi organi di governo autonomo.
I profili costituzionali. Le disposizioni più sopra sunteggiate incidono su un diritto che riceve tutela dall'articolo 51 della Costituzione, secondo il quale: «Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge» (primo comma, primo periodo).
Siffatta previsione scandisce un duplice diritto: di accesso agli uffici pubblici; di accesso alle cariche elettive - che è "diritto politico fondamentale, riconosciuto ad ogni cittadino con i caratteri dell'inviolabilità (ex art. 2 della Costituzione)" (Corte costituzionale, sentenza n. 288 del 2007, la quale aggiunge: "pertanto, le restrizioni del contenuto di tale diritto sono ammissibili solo in presenza di situazioni peculiari ed in ogni caso per motivi adeguati e ragionevoli, finalizzati alla tutela di un interesse generale").
E per inciso, la medesima Corte costituzionale ha più volte affermato che le cause di ineleggibilità sono di stretta interpretazione e devono essere contenute entro i limiti rigorosamente necessari al soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse (ricollegantisi alla funzione elettorale, cui sono di volta in volta preordinate: sentenze n. 306 del 2003, n. 132 del 2001, n. 141 del 1996).
Per quanto riguarda i magistrati, in linea di principio essi hanno i medesimi diritti, circa la manifestazione del pensiero e l'accesso agli uffici pubblici nonché alle cariche elettive, garantiti dalla Costituzione ad ogni altro cittadino. Tuttavia, l'esercizio dei diritti spettanti ai magistrati incontra alcuni limiti, connessi alla funzione che essi esercitano.
Nelle parole della Corte costituzionale: «deve riconoscersi – e non sono possibili dubbi in proposito – che i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino e che quindi possono, com'è ovvio, non solo condividere un'idea politica, ma anche espressamente manifestare le proprie opzioni al riguardo. Ma deve, del pari, ammettersi che le funzioni esercitate e la qualifica rivestita dai magistrati non sono indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale (sentenza n. 100 del 1981). Per la natura della loro funzione, la Costituzione riserva ai magistrati una disciplina del tutto particolare, contenuta nel titolo IV della parte II (artt. 101 e ss.): questa disciplina, da un lato, assicura una posizione peculiare, dall'altro, correlativamente, comporta l'imposizione di speciali doveri. I magistrati, per dettato costituzionale (artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità».
E «nel disegno costituzionale, l'estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l'indipendente ed imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie, dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l'attività del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero, non sia guidata dal desiderio di far prevalere una parte politica». Tutto questo «si correla ad un dovere di imparzialità e questo grava sul magistrato, coinvolgendo anche il suo operare da semplice cittadino, in ogni momento della sua vita professionale». Così la sentenza n. 224 del 2009.
Per questo riguardo, la medesima Corte costituzionale ha ribadito in tempo successivo di avere "già affermato che, in linea generale, i magistrati debbono godere degli stessi diritti di libertà garantiti ad ogni altro cittadino, ma ha al contempo precisato che le funzioni esercitate e la qualifica rivestita dai magistrati non sono indifferenti e prive di effetto per l'ordinamento costituzionale, al fine di stabilire i limiti che possono essere opposti all’esercizio di quei diritti (sentenze n. 224 del 2009 e n. 100 del 1981). Tali limiti sono giustificati sia dalla particolare qualità e delicatezza delle funzioni giudiziarie, sia dai principi costituzionali di indipendenza e imparzialità (artt. 101, secondo comma, 104, primo comma, e 108, secondo comma, Cost.) che le caratterizzano".
«I principi costituzionali appena richiamati, del resto, vanno tutelati non solo con specifico riferimento all'esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche quali criteri ispiratori di regole deontologiche da osservarsi in ogni comportamento di rilievo pubblico, al fine di evitare che dell'indipendenza e imparzialità dei magistrati i cittadini possano fondatamente dubitare». E si tratta qui, «oltre che dell'indipendenza e dell'imparzialità, anche della apparenza di queste ultime: sostanza e apparenza di principi posti alla base della fiducia di cui deve godere l’ordine giudiziario in una società democratica». E «va preservato il significato dei principi di indipendenza e imparzialità, nonché della loro apparenza, quali requisiti essenziali che caratterizzano la figura del magistrato in ogni aspetto della sua vita pubblica». Così la sentenza n. 170 del 2018.
Ancora la Corte costituzionale (sentenza n. 197 del 2018) ha avuto modo di rilevare come «i magistrati, ai quali è affidata in ultima istanza la tutela dei diritti di ogni consociato, [...] per tale ragione sono tenuti – più di ogni altra categoria di funzionari pubblici – non solo a conformare oggettivamente la propria condotta ai più rigorosi standard di imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo ed equilibrio nell'esercizio delle funzioni, secondo quanto prescritto dall'art. 1 del d.lgs. n. 109 del 2006 [recante "Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati"], ma anche ad apparire indipendenti e imparziali agli occhi della collettività, evitando di esporsi a qualsiasi sospetto di perseguire interessi di parte nell'adempimento delle proprie funzioni. E ciò per evitare di minare, con la propria condotta, la fiducia dei consociati nel sistema giudiziario, che è valore essenziale per il funzionamento dello Stato di diritto».
La Corte di cassazione (attivata dietro ricorso per cassazione da parte di un magistrato cui la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura aveva irrogato la sanzione dell'ammonimento riconoscendolo colpevole degli illeciti disciplinari a lui ascritti) ha svolto anch'essa alcune considerazioni sulla materia.
«In particolare, la Costituzione riconosce alla Magistratura, cui la funzione giurisdizionale è affidata, una speciale garanzia di autonomia e di indipendenza dagli altri poteri dello Stato (art. 104, comma 1: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”)». «Dal che il 'primato' della legge, quale espressione – appunto – della sovranità popolare, e la soggezione del giudice “soltanto” alla legge (art. 101, comma 2: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”). Il principio della soggezione del giudice “soltanto” alla legge sancisce non solo la subordinazione del giudice alla legge, il suo dovere di decidere in conformità ad essa, ma anche l'immediatezza del rapporto che deve intercorrere fra il giudice e la legge. Tale principio esclude, pertanto, che i giudici possano farsi portatori di programmi o di indirizzi politici di sorta, come tali estranei alla legge, ed implica – al contempo – che i medesimi non siano soggetti a ordini o direttive di chicchessia circa il modo di giudicare. In altre parole, la soggezione alla legge implica l'indipendenza del giudice: indipendenza interna, rispetto agli altri giudici, e – soprattutto – indipendenza esterna, rispetto agli organi che sono espressione del potere politico».
«In questo quadro, l'autonomia e l'indipendenza di cui gode la Magistratura, lungi dal costituire privilegi dell'ordine giudiziario, sono funzionalmente necessarie per assicurare l'imparzialità del magistrato nell'applicazione della legge, costituiscono cioè le 'guarentigie' dell'imparzialità del giudice e della sua soggezione alla legge. È vero che il dovere dell'imparzialità vale per ogni funzione dello Stato (art. 97 Cost., comma 2); tuttavia, tale dovere assume un valore particolarmente pregnante per il magistrato, non solo per le peculiari garanzie di autonomia e di indipendenza a lui riconosciute dalla Costituzione (in questo senso, Corte Cost., sent. n. 172 del 1982), ma soprattutto perché lo ius dicere, per sua natura, chiama il magistrato a collocarsi in una posizione di 'terzietà', avendo egli il dovere, nell'attuare il precetto normativo, di rimanere equidistante dai contrapposti interessi in concreto coinvolti».
Mentre l'essere imparziale si declina in relazione al concreto processo, l'apparire imparziale costituisce, invece, un valore immanente alla posizione istituzionale del magistrato, indispensabile per legittimare, presso la pubblica opinione, l'esercizio della giurisdizione come funzione sovrana: l'essere magistrato implica una 'immagine pubblica di imparzialità' ".
«Per questo, una 'immagine pubblica di imparzialità' – e non solo la imparzialità nella singola vicenda processuale – costituisce un dovere deontologico fondamentale del magistrato».
Così la Cassazione civile, Sezioni unite, sentenza n. 8906 del 14 maggio 2020.
In materia di eleggibilità, certo rilevano le altre disposizioni costituzionali, le quali pongono una riserva di legge (statale o regionale).
L’articolo 65 della Costituzione stabilisce una riserva di legge per l'individuazione dei casi di ineleggibilità e d’incompatibilità con l'ufficio di deputato o di senatore.
L’articolo 122, primo comma della Costituzione dispone: "Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi".
Poiché qui si tratta di accesso a cariche politiche, dunque di un riguardo della partecipazione alla vita politica – là dove "tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale", scandisce l'articolo 49 della Costituzione – rileva altresì l'articolo 98, terzo comma della Carta costituzionale, il quale prevede: "si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all'estero".
Per quanto concerne i magistrati, siffatta limitazione si concreta nell'articolo 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 25 febbraio 2006, n. 109 ("Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera f, della legge 25 luglio 2005, n. 150"), nel testo sostituito dall'articolo 1, comma 3, lettera d), numero 2), della legge 24 ottobre 2006, n. 269 ("Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario"), il quale configura quale illecito disciplinare – accanto al coinvolgimento nelle attività di soggetti operanti nel settore economico o finanziario che possono condizionare l’esercizio delle funzioni o comunque compromettere l’immagine del magistrato – l'iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa del magistrato a partiti politici".
Tale disposizione di legge è uscita indenne dal vaglio di costituzionalità condotto dal giudice delle leggi in due occasioni (cfr. le sopra citate sentenze della Corte costituzionale n. 224 del 2009 e n. 170 del 2018), su questione di legittimità sollevata dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (e calibrata nel primo caso sulla situazione di un magistrato fuori ruolo perché addetto ad una consulenza parlamentare, nel secondo caso di un magistrato fuori ruolo perché in aspettativa per motivi elettorali).
Citando qui solo dalla sentenza del 2018, la Corte costituzionale – nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale – ha rilevato che per i magistrati "un conto è l'iscrizione o comunque la partecipazione sistematica e continuativa alla vita di un partito politico, che la fattispecie disciplinare vieta, altro è l’accesso alle cariche elettive e agli uffici pubblici di natura politica che, a determinate condizioni (sentenza n. 172 del 1982), la legislazione vigente consente loro. Non è irragionevole, come opina [invece] la sezione disciplinare rimettente, operare una distinzione tra le due ipotesi, e perciò considerare non solo lecito, ma esercizio di un diritto fondamentale la seconda ipotesi, mantenendo al contempo quale illecito disciplinare la prima. Tanto più in un contesto normativo che consente al magistrato di tornare alla giurisdizione, in caso di mancata elezione oppure al termine del mandato elettivo o dell'incarico politico, va preservato il significato dei principi di indipendenza e imparzialità, nonché della loro apparenza, quali requisiti essenziali che caratterizzano la figura del magistrato in ogni aspetto della sua vita pubblica. Di tali principi il divieto disciplinare in questione è saldo presidio, e come tale esso non può che dirigersi nei confronti di ogni magistrato, in qualunque posizione egli si trovi. [...] Questa Corte è altresì consapevole della circostanza che, anche a prescindere dalle caratteristiche del sistema elettorale di volta in volta rilevante, nessun cittadino, nemmeno il cittadino-magistrato, si candida “da solo”. E, così come avviene per la candidatura alle elezioni politiche, amministrative od europee, anche l'assunzione di incarichi negli organi esecutivi di vario livello presuppone necessariamente un collegamento del nominato con i partiti politici. [...] Questi doverosi rilievi, tuttavia, non spostano i termini della questione e non depongono per l'accoglimento delle censure sollevate dalla sezione disciplinare rimettente. Al contrario, per il magistrato, deve restar fermo che il riconoscimento della particolare natura della competizione e della vita politica, alla quale gli è consentito a certe condizioni di partecipare, non può tradursi nella liceità né della sua iscrizione, né della sua partecipazione stabile e continuativa all'attività di un determinato partito [...]".
A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2018, il procedimento disciplinare ha ripreso il suo corso, concludendosi con la sentenza n. 30 del 2019 della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con la quale il magistrato è stato dichiarato colpevole degli illeciti disciplinari ascrittigli e condannato alla sanzione dell'ammonimento.
Siffatta pronuncia è stata impugnata dal destinatario dinanzi alle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, che ha respinto in via definitiva il ricorso (Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione n. 8906/2020, citata sopra).
In tale sentenza di cassazione sono in ultimo enunciati i seguenti principio di diritto:
- «In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, avendo i partiti politici natura di associazioni private non riconosciute, va escluso che il precetto disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, comma 1, lett. h), che vieta ai magistrati l'iscrizione ai partiti politici, possa essere integrato dalla normativa interna dei partiti, la quale non costituisce fonte del diritto, ma mera espressione dell'autonomia privata»;
- «In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, il D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, comma 1, lett. h), configura come illecito disciplinare due distinte fattispecie, alternative tra loro, costituite dalla "iscrizione a partiti politici" e dalla "partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici", entrambe lesive dell'immagine pubblica di imparzialità" del magistrato e della indipendenza e del prestigio dell'ordine giudiziario. La condotta della iscrizione, per la sua valenza di atto formale, che rivela di per sé una stabile e continuativa adesione del magistrato a un determinato partito politico, costituisce illecito disciplinare indipendentemente dal ricorso di particolari circostanze. La condotta della partecipazione a partiti politici costituisce, invece, illecito disciplinare solo quando sia qualificabile secondo i parametri di cui alle clausole generali della "sistematicità" e della "continuatività"; con riguardo a tale fattispecie, è pertanto escluso ogni automatismo sanzionatorio, dovendo il Consiglio Superiore della Magistratura di volta in volta valutare se la partecipazione del magistrato ad un partito politico assuma i caratteri richiesti dalla legge»;
- «Il divieto per i magistrati di iscrizione ai partiti politici, che si ricava dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, comma 1, lett. h), vale per tutti i magistrati, sia che svolgano funzioni giudiziarie sia che siano collocati in aspettativa e fuori dal ruolo organico della Magistratura per qualunque ragione, ivi compreso lo svolgimento di un mandato elettorale e/o amministrativo»;
- «In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3, comma 1, lett. h), in riferimento agli artt. 2,3,19 Cost., art. 48 Cost., comma 2, art. 49 Cost., art. 51 Cost., comma 1 e art. 117 Cost., comma 1, in relazione agli artt. 9,11 e 14 della C.E.D.U., sollevata sull'assunto che il divieto di iscrizione e di partecipazione sistematica e continuativa ai partiti politici renderebbe più difficoltosa per il magistrato la possibilità di essere eletto, comprimerebbe il suo diritto di autodeterminazione nel campo della fede politica e violerebbe il principio di eguaglianza nell'accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive, atteso che il diritto del magistrato di partecipare alla vita politica non è senza limitazioni nella Costituzione e deve essere bilanciato con la tutela di altri beni giuridici costituzionalmente protetti, quali il corretto esercizio della giurisdizione, il prestigio dell'ordine giudiziario e i principi di indipendenza e di imparzialità della Magistratura (artt. 101, 104, 108 Cost.), a tutela dei quali l'art. 98 Cost., comma 3, conferisce espressamente al legislatore ordinario la facoltà di introdurre, per i magistrati, "limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici».
L'articolo 16 prescrive che i magistrati - ordinari, amministrativi, contabili e militari - non possano assumere l'incarico di componente del Governo (Presidente del Consiglio dei ministri, vicepresidente del Consiglio dei ministri, ministro, viceministro, sottosegretario di Stato), o di sottosegretario o assessore regionale, o di assessore comunale, se non siano collocati in aspettativa senza assegni all'atto dell'assunzione dell'incarico.
L'enumerazione resa dall'articolo non annovera i Commissari straordinari del Governo, i quali figurano invece tra i titolari di cariche di governo nella legge n. 215 del 2004 (recante "Norme in materia di risoluzione dei conflitti di interessi").
Quadro normativo. In ordine all'aspettativa per incarichi di governo, la disciplina vigente è diversamente articolata, a seconda che si tratti di governo nazionale o territoriale.
Per il governo nazionale, l'articolo 2, comma 5 della legge n. 215 del 2004 prevede: "I dipendenti pubblici e privati sono collocati in aspettativa, o nell'analoga posizione prevista dagli ordinamenti di provenienza e secondo le medesime norme, con decorrenza dal giorno del giuramento e comunque dall'effettiva assunzione della carica" (ed aggiunge che resta fermo anche per i titolari delle cariche di governo che i periodi trascorsi nello svolgimento dell'incarico in posizione di aspettativa o di fuori ruolo non recano pregiudizio alla posizione professionale e alla progressione di carriera). Tale disposizione si applica a tutti i dipendenti pubblici.
Per l'organo di governo regionale, l'articolo 122 primo comma delle Costituzione demanda alla legge regionale "il sistema d'elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali", nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica (ossia la legge n. 165 del 2004, la quale ha dato attuazione a quella disposizione costituzionale).
Pertanto lo status di componente della Giunta regionale è oggetto della disciplina recata dalla fonte primaria regionale (nei limiti sopra detti).
Per l'organo di governo locale, l'articolo 81 del decreto legislativo n. 267 del 2000 ossia il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, dispone in materia di aspettative.
Esso prevede che "i sindaci, i presidenti delle province, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti dei consigli circoscrizionali dei comuni, i presidenti delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché i membri delle giunte di comuni e province" i quali siano lavoratori dipendenti, possano essere collocati a richiesta in aspettativa non retribuita per tutto il periodo di espletamento del mandato (ed il periodo di aspettativa è considerato come servizio effettivamente prestato).
Dunque il collocamento in aspettativa è una facoltà dell'interessato, non già un obbligo.
Sul punto, il Consiglio superiore della magistratura (nel rendere parere, il 21 maggio 2014, sul disegno di legge di riforma della scorsa XVII legislatura: allora A.C. n. 2188, divenuto poi A.S. n. 116 e abbinati-B, senza giungere ad approvazione infine) rilevava: «Non sussistono cause di ineleggibilità o di incompatibilità nei casi in cui il magistrato sia eletto o nominato assessore nell’ambito di circoscrizione o di giunta locale situata fuori dal territorio ove esercita le funzioni giurisdizionali, in tal caso l’assunzione di funzioni amministrative che non importi la rimozione di causa di ineleggibilità di cui all’art. 60, n. 6, D.Lgs. n. 227/00 non determina la necessità di alcun atto autorizzatorio da parte del Consiglio né, tantomeno, è prevista alcuna comunicazione da effettuarsi ad opera del magistrato. [...] Ciò impedisce una ricognizione circa il numero dei magistrati impegnati contemporaneamente in funzioni giurisdizionali ed in funzioni politico-amministrative».
Ancora il CSM, nella sua delibera del 21 ottobre 2015 (con la quale intendeva affrontare in modo organico il tema dell'impegno in politica dei magistrati) ribadiva che "per le cariche politiche e/o amministrative presso enti locali territoriali [fuori dal territorio di esercizio delle funzioni giurisdizionali], la legge vigente non prevede aspettativa obbligatoria e, conseguentemente, i magistrati possono assumere incarichi politico-amministrativo elettivi presso gli enti locali territoriali quali quelli di sindaco, presidente della provincia o della regione, consigliere comunale, provinciale e regionale, presidente o consigliere circoscrizionale o l’incarico di assessore, proseguendo contemporaneamente l’esercizio delle funzioni giurisdizionali con il solo limite della diversità degli ambiti territoriali". E aggiungeva: "La descritta contestualità funzionale è sicuramente in grado di inquinare l’immagine del magistrato che operi contemporaneamente in due settori della vita pubblica tanto diversi e ontologicamente alternativi; appare quindi indispensabile che sia introdotto con legge ordinaria un meccanismo – del tutto analogo a quello già vigente per la candidatura e l’eventuale successiva elezione alla Camera dei Deputati ed al Senato della Repubblica – in forza del quale il magistrato, all’atto dell’accettazione della candidatura nonché durante l’espletamento di tutto il mandato, debba necessariamente trovarsi in aspettativa, con conseguente collocamento fuori ruolo. Nella medesima prospettiva ed allo stesso fine è auspicabile un intervento legislativo primario che, sempre a salvaguardia dell’immagine di autonomia ed indipendenza della funzione giurisdizionale, impedisca che un magistrato si proponga come amministratore attivo nel medesimo territorio nel quale, senza soluzione di continuità, ha appena svolto attività giurisdizionali, rischiando in tal modo di creare un’oggettiva confusione di ruoli e di funzioni, di per sé idonea ad appannare l’immagine di imparzialità. Il transito diretto, nello stesso contesto umano e materiale, dalle funzioni giudiziarie a quelle politiche rischia di gettare un’ombra di strumentalità all’esercizio pregresso delle prime, nonché legittima la preoccupazione che i titolari di poteri pubblici si avvalgano dei “poteri connessi alla loro carica per influire indebitamente sulla competizione elettorale, nel senso di alterare la par condicio fra i vari concorrenti attraverso la possibilità di esercitare una captatio benevolentiae o un metus publicae potestatis nei confronti degli elettori” (Corte Cost. n. 5 del 1978; n. 344 del 1993)". Ed ancora aggiungeva il CSM: "Appare in tal senso necessario che la disciplina in tema di eleggibilità dei magistrati chiamati a ricoprire cariche pubbliche nelle amministrazioni degli enti locali sia arricchita da una regola analoga a quella oggi vigente per le elezioni al Parlamento, la quale impone, al fine sia di preservare adeguatamente l’immagine di imparzialità sia di evitare pretestuose strumentalizzazioni dell’attività giudiziaria svolta, che i magistrati non si candidino nelle circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni per un congruo periodo antecedente la data di accettazione della candidatura. In questa prospettiva verrebbe valutata positivamente una modifica volta ad aumentare il predetto termine di sei mesi, anche differenziando tra cariche elettive e nomine frutto di designazione politica".
E "con riguardo agli assessori cosiddetti “esterni” si potrebbero introdurre disposizioni limitative ancora più incisive. Costoro, infatti, in quanto nominati senza rivestire una carica nell’organo elettivo corrispondente, verrebbero sostanzialmente cooptati dal leader regionale o locale di turno, nel momento dell’assunzione dell’incarico; e quindi solo cautele temporali più robuste potranno fugare il sospetto che funzioni giudiziarie precedentemente svolte abbiano determinato la “chiamata” del politico".
Invero il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3795 del 22 giugno 2011, resa dalla IV sezione, ebbe a pronunciarsi nell'affrontare la vicenda di un magistrato amministrativo al quale il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa aveva negato l'autorizzazione ad assumere l'incarico di assessore su nomina del Sindaco di Catania: il Consiglio di Stato evidenziò in quell'occasione una differenza ontologica tra mandato elettivo ed incarico di assessore esterno.
Tale differenza, esso rilevò, risiede nella legittimazione da parte del corpo elettorale, nel primo caso, e in un rapporto fiduciario col Sindaco, nel secondo. La genesi, l'estinzione e l'investitura assessorile, infatti, non possono ricondursi alla volontà popolare, ma a quella del primo cittadino. Pertanto - ebbe a dire il Consiglio di Stato - l'assunzione della carica di assessore esterno non è espressione del diritto di elettorato passivo onde, se l'incarico è affidato un pubblico dipendente, esso soggiace al regime generale di autorizzazione degli incarichi esulanti dai compiti e doveri di ufficio, ex art. 53, d.lgs. n. 165/2001.
La IV Sezione rilevò poi che il criterio cardinale per l'esercizio del potere di autorizzazione sia quello dell'interesse al buon andamento della p.a. il quale, rapportato alla magistratura amministrativa, è quello di tutelare l'indipendenza e l'autonomia di quest'ultima, nonché l'immagine di terzietà ed imparzialità di ciascun magistrato e dell'organismo nel suo complesso. Conformemente a detto criterio (ex art. 2, c. 3, d.P.R. n. 418/1993), vanno valutati la natura e il tipo di incarico, il suo fondamento normativo, la compatibilità con l'attività di istituto, anche sotto il profilo della durata dell'incarico medesimo e dell'impegno richiesto, l'adeguatezza dell'incarico alla qualificazione e al prestigio del magistrato, nonché ai profili di opportunità dello svolgimento dell'incarico stesso, in relazione all'eventuale pregiudizio che possa derivarne al prestigio e all'immagine del magistrato, tenendo conto a tal fine delle situazioni locali. Nel caso di specie, il Consiglio di Presidenza, senza aver ravvisato una generale incompatibilità tra i due ruoli, aveva legittimamente motivato le ragioni del diniego dell'autorizzazione per la vicinanza delle sedi, la natura ed estensione delle deleghe e per la gravosità dell'impegno.
Più nel dettaglio l'articolo stabilisce che durante il mandato elettivo – tanto nazionale quanto locale – e durante lo svolgimento di incarichi di governo – tanto nazionali quanto locali – il magistrato deve obbligatoriamente trovarsi in aspettativa, in posizione di fuori ruolo, fermo restando quanto previsto dal secondo comma dell'articolo 58 del TU statuto impiegati civili dello Stato.
Il secondo comma dell'articolo 58 del TU delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato (d.P.R. n. 3 del 1957) stabilisce che l'impiegato collocato fuori ruolo non occupa posto nella qualifica del ruolo organico cui appartiene e che nella qualifica iniziale del ruolo stesso è lasciato scoperto un posto per ogni impiegato collocato fuori ruolo. Per il quadro normativo in merito all’aspettativa si v. sopra la scheda di lettura dell’articolo 13.
L’aspettativa è computata a tutti gli effetti ai fini pensionistici e dell’anzianità di servizio.
Parere del CSM. L’obbligo di permanenza in aspettativa del magistrato per tutta la durata del mandato o dell’incarico politico risponde all’esigenza di delimitare nettamente il confine tra l’attività giudiziaria in precedenza svolta e l’attività politica.
Quanto al trattamento economico, il disegno di legge prevede che il magistrato possa scegliere tra:
§ la conservazione del trattamento economico in godimento in magistratura, senza possibile cumulo con altra indennità;
§ la corresponsione della sola indennità di carica.
La disposizione è analoga a quella attualmente in vigore - art. 68 del TU pubblico impiego (d.lgs n. 165 del 2001) - che consente ai magistrati eletti parlamentari nazionali o consiglieri regionali, la conservazione, in luogo dell'indennità parlamentare e dell'analoga indennità corrisposta ai consiglieri regionali, del trattamento economico in godimento presso l'amministrazione di appartenenza, che resta a carico della medesima.
La possibilità di conservare il trattamento economico in godimento in magistratura non ricorre quando il magistrato ricopre una delle cariche previste dall’art. 81 del TU enti locali (sindaci, presidenti delle province, presidenti dei consigli comunali e provinciali, presidenti dei consigli circoscrizionali, presidenti delle comunità montane e delle unioni di comuni, membri delle giunte di comuni e province).
In ogni caso, precisa sempre l'articolo 17, non possono essere superati i limiti di cui all'articolo 1 della legge n. 418 del 1999 e all'articolo 3, comma 1-bis, del decreto-legge n. 54 del 2013 (conv. legge n. 85 del 2013).
Quadro normativo. L'articolo 1 della legge n. 418 prevede che ai Ministri e ai Sottosegretari di Stato che non siano parlamentari è corrisposta una indennità pari a quella spettante ai membri del Parlamento, al netto degli oneri previdenziali e assistenziali (comma 1). Questi possono optare, se dipendenti pubblici, per il trattamento loro spettante (comma 2). Il comma 1-bis dell'articolo 3 del decreto-legge n. 54 estende il divieto di cumulo anche ai componenti del Governo non parlamentari, con riferimento all’indennità di cui all’art. 1, comma 1, della legge n. 418/1999; tali figure non possono, quindi, cumulare il trattamento stipendiale previsto dalla citata legge n. 212/1952 né con la predetta indennità né con il trattamento per cui abbiano eventualmente optato, se dipendenti pubblici, ai sensi del comma 2 del medesimo art.1 della richiamata legge n. 418/1999. In ogni caso, sempre secondo il comma 1-bis il trattamento economico, comprese le componenti accessorie e variabili della retribuzione, non può superare quello complessivamente attribuito ai membri del Parlamento, fatta salva in ogni caso la contribuzione previdenziale, che resta a carico dell'amministrazione di appartenenza.
La disposizione aggiunge che il periodo di aspettativa è utile ai fini dell'anzianità di servizio e del trattamento di quiescenza e di previdenza.
L’articolo 18 disciplina il ricollocamento in ruolo dei magistrati che si siano candidati alle elezioni europee, politiche, regionali o amministrative, senza essere eletti.
In generale la disposizione – che si applica ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari - prevede, ai commi 1 e 2, che i magistrati non possono essere ricollocati in ruolo:
§ con assegnazione ad un ufficio avente competenza, anche se in parte, sul territorio di una regione compresa in tutto o in parte nella circoscrizione elettorale in cui sono stati candidati;
§ con assegnazione ad un ufficio del distretto nel quale esercitavano le funzioni al momento della candidatura;
§ con assegnazione delle funzioni di giudice per le indagini preliminari o dell’udienza preliminare o delle funzioni di pubblico ministero.
Per tali magistrati, inoltre, è introdotto il divieto di ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi o di conseguire qualifiche direttive.
Una disciplina specifica è dettata dal comma 2 per i magistrati in servizio presso le giurisdizioni superiori o presso gli uffici giudiziari con competenza territoriale a carattere nazionale: spetterà agli organi di autogoverno individuare attività non giurisdizionali (si pensi alla sezione consultiva del Consiglio di Stato o all’Ufficio del massimario e del ruolo della Cassazione) alle quali destinare tali magistrati per i 3 anni successivi alla candidatura, senza che derivino posizioni sopranumerarie.
Parere del CSM. Il Consiglio ritiene questa norma problematica non sussistendo un tertium genius di attività, fra quella giudiziaria in ruolo e quella fuori ruolo, esercitabile dai magistrati ordinari, non potendo inoltre una tale individuazione essere rimessa all’organo di governo autonomo ai sensi dell’art. 108 Cost. Ritine inoltre opportuno un intervento del legislatore che chiarisca le modalità concrete del ricollocamento in ruolo dei magistrati di cui al comma 1 bis ed il senso da attribuire all’espressione “senza che derivino posizioni soprannumerarie”.
I limiti e i divieti di cui ai commi 1, 2 e 3, secondo quanto previsto dal comma 4, hanno infatti una durata di tre anni, fermo, per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, quanto previsto dall’articolo 8, secondo comma, del DPR n. 361 del 1957. Il testo unico delle leggi sull’elezione alla Camera dei deputati, infatti, vieta l’esercizio delle funzioni giudiziarie nella circoscrizione nel cui ambito si è svolta l’elezione per un periodo di cinque anni.
È opportuno ricordare che il CSM, con la circolare n. 13378 del 24 luglio 2014, ha introdotto limitazioni al rientro del magistrato non eletto nella sede di provenienza. La medesima circolare ha inoltre stabilito che il magistrato che sia stato candidato alle elezioni politiche o amministrative, nel caso in cui non risulti eletto, non può essere destinato, per il periodo di cinque anni, decorrenti dalla data delle elezioni, a sedi del distretto o dei distretti in cui erano ricomprese la circoscrizione o le circoscrizioni elettorali ove è stato candidato, ovvero del distretto o dei distretti competenti ai sensi dell’art. 11 c.p.p.
Con riguardo all'articolo 8, comma 2 del d.P.R. n. 361 del 1957 è opportuno ricordare che la Corte costituzionale con la sentenza n. 172 del 1982 ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale di tale disposizione rilevando che il buon andamento della giustizia e il prestigio dell'ordine giudiziario legittimano particolari limitazioni all'elettorato passivo dei magistrati. Ha quindi affermato, sulla scorta della sentenza n. 6 del 1960 che conservare il posto "vuol dire soltanto mantenere il rapporto di lavoro e di impiego e non già continuare nell'esercizio delle funzioni espletate", escludendo in questo modo il lamentato contrato con l'articolo 51, comma 3 della Costituzione.
L’articolo 19, colmando una lacuna attualmente presente nel nostro ordinamento, interviene in materia di ricollocamento dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari (sono quindi esclusi i magistrati onorari) che abbiano svolto il mandato elettorale al Parlamento europeo o al Parlamento nazionale ovvero abbiano ricoperto la carica di componente del Governo, di consigliere regionale o provinciale nelle Province autonome di Trento e Bolzano, di Presidente o assessore nelle giunte delle Regioni o delle Province autonome di Trento e Bolzano, di sindaco o consigliere comunale.
In particolare, il magistrato che alla cessazione del mandato elettorale o della carica politica, non abbia maturato l’età per il pensionamento obbligatorio può essere (comma 1):
· collocato fuori ruolo, presso il ministero di appartenenza (per i magistrati ordinari e militari), la Presidenza del Consiglio (per i magistrati amministrativi e contabili) oppure presso altre amministrazioni, tra le quali l’Avvocatura dello Stato con trattamento economico a carico dell’amministrazione di appartenenza. Dal collocamento fuori ruolo non dovranno derivare posizioni sopranumerarie e nella dotazione organica della magistratura dovrà essere congelato un numero di posti equivalente, dal punto di vista finanziario, fino alla cessazione dell’impiego;
· ricollocati in ruolo e destinati dai rispettivi organi di autogoverno allo svolgimento di attività non direttamente giurisdizionali, né giudicanti né requirenti (previsione analoga a quella inserita nell’art. 18).
La nuova disciplina è destinata a trovare applicazione unicamente con riguardo alle cariche assunte dai magistrati successivamente all'entrata in vigore della presente legge (articolo 19, comma 2).
Parere del CSM. Nel valutare positivamente la scelta del legislatore di prevedere che i magistrati che abbiano assunto incarichi elettivi non possono, alla cessazione del mandato, essere riassegnati ad attività direttamente giurisdizionali, la disciplina del ricollocamento in ruolo dei magistrati a seguito della cessazione di mandati elettivi ed incarichi di governo presenta criticità connesse alla difficile concreta individuazione di un tertium genius (rispetto all’attività giudiziaria in ruolo e all’attività non giudiziaria fuori ruolo) di attività esercitabile dai magistrati ordinari. Non appare infatti condivisibile l’ipotesi di destinare tali magistrati all’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, da un lato perché le funzioni svolte presso l’indicato Ufficio sono funzioni giurisdizionali di merito, dall’altro perché tale soluzione avrebbe un effetto illogicamente premiale nei confronti dei magistrati che intraprendono una carriera politica.
L’articolo 20 disciplina il ricollocamento dei magistrati collocati fuori ruolo per l’assunzione di incarichi politico-amministrativi apicali e incarichi di governo non elettivi a livello nazionale o regionale.
In particolare, per quanto riguarda i magistrati che hanno svolto incarichi politico-amministrativi apicali
Si tratta degli incarichi di
- capo e vicecapo dell'ufficio di gabinetto;
- segretario generale della Presidenza dei Consiglio dei ministri o di un Ministero;
- capo e vicecapo di dipartimento presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e i Ministeri;
- capo e vicecapo di dipartimento presso i consigli e le giunte regionali
il provvedimento prevede due alternative (comma 1):
§ collocamento per un anno in posizione di fuori ruolo, presso il ministero di appartenenza o la Presidenza del Consiglio, oppure presso l'Avvocatura dello Stato o altre Amministrazioni, senza che derivino posizioni soprannumerarie, in un ruolo non apicale; trascorso l'anno il magistrato potrà tornare a svolgere le funzioni giudiziarie ma non potrà per i 3 anni successivi assumere incarichi direttivi o semidirettivi;
§ ricollocamento in ruolo e destinazione ad incarichi non direttamente giurisdizionali, individuati dagli organi di autogoverno. In questa seconda ipotesi, la disposizione non specifica se si tratta di uno status che il magistrato debba conservare fino alla maturazione dell'età per il pensionamento obbligatorio.
Anche i magistrati che abbiano svolto incarichi di governo non elettivi (si tratta dei componenti del Governo; degli assessori regionali o nelle giunte delle province autonome; degli assessori comunali) hanno a disposizione due possibilità (comma 2):
§ il collocamento in posizione di fuori ruolo, presso il ministero di appartenenza o la Presidenza del Consiglio, o l’Avvocatura dello Stato. Nella dotazione della magistratura è congelato un numero di posti equivalente dal punto di vista finanziario, fino alla cessazione dall’impiego;
§ il ricollocamento in ruolo e la destinazione ad incarichi non direttamente giurisdizionali, individuati dagli organi di autogoverno;
In entrambi i casi, la disposizione non specifica se si tratta di uno status che il magistrato debba conservare fino alla maturazione dell'età per il pensionamento obbligatorio.
Le disposizioni sul ricollocamento non si applicano se l'incarico è cessato prima che sia trascorso un anno dall'assunzione, sempre che la cessazione non dipenda da dimissioni volontarie non conseguenti a ragioni di sicurezza, motivi di salute o altra giustificata ragione (comma 3).
Una norma transitoria (comma 4) prevede l'applicazione della riforma solo agli incarichi assunti dopo l'entrata in vigore della legge.
Il Capo IV del disegno di legge, composto dagli articoli da 21 a 39, contiene disposizioni immediatamente precettive, con le quali si modifica la legge n. 195 del 1958, recante Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura.
Si tratta di un intervento organico che investe tutti i Capi della suddetta legge, incidendo sulla composizione ed organizzazione, sulle attribuzioni e sul funzionamento del CSM, sul sistema elettorale per la nomina dei componenti togati nonché sulla sul loro ricollocamento al termine del mandato.
L’articolo 21 contiene modifiche al numero dei componenti elettivi del Consiglio superiore della magistratura, di cui all’articolo 1 della legge n. 195 del 1958).
In particolare, tale numero viene aumentato dagli attuali ventiquattro a trenta complessivi (comma 1, lett. a), di cui:
- venti magistrati ordinari, in luogo degli attuali sedici;
- dieci eletti dal Parlamento, in luogo degli attuali otto.
Inoltre, con l’introduzione all’articolo 1 della legge n. 195 di un nuovo comma dopo il primo (lett. b), si prevede che:
- tutti i membri del CSM svolgono le proprie funzioni in piena indipendenza e imparzialità;
- i magistrati eletti del CSM si distinguono tra loro solo per categoria di appartenenza.
Parere del CSM. Con riferimento al nuovo comma dell’art. 1 della legge n. 195 introdotto dall’articolo in esame, il Consiglio ha rilevato l’assenza, per i consiglieri laici, diversamente che per quelli togati, di specifici strumenti e procedimenti volti a garantire l’effettiva operatività dei doveri di imparzialità e indipendenza. È stata quindi evidenziata l’opportunità di adottare un Codice etico sulla base del quale risulti possibile identificare le condotte dei componenti laici lesive dei suindicati doveri e le conseguenze sanzionatorie in caso di loro violazione.
Quadro normativo. Il CSM è organo di amministrazione della giurisdizione e di garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati ordinari. Ha rilevanza costituzionale in quanto espressamente previsto dalla Costituzione, che ne delinea la composizione (art. 104) e i compiti (art. 105). Esso adotta tutti i provvedimenti che incidono sullo status dei magistrati (dall’assunzione mediante concorso pubblico, alle procedure di assegnazione e trasferimento, alle promozioni, fino alla cessazione dal servizio). Provvede inoltre al reclutamento e alla gestione dell’attività dei magistrati onorari. Ha infine il compito di giudicare le condotte disciplinarmente rilevanti tenute dai magistrati. Quest’ultima competenza gli è attribuita dalla legge n. 195 del 1958 che regola, in via generale, la costituzione e le competenze del Consiglio stesso.
Il Consiglio Superiore è presieduto dal Presidente della Repubblica che ne è membro di diritto al pari del Primo Presidente della Suprema Corte di Cassazione e del Procuratore Generale presso la stessa Corte. A parte i tre membri il Consiglio è composto da membri elettivi che vengono scelti per un terzo dal parlamento in seduta comune (c.d. componenti laici) e per due terzi dai magistrati (c.d. componenti togati). Se la proporzione tra membri togati e laici è stabilita dalla Costituzione, nel tempo sono più volte stati oggetto di modifica sia il numero di componenti che il metodo di elezione. La normativa in vigore (legge n. 195 del 1958 così come modificata da ultimo dalla legge n. 44 del 2002) prevede, all’articolo 1, che il Consiglio sia composto da 24 membri elettivi:
- 16 magistrati, di cui 2 che esercitano funzioni di legittimità, 10 che esercitano funzioni giudicanti di merito, 4 che esercitano funzioni requirenti di merito:
- 8 eletti dal parlamento in seduta comune tra professori ordinari in materie giuridiche o avvocati con almeno 15 anni di esercizio della professione.
Con l’intervento normativo di cui alla disposizione in esame è ripristinato il numero dei componenti elettivi che il CSM aveva prima delle modifiche introdotte dalla legge 28 marzo 2002 n. 44.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
Legge n. 195 del 1958 Capo I Composizione ed organizzazione del Consiglio superiore
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Articolo 1 Componenti e sede del Consiglio |
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Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica ed è composto dal primo presidente della Corte suprema di cassazione, dal procuratore generale della Repubblica presso la stessa Corte, da sedici componenti eletti dai magistrati ordinari e da otto componenti eletti dal Parlamento, in seduta comune delle due Camere. |
Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica ed è composto dal primo presidente della Corte suprema di cassazione, dal procuratore generale della Repubblica presso la stessa Corte, da venti componenti eletti dai magistrati ordinari e da dieci componenti eletti dal Parlamento, in seduta comune delle due Camere. |
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1-bis. All’interno del Consiglio i componenti svolgono le loro funzioni in piena indipendenza e imparzialità. I magistrati eletti si distinguono tra loro solo per categoria di appartenenza. |
Il Consiglio elegge un vice presidente tra i componenti eletti dal Parlamento. |
Identico. |
Il Consiglio ha sede in Roma |
Identico. |
L’articolo 22 reca modifiche alla disciplina della composizione delle commissioni del Consiglio superiore, di cui all’articolo 3 della legge n. 195 del 1958, prevedendo:
§ che le commissioni del Consiglio superiore previste dalla legge e dal regolamento generale siano nominate ogni sedici mesi dal Presidente del Consiglio superiore, su proposta del Comitato di Presidenza e in conformità ai criteri di composizione previsti nel regolamento generale;
§ l’incompatibilità tra l’appartenenza ad alcune specifiche commissioni e l’appartenenza alla sezione disciplinare (sulla quale si veda infra articolo 23). In particolare, si prevede che i componenti effettivi della sezione disciplinare possano essere assegnati a una sola commissione e non possano far parte delle commissioni competenti per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, per le valutazioni della professionalità e in materia di incompatibilità nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e di trasferimento in caso di incompatibilità ambientale o funzionale (art. 2, secondo comma, r.d.lgs. 1946, n. 511 del 1946).
Secondo quanto riportato nella relazione illustrativa, la finalità di tale intervento normativo dovrebbe essere quella di impedire la distribuzione dei posti tra le correnti all’interno degli organi, affermando altresì il principio per cui ogni componente, in quanto rappresentante di tutti i magistrati, è del tutto equivalente all’altro nell’esercizio di quelle funzioni.
Parere del CSM. Con riferimento alla novella in commento, il Consiglio ha rilevato come, in linea con le indicazioni della Corte Costituzionale, risulti preminente l’esigenza di assicurare l’arricchimento che le attività delle articolazioni consiliari possono ricevere dalle professionalità e idealità differenziate di cui sono portatori i singoli componenti, in quest’ottica ritenendo preferibile un loro avvicendamento più frequente. Al fine di contemperare la suindicata esigenza con quella, non trascurabile, di una maggiore stabilità di quelle Commissioni le cui attività si caratterizzano per un maggiore tecnicismo o per la maggior durata delle procedure trattate, è stata auspicata l’introduzione di una regola maggiormente flessibile, che indichi come tendenziale il tempo di permanenza di un anno dei consiglieri nelle stesse commissioni, rimettendo poi all’autonomia organizzativa del Consiglio di modulare, in ragione delle concrete necessità, i tempi e la natura (totale o parziale) delle modifiche relative alla composizione delle stesse.
Quadro normativo. Il Consiglio superiore della magistratura si articola in Commissioni, cui spettano competenze istruttorie e di proposta, che sono dettagliate nel Regolamento interno del CSM[12]. Le Commissioni sono organi composti da 6 consiglieri (fatte salve la Commissione per il bilancio e la Commissione verifica titoli, che ne hanno 3), che cambiano annualmente (ad eccezione della II Commissione, della Commissione per il bilancio e della Commissione verifica titoli). Le materie di competenza di ciascuna Commissione sono prestabilite dal regolamento interno. Ciascuna commissione, nel proprio settore di competenza, gestisce la prima fase del procedimento amministrativo, detta “fase referente”: esse, cioè, esaminano ciascuna pratica, possono svolgere attività istruttoria, se necessario (acquisendo documenti, richiedendo informazioni agli uffici giudiziari, ascoltando gli interessati), e, infine, formulano una proposta di delibera. Tutte le proposte provenienti dalle Commissioni sono esaminate, discusse e approvate (o respinte) dal plenum, che è l’organo cui spetta il potere di assumere la decisione finale e del quale fanno parte tutti i componenti del CSM, ivi compresi quelli di diritto.
La I Commissione è competente in primo luogo nella materia delle incompatibilità nell’esercizio delle funzioni giudiziarie. La II Commissione è la commissione per il Regolamento Interno del Consiglio. Essa adotta i pareri sulla interpretazione del Regolamento interno, nonché proposte al Consiglio di modificazione del Regolamento stesso. Può inoltre formulare pareri e proposte sull’organizzazione interna e sul funzionamento del Consiglio.
La III Commissione è la commissione per l'accesso in magistratura e per la mobilità. La IV Commissione è competente per le valutazioni della professionalità, e per l’adozione di tutti i provvedimenti in quella materia.
La V Commissione, è competente per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, ha come attribuzione esclusiva l’adozione di proposte per il conferimento degli uffici direttivi e dei posti in organico che comportano l’esercizio delle funzioni semidirettive, nonché per la conferma dei magistrati incaricati di esercitare funzioni direttive o semidirettive.
Alla VI Commissione sono attribuiti i compiti di elaborazione culturale generale. Ad essa è affidato il compito di sovraintendere all’Ufficio Studi e Documentazione del Consiglio Superiore e di indirizzarne l’attività. La VII Commissione presidia il settore dell’organizzazione degli uffici giudiziari, approvazione delle tabelle e loro variazione. L’VIII Commissione è competente per la magistratura onoraria. La IX Commissione fino al 2013 competente per l’erogazione della formazione dei magistrati, era stata soppressa con decreto del Vicepresidente del Consiglio superiore del 31 luglio 2013, ed è stata ricostituita con decreto del Vicepresidente del CSM del 13 ottobre 2016.
La formulazione attuale dell’articolo 3 della legge n. 195 si limita a stabilire che le commissioni - aventi compiti istruttori o di proposta nonché la Commissione speciale sul conferimento degli uffici direttivi – sono nominate, su proposta del Comitato di presidenza, dal Presidente del Consiglio superiore all'inizio di ogni anno. Non vi è alcun riferimento a criteri di individuazione dei componenti delle commissioni.
Secondo quanto previsto dall’art. 2 della legge n. 195, il Comitato di Presidenza è composto dal Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, dal Primo presidente della Corte di Cassazione e dal Procuratore generale presso la Corte stessa. Come precisato nel Regolamento interno il Comitato di Presidenza è organo con funzioni di “impulso” dell’attività del Consiglio. Tra le sue funzioni vi è quella di proporre ogni anno, al Presidente del Consiglio Superiore, la nomina delle commissioni aventi il compito di riferire al Plenum.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
Legge n. 195 del 1958 Capo I Composizione ed organizzazione del Consiglio superiore |
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Articolo 3 Componenti e sede del Consiglio |
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Su proposta del Comitato di presidenza, il Presidente del Consiglio superiore nomina all'inizio di ogni anno le Commissioni aventi il compito di riferire al Consiglio nonché la Commissione speciale di cui all'art. 11, terzo comma. |
Il Presidente del Consiglio superiore, ogni sedici mesi, su proposta del Comitato di Presidenza, nomina le commissioni previste dalla legge e dal regolamento generale, in conformità ai criteri di composizione previsti dal regolamento medesimo. I componenti effettivi della sezione disciplinare possono essere assegnati a una sola commissione e non possono comporre le commissioni per il conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, per le valutazioni di professionalità e in materia di incompatibilità nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e di applicazione dell’articolo 2, secondo comma, del regio decreto 31 maggio 1946, n. 511. |
L’articolo 23 apporta modifiche alla disciplina della composizione della sezione disciplinare del CSM (articolo 4 della legge n. 195 del 1958), portando da quattro a cinque il numero dei componenti supplenti, specificando che la presidenza della sezione dura per l’intera durata della consiliatura ed eliminando la previsione secondo cui sia il componente eletto dal Parlamento a presiedere la sezione in sostituzione del Vicepresidente del CSM.
Si riconosce inoltre la possibilità di eleggere ulteriori supplenti nel caso in cui sia impossibile formare il collegio.
Infine, si demanda al CSM la determinazione dei criteri per la sostituzione dei componenti della sezione (esclusivamente in caso di incompatibilità, astensione o altro impedimento motivato) e si demanda invece al Presidente della sezione disciplinare (vice presidente del CSM) la determinazione dei criteri per l’assegnazione degli affari tra i componenti effettivi della sezione stessa.
Quadro normativo. Il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati trova la sua fonte normativa principale nella Costituzione, che all’art. 105 prevede, fra le attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura, l’adozione dei provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati. In ossequio a detto principio, le leggi che regolano il funzionamento del Consiglio superiore hanno previsto la costituzione di una Sezione disciplinare, interna al Consiglio e composta dai membri del Consiglio medesimo. La Sezione disciplinare giudica nei procedimenti disciplinari contro i magistrati ordinari promossi dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione o dal Ministro della Giustizia per i fatti tipizzati dal d.lgs. 109 del 2006. L’esercizio dell’azione disciplinare è dunque attribuito al Procuratore generale presso la Corte di cassazione e al Ministro della Giustizia. Mentre con riferimento al primo ha carattere obbligatorio, per il secondo è meramente facoltativo. IL D.lgs. n. 106 disciplina i fatti illeciti, il procedimento per accertarli e le sanzioni applicabili. Per quanto non previsto dal decreto legislativo, si applica il codice di procedura penale, ove compatibile. La Sezione esercita dunque funzioni giurisdizionali e pronuncia sentenze e ordinanze, impugnabili davanti alle Sezioni unite civili della Corte di Cassazione.
In particolare, la novella in commento:
§ porta da quattro a cinque il numero dei componenti supplenti della sezione disciplinare;
In base a quanto previsto dall’art. 4 della legge n. 195/1958, la sezione disciplinare è composta da sei componenti effettivi e di quattro supplenti. Tuttavia il Regolamento interno, così come modificato nel luglio 2020 (G.U. 8 luglio 2020), integra la composizione della sezione disciplinare con ulteriori membri supplenti. In particolare, l’articolo 4, comma 1, del Regolamento prevede che subito dopo l’elezione del Vicepresidente, il Consiglio procede all’elezione di sei componenti effettivi e di quattordici componenti supplenti della sezione.
§ rispetto alla disciplina vigente dei componenti effettivi, è confermata l’attribuzione della presidenza della sezione al vicepresidente del Consiglio superiore, specificandosi che la presidenza dura per l’intera durata della consiliatura; viene eliminata la previsione secondo cui sia il componente eletto dal Parlamento a presiedere la sezione in sostituzione del Vicepresidente del CSM.
Si segnala che, secondo quanto previsto nel Regolamento interno (art. 4, comma 2) nel caso in cui il Vicepresidente e il componente eletto dal Parlamento che lo sostituisce non possono, per qualsiasi causa, presiedere la Sezione disciplinare, la presidenza è assunta dal componente supplente eletto dal Parlamento più anziano per data di elezione e, a parità di data di elezione, a quello che abbia riportato più voti; nel caso di parità di voti, dal più anziano di età. Vengono quindi previsti dei criteri di sostituzione che attribuiscano la presidenza della sezione disciplinare ad un componente eletto dal Parlamento.
Resta infine confermata l’attuale composizione dei membri effettivi.
Attualmente il secondo comma dell’articolo 4 della legge n. 195 prevede che i componenti effettivi della sezione disciplinare siano il vicepresidente del Consiglio superiore; un componente eletto dal Parlamento; un magistrato di Corte di cassazione con esercizio effettivo delle funzioni di legittimità; due magistrati che esercitano le funzioni di giudice presso gli uffici di merito ovvero che sono destinati all’ufficio del massimario e del ruolo della Corte suprema di cassazione; un magistrato che esercita le funzioni di pubblico ministero presso gli uffici di merito o presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo o destinato alla Procura generale presso la Corte suprema di cassazione.
§ individua i componenti supplenti: resta inalterata la previsione di un componente eletto dal Parlamento, di un magistrato di Corte di cassazione con esercizio effettivo delle funzioni di legittimità, di un magistrato che esercita le funzioni di giudice presso gli uffici di merito ovvero che sia destinati all’ufficio del massimario e del ruolo della Corte suprema di cassazione; passano invece da uno a due (in conseguenza dell’ampliamento del numero dei supplenti di una unità) i membri individuati tra i magistrati che esercitano le funzioni di pubblico ministero presso gli uffici di merito o presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (non è previsto alcun rapporto di proporzionalità tra l’espressione delle funzioni requirenti e l’espressione di quelle giudicanti)
Come ricordato, secondo quanto previsto nel Regolamento interno (art. 4) i componenti supplenti sono 14: un magistrato di Corte di Cassazione, con esercizio effettivo delle funzioni di legittimità; tre magistrati che esercitano le funzioni di giudice negli uffici di merito, sei magistrati che esercitano le funzioni di pubblico ministero presso gli uffici di merito; quattro componenti eletti dal Parlamento.
§ introduce una nuova disposizione che riconosce la possibilità di eleggere ulteriori supplenti nel caso in cui sia impossibile formare il collegio.
Viene così data attuazione alla sentenza n. 262 del 2003, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 4 della legge n. 195 del 1958, n. 195 (nel testo modificato dall'art. 2 della legge n. 44 del 2002, recante norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), nella parte in cui non prevede l'elezione da parte del Consiglio superiore della magistratura di ulteriori membri supplenti della Sezione disciplinare.
§ inserisce un ulteriore comma all’art. 4 della legge n. 195 del 1958, per demandare al CSM la determinazione dei criteri per la sostituzione dei componenti della sezione (esclusivamente in caso di incompatibilità, astensione o altro impedimento motivato) e demandare invece al Presidente della sezione disciplinare (vice presidente del CSM) la determinazione dei criteri per l’assegnazione degli affari tra i componenti effettivi della sezione stessa, comunicandoli al Consiglio.
Parere del CSM. Il Consiglio, tenuto conto della natura giurisdizionale delle funzioni svolte dalla Sezione disciplinare, ha valutato favorevolmente, perché funzionali alla massima tutela del principio del giudice naturale, le previsioni che rimettono al Consiglio la predeterminazione di criteri oggettivi per le sostituzioni dei vari componenti, come pure le disposizioni che fanno obbligo al Presidente della Sezione disciplinare di indicare preventivamente i criteri per l’assegnazione dei procedimenti ai componenti effettivi e di comunicarli al Consiglio.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
Legge n. 195 del 1958 Capo I Composizione ed organizzazione del Consiglio superiore |
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Articolo 4 Composizione della sezione disciplinare. |
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La cognizione dei procedimenti disciplinari a carico dei magistrati è attribuita ad una sezione, disciplinare, composta da sei componenti effettivi e di quattro supplenti |
La cognizione dei procedimenti disciplinari a carico dei magistrati è attribuita ad una sezione, disciplinare, composta da sei componenti effettivi e di cinque supplenti |
I componenti effettivi sono: il vicepresidente del Consiglio superiore, che presiede la sezione; un componente eletto dal Parlamento, che presiede la sezione in sostituzione del Vicepresidente del Consiglio superiore; un magistrato di Corte di cassazione con esercizio effettivo delle funzioni di legittimità; due magistrati che esercitano le funzioni di cui all'articolo 23, comma 2, lettera c); un magistrato che esercita le funzioni di cui all'articolo 23, comma 2, lettera b) |
I componenti effettivi sono: il vicepresidente del Consiglio superiore, che presiede la sezione, per l’intera durata della consiliatura; un componente eletto dal Parlamento; un magistrato di Corte di cassazione con esercizio effettivo delle funzioni di legittimità; due magistrati che esercitano le funzioni di cui all'articolo 23, comma 2, lettera c); un magistrato che esercita le funzioni di cui all'articolo 23, comma 2, lettera b)
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I componenti supplenti sono: un magistrato di Corte di cassazione, con esercizio effettivo delle funzioni di legittimità; un magistrato che esercita le funzioni di cui all'articolo 23, comma 2, lettera b); un magistrato che esercita le funzioni di cui all'articolo 23, comma 2, lettera c); un componente eletto dal Parlamento |
I componenti supplenti sono: un componente eletto dal Parlamento; un magistrato di Corte di cassazione con esercizio effettivo delle funzioni di legittimità; due magistrati che esercitano le funzioni di cui all'articolo 23, comma 2, lettera c); un magistrato che esercita le funzioni di cui all'articolo 23, comma 2, lettera b). Resta ferma la possibilità di eleggere ulteriori componenti supplenti in caso di impossibilità di formare il collegio. |
Il vicepresidente del Consiglio superiore è componente di diritto; gli altri componenti, effettivi e supplenti, sono eletti dal Consiglio superiore tra i propri membri. L'elezione ha luogo per scrutinio segreto, a maggioranza dei due terzi dei componenti il Consiglio. In caso di parità di voti tra gli appartenenti alla stessa categoria, è eletto il più anziano per età. |
Identico |
Nell'ipotesi in cui il Presidente del Consiglio superiore si avvalga della facoltà di presiedere la sezione disciplinare, resta escluso il vicepresidente. |
Identico |
Le funzioni di pubblico ministero presso la sezione disciplinare sono esercitate dal procuratore generale presso la Corte di cassazione |
Identico |
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Il Consiglio superiore determina i criteri per la sostituzione dei componenti della sezione disciplinare, che può essere disposta solo in caso di incompatibilità, di astensione o di altro motivato impedimento. Il Presidente della sezione disciplinare predetermina i criteri per l’assegnazione dei procedimenti ai componenti effettivi della sezione e li comunica al Consiglio. |
L’articolo 24 reca modifiche alla disciplina del quorum per la validità delle deliberazioni del Consiglio superiore (articolo 5 della legge n. 195 del 1958).
In conseguenza dell’aumento del numero dei componenti, si prevede che per la validità delle deliberazioni del Consiglio sia necessaria la presenza di almeno quattordici magistrati, invece degli attuali dieci, e di sette, in luogo degli attuali cinque, consiglieri eletti dal Parlamento.
Resta invariato, invece, il quorum deliberativo (a maggioranza dei voti) e con prevalenza del voto del Presidente in caso di parità.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
Legge n. 195 del 1958 Capo I Composizione ed organizzazione del Consiglio superiore |
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Articolo 5 Validità delle deliberazioni del Consiglio superiore. |
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Per la validità delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura è necessaria la presenza di almeno dieci magistrati e di almeno cinque componenti eletti dal Parlamento. |
Per la validità delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura è necessaria la presenza di almeno quattordici magistrati e di almeno sette componenti eletti dal Parlamento. |
Le deliberazioni sono prese a maggioranza di voti e, in caso di parità, prevale quello del Presidente. |
Identico |
L’articolo 25 interviene sull’articolo 7 della legge n. 195 del 1958 in merito alla segreteria del Consiglio superiore della magistratura per introdurre alcune modifiche. In particolare:
§ la segreteria viene posta alle dipendenze funzionali del Comitato di presidenza del CSM (composto dal Vice Presidente, dal Primo presidente della Corte di Cassazione e dal Procuratore generale presso la Cassazione);
§ al vertice della segreteria è posto un segretario generale, magistrato che ha conseguito almeno la quinta valutazione di professionalità, nominato dal Comitato di presidenza, previo interpello aperto a tutti i magistrati. Resta in carica per massimo 6 anni;
§ il segretario generale è coadiuvato, ed eventualmente sostituito in caso di impedimento, da un vicesegretario generale, magistrato che ha conseguito la almeno terza valutazione di professionalità, anch’esso nominato dal Comitato di presidenza, previo concorso per titoli aperto a tutti i magistrati. Resta in carica per massimo 6 anni;
Quadro normativo. L’articolo 11, comma 3, del Regolamento interno prevede che la nomina del Segretario generale e quella del Vice segretario generale siano deliberate dal Consiglio, a seguito di interpello comunicato a tutti i magistrati in servizio, su proposta del Comitato di presidenza, che acquisisce sulla medesima l'intesa della Terza commissione (competente in materia di conferimento degli incarichi fuori ruolo), previa audizione dei candidati da parte di quest'ultima.
Parere del CSM. Con riferimento alle nuove modalità di nomina del Segretario generale e del Vicesegretario generale, il Consiglio rileva come esse determinino un indebito accentramento del potere di scelta dei due magistrati posti al vertice della Segreteria in capo al Comitato di Presidenza, con tale estromissione dell’Assemblea Plenaria dalla nomina del Vicesegretario, e uno svilimento del ruolo della stessa con riferimento alla nomina del Segretario Generale, avendo il potere di ‘individuazione’ dell’aspirante all’incarico rimesso al Comitato di presidenza una connotazione più decisoria che di proposta.
§ alla segreteria possono inoltre essere assegnati massimo 18 componenti esterni (1/3 dirigenti amministrativi con almeno 8 anni di esperienza; magistrati con almeno la seconda valutazione di professionalità), selezionati mediante procedura di valutazione dei titoli e colloquio da una commissione individuata dal Comitato di presidenza. Anche per i componenti esterni l’incarico ha durata massima di 6 anni;
§ il segretario, il vicesegretario e i magistrati assegnati alla segreteria sono collocati fuori ruolo, fermo restando il limite massimo complessivo decennale di collocamento fuori ruolo per i magistrati
Parere del CSM. Il Consiglio rileva che la struttura della segreteria delineata dalla riforma sia censurabile principalmente sotto due profili.
Il primo, già evidenziato nel parere reso con delibera del 21 aprile 2021, concerne la configurazione della struttura come articolazione tecnica solo ‘eventuale’, essendone rimessa la costituzione ad una scelta discrezionale del Consiglio, soggetta, quindi, ai variabili orientamenti dei componenti che si succederanno nel corso delle varie consiliature. Nel parere è stato ritenuto che una siffatta opzione tradisce una scarsa conoscenza delle necessità del Consiglio e del ruolo essenziale ed irrinunciabile svolto dai magistrati - attualmente gli unici addetti alla Segretaria - a supporto delle attività delle commissioni e dell’Assemblea Plenaria.
Il secondo attiene, invece, all’innesto nella Segreteria dei dirigenti amministrativi, che, anzi, sono gli unici componenti necessari della struttura, essendo stabilita solo in loro favore una riserva di posti che potrebbe essere anche totalitaria, corrispondendo quella di un terzo alla quota minima.
Secondo il Consiglio, tale scelta non solo dimostra scarsa consapevolezza dell’importanza che, ai fini di un efficace svolgimento delle attività rimesse ai componenti della Segreteria, assume la presenza, all’interno della struttura, dei magistrati, in ragione della formazione professionale maturata nell’esercizio concreto della giurisdizione, ma presenta profili di frizione con i principi di autonomia e indipendenza della magistratura che il Consiglio è chiamato ad attuare, essendo i dirigenti inseriti in un’organizzazione che trova il suo vertice nel potere esecutivo.
Un ulteriore profilo di criticità è stato ravvisato con riferimento alla commissione incaricata di effettuare la procedura concorsuale, che nell’impianto della riforma, è composta da due magistrati di legittimità e da tre professori ordinari in materie giuridiche individuati dal Comitato di presidenza.
Il Consiglio ha ritenuto che, in considerazione della peculiarità dei compiti che sono attribuiti ai componenti della segreteria, dovrebbe essere prevista come necessaria la partecipazione alla commissione di componenti del Consiglio. Inoltre, con riferimento all’individuazione dei membri della commissione, è stato evidenziato come da questa risulti del tutto estromessa l’Assemblea Plenaria.
Un’ultima criticità è stata ravvisata con riferimento alla previsione che, nella scelta dei componenti della segreteria, vincola il Consiglio ad attingere alla graduatoria formata, implicando la stessa che l’Organo è privato di qualsivoglia potere valutativo.
§ è implicitamente abrogata la previsione per cui alla segreteria sono destinati 14 dirigenti di segreteria di livello equiparato a quello di magistrato di tribunale, da selezionare con concorso pubblico;
Secondo quanto sottolineato nella relazione illustrativa dell’originario disegno di legge si tratterebbe di una norma mai attuata; la stessa relazione ricorda che allo svolgimento di quei compiti, sono in generale sempre stati, invece, destinati magistrati collocati fuori ruolo.
§ sono implicitamente abrogate le disposizioni relative alla durata e al rinnovo dell’incarico di segretario che attualmente prevedono che l’incarico cessi alla metà della consiliatura successiva a quella del suo conferimento; che lo stesso si protragga comunque fino al momento dell'effettiva sostituzione, e che non possa essere rinnovato;
Quadro normativo. L’articolo 7, comma 2, della legge n. 195/58 prevede attualmente che:
- i magistrati della segreteria siano nominati con delibera del Consiglio superiore della magistratura e che a seguito della nomina, siano posti fuori del ruolo organico della magistratura.
- alla cessazione dell'incarico gli stessi siano ricollocati in ruolo con deliberazione del Consiglio;
- l'incarico cessi alla metà della consiliatura successiva a quella del suo conferimento; che lo stesso esso si protragga comunque fino al momento dell'effettiva sostituzione, e che non possa essere rinnovato;
- l'assegnazione alla segreteria nonché la successiva ricollocazione nel ruolo siano considerate a tutti gli effetti trasferimenti di ufficio.
L’articolo 12 del Regolamento interno specifica che i magistrati addetti alla segreteria esercitano le seguenti funzioni, secondo la ripartizione dei settori di competenza determinata dal Comitato di Presidenza e dal Segretario generale: collaborano con il Segretario generale per assicurare il buon andamento delle segreterie delle Commissioni e degli altri settori della struttura consiliare a loro assegnati; collaborano con il Presidente della Commissione alla quale sono assegnati, lo assistono nell’attività organizzativa; curano la preparazione delle singole pratiche secondo le direttive impartite dal Presidente della Commissione o dai relatori; assistono alle sedute della Commissione; assistono alle sedute del Consiglio e della Sezione Disciplinare, sovrintendono alla stesura del verbale da parte dei funzionari e del resoconto da parte dei resocontisti; svolgono, se richiesto dal Vicepresidente, dal Comitato di Presidenza o dai Presidenti delle Commissioni, attività di massimazione di precedenti; se addetti alla Sezione Disciplinare, provvedono alla massimazione delle decisioni; esercitano ogni altra attribuzione stabilita dalla legge e dal Comitato di Presidenza.
Il Regolamento prevede che le nomine dei magistrati addetti alla segreteria e all’Ufficio Studi e Documentazione siano deliberate dal Consiglio, a seguito di interpello comunicato a tutti i magistrati in servizio, su proposta della Terza Commissione d’intesa con il Comitato di Presidenza, previa audizione dei candidati da parte della medesima Commissione.
Infine, i limiti del ruolo organico del personale del CSM sono definiti nel decreto legislativo 14 febbraio 2000, n. 37 (Istituzione del ruolo del personale amministrativo della segreteria e dell'ufficio studi e documentazione del Consiglio superiore della magistratura, a norma dell'articolo 13 della L. 28 luglio 1999, n. 266). In particolare l’articolo 1, comma 1, prevede l’istituzione del ruolo organico del personale amministrativo della segreteria e dell'ufficio studi e documentazione del C.S.M., con dotazione organica di 230 unità.
Parere del CSM. In aggiunta a quanto sopra, il Consiglio ha evidenziato che, pur se il riformulato art. 7 della l. n. 195/58 disegna un ruolo identico ed omogeneo per tutti i componenti della Segreteria, con il che risulterebbe incompatibile un inquadramento dei dirigenti amministrativi come personale della struttura amministrativa, nondimeno, la disposizione in esame non sarebbe di chiara formulazione. E’ stato in particolare sottolineato che una lettura secondo la quale dette figure possano essere inserite nella struttura e destinate a svolgere le funzioni attualmente attribuite al personale amministrativo non è ammissibile, dovendo i dirigenti, in base a plurimi argomenti letterali, esclusivamente comporre la Segreteria insieme ai magistrati.
Il parere ha evidenziato, inoltre, che il regime giuridico di provenienza dei predetti dirigenti non è conciliabile con quello dei dipendenti del Consiglio, che trova la sua fonte di dettaglio, sostanzialmente esaustiva e completa, nella potestà regolamentare interna al fine di preservare l’autonomia dell'Organo di governo autonomo. L’assegnazione di personale esterno di livello dirigenziale alle funzioni proprie del personale amministrativo del Consiglio verrebbe, poi, a confliggere con il dato ordinamentale interno dell'assenza di figure propriamente dirigenziali; i dirigenti, ove venissero inseriti nell’amministrazione della segreteria, non potrebbero conservare l’esercizio effettivo delle funzioni legate alla loro formale qualifica e sarebbe difficilmente immaginabile l'attribuzione, agli stessi, dell'incarico di direttore atteso che essi sono privi dei requisiti per accedere a tale funzione.
§ da ultimo, si prevede che, ove al segretario, al vicesegretario e ai magistrati assegnati alla segreteria siano riconosciute indennità, il limite massimo retributivo onnicomprensivo non possa comunque superare quello previsto per il personale pubblico e delle società partecipate dall’articolo 13 del d.l. n. 66 del 2014.
L’articolo 13 del d.l. 66/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. 89/2014, prevede che, a decorrere dal 1° maggio 2014, il limite massimo retributivo riferito al primo presidente della Corte di cassazione sia fissato in euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente. A decorrere dalla predetta data i riferimenti al suddetto limite retributivo contenuti in disposizioni legislative e regolamentari vigenti alla data di entrata in vigore del suddetto decreto, si intendono sostituiti dal predetto importo. Sono in ogni caso fatti salvi gli eventuali limiti retributivi determinati per effetto di apposite disposizioni legislative, regolamentari e statutarie, qualora inferiori al limite fissato dal presente articolo.
Si ricorda come tale limite massimo al trattamento economico e contributivo, per effetto dell'art. 1, comma 68, legge n. 234 del 2021 (legge di bilancio per il 2022), sia stato rideterminato in relazione agli incrementi medi conseguiti nell'anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati, come calcolati dall'ISTAT.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
Legge n. 195 del 1958 Capo I Composizione ed organizzazione del Consiglio superiore |
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Articolo 7 Composizione della segreteria. |
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1. La segreteria del Consiglio superiore della magistratura è costituita da un magistrato con funzioni di legittimità che la dirige, da un magistrato con funzioni di merito che lo coadiuva e lo sostituisce in caso di impedimento, da quattordici dirigenti di segreteria di livello equiparato a quello di magistrato di tribunale e dai funzionari addetti ed ausiliari di cui al comma 4. |
1. La segreteria del Consiglio superiore della magistratura è diretta da un magistrato, segretario generale, che ha conseguito almeno la quinta valutazione di professionalità, e da un magistrato, vicesegretario generale, che ha conseguito almeno la terza valutazione di professionalità, che lo coadiuva e lo sostituisce in caso di impedimento. |
2. I magistrati della segreteria sono nominati con delibera del Consiglio superiore della magistratura. A seguito della nomina, sono posti fuori del ruolo organico della magistratura. Alla cessazione dell'incarico sono ricollocati in ruolo con deliberazione del Consiglio. L'incarico cessa alla metà della consiliatura successiva a quella del suo conferimento; esso si protrae comunque fino al momento dell'effettiva sostituzione, ma non può essere rinnovato. L'assegnazione alla segreteria nonché la successiva ricollocazione nel ruolo sono considerate a tutti gli effetti trasferimenti di ufficio. |
2. Il segretario generale è individuato dal Comitato di presidenza, previo interpello aperto a tutti i magistrati, e l’incarico è conferito con delibera del Consiglio superiore della magistratura. Il vicesegretario generale è nominato dal Comitato di presidenza, previo concorso per titoli aperto a tutti i magistrati. A seguito della nomina il segretario e il vicesegretario sono posti fuori del ruolo organico della magistratura. Fermo restando il limite massimo complessivo decennale di collocamento fuori ruolo per i magistrati, gli incarichi di segretario generale e di vicesegretario generale hanno una durata massima di sei anni. L’assegnazione alla segreteria, nonché la successiva ricollocazione nel ruolo, sono considerate a tutti gli effetti trasferimenti d’ufficio. |
3. I dirigenti di segreteria sono nominati a seguito di concorso pubblico, le cui modalità sono determinate con apposito regolamento. Titolo di base per la partecipazione al concorso è la laurea in giurisprudenza |
3. La segreteria dipende funzionalmente dal Comitato di presidenza. Le funzioni del segretario generale e del magistrato che lo coadiuva sono definite dal regolamento generale. |
4. All'ufficio di segreteria sono addetti, inoltre, ventotto funzionari della carriera dirigenziale ed equiparati e della carriera direttiva delle cancellerie e segreterie giudiziarie, nonché quaranta collaboratori di cancelleria ed equiparati, sessanta operatori amministrativi, trenta addetti ai servizi ausiliari e di anticamera, quattro agenti tecnici e quaranta conducenti di automezzi speciali. |
4. Il Consiglio superiore della magistratura può assegnare alla segreteria un numero non superiore a diciotto di componenti esterni, nei limiti delle proprie risorse finanziarie, selezionati mediante procedura di valutazione dei titoli e colloquio. La commissione incaricata della selezione è formata da due magistrati di legittimità e da tre professori ordinari in materie giuridiche, individuati dal Comitato di presidenza. Almeno un terzo dei posti è riservato a dirigenti amministrativi provenienti da organi costituzionali e amministrazioni pubbliche con almeno otto anni di esperienza. I magistrati devono possedere almeno la seconda valutazione di professionalità. La graduatoria degli idonei, adottata in esito ad ogni procedura selettiva, ha validità di tre anni. I magistrati assegnati alla segreteria sono collocati fuori del ruolo organico della magistratura. Fermo restando il limite massimo complessivo decennale di collocamento fuori ruolo per i magistrati, l’incarico di magistrato o dirigente amministrativo addetto alla segreteria generale ha una durata massima di sei anni. |
5. Detto personale è inserito in un proprio ruolo organico autonomo del Consiglio superiore della magistratura, istituito con decreto del Presidente della Repubblica ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 |
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6. Sino all'istituzione del ruolo organico autonomo del Consiglio, alle necessità di questo ed altro personale provvede il Ministro di grazia e giustizia mediante comando o distacco su richiesta motivata del Consiglio superiore della magistratura. |
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7. La segreteria dipende funzionalmente dal comitato di presidenza. Le funzioni del segretario generale, del magistrato che lo coadiuva e dei dirigenti di segreteria sono definite dal regolamento interno agosto 1988, n. 400, sentito il Consiglio superiore della magistratura |
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5. Ove ai magistrati di cui ai commi 1 e 4 del presente articolo siano riconosciute indennità, il limite massimo retributivo onnicomprensivo non può superare quello indicato all’articolo 13 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89 |
L’articolo 26 interviene sul decreto legislativo n. 37 del 2000, che delinea il ruolo organico del personale del CSM. In particolare, sostituisce l’articolo 3 del suddetto decreto legislativo, in materia di contratti di collaborazione continuativa prevedendo che tali contratti:
· possano essere stipulati, per un contingente massimo di 32 unità (delle quali massimo 12 dipendenti pubblici in aspettativa o in comando, senza alcun onere per l’amministrazione di appartenenza) di collaboratori del Vicepresidente del CSM e dei singoli componenti (contratti che scadranno alla cessazione del mandato del componente del CSM che ne ha chiesto la stipula);
· possano essere stipulati per coprire le posizioni di componente esterno della segreteria generale del CSM, previste nel numero massimo di 18 unità dall’art. 7, comma 4, della legge n. 195 del 1958 (v. sopra);
· possano essere stipulati per coprire le posizioni di componente esterno dell’ufficio studi e documentazione, previste nel numero massimo di 12 unità dall’art. 7-bis, comma 3-bis, della legge n. 195 del 1958 (v. infra).
In particolare, l’articolo 26, sostituendo l’articolo 3 del d.lgs. 37/2000, attribuisce al Consiglio la competenza, attualmente prevista in capo al Comitato di presidenza, in ordine alla stipula dei contratti di collaborazione continuativa per far fronte a esigenze che richiedano particolari professionalità e specializzazioni.
Parere del CSM. Il parere ha ritenuto non condivisibile gravare l'Organo di governo autonomo di ulteriori competenze relative alla gestione del personale che rischiano di rallentare la sua attività.
L’articolo riduce il campo di applicazione di tali contratti, ai quali si potrà fare ricorso non per tutte le esigenze della segreteria ma solo per quelle della segreteria particolare del Vicepresidente, per l’assistenza di segreteria e di studio dei membri del Consiglio.
Parere del CSM. Il parere ha ritenuto di non condividere la novella che, a fronte delle crescenti esigenze della struttura, rischia di incidere negativamente sulla sua gestione, non essendo sempre possibile rinvenire all'interno della stessa le professionalità che di volta in volta si rendono necessarie. Sarebbe, al contrario, opportuno ampliare ulteriormente il numero dei contratti.
Il parere ha poi segnalato ulteriori incertezze interpretative intorno al numero degli incarichi e alla durata degli stessi.
Infine, viene precisato che è competenza del Segretario generale provvedere agli adempimenti di cui all'art. 60 d.lgs. 165 del 2001 in materia di controllo del costo del lavoro nelle amministrazioni pubbliche.
L’art. 60, comma 2, prevede che le amministrazioni pubbliche presentino ogni anno, alla Corte dei conti e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della funzione pubblica, per il tramite del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, il conto annuale delle spese sostenute per il personale. Il conto è accompagnato da una relazione, con cui le amministrazioni pubbliche espongono i risultati della gestione del personale, con riferimento agli obiettivi che, per ciascuna amministrazione, sono stabiliti dalle leggi, dai regolamenti e dagli atti di programmazione.
Parere del CSM. Il parere ha segnalato che la disposizione appare porsi in contrasto con il principio costituzionale dell'autonomia contabile e finanziaria dell'Organo di governo autonomo, trascurando, inoltre, la sua posizione quale organo di rilevanza costituzionale che non è parte della Pubblica Amministrazione e che, tra l'altro, non può tollerare che gli siano imposti dallo Stato amministrazione obiettivi da sottoporre a controllo successivo.
È stato segnalato, poi, il contrasto del sistema di controllo da parte della Corte dei conti, nonché delle visite ispettive da parte del Ministero dell'economia, con il regime dei controlli interni già previsti dal Regolamento di amministrazione e contabilità il quale riconosce tali poteri al Collegio dei revisori, composto, peraltro, anche da magistrati contabili e che ha superato il vaglio della stessa Corte dei conti.
Il parere ha segnalato, inoltre, l’inattuabilità di diversi punti, come il rinvio che l'art. 60 cit. opera alla contrattazione collettiva nazionale e decentrata, e quello al regime disciplinare previsto dall'art. 55 del d.lgs. 165 del 2001, al quale il Segretario generale, in quanto magistrato, non è assoggettabile.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
D.lgs. n. 37 del 2000 Istituzione del ruolo del personale amministrativo della segreteria e dell'ufficio studi e documentazione del Consiglio superiore della magistratura, a norma dell'articolo 13 della L. 28 luglio 1999, n. 266. |
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Articolo 3 Contratti di collaborazione continuativa. |
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1. Il Comitato di Presidenza, nel limite dei fondi stanziati per il funzionamento del C.S.M., può autorizzare la stipula di contratti di collaborazione continuativa per esigenze che richiedano particolari professionalità e specializzazioni, ivi comprese quelle della segreteria particolare del vicepresidente e di assistenza ai consiglieri, anche per periodi determinati. |
1. Il Consiglio superiore della magistratura, nei limiti dei fondi stanziati per il suo funzionamento, può stipulare contratti di collaborazione continuativa per esigenze che richiedano particolari professionalità e specializzazioni per la segreteria particolare del vicepresidente, per l’assistenza di segreteria e di studio dei componenti del consiglio. |
2. I contratti di cui al comma 1 non possono riguardare più di ventisei unità; scadono automaticamente alla cessazione della consiliatura; non possono essere rinnovati e non possono convertirsi in contratti a tempo indeterminato. |
2. I contratti di cui al comma 1 non possono riguardare più di trentadue unità; scadono automaticamente alla cessazione dell’incarico del componente che ne ha chiesto il conferimento, non possono essere rinnovati e non possono convertirsi in contratti a tempo indeterminato. |
3. I tempi ed i modi di svolgimento della prestazione, nonché il relativo compenso devono essere definiti all'atto della sottoscrizione del contratto. |
[v. infra, comma 8] |
4. Qualora i collaboratori di cui al comma 1 siano pubblici dipendenti, sono posti fuori ruolo nel limite massimo di dieci unità, in aspettativa o comando, senza alcun onere economico per l'amministrazione di appartenenza. |
3. Qualora i collaboratori di cui ai commi 1 e 2 siano pubblici dipendenti, sono posti fuori ruolo, nel limite massimo di dodici unità, in aspettativa o comando, senza alcun onere economico per l'amministrazione di appartenenza. |
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4. Il Consiglio superiore della magistratura, nei limiti dei fondi stanziati per il suo funzionamento, può stipulare contratti di collaborazione continuativa ai fini di conferire l’incarico previsto e regolato dall’articolo 7, comma 4, della legge 24 marzo 1958, n. 195. |
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5. I dirigenti di cui all’articolo 7, comma 4, della legge 24 marzo 1958, n. 195, selezionati mediante le procedure concorsuali previste dal predetto comma 4, sono posti fuori ruolo, in aspettativa o comando, senza alcun onere economico per l’amministrazione di appartenenza. I contratti di cui al comma 4 hanno durata massima di sei anni, non possono essere rinnovati e non possono convertirsi in contratti a tempo indeterminato. |
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6. Il Consiglio superiore della magistratura, nei limiti dei fondi stanziati per il suo funzionamento, può stipulare ulteriori contratti di collaborazione continuativa al fine di conferire ad avvocati con almeno dieci anni i esercizio effettivo e a professori e ricercatori universitari in materie giuridiche l’incarico previsto e regolato dall’articolo 7-bis, comma 3-bis, della legge 24 marzo 1958, n. 195. Tali contratti hanno durata massima di sei anni, non possono essere rinnovati e non possono convertirsi in contratti a tempo indeterminato. |
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7. Qualora i professori e ricercatori universitari in materie giuridiche di cui al comma 6 siano pubblici dipendenti, sono posti fuori ruolo in aspettativa o comando, senza alcun onere economico per l’amministrazione di appartenenza. |
(v. sopra, comma 3) |
8. I tempi ed i modi di svolgimento delle prestazioni, nonché il relativo compenso, devono essere definiti all’atto della sottoscrizione del contratto. |
4-bis. Agli adempimenti di quanto previsto dal presente articolo provvede il Segretario generale. |
9. Agli adempimenti di quanto previsto dal presente articolo e dall’articolo 60 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, provvede il Segretario generale. |
L’articolo 27 incide sulla disciplina dell’ufficio studi (articolo 7-bis della legge n. 195 del 1958), introducendo la possibilità di stipulare contratti di collaborazione con personale esterno.
In particolare, la novella:
§ prevede che i componenti esterni non possano essere più di 12, tra i quali massimo 2/3 magistrati che abbiano conseguito almeno la seconda valutazione di professionalità; minimo 1/3 dei componenti esterni devono essere avvocati che abbiano esercitato la professione per almeno 10 anni o professori e ricercatori universitari;
§ disciplina la selezione del personale, prevedendo una procedura di valutazione dei titoli e un colloquio, affidata a una apposita commissione designata dal Comitato di presidenza e prevede che la graduatoria degli idonei abbia validità triennale;
§ prevede che i magistrati debbano essere collocati in posizione di fuori ruolo e possano svolgere l’incarico per massimo 6 anni, che i professori e ricercatori debbano essere posti in aspettativa obbligatoria (articolo 7 della legge n. 240 del 2010), e che gli avvocati debbano essere sospesi dall’esercizio della professione.
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 14 del Regolamento interno del CSM, l’Ufficio studi e documentazione ha il compito di:
- ricercare e raccogliere documenti e materiali di interesse consiliare;
- redigere relazioni a richiesta delle Commissioni o del plenum, nonché relazioni e pareri richiesti dal Vicepresidente o dal Comitato di presidenza;
- curare il contenzioso relativo agli atti del Consiglio;
- assistere i Consiglieri relativamente alla predisposizione di sommarie indicazioni bibliografiche;
- predisporre la normativa primaria e secondaria da pubblicare negli archivi documentali del Consiglio e sul sito.
L’Ufficio è composto da magistrati ordinari nominati dal Consiglio a seguito di un interpello a tutti i magistrati in servizio. La direzione dell’ufficio è affidata ad un componente del Consiglio, nominato dal plenum su proposta del Comitato di Presidenza, sentita la Sesta Commissione. L’incarico ha durata annuale. Il direttore provvede all'organizzazione dell'ufficio, ivi compresa l'assegnazione delle pratiche ai magistrati addetti, secondo criteri oggettivi di specializzazione.
Parere del CSM. Il parere ha ritenuto non condivisibile la scelta di indicare l’Ufficio Studi come struttura solo eventuale, essendo imprescindibili per le attività consiliari le funzioni rimesse dal Regolamento Interno ai magistrati ad esso addetti.
È stata ritenuta non condivisibile altresì la scelta di prevedere una riserva dei posti solo per i professori, i ricercatori e gli avvocati, i quali, in ipotesi, potrebbero essere gli unici addetti all’Ufficio (la quota di un terzo loro riservata è quella minima), con totale estromissione dei magistrati. A tal riguardo è stato rilevato che, se una composizione eterogenea della platea degli addetti esterni si giustifica per l’importanza che, nell’elaborazione rimessa all’ufficio studi, presentano conoscenze specialistiche e plurali, nondimeno, per le attività di competenza dell’ufficio, è richiesta anche una qualificata esperienza professionale acquisita nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali.
Sono poi state ribadite le criticità in tema di composizione della Commissione incaricata di svolgere la selezione e di validità temporale della graduatoria, ricalcando le disposizioni quelle previste per la Segreteria.
Infine, è stata sollecitata un’integrazione della disposizione o, alternativamente, la delega al Consiglio per l’adozione della disciplina che regolamenti gli aspetti relativi agli effetti che determina l’innesto, nella struttura, di professionisti che non condividono la condizione ordinamentale e disciplinare dei magistrati, con conseguente necessità di individuare i doveri cui gli stessi sono tenuti, le conseguenze della loro violazione, le incompatibilità in costanza dell’incarico.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
Legge n. 195 del 1958 Capo I Composizione ed organizzazione del Consiglio superiore |
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Articolo 7-bis Ufficio studi e documentazione. |
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1. L'ufficio studi e documentazione del Consiglio superiore della magistratura è composto di dodici funzionari direttivi, sei funzionari, otto dattilografi e otto commessi. All'ufficio studi si accede mediante concorso pubblico le cui modalità e i cui titoli di ammissione sono determinati con apposito regolamento, da emanarsi con decreto del Presidente della Repubblica ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentito il Consiglio superiore della magistratura. Titolo per la partecipazione al concorso per funzionari direttivi è in ogni caso la laurea in giurisprudenza o in scienze politiche o in scienze statistiche o economico-statistiche. |
Identico |
2. Il Consiglio nomina un direttore dell'ufficio studi. Le modalità della nomina e le funzioni del direttore e dell'ufficio studi nel suo complesso sono definite dal regolamento interno del Consiglio. L'ufficio studi dipende direttamente dal comitato di presidenza. |
Identico |
3. All'interno dell'ufficio studi, e nell'ambito dell'organico complessivo, può essere costituito un gruppo di lavoro per diretta assistenza ai componenti del Consiglio, sulla base di apposita determinazione del comitato di presidenza |
Identico |
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3-bis. Il Consiglio superiore della magistratura può assegnare all’ufficio studi e documentazione un numero non superiore a dodici componenti esterni, nei limiti delle proprie risorse finanziarie, selezionati mediante procedura di valutazione dei titoli e colloquio, aperta ai magistrati ordinari che abbiano conseguito la seconda valutazione di professionalità, professori e ricercatori universitari in materie giuridiche e avvocati con almeno dieci anni di esercizio effettivo. La commissione incaricata della selezione è formata da due magistrati di legittimità e da tre professori ordinari in materie giuridiche, individuati dal Comitato di presidenza. Almeno un terzo dei posti è riservato a professori e ricercatori universitari in materie giuridiche e avvocati con almeno dieci anni di esercizio effettivo. I magistrati assegnati all’ufficio studi sono collocati fuori del ruolo organico della magistratura. I professori universitari sono collocati in aspettativa obbligatoria ai sensi dell’articolo 7 della legge 30 dicembre 2010, n. 240. La graduatoria degli idonei adottata in esito ad ogni procedura selettiva ha validità di tre anni. Agli avvocati si applica l’articolo 20 della legge 31 dicembre 2012, n. 247. Fermo restando il limite massimo complessivo decennale di collocamento fuori ruolo per i magistrati, l’incarico di addetto all’ufficio studi ha una durata massima di sei anni. Ove ai magistrati di cui al presente comma siano riconosciute indennità, il limite massimo retributivo onnicomprensivo non può superare quello indicato all’articolo 13 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, come integrato dall’articolo 1, comma 68, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 |
Con l’articolo 28 viene coordinato il disposto dell’articolo 10-bis della legge n. 195 del 1958 che si occupa del procedimento di approvazione delle tabelle degli uffici, alla disposizione che ha elevato la durata di efficacia delle tabelle a quattro anni (si veda sopra articolo 8). In particolare, si stabilisce che il decreto del Presidente della Repubblica, adottato in conformità delle deliberazioni del CSM - con il quale è effettuata la ripartizione degli uffici giudiziari in sezioni, la designazione dei magistrati componenti gli uffici e l’individuazione delle sezioni alle quali sono devoluti gli affari civili e penali, le controversie in materia di lavoro e i giudizi in grado di appello – venga adottato con cadenza quadriennale.
Quadro normativo. L’articolo 10-bis della legge n. 195 del 1958 prevede che la ripartizione degli uffici giudiziari in sezioni, la designazione dei magistrati componenti gli uffici, comprese le corti di assise, e la individuazione delle sezioni alle quali sono devoluti gli affari civili, gli affari penali, le controversie in materia di lavoro e i giudizi in grado di appello, siano effettuate ogni biennio con decreto del Presidente della Repubblica, in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura, assunte sulle proposte formulate dai presidenti delle corti di appello sentiti i consigli giudiziari. Si prevede inoltre che decorso il biennio, l'efficacia del decreto sia prorogata fino a che non sopravvenga un altro decreto.
Normativa vigente |
A.C.2681-A |
Legge n. 195 del 1958 Capo II Composizione ed organizzazione del Consiglio superiore |
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Articolo 10-bis Formazione delle tabelle degli uffici giudiziari |
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La ripartizione degli uffici giudiziari in sezioni, la designazione dei magistrati componenti gli uffici, comprese le corti di assise, e la individuazione delle sezioni alle quali sono devoluti gli affari civili, gli affari penali, le controversie in materia di lavoro e i giudizi in grado di appello, sono effettuate ogni biennio con decreto del Presidente della Repubblica, in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura, assunte sulle proposte formulate dai presidenti delle corti di appello sentiti i consigli giudiziari; decorso il biennio, l'efficacia del decreto è prorogata fino a che non sopravvenga un altro decreto. |
La ripartizione degli uffici giudiziari in sezioni, la designazione dei magistrati componenti gli uffici, comprese le corti di assise, e la individuazione delle sezioni alle quali sono devoluti gli affari civili, gli affari penali, le controversie in materia di lavoro e i giudizi in grado di appello, sono effettuate ogni quadriennio con decreto del Presidente della Repubblica, in conformità delle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura, assunte sulle proposte formulate dai presidenti delle corti di appello sentiti i consigli giudiziari; decorso il quadriennio l'efficacia del decreto è prorogata fino a che non sopravvenga un altro decreto. |
A ciascuna sezione debbono essere destinati i magistrati nel numero richiesto dalle esigenze del servizio, tenuto conto del numero dei processi pendenti e della urgenza della definizione delle controversie. |
Identico |
Le deliberazioni di cui ai commi precedenti sono adottate dal Consiglio superiore valutate le eventuali osservazioni formulate dal Ministro di grazia e giustizia ai sensi dell'articolo 11 e possono essere variate nel corso del biennio per sopravvenute esigenze degli uffici giudiziari. |
Le deliberazioni di cui ai commi precedenti sono adottate dal Consiglio superiore valutate le eventuali osservazioni formulate dal Ministro di grazia e giustizia ai sensi dell'articolo 11 e possono essere variate nel corso del quadriennio per sopravvenute esigenze degli uffici giudiziari. |
Per la costituzione o la soppressione delle sezioni delle corti di assise e delle corti di assise di appello continuano ad osservarsi le disposizioni di cui all'articolo 2-bis della legge 10 aprile 1951, n. 287, aggiunto dall'articolo 1 della legge 21 febbraio 1984, n. 14 |
Identico |
L’articolo 29 interviene sull’articolo 20 della legge n. 195 del 1958, modificando le attribuzioni speciali del Consiglio superiore, al fine di demandare al Consiglio stesso l’adozione (non più facoltativa) di un regolamento generale (in quanto avente anche rilevanza esterna per determinati profili), che disciplini la propria organizzazione e il proprio funzionamento.
Quadro normativo. L’articolo 20, comma 1, n. 7, della legge n. 195 del 1958 prevede che Il Consiglio superiore possa disciplinare con regolamento interno il funzionamento del Consiglio.
In attuazione di tale disposizione, in data 26 settembre 2016, il CSM ha approvato la riforma del proprio Regolamento interno, il cui decreto di adozione è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale – serie generale - del 7 ottobre 2016. Il regolamento è entrato in vigore dal 22 ottobre 2016. L’ultima modifica è datata 22 luglio 2021 (G.U. 2 agosto 2021).
Come già evidenziato, il regolamento interno è l’atto para-normativo di carattere generale con il quale il Consiglio superiore esercita la propria autonomia, autodisciplinando la propria attività. In particolare, attraverso il regolamento, il Consiglio regola i propri rapporti con gli altri poteri dello Stato, i procedimenti amministrativi nelle materie previste dall'art. 105 Cost., le modalità per stabilire indirizzi di politica giudiziaria e perseguire il proprio scopo istituzionale: garantire l'autonomia e l'indipendenza dell'ordine giudiziario e assicurare l'efficienza del sistema giustizia.
Parere del CSM. Con riferimento all’eleggibilità dei componenti laici, il Consiglio rileva come l’attenzione per la questione della rappresentanza di genere rappresenti una novità estremamente positiva.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
Legge n. 195 del 1958 Capo II Attribuzioni e funzionamento del Consiglio superiore |
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Articolo 20 Attribuzioni speciali del Consiglio superiore |
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Il Consiglio superiore: |
Identico: |
1) verifica i titoli di ammissione dei componenti eletti dai magistrati e decide sui reclami attinenti alle elezioni; |
1) identico; |
2) verifica i requisiti di eleggibilità dei componenti designati dal Parlamento e, se ne ravvisa la mancanza, né dà comunicazione ai Presidenti delle due Camere; |
2) identico; |
3) elegge il Vice Presidente; |
3) identico; |
4) decide sui ricorsi proposti dagli interessati o dal Ministro; |
4) identico; |
5) esprime parere nei casi previsti dall'articolo 10, penultimo comma; |
5) identico; |
6) delibera sulla nomina dei magistrati addetti alla segreteria; |
6) identico; |
7) può disciplinare con regolamento interno il funzionamento del Consiglio. |
7) adotta il Regolamento generale per la disciplina dell’organizzazione e del funzionamento del Consiglio. |
L’articolo 30 interviene in materia di eleggibilità dei membri laici, di cui all’articolo 22 della legge n. 195 del 1958.
In particolare, nel modificare il quarto comma dell’articolo 22, si afferma che il Parlamento, nella scelta dei componenti da eleggere, dovrà tenere conto delle seguenti norme costituzionali:
· degli articoli 3 e 51, per quanto riguarda il rispetto della parità di genere;
· dell’art. 104, per quanto riguarda i titoli che devono possedere professori universitari e avvocati.
Quadro normativo. Come è noto, ai sensi dell'articolo 51, primo comma, della Costituzione, tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A seguito della modifica di cui alla legge costituzionale n. 1 del 2003, è stato aggiunto un periodo secondo cui la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. Nell'ordinamento italiano si rinvengono diverse norme, sia nazionali che regionali, finalizzate alla promozione della partecipazione delle donne alla politica e dell'accesso alle cariche elettive, emanate in attuazione dei già richiamati articoli 51, primo comma, e 117, settimo comma, Cost.
L’articolo 104, terzo comma, della Costituzione prevede che un terzo dei componenti del CSM sia eletto dal Parlamento in seduta comune tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra gli avvocati dopo quindici anni di esercizio professionale. L’art. 22 della legge n. 195 del 1958 specifica che l’elezione dei componenti da parte del Parlamento in seduta comune avviene a scrutinio segreto e con la maggioranza dei tre quinti dell'assemblea e che per gli scrutini successivi al secondo è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti.
Con riguardo all’elettorato passivo il quarto comma del citato articolo 22 si limita a riprendere il contenuto del dettato costituzionale ribadendo che i componenti da eleggere dal Parlamento sono scelti tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra gli avvocati dopo quindici anni di esercizio professionale.
In particolare, la disposizione in commento prevede che i componenti del CSM eletti dal Parlamento siano scelti, nel rispetto della parità di genere garantita dagli articoli 3 e 51 della Costituzione, secondo principi di trasparenza nelle procedure di candidatura e di selezione, tra professori ordinari di università in materie giuridiche e tra avvocati dopo quindici anni di esercizio effettivo, nel rispetto dell’articolo 104, terzo comma, della Costituzione.
Parere del CSM. Con riferimento all’eleggibilità dei componenti laici del Consiglio, è stata apprezzata favorevolmente la previsione di una parità di genere effettiva, mentre perplessità sono state espresse circa l’assenza di condizioni di ineleggibilità finalizzate ad evitare condizionamenti politici o partitici nel funzionamento del Consiglio
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
Legge n. 195 del 1958 Capo III Costituzione, cessazione e scioglimento del Consiglio superiore |
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Articolo 22 Componenti eletti dal Parlamento. |
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La elezione dei componenti del Consiglio superiore da parte del Parlamento in seduta comune delle due Camere avviene a scrutinio segreto e con la maggioranza dei tre quinti dell'assemblea. |
Identico |
Per ogni scrutinio saranno gradualmente proclamati eletti coloro che avranno riportato la maggioranza preveduta nel comma precedente. |
Identico |
Per gli scrutini successivi al secondo è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti. |
Identico |
I componenti da eleggere dal Parlamento sono scelti tra i professori ordinari di università in materie giuridiche e tra gli avvocati dopo quindici anni di esercizio professionale. |
I componenti da eleggere dal Parlamento sono scelti, nel rispetto della parità di genere garantita dagli articoli 3 e 51 della Costituzione, secondo principi di trasparenza nelle procedure di candidatura e di selezione, tra professori ordinari di università in materie giuridiche e tra avvocati dopo quindici anni di esercizio effettivo, nel rispetto dell’articolo 104 della Costituzione. |
L’articolo 31 modifica significativamente il sistema elettorale per la nomina dei 20 componenti del Consiglio eletti dai magistrati, attualmente disciplinato dall’articolo 23 della legge n. 195.
Quadro normativo. Il sistema elettorale del CSM è stato oggetto di numerosi interventi di modifica (v. infra, approfondimento in coda alla scheda). Il vigente meccanismo elettorale, è fondato su un sistema maggioritario senza voto di lista e articolato su tre collegi unici nazionali (uno per ciascuna categoria funzionale) nei quali vengono presentate candidature individuali.
I componenti magistrati sono infatti eletti nell’ambito di tre categorie, che corrispondono a tre collegi elettorali nazionali: uno per eleggere i candidati che svolgono funzioni di legittimità, uno per quelli con funzioni giudicanti di merito ed uno per quelli con funzioni requirenti di merito. Ogni elettore può esprimere una sola preferenza nominativa per ciascuna delle tre categorie. Gli eletti sono individuati con sistema maggioritario plurinominale.
Nel primo collegio vengono eletti 2 tra i magistrati che esercitano funzioni di legittimità (cioè coloro che operano presso la corte di cassazione e nella sua procura generale). Nel secondo collegio vengono scelti invece 4 tra i magistrati che svolgono la funzione di pubblico ministero presso gli uffici di merito, presso la direzione nazionale antimafia oppure che sono destinati alla procura generale presso la Corte di cassazione; 10 seggi infine vengono assegnati nel terzo collegio tra i magistrati che esercitano le funzioni giudicanti presso gli uffici di merito, ovvero che sono destinati alla corte di cassazione.
In particolare, per l’elezione dei 20 (non più 16) membri togati, la riforma, sostituisce integralmente l’articolo 23, delineando un sistema elettorale maggioritario binominale, con correttivo proporzionale basato sul possibile collegamento tra candidati.
La riforma individua (comma 1) una nuova articolazione dei collegi elettorali, così delineata:
• un collegio unico nazionale per 2 componenti che esercitano funzioni di legittimità in Cassazione e relativa Procura Generale, maggioritario, in cui vengono eletti i due candidati più votati, a qualunque genere appartengano;
• 2 collegi territoriali binominali maggioritari per 5 magistrati che esercitano funzioni di pubblico ministero presso uffici di merito e presso la Direzione Nazionale Antimafia, in ciascuno dei quali vengono eletti i 2 candidati più votati nonché il “miglior terzo” per percentuale di voti presi sul totale degli aventi diritto al voto (v. infra);
• 4 collegi territoriali binominali maggioritari per l’elezione di 8 magistrati con funzioni di merito o destinati all’ufficio del massimario della Cassazione, in ciascuno dei quali vengono eletti i due candidati più votati;
• un collegio unico nazionale, virtuale, in cui vengono eletti 5 magistrati con funzioni di merito o destinati all’ufficio del massimario della Cassazione, con ripartizione proporzionale dei seggi (v. infra).
I collegi territoriali sono, rispettivamente, formati in modo tale da essere composti, tendenzialmente, dal medesimo numero di elettori.
A tal fine la riforma specifica che:
§ i magistrati fuori ruolo sono conteggiati nel distretto di corte di appello in cui esercitavano le funzioni prima del collocamento fuori ruolo.
§ i magistrati che esercitano le funzioni presso uffici con competenza nazionale sono conteggiati nel distretto di Corte di appello di Roma.
Con riguardo alla composizione dei collegi territoriali si provvede - con decreto del Ministro della giustizia emanato sentito il CSM, almeno quattro mesi prima del giorno fissato per le elezioni - mediante estrazione a sorte tra tutti i distretti di corte di appello, in modo tale che i distretti di corte di appello siano suddivisi in quattro collegi per i magistrati giudicanti e in due collegi per i magistrati requirenti.
L’individuazione delle modalità delle estrazioni a sorte è rimessa ad un decreto del Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura.
Si ricorda che una modalità analoga di definizione dei collegi è stata in vigore dal 1990 al 2002, in base al sistema elettorale del CSM definito dalla legge 12 aprile 1990, n. 74 (v. infra).
Focus. Gli interventi di riforma del sistema elettorale del CSM
La legge istitutiva del Csm - legge n. 195 del 1958 – prevedeva all'articolo 1 che il Consiglio fosse formato (oltre che dal Presidente della Repubblica, dal primo presidente e dal procuratore generale della Corte di cassazione) da ulteriori 21 membri elettivi, di cui 14 nominati dai magistrati ordinari con voto personale e segreto e 7 dal Parlamento. In particolare, i membri elettivi togati dovevano essere 6 magistrati di Corte di cassazione (dei quali due con ufficio direttivo), 4 magistrati di Corte di appello e 4 fra i magistrati di Tribunale (con almeno quattro anni di anzianità). In questo primo periodo, il sistema elettorale - maggioritario secco, per cui venivano eletti i candidati che ottenevano il maggior numero di voti nella categoria d'appartenenza - è dunque fondato su un sistema basato sulla prevalenza della c.d. “alta magistratura”, con netta prevalenza della componente di legittimità.
La normativa originaria è stata novellata dalla legge 18 dicembre 1967, n. 1198, che ha innovato la procedura elettorale, senza modificare il numero complessivo dei membri togati del Csm né il rapporto tra le varie categorie di eletti; la legge ha però consentito a ciascun magistrato di votare per ciascuna delle diverse categorie. Il sistema era articolato in due distinte fasi: una, preliminare, nella quale ciascuna categoria di magistrati poteva individuare propri candidati da sottoporre al voto, ed una dedicata al voto vero e proprio in cui ciascun magistrato poteva votare per ciascuna categoria. Si trattava, come per la legge del 1958, di un sistema maggioritario secco, per cui venivano eletti i candidati che ottenevano il maggior numero di voti nella categoria d'appartenenza, fermo restando che, in ogni caso dovevano essere proclamati eletti almeno quattro magistrati di cassazione, tre di corte di appello e tre di tribunale compresi nella lista nazionale.
La legge 22 dicembre 1975, n. 695 ha innalzato il numero di componenti elettivi del CSM a 30, di cui 20 togati. Il sistema elettorale, così come modificato, veniva a prevedere una diversa ripartizione dei seggi tra le varie categorie, che spettavano in numero di 8 a magistrati di cassazione, di cui almeno 2 dichiarati idonei all'esercizio di funzioni direttive superiori, 4 a magistrati di appello e 8 a magistrati di tribunale. Tale legge ha comportato una radicale modifica del sistema elettorale, passando da maggioritario a proporzionale mediante la distribuzione proporzionale dei seggi ai candidati di liste concorrenti. Era costituito un collegio unico nazionale, nel quale tutti gli elettori potevano esprimere un voto di lista ed eventuali voti di preferenza nell'ambito della lista votata, purché le preferenze non fossero in numero eccedente alla metà dei consiglieri da eleggere per ciascuna categoria di candidati. Il sistema di ripartizione dei seggi era tipicamente proporzionale: il numero di voti ottenuti da ogni lista era diviso per un quoziente che aumentava con il diminuire dei voti cominciando da 1 (quindi la lista prima classificata divideva per 1, la seconda per 2, e così via), disponendo i quozienti così ottenuti in ordine decrescente e comunque escludendo le liste che non avessero raggiunto il 6% di preferenze, che dunque erano escluse dalla ripartizione dei seggi. Successivamente, i seggi erano attribuiti proporzionalmente alle prime venti liste, mentre all'interno di ogni lista i singoli candidati erano eletti in base all'ordine decrescente delle preferenze personali ricevute da ognuno.
La legge 12 aprile 1990, n. 74 ha nuovamente mutato il rapporto tra categorie di eleggibili: si doveva trattare di 2 magistrati di Cassazione con effettivo esercizio delle funzioni di legittimità e 18 magistrati con funzioni di merito In secondo luogo, ha apportato anche un intervento sul sistema elettorale vero e proprio che puntò alla creazione di una sorta di "doppio binario" per l'elezione dei magistrati di legittimità e di merito. Infatti, mentre per l'elezione dei magistrati di cassazione si manteneva un collegio unico nazionale, per l'elezione dei restanti componenti togati del Csm si prevedeva la creazione di quattro collegi territoriali. Potevano concorrere alle elezioni nel collegio nazionale liste presentate da almeno cinquanta elettori, mentre concorrevano nei collegi territoriali liste presentate da almeno trenta elettori di quel collegio. Tali collegi, peraltro, erano formati quattro mesi prima di ogni elezione attraverso estrazione a sorte dei vari distretti di corte d'appello, in modo che il primo ed il secondo collegio comprendessero ciascuno non meno del venti e non più del ventiquattro per cento dei magistrati effettivamente in servizio sul territorio nazionale, mentre il terzo ed il quarto ne comprendessero non meno del ventisei per cento. Allo stesso modo, i magistrati che esercitavano funzioni di legittimità potevano candidarsi esclusivamente nel collegio nazionale, mentre i magistrati con funzioni di merito potevano presentarsi solo nel collegio dove prestavano servizio. L'elettorato attivo, invece, prevedeva la consegna di due schede di voto, l'una contenente la lista dei candidati esercitanti funzioni di merito in servizio nel proprio collegio e l'altra per l'elezione dei due magistrati di legittimità. Il voto per questi ultimi era esercitato esprimendo una preferenza per un candidato, mentre per l'elezione dei restanti 18 membri si doveva optare per una delle liste concorrenti, eventualmente con l'indicazione ulteriore di un candidato all'interno della lista votata. La ripartizione dei seggi avveniva sempre con metodo proporzionale, anche se modificato rispetto al passato, e con sbarramento per le liste che non raggiungevano il 9% dei consensi.
La legge n. 44 del 2002 ha infine delineato il sistema elettorale vigente. In primo luogo tale legge ha diminuito il numero dei componenti elettivi del Csm da 30 a 24. In secondo luogo ha provveduto ad emendare il sistema elettorale della componente togata, stabilendo che ogni magistrato debba concorrere nell’elezione a titolo individuale, a differenza dell’assetto precedente in cui la candidatura del singolo componente togato era necessariamente collegata ad una lista. A ciò si aggiunga la costituzione di tre diversi collegi nazionali in cui eleggere 2 magistrati di legittimità, 10 giudicanti e 4 requirenti, in sostituzione dei quattro collegi territoriali previsti dall’assetto normativo precedente. Infine, la riforma del 2002 ha previsto che l’elezione dei magistrati di merito avvenga per categorie di appartenenza. Secondariamente, sono stati aboliti i quattro collegi territoriali di cui alla L. n. 74 del 1990 in favore di tre collegi unici nazionali, in cui vengono eletti, rispettivamente: due magistrati che esercitano le funzioni di legittimità presso la Corte suprema di cassazione e la Procura generale presso la stessa Corte; quattro magistrati che esercitano le funzioni di pubblico ministero presso gli uffici di merito e presso la Direzione nazionale antimafia, ovvero che sono destinati alla Procura generale presso la Corte suprema di Cassazione; e dieci magistrati che esercitano le funzioni di giudice presso gli uffici di merito, ovvero che sono destinati alla Corte suprema di Cassazione.
L’esercizio dell’elettorato attivo, invece, non è stato ristretto alle categorie d'appartenenza, sicché ogni magistrato riceve tre schede elettorali (una per ogni collegio unico nazionale) ed esprime in ciascuna la preferenza per un solo candidato. Viene in tal modo attuato un meccanismo che, nelle intenzioni del legislatore, mira a relegare in secondo piano l’appartenenza del candidato ad un’area correntizia, dal momento che la stessa non viene in alcun modo esplicitata sulla scheda elettorale e la candidatura non avviene più nell’ambito di liste ma a titolo strettamente individuale.
L’articolo 32 interviene in materia di elettorato attivo, per modificarne la disciplina in conseguenza dell’introduzione del nuovo sistema elettorale, e in materia di elettorato passivo dei membri togati del CSM, intervenendo sulla causa di ineleggibilità relativa all’anzianità di servizio, che viene collegata al mancato conseguimento della terza valutazione di professionalità e introducendo nuove cause di ineleggibilità, tra cui quella relativa ai magistrati che, alla data di inizio del mandato, non assicurino almeno quattro anni di servizio prima della data di collocamento a riposo.
In particolare, la riforma incide, in conseguenza dell’introduzione del nuovo sistema elettorale, sulla disciplina dell’elettorato attivo prevedendo (nuovo comma 1-bis dell’articolo 24, legge n. 195) che ciascun elettore possa esprimere:
· un voto per i candidati inseriti nel collegio territoriale riservato all’elezione dei magistrati requirenti di merito nel cui territorio è collocato il proprio ufficio giudiziario di appartenenza (si ricorda che i collegi per i requirenti sono 2);
· un voto per i candidati inseriti nel collegio territoriale riservato all’elezione dei magistrati giudicanti di merito nel cui territorio è collocato il proprio ufficio giudiziario di appartenenza (si ricorda che i collegi per i giudicanti di merito sono 4);
· un voto per i candidati del collegio unico nazionale di legittimità.
Hanno a disposizione 3 voti anche i magistrati che esercitano le funzioni di legittimità, che si esprimono, oltre che per i candidati del collegio unico nazionale di legittimità, anche per i candidati dei collegi territoriali (riservati ai requirenti ed ai giudicanti di merito) nei quali è inserito il distretto di Corte d’appello di Roma (l’art. 31 del d.d.l, infatti, stabilisce che i magistrati che esercitano le funzioni presso uffici con competenza nazionale sono conteggiati nel distretto di Corte d’appello di Roma).
Con riguardo all’elettorato passivo la riforma:
· modifica la causa di ineleggibilità relativa all’anzianità di servizio (consistente attualmente nel non aver compiuto almeno tre anni di anzianità) riconducendola al mancato conseguimento della terza valutazione di professionalità (almeno dodici anni di servizio);
· specifica che il divieto di candidarsi per coloro che hanno prestato servizio presso l'Ufficio studi o presso la Segreteria del CSM opera per 5 anni dal collocamento in ruolo;
· introduce un’ulteriore ipotesi di ineleggibilità (lettera e-bis) per i magistrati che fanno parte del comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura o ne abbiano fatto parte nel quadriennio precedente alla data di convocazione delle elezioni per il rinnovo del CSM;
· introduce un’ulteriore ipotesi di ineleggibilità (lettera e-ter) per i magistrati che, alla data di inizio del mandato, non assicurino almeno quattro anni di servizio prima della data di collocamento a riposo.
La riforma specifica, inoltre (nuovo comma 2-bis dell’articolo 24), che i magistrati per i quali sussistono le condizioni di eleggibilità, si possono candidare esclusivamente nel collegio nel cui territorio è incluso il distretto di corte di appello al quale appartiene l’ufficio presso il quale esercitano le funzioni giudiziarie.
Infine per il collegio unico nazionale di legittimità, si possono candidare esclusivamente i magistrati che esercitano le funzioni di legittimità presso la Corte suprema di cassazione o la Procura generale presso la stessa Corte.
Normativa vigente |
A.C.2681-A |
Legge n. 195 del 1958 Capo III Costituzione, cessazione e scioglimento del Consiglio superiore |
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Articolo 24 Elettorato attivo e passivo |
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1. All'elezione dei magistrati componenti il Consiglio superiore della magistratura partecipano tutti i magistrati con la sola esclusione degli uditori giudiziari ai quali, al momento della convocazione delle elezioni, non siano state conferite le funzioni giudiziarie, e dei magistrati che, alla stessa data, siano sospesi dall'esercizio delle funzioni ai sensi degli articoli 30 e 31 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, e successive modificazioni |
1. All'elezione dei magistrati componenti il Consiglio superiore della magistratura partecipano tutti i magistrati ai quali siano state conferite le funzioni giudiziarie, ad esclusione dei magistrati che, alla stessa data, siano sospesi dall'esercizio delle funzioni ai sensi degli articoli 30 e 31 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, e successive modificazioni |
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1-bis. Ciascun elettore può esprimere il proprio voto per i candidati del collegio di cui all’articolo 23, comma 1, lettere b) e c) nel cui territorio è collocato il proprio ufficio giudiziario di appartenenza, oltre che per i candidati del collegio unico nazionale di cui all’articolo 23, comma 1, lettera a). I magistrati che esercitano le funzioni di legittimità presso la Corte suprema di cassazione e la Procura generale presso la stessa Corte esprimono il loro voto, oltre che per i candidati del collegio unico nazionale di cui alla lettera a), per i candidati dei collegi di cui all’articolo 23, comma 1, lettere b) e c), ai quali sono abbinati ai sensi dell’articolo 23, comma 3, ultimo periodo |
2. Non sono eleggibili: |
2. Identico: |
a) i magistrati che al momento della convocazione delle elezioni non esercitino funzioni giudiziarie o siano sospesi dalle medesime ai sensi degli articoli 30 e 31 del citato regio decreto legislativo n. 511 del 1946, e successive modificazioni; |
a) identica; |
b) gli uditori giudiziari e i magistrati di tribunale che al momento della convocazione delle elezioni non abbiano compiuto almeno tre anni di anzianità nella qualifica; |
b) i magistrati che al tempo della convocazione delle elezioni non abbiano conseguito la terza valutazione di professionalità; |
c) i magistrati che al momento della convocazione delle elezioni abbiano subìto sanzione disciplinare più grave dell'ammonimento, salvo che si tratti della sanzione della censura e che dalla data del relativo provvedimento siano trascorsi almeno dieci anni senza che sia seguita alcun’altra sanzione disciplinare; |
c) identica; |
d) i magistrati che abbiano prestato servizio presso l'Ufficio studi o presso la Segreteria del Consiglio superiore della magistratura per la cui rinnovazione vengono convocate le elezioni; |
d) i magistrati che abbiano prestato servizio presso l'Ufficio studi o presso la Segreteria del Consiglio superiore della magistratura per la cui rinnovazione vengono convocate le elezioni e per cinque anni dal ricollocamento in ruolo; |
e) i magistrati che abbiano fatto parte del Consiglio superiore della magistratura per la cui rinnovazione vengono convocate le elezioni |
e) i magistrati che abbiano fatto parte del Consiglio superiore della magistratura per la cui rinnovazione vengono convocate le elezioni |
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e-bis) i magistrati che fanno parte del comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura o che ne hanno fatto parte nel quadriennio precedente alla data di convocazione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio superiore della magistratura. |
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e-ter) i magistrati che, alla data di inizio del mandato, non assicurino almeno quattro anni di servizio prima della data di collocamento a riposo. |
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2-bis. I magistrati eleggibili ai sensi del comma 2 si possono candidare esclusivamente nel collegio nel cui territorio è incluso l’ufficio presso il quale esercitano le funzioni giudiziarie oppure nel collegio nel cui territorio è compreso il distretto di corte di appello al quale appartiene l’ufficio presso il quale esercitano le funzioni giudiziarie. Per il collegio unico nazionale di cui all’articolo 23, comma 2, lettera a), si possono candidare esclusivamente i magistrati che esercitano le funzioni di legittimità presso la Corte suprema di cassazione o la Procura generale presso la stessa Corte. |
L’articolo 33 interviene in materia convocazione delle elezioni, costituzione degli uffici elettorali e verifica delle candidature, apportando significative modifiche alla disciplina contenuta nell’articolo 25 della legge n. 195 del 1958.
In particolare, per la presentazione delle candidature non è richiesta alcuna sottoscrizione ed essa può avvenire anche con modalità telematiche.
Inoltre, le candidature devono essere espresse in un numero non inferiore a 6 per ciascun collegio, nonché rispecchiare la rappresentanza paritaria tra generi. Viene quindi introdotto un meccanismo di integrazione delle candidature quando le stesse sono in numero inferiore a sei oppure non è rispettato il rapporto tra i generi, che consiste nell’estrazione a sorte delle candidature mancanti tra tutti i magistrati che sono eleggibili e che non abbiano previamente manifestato la loro indisponibilità alla candidature.
Nei collegi territoriali per i magistrati giudicanti di merito è inoltre previsto che le candidature possano essere individuali ovvero collegate con quelle di altri: per l’ipotesi di candidature collegate si specifica che ciascun candidato non può appartenere a più di un gruppo e che il collegamento opera soltanto ove intercorra tra tutti i candidati del medesimo gruppo (reciprocità) oppure se non è garantita la rappresentanza di genere.
La scelta concernente la dichiarazione di collegamento non rileva ai fini dell’assegnazione degli 8 seggi dei collegi territoriali maggioritari, ma rileva ai fini dell’accesso al riparto proporzionale, su base nazionale, dei 5 seggi assegnati nel collegio unico nazionale.
Quadro normativo. Le fasi procedurali del meccanismo elettorale previste dalla disciplina vigente passano attraverso i seguenti momenti:
- convocazione delle elezioni entro 60 giorni dalla data di votazione;
- nomina nei 5 giorni successivi da parte del CSM dei sei membri (tre effettivi e tre supplenti) dell’ufficio elettorale centrale presso la corte di cassazione;
- presentazione a detto ufficio delle candidature entro 20 giorni dalla convocazione delle elezioni; i magistrati presentatori (minimo 25 e che non possono candidarsi) possono presentare una sola candidatura per ognuno dei tre collegi nazionali;
- accertamento da parte dell’ufficio elettorale, nei 5 giorni successivi alla scadenza del termine indicato, della verifica delle condizioni di eleggibilità del magistrato (funzioni svolte, incompatibilità, presentazioni plurime, sottoscrizione dei presentatori, ecc.) e successiva trasmissione delle candidature alla segreteria del CSM (possibile gravame in cassazione contro le esclusioni);
- pubblicazione immediata sul Notiziario del CSM dell’elenco dei candidati per ognuno dei tre collegi nazionali e trasmissione dell’elenco a tutti gli uffici giudiziari (affissione dell’elenco 20 giorni prima della votazione);
- costituzione entro gli stessi 20 giorni presso il CSM di una commissione centrale elettorale (5 magistrati effettivi e 2 supplenti) con funzioni di scrutinio delle schede e assegnazione dei seggi;
- costituzione, a cura dei Consigli giudiziari, di un seggio elettorale (5 magistrati effettivi e 3 supplenti) presso ogni tribunale distrettuale.
La riforma sostituisce l’articolo 25 della legge n. 195 del 1958 per adeguare la disciplina della convocazione delle elezioni, degli uffici elettorali e della verifica delle candidature al nuovo sistema elettorale.
In particolare:
§ il termine entro il quale convocare le elezioni è portato dagli attuali sessanta a novanta giorni antecedenti la data stabilita per le elezioni stesse (comma 1);
§ il numero dei componenti dell’ufficio elettorale centrale presso la Corte di cassazione è ampliato dagli attuali tre magistrati effettivi e tre supplenti in servizio presso la stessa Corte a sei effettivi e sei supplenti (comma 2);
§ per la presentazione delle candidature non è richiesta alcuna sottoscrizione ed essa può avvenire anche con modalità telematiche definite con decreto del Ministro della giustizia (comma 3);
Si ricorda che attualmente (art. 25, co. 3, L. 195/58), la presentazione delle candidature dei magistrati che aspirano a divenire membri togati del CSM richiede la sottoscrizione da parte di almeno 25 magistrati. Sul tema è prendente un referendum abrogativo che mira a eliminare tale obbligo.
§ con riguardo alla disciplina della fase di accertamento da parte dell'ufficio elettorale, si specifica che lo stesso verifica che le candidature rispettino i requisiti richiesti ed esclude quelle relative a magistrati ineleggibili di eleggibilità del magistrato e della successiva trasmissione delle candidature alla segreteria del CSM; contro il provvedimento di esclusione è ammesso il ricorso in Cassazione; il termine per il ricorso viene ridotto dai tre ai due giorni successivi alla comunicazione al soggetto interessato; anche il termine per la pronuncia della Cassazione è ridotto dagli attuali cinque ai tre giorni dal ricevimento del ricorso; la Corte deve dare immediata comunicazione dell’esito del ricorso all’ufficio elettorale (comma 4);
§ si prevede altresì il ricorso all’estrazione a sorte da parte dell’ufficio elettorale centrale, nel caso in cui le candidature ammesse siano in numero inferiore a 6 oppure non sia rispettato il rapporto tra i generi; l’estrazione è effettuata tra tutti i magistrati eleggibili nel singolo collegio che non abbiano manifestato preventivamente, con comunicazione diretta al CSM, la loro indisponibilità ad essere candidati.
E’ prevista la possibilità per i magistrati estratti, di comunicare la propria indisponibilità alla candidatura entro il termine di 48 ore dalla pubblicazione dell’esito dell’estrazione, solo in presenza di gravi motivi. Nel caso in cui il numero delle indisponibilità non consenta di raggiungere il numero minimo di candidature o di rispettare il rapporto percentuale tra i generi si procede senza ulteriore integrazione (comma 5). Si prevede inoltre che l’ufficio elettorale centrale trasmetta al CSM l’elenco definitivo dei candidati (comma 6);
§ nei collegi territoriali per i magistrati giudicanti di merito i candidati, non oltre il termine di 30 giorni prima del giorno fissato per le elezioni, possono dichiarare all’ufficio elettorale centrale il proprio collegamento con uno o più candidati dello stesso o di altri collegi. Ogni candidato non può appartenere a più di un gruppo di candidati collegati e il collegamento opera solo se è reciproco tra tutti i candidati di un gruppo e se è garantita la rappresentanza di genere (comma 7);
§ specifiche disposizioni concernono la pubblicità dell’elenco dei candidati, con l’indicazione dei collegamenti (comma 8); la nomina da parte del CSM di una commissione centrale elettorale composta da cinque magistrati effettivi e due supplenti in servizio presso la Corte di cassazione (comma 9); la costituzione da parte dei consigli giudiziari, presso ciascun tribunale del distretto, di un seggio elettorale composto di cinque magistrati che prestano servizio nel circondario e che non abbiano subito sanzioni disciplinari più gravi dell'ammonimento, nonché la nomina dei supplenti (comma 10);
§ si prevede infine per i soli magistrati candidati mediante estrazione a sorte, il diritto all’astensione dal lavoro giudiziario, per il periodo intercorrente tra l’estrazione e il giorno fissato per le elezioni; ai candidati estratti a sorte che si recano presso uffici giudiziari diversi da quello di appartenenza è altresì riconosciuto il trattamento economico di missione (comma 11).
L’articolo 34 interviene sulla disciplina delle operazioni di voto di cui all’articolo 26 della legge n. 195 del 1958, modificandola per adeguarla al nuovo sistema elettorale.
Riscrivendo l’articolo 26 della legge, il provvedimento individua anzitutto il seggio presso i quali votano i magistrati nel seggio del tribunale del luogo nel quale ha sede l'ufficio di appartenenza. In particolare:
- i magistrati dell'ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione e i magistrati della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo votano presso il seggio del tribunale di Roma;
- i magistrati della Corte di cassazione e della Procura generale presso la stessa Corte, nonché i magistrati del Tribunale superiore delle acque pubbliche votano presso l'ufficio centrale elettorale costituito presso la Corte di cassazione;
- i magistrati collocati fuori ruolo votano nel seggio previsto per i magistrati dell'ufficio di provenienza.
La riforma, inoltre:
§ specifica in ragione del nuovo sistema elettorale che ogni elettore riceve tre schede, una per ciascuno dei collegi (di legittimità, di merito requirente e di merito giudicante) ed esprime il proprio voto per un solo magistrato su ciascuna scheda elettorale;
§ con riguardo alle ipotesi di nullità, conferma la nullità del voto espresso per magistrati eleggibili in collegi diversi da quello nel quale si esprime il voto ed inserisce quella riferita al voto espresso in difformità a quanto previsto dalle nuove disposizioni.
L’articolo 35 interviene sulla disciplina dello scrutinio e dell’assegnazione dei seggi di cui all’articolo 27 della legge n. 195 del 1958. In ragione del nuovo sistema elettorale introdotto tale disciplina è pressoché integralmente sostituita.
Le novelle delineano, in combinato disposto con le modifiche all’articolo 29, il nuovo sistema elettorale del CSM prevedendo un meccanismo maggioritario a turno unico, caratterizzato dall’elezione immediata di due candidati per ogni collegio e dai seguenti correttivi:
• il recupero su base nazionale del miglior terzo per i magistrati requirenti;
• il recupero su base nazionale di cinque candidati attraverso il metodo proporzionale per i magistrati giudicanti di merito.
In particolare, l’articolo 27, così come sostituito dalla riforma in esame, dispone che spetti alla commissione centrale elettorale provvedere alle operazioni di scrutinio dei voti (comma 1).
Lo scrutinio avviene separatamente per ciascuno dei collegi e la Commissione deve determinare (comma 2):
§ il totale dei voti validi;
§ il totale dei voti per ciascun candidato;
§ il totale dei voti di ciascun candidato non collegato ad altri candidati;
§ il totale dei voti di ciascun gruppo di candidati collegati, detratti i voti conseguiti da quei candidati collegati che per il collegio territoriale per l’elezione dei magistrati giudicanti hanno ottenuto il maggior numero di voti validamente espressi e presentano i presupposti per essere dichiarati eletti (scorporo dei voti che hanno già consentito l’elezione dei magistrati collegati).
Successivamente, in base al comma 3, la Commissione procede:
§ alla determinazione del quoziente base per l'assegnazione dei 5 seggi relativi al collegio unico nazionale nel quale avviene il recupero proporzionale (di cui all’articolo 23, comma 2, lettera d), dividendo la cifra dei voti validi per il numero dei seggi da assegnare e, conseguentemente,
§ alla determinazione del numero dei seggi spettante a ciascun gruppo di candidati collegati o a ciascun singolo candidato non collegato ad altri candidati dividendo la cifra elettorale dei voti da essi conseguiti per il quoziente base. I seggi non assegnati in tal modo vengono attribuiti in ordine decrescente ai gruppi di candidati collegati o ai singoli candidati non collegati cui corrispondono i maggiori resti e, in caso di parità di resti, a quelli che abbiano avuto il maggior numero di voti; a parità anche di voti si procede per sorteggio.
Il comma 4 stabilisce che all’esito dello scrutinio, sono proclamati eletti:
§ nel collegio nazionale dedicato ai magistrati di legittimità, i 2 candidati che hanno riportato il maggior numero di voti;
§ in ciascuno dei due collegi territoriali dedicati ai magistrati requirenti, i 2 candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti e un quinto candidato che sia risultato il miglior perdente dei due collegi;
§ in ciascuno dei quattro collegi territoriali dedicati ai magistrati giudicanti, i 2 candidati che hanno riportato il maggior numero di voti;
§ nel collegio nazionale “virtuale” riservato ai magistrati giudicanti, l’assegnazione di 5 seggi avviene, come detto, su base proporzionale: una volta stabilito il numero di seggi spettante a un gruppo di candidati collegati, sono proclamati eletti coloro che hanno ottenuto, in percentuale, il maggior numero di voti.
Il comma 5 prevede, in generale, che in caso di parità di voti tra due candidati, debba prevalere il candidato del genere meno rappresentato a livello nazionale in relazione a tutti i componenti eletti dai magistrati.
Infine, il comma 6 consente a ciascun candidato di assistere sia alle operazioni di voto nel proprio collegio che alle successive operazioni di scrutinio presso la Commissione centrale.
Parere del CSM. Nel parere è stato rilevato che l’articolazione del CSM non deve, in linea di principio, rispondere ad una logica di governabilità, ma deve essere espressione delle diverse visioni dell’organizzazione giudiziaria e della giurisdizione proprie della magistratura; in quest’ottica è stato ritenuto che il sistema elettorale proposto non assicuri alcun significativo miglioramento rispetto all’attuale e per certi versi aggravi alcune distorsioni dello stesso. Da un lato, infatti, la legge elettorale proposta è del tutto inidonea a raggiungere gli obiettivi che essa si sarebbe prefissata, ossia limitare la capacità di determinare gli esiti elettorali da parte dei gruppi organizzati e consentire invece l’elezione anche di candidati non appoggiati dai gruppi stessi; dall’altro, rispetto ad un sistema prevalentemente maggioritario (in tal modo sono assegnati 15 seggi su 20), il correttivo proporzionale appare insufficiente.
Ancora è stato rimarcato come l’obiettivo perseguito di un ampliamento delle candidature per evitare la designazione dall’alto dei futuri componenti del Consiglio sia solo in parte realizzato, che le misure relative alla parità di genere appaiono migliorabili, perché limitate alla uguaglianza numerica di candidature, che presenta criticità l’individuazione discrezionale dei collegi elettorali a cura del Ministro, potendo comportare il rischio di una modifica strumentale della loro composizione al fine di orientare il risultato elettorale.
Nel parere si sottolinea come, con alcuni semplici correttivi, il sistema elettorale proposto potrebbe, invece, realizzare tutti gli obiettivi perseguiti, senza incorrere negli inconvenienti rappresentati.
In particolare per la categoria giudici si potrebbe:
a) mantenere la divisione in quattro collegi territoriali, attribuire tutti i 13 seggi riservati ai giudici con il sistema previsto dall’art.23 lettera d);
b) prevedere un numero massimo di collegamenti tra candidati all’interno dello stesso collegio;
c) prevedere che la metà (o un terzo) dei candidati collegati tra loro nell’ambito dello stesso collegio debbano essere di genere diverso.
L’articolo 36 interviene apportando alcune modifiche all’articolo 39 della legge n. 195, in materia di sostituzione dei componenti eletti dai magistrati in caso di cessazione degli stessi dalla carica, per qualsiasi ragione, prima della scadenza del Consiglio.
In particolare, la disciplina attuale viene adeguata al nuovo sistema elettorale maggioritario a turno unico delineato dall’art. 27 della legge n. 195, come modificato dall’art. 35 del ddl in esame (v. supra), prevedendosi che il componente eletto dai magistrati sia sostituito:
• dal magistrato non eletto che, nell’ambito del medesimo collegio lo segue per numero di voti;
• nel caso in cui cessi dalla carica un componente eletto nella quota proporzionale, dal magistrato non eletto che lo segue per numero di voti nel medesimo gruppo;
• nel caso in cui cessi dalla carica il miglior terzo eletto tra i magistrati requirenti, dall’ulteriore miglior terzo che lo seguiva.
Resta comunque fermo il principio della rappresentanza di genere di cui all’art. 27, comma 5, della legge n. 195, pertanto in caso di parità di voti prevale il candidato del genere che risulta meno rappresentato a livello nazionale. In caso di ulteriore parità prevale il candidato più anziano nel ruolo.
La riforma specifica inoltre che le stesse regole si applicano in caso di cessazione dalla carica del magistrato subentrato.
Analogamente a quanto previsto dalla disciplina vigente, esaurita la possibilità di subentro, entro un mese vengono indette elezioni suppletive, con le stesse modalità previste per le elezioni ordinarie, per l’assegnazione del seggio o dei seggi divenuti vacanti, con gli eventuali adeguamenti nel caso in cui risulti vacante un solo seggio.
Parere del CSM. Secondo il Consiglio le regole di sostituzione dei componenti eletti dai magistrati creano problemi applicativi, potendo verificarsi effetti anomali rispetto ai principi del sistema nel caso in cui i voti di un candidato non eletto abbiano contribuito all’elezione del magistrato collegato e vengano conteggiati nuovamente in occasione del subentro.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
Legge n. 195 del 1958 Capo IV Posizione giuridica dei componenti del Consiglio superiore |
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Articolo 39 Sostituzione dei componenti eletti dai magistrati |
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1. Il componente eletto dai magistrati che cessa dalla carica per qualsiasi ragione prima della scadenza del Consiglio superiore della magistratura è sostituito dal magistrato che lo segue per numero di preferenze nell'àmbito dello stesso collegio. In mancanza, entro un mese vengono indette elezioni suppletive, con le modalità previste dall'articolo 27, comma 3, per l'assegnazione del seggio o dei seggi divenuti vacanti. |
1. Il componente eletto dai magistrati che cessa dalla carica per qualsiasi ragione prima della scadenza del Consiglio superiore della magistratura è sostituito dal magistrato non eletto che, nell’ambito dello stesso collegio, lo segue per numero di voti, ovvero, nel caso in cui cessi dalla carica un componente eletto ai sensi dell’articolo 27, comma 4, secondo periodo, è sostituito dal magistrato non eletto che lo segue per numero di voti computati ai sensi dell'articolo 27, comma 4, terzo periodo, fermo restando quanto disposto dell’articolo 27, comma 5. Le stesse regole si applicano in caso di cessazione dalla carica del magistrato subentrato. Esaurita la possibilità di subentro ai sensi del primo periodo, per l'assegnazione del seggio o dei seggi rimasti vacanti, nel collegio da cui proviene il componente da sostituire sono indette elezioni suppletive, con le modalità previste dagli articoli da 23 a 27, salvi i necessari adeguamenti ove sia rimasto vacante un solo seggio. |
L’articolo 37 apporta alcune modifiche all’articolo 40, comma quarto, della legge n. 195, che stabilisce il diritto ad alcune indennità a favore dei membri del Consiglio superiore della magistratura eletti dal Parlamento.
Quadro normativo. I primi tre commi dell’art. 40, non modificati dall’articolo in esame, prevedono che:
- al Vice Presidente del CSM spetta un assegno mensile lordo pari al trattamento complessivo riconosciuto, per stipendio e indennità di rappresentanza, al Primo Presidente della Corte suprema di cassazione (primo comma);
- agli altri membri eletti dal Parlamento spetta un assegno mensile lordo pari al trattamento complessivo riconosciuto, per stipendio ed indennità di rappresentanza, al presidente di sezione della Corte di cassazione ed avvocato generale presso la stessa Corte, di presidente delle Corti d'appello e di procuratore generale presso le stesse Corti (secondo comma); qualora tali membri ricevano già stipendi o assegni a carico del bilancio dello Stato, è dovuto il trattamento economico più favorevole, con oneri suddivisi tra l'Amministrazione di appartenenza, che continuerà a versare lo stipendio/assegno di cui risultino già provvisti, e il Ministero della giustizia, a carico del quale verrà posta l'eventuale eccedenza del trattamento loro spettante quali componenti del Consiglio superiore (terzo comma).[13]
Il comma quarto dell’art. 40, sul quale interviene il disegno di legge, dispone che siano attribuite ai componenti del CSM eletti dal Parlamento due distinte indennità:
- un’indennità per ogni seduta del Consiglio, riconosciuta a tutti;
- un’indennità di missione per i giorni di viaggio e di permanenza a Roma, riconosciuta soltanto ai membri residenti fuori Roma.
Spetta al regolamento di amministrazione e contabilità del CSM determinare la misura dell'indennità per le sedute e il numero massimo giornaliero delle sedute che danno diritto a indennità.
In primo luogo, il disegno di legge specifica che anche l’indennità di missione, unitamente a qualsiasi altro emolumento, comunque denominato, debba essere stabilita con il regolamento di amministrazione e contabilità.
Quadro normativo. Attualmente, il Regolamento di amministrazione e contabilità, approvato con deliberazione del CSM del 27 giugno 1996, non fissa l’indennità di missione, prevedendo che la stessa sia «determinata annualmente con deliberazione del Consiglio in sede di approvazione del bilancio di previsione, su proposta del Comitato di presidenza, previo parere della Commissione bilancio» (articolo 26). Peraltro, analogamente dispone il Regolamento per l’indennità di seduta (articolo 25).
In secondo luogo, la riforma stabilisce l’applicazione del limite massimo retributivo omnicomprensivo di 240.000 euro annui, fissato dall'articolo 13 del decreto-legge 66/2014, al trattamento economico finale riconosciuto ai componenti del CSM, ottenuto cumulando al trattamento fondamentale annuo lordo le indennità e gli emolumenti percepiti. La disposizione dunque comprende nel tetto alle retribuzioni anche le indennità di seduta e di missione e qualunque altro emolumento comunque denominato.
L’art. 37 è volto all’adeguamento del trattamento economico omnicomprensivo dei membri del CSM al massimale previsto dalla legge per tutti gli incarichi presso pubbliche amministrazioni, enti pubblici economici e autorità indipendenti, che ha come parametro massimo di riferimento il trattamento economico del primo presidente della Corte di cassazione, stabilito, dal citato art. 13 del d.l. 66/2014, in 240.000 euro annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente[14].
Secondo quanto illustrato nella relazione tecnica allegata all’originario disegno di legge, l’introduzione del suddetto limite massimo è suscettibile di comportare risparmi di spesa, tali da assicurare non solo la copertura integrale dei trattamenti economici a favore dei nuovi membri che entreranno a far parte del Consiglio in virtù della modifica del numero dei componenti stabilita dall’art. 20 del disegno di legge, ma anche un ulteriore margine di risparmio.
La relazione tecnica all’art. 36, evidenzia che:
- il trattamento economico fondamentale annuo lordo medio per ciascun componente togato è pari a 141.363 euro;
- il trattamento economico fondamentale annuo lordo medio per ciascun componente laico è pari a 180.000 euro;
- che il valore medio dell’indennità annuale (seduta + missione) è di 156.111 euro.
Conseguentemente, dall’applicazione del tetto per la relazione si avrebbe un risparmio annuale complessivo pari a 1.688.467,73 euro, sufficiente a coprire le spese connesse all’aumento dei componenti del CSM.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
L. 24 marzo 1958, n. 195 Norme sulla Costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura Capo IV Posizione giuridica dei componenti del Consiglio superiore. |
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Articolo 40 Assegni e indennità ai componenti del Consiglio |
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Al Vice Presidente del Consiglio superiore è corrisposto un assegno mensile lordo pari al trattamento complessivo spettante, per stipendio e indennità di rappresentanza, al Primo Presidente della Corte suprema di cassazione. |
Identico. |
Agli altri componenti eletti dal Parlamento è corrisposto un assegno mensile lordo pari al trattamento complessivo spettante, per stipendio ed indennità di rappresentanza, ai magistrati indicati nell'art. 6, n. 3, della legge 24 maggio 1951, n. 392 . |
Identico. |
Qualora i componenti eletti dal Parlamento fruiscano di stipendio o di assegni a carico del bilancio dello Stato, spetta il trattamento più favorevole restando a carico dell'Amministrazione di appartenenza l'onere inerente al trattamento di cui risultino già provvisti, ed a carico del Ministero di grazia e giustizia quello relativo all'eventuale eccedenza del trattamento loro spettante quali componenti del Consiglio superiore. |
Identico. |
Ai componenti è attribuita una indennità per ogni seduta, e inoltre, a coloro che risiedono fuori Roma, l'indennità di missione per i giorni di viaggio e di permanenza a Roma. La misura dell'indennità per le sedute e il numero massimo giornaliero delle sedute che danno diritto a indennità, sono determinati dal Consiglio, secondo criteri stabiliti nel regolamento di amministrazione e contabilità. |
Ai componenti è attribuita un'indennità per ogni seduta e, inoltre, a coloro che risiedono fuori Roma, l'indennità di missione per i giorni di viaggio e di permanenza a Roma. La misura dell'indennità per le sedute e il numero massimo giornaliero delle sedute che danno diritto a indennità, nonché la misura dell'indennità di missione e qualunque altro emolumento comunque denominato sono determinati dal Consiglio superiore, secondo criteri stabiliti nel regolamento di amministrazione e contabilità e, in ogni caso, nel rispetto del limite massimo retributivo onnicomprensivo di cui all'articolo 13 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89. |
L’articolo 38 novella la disciplina del ricollocamento in ruolo dei magistrati componenti del CSM alla cessazione dell’incarico, ripristinando, in forma più aggravata, alcune restrizioni che erano state eliminate dalla legge di bilancio del 2018.
In particolare, il comma 1 modifica le disposizioni di attuazione della legge sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura (DPR n. 916 del 1958)[15], intervenendo sull’art. 30 relativo al collocamento fuori ruolo dei magistrati componenti del CSM.
Quadro normativo. Attualmente l’articolo 30 del DPR prevede che i magistrati componenti d’ufficio del Consiglio superiore, vale a dire il Primo presidente della Corte di Cassazione e il Procuratore generale presso la stessa Corte, continuino a esercitare le loro funzioni mentre i magistrati componenti elettivi sono, invece, collocati fuori del ruolo organico della magistratura.
Alla cessazione della carica il Consiglio superiore della magistratura dispone, eventualmente anche in soprannumero, il rientro in ruolo del magistrato nella sede di provenienza e nelle funzioni precedentemente esercitate. La normativa vigente, dunque, consente non solo di tornare a svolgere le funzioni giudiziarie precedenti ma, soprattutto, non preclude l’accesso ad altri successivi incarichi né la possibilità di un nuovo fuori ruolo.
Questa disciplina deriva dall’approvazione della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018) che, con l’art. 1, comma 469, ha abrogato le disposizioni che in precedenza prevedevano dovesse trascorrere un anno prima che il magistrato cessato dall’incarico di componente del Consiglio potesse essere nominato ad ufficio direttivo o semidirettivo diverso da quello che ricopriva prima della carica o prima che potesse essere nuovamente collocato fuori ruolo. Unica eccezione era il collocamento fuori ruolo, anche prima che fosse trascorso un anno dalla cessazione, per consentire lo svolgimento di funzioni elettive.
Il disegno di legge integra il secondo comma dell’art. 30 introducendo alcune limitazioni allo status giuridico e di servizio del magistrato membro cessato del Consiglio superiore.
In particolare, è prevista l’impossibilità per tali magistrati:
§ di essere nominati a funzioni direttive o semidirettive prima che siano trascorsi 4 anni dalla data di cessazione dall’incarico. La limitazione non opera se il magistrato, prima di divenire membro del CSM, era già titolare di un incarico direttivo o semidirettivo;
§ di essere nuovamente collocato fuori ruolo prima che siano trascorsi 2 anni dalla data di cessazione dell’incarico. La limitazione non opera quando il fuori ruolo è disposto a seguito dell’assunzione di funzioni elettive.
Il comma 2 precisa che le nuove restrizioni non si applicano ai membri togati che facciano parte del CSM prima dell’entrata in vigore della riforma.
Normativa vigente |
A.C. 2681-A |
D.P.R. 16 settembre 1958, n. 916 Disposizioni di attuazione e di coordinamento della L. 24 marzo 1958, n. 195, concernente la costituzione e il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura e disposizioni transitorie TITOLO I - Disposizioni di attuazione e di coordinamento Capo II - Posizione giuridica dei componenti del Consiglio. |
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Articolo 30 Collocamento fuori ruolo |
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I magistrati componenti del Consiglio superiore continuano a esercitare le loro funzioni negli uffici giudiziari ai quali appartengono. |
Identico. |
I magistrati componenti elettivi sono collocati fuori del ruolo organico della magistratura. Alla cessazione della carica il Consiglio superiore della magistratura dispone, eventualmente anche in soprannumero, il rientro in ruolo dei magistrati nella sede di provenienza e nelle funzioni precedentemente esercitate. |
I magistrati componenti elettivi sono collocati fuori del ruolo organico della magistratura. Alla cessazione della carica il Consiglio superiore della magistratura dispone, eventualmente anche in soprannumero, il rientro in ruolo dei magistrati nella sede di provenienza e nelle funzioni precedentemente esercitate. Prima che siano trascorsi quattro anni dal giorno in cui ha cessato di far parte del Consiglio superiore della magistratura, il magistrato non può proporre domanda per un ufficio direttivo o semidirettivo, fatto salvo il caso in cui l'incarico direttivo o semidirettivo sia stato ricoperto in precedenza. Prima che siano trascorsi due anni dal giorno in cui ha cessato di far parte del Consiglio superiore della magistratura, il magistrato non può essere collocato fuori del ruolo organico per lo svolgimento di funzioni diverse da quelle giudiziarie ordinarie. Le disposizioni del presente comma non si applicano quando il collocamento fuori del ruolo organico è disposto per consentire lo svolgimento di funzioni elettive. |
L’articolo 39 detta disposizioni per lo svolgimento delle prime elezioni del CSM che si terranno dopo l’entrata in vigore della riforma e specifica quale normativa transitoria si applica prima dell’emanazione del decreto di attuazione del nuovo sistema elettorale.
In particolare, il comma 1 dispone che, per le prime elezioni del CSM che si terranno dopo l’entrata in vigore del disegno di legge in esame, il decreto con il quale il Ministro della giustizia determina i collegi elettorali ai sensi dell’articolo 23, comma 3, della legge n. 195 (modificato dall’art. 31 del ddl in esame - v. supra) sia emanato entro un mese dall’entrata in vigore della legge.
Il comma 2, sempre con riguardo alle prime elezioni del CSM che si terranno dopo l’entrata in vigore del disegno di legge in esame, dispone la riduzione di alcuni termini relativi al procedimento elettorale, previsti nell’art. 25 della legge n. 195 (modificato dall’art. 33 del ddl in esame - v. supra). In particolare:
§ il termine per la convocazione delle elezioni, di cui all’art. 25, comma 1, è di 60 giorni antecedenti la data di inizio delle votazioni anziché 90;
§ il termine per la presentazione delle candidature, di cui all’art. 25, comma 3, è ridotto da 20 a 15 giorni;
§ il termine entro il quale i candidati possono effettuare la dichiarazione di collegamento, di cui all’art. 25, comma 7, è ridotto da 30 a 20 giorni;
§ il termine per la pubblicazione dell’elenco dei candidati, di cui all’art. 25, comma 8, può essere ridotto dai 20 giorni antecedenti ai quindici giorni antecedenti la votazione.
Infine, il comma 3 specifica che continuano ad applicarsi, in quanto compatibili, le disposizioni concernenti la costituzione e il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura (di cui al D.P.R. 16 settembre 1958, n. 916) e il regolamento recante norme di attuazione e di coordinamento del procedimento elettorale per l'elezione dei magistrati componenti del Consiglio superiore della magistratura (di cui al D.P.R. 16 aprile 2002, n. 67) fino all’adozione da parte del Governo, ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, delle disposizioni per l’attuazione e il coordinamento della nuova disciplina elettorale introdotta dal disegno di legge in esame.
In base alla disposizione richiamata, si tratta di un regolamento che assume la forma del decreto del Presidente della Repubblica, emanato previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sentito il parere del Consiglio di Stato, mediante il quale il Governo può dare esecuzione alle leggi e ai decreti legislativi; può procedere all'attuazione e all'integrazione delle leggi e dei decreti legislativi recanti norme di principio; può intervenire nelle materie in cui manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si tratti di materie comunque riservate alla legge; può intervenire sull'organizzazione e sul funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge.
Quadro normativo. In base all’art. 21 della legge n. 195 del 1958 – non modificato dal disegno di legge in commento - le elezioni per il Consiglio superiore hanno luogo entro 3 mesi dallo scadere del precedente Consiglio. Esse si svolgono nei giorni stabiliti dal Presidente del CSM e dal Presidente del Parlamento in seduta comune. La pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della convocazione dei rispettivi corpi elettorali avviene almeno 40 giorni prima delle elezioni.
L’attuale consiliatura (2018-2022) scadrà alla fine di settembre del 2022.
Il Capo V, recante la delega al Governo per il riassetto delle norme dell’ordinamento giudiziario militare, si compone del solo articolo 40, nel quale sono indicati i principi e i criteri direttivi cui il Governo deve conformarsi nell’esercizio della delega, nonché il procedimento per l’emanazione dei decreti delegati.
Quadro normativo. L’articolo 103, terzo comma, della Costituzione afferma che «I Tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle Forze armate».
La Costituzione, dunque, limita la giurisdizione militare sia dal punto di vista oggettivo (può giudicare solo dei reati militari) che soggettivo (può giudicare solo gli appartenenti alle forze armate). La definizione di reato militare e la nozione di appartenente alle Forze armate sono state peraltro ulteriormente circoscritte sia dal legislatore (legge n. 167 del 19561, per quanto riguarda il reato militare) che dalla Corte costituzionale (sent. n. 429 del 1992, per quanto riguarda le Forze armate).
Alla giustizia militare il decreto legislativo n. 66 del 2010 (Codice dell’ordinamento militare) dedica gli articoli da 52 a 86, contenuti nel Capo VI del Libro I, a sua volta suddiviso nelle Sezioni dedicate all’“Ordinamento giudiziario militare”, al “Consiglio della Magistratura Militare”, alla “Disciplina del concorso in magistratura militare” e, l’ultimo, all’ “Ordinamento penitenziario militare”.
A seguito del riassetto normativo avvenuto con l’emanazione del citato Codice dell’ordinamento militare sono pertanto confluite nel decreto legislativo n. 66 del 2010 le disposizioni originariamente contenute nella legge n.180 del 1981, recante modifiche all'ordinamento giudiziario militare di pace, nella legge n. 561 del 1988 relativa all’Istituzione del Consiglio della Magistratura Militare, nonché le disposizioni della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) per effetto delle quali:
• sono stati ridotti da 9 a 3 i tribunali militari e le procure militari: il tribunale militare e la procura militare di Verona; il tribunale militare e la procura militare di Roma; il tribunale militare e la procura militare di Napoli (soppressi i tribunali militari e le procure militari della Repubblica di Torino, La Spezia, Padova, Cagliari, Bari e Palermo);
• sono state soppresse le sezioni distaccate di Verona e Napoli della corte militare d'appello e i relativi uffici della procura generale militare della Repubblica;
• il ruolo organico dei magistrati militari è stato fissato in 58 unità.
Ai sensi dell’articolo 52 del Codice dell’ordinamento militare «I magistrati militari sono distinti secondo le funzioni esercitate e sono equiparati ai corrispondenti magistrati ordinari».
Ai sensi del successivo articolo 59 il ruolo organico dei magistrati militari, come in precedenza ricordato, è fissato in 58 unità.
I magistrati militari in ruolo alla data del 1° gennaio 2018 (DM 9 maggio 2018) erano 51.
Le funzioni giudicanti sono: di primo grado presso il tribunale Militare e l’Ufficio militare di sorveglianza, di secondo grado presso la Corte militare di Appello con unica sede in Roma, semidirettive di primo grado (presidente di sezione presso il Tribunale militare), semidirettive di secondo grado (presidente di sezione della Corte militare di appello), direttive di primo grado ( presidente del Tribunale militare, direttive elevate di primo grado (presidente del Tribunale militare di sorveglianza e poi direttive di secondo grado ( presidente della Corte militare di Appello).
Le funzioni requirenti sono: di primo grado (sostituto procuratore militare), di secondo grado (sostituto procuratore generale presso la Corte militare di Appello), di legittimità ( sostituto procuratore generale militare presso la Corte di cassazione), semidirettive di secondo grado (avvocato generale militare presso la Corte militare di appello), direttive di primo grado (procuratore militare della repubblica presso il Tribunale militare, direttive di secondo grado (procuratore generale militare presso la Corte militare di appello, direttive superiori requirenti di legittimità (procuratore generale militare presso la Corte di cassazione.
Il Tribunale militare giudica con l’intervento del presidente del medesimo o del presidente di sezione, di un magistrato militare con funzioni di giudice e di un militare dell’Esercito italiano, della Marina militare, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, di grado pari a quello dell'imputato e comunque non inferiore al grado di ufficiale, estratto a sorte, con funzioni di giudice.
Nessun ufficiale può esimersi dall'assumere ed esercitare le funzioni di giudice. Non possono comunque essere destinati a tali funzioni: gli ufficiali che svolgono incarichi di Ministro o Sottosegretario di Stato; il Capo di stato maggiore della difesa; il Segretario generale della difesa; i Capi di stato maggiore delle Forze armate e i Comandanti generali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza; il Direttore generale per il personale militare.
Come precedentemente rilevato i Tribunali militari e le Procure militari sono tre e hanno sede in Verona, Roma e Napoli. Il Tribunale militare e la Procura militare di Verona hanno competenza in ordine ai reati militari commessi nelle regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino Alto-Adige, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Emilia-Romagna. Il Tribunale militare e la Procura militare di Roma hanno competenza in ordine ai reati militari commessi nelle regioni Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Sardegna. Il Tribunale militare e la Procura militare di Napoli hanno competenza in ordine ai reati militari commessi nelle regioni Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia.
Per quanto riguarda Consiglio della Magistratura Militare cfr. infra.
Nello specifico il comma 1 attribuisce la delega al Governo per l’adozione di uno o più decreti legislativi volti ad adeguare, sia sul piano formale, sia sul piano sostanziale, la disciplina dell’ordinamento giudiziario militare (articoli da 52 a 75 del d.lgs. n. 66 del 2010) con la disciplina dell’ordinamento giudiziario, come riformata dai decreti legislativi che saranno adottati ai sensi degli articoli 1, 2 e 3 del disegno di legge in esame, nonché con le modifiche introdotte dagli articoli 4 e da 7 a 37 (cfr. supra).
Si rileva che la disciplina del collocamento in posizione di fuori ruolo, per la quale l’art. 5 prevede una delega al Governo circoscritta allo status dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili, non è richiamata dal comma 1 dell’art. 40. Conseguentemente, il Governo non è delegato a disciplinare il fuori ruolo dei magistrati militari.
I decreti dovranno essere adottati, su proposta del Ministro della difesa, di concerto con i Ministri della giustizia e dell’economia e delle finanze, entro 2 anni dalla data di scadenza del termine previsto per l’esercizio della delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario ordinario di cui all’articolo 1.
Il comma 2, nelle lettere da a) ad f), elenca i principi e criteri direttivi cui il Governo dovrà attenersi nell’esercizio della delega.
Nello specifico:
§ la lettera a) stabilisce l’adeguamento della disciplina concernente i magistrati militari a quella dei magistrati ordinari di grado corrispondente, nei limiti di compatibilità tra i due ordinamenti di riferimento, in particolare in materia di:
- accesso alla magistratura;
- stato giuridico, compreso quello del procuratore generale militare presso la Corte di cassazione;
- conferimento di funzioni e requisiti per la nomina;
- progressione nella valutazione di professionalità.
§ la lettera b), pur confermando la scelta di Verona, Roma e Napoli quali sedi dei tribunali e delle procure militari, come stabilito dall’art. 55 del d.lgs. 66/2010, prevede un adeguamento delle rispettive circoscrizioni territoriali;
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 55 del d.lgs. 66/2010, la competenza dei tribunali e delle procure militari è riconosciuta su base regionale. In particolare, il tribunale di Verona è competente per i reati militari commessi nelle regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino Alto-Adige, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Emilia-Romagna; il tribunale di Roma è competente per i reati militari commessi nelle regioni Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Sardegna; il tribunale di Napoli è competente per i reati militari commessi nelle regioni Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia.
Secondo quanto riportato dalla relazione illustrativa, il riordino delle circoscrizioni si rende necessario in quanto, “diversamente - in base al sistema introdotto dalla presente riforma – si porrebbero seri problemi di esercizio del diritto costituzionalmente garantito di elettorato passivo, risultando pressoché impossibile ricollocare in ruolo un magistrato militare non eletto”.
· la lettera c) dispone una riorganizzazione delle circoscrizioni dei tribunali militari basata sui carichi pendenti e maggiormente aderente alla dislocazione degli enti e dei reparti militari sul territorio nazionale;
Al riguardo, si osserva che l’ultima Relazione presentata al Parlamento sullo stato della disciplina militare riferisce che nel “nel corso del 2018 sono state pronunciate 227 sentenze di condanna definitive da parte degli Organi della Giustizia Militare (a fronte delle 194 nel 2017) nei confronti di personale appartenente alle F.A. Per un approfondimento si veda il seguente Doc. XXXVI n. 3
· la lettera d) prevede che in ciascuna procura militare dovrà essere introdotto un posto di procuratore militare aggiunto (con parallela soppressione di un posto di sostituto procuratore militare);
· la lettera e) stabilisce l’applicazione delle disposizioni che regolano il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura al Consiglio della magistratura militare, ove compatibili, e delega il Governo ad aumentare a 4 il numero dei componenti eletti (attualmente sono 2), al fine di garantire la maggioranza di tale componente elettiva;
Quadro normativo. Al riguardo si ricorda che l’organo di autogoverno della magistratura militare è il Consiglio della Magistratura Militare, competente a deliberare su ogni provvedimento di stato riguardante i magistrati militari e su ogni altra materia ad esso devoluta dalla legge. In particolare, delibera sulle assunzioni della magistratura militare, sull'assegnazione di sedi e di funzioni, sui trasferimenti, sulle promozioni, sulle sanzioni disciplinari, sul conferimento ai magistrati militari di incarichi extragiudiziari; esprime pareri e può far proposte al Ministro della Difesa sulle modificazioni delle circoscrizioni giudiziarie militari e su tutte le materie riguardanti l'organizzazione o il funzionamento dei servizi relativi alla Giustizia militare; fornisce inoltre pareri su disegni di legge concernenti i problemi del settore giudiziario. Sulle materie di competenza del Consiglio, il Ministro della Difesa può avanzare proposte, proporre osservazioni e può intervenire alle adunanze del Consiglio.
In base all’art. 60 del Codice dell'ordinamento militare, il Consiglio della magistratura militare ha sede in Roma ed è composto da:
a) il primo presidente della Corte di Cassazione, che lo presiede;
b) il procuratore generale militare presso la Corte di Cassazione;
c) due componenti eletti dai magistrati militari;
d) un componente estraneo alla magistratura militare, scelto d'intesa tra i Presidenti delle due Camere, fra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno quindici anni di esercizio professionale, che assume le funzioni di vice presidente del Consiglio.
§ la lettera f) prevede il mantenimento, per quanto compatibile, dell’equiparazione tra magistrati militari e magistrati ordinari.
Il comma 3 prevede che sugli schemi di decreti legislativi sia acquisito il parere delle commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, entro il termine di sessanta giorni dalla data di ricezione. Decorso tale termine i decreti legislativi potranno essere adottati anche in assenza dei pareri parlamentari.
Ai fini dell’adozione dei decreti legislativi in esame dovrà essere, inoltre, sentito il CMM, chiamato ad esprimersi nel termine di trenta giorni dalla data di ricezione degli schemi.
Ai sensi del comma 4, il medesimo procedimento di cui al precedente comma 3 trova applicazione in relazione all’adozione di decreti legislativi recanti disposizioni integrative o correttive dei decreti legislativi adottati ai sensi del comma 1. Tali decreti potranno essere adottati entro 2 anni dalla data di scadenza del termine per l’esercizio della delega di cui al comma 1 e devono rispettare gli stessi principi e criteri direttivi, indicati al comma 2.
Il comma 5 prevede, infine, che i decreti legislativi di cui al comma 1, assicurino, altresì, il coordinamento della nuova normativa con le disposizioni vigenti, eventualmente modificandone la formulazione o la collocazione ed operando, ove necessario, l’abrogazione di norme. Si contempla, inoltre, la possibilità di fare esplicito rinvio ai decreti legislativi emanati in base alle deleghe di cui agli articoli 1, 2 e 3, alle norme dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 12 del 1941, a quelle contenute nei decreti legislativi nn. 106, 109 e 160 del 2006, adottati in attuazione della legge 150 del 2005.
Il Capo VI contiene, rispettivamente all’articolo 41 e all’articolo 42, le disposizioni finali e finanziarie. L’articolo 43 dispone circa l’entrata in vigore della riforma.
L’articolo 41, comma 1, dispone che, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, il Consiglio superiore della magistratura debba provvedere all’adeguamento:
§ del proprio regolamento interno (di cui all’art. 20, n. 7, della legge 195/1958), adottato con deliberazione del 26 settembre 2016 e da ultimo aggiornato l’8 luglio 2020;
§ del regolamento di amministrazione e contabilità (di cui all’art. 9 della legge 195/1958), approvato con deliberazione del 27 giugno 1996 e aggiornato nel 2013,
con le nuove disposizioni introdotte dai Capi II (Modifiche alle disposizioni dell’ordinamento giudiziario), III (Disposizioni in materia di eleggibilità e ricollocamento dei magistrati in occasione di elezioni politiche e amministrative nonché di assunzione di incarichi di governo nazionale, regionale o locale) e IV (Disposizioni concernenti la costituzione e il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura) del disegno di legge di riforma.
Per quanto riguarda il regolamento di amministrazione e contabilità, il comma 2 stabilisce che, anche laddove il CSM non procedesse alla modifica nei termini previsti, decorsi 180 giorni dall’entrata in vigore della legge dovrà comunque essere rispettato il tetto dei 240.000 euro annui fissato dall’art. 13 del decreto-legge n. 66 del 2004 (v. sopra, la scheda relativa all’art. 36).
L’articolo 42 reca la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che né la legge né i decreti legislativi emanati in attuazione della stessa devono comportare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate sono infatti tenute a provvedere all’applicazione delle misure previste d utilizzando le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Qualora in sede di esecuzione della delega uno o più decreti non trovino compensazione al loro interno, gli stessi non potranno essere emanati se non previa predisposizione delle necessarie coperture finanziarie.
In base alle disposizioni di cui all’art. 17, comma 2, della legge 196/2009, le leggi di delega recanti oneri finanziari devono indicare i mezzi di copertura per farvi fronte. Se, per la complessità della materia trattata, non è possibile determinare gli effetti finanziari derivanti dai decreti legislativi, la quantificazione degli stessi è effettuata al momento dell'adozione dei singoli decreti legislativi.
L’articolo 43 stabilisce che la riforma entri in vigore il giorno successivo alla pubblicazione della legge nella Gazzetta Ufficiale, senza aspettare dunque i 15 giorni della vacatio legis.
[1] Si ricorda, infatti, che in attuazione della delega prevista dalla legge n. 150 del 2005 (Delega al Governo per la riforma dell'ordinamento giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza, della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonché per l'emanazione di un testo unico), c.d. Riforma Castelli, sono stati emanati:
- il d.lgs. 23 gennaio 2006, n. 24 (Modifica all'organico dei magistrati addetti alla Corte di cassazione);
- il d.lgs. 27 gennaio 2006, n. 25 (Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei consigli giudiziari);
- il d.lgs. 30 gennaio 2006, n. 26 (Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati);
- il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 35 (Pubblicità degli incarichi extragiudiziari conferiti ai magistrati);
- il d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 106 (Disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero);
- il d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 (Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati);
- il d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati);
il d.lgs. 25 luglio 2006, n. 240 (Individuazione delle competenze dei magistrati capi e dei dirigenti amministrativi degli uffici giudiziari nonché decentramento su base regionale di talune competenze del Ministero della giustizia).
[2] Legge n. 111 del 2007 (Modifiche alle norme sull'ordinamento giudiziario), c.d. Riforma Mastella. In attuazione di questa delega è stato emanato esclusivamente il d.lgs. 28 febbraio 2008, n. 35 (Coordinamento delle disposizioni in materia di elezioni del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e dei consigli giudiziari, a norma dell'articolo 7, comma 1, della legge 30 luglio 2007, n. 111).
[3] Si ricorda che, in base all’art. 1 (Principi generali dell'attività amministrativa) della legge n. 241/90, l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla stessa legge sul procedimento amministrativo, dalle disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento dell’Unione europea. La stessa disposizione vieta alla pubblica amministrazione di aggravare il procedimento, se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria e impronta i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione ai princìpi della collaborazione e della buona fede.
[4] Si ricorda che le disposizioni richiamate richiedono, in relazione allo specifico incarico da attribuire, tra le altre, la valutazione delle pregresse esperienze di direzione, di organizzazione, di collaborazione e di coordinamento investigativo nazionale, con particolare riguardo ai risultati conseguiti, i corsi di formazione in materia organizzativa e gestionale frequentati nonché ogni altro elemento, acquisito anche al di fuori del servizio in magistratura, che evidenzi l'attitudine direttiva.
[5] Del Consiglio direttivo fanno parte, come componenti di diritto, il Primo Presidente della Corte, il Procuratore Generale nonché il Presidente del Consiglio Nazionale Forense. Ad essi si affiancano alcuni membri togati (6 magistrati giudicanti e 2 magistrati requirenti, “eletti da tutti e tra tutti i magistrati in servizio presso la Corte e la Procura generale”) e non togati (2 professori ordinari di materie giuridiche e un avvocato designato dal CNF). L’organo ha durata quadriennale e i componenti non di diritto non sono immediatamente rieleggibili o rinominabili.
[6] La giurisprudenza amministrativa esclude che il giudizio di professionalità possa trasformarsi in un’automatica e ulteriore sanzione rispetto all’esito del procedimento disciplinare, determinando un inaccettabile ne bis in idem. Ad esempio, C. Stato 8 luglio 2013, n. 3600 ha stabilito che se l’episodio sotteso alla sentenza disciplinare – che nel caso di specie aveva determinato l’applicazione di una sanzione tenue ? è stato già valutato nell’ambito del procedimento esitato in un giudizio non positivo, deve escludersi che esso possa tornare a fondare un nuovo giudizio di analogo segno, non potendo risolversi in un elemento negativo permanente e immanente sulla carriera dell’interessato, tale da potersi delineare quasi come una sorta di effetto accessorio della condanna disciplinare.
[7] In base all’art. 2 del d.lgs. n. 160 del 2006, possono partecipare al concorso in magistratura:
- i magistrati amministrativi e contabili;
- i procuratori dello Stato;
- i dipendenti dello Stato che abbiano maturato determinate qualifiche ed almeno cinque anni di anzianità: in particolare, si tratta dei pubblici dipendenti, con qualifica dirigenziale o appartenenti ad una delle posizioni dell'area C (comparto Ministeri), nonché i dipendenti, con qualifica dirigenziale della pubblica amministrazione, degli enti pubblici a carattere nazionale e degli enti locali, con almeno 5 anni di anzianità nella qualifica;
- i docenti universitari di materie giuridiche, in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza;
- gli avvocati iscritti all'albo;
- coloro che hanno svolto le funzioni di magistrato onorario per almeno 6 anni;
- i laureati in giurisprudenza in possesso del diploma conseguito presso le scuole di specializzazione per le professioni legali;
- i laureati in giurisprudenza che hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche;
- i laureati in giurisprudenza che hanno conseguito il diploma di specializzazione in una disciplina giuridica, al termine di un corso di studi della durata non inferiore a 2 anni, presso le scuole di specializzazione di cui al DPR n. 162 del 1982;
- i laureati in giurisprudenza che hanno svolto, con esito positivo, uno stage formativo presso gli uffici giudiziari, a norma dell'art. 73 del decreto-legge n. 69 del 2013.
[8] Diversamente, il comandato continua a ricoprire un posto nelle dotazioni organiche dell'amministrazione di appartenenza, che non può essere ricoperto né per concorso né per qualsiasi altra forma di mobilità.
[9] D.Lgs. 25 luglio 2006, n. 240, Individuazione delle competenze dei magistrati capi e dei dirigenti amministrativi degli uffici giudiziari nonchè decentramento su base regionale di talune competenze del Ministero della giustizia, a norma degli articoli 1, comma 1, lettera a), e 2, comma 1, lettere s) e t) e 12, della L. 25 luglio 2005, n. 150.
[10] Lettera aggiunta dall'art. 35-bis, comma 1, lett. b), D.L. 6 novembre 2021, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 dicembre 2021, n. 233.
[11] La Corte di Cassazione (Sezione I, sentenza n. 16218 del 23-072007) ha affermato: "in tema di elezioni del consiglio regionale, qualora la Regione, in sede di esercizio della potestà legislativa concessa dal novellato art. 122 Cost., ometta di disciplinare compiutamente i casi di ineleggibilità e di incompatibilità (nella specie la Regione Puglia con la L.R. n. 2 del 2005), deve ritenersi, in forza sia di un'interpretazione costituzionalmente orientata della legge regionale, sia del principio di continuità, l'efficacia della normativa statale preesistente ed in particolare della legge n. 154 del 1981, conforme al quadro costituzionale in vigore all'epoca della sua emanazione ed espressamente esclusa dall'abrogazione di cui all'art. 274, comma 1, lettera l), d.lgs. n. 267 del 2000, recante il T.U. degli enti locali".
[12] Si tratta del Regolamento interno del CSM approvato in data 26 settembre 2016 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale – serie generale - del 7 ottobre 2016. Il regolamento è entrato in vigore dal 22 ottobre 2016. L’ultima modifica è datata 22 luglio 2021 (G.U. 2 agosto 2021). Il regolamento interno è l'atto paranormativo di carattere generale con il quale il Consiglio superiore esercita la propria autonomia, autodisciplinando la propria attività. In particolare, attraverso il regolamento, il Consiglio regola i propri rapporti con gli altri poteri dello Stato, i procedimenti amministrativi nelle materie previste dall'art. 105 Cost., le modalità per stabilire indirizzi di politica giudiziaria e perseguire il proprio scopo istituzionale: garantire l'autonomia e l'indipendenza dell'ordine giudiziario e assicurare l'efficienza del sistema giustizia.
[13] Sul riconoscimento ai soli membri del CSM eletti dal Parlamento di un assegno mensile lordo pari al trattamento spettante ai presidenti di sezione della Corte di cassazione, mentre i magistrati eletti componenti del Consiglio stesso percepiscono solamente lo stipendio previsto per le rispettive categorie di appartenenza, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale, ritenuta tuttavia infondata dalla Corte costituzionale (sent. 131 del 14 luglio 1982) con la motivazione che l’assegno riservato ai membri non togati è stato istituito a ristoro dei peculiari sacrifici sopportati dagli eletti, i quali devono rinunciare, a seguito dell'elezione, all'esercizio della libera professione e ai relativi proventi, laddove per i magistrati siffatte incompatibilità discendono dal loro stesso status: pertanto, le situazioni dei membri del Consiglio provenienti dalla magistratura e di quelli eletti dal Parlamento, se prese in considerazione sotto il profilo della finalità perseguita dal legislatore mediante la corresponsione ai secondi dell'anzidetto assegno mensile, risultano nettamente diverse, con conseguente esclusione della violazione del principio di eguaglianza.
[14] Si ricorda che la Corte costituzionale, con sentenza n. 124 del 26 maggio 2017, ha riconosciuto la legittimità tetto dei 240.000 euro, affermando che “non è precluso al legislatore dettare un limite massimo alle retribuzioni e al cumulo tra retribuzioni e pensioni nel settore pubblico, a condizione che la scelta, volta a bilanciare i diversi valori coinvolti, non sia manifestamente irragionevole”.
[15] D.P.R. 16 settembre 1958, n. 916 “Disposizioni di attuazione e di coordinamento della legge 24 marzo 1958, n. 195, concernente la costituzione e il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura e disposizioni transitorie”.