Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa) |
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento Giustizia |
Titolo: | D.L. 34/2020 - Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19 (c.d. "Rilancio") |
Riferimenti: | AC N.2500/XVIII |
Serie: | Progetti di legge Numero: 295/0/II |
Data: | 27/05/2020 |
Organi della Camera: | II Giustizia |
Misure urgenti in materia di salute e di sostegno al lavoro e all'economia
(cd. “Decreto Rilancio”)
D.L. 34/2020 – A.C. 2500
Profili di interesse della II Commissione Giustizia
Servizio Studi
Tel. 06 6706-2451 - * studi1@senato.it - @SR_Studi
Dossier n. 256/0/2
Dipartimento Giustizia
Tel. 06 6760-9559 - * - st_giustizia@camera.it - @CD_giustizia
Progetti di legge n. 295/0/II
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gi0131
INDICE
INTRODUZIONE................................................................................................. 3
Titolo I – Salute e sicurezza..................................................... 6
Articolo 13 (Rilevazioni statistiche dell’ISTAT connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19)............................................................................................................. 6
Articolo 17 (Modifiche all’articolo 6, comma 10, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18) 13
Articolo 25 (Contributo a fondo perduto)....................................................... 15
Titolo II – Sostegno alle imprese e all’economia 25
Capo I - Misure di sostegno...................................................................... 25
Articolo 46 (Misure urgenti in materia di servizi postali)............................. 25
Articolo 51 (Proroga dei termini dei programmi di esecuzione delle procedure di amministrazione straordinaria)........................................................................ 30
Capo II - Altre misure urgenti in materia di lavoro e politiche sociali 32
Articolo 82 (Reddito di emergenza)................................................................. 32
Articolo 103 (Emersione di rapporti di lavoro).............................................. 43
Titolo VI – Misure fiscali........................................................... 67
Articolo 119 (Ecobonus, sismabonus, fotovoltaico e colonnine elettriche) 67
Articolo 135 (Disposizioni in materia di giustizia tributaria e contributo unificato) 73
Articolo 151 (Differimento sospensione licenze, autorizzazioni e iscrizione ad albi e ordini professionali)....................................................................................................... 77
Articolo 152 (Sospensioni dei pignoramenti su stipendi e pensioni)........... 79
Articolo 158 (Cumulabilità della sospensione dei termini processuali e della sospensione nell'ambito del procedimento di accertamento con adesione)...................... 81
Titolo VIII – Misure di settore............................................... 83
Capo I - Misure per il turismo e la cultura........................................... 83
Articolo 180 (Ristoro ai Comuni per la riduzione di gettito dell’imposta di soggiorno e altre disposizioni in materia)...................................................................................... 83
Capo IV - Misure per lo sport.................................................................. 88
Articolo 216, comma 3 (Riduzione dei canoni di locazione per palestre, piscine e impianti sportivi)................................................................................................................ 88
Articolo 218 (Disposizioni processuali eccezionali per i provvedimenti relativi all’annullamento, alla prosecuzione e alla conclusione delle competizioni e dei campionati, professionistici e dilettantistici)........................................................................ 92
Capo V - Misure in materia di giustizia................................................. 97
Articolo 219 (Misure urgenti per il ripristino della funzionalità delle strutture dell’amministrazione della giustizia e per l’incremento delle risorse per il lavoro straordinario del personale del Corpo di polizia penitenziaria, dei dirigenti della carriera dirigenziale penitenziaria nonché dei direttori degli istituti penali per minorenni)........ 97
Articolo 220 (Disposizioni urgenti in materia di Fondo unico giustizia)... 99
Articolo 221 (Modifiche all’art. 83 del decreto-legge n. 18 del 2020)..... 102
Capo IX - Misure in materia di università e ricerca......................... 104
Articolo 237, comma 1 (Disposizioni in materia di esami di abilitazione all'esercizio di alcune professioni)........................................................................................................ 104
Sezione II - Disposizioni per la velocizzazione dei concorsi e per la conclusione delle procedure sospese........................................................................................... 106
Articolo 252 (Misure urgenti per lo svolgimento di concorsi per il personale del Ministero della giustizia)................................................................................................... 106
Articolo 253 (Misure urgenti in tema di concorso per magistrato ordinario) 111
Articolo 254 (Misure urgenti in tema di concorso notarile ed esame di abilitazione all’esercizio della professione forense)................................................................................ 114
Articolo 255 (Misure straordinarie per la celere definizione e per il contenimento della durata dei procedimenti giudiziari pendenti)............................................................ 118
Articolo 256 (Misure straordinarie per la definizione dell’arretrato penale presso le Corti di appello).............................................................................................................. 122
Capo XIII - Misure urgenti di semplificazione per il periodo di emergenza Covid-19............................................................................................................................. 125
Articolo 264 (Semplificazione dei procedimenti amministrativi in relazione all’emergenza COVID-19)........................................................................................................ 125
I principali interventi nel settore della giustizia, concernono in primo luogo il personale, con riguardo sia alle nuove assunzioni, sia alle modalità di svolgimento delle procedure di reclutamento.
Al riguardo il decreto legge:
Ulteriori disposizioni concernono:
· l'estensione della disciplina della sospensione dei termini processuali di cui all'articolo 83 del decreto-legge n. 18 del 2020, ai termini previsti per la presentazione delle querele (art. 221); un’ulteriore disposizione (art.158) reca una norma interpretativa finalizzata a chiarire che la sospensione dei termini processuali prevista da suddetto articolo 83, debba considerarsi cumulabile in ogni caso con la sospensione del termine di impugnazione prevista dalla procedura di accertamento con adesione;
Interessano aspetti di competenza della Commissione giustizia, con riguardo al profilo delle sanzioni:
· la previsione di specifiche sanzioni tanto per coloro che, nelle procedure di emersione dei rapporti di lavoro, dichiarano il falso, quanto per coloro che impiegano in modo irregolare i cittadini stranieri che avanzano richiesta del permesso di soggiorno temporaneo (art.103
· la previsione di una sanzione amministrativa pecunaria ai soggetti che rilasciano attestazioni e asseverazioni infedeli relative alla regolarità degli interventi ai fini della detrazione pari al 110% delle spese relative a specifici interventi di efficienza energetica e di misure antisismiche sugli edifici sostenute dal 1° luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2021 (art. 119);
· la disciplina sanzionatoria relativa ai casi di omessa o infedele presentazione della dichiarazione ovvero per omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta, di soggiorno o di sbarco, o contributo di soggiorno (art. 180).
Di seguito si dà conto delle richiamate disposizioni del decreto-legge, di competenza della Commissione Giustizia, e di ulteriori disposizioni che contengono profili di interesse della Commissione.
L’articolo 13 autorizza l’ISTAT ad effettuare rilevazioni, elaborazioni e analisi statistiche sul sistema economico e produttivo nazionale e sui fenomeni sociali, epidemiologici e ambientali, anche a supporto degli interventi di contrasto all’emergenza sanitaria e di quelli finalizzati alla gestione della fase di ripresa. Il termine per effettuare le indagini statistiche è fissato al 31 luglio 2021. Nell’ambito delle indagini statistiche, l’ISTAT è autorizzata al trattamento dei dati personali anche inerenti a particolari categorie di dati (tra i quali quelli genetici e relativi alla salute), nonché dei dati relativi a condanne penali o reati, nel rispetto delle disposizioni europee ed interne relative ai presupposti in presenza dei quali tali categorie di dati possono essere legittimamente trattati. L’individuazione dei trattamenti è demandata a una o più specifiche direttive del presidente dell’ISTAT, adottate previo parere del Garante per la protezione dei dati personali.
Il comma 1 autorizza l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), a trattare dati personali anche inerenti a particolari categorie di dati (tra i quali quelli genetici e relativi alla salute) e a dati relativi a condanne penali o reati, di cui al Regolamento (UE) 2016/679 2016 sulla protezione dei dati personali, per effettuare rilevazioni, anche longitudinali (ossia stessi soggetti sottoposti a diverse rilevazioni nel corso del tempo), elaborazioni e analisi statistiche anche presso gli interessati, sul territorio nazionale, volte alla comprensione della situazione economica, sociale ed epidemiologica italiana.
Le particolari categorie di dati di cui al Regolamento europeo generale sulla protezione dei dati (Regolamento 2016/679/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016) , art. 9, sono i dati personali che rivelino l'origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l'appartenenza sindacale, nonché i dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all'orientamento sessuale della persona.
Con riguardo ai dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza, l’articolo 10 del Regolamento specifica che il trattamento di tali dati deve avvenire soltanto sotto il controllo dell'autorità pubblica o, se il trattamento è autorizzato dal diritto dell'Unione o degli Stati membri, deve prevedere garanzie appropriate per i diritti e le libertà degli interessati. Un eventuale registro completo delle condanne penali deve essere tenuto soltanto sotto il controllo dell'autorità pubblica.
Il trattamento è autorizzato ai sensi delle disposizioni europee ed interne relative ai presupposti in presenza dei quali tali categorie di dati possono essere legittimamente trattati.
In linea generale, l’articolo 9, vieta il trattamento delle particolari categorie di dati sopra ricordate. Tuttavia il medesimo art. 9, par. 2, individua i presupposti in presenza dei quali tali dati possono essere legittimamente trattati. Nello specifico, il trattamento è consentito se trova fondamento nel consenso esplicito dell’interessato ovvero nella necessità del trattamento stesso per una serie di motivi tassativamente elencati. In particolare le lettere g) e j), consentono: il trattamento dei dati personali per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri; il trattamento necessario a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o a fini statistici. In ogni caso il trattamento deve essere proporzionato alla finalità perseguita, rispettare l'essenza del diritto alla protezione dei dati e prevedere misure appropriate e specifiche per tutelare i diritti fondamentali e gli interessi dell'interessato. Ai sensi dell’art. 89. par. 1, del medesimo Regolamento il trattamento a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici deve essere soggetto a garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell'interessato. Tali garanzie assicurano che siano state predisposte misure tecniche e organizzative, in particolare al fine di garantire il rispetto del principio della minimizzazione dei dati. Tali misure possono includere la pseudonimizzazione, purché le finalità in questione possano essere conseguite in tal modo. Qualora possano essere conseguite attraverso il trattamento ulteriore che non consenta o non consenta più di identificare l'interessato, tali finalità devono essere conseguite in tal modo.
Per dare attuazione alle sopra descritte disposizioni europee sul trattamento delle particolari categorie di dati (c.d. dati sensibili) il D.lgs. n. 196 del 2003 così come novellato dal D.lgs. n. 101 del 2018 (Codice per il trattamento dei dati personali) all’articolo 2-sexies, disciplina il trattamento delle categorie particolari di dati personali necessario per motivi di interesse pubblico rilevante, consentendolo solo se previsto dal diritto dell’Unione europea ovvero, nell’ordinamento interno, da disposizioni di legge o, nei casi previsti dalla legge, di regolamento, che specifichino i tipi di dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e il motivo di interesse pubblico rilevante. Al riguardo il comma 2 elenca le ipotesi in cui l’interesse pubblico può considerarsi rilevante ai fini della possibilità di eseguire il trattamento dei dati particolari. La lettera cc), considera rilevante l'interesse pubblico relativo ai trattamenti effettuati per fini di ricerca scientifica da soggetti che svolgono compiti di interesse pubblico o connessi all'esercizio di pubblici poteri, e i trattamenti effettuati per fini statistici da parte di soggetti che fanno parte del Sistema statistico nazionale (Sistan).
Il comma 1 specifica inoltre che:
§ l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), è qualificato come soggetto titolare del trattamento, agli effetti della disciplina sulla protezione dei dati personali, secondo la quale il titolare del trattamento, singolarmente o insieme con altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali. È specificato altresì che contitolari del trattamento, possano essere altri soggetti che fanno parte o partecipano al Sistema statistico nazionale, che verranno indicati nelle direttive di cui al comma 2 (vedi infra);
L’articolo 4, primo comma, numero 7), del Regolamento 2016/679/UE, fornisce la definizione di «titolare del trattamento» consistente nella persona fisica o giuridica, l'autorità pubblica, il servizio o altro organismo che, singolarmente o insieme ad altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali; quando le finalità e i mezzi di tale trattamento sono determinati dal diritto dell'Unione o degli Stati membri, il titolare del trattamento o i criteri specifici applicabili alla sua designazione possono essere stabiliti dal diritto dell'Unione o degli Stati membri; nonché di «responsabile del trattamento»: la persona fisica o giuridica, l'autorità pubblica, il servizio o altro organismo che tratta dati personali per conto del titolare del trattamento.
§ con riguardo al periodo temporale, il termine per effettuare le indagini statistiche è fissato alla scadenza dei dodici mesi successivi al termine dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 e per i dodici mesi successivi, dunque fino al 31 luglio 2021;
§ le finalità sono individuate nella possibilità di disporre di statistiche ufficiali sul sistema economico e produttivo nazionale e sui fenomeni sociali, epidemiologici e ambientali, anche a supporto degli interventi di contrasto all’emergenza sanitaria e di quelli finalizzati alla gestione della fase di ripresa;
§ lo svolgimento delle rilevazioni deve avvenire nel rispetto delle misure e delle garanzie individuate nelle direttive di cui al comma 2.
Si segnala che il Decreto legge n. 30 del 2020, il cui disegno di legge di conversione è all’esame del Senato (AS 1800), reca la disciplina dello svolgimento di un'indagine di sieroprevalenza, epidemiologica e statistica, condotta dal Ministero della salute e dall'ISTAT, concernente la diffusione nella popolazione italiana del virus SARS-COV-2 (noto anche come COVID-19). L'indagine si basa sull'esecuzione di analisi sierologiche, intese a rilevare la presenza di anticorpi specifici negli individui compresi nei campioni. Le finalità dell'indagine, consistono: nell'acquisizione di un quadro di dati sullo "stato immunitario" della popolazione e sulla diffusione del virus; nella conseguente acquisizione di informazioni sulle caratteristiche epidemiologiche, cliniche e sierologiche del virus (ivi compreso il tasso di letalità); nella possibilità di adeguare, sulla base di tali cognizioni, le misure di profilassi e di contenimento e le decisioni strategiche nel settore sanitario e socio-sanitario.
Il comma 2 rimette l’individuazione dei trattamenti riferiti ai dati personali appartenenti a particolari categorie di dati ovvero a dati relativi a condanne o reati, a una o più specifiche direttive del presidente dell’ISTAT, adottate previo parere del Garante per la protezione dei dati personali.
L’effettuazione dei trattamenti deve avvenire nel rispetto:
§ delle norme sul Sistema statistico nazionale (di cui al decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322);
§ delle disposizioni del Codice in materia di protezione dei dati personali, relative ai trattamenti a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici (Titolo VII del D.Lgs.n. 196 del 2003) e delle Regole deontologiche per trattamenti a fini statistici o di ricerca scientifica effettuati nell’ambito del Sistema statistico nazionale (di cui all’All. A4, del medesimo Codice);
Il D.Lgs. n. 196 del 2003, così come modificato dal D.lgs. n. 101 del 2018 (C.d. Codice in materia di protezione dei dati personali) reca, al Titolo VII, la disciplina del trattamento dei dati personali effettuato a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, ai sensi dell'articolo 89 del Regolamento 2016/679/UE. In particolare il Capo III è dedicato al trattamento a fini statistici o di ricerca scientifica e contiene la disciplina relativa alla modalità di trattamento di tali dati, specificando che: non possono essere utilizzati per prendere decisioni o provvedimenti relativamente all'interessato, né per trattamenti di dati per scopi di altra natura; i fini statistici e di ricerca scientifica devono essere chiaramente determinati e resi noti all'interessato. L’art. 106 prevede la promozione da parte del Garante per la protezione dei dati personali, promuove, l’adozione regole deontologiche per i soggetti pubblici e privati, ivi comprese le società scientifiche e le associazioni professionali, interessati al trattamento dei dati per fini statistici o di ricerca scientifica, volte a individuare garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell'interessato in conformità all'articolo 89 del Regolamento. In attuazione di tale previsione sono state approvate:
- le "Regole deontologiche per trattamenti a fini statistici o di ricerca scientifica effettuati nell'ambito del Sistema statistico nazionale" (oggetto delle delibere del Garante per la protezione dei dati personali n. 514 e 515 del 19 dicembre 2018 ed inserite nel suddetto allegato A 3 con D.M. 15 marzo 2019);
- le Regole deontologiche per trattamenti a fini statistici o di ricerca scientifica effettuati fuori dall’ambito del Sistema statistico nazionale (oggetto delle delibere del Garante per la protezione dei dati personali n. 514 e 515 del 19 dicembre 2018 ed inserite nel suddetto allegato A 4 con D.M. 15 marzo 2019).
Andrebbe valutata l’opportunità di correggere, nella disposizione in commento, il riferimento all’Allegato 4 con quello all’Allegato 3 che contiene Regole deontologiche per trattamenti a fini statistici o di ricerca scientifica effettuati nell'ambito del Sistema statistico nazionale.
Il rispetto delle disposizioni contenute nelle regole deontologiche costituisce condizione essenziale per la liceità e correttezza del trattamento dei dati personali e il mancato rispetto delle stesse comporta l’applicazione della sanzione di cui all’art. 83, paragrafo 5 del Regolamento (artt. 2-quater, comma 4, e 166, comma 2, del Codice), ossia l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10 milioni di euro o, per le imprese, fino al 2% del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente, se superiore.
Il comma 3 individua il contenuto delle predette direttive, nelle quali devono essere indicati:
§ gli specifici scopi perseguiti;
§ i tipi di dati;
§ le operazioni eseguibili;
§ le misure e le garanzie adottate per tutelare i diritti fondamentali e le libertà degli interessati;
§ le fonti amministrative utilizzate, anche mediante tecniche di integrazione;
§ i tempi di conservazione.
Con riguardo ai profili concernenti la conservazione dei dati, si ricorda che le citate Regole deontologiche per trattamenti a fini statistici o di ricerca scientifica, che sono parte integrante (All. A3 e 4) del Codice per la protezione dei dati personali (vedi sopra) prevedono che i dati personali possano essere conservati per scopi statistici o scientifici anche oltre il periodo necessario per il raggiungimento degli scopi per i quali sono stati raccolti o successivamente trattati, in conformità all’art. 5, § 1 lett. e) del Regolamento. Tale disposizione generale prevede che i dati vadano conservati in una forma che consenta l'identificazione degli interessati per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati; i dati personali possono essere conservati per periodi più lunghi a condizione che siano trattati esclusivamente a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, conformemente all'articolo 89, paragrafo 1 (vedi sopra), fatta salva l'attuazione di misure tecniche e organizzative adeguate richieste dal presente regolamento a tutela dei diritti e delle libertà dell'interessato («limitazione della conservazione»).
Il comma 4 prescrive all’ISTAT l’obbligo:
§ di fornire agli interessati le informazioni di cui agli articoli 13 e 14 del Regolamento (UE) 2016/679 anche in forma sintetica;
§ di assicurare, attraverso il proprio sito istituzionale, adeguate forme di pubblicità alle suddette informazioni, pubblicate in maniera completa e facilmente consultabile.
Gli articoli 13 e 14 del Regolamento 2016/679/UE, disciplinano le informazioni da fornire all'interessato, rispettivamente, nel caso in cui la raccolta dei dati personali avvenga presso l'interessato e nel caso in cui i dati non siano stati ottenuti presso lo stesso.
In particolare, l’articolo 13 elenca le informazioni, relative al titolare del trattamento, da fornire quando i dati personali sono raccolti presso l’interessato. Inoltre, il titolare del trattamento è tenuto a fornire all’interessato anche le seguenti informazioni: periodo di conservazione dei dati; esistenza di un processo decisionale automatizzato, compresa la profilazione; modalità di esercizio dei diritti di accesso, rettifica, cancellazione, opposizione e portabilità dei dati, se non sussistono specifiche limitazioni; modalità di esercizio del diritto di revocare il consenso e del diritto di reclamo.
Quando i dati non sono stati ottenuti presso l’interessato, in base all’articolo 14 del Regolamento UE, il titolare del trattamento deve comunque fornire all’interessato informazioni analoghe a quelle previste dall’articolo 13 oltre ad informazioni sulla fonte da cui hanno origine i dati personali. Le disposizioni dell’articolo 14 non si applicano, peraltro, se l’interessato dispone già delle informazioni, se la comunicazione implica uno sforzo sproporzionato, quando l’informativa rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento delle finalità di archiviazione nel pubblico interesse, quando l’ottenimento o la comunicazione sono espressamente previsti dal diritto UE o dello Stato membro, che garantiscono misure appropriate per tutelare gli interessi legittimi dell’interessato, quando i dati personali debbano rimanere riservati conformemente a un obbligo di segreto professionale.
Le citate Regole deontologiche per trattamenti a fini statistici o di ricerca scientifica, di cui agli All A3 e A4 del Codice per la protezione dei dati personali, prevedono specificamente che nella raccolta di dati per uno scopo statistico, nell´ambito delle informazioni di cui all´art. 13 del Regolamento deve essere rappresentata all´interessato l´eventualità che i dati personali possono essere conservati e trattati per altri scopi statistici o scientifici, per quanto noto adeguatamente specificati anche con riguardo alle categorie di soggetti ai quali i dati potranno essere comunicati. Quando i dati sono raccolti presso terzi, ovvero il trattamento effettuato per scopi statistici o scientifici riguarda dati raccolti per altri scopi, e l´informativa comporta uno sforzo sproporzionato rispetto al diritto tutelato, il titolare adotta idonee forme di pubblicità.
Il comma 5 prevede la disciplina in merito alla comunicazione dati trattati nell’ambito delle indagini statistiche di cui all’articolo in esame, stabilendo che gli stessi debbano essere privi di ogni riferimento che permetta l’identificazione diretta delle unità statistiche.
I soggetti cui i dati possono essere comunicati per finalità scientifiche, sono:
§ i ricercatori appartenenti a università, enti di ricerca e istituzioni pubbliche o private o loro strutture di ricerca, inseriti nell'elenco redatto dall'autorità statistica dell'Unione europea o che risultino in possesso dei requisiti stabiliti (ai sensi comma 1 dell’articolo 5-ter del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33), nei limiti e secondo le modalità previste dal citato decreto legislativo;
L’articolo 5-ter del D.Lgs. n. 33 del 2013, e successive modificazioni, reca la disciplina dell'accesso (da parte di altri soggetti) per fini scientifici ai dati elementari (privi di ogni riferimento che permetta l'identificazione diretta delle unità statistiche), raccolti nell'ambito di trattamenti statistici da parte degli enti ed uffici del Sistema statistico nazionale (Sistan). Gli enti e uffici del Sistan, possono consentire l'accesso per fini scientifici ai dati elementari, privi di ogni riferimento che permetta l'identificazione diretta delle unità statistiche, raccolti nell'ambito di trattamenti statistici di cui i medesimi soggetti siano titolari, a condizione che: l'accesso sia richiesto da ricercatori appartenenti a università, enti di ricerca e istituzioni pubbliche o private o loro strutture di ricerca, inseriti nell'elenco redatto dall'autorità statistica dell'Unione europea (Eurostat) o che risultino in possesso dei requisiti stabiliti; sia sottoscritto, da parte di un soggetto abilitato a rappresentare l'ente richiedente, un impegno di riservatezza specificante le condizioni di utilizzo dei dati, gli obblighi dei ricercatori, i provvedimenti previsti in caso di violazione degli impegni assunti, nonché le misure adottate per tutelare la riservatezza dei dati; sia presentata una proposta di ricerca e la stessa sia ritenuta adeguata, sulla base dei criteri di cui al comma 3, lettera b), dal medesimo soggetto del Sistan che concede l'accesso. È fatto divieto di effettuare trattamenti diversi da quelli previsti nel progetto di ricerca, conservare i dati elementari oltre i termini di durata del progetto, comunicare i dati a terzi e diffonderli, pena l'applicazione della sanzione di cui all'articolo 162, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196
§ i soggetti che fanno parte o partecipano al Sistema statistico nazionale secondo quanto previsto dal più volte citato Codice in materia di protezione di dati personali (con particolare riferimento alle Regole deontologiche di cui all’allegato A4), nonché del decreto legislativo 6 settembre 1989, n. 322.
Con riguardo alla diffusione dei predetti dati, la stessa è autorizzata solo in forma anonima e aggregata.
Il comma 6 prevede che l’ISTAT faccia fronte alle attività di cui all’articolo in esame con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Articolo 17
(Modifiche all’articolo 6, comma 10, del
decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18)
L’articolo 17 specifica che le acquisizioni a titolo diverso, ad esclusione della proprietà, di strutture per ospitare le persone in sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario, da parte del Dipartimento della protezione civile e del Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica in atto, sono ricomprese nell’autorizzazione di spesa relativa alle disposizioni contenute nel decreto legge n. 18 del 2020 (c.d. Cura Italia) concernenti, tra l’altro, le requisizioni da parte dei Prefetti, di strutture alberghiere o altri immobili disposte per le medesime finalità di sorveglianza sanitaria o isolamento fiduciario.
L’articolo 17 interviene sull’articolo 6 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. Cura Italia), il quale autorizza il Capo della protezione civile a disporre la requisizione in uso o proprietà di presidi sanitari e medico chirurgici e di beni mobili di qualsiasi genere da soggetti pubblici o privati ed il Prefetto a disporre la requisizione in uso di strutture alberghiere, ovvero di altri immobili aventi analoghe caratteristiche di idoneità, per ospitarvi le persone in sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario.
La modifica in esame incide sulla disposizione (comma 10 dell’articolo 6), che contiene l’autorizzazione di spesa nel limite massimo di 150 milioni di euro per l’anno 2020 per l’attuazione delle predette disposizioni.
Al riguardo, si prevede che la suddetta autorizzazione di spesa vada riferita altresì all’acquisizione a diverso titolo, ad esclusione della proprietà, di strutture per ospitarvi le persone in sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario o in permanenza domiciliare, da parte:
§ del Dipartimento della protezione civile;
§ del Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica in atto;
L’art. 122 del Decreto legge n. 18 del 2020 prevede la nomina di un Commissario straordinario preposto al rafforzamento della risposta sanitaria all'emergenza da Covid-19, attribuendo allo stesso, tra l’altro, la potestà di disporre, anche per il tramite del Capo del Dipartimento della protezione civile e, ove necessario, del prefetto territorialmente competente, la requisizione di beni mobili, mobili registrati e immobili, anche avvalendosi dei prefetti territorialmente competenti.
§ dei soggetti attuatori nominati ai sensi dell’Ordinanza del Capo dipartimento della protezione civile n. 630 del 2020.
L’Ordinanza n. 630 del 3 febbraio 2020 del Capo dipartimento della protezione civile contiene interventi urgenti di protezione civile in relazione all’emergenza relativa al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili e specifica che il Capo del Dipartimento della protezione civile assicura il coordinamento degli interventi necessari, avvalendosi del medesimo Dipartimento, delle componenti e delle strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile, nonché di soggetti attuatori, individuati anche tra gli enti pubblici economici e non economici e soggetti privati, che agiscono sulla base di specifiche direttive.
Articolo 25
(Contributo a fondo perduto)
L’articolo 25 dispone il riconoscimento di un contributo a fondo perduto a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa e di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA con ricavi non superiori a 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto e il cui ammontare di fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 sia inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019. La misura del contributo è ottenuta applicando percentuali variabili in relazione al fatturato. Il contributo spetta in ogni caso per un valore minimo di 1.000 euro per le persone fisiche e di 2.000 euro per i soggetti diversi dalle persone fisiche.
I commi 1, 2 e 3 introducono un contributo a fondo perduto e delimitano il perimetro dei beneficiari.
In particolare, il comma 1 dispone il riconoscimento di un contributo a fondo perduto a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa e di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA, di cui al testo unico delle imposte sui redditi (TUIR - D.P.R. n. 917 del 1986).
Il contributo non spetta (comma 2):
§ ai soggetti la cui attività risulti cessata alla data di presentazione dell'istanza di cui al comma 8 (60 giorni dalla data di avvio della procedura telematica da parte dell'Agenzia delle entrate)
§ agli enti pubblici di cui all’articolo 74 del TUIR (gli organi e le amministrazioni dello Stato, compresi quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalità giuridica, i comuni, le unioni di comuni, i consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demanio collettivo, le comunità montane, le province e le regioni non sono soggetti all'imposta)
§ ai soggetti di cui all’articolo 162-bis del medesimo testo unico (intermediari finanziari, società di partecipazione finanziaria, non finanziaria e assimilati)
§ ai contribuenti che hanno diritto alla percezione delle indennità di 600 euro previste per il mese di marzo 2020 dagli articoli 27 (liberi professionisti - titolari di partita IVA - e titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa iscritti alla Gestione separata INPS), 38 (lavoratori dello spettacolo) del decreto-legge n. 18 del 2020, nonché ai lavoratori dipendenti e ai professionisti iscritti agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria di cui ai decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996.
Il contributo spetta esclusivamente (comma 3):
§ ai titolari di reddito agrario, definito come la parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d'esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell'esercizio di attività agricole su di esso (articolo 32 del TUIR)
§ ai soggetti con ricavi non superiori a 5 milioni di euro nel periodo d’imposta 2019:
- corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l'attività dell'impresa (articolo 85, comma 1, lettera a) del TUIR);
- corrispettivi delle cessioni di materie prime e sussidiarie, di semilavorati e di altri beni mobili, esclusi quelli strumentali, acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione (articolo 85, comma 1, lettera b) del TUIR);
- compensi derivanti dall'esercizio di arti e professioni (articolo 54, comma 1, del TUIR).
Il comma 4 definisce la condizione cui è subordinata la spettanza del contributo: l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 deve essere inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019.
Al fine di determinare correttamente i predetti importi, si fa riferimento alla data di effettuazione dell’operazione di cessione di beni o di prestazione dei servizi.
La condizione stabilita dal presente comma non deve invece essere rispettata dai soggetti che hanno iniziato l’attività a partire dal 1° gennaio 2019 nonché dai soggetti che, a far data dall’insorgenza dell’evento calamitoso, hanno il domicilio fiscale o la sede operativa nel territorio di comuni colpiti dai predetti eventi i cui stati di emergenza erano ancora in atto alla data di dichiarazione dello stato di emergenza Covid-19.
La disposizione non specifica a quale "evento calamitoso" si faccia riferimento nel testo del comma 4. La relazione illustrativa chiarisce che si intende salvaguardare la posizione dei soggetti che già versavano in stato di emergenza a causa di altri eventi calamitosi alla data dell'insorgere dello stato di emergenza COVID-19 e per i quali, date le pregresse difficoltà economiche, non è necessaria la verifica della condizione del calo di fatturato (come ad esempio nel caso dei comuni colpiti dagli eventi sismici, alluvionali o di crolli di infrastrutture che hanno comportato le delibere dello stato di emergenza). Si valuti l'opportunità di chiarire tale intendimento anche nel testo della disposizione.
I commi 5 e 6 definiscono l'ammontare del contributo, ottenuto applicando le seguenti percentuali alla differenza tra l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 e l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019 (comma 5):
a) 20% per i soggetti con ricavi o compensi indicati al comma 3 non superiori a 400.000 euro nel periodo d’imposta 2019;
b) 15% per i soggetti con ricavi o compensi indicati al comma 3 superiori a 400.000 e fino a 1 milione di euro nel periodo d’imposta 2019;
c) 10% per i soggetti con ricavi o compensi indicati al comma 3 superiori a 1 milione e fino a 5 milioni di euro nel periodo d’imposta 2019.
Il contributo è in ogni caso riconosciuto (comma 6) per un importo non inferiore a 1.000 euro per le persone fisiche e a 2.000 euro per i soggetti diversi dalle persone fisiche.
Ai sensi del comma 7, il contributo di cui al presente articolo non concorre alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi, non rileva altresì ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del TUIR e non concorre alla formazione del valore della produzione netta, base imponibile dell'IRAP ai sensi del decreto legislativo n. 446 del 1997.
L'articolo 61 del TUIR stabilisce che gli interessi passivi inerenti all'esercizio d'impresa sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d'impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi.
L'articolo 109, comma 5, del TUIR stabilisce che le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi. Se si riferiscono indistintamente ad attività o beni produttivi di proventi computabili e ad attività o beni produttivi di proventi non computabili in quanto esenti nella determinazione del reddito sono deducibili per la parte corrispondente al rapporto tra l'ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d'impresa o che non vi concorrono in quanto esclusi e l'ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi.
I commi 8, 9 e 10 indicano le modalità per ottenere il contributo a fondo perduto.
I soggetti interessati presentano, esclusivamente in via telematica, una istanza all’Agenzia delle entrate con l’indicazione della sussistenza dei requisiti definiti dai precedenti commi (comma 8).
L’istanza può essere presentata, per conto del soggetto interessato, anche da un intermediario di cui all’articolo 3, comma 3, del D.P.R. n. 322 del 1998 delegato al servizio del cassetto fiscale dell’Agenzia delle entrate o ai servizi per la fatturazione elettronica.
L'articolo 3, comma 3, del D.P.R. n. 322 del 1998 (Regolamento recante modalità per la presentazione delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi, all'imposta regionale sulle attività produttive e all'imposta sul valore aggiunto) stabilisce che, ai soli fini della presentazione delle dichiarazioni in via telematica mediante il servizio telematico Entratel, si considerano soggetti incaricati della trasmissione delle stesse:
a) gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro;
b) i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria;
c) le associazioni sindacali di categoria tra imprenditori indicate nell'articolo 32, comma 1, lettere a), b) e c), del decreto legislativo n. 241 del 1997, nonché quelle che associano soggetti appartenenti a minoranze etnico-linguistiche;
d) i centri di assistenza fiscale per le imprese e per i lavoratori dipendenti e pensionati;
e) gli altri incaricati individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.
L’istanza deve essere presentata entro sessanta giorni dalla data di avvio della procedura telematica per la presentazione della stessa, come definita con il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, di cui al comma 10.
Ai sensi del comma 9, l’istanza contiene anche l’autocertificazione che i soggetti richiedenti, nonché i soggetti di cui all’articolo 85, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 159 del 2011 (Codice antimafia), non si trovano nelle condizioni ostative di cui all’articolo 67 del medesimo decreto legislativo n. 159 del 2011.
Per la prevenzione dei tentativi di infiltrazioni criminali, con protocollo d’intesa sottoscritto tra il Ministero dell’interno, il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate sono disciplinati i controlli di cui al libro II del decreto legislativo n. 159 del 2011 (Nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia) anche attraverso procedure semplificate fermo restando, ai fini dell’erogazione del contributo di cui al presente articolo, l’applicabilità dell’art. 92 commi 3 e seguenti del citato decreto legislativo n. 159 del 2011, in considerazione dell’urgenza connessa alla situazione emergenziale.
Qualora dai riscontri di cui al periodo precedente emerga la sussistenza di cause ostative, l’Agenzia delle entrate procede alle attività di recupero del contributo ai sensi del successivo comma 12.
Colui che ha rilasciato l’autocertificazione di regolarità antimafia è punito con la reclusione da due anni a sei anni.
In caso di avvenuta erogazione del contributo, si applica l’articolo 322-ter del codice penale (Confisca).
L'Agenzia delle entrate e il Corpo della Guardia di finanza stipulano apposito protocollo volto a regolare la trasmissione, con procedure informatizzate, dei dati e delle informazioni di cui al comma 8, nonché quelle relative ai contributi erogati, per le autonome attività di polizia economico-finanziaria di cui al decreto legislativo n. 68 del 2001.
Le modalità di effettuazione dell’istanza, il suo contenuto informativo, i termini di presentazione della stessa e ogni altro elemento necessario all’attuazione delle disposizioni del presente articolo sono definiti con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate (articolo 10).
Il decreto legislativo n. 159 del 2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia) prevede all'articolo 67, comma 1, che le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II non possono ottenere:
a) licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio;
b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l'esercizio di attività imprenditoriali;
c) concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici;
d) iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l'esercizio del commercio all'ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all'ingrosso;
e) attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici;
f) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati;
g) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali;
h) licenze per detenzione e porto d'armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti.
L'articolo 85 del medesimo decreto elenca i soggetti sottoposti a verifica antimafia:
1. La documentazione antimafia, se si tratta di imprese individuali, deve riferirsi al titolare ed al direttore tecnico, ove previsto.
2. La documentazione antimafia, se si tratta di associazioni, imprese, società, consorzi e raggruppamenti temporanei di imprese, deve riferirsi, oltre che al direttore tecnico, ove previsto:
a) per le associazioni, a chi ne ha la legale rappresentanza;
b) per le società di capitali, anche consortili ai sensi dell'articolo 2615-ter del codice civile, per le società cooperative, per i consorzi di cooperative, per i consorzi di cui al libro quinto, titolo X, capo II, sezione II, del codice civile, al legale rappresentante e agli eventuali altri componenti l'organo di amministrazione nonché a ciascuno dei consorziati che nei consorzi e nelle società consortili detenga, anche indirettamente, una partecipazione pari almeno al 5 per cento;
c) per le società di capitali, anche al socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro, ovvero al socio in caso di società con socio unico;
d) per i consorzi di cui all'articolo 2602 del codice civile e per i gruppi europei di interesse economico, a chi ne ha la rappresentanza e agli imprenditori o società consorziate;
e) per le società semplice e in nome collettivo, a tutti i soci;
f) per le società in accomandita semplice, ai soci accomandatari;
g) per le società di cui all'articolo 2508 del codice civile, a coloro che le rappresentano stabilmente nel territorio dello Stato;
h) per i raggruppamenti temporanei di imprese, alle imprese costituenti il raggruppamento anche se aventi sede all'estero, secondo le modalità indicate nelle lettere precedenti;
i) per le società personali ai soci persone fisiche delle società personali o di capitali che ne siano socie.
2-bis. Oltre a quanto previsto dal precedente comma 2, per le associazioni e società di qualunque tipo, anche prive di personalità giuridica, la documentazione antimafia è riferita anche ai soggetti membri del collegio sindacale o, nei casi contemplati dall'articolo 2477 del codice civile, al sindaco, nonché ai soggetti che svolgono i compiti di vigilanza di cui all'articolo 6, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.
2-ter. Per le società costituite all'estero, prive di una sede secondaria con rappresentanza stabile nel territorio dello Stato, la documentazione antimafia deve riferirsi a coloro che esercitano poteri di amministrazione, di rappresentanza o di direzione dell'impresa.
2-quater. Per le società di capitali di cui alle lettere b) e c) del comma 2, concessionarie nel settore dei giochi pubblici, oltre a quanto previsto nelle medesime lettere, la documentazione antimafia deve riferirsi anche ai soci persone fisiche che detengono, anche indirettamente, una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 2 per cento, nonché ai direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti. Nell'ipotesi in cui i soci persone fisiche detengano la partecipazione superiore alla predetta soglia mediante altre società di capitali, la documentazione deve riferirsi anche al legale rappresentante e agli eventuali componenti dell'organo di amministrazione della società socia, alle persone fisiche che, direttamente o indirettamente, controllano tale società, nonché ai direttori generali e ai soggetti responsabili delle sedi secondarie o delle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti. La documentazione di cui al periodo precedente deve riferirsi anche al coniuge non separato.
3. L'informazione antimafia deve riferirsi anche ai familiari conviventi di maggiore età dei soggetti di cui ai commi 1, 2, 2-bis, 2-ter e 2-quater.
L'articolo 91, comma 7-bis del medesimo decreto, stabilisce che, ai fini dell'adozione degli ulteriori provvedimenti di competenza di altre amministrazioni, l'informazione antimafia interdittiva, anche emessa in esito all'esercizio dei poteri di accesso, è tempestivamente comunicata anche in via telematica:
a) alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e ai soggetti di cui agli articoli 5, comma 1, e 17, comma 1; (243)
b) al soggetto di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, che ha richiesto il rilascio dell'informazione antimafia;
c) alla camera di commercio del luogo dove ha sede legale l'impresa oggetto di accertamento;
d) al prefetto che ha disposto l'accesso, ove sia diverso da quello che ha adottato l'informativa antimafia interdittiva;
e) all'osservatorio centrale appalti pubblici, presso la direzione investigativa antimafia;
f) all'osservatorio dei contratti pubblici relativi ai lavori, servizi e forniture istituito presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, ai fini dell'inserimento nel casellario informatico di cui all'articolo 7, comma 10, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e nella Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all'articolo 62-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;
g) all'Autorità garante della concorrenza e del mercato per le finalità previste dall'articolo 5-ter del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27;
h) al Ministero delle infrastrutture e trasporti;
i) al Ministero dello sviluppo economico;
l) agli uffici delle Agenzie delle entrate, competenti per il luogo dove ha sede legale l'impresa nei cui confronti è stato richiesto il rilascio dell'informazione antimafia.
L'articolo 92, commi 3 e seguenti, del decreto legislativo n. 159 del 2011, dispone che, decorso il termine di 30 giorni cui al comma 2, primo periodo, ovvero, nei casi di urgenza, immediatamente, i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, procedono anche in assenza dell'informazione antimafia. I contributi, i finanziamenti, le agevolazioni e le altre erogazioni di cui all'articolo 67 sono corrisposti sotto condizione risolutiva e i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti, fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite. La revoca e il recesso di cui al comma 3 si applicano anche quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, alla concessione dei lavori o all'autorizzazione del subcontratto. Il versamento delle erogazioni di cui all'articolo 67, comma 1, lettera g), può essere in ogni caso sospeso fino alla ricezione da parte dei soggetti richiedenti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, dell'informazione antimafia liberatoria.
L'articolo 96 del medesimo decreto dispone l'istituzione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia presso il Ministero dell'interno, Dipartimento per le politiche del personale dell'amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie.
Ai sensi del comma 11, il contributo a fondo perduto è corrisposto dall’Agenzia delle entrate mediante accreditamento diretto in conto corrente bancario o postale intestato al soggetto beneficiario.
I fondi con cui elargire i contributi sono accreditati sulla contabilità speciale intestata all’Agenzia delle entrate n. 1778 “Fondi di Bilancio”.
L'Agenzia delle entrate provvede al monitoraggio delle domande presentate ai sensi del comma 8 e dell'ammontare complessivo dei contributi a fondo perduto richiesti e ne dà comunicazione con cadenza settimanale al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato.
Il comma 12 disciplina l'attività di controllo dei dati, recupero dei contributi non spettanti e relativa sanzione.
In particolare, l'attività di controllo dei dati dichiarati dal richiedente viene attribuita agli uffici delle imposte ai sensi degli articoli 31 e seguenti del D.P.R. n. 600 del 1973 riguardanti le funzioni, nonché i poteri di accesso, ispezione e verifica degli uffici medesimi.
Qualora il contributo sia in tutto o in parte non spettante, anche a seguito del mancato superamento della verifica antimafia, l’Agenzia delle entrate recupera il contributo non spettante, irrogando le sanzioni in misura corrispondente a quelle previste dall’articolo 13, comma 5, del decreto legislativo n. 471 del 1997 (dal 100 al 200% della misura del contributo) e gli interessi dovuti ai sensi dell’articolo 20 del D.P.R. n. 602 del 1973 (4% annuo), in base alle disposizioni di cui all’articolo 1, da commi da 421 a 423, della legge finanziaria 2005 (legge n. 311 del 2004).
L’articolo 1, commi da 421 a 423, della legge finanziaria 2005 (legge n. 311 del 2004) disciplina le modalità di recupero dei crediti indebitamente utilizzati e delle relative sanzioni e interessi.
In particolare, il comma 421 stabilisce che per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, nonché per il recupero delle relative sanzioni e interessi l'Agenzia delle entrate può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dall'articolo 60 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.
Ai sensi del comma 422, in caso di mancato pagamento, in tutto o in parte, delle somme dovute entro il termine assegnato dall'ufficio, comunque non inferiore a sessanta giorni, si procede alla riscossione coattiva con le modalità previste dal decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni. Per il pagamento delle somme dovute, di cui al periodo precedente, non è possibile avvalersi della compensazione prevista dall'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241. In caso di iscrizione a ruolo delle somme dovute, per il relativo pagamento non è ammessa la compensazione.
Il comma 423 stabilisce che la competenza all'emanazione degli atti di cui al comma 421, emessi prima del termine per la presentazione della dichiarazione, spetta all'ufficio nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto per il precedente periodo di imposta.
Si rendono applicabili le disposizioni di cui all’articolo 27, comma 16, del decreto-legge n. 185 del 2008, nonché, per quanto compatibili, anche quelle di cui all’articolo 28 del decreto-legge n. 78 del 2010. Per le controversie relative all’atto di recupero si applicano le disposizioni previste dal decreto legislativo n. 546 del 1992 (recante disposizioni sul processo tributario).
L’articolo 27, comma 16, del decreto-legge n. 185 del 2008 stabilisce che, salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l'obbligo di denuncia ai sensi dell'articolo 331 del codice di procedura penale per il reato previsto dall'articolo 10-quater, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, l'atto di cui all'articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell'articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo.
L'articolo 28 del decreto-legge n. 78 del 2010 prevede che, al fine di contrastare l'inadempimento dell'obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, l'Agenzia delle Entrate esegue specifici controlli sulle posizioni dei soggetti che risultano aver percepito e non dichiarato redditi di lavoro dipendente ed assimilati sui quali, in base ai flussi informativi dell'INPS, risultano versati i contributi previdenziali e non risultano effettuate le previste ritenute. Anche a tal fine, le attività di controllo e di accertamento realizzabili con modalità automatizzate sono incrementate e rese più efficaci attribuendone la effettuazione ad apposite articolazioni dell'Agenzia delle Entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale, individuate con il regolamento di amministrazione dell'Agenzia delle Entrate di cui all'articolo 71, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.
Il comma 13 stabilisce che, qualora successivamente all’erogazione del contributo, l’attività d’impresa o di lavoro autonomo cessi o le società e gli altri enti percettori cessino l’attività, il soggetto firmatario dell’istanza inviata in via telematica all’Agenzia delle entrate ai sensi del comma 8 è tenuto a conservare tutti gli elementi giustificativi del contributo spettante e a esibirli a richiesta agli organi istruttori dell’amministrazione finanziaria. In questi casi, l’eventuale atto di recupero di cui al comma 12 è emanato nei confronti del soggetto firmatario dell’istanza.
Il comma 14, infine, dispone che, nei casi di percezione del contributo in tutto o in parte non spettante si applica l’articolo 316-ter del codice penale.
L'articolo 316-ter del codice penale (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato) stabilisce che, salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall'articolo 640-bis, chiunque mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a quattro anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso della sua qualità o dei suoi poter.
Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822. Tale sanzione non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito.
Il comma 15 reca la quantificazione degli oneri, valutati in 6.192 milioni di euro per l'anno 2020, e indica la copertura finanziaria facendo rinvio all'articolo 265.
Articolo 46
(Misure urgenti in materia di servizi postali)
L'articolo 46 novella l'articolo 108 del D.L n. 18 del 2020 (c.d. Cura Italia), che reca disposizioni per la consegna postale al fine di contemperare le modalità del servizio con le esigenze di tutela sanitaria previste dalla normativa vigente. Con la novella si estende sino al 31 luglio (rispetto al 30 giugno attualmente previsto) l'ambito temporale per le disposizioni recanti le modalità speciali - connesse all'emergenza epidemiologica - per lo svolgimento del servizio relativo agli invii postali; si prevede inoltre che tali modalità si applichino anche per lo svolgimento dei servizi di notificazione a mezzo posta con riferimento agli atti giudiziari e alle sanzioni amministrative, abrogando il vigente comma 1-bis della norma. Si aggiunge la previsione che sono fatti salvi i comportamenti tenuti dagli operatori postali per garantire la continuità del servizio e la tutela della salute pubblica in occasione dello stato di emergenza.
La norma novella l’articolo 108 del decreto-legge Cura Italia, che ha dettato disposizioni - modificate in sede di conversione del citato DL - in materia.
Tale disposizione aveva recato nel testo originario del D.L. n. 18 norme in parte analoghe alla disposizione ora recata dal D.L. in esame, volte a dettare una disciplina speciale - connessa alla situazione di emergenza sanitaria - per i servizi postali, e includendo anche le notifiche di atti giudiziari. Tali disposizioni erano state poi oggetto di modifica nel corso dell'iter parlamentare di conversione. Si rinvia, per approfondimenti, alla scheda di lettura dei rispettivi AS.1766 (per la norma originaria) e AC 2463 (per le modifiche parlamentari).
In particolare, si ricorda come, con riferimento al D.L. Cura Italia, l'articolo 108, qui oggetto di novella, reca Misure urgenti per lo svolgimento del servizio posta, è volto ad assicurare l’adozione delle misure di prevenzione della diffusione del virus Covid 19 di cui alla normativa vigente in materia di tutela dei lavoratori del servizio postale e dei destinatari degli invii postali, per lo svolgimento del servizio postale relativo agli invii raccomandati, agli invii assicurati e alla distribuzione dei pacchi nonché - in base alla versione originaria del DL Cura Italia - delle notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari e le notificazioni di cui all’articolo 201 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285: il riferimento alla notifica di atti giudiziari era poi stato modificato, nel corso dell'iter di conversione del suddetto DL Cura Italia, prevedendo un distinto regime per la consegna a mezzo posta di tali atti in un apposito comma 1-bis.
Si ricorda nel dettaglio infatti che l'art. 108 del DL Cura Italia, per effetto delle modifiche apportate in sede di conversione rispetto al testo originario del DL n. 18 - prevedeva un nuovo comma 1-bis, in base al quale si dettavano le modalità per lo svolgimento dei servizi di notificazione a mezzo posta degli atti giudiziari, di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890 e all'articolo 201 del D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285. Per tale fattispecie, si prevedeva che gli operatori postali procedessero alla consegna dei suddetti invii e pacchi con la procedura ordinaria di firma di cui all'articolo 7 della legge 20 novembre 1982, n. 890, oppure con il deposito in cassetta postale dell'avviso di arrivo della raccomandata o altro atto che necessita di firma per la consegna. Inoltre, in base alla suddetta previsione, qui oggetto di abrogazione, i termini sostanziali di decadenza e prescrizione di cui alle raccomandate con ricevuta di ritorno inviate nel periodo in esame venivano sospesi sino alla cessazione dello stato di emergenza.
In sintesi, con le novelle:
§ Si estende al 31 luglio - rispetto al 30 giugno attualmente previsto - la valenza della normativa speciale in materia di invii postali in relazione alle cautele richieste dall'emergenza sanitaria (lett. a), punto 1).
§ Si estendono le modalità di svolgimento dei servizi postali anche allo svolgimento dei servizi di notificazione a mezzo posta di atti giudiziari e sanzioni amministrative (lett. a), punto 2).
§ La disposizione aggiunge alla norma vigente la previsione che sono fatti salvi i comportamenti tenuti dagli operatori postali per garantire la continuità del servizio e la tutela della salute pubblica in occasione dello stato di emergenza (lett. a), punto 3).
Si valuti l'opportunità di chiarire la formulazione laddove si prevede siano fatti salvi dei 'comportamenti', al fine di meglio definire il portato della disposizione.
Per effetto della novella si prevede quindi che, al fine di assicurare la tutela della salute dei lavoratori del servizio postale e dei destinatari degli invii postali e la piena operatività della misura, dalla data di entrata in vigore del decreto-legge e sino al termine dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri in data 31 gennaio 2020, per lo svolgimento del servizio postale relativo non solo agli invii raccomandati, agli invii assicurati e alla distribuzione dei pacchi, ma anche per lo svolgimento dei servizi di notificazione a mezzo posta di atti giudiziari, gli operatori postali procedono alla consegna dei suddetti invii e pacchi mediante preventivo accertamento della presenza del destinatario o di persona abilitata al ritiro, senza raccoglierne la firma con successiva immissione dell'invio nella cassetta della corrispondenza dell'abitazione, dell'ufficio o dell'azienda, al piano o in altro luogo, presso il medesimo indirizzo, indicato contestualmente dal destinatario o dalla persona abilitata al ritiro.
La disposizione in esame prevede quindi tali modalità anche per lo svolgimento dei servizi di notificazione a mezzo posta di atti giudiziari, di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890 e all’articolo 201 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 in materia di sanzioni amministrative previste dal codice della strada, in ciò ricalcando quanto originariamente previsto dal decreto Cura Italia (poi modificato in sede di conversione dello stesso).
In ordine alle modalità si ricorda che in base alla normativa connessa all'emergenza sanitaria la firma è apposta dall’operatore postale sui documenti di consegna e in tali documenti di consegna è attestata anche la suddetta modalità di recapito.
La novella in esame (lett. b) abroga quindi il comma 1-bis della norma vigente, che, introdotto in sede di conversione del DL Cura Italia, aveva dettato un regime separato per le notifiche a mezzo posta di atti giudiziari.
Si ricorda più nel dettaglio che il comma 1-bis qui oggetto di abrogazione prevedeva che per lo svolgimento dei servizi di notificazione a mezzo posta, di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890, e all'articolo 201 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, gli operatori postali procedessero alla consegna delle suddette notificazioni con la procedura ordinaria di firma di cui all'articolo 7 della legge 20 novembre 1982, n. 890, oppure con il deposito in cassetta postale dell'avviso di arrivo della raccomandata o altro atto che necessita di firma per la consegna. Il ritiro avviene secondo le indicazioni previste nell'avviso di ricevimento. La compiuta giacenza presso gli uffici postali inizia a decorrere dal 30 aprile 2020. I termini sostanziali di decadenza e prescrizione di cui alle raccomandate con ricevuta di ritorno inviate nel periodo in esame venivano peraltro sospesi sino alla cessazione dello stato di emergenza.
La relazione illustrativa evidenzia come la norma è volta in particolare a riscrivere la norma in materia di svolgimento del servizio postale per gli atti giudiziari, in quanto con le modifiche apportate all’articolo 108 del decreto-legge Cura Italia, in materia di misure urgenti per lo svolgimento del servizio postale, si era previsto un regime autonomo di modalità di svolgimento del servizio postale per le notificazioni a mezzo posta di atti giudiziari e di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, evidenziando al riguardo la Relazione che l’introduzione di un doppio regime, alternativo e non vincolato, con profili non corretti sul piano operativo, non pare compatibile con l’intento cautelativo e di tutela voluto dalla norma, cosicché la normativa viene ora riportata alla formulazione anteriore alle modifiche apportate al Cura Italia.
In ordine alle notificazioni a mezzo posta degli atti giudiziari, si ricorda che all’articolo 8 della L. n. 890 del 1982 che riguarda i casi in cui le persone abilitate a ricevere il piego in luogo del destinatario rifiutano di riceverlo, ovvero quelli in cui l’operatore postale non può recapitarlo per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, si dettano modalità volte a garantire la conoscibilità della notificazione.
Più nel dettaglio, la legge n. 890 del 1982 reca Notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari. L'articolo 8 della legge in parola disciplina la fattispecie in cui le persone abilitate a ricevere il piego in luogo del destinatario rifiutano di riceverlo, ovvero se l'operatore postale non può recapitarlo per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, prevedendo che il piego è depositato entro due giorni lavorativi dal giorno del tentativo di notifica presso il punto di deposito più vicino al destinatario (co. 1 dell'art. 8 richiamato). Segnatamente, il comma 5 prevede che la notificazione si ha per eseguita dalla data del ritiro del piego, se anteriore al decorso del termine di dieci giorni di cui al comma 4 del medesimo art. 8. In tal caso, l'impiegato del punto di deposito lo dichiara sull'avviso di ricevimento che, datato e firmato dal destinatario o dal suo incaricato che ne ha curato il ritiro, è, entro due giorni lavorativi, spedito al mittente in raccomandazione. Il comma 6 stabilisce che, trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata, di cui al comma 4, senza che il destinatario o un suo incaricato ne abbia curato il ritiro, l'avviso di ricevimento è, entro due giorni lavorativi, spedito al mittente in raccomandazione con annotazione in calce, sottoscritta dall'operatore postale, della data dell'avvenuto deposito e dei motivi che l'hanno determinato, dell'indicazione 'atto non ritirato entro il termine di dieci giorni' e della data di restituzione. Trascorsi sei mesi dalla data in cui il piego è stato depositato, il piego stesso è restituito al mittente in raccomandazione con annotazione in calce, sottoscritta dall'operatore postale, della data dell'avvenuto deposito e dei motivi che l'hanno determinato, dell'indicazione 'non ritirato entro il termine di sei mesi' e della data di restituzione. Qualora la data delle eseguite formalità manchi sull'avviso di ricevimento o sia, comunque, incerta, la notificazione si ha per eseguita alla data risultante da quanto riportato sull'avviso stesso. Infine, stabilisce il comma 7 che, fermi i termini sopra indicati, l'operatore postale può consentire al destinatario di effettuare il ritiro digitale dell'atto non recapitato assicurando l'identificazione del consegnatario ed il rilascio da parte di quest'ultimo di un documento informatico recante una firma equipollente a quella autografa. Si ricorda che il comma 4 di tale articolo 8 prevede che del tentativo di notifica del piego e del suo deposito è data notizia al destinatario, a cura dell'operatore postale, mediante avviso in busta chiusa a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento che, in caso di assenza del destinatario, deve essere affisso alla porta d'ingresso oppure immesso nella cassetta della corrispondenza dell'abitazione, dell'ufficio o dell'azienda. L'avviso deve contenere l'indicazione del soggetto che ha richiesto la notifica e del suo eventuale difensore, dell'ufficiale giudiziario al quale la notifica è stata richiesta e del numero di registro cronologico corrispondente, della data di deposito e dell'indirizzo del punto di deposito, nonché l'espresso invito al destinatario a provvedere al ricevimento del piego a lui destinato mediante ritiro dello stesso entro il termine massimo di sei mesi, con l'avvertimento che la notificazione si ha comunque per eseguita trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al periodo precedente e che, decorso inutilmente anche il predetto termine di sei mesi, l'atto sarà restituito al mittente.
Con sentenza 22-23 settembre 1998, n. 346 (Gazz. Uff. 30 settembre 1998, n. 39, Serie speciale), la Corte costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, secondo comma, nella parte in cui non prevedeva che, in caso di rifiuto di ricevere il piego o di firmare il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla ricezione ovvero in caso di mancato recapito per temporanea assenza del destinatario o per mancanza, inidoneità o assenza delle persone sopra menzionate, del compimento delle formalità descritte e del deposito del piego fosse data notizia al destinatario medesimo con raccomandata con avviso di ricevimento; con la stessa sentenza la Corte aveva ancora dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, terzo comma, nella parte in cui prevedeva che il piego fosse restituito al mittente, in caso di mancato ritiro da parte del destinatario, dopo dieci giorni dal deposito presso l'ufficio postale. La disciplina dettata dalla legge n. 890 del 1982 è stata oggetto di successive modifiche (si veda da ultimo l'art. 1, comma 813, lett. d), L. 30 dicembre 2018, n. 145, legge di bilancio 2019).
Si ricorda altresì che sul ritiro digitale è intervenuto il provvedimento dell'Autorità garante nelle comunicazioni recato con delibera 2018/77/Cons, con la quale è stato emanato il regolamento per il rilascio delle licenze per svolgere il servizio di notificazione a mezzo posta di atti giudiziari e comunicazioni connesse e di violazioni del codice della strada.
Articolo 51
(Proroga dei termini dei programmi di esecuzione delle procedure di amministrazione straordinaria)
L'articolo 51 proroga di sei mesi i termini di esecuzione dei programmi aventi scadenza successiva al 23 febbraio 2020 e già autorizzati dal MISE, di talune società ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria, anche qualora essi siano stati già prorogati ai sensi delle vigenti disposizioni sull'esecuzione dei programmi di risanamento o di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa.
Si tratta in particolare delle imprese soggette alle disposizioni sul fallimento (ora liquidazione giudiziale) in stato di insolvenza che si sono avvalse della procedura di ristrutturazione economica e finanziaria ovvero del programma di cessione dei complessi aziendali, aventi, singolarmente o, come gruppo di imprese costituito da almeno un anno, entrambi i seguenti requisiti: lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, non inferiori a cinquecento da almeno un anno; debiti, inclusi quelli derivanti da garanzie rilasciate, per un ammontare complessivo non inferiore a trecento milioni di euro.
Il suddetto regime di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria è stato dettato dall'articolo 1 del D.L. n. 347/2003 (L. n. 39/2004).
Si ricorda, inoltre, riguardo alla possibilità di proroga del termine di esecuzione del programma di risanamento o di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa, che, ai sensi ai sensi dell’articolo 4, commi 4-ter e 4-septies del medesimo D.L. n. 347 del 2003, nel caso in cui al termine di scadenza il programma risulti eseguito solo in parte, in ragione della particolare complessità delle operazioni attinenti alla ristrutturazione o alla cessione a terzi dei complessi aziendali e delle difficoltà connesse alla definizione dei problemi occupazionali, il Ministro dello sviluppo economico, su istanza del commissario straordinario, sentito il comitato di sorveglianza, può disporre la proroga del termine di esecuzione del programma per un massimo di dodici mesi (co. 4-ter).
Per le procedure il cui programma risulti già prorogato ai sensi del comma 4-ter e che, in ragione della loro particolare complessità, non possano essere definite entro il termine indicato al suddetto comma, il Ministro dello sviluppo economico può disporre con le medesime modalità un'ulteriore proroga del termine di esecuzione del programma per un massimo di 12 mesi, o per un massimo di 24 mesi nel caso in cui, essendo stato autorizzato un programma di cessione dei complessi aziendali, tale cessione non sia ancora realizzata, in tutto o in parte, e risulti, sulla base di una specifica relazione del commissario straordinario, l'utile prosecuzione dell'esercizio d'impresa (co. 4-septies).
Ai sensi dell'art. 1 del d.lgs. n. 270/1999 (Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza), l'amministrazione straordinaria è la procedura concorsuale della grande impresa commerciale insolvente, con finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali.
Infine, l’articolo 27 dello stesso d.lgs. 270 prevede, al co. 1, che le imprese dichiarate insolventi sono ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria qualora presentino concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali.
Il co. 2 prescrive che tale risultato deve potersi realizzare, in via alternativa: a) tramite la cessione dei complessi aziendali, sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno ("programma di cessione dei complessi aziendali"); b) tramite la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa, sulla base di un programma di risanamento di durata non superiore a due anni ("programma di ristrutturazione"); b-bis) per le società operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali anche tramite la cessione di complessi di beni e contratti sulla base di un programma di prosecuzione dell'esercizio dell'impresa di durata non superiore ad un anno ("programma di cessione dei complessi di beni e contratti").
Articolo 82
(Reddito di emergenza)
L’articolo 82 istituisce il Reddito di emergenza (Rem), un sostegno straordinario al reddito rivolto ai nuclei familiari in condizione di necessità economica che, nel periodo emergenziale da COVID-19, non hanno avuto accesso alle altre misure di sostegno previste dal Decreto Cura Italia. Le domande di accesso al Rem devono essere presentate entro il mese di giugno 2020. Il beneficio è corrisposto in due quote (ovvero può essere erogato per due volte); l’importo di ciascuna quota è compreso fra 400 e 800 euro, a seconda della numerosità del nucleo familiare e della presenza di componenti disabili gravi o non autosufficienti (in questo ultimo caso fino a 840 euro).
Il Rem è riconosciuto ai nuclei familiari residenti in Italia se in possesso dei seguenti requisiti:
§ un reddito familiare nel mese di aprile 2020 inferiore al beneficio Rem;
§ un valore ISEE inferiore a 15.000 euro;
§ un valore del patrimonio mobiliare familiare riferito al 2019 inferiore a una soglia di euro 10.000, accresciuta di 5.000 euro per ogni componente successivo al primo e fino ad un massimo di 20.000 euro. Il massimale è incrementato di 5.000 euro in caso di presenza nel nucleo familiare di un componente disabile o non autosufficiente.
Il Rem non è compatibile con la presenza nel nucleo familiare di:
§ titolari di pensioni dirette o indirette, ad eccezione dell’assegno ordinario di invalidità;
§ titolari di rapporto di lavoro dipendente la cui retribuzione lorda sia superiore alla quota Rem;
§ percettori di Reddito di cittadinanza
Il Rem è riconosciuto ed erogato dall’INPS previa richiesta tramite modello di domanda predisposto e presentato secondo le modalità stabilite dall’Istituto.
L’autorizzazione di spesa per l’erogazione del Rem è pari a 954,6 milioni di euro per il 2020, da iscrivere su apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali denominato “Fondo per il Reddito di emergenza”. L'INPS provvede al monitoraggio della misura. In caso di scostamenti dal limite di spesa autorizzato, non sono adottati altri provvedimenti concessori.
Per gli oneri connessi alla stipula della convenzione con i centri di assistenza fiscale per la presentazione della richiesta del Rem è autorizzata la spesa di 5 milioni di euro.
Alla totalità degli oneri, pari a 959,6 milioni si provvede ai sensi dell’art. 265.
L’articolo 82, al comma 1, istituisce il Reddito di emergenza (Rem), un sostegno straordinario al reddito rivolto ai nuclei familiari in condizione di necessità economica a causa dell’emergenza epidemiologica, che non hanno avuto accesso alle misure di sostegno previste a tal fine dal Decreto Cura Italia (decreto legge 18/2020). Le domande di accesso al Rem devono essere presentate entro il mese di giugno 2020. Il beneficio è corrisposto in due quote (ovvero può essere erogato per due volte), ciascuna delle quali compresa fra 400 e 800 euro, a seconda della numerosità del nucleo familiare e della presenza di componenti disabili o non autosufficienti (in quest’ultimo caso fino a 840 euro).
La RT al provvedimento stima la platea dei beneficiari del REM in circa 867.600 nuclei familiari, per un totale di 2.016.400 persone coinvolte.
Più precisamente, ai sensi del comma 5, tale quota è determinata da un ammontare pari a 400 euro, moltiplicato per il parametro della scala di equivalenza applicata per l’accesso al Reddito di cittadinanza - RdC (di cui all’art. 2, co. 4, del decreto legge 4/2019 istitutivo del Reddito di cittadinanza - RDC) fino ad un massimo di 2, corrispondente a 800 euro, ovvero fino ad un massimo di 2,1, corrispondente a 840 euro, nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti in condizione di disabilità grave o non autosufficienza, come definite ai fini ISEE[1].
A fini comparativi, per un approfondimento sulla determinazione del beneficio economico RdC, si rinvia al seguente documento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Ai sensi del comma 6 non hanno diritto al Rem:
§ i soggetti che si trovano in stato detentivo, per tutta la durata della pena. Dalla formulazione della disposizione, si tratta di condannati in via definitiva che si trovano in carcere in esecuzione della pena inflitta. L’esclusione dal Rem non opera per i detenuti in stato di custodia cautelare, e dunque in attesa di giudizio;
§ coloro che sono ricoverati in istituti di cura di lunga degenza o altre strutture residenziali a totale carico dello Stato o di altra amministrazione pubblica.
Nel caso in cui il nucleo familiare beneficiario abbia tra i suoi componenti tali soggetti, il parametro della scala di equivalenza, non ne tiene conto.
A differenza del parametro della scala di equivalenza ISEE (qui la tabella prospettica a cura dell’INPS), molto articolato e nel quale si riconosce un peso maggiore alle famiglie numerose con figli minori, il parametro della scala di equivalenza RdC, come definito dall’art. 2, comma 4, del decreto legge 4/2019 istitutivo del Reddito di cittadinanza (RdC), favorisce i nuclei familiari in cui sono presenti più adulti.
Nel dettaglio, il parametro della scala di equivalenza RdC è pari ad 1 per il primo componente del nucleo familiare, è incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente maggiorenne e di 0,2 per ogni ulteriore componente minorenne, fino ad un massimo di 2,1, ovvero fino ad un massimo di 2,2 nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza. La scala di equivalenza applicata per il RdC non tiene conto dei soggetti che si trovano in stato detentivo o sono ricoverati in istituti di cura di lunga degenza o in altre strutture residenziali a totale carico dello Stato o di altra P.A., né dei componenti del nucleo familiare disoccupati a seguito di dimissioni volontarie (nei 12 mesi successivi alla data delle dimissioni), fatte salve le dimissioni per giusta causa, ne? dei componenti sottoposti a misura cautelare personale, nonché a condanna definitiva, intervenuta nei 10 anni precedenti la richiesta, per i delitti previsti dai seguenti articoli del Codice penale: 270-bis (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico), 280 (Attentato per finalità terroristiche o di eversione), 289-bis (Attentato contro organi costituzionali e contro le assemblee regionali), 416-bis (Associazione di tipo mafioso), 416-ter (Scambio elettorale politico-mafioso), 422 (Strage) e 640-bis (Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche).
Il Monitoraggio Caritas su emergenza COVID -19, condotto dal 9 al 24 aprile 2020 in 101 Centri Caritas, registra, rispetto al periodo pre-emergenza, il raddoppio delle persone che per la prima volta si rivolgono ai Centri di ascolto e ai servizi delle Caritas diocesane. Cresce la richiesta di beni di prima necessita?, cibo, viveri e pasti a domicilio, empori solidali, mense, vestiario, ma anche la domanda di aiuti economici per il pagamento delle bollette, degli affitti e delle spese per la gestione della casa. Nel contempo, aumenta il bisogno di ascolto, sostegno psicologico, di compagnia e di orientamento per le pratiche burocratiche legate alle misure di sostegno e di lavoro.
La Caritas, con Alleanza per la povertà di cui fa parte, si è fatta portatrice sin dall’inizio dell’epidemia della necessità di introdurre il Reddito di Emergenza a tutela delle fasce più deboli della popolazione. L’Alleanza ha pubblicato un documento in cui sintetizza le misure, che a suo parere, dovrebbero essere adottate nella "fase 2", tra cui: il riequilibrio degli importi del beneficio tra le famiglie proprietarie di abitazione e le famiglie con minori e più numerose; lo sviluppo di analisi preliminari per indirizzare al meglio i beneficiari nei percorsi di inclusione socio-lavorativa; il rafforzamento dei servizi sociali. L'Alleanza ricorda infine la necessità di assumere provvedimenti concreti per i senza fissa dimora.
Oltre alla proposta dell’Alleanza per la povertà, si segnala sinteticamente la proposta operativa formulata da Forum Disuguaglianze e Diversità (ForumDD) e Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS). La proposta, presentata come integrativa alle misure già introdotte dal Decreto "Cura Italia", prevede l’adozione di due misure: il SEA e il REM. Il Sostegno di Emergenza per il Lavoro Autonomo (SEA) sostituisce il bonus di 600 euro una tantum per gli autonomi. L'importo del SEA non è in somma fissa indistinta, come nella suddetta misura, bensì cambia in base alle diverse situazioni. Il suo obiettivo principale consiste nel sostenere chi è in più grave difficoltà: pertanto l'ammontare del contributo è determinato in modo progressivo secondo le condizioni economiche del nucleo del lavoratore autonomo. Il SEA punta, inoltre, a mantenere la capacità produttiva del lavoro autonomo. Dunque, il suo valore è parametrato anche alla perdita di guadagno (in proporzione al volume abituale di attività), così da supportare in modo equo chi è stato maggiormente colpito. Il Reddito di Cittadinanza per l'Emergenza (REM) utilizza i dispositivi del Reddito di Cittadinanza e lo sostituisce per i nuovi richiedenti per il periodo di vigenza. Rispetto al Reddito di Cittadinanza sono previsti: informazione automatica agli aventi diritto; drastica semplificazione della documentazione necessaria per beneficiare della misura; velocizzazione delle procedure per l'erogazione del trasferimento; modifica dei vincoli di accesso legati al patrimonio mobiliare e immobiliare; allentamento temporaneo delle sanzioni legate alla condizione di lavoro irregolare e altro.
Ai sensi del comma 2, il Rem è riconosciuto ai nuclei familiari in possesso, cumulativamente, al momento della domanda, dei seguenti requisiti:
a) residenza in Italia, verificata con riferimento al componente richiedente il beneficio;
b) un valore del reddito familiare, nel mese di aprile 2020, inferiore al beneficio Rem;
c) un valore del patrimonio mobiliare familiare con riferimento all’anno 2019 inferiore a una soglia di euro 10.000, accresciuta di euro 5.000 per ogni componente successivo al primo e fino ad un massimo di euro 20.000. Il massimale è incrementato di 5.000 euro in caso di presenza nel nucleo familiare di un componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza come definite ai fini dell’ISEE[2] (di cui al D.p.c.m. 159/2013).
Ai fini di una comparazione con il Reddito di cittadinanza, si ricorda che per l’accesso al RdC il valore del patrimonio mobiliare è il seguente:
- un valore del patrimonio mobiliare, come definito a fini ISEE, non superiore a una soglia di 6.000 euro, accresciuta di 2.000 euro per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10.000 euro, incrementato di ulteriori 1.000 euro per ogni figlio successivo al secondo; le predette soglie sono ulteriormente incrementate di 5.000 euro per ogni componente con disabilita? media, così come definita a fini ISEE, presente nel nucleo e di 7.500 euro per ogni componente in condizione di disabilita? grave o di non autosufficienza.
A partire dal 1° gennaio 2020, ai sensi dell'art. 4-sexies del Decreto Crescita (decreto legge 34/2019), l’anno di riferimento per calcolare il patrimonio mobiliare ed immobiliare a fini ISEE è divenuto il secondo anno precedente alla data di presentazione della DSU. Resta ferma la possibilità di aggiornare i dati prendendo a riferimento i redditi e i patrimoni dell'anno precedente, qualora vi sia convenienza per il nucleo familiare, mediante modalità estensive dell'ISEE corrente.
d) un valore ISEE inferiore a 15.000 euro;
Sempre a fini comparativi, si ricorda che per l’accesso al RdC è richiesto un valore del reddito familiare inferiore ad una soglia di 6.000 euro annui, moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza ai fini Rdc. In ogni caso, la soglia e? incrementata a 9.360 euro nei casi in cui il nucleo familiare risieda in abitazione in locazione.
Il comma 3 elenca le incompatibilità tra Rem e ulteriori indennità. Più precisamente, il Rem non è compatibile con la presenza nel nucleo familiare di componenti che percepiscono o hanno percepito una delle seguenti indennità:
- le indennità per alcune categorie di lavoratori introdotte dagli articoli 27, 28, 29, 30 e 38 del decreto legge 18/2020 (c.d. Cura Italia);
Gli articoli da 27 a 30 e l’articolo 38 del Cura Italia riconoscono, in favore di alcune categorie di lavoratori colpite dalla sospensione o riduzione dell’attività lavorativa disposta in ragione dell’emergenza epidemiologica, un’indennità per il mese di marzo 2020, pari a 600 euro. Il beneficio può riguardare, a determinate condizioni: i liberi professionisti (titolari di partita IVA) iscritti alla cosiddetta Gestione separata INPS ed i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa iscritti alla medesima Gestione (articolo 27); i lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali dell’INPS (relative agli artigiani, agli esercenti attività commerciali ed ai coltivatori diretti, mezzadri, coloni e imprenditori agricoli professionali) (articolo 28); i lavoratori dipendenti stagionali dei settori del turismo e degli stabilimenti termali (articolo 29); gli operai agricoli a tempo determinato (articolo 30); i lavoratori dello spettacolo (articolo 38). Tali indennità - ai sensi dell’art. 31 - non sono cumulabili e non spettano qualora il soggetto sia titolare del Reddito di cittadinanza
- una delle indennità rivolte ai lavoratori dipendenti e autonomi in attuazione dell’articolo 44 del decreto legge 18/2020;
L’articolo 44 istituisce il Fondo per il reddito di ultima istanza, volto a garantire misure di sostegno al reddito per i lavoratori dipendenti e autonomi che, in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID 19 hanno cessato, ridotto o sospeso la loro attività o il loro rapporto di lavoro.
- una delle indennità di cui agli articoli 84 (Nuove indennità per i lavoratori danneggiati dall’emergenza epidemiologica da COVID-1) e 85 (Indennità per i lavoratori domestici) del decreto in esame (alle cui schede si rinvia).
Si osserva che l’art. 98 del decreto in esame riconosce una indennità in favore dei lavoratori dello sport, che, ai sensi dello stesso art. 98 (alla cui scheda si rinvia), non è cumulabile con il Reddito di cittadinanza e il Reddito di emergenza. Andrebbe pertanto aggiunto l’art. 98 all’elenco delle incompatibilità.
Il Rem non è altresì compatibile con la presenza nel nucleo familiare di componenti che siano al momento della domanda in una delle seguenti condizioni:
a) essere titolari di pensione diretta o indiretta ad eccezione dell’assegno ordinario di invalidità;
b) essere titolari di un rapporto di lavoro dipendente la cui retribuzione lorda sia superiore al Rem (come determinata dal comma 5);
c) essere percettori di reddito di cittadinanza, ovvero di misure aventi finalità analoghe adottate e finanziate dalle Province autonome di Trento e Bolzano secondo i propri ordinamenti, e comunicate al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, affinché le stesse non siano computate ai fini dell'accesso, della quantificazione e del mantenimento del Rdc (misure di cui all’art. 13, comma 2, del medesimo decreto legge 4/2019 istitutivo del RdC).
Il comma 4 specifica che, ai fini dell’accesso e della determinazione dell’ammontare del Rem:
a) il nucleo familiare è definito ai sensi dell’art. 3 del D.p.c.m. 159/2013;
Ai sensi dell’art. 3 del D.P.C.M 159/2013 Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), il nucleo familiare del richiedente è costituito dai soggetti componenti la famiglia anagrafica alla data di presentazione della DSU. Salvo casi particolari, i coniugi ed i figli minori, anche se non conviventi, fanno parte dello stesso nucleo, a questi soggetti devono essere aggiunte le altre persone presenti sullo stato di famiglia. Gli unici altri soggetti non inclusi nello stato di famiglia che possono essere ordinariamente aggregati sono i figli maggiorenni di eta? inferiore a 26 anni, non conviventi se a carico fiscale dei genitori, se non sono coniugati e non hanno figli.
Più in particolare:
§ i coniugi fanno parte dello stesso nucleo familiare anche in caso di diversa residenza anagrafica; appartengono a due nuclei familiari diversi solo nelle seguenti ipotesi: separazione legale, divorzio, nullità del matrimonio, decadenza della potestà genitoriale, allontanamento dalla residenza familiare, provvedimenti temporanei e urgenti del giudice che consentono la diversa residenza.
§ il figlio minore fa parte del nucleo familiare del genitore con il quale convive. Il minore che si trovi in affidamento preadottivo fa parte del nucleo familiare dell'affidatario, ancorché risulti nella famiglia anagrafica del genitore. Il minore in affidamento temporaneo (ai sensi dell'art. 2 della legge 184/1983), è considerato nucleo familiare a sé stante, fatta salva la facoltà del genitore affidatario di considerarlo parte del proprio nucleo familiare. Il minore in affidamento e collocato presso comunità è considerato nucleo familiare a sé stante.
§ il figlio maggiorenne non convivente con i genitori e a loro carico ai fini IRPEF, nel caso non sia coniugato e non abbia figli, fa parte del nucleo familiare dei genitori. Nel caso i genitori appartengano a nuclei familiari distinti, il figlio maggiorenne, se a carico di entrambi, fa parte del nucleo familiare di uno dei genitori, da lui identificato.
§ il soggetto che si trova in convivenza anagrafica ai sensi del D.P.R. 223/1989 è considerato nucleo familiare a sé stante.
Si ricorda che il Messaggio INPS n. 1608 del 14 aprile 2020, in ottemperanza a quanto stabilito dall’art. 34 del decreto legge 18/2020, sospende, fino al prossimo 1° giugno (a partire dal 23 febbraio) gli obblighi di comunicazione delle variazioni relative al nucleo familiare, all’attività lavorativa e al patrimonio. Ricordiamo a questo proposito che ai sensi del decreto legge 4/2019, in caso di variazione del nucleo familiare rispetto a quanto dichiarato ai fini Isee, i nuclei sono tenuti a comunicare la variazione, entro due mesi dal verificarsi della stessa, pena la decadenza dal beneficio.
b) il reddito familiare è inclusivo di tutte le componenti di cui all’articolo 4, comma 2, del D.pc.m. 159/2013 ed è riferito al mese di aprile 2020 secondo il principio di cassa;
L’art. 4, comma 2, del D.P.C.M. 2 stabilisce che il reddito di ciascun componente il nucleo familiare è ottenuto sommando le seguenti componenti:
a) reddito complessivo ai fini IRPEF;
b) redditi soggetti a imposta sostitutiva o a ritenuta a titolo d'imposta;
c) ogni altra componente reddituale esente da imposta, nonché i redditi da lavoro dipendente prestato all'estero tassati esclusivamente nello stato estero in base alle vigenti convenzioni contro le doppie imposizioni;
d) i proventi derivanti da attività agricole, svolte anche in forma associata, per le quali sussiste l'obbligo alla presentazione della dichiarazione IVA; a tal fine va assunta la base imponibile determinata ai fini dell'IRAP, al netto dei costi del personale a qualunque titolo utilizzato;
e) assegni per il mantenimento di figli effettivamente percepiti;
f) trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche, laddove non siano già inclusi nel reddito complessivo a fini IRPEF;
g) redditi fondiari relativi ai beni non locati soggetti alla disciplina dell'IMU. A tal fine i redditi dei fabbricati si assumono rivalutando la rendita catastale del 5 per cento e i redditi dei terreni si assumono rivalutando il reddito dominicale e il reddito agrario, rispettivamente, dell'80 per cento e del 70 per cento. Nell'importo devono essere considerati i redditi relativi agli immobili all'estero non locati soggetti alla disciplina dell'imposta sul valore degli immobili situati all'estero di cui al comma 15 dell'art. 19 del decreto 201/2011, non indicati nel reddito complessivo a fini IRPEF, assumendo la base imponibile determinata ai sensi dell'art. 70, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 917/1986;
h) il reddito figurativo delle attività finanziarie, determinato applicando al patrimonio mobiliare complessivo del nucleo familiare;
i) il reddito lordo dichiarato ai fini fiscali nel paese di residenza da parte degli appartenenti al nucleo iscritti nelle anagrafi dei cittadini italiani residenti all'estero (AIRE).
c) il patrimonio mobiliare definito ai sensi dell’art. 5, comma 4, del D.p.c.m. 159/2013.
Con il termine patrimonio mobiliare si intende la somma dei saldi - al 31 dicembre dell’anno precedente alla presentazione della DSU- di vari titoli. Nello specifico, per calcolare il valore del patrimonio mobiliare si devono prendere in considerazione i saldi dei seguenti titoli:
a) depositi e conti correnti bancari e postali, per i quali va assunto il valore del saldo contabile attivo, al lordo degli interessi, al 31 dicembre dell'anno precedente a quello di presentazione della DSU, ovvero, se superiore, il valore della consistenza media annua riferita al medesimo anno. Tale principio trova un’eccezione nel caso di acquisti immobiliari o incrementi di altre componenti mobiliari consentendo al richiedente di considerare il saldo al 31 dicembre anche se inferiore alla consistenza media;
b) titoli di Stato ed equiparati, obbligazioni, certificati di deposito e credito, buoni fruttiferi ed assimilati, per i quali va assunto il valore nominale delle consistenze alla data del 31 dicembre dell'anno precedente a quello di presentazione della DSU;
c) azioni o quote di organismi di investimento collettivo di risparmio (O.I.C.R.) italiani o esteri, per le quali va assunto il valore risultante dall'ultimo prospetto redatto dalla società di gestione alla data del 31 dicembre dell'anno precedente a quello di presentazione della DSU;
d) partecipazioni azionarie in società italiane ed estere quotate in mercati regolamentati, per le quali va assunto il valore rilevato alla data del 31 dicembre dell'anno precedente a quello di presentazione della DSU, ovvero, in mancanza, nel giorno antecedente più prossimo;
e) partecipazioni azionarie in società non quotate in mercati regolamentati e partecipazioni in società non azionarie, per le quali va assunto il valore della frazione del patrimonio netto, determinato sulla base delle risultanze dell'ultimo bilancio approvato anteriormente alla data di presentazione della DSU, ovvero, in caso di esonero dall'obbligo di redazione del bilancio, determinato dalla somma delle rimanenze finali e dal costo complessivo dei beni ammortizzabili, al netto dei relativi ammortamenti, nonché degli altri cespiti o beni patrimoniali;
f) masse patrimoniali, costituite da somme di denaro o beni non relativi all'impresa, affidate in gestione ad un soggetto abilitato, per le quali va assunto il valore delle consistenze risultanti dall'ultimo rendiconto predisposto, secondo i criteri stabiliti dai regolamenti emanati dalla Commissione nazionale per le società e la borsa, dal gestore del patrimonio anteriormente alla data di cui alla lettera b);
g) altri strumenti e rapporti finanziari per i quali va assunto il valore corrente alla data del 31 dicembre dell'anno precedente a quello di presentazione della DSU, nonché contratti di assicurazione a capitalizzazione o mista sulla vita e di capitalizzazione per i quali va assunto l'importo dei premi complessivamente versati a tale ultima data, al netto degli eventuali riscatti, ivi comprese le polizze a premio unico anticipato per tutta la durata del contratto per le quali va assunto l'importo del premio versato; sono esclusi i contratti di assicurazione mista sulla vita per i quali alla medesima data non è esercitabile il diritto di riscatto;
h) il valore del patrimonio netto per le imprese individuali in contabilità ordinaria, ovvero il valore delle rimanenze finali e del costo dei beni ammortizzabili per le imprese individuali in contabilità semplificata.
Dal valore del patrimonio mobiliare si detrae, fino a concorrenza, una franchigia pari a 6.000 euro, accresciuta di 2.000 euro per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10.000 euro. La predetta soglia è incrementata di 1.000 euro per ogni figlio componente il nucleo familiare successivo al secondo.
Ai sensi del comma 7, il Rem è riconosciuto ed erogato dall’INPS previa richiesta tramite modello di domanda predisposto dall’INPS, presentato secondo le modalità stabilite dall’Istituto.
Le richieste Rem possono essere presentate presso:
§ i centri di assistenza fiscale (di cui all'art. 32 del D.Lgs. 241/1997), previa stipula di una convenzione con l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS);
§ gli istituti di patronato (di cui alla legge 152/2001). Alla relativa pratica si applica il medesimo punteggio concernente le pratiche inerenti gli assegni sociali (valutate come al numero 8 della tabella D allegata al decreto 10 ottobre 2008, n. 193).
Come per tutte le richieste di prestazione all’Istituto, il Messaggio Inps n. 1681 del 20 aprile 2020 ha ampliato le modalità di presentazione delle domande per il Reddito e la Pensione di Cittadinanza anche alla modalità online attraverso autenticazione con PIN dispositivo, SPID, Carta Nazionale dei Servizi e Carta di Identità Elettronica.
Il comma 8, ai fini della verifica del possesso dei requisiti relativi al patrimonio mobiliare (di cui al comma 2, lettera c), chiarisce che l’INPS e l’Agenzia delle entrate possono scambiare i dati relativi ai saldi e alle giacenze medie del patrimonio mobiliare dei componenti il nucleo familiare nelle modalità previste ai fini ISEE (comunicate ai sensi dell’art. 7, sesto comma, del D.P.R. 605/1973, e dell’art. 11, comma 2, del decreto legge 201/2011).
Ai sensi del combinato disposto dell’art. 7, sesto comma, del D.P.R. 605/1973 e dell’art. 11, comma 2, del decreto legge 201/2011, dal 1° gennaio 2012, le banche, Poste italiane Spa, gli intermediari finanziari, le imprese di investimento, gli organismi di investimento collettivo del risparmio, le società di gestione del risparmio, nonché ogni altro operatore finanziario sono obbligati a comunicare periodicamente all'anagrafe tributaria i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di ogni soggetto che intrattenga con loro qualsiasi rapporto o effettui, per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi, qualsiasi operazione di natura finanziaria ad esclusione di quelle effettuate tramite bollettino di conto corrente postale per un importo unitario inferiore a 1.500 euro. L'esistenza dei rapporti e di qualsiasi operazione sopra indicata, compiuta al di fuori di un rapporto continuativo, nonché la natura degli stessi, sono comunicate all'anagrafe tributaria, ed archiviate in apposita sezione, con l'indicazione del codice fiscale e dei dati anagrafici dei titolari e dei soggetti che intrattengono con gli operatori finanziari qualsiasi rapporto o effettuano operazioni al di fuori di un rapporto continuativo per conto proprio ovvero per conto o a nome di terzi.
Si ricorda infine che, al fine di agevolare l’utente nell’inserimento dei dati utili al calcolo dell’ISEE, l’art. 10, comma 1, del D.Lgs 147/2017 ha introdotto la Dichiarazione Sostitutiva Unica precompilata, caratterizzata dalla coesistenza fra dati autodichiarati e dati forniti dall’Agenzia delle Entrate e dall’INPS (cd. dati precompilati). Successivamente, il Decreto 9 agosto 2019 ha disciplinato l’accesso alla DSU precompilata, le componenti della DSU precompilata che continuano ad essere autodichiarate, nonché le omissioni o difformità rispetto al patrimonio mobiliare dichiarato. Il medesimo decreto ministeriale ha previsto, a decorrere dal mese di gennaio 2020, un periodo di sperimentazione nel quale la DSU precompilata e? resa accessibile soltanto ai nuclei familiari che presentino una DSU all’INPS in modalità web sul portale dell’INPS. Inoltre, a decorrere dal 1° gennaio 2020, il controllo del patrimonio mobiliare sia per la DSU non precompilata che per quella precompilata (in caso di modifiche dei dati del patrimonio mobiliare precompilati) riguarda le informazioni relative al saldo e alla giacenza dei rapporti posseduti. In particolare, è oggetto di controllo il valore del patrimonio mobiliare complessivo del nucleo e, qualora siano rilevate delle omissioni o difformità, queste devono essere riportate, nella sezione delle annotazioni dell’attestazione ISEE (per un approfondimento Dichiarazione ISEE precompilata si rinvia al Messaggio INPS n. 96 del 13 gennaio 2020).
Nel caso in cui in esito a verifiche e controlli emerga il mancato possesso dei requisiti, il Rem è immediatamente revocato, ferma restando la restituzione di quanto indebitamente percepito e le sanzioni previste a legislazione vigente (comma 9).
Il comma 10 reca l’autorizzazione di spesa per l’erogazione del Rem pari a 954,6 milioni di euro per l’anno 2020, da iscrivere su apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali denominato “Fondo per il Reddito di emergenza”. L'INPS provvede al monitoraggio del rispetto del limite di spesa di 954,6 milioni di euro per l’anno 2020 e comunica i risultati di tale attività al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell’economia e delle finanze. Qualora dal predetto monitoraggio emerga il verificarsi di scostamenti, anche in via prospettica, rispetto al predetto limite di spesa, non sono adottati altri provvedimenti concessori.
Per gli oneri connessi alla stipula della convenzione con i centri di assistenza fiscale per la presentazione della richiesta del Rem è autorizzato un limite di spesa pari a 5 milioni di euro.
Il comma 11 stabilisce che, per la copertura degli oneri derivanti dal presente articolo, pari a 959,6 milioni di euro, si provvede ai sensi dell’articolo 265.
L’articolo 103 introduce due forme di regolarizzazione dei lavoratori, italiani e stranieri, impiegati in agricoltura, nella cura della persona e nel lavoro domestico.
Con la prima (di cui al comma 1) i datori di lavoro possono presentare domanda per assumere cittadini stranieri presenti nel territorio nazionale o per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare preesistente con lavoratori italiani o stranieri sottoposti a rilievi foto-dattiloscopici prima dell'8 marzo 2020 o soggiornanti in Italia prima di tale data in base alle attestazioni ivi previste, ai fini della regolarizzazione del rapporto di lavoro.
La seconda (di cui al comma 2) consiste nella concessione di un permesso di soggiorno temporaneo di 6 mesi, valido solo nel territorio nazionale, agli stranieri con permesso di soggiorno scaduto alla data del 31 ottobre 2019 che ne fanno richiesta e che risultino presenti sul territorio nazionale alla data dell'8 marzo 2020 e che abbiano svolto attività di lavoro nei settori di cui al comma 3, prima del 31 ottobre 2019 e sulla base di documentazione riscontrabile dall’Inps. Il permesso temporaneo è convertito in permesso di soggiorno per lavoro se il lavoratore viene assunto.
In entrambi i casi gli stranieri devono risultare presenti nel territorio nazionale ininterrottamente dall’8 marzo 2020.
Le domande, sia quelle di emersione del lavoro, sia quelle di regolarizzazione del permesso di soggiorno, possono essere presentate dal 1° giugno al 15 luglio 2020 previo pagamento di un contributo forfetario.
Le domande di cui al comma 1 sono presentate dal datore di lavoro all’INPS, per i lavoratori italiani e comunitari, o allo sportello unico per l’immigrazione, per i cittadini di Paesi terzi. Le domande per il permesso di soggiorno temporaneo di cui al comma 2 sono presentate dal lavoratore straniero alla questura. Le modalità sono definite con decreto interministeriale.
Sono esclusi dalla regolarizzazione i datori di lavoro e i lavoratori condannati, anche in via non definitiva, per gravi reati tra cui il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la tratta finalizzata alla prostituzione e allo sfruttamento dei minori, il caporalato. Sono esclusi anche i lavoratori interessati da provvedimenti di espulsione per gravi motivi, che risultino segnalati secondo disposizioni fondate su convenzioni internazionali, quelli considerati una minaccia per l’ordine pubblico.
Nel contempo, sono sospesi, fino alla fine della procedura di esame delle istanze, i procedimenti penali e amministrativi connessi con il lavoro irregolare ad eccezione di quelli per gravi reati. Se la procedura si conclude con la sottoscrizione del contratto di lavoro o con la concessione del permesso temporaneo, i reati si considerano estinti, in caso contrario la sospensione cessa.
Vengono inasprite le sanzioni tanto per coloro che, nelle procedure di emersione dei rapporti di lavoro, dichiarano il falso, quanto per coloro che impiegano in modo irregolare i cittadini stranieri che avanzano richiesta del permesso di soggiorno temporaneo.
Inoltre, si autorizza il Ministero dell’interno ad utilizzare, per un periodo massimo di sei mesi, tramite agenzie di somministrazione di lavoro, lavoratori da impiegare nelle procedure di regolarizzazione con il limite massimo di spesa di 30 milioni di euro.
In relazione agli effetti derivanti dall'attuazione della norma in esame, è disposto un incremento del livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre ordinariamente lo Stato.
Infine, si prevede che le Amministrazioni dello Stato e le regioni, anche mediante l’implementazione delle misure previste dal Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020-2022, adottino misure urgenti idonee a garantire la salubrità e la sicurezza delle condizioni alloggiative dei lavoratori, nonché ulteriori interventi di contrasto del lavoro irregolare e del fenomeno del caporalato.
La finalità della regolarizzazione, secondo quanto rappresentato al comma 1, è duplice:
§ garantire livelli adeguati di tutela della salute dei singoli e della collettività intera, in conseguenza della emergenza sanitaria connessa alla diffusione del contagio da Covid 19;
§ favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolari.
La materia delle regolarizzazione dei lavoratori stranieri è stata oggetto di dibattito parlamentare in diverse occasioni; da ultimo nel corso della conversione del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, con l’accoglimento da parte del Governo di un ordine del giorno finalizzato a “prevedere forme di regolarizzazione, anche attraverso un permesso di soggiorno temporaneo per motivi di lavoro, per i cittadini stranieri che possono dimostrare la loro presenza in Italia al fine di rendere ancora più efficaci le azioni di contenimento e contrasto alla diffusione del COVID-19, salvaguardare la salute pubblica e contemporaneamente sostenere sia i comparti produttivi che le famiglie gravemente colpiti dalla carenza di lavoratori disponibili allo svolgimento di tali attività a causa dell'emergenza sanitaria” (Camera dei deputati, seduta del 24 aprile 2020, odg 9/2463/318).
La relazione tecnica allegata al disegno di legge di conversione ipotizza, tenendo presente il dato medio delle due ultime procedure di emersione del 2009 e 2012, che il numero di potenziali domande potrebbe attestarsi a circa 220.000 e potrebbe ripartirsi, secondo un rapporto di 4:1, in 176.000 per il comma 1 e 44.000 per il comma 2.
Ai sensi del comma 1 i datori di lavoro possono presentare istanza per:
§ concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale;
§ dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, in corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri.
Viene specificato che possono presentare istanza le seguenti categorie di datori di lavoro:
§ datori di lavoro italiani;
§ datori di lavoro cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea;
§ datori di lavoro stranieri in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
Ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (TU immigrazione), i cittadini di Paesi terzi, in possesso da almeno 5 anni di un permesso di soggiorno in corso di validità acquistano (purché dimostrino la disponibilità di stabili e regolari risorse economiche e siano coperti da adeguata assicurazione sanitaria) lo status di soggiornante di lungo periodo e hanno diritto, previa richiesta, ad un permesso di soggiorno speciale detto "permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo". Tale status - che è permanente, salva revoca o perdita a date condizioni - reca con sé alcuni diritti, circa la parità di trattamento nell'esercizio di un'attività lavorativa, la tutela contro l'allontanamento, il soggiorno negli altri Stati membri, il ricongiungimento con i familiari.
Per quanto riguarda i lavoratori stranieri interessati alla regolarizzazione, oltre ad appartenere ad uno dei settori di attività indicati al comma 3 (vedi infra), devono aver fatto il loro ingresso in Italia prima dell’8 marzo 2020 e, da allora, non devono aver lasciato il territorio nazionale. Per provare il loro ingresso prima di tale data, la disposizione in esame prevede due possibilità:
§ essere stati sottoposti a rilievi foto-dattiloscopici (impronte digitali e fotografia) prima dell’8 marzo;
§ aver rilasciato prima di tale data la dichiarazione di presenza prescritta per l’ingresso in Italia per brevi periodi (ai sensi della legge 28 maggio 2007, n. 68) o di “attestazioni costituite da documentazioni di data certa proveniente da organismi pubblici”. In proposito, onde evitare incertezze in sede applicativa, si valuti l’opportunità di chiarire maggiormente tale previsione (in parte analoga a quella recata, in precedenza, dal d. lgs. 109 del 2012), considerato che essa costituisce una delle condizioni richieste dalla legge (ad esempio se il riferimento possa intendersi al timbro di ingresso sul passaporto o a quali ulteriori attestazioni “di data certa”).
L’acquisizione dei rilievi fotodattiloscopici (ossia dei rilievi fotografici e delle impronte digitali) dei cittadini stranieri è previsto da diverse disposizioni speciali.
In linea generale, tutti gli stranieri che fanno richiesta del permesso di soggiorno, o ne richiedono il rinnovo, sono sottoposti alla rilevazione dei dati fotodattiloscopici (art. 5, comma 2-bis e 4-bis del TU immigrazione, introdotto dalla L. 189/2002).
Gli stranieri autorizzati al lavoro stagionale ai sensi dell'articolo 24 del testo unico per un periodo non superiore a trenta giorni sono esonerati dall'obbligo di sottoposizione alla rilevazione dei dati fotodattiloscopici (art. 9, comma 5, DPR 394/1999 regolamento di attuazione del TU).
Inoltre, sono sottoposti al rilevamento delle impronte digitali i cittadini stranieri o apolidi di età non inferiore a 14 anni che presentano una domanda di asilo o quando sono fermati dalle competenti autorità a seguito dell'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera italiana in provenienza da un paese terzo e non sia stato respinto (artt. 4 e 8 regolamento (CE) N. 2725/2000 del Consiglio dell'11 dicembre 2000 che istituisce l'«Eurodac»).
In ogni caso, qualunque cittadino straniero può essere sottoposto a rilievi foto-dattiloscopici e segnaletici qualora vi sia motivo di dubitare della sua identità personale (art. 6, comma 4, TU).
In occasione della regolarizzazione del 2002 non era richiesto il requisito dei rilievi fotodattiloscopici (né della dichiarazione di presenza) e si prevedeva che i lavoratori regolarizzati fossero sottoposti ai rilievi fotodattiloscopici non al momento della richiesta del permesso di soggiorno (come prevede in via generale il TU) ma entro un anno dalla data di rilascio del permesso di soggiorno rilasciato a seguito di emersione, e comunque in sede di rinnovo dello stesso (art. 2, comma 3, del decreto legge 195/2002). Anche nella regolarizzazione del 2009 e in quella del 2012 non era richiesta la pregressa avvenuta rilevazione dei dati fotodattiloscopici (D.L. 78/2009 e D.Lgs. 109/2012).
Infine, i cittadini stranieri, come quelli italiani, sono sottoposti ai rilievi fotodattiloscopici qualora ricorrano le condizioni previste dalle norme del procedimento penale.
La legge 68/2007 ha eliminato l’obbligo di richiesta del permesso di soggiorno per i soggiorni di breve durata. Il permesso di soggiorno è stato sostituito con una semplice dichiarazione di presenza per gli stranieri non comunitari che intendono soggiornare in Italia per periodi non superiore a tre mesi per motivi di missione, gara sportiva, visita, affari, turismo, ricerca scientifica e studio.
L’inosservanza dell’obbligo della presentazione della dichiarazione di presenza comporta l’espulsione dello straniero, sia in caso di ritardo nella presentazione della dichiarazione, sia in caso di trattenimento nel territorio dello Stato oltre il periodo consentito.
L’art. 1, comma 2, della citata legge 68 prevede che se lo straniero proviene da un paese extra Schengen, la dichiarazione è presentata all’autorità di frontiera, mentre in caso di provenienza da Paesi dell'area Schengen lo straniero dichiara la sua presenza al questore della provincia in cui si trova.
Puntuali modalità di presentazione della dichiarazione di presenza per soggiorni di breve durata sono state successivamente definite dal decreto del Ministro dell'interno del 26 luglio 2007.
Ai sensi del comma 2, i cittadini stranieri con permesso di soggiorno scaduto al 31 ottobre 2019, non rinnovato o non convertito in altro titolo di soggiorno, possono richiedere un permesso di soggiorno temporaneo della durata di 6 mesi dalla presentazione dell’istanza.
Il permesso di soggiorno è valido solo nel territorio nazionale.
Come per i lavoratori irregolari, anche in questo caso i richiedenti il permesso di soggiorno temporaneo devono risultare presenti sul territorio nazionale continuativamente dalla data dell’8 marzo 2020.
Inoltre, prima del 31 ottobre 2019 devono aver svolto attività di lavoro, nei settori ammessi (di cui al comma 3) comprovata secondo le modalità di cui al comma 16 (vedi oltre) che in particolare richiede la presentazione di idonea documentazione a comprovare l’attività lavorativa svolta nei settori di cui al comma 3 e riscontrabile da parte dell'Ispettorato Nazionale del lavoro.
Si tratta quindi di un permesso di soggiorno ‘per ricerca di lavoro’ in quanto, ai sensi dell’ultimo periodo del comma in esame, se nel corso dei 6 mesi della sua durata, il cittadino è in grado di esibire un contratto di lavoro subordinato oppure la documentazione retributiva e previdenziale comprovante lo svolgimento dell’attività lavorativa in conformità alle previsioni di legge (sempre nei settori ammessi di cui al comma 3), il permesso viene convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
I settori di attività cui si applicano le disposizioni in esame sono:
§ agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse;
§ “assistenza alla persona per se stessi o per componenti della propria famiglia, anche non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza”;
In proposito si valuti l'opportunità di chiarire la locuzione "assistenza alla persona per se stessi".
§ lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.
Si ricorda che l'art. 85 del decreto-legge in esame, che introduce una indennità per lavoro domestico, esclude da tale indennità i soggetti interessati dalle procedure di emersione di rapporti di lavoro di cui all’articolo in esame (comma 3).
Le domande, sia quelle di emersione del lavoro irregolare, sia quelle di regolarizzazione del soggiorno, possono essere presentate dal 1° giugno al 15 luglio 2020 (comma 5).
Variano invece i soggetti a cui vanno presentate le istanze:
§ all’INPS vengono inviate le istanze dei datori di lavoro che riguardano i lavoratori italiani o per i cittadini comunitari;
§ allo sportello unico per l’immigrazione le istanze dei datori di lavoro che riguardano i lavoratori stranieri (di cui al comma 1);
§ alla questura le domande degli stranieri per il rilascio dei permessi di soggiorno temporanei (di cui al comma 2).
La procedura di presentazione delle domande di regolarizzazione è, in gran parte, disciplinata dal provvedimento in esame che, per le disposizioni di dettaglio, fa rinvio all’adozione di un decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ed il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali da adottarsi entro dieci giorni dall'entrata in vigore del presente provvedimento (comma 5).
In particolare, il decreto dovrà stabilire i limiti di reddito del datore di lavoro richiesti per la conclusione del rapporto di lavoro, la documentazione idonea a comprovare l’attività lavorativa per gli stranieri che presentano istanza per il permesso di soggiorno temporaneo (comma 6) e le modalità di svolgimento del procedimento nonché del pagamento del contributo forfetario di cui al comma 7 (vedi infra).
Nelle more della definizione dei procedimenti relativi alla regolarizzazione, la presentazione delle istanze consente lo svolgimento dell’attività lavorativa. Per la regolarizzazione del lavoratore straniero, di cui al comma 1, questi può svolgere l’attività di lavoro esclusivamente alle dipendenze del datore di lavoro che ha presentato l’istanza.
Ai sensi del comma 7 le istanze di regolarizzazione dei lavoratori (di cui al comma 1) sono presentate previo pagamento (con le modalità di cui al decreto del Ministro dell’interno di cui al comma 5) di un contributo forfetario di 500 euro per ciascun lavoratore, a copertura degli oneri connessi all’espletamento della procedura di emersione. È previsto il pagamento di un ulteriore contributo forfetario per le somme dovute dal datore di lavoro a titolo retributivo, contributivo e fiscale, da determinarsi questo con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, con il Ministro dell’interno ed il Ministro delle politiche agricole e forestali.
Per la regolarizzazione del soggiorno (di cui al comma 2) è previsto un contributo di 130 euro al netto dei costi per la presentazione dell’istanza alla questura pari al massimo a 30 euro (si veda il comma 16) che restano comunque a carico dell'interessato.
La destinazione dei contributi è determinata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'interno, con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali (comma 19).
In caso di cessazione del rapporto di lavoro dopo l’emersione, anche per i contratti a carattere stagionale, si prevede l’applicazione della procedura ordinaria prevista dal testo unico dell’immigrazione che concede allo straniero un certo periodo di tempo per la ricerca di una nuova attività lavorativa (comma 4, secondo periodo).
Infatti, la sola perdita del posto di lavoro, anche per dimissioni, non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno del lavoratore extracomunitario il quale può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non inferiore ad un anno ovvero per tutto il periodo di durata della prestazione di sostegno al reddito percepita dal lavoratore straniero, qualora superiore (art. 22, comma 11, D.Lgs. 286/1998).
Per quanto riguarda la regolarizzazione dei lavoratori, di cui al comma 1, da parte del datore di lavoro, questi deve indicare nell’istanza la durata del contratto di lavoro e la retribuzione convenuta, non inferiore a quella prevista dal contratto collettivo di lavoro di settore (comma 4, primo periodo).
L’istanza, come si è visto sopra, è presentata allo sportello unico per l’immigrazione il quale (comma 15):
§ verifica l'ammissibilità della dichiarazione;
§ acquisisce il parere della questura sull'insussistenza di motivi ostativi all'accesso alle procedure o al rilascio del permesso di soggiorno;
§ acquisisce il parere del competente Ispettorato territoriale del lavoro in ordine alla capacità economica del datore di lavoro e alla congruità delle condizioni di lavoro applicate;
§ convoca le parti per la stipula del contratto di soggiorno, per la comunicazione obbligatoria di assunzione e la compilazione della richiesta del permesso di soggiorno per lavoro subordinato. In caso di mancata presentazione delle parti senza giustificato motivo lo sportello archivia il procedimento.
Il contratto di soggiorno per lavoro subordinato viene stipulato tra il datore di lavoro e il lavoratore presso lo sportello unico per l’immigrazione e deve contenere la garanzia da parte del datore di lavoro della disponibilità di un alloggio per il lavoratore che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica e l’impegno al pagamento delle spese di viaggio per il rientro del lavoratore nel Paese di provenienza (art. 5-bis TU immigrazione). La stipula del contratto di soggiorno è condizione essenziale per il rilascio del permesso di soggiorno (art. 5, comma 3-bis TU immigrazione).
Ai sensi del comma 16, la domanda di rilascio del permesso di soggiorno temporaneo (di cui al comma 2) è presentata, oltre che al questore, anche all’Ispettorato nazionale del lavoro. Allegata alla istanza deve essere presentata la documentazione, individuata dal decreto di attuazione, per comprovare l’attività lavorativa svolta nei settori ammessi prima del 31 ottobre 2019. L’Ispettorato nazionale del lavoro riscontra la veridicità di tale documentazione.
All’atto della presentazione della domanda, il richiedente riceve un’attestazione che gli consente di:
§ soggiornare nel territorio dello Stato fino ad eventuale comunicazione dell’Autorità di pubblica sicurezza;
§ svolgere lavoro subordinato, esclusivamente nei settori di attività ammessi;
§ presentare domanda di conversione del permesso di soggiorno temporaneo in permesso di soggiorno per motivi di lavoro;
§ iscriversi al registro di disoccupazione (art.19, D.Lgs. 150/2015).
Per la raccolta delle richieste di permesso di soggiorno temporaneo e l'inoltro agli uffici dell'amministrazione, il Ministero dell’interno può stipulare apposite convenzioni con concessionari di pubblici servizi come previsto dalla legge 3/2002 (art. 39, commi 4-bis e 4-ter).
In base a tale normativa il Ministero dell’interno ha stipulato la convenzione con Poste Italiane SPA per la presentazione da parte dei cittadini stranieri delle domande di rilascio di diverse tipologie di permessi di soggiorno previsti dalla legislazione vigente presso gli Uffici Postali abilitati utilizzando l'apposito materiale.
Il relativo onere a carico dell’interessato è determinato con il decreto di cui al comma 5, nella misura massima di 30 euro.
Il provvedimento in esame prevede alcune cause di inammissibilità e di rigetto delle istanze imputabili al datore di lavoro (commi 8 e 9) o al lavoratore (comma 10).
Per quanto riguarda il datore di lavoro, ai sensi del comma 8, costituisce causa di inammissibilità delle istanze di regolarizzazione (di cui al comma 1) e di conversione del permesso di soggiorno transitorio in permesso di soggiorno per motivi di lavoro (comma 2), la condanna negli ultimi 5 anni, anche con sentenza non definitiva, e anche patteggiata (ai sensi dell'articolo 444 c.p.p.) per i seguenti reati:
§ favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dall'Italia verso altri Stati (art. 12 TU immigrazione);
§ reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite,
§ riduzione o mantenimento in schiavitù (art. 600 codice penale);
§ intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, c.d. caporalato (art. 603-bis codice penale);
§ reato di impiego di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno o il cui permesso di soggiorno è scaduto e non ne è stato chiesto il rinnovo (art. 22, comma 12, TU immigrazione).
Inoltre, la domanda di regolarizzazione è rigettata se il datore di lavoro non procede alla sottoscrizione del contratto di soggiorno presso lo sportello unico per l’immigrazione oppure non assume il lavoratore straniero, salvo cause di forza maggiore non a lui imputabili, e comunque intervenute a seguito dell'espletamento di procedure di ingresso di cittadini stranieri per motivi di lavoro subordinato ovvero di procedure di emersione dal lavoro irregolare (comma 9).
Per quanto riguarda i cittadini stranieri, non sono ammessi alle procedure di regolarizzazione (comma 10) i soggetti:
§ nei confronti dei quali sia stato emesso provvedimento di espulsione, per una delle seguenti cause:
- per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (art. 13, comma 1, TU immigrazione);
- perché appartenente ad una delle categorie di soggetti cui possono essere applicate le misure di prevenzione antimafia (art. 13, comma 2, lett. c), TU immigrazione;
- per motivi di prevenzione del terrorismo (art. 3 D.L. 144/2005).
§ perché risultano segnalati, anche in base ad accordi o convenzioni internazionali in vigore per l'Italia, ai fini della non ammissione nel territorio dello Stato;
In proposito si ricorda che l’Italia partecipa al Sistema d’informazione Schengen (SIS), un sistema automatizzato per la gestione e lo scambio di informazioni tra i Paesi aderenti alla convenzione di Schengen. Il sistema prevede la segnalazione dei cittadini di paesi terzi ai fini del rifiuto di ingresso o di soggiorno per motivi che costituiscono una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale. Tale situazione si verifica in particolare nei seguenti casi:
- se il cittadino è stato riconosciuto colpevole in uno Stato membro di un reato che comporta una pena detentiva di almeno un anno;
- si ritiene che abbia commesso un reato grave o se esistono indizi concreti sull’intenzione di commettere un tale reato.
§ perché risultano condannati, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata anche a seguito di patteggiamento, per gravi reati quali quelli per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza (art. 380 del codice di procedura penale) o per i delitti contro la libertà personale ovvero per i reati inerenti gli stupefacenti, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite;
§ perché sono considerati una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone. Nella valutazione della pericolosità dello straniero si tiene conto anche di eventuali condanne, anche con sentenza non definitiva, compresa quella pronunciata a seguito di patteggiamento, per uno dei reati per i quali è previsto l’arresto facoltativo in flagranza (art. 381 del codice di procedura penale).
Si ricorda che la Corte costituzionale (sentenza 78/2005) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di due disposizioni relative all’emersione di lavoratori irregolari stranieri avviata nel 2002 (art. 33, comma 7, lettera c), della legge n. 189 del 2002, art. 1, comma 8, lettera c), del D.L. 195/2002) nella parte in cui non consentono la regolarizzazione del lavoratore extracomunitario denunciato per uno dei reati per i quali gli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale prevedono l’arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza. La Corte ha giudicato contrario al principio di ragionevolezza l’automatismo delle conseguenze collegate alla sola denuncia, in quanto atto che nulla prova riguardo alla colpevolezza o alla pericolosità del soggetto, e pertanto ha ritenuto irragionevole una normativa che fa derivare dalla denuncia “conseguenze molto gravi in danno di chi della medesima è soggetto passivo, imponendo il rigetto dell’istanza di regolarizzazione che lo riguarda e l’emissione nei suoi confronti dell’ordinanza di espulsione; conseguenze tanto più gravi qualora s’ipotizzino denunce non veritiere per il perseguimento di finalità egoistiche del denunciante e si abbia riguardo allo stato di indebita soggezione in cui, nella vigenza delle norme stesse, vengono a trovarsi i lavoratori extracomunitari”.
La Corte ha censurato la legge di regolarizzazione del 2009 dichiarando costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 3 Cost., l'art. 1-ter, comma 13, lett. c), del D.L. 1° luglio 2009, n. 78 nella parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto dell'istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per uno dei reati per i quali l'art. 381 cod. proc. pen. permette l'arresto facoltativo in flagranza, senza prevedere che la pubblica amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. La Corte, nel più ampio contesto della regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale, ha affermato che il legislatore ben può subordinare la regolarizzazione del rapporto di lavoro al fatto che la permanenza sul territorio dello Stato non sia di pregiudizio ad alcuno degli interessi coinvolti, ma la relativa scelta deve, al contempo, costituire il risultato di un ragionevole e proporzionato bilanciamento degli stessi, soprattutto quando sia suscettibile di incidere sul godimento dei diritti fondamentali dei quali è titolare anche lo straniero extracomunitario, perché la condizione giuridica dello straniero non deve essere considerata come causa ammissibile di trattamenti diversificati o peggiorativi (sentenza 172/2012).
In relazione al principio di non colpevolezza sino alla condanna definitiva (ex art. 27, 2° comma, Cost.), la Corte costituzionale ha affermato che esso “è violato allorché la legge preveda una misura che costituisca, nella sostanza, una sanzione anticipata in assenza di un accertamento definitivo di responsabilità” (da ultimo sentenza 148/2019). È invece compatibile con la presunzione di non colpevolezza una logica in senso lato cautelare, come quella alla base delle misure cautelari previste dal codice di procedura penale. “Rispetto allora a una misura ispirata ad una finalità cautelare, «[l]a presunzione di non colpevolezza potrebbe essere chiamata in causa solo indirettamente, in quanto la misura, per i suoi caratteri di irragionevolezza assoluta o di sproporzione o di eccesso rispetto alla funzione cautelare, dovesse in realtà apparire, non come una cautela ma come una sorta di sanzione anticipata, conseguente alla commissione del reato». A tal proposito la Corte richiama la citata sentenza n. 172 del 2012, la quale – pur ritenendo assorbite le censure ex art. 27, secondo comma, Cost. – caduca “la previsione dell’impossibilità per il lavoratore extracomunitario di ottenere la regolarizzazione del proprio titolo di soggiorno in caso di condanna, definitiva o meno, per tutti i reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, anche in ragione delle ‘conseguenze molto gravi, spesso irreversibili’ provocate dalla disciplina censurata, giudicata dalla Corte manifestamente irragionevole rispetto agli scopi perseguiti dal legislatore). In simili ipotesi, la misura contrasterebbe del resto non solo con l’art. 27, secondo comma, Cost., ma anche con le previsioni costituzionali che tutelano i singoli diritti incisi dalla misura medesima, nonché con gli stessi principi di ragionevolezza e proporzionalità di cui all’art. 3 Cost.”
Il comma 11 dispone la sospensione dei procedimenti penali e amministrativi, dalla data di entrata in vigore del decreto e fino alla conclusione delle procedure di regolarizzazione, nei confronti del datore di lavoro per l’impiego irregolare di lavoratori per i quali è stata presentata la dichiarazione di emersione, anche se di carattere finanziario, fiscale, previdenziale o assistenziale.
Parimenti sono sospesi i procedimenti penali e amministrativi nei confronti dei lavoratori per l’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio nazionale, con l’esclusione dei procedimenti relativi agli illeciti correlati all’immigrazione clandestina, di cui all'articolo 12 del TU immigrazione, tra cui la promozione, la direzione, l’organizzazione e il trasporto clandestino di stranieri nel territorio nazionale.
Ai sensi del comma 12 non sono sospesi i procedimenti penali nei confronti dei datori di lavoro per le seguenti fattispecie:
§ favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso l'Italia e dell'immigrazione clandestina dall'Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite, nonché per il reato di cui all’art.600 del codice penale;
§ intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ai sensi dell'articolo 603-bis del codice penale.
La sospensione di cui sopra cessa nel caso in cui non venga presentata l’istanza, oppure sia rigettata o archiviata. Lo stesso effetto ha la mancata presentazione delle parti alla convocazione per la stipula del contratto di soggiorno di cui al comma 12. Tuttavia, è prevista l’archiviazione dei procedimenti penali e amministrativi a carico del datore di lavoro nel caso l’esito negativo del procedimento derivi da cause indipendenti dalla sua volontà o dal suo comportamento (comma 13).
Ai sensi del comma 17, nelle more della definizione dei procedimenti di regolarizzazione, lo straniero non può essere espulso, tranne che nei casi di cui al comma 10 (provvedimento di espulsione per gravi motivi, condanna per gravi reati ecc.).
Il comma 17, inoltre, disciplina nel dettaglio le ipotesi di estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi all’esito positivo della procedura di regolarizzazione:
§ nei casi di istanza di emersione riferita a lavoratori stranieri presentata dai datori di lavoro, la sottoscrizione del contratto di soggiorno, la comunicazione obbligatoria di assunzione e il rilascio del permesso di soggiorno comportano, per il datore di lavoro e per il lavoratore, l'estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi relativi ai casi di cui al comma 11 ossia sia per le violazioni di carattere finanziario, fiscale, previdenziale e assistenziale, sia per quelle per ingresso e soggiorno illegale;
§ nei casi di istanza di emersione riferita a lavoratori italiani o a cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea, la relativa presentazione dell’istanza all’INPS comporta l’estinzione dei reati e degli illeciti per le violazioni di carattere finanziario, fiscale, previdenziale e assistenziale;
§ nei casi di istanza presentata lavoratori stranieri per la concessione del permesso di soggiorno temporaneo, l'estinzione dei reati e degli illeciti amministrativi consegue esclusivamente al rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro e non anche al rilascio del permesso temporaneo.
L’articolo 103 prevede specifiche sanzioni tanto per coloro che, nelle procedure di emersione dei rapporti di lavoro, dichiarano il falso, quanto per coloro che impiegano in modo irregolare i cittadini stranieri che avanzano richiesta del permesso di soggiorno temporaneo.
In particolare, in base al comma 14, il datore di lavoro che impiega in modo irregolare gli stranieri che hanno richiesto il permesso di soggiorno temporaneo ai sensi del comma 2 (v. sopra) è soggetto al raddoppio delle seguenti sanzioni amministrative:
§ delle sanzioni previste dall’art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 12 del 2002 per l’impiego di lavoratori subordinati senza la preventiva comunicazione;
Tale disposizione prevede per il datore di lavoro privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie:
- da 1.800 a 10.800 euro per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore sino a 30 giorni di effettivo lavoro;
- da 3.600 e 21.600 euro per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore da 31 a 60 giorni di effettivo lavoro;
- da 7.200 a 43.200 euro per ciascun lavoratore irregolare, in caso di impiego del lavoratore oltre 60 giorni di effettivo lavoro.
Tali sanzioni sono aumentate del 20% in caso di impiego di lavoratori stranieri o di minori in età non lavorativa.
In caso, dunque, di impiego in modo irregolare di un solo lavoratore straniero che abbia fatto istanza ai sensi del comma 2, e per un periodo inferiore a 30 giorni di lavoro, il datore di lavoro dovrà pagare una somma compresa tra 4.320 e 25.920 euro (la sanzione base da 1.800 a 10.800 euro, maggiorata dal 20% perché si tratta di straniero, raddoppiata per effetto della disposizione in commento).
§ delle sanzioni previste dall’art. 39, comma 7, del decreto-legge n. 112 del 2008, per la violazione degli adempimenti di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro;
Tale disposizione prevede le seguenti sanzioni amministrative pecuniarie per il datore di lavoro che, salvo i casi di errore meramente materiale, omessa la registrazione o effettua una registrazione infedele dei dati relativi al rapporto di lavoro, così da determinare differenti trattamenti retributivi, previdenziali o fiscali:
- da 150 a 1.500 euro;
- da 500 a 3.000 euro se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori ovvero a un periodo superiore a 6 mesi;
- da 1.000 a 6.000 euro se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori ovvero a un periodo superiore a 12 mesi.
È sanzionata, inoltre, con il pagamento di una somma da 100 a 600 euro la violazione del termine di conservazione del libro lavoro.
§ delle sanzioni previste dall’art. 82, secondo comma, del DPR n. 797 del 1955, per la mancata corresponsione degli assegni familiari;
Si tratta della disposizione che sanziona il datore di lavoro che non provvede, se tenutovi, alla corresponsione degli assegni familiari con il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria:
- da 500 a 5.000 euro;
- da 1.500 a 900 euro se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori ovvero a un periodo superiore a 6 mesi;
- da 3.000 a 15.000 euro se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori ovvero a un periodo superiore a 12 mesi la sanzione.
§ delle sanzioni previste dall’art. 5, primo comma, della legge n. 4 del 1953, per la mancata consegna del prospetto paga.
La disposizione, salvo che il fatto costituisca reato, sanziona il datore di lavoro che non consegna o consegna in ritardo al lavoratore il prospetto di paga, o lo consegna con inesattezze, con l’obbligo di pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria:
- da 150 a 900 euro;
- da 600 a 3.600 euro se la violazione si riferisce a più di 5 lavoratori ovvero a un periodo superiore a 6 mesi;
- da 1.200 a 7.200 euro se la violazione si riferisce a più di 10 lavoratori ovvero a un periodo superiore a 12 mesi.
Il comma 14, inoltre, aggrava il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (c.d. caporalato) quando ne siano vittime stranieri che abbiano presentato l’istanza di cui al comma 2.
In tali casi, infatti, la pena prevista dall’art. 603-bis, primo comma, del codice penale – ovvero la reclusione da 1 a 6 anni e la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore - è aumentata da un terzo alla metà.
Si ricorda che risponde del delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro chiunque:
1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Sono indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti condizioni:
- la reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
- la reiterata violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie;
- la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro;
- la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.
Il medesimo aggravio di pena (aumento da un terzo alla metà) è già previsto dall’art. 603-bis c.p. quando il fatto consista nel reclutamento di più di 3 lavoratori, nel reclutamento di minori in età non lavorativa, nell’esposizione dei lavoratori a situazioni di grave pericolo.
Tanto il raddoppio delle sanzioni amministrative, quanto l’aggravante penale, scaturiscono quindi – in base al testo - dalla presentazione da parte del lavoratore dell’istanza di permesso di soggiorno temporaneo. Si tratta di una condizione soggettiva del lavoratore che il datore di lavoro potrebbe ignorare. In proposito, si ricorda che “nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa” (art. 3, legge n. 689 del 1981) e che, in base al codice penale, “nessuno può essere punito per una azione o omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà” (art. 42 c.p.). Si valuti pertanto se l’incremento delle sanzioni, tanto amministrative quanto penali, legato alla presentazione da parte del lavoratore dell’istanza di permesso di soggiorno temporaneo, non costituisca una ipotesi di responsabilità oggettiva.
I commi 18 e 22 dell’articolo 103 disciplinano invece le conseguenze civili e penali di istanze basate su false dichiarazioni.
In particolare, in base al comma 18
§ il contratto di soggiorno stipulato sulla base di un’istanza contenente dati non rispondenti al vero è nullo;
§ il permesso di soggiorno eventualmente rilasciato è revocato.
Il contratto di soggiorno è qualificato come nullo in base all’art. 1344 del codice civile. Si ricorda che i contratti sono nulli quando la causa della stipula è illecita (art. 1418 c.c.) e che l’art. 1344 c.c. definisce illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa.
Il permesso di soggiorno è revocato ai sensi dell’art. 5, comma 5 del TU immigrazione, che prevede la revoca quando “mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l'ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato…sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio”.
In base al comma 22, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato:
§ chiunque presenta false dichiarazioni o attestazioni, ovvero concorre al fatto nell'ambito delle procedure previste dall’art. 103 è punito ai sensi dell’art. 76 del DPR n. 445 del 2000 (TU in materia di documentazione amministrativa).
Si tratta della norma che punisce il falso nelle autocertificazioni, rinviando alla disciplina del codice penale, con pene elevate da un terzo alla metà. Tale aggravio di pena è infatti previsto all’art. 76 del TU dall’art. 264 del decreto-legge in esame (v. infra). La disposizione del codice penale che viene principalmente in rilievo è l’art. 483 c.p. (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) che punisce con la reclusione fino a due anni chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a 3 mesi.
Con l’aumento di pena previsto all’art. 76 del TU, le dichiarazioni mendaci potranno essere punite con la reclusione fino a 3 anni.
§ chiunque commette tali fatti attraverso la contraffazione o l’alterazione di documenti oppure con l’utilizzazione di uno di tali documenti è punito con la reclusione da 1 a 6 anni.
Infine, il comma 22 prevede un aggravio di pena (aumentata fino ad un terzo) se i fatti sono commessi da un pubblico ufficiale. Si valuti l’opportunità di specificare se l’aggravante per fatto commesso da pubblico ufficiale si riferisca solo alla contraffazione di documenti oppure anche alle false dichiarazioni o attestazioni.
Si ricorda che già l’art. 61, n. 9, c.p. prevede una aggravante comune, che comporta un aumento della pena fino ad un terzo, quando il fatto è commesso con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico servizio. Si valuti dunque l’opportunità di coordinare la nuova aggravante con quella già prevista in generale dal codice penale.
Al fine di evitare i fenomeni di concentrazione dei cittadini stranieri in condizioni inadeguate a garantire il rispetto delle condizioni igienico- sanitarie necessarie al fine di prevenire la diffusione del contagio da Covid-19il, il comma 20 prevede che le Amministrazioni dello Stato competenti e le regioni, anche mediante l’implementazione delle misure previste dal Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato 2020-2022, adottano soluzioni e misure urgenti idonee a garantire la salubrità e la sicurezza delle condizioni alloggiative, nonché ulteriori interventi di contrasto del lavoro irregolare e del fenomeno del caporalato. Per i predetti scopi il Tavolo operativo istituito dall’art. 25 quater del D.L. n.119/2018 convertito con modifiche dalla legge n.136/2018, si avvale del supporto operativo del Servizio di protezione civile e della Croce Rossa Italiana. All'attuazione del presente comma le Amministrazioni pubbliche interessate provvedono nell'ambito delle rispettive risorse finanziarie, umane e strumentali disponibili a legislazione vigente.
Il richiamato art. 25-quater del D.L. 119/2018 ha istituito, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Tavolo operativo per la definizione di una nuova strategia di contrasto del caporalato e dello sfruttamento lavorativo in agricoltura, presieduto dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali (o da un suo delegato) ed è formato da un numero di componenti[3] non superiore 15.
La definizione dell'organizzazione e del funzionamento del Tavolo e di eventuali forme di collaborazione con le sezioni territoriali della Rete del lavoro agricolo è stata attuata con il decreto ministeriale 4 luglio 2019.
Il comma 21 modifica il comma 1 dell’articolo 25-quater del decreto legge 23 ottobre 2018, n. 119, che istituisce, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il "Tavolo operativo per la definizione di una nuova strategia di contrasto al caporalato e allo sfruttamento lavorativo in agricoltura", includendo tra i chiamati a parteciparvi anche i rappresentanti dell’Autorità politica delegata per la coesione territoriale e dell'Autorità politica delegata per le pari opportunità.
Il comma 23 autorizza il Ministero dell’interno ad utilizzare, per un periodo non superiore a 6 mesi, tramite una o più agenzie di somministrazione di lavoro, prestazioni di lavoro a contratto a termine, nel limite massimo di spesa di 30 milioni euro per il 2020, da ripartire nelle sedi di servizio interessate nelle procedure di regolarizzazione. La disposizione deroga espressamente dall’obbligo, per tutte le amministrazioni dello Stato, di avvalersi di personale, tra cui quello a tempo determinato, nel limite del 50% della spesa sostenuta nel 2009 (art. 9, comma 28, D.L. 78/2010).
A tal fine il Ministero dell’interno può utilizzare procedure negoziate senza previa pubblicazione di un bando di gara, ai sensi dell’articolo 63, comma 2, lettera i), del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50; in forza del quale “nel caso di appalti pubblici di lavori, forniture e servizi, la procedura negoziata senza previa pubblicazione può essere utilizzata nella misura strettamente necessaria quando, per ragioni di estrema urgenza derivante da eventi imprevedibili dall'amministrazione aggiudicatrice, i termini per le procedure aperte o per le procedure ristrette o per le procedure competitive con negoziazione non possono essere rispettati. Le circostanze invocate a giustificazione del ricorso alla procedura di cui al presente articolo non devono essere in alcun caso imputabili alle amministrazioni aggiudicatrici.”
In relazione all’emersione di lavoratori irregolari disposta dall’articolo in esame, il comma 24 provvede ad incrementare il livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale a cui concorre ordinariamente lo Stato di 170 milioni di euro per il 2020 e di 340 milioni di euro a decorrere dal 2021.
Il livello del fabbisogno nazionale standard determina il finanziamento complessivo della sanità cui concorre lo Stato ed è determinato in coerenza con il quadro macroeconomico complessivo e nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica e degli obblighi assunti dall'Italia in sede comunitaria. Pertanto, si tratta di un livello programmato che costituisce il valore di risorse che lo Stato è nelle condizioni di destinare al Servizio sanitario nazionale per l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA, definiti da ultimo DPCM 12 gennaio 2017). Tale livello è stato determinato, da ultimo, per il triennio 2019-2021 dalla legge di bilancio 2019 (L. n. 145 del 2018) in 114.449 milioni nel 2019, 116.449 nel 2020 e 117.949 nel 2021.
La ripartizione dei relativi importi tra le regioni è effettuata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato – regioni in relazione al numero dei lavoratori extracomunitari emersi.
Il comma 25 provvede a quantificare ed autorizzare le spese necessarie per l'attuazione delle disposizioni introdotte dall’articolo in esame indicate come segue:
§ euro 6.399.000, per l'anno 2020, ed euro 6.399.000, per l'anno 2021, per prestazioni di lavoro straordinario per il personale dell'Amministrazione civile del Ministero dell'interno;
§ euro 24.234.834, per l'anno 2020, per prestazioni di lavoro straordinario per il personale della Polizia di Stato;
§ nel limite massimo di euro 30.000.000, per l'anno 2020, per l'utilizzo di prestazioni di lavoro a contratto a termine;
§ euro 4.480.980, per l'anno 2020, per l'utilizzo di servizi di mediazione culturale;
§ euro 3.477.430, per l'anno 2020, per l'acquisto di materiale igienico-sanitario, dispositivi di protezione individuale e servizi di sanificazione;
§ euro 200.000 per l'adeguamento della piattaforma informatica del Ministero dell'interno - Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione.
Complessivamente, il comma 26 determina gli oneri “netti” pari a 238.792.244 euro per l'anno 2020, a 346.399.000 euro per l'anno 2021 e a 340 milioni di euro a decorrere dall'anno 2022, cui si provvede:
§ quanto a 35.000.000 di euro per l'anno 2020, mediante corrispondente utilizzo delle risorse iscritte, per il medesimo anno, nello stato di previsione del Ministero dell'interno, relative all'attivazione, la locazione e la gestione dei centri di trattenimento e di accoglienza per stranieri irregolari. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio;
Nella Relazione tecnica si precisa che si utilizzano le risorse del capitolo 2351 (Pg. 2) “Spese per l’attivazione, la locazione, la gestione dei centri di trattenimento e di accoglienza per stranieri irregolari. Spese per interventi a carattere assistenziale, anche al di fuori dei centri, spese per studi e progetti finalizzati all’ottimizzazione ed omogeneizzazione delle spese di gestione” dello Stato di previsione del Ministero dell'interno, il quale presenta risorse sufficienti, registrando una disponibilità alla data del 15 maggio 2020 - secondo quanto illustrato nella relazione tecnica - di 534,2 milioni di euro in termini di cassa e di 959,9 milioni in conto competenza. L’utilizzo delle risorse di cui alla lettera a) del comma 26, si precisa nella RT, non compromette lo svolgimento delle attività già finanziate a legislazione vigente con le risorse del capitolo 2351 che saranno riprogrammate per garantire i risparmi di spesa necessari per la copertura.
§ quanto ad euro 93.720.000 per l'anno 2020 con le risorse provenienti dal versamento del contributo forfetario di 500 euro pagato dai datori di lavoro per ciascun lavoratore emerso (comma 7), che sono versate ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato e restano acquisite all'erario;
§ quanto ad euro 110.072.744 per l'anno 2020, ad euro 346.399.000 per l'anno 2021 e ad euro 340.000.000 a decorrere dall'anno 2022 ai sensi dell'articolo 265 (si veda in particolare il comma 7) del decreto-legge in esame, che reca le disposizioni finanziarie e finali del provvedimento.
Nel nostro ordinamento l’immigrazione dei cittadini stranieri non appartenenti all’Unione europea è regolata – sotto il profilo normativo - secondo il principio della programmazione dei flussi, con i criteri e le modalità fissate nel testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. 286/1998).
In particolare, si prevede che la gestione dei flussi di immigrazione sia realizzata attraverso una serie di strumenti, quali il documento programmatico triennale e il decreto annuale sui flussi.
Peraltro, negli anni successivi al documento programmatico per il triennio 2004-2006 il decreto flussi è stato adottato nell'ambito delle quote già definite negli anni precedenti, come previsto dalla norma di salvaguardia, e, di fatto, in misura decrescente e con una preponderanza di lavoratori stagionali. Sono infatti nel frattempo intervenuti altri fattori (tra cui, dal 2011, gli eventi connessi alla primavera araba) che hanno posto all’ordine del giorno contestualmente il tema della gestione delle richieste di protezione internazionale e dei procedimenti di riconoscimento.
Il documento programmatico sulla politica dell'immigrazione viene elaborato dal Governo ogni tre anni ed è sottoposto al parere delle Commissioni parlamentari. Esso contiene un'analisi del fenomeno migratorio e uno studio degli scenari futuri; gli interventi che lo Stato italiano intende attuare in materia di immigrazione; le linee generali per la definizione dei flussi d'ingresso; le misure di carattere economico e sociale per favorire l'integrazione degli stranieri regolari. L'ultimo documento programmatico adottato è quello per il triennio 2004-2006 (D.P.R. 13 maggio 2005).
Sulla base delle indicazioni contenute nel documento programmatico (l’ultimo dei quali risale al 2005), il Governo stabilisce le quote massime di cittadini stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per motivi di lavoro, attraverso l’emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il decreto flussi. Le quote sono suddivise generalmente per lavoro subordinato, lavoro stagionale e lavoro autonomo.
Il decreto è adottato dal Governo con il parere delle Commissioni parlamentari, del Comitato interministeriale per il coordinamento e il monitoraggio delle politiche in materia di immigrazione e della Conferenza unificata Stato-regioni-enti locali. Ciascuna regione può trasmettere alla Presidenza del Consiglio, in vista della predisposizione del decreto flussi, un rapporto sulla presenza e sulla condizione degli immigrati nel territorio regionale, indicando anche la capacità di assorbimento di nuova manodopera.
l decreto flussi ha cadenza annuale e deve essere emanato entro il 30 novembre dell’anno precedente a quello di riferimento.
Una norma di salvaguardia prevede che qualora non sia possibile emanare il decreto secondo la procedura sopra descritta (per esempio in assenza del documento programmatico) il Presidente del Consiglio può adottare un decreto transitorio che però non deve superare le quote dell’anno precedente. Per quanto riguarda il lavoro stagionale è possibile stabilire, sempre con decreto del Presidente del Consiglio, quote massime di lavoratori stagionali stranieri non comunitari autorizzati – nei soli settori dell’agricoltura e del turismo – a fare ingresso in Italia, anche in misura superiore a quelle dell’anno precedente.
Ulteriori criteri per la definizione delle quote sono indicati nell’art. 21 del testo unico. Si prevede, da un lato, la possibilità di restrizioni numeriche all’ingresso di lavoratori provenienti da Paesi che non collaborino adeguatamente al contrasto dell’immigrazione clandestina e, dall’altro, l’assegnazione in via preferenziale di quote riservate ai cittadini di quegli Stati che abbiano invece concluso con l’Italia accordi di cooperazione in materia di immigrazione.
Ulteriori quote riservate sono assegnate ai lavoratori non comunitari di origine italiana.
Infine, ai sensi del regolamento di attuazione (art. 34 del D.P.R. 394/1999, come modificato dall’art. 29 del D.P.R. 334/2004) una quota è riservata ai lavoratori che abbiano partecipato alle attività formative nei Paesi di provenienza previste dall’art. 23 del testo unico.
In alcuni anni è stata accordata una preferenza ad alcune categorie di lavoratori specializzati (informatici, infermieri professionali).
L'ultimo decreto flussi, DPCM 12 marzo 2019 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale 9 aprile 2019, n. 84), ha fissato le quote dei lavoratori stranieri che per l'anno 2019 possono fare ingresso in Italia per lavorare, prevalentemente per motivi di lavoro stagionale. Come nel 2018, il decreto stabilisce una quota massima di ingressi pari a 30.850 unità, 18.000 delle quali riservate agli ingressi per motivi di lavoro stagionale. Le restanti 12.850 unità sono invece, come ogni anno, in piccola parte riservate all'ingresso di lavoratori appartenenti a determinate categorie (lavoratori di origine italiana, lavoratori autonomi, lavoratori che hanno seguito all'estero corsi di formazione ex art. 23 TU immigrazione) e, per la restante parte, riservate alle conversioni del permesso di soggiorno, già posseduto ad altro titolo, in permesso di soggiorno per lavoro.
Accanto agli ingressi in base alle quote dei decreti flussi, nel corso degli ultimi decenni sono state approvate misure volte a consentire il ricorso a procedure di immissione straordinarie, denominate regolarizzazioni o sanatorie. Tali interventi sono stati adottati quasi sempre in coincidenza di modifiche alla normativa sull’immigrazione che in quanto destinate a mutare il quadro legale di riferimento relativo alle regole e agli obblighi di soggiorno, hanno provveduto contestualmente a sanare le eventuali irregolarità precedenti.
Le condizioni per poter regolarizzare la propria posizione sono variate negli anni: nella gran parte dei casi erano richiesti un lavoro stabile e dimostrare la propria presenza nel territorio italiano a partire da una data prefissata.
Dal 1986 al 2012 sono state previste misure di regolarizzazione di lavoratori stranieri irregolari nell’ambito dei seguenti provvedimenti normativi: L. 943/1986, D.L. 39/1990, D.L. 489/95, L. 40/21998, L. 189/2002, D.L. 78/2009, D.Lgs. 109/2012.
Nella XVIII legislatura è all’esame della I Commissione della Camera la proposta di legge A.C. 13, di iniziativa popolare, che interviene, sotto diversi profili, sulla disciplina legislativa in materia di immigrazione dettata, in primo luogo, dal testo unico immigrazione (D.Lgs. 286/1998).
La proposta di legge modifica l'attuale sistema di gestione delle politiche migratorie, basato sulla programmazione dei flussi di ingresso dei cittadini stranieri, proponendo l'abrogazione delle quote di ingresso definite annualmente, sulla base delle previsioni di richiesta di lavoro, con un apposito decreto del Presidente del Consiglio, il c.d. decreto flussi (articolo 4).
In luogo delle quote annuali vengono introdotti due nuovi canali di ingresso (articolo 1). Il primo è basato sull'attività di intermediazione svolta da una serie di soggetti istituzionali autorizzati (quali i centri per l'impiego, camere di commercio ecc.) che si impegnano a promuovere l'incontro tra offerta di lavoro da parte di cittadini stranieri e richiesta di lavoro da parte di datori di lavoro in Italia. Il lavoratore selezionato da tali soggetti è autorizzato all'ingresso nel Paese e gli è rilasciato un permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, una nuova tipologia di permesso di soggiorno istituita dalla proposta di legge.
Il secondo canale è costituito dalla prestazione di garanzia per l'accesso al lavoro (la c.d. sponsorizzazione) da parte di soggetti pubblici (quali regioni, enti locali, associazioni no-profit, sindacati) e privati, finalizzato all'inserimento nel mercato del lavoro del lavoratore straniero con la garanzia di risorse finanziarie adeguate e la disponibilità di un alloggio per il periodo di permanenza sul territorio, agevolando in primo luogo quanti abbiano già avuto precedenti esperienze lavorative in Italia o abbiano frequentato corsi di lingua italiana o di formazione professionale.
È prevista, inoltre, una terza possibilità per gli stranieri già presenti, a qualunque titolo, nel territorio del Paese. A costoro, in presenza di condizioni che ne dimostrino l'effettivo radicamento e integrazione nel Paese, è riconosciuto il permesso di soggiorno per comprovata integrazione di due anni. Il permesso può essere rinnovato esclusivamente se l'interessato ha svolto nel frattempo una attività lavorativa o ha partecipato a misure di politica attiva del lavoro.
Viene introdotta (articolo 5) anche la possibilità di convertire il permesso di soggiorno per richiesta di asilo nel permesso di soggiorno per comprovata integrazione.
Completano la proposta di legge una serie di misure volte a promuovere l'effettiva integrazione sociale degli stranieri.
In primo luogo, viene riconosciuto allo straniero l'elettorato attivo e passivo nelle elezioni e referendum locali (articolo 2).
In secondo luogo, si interviene sulla disciplina dei contributi versati dai lavoratori extracomunitari che cessano l'attività lavorativa in Italia prevedendo che possano godere dei diritti previdenziali e di sicurezza sociale maturati al momento della maturazione dei requisiti previsti dalla normativa vigente, anche in deroga al requisito dell'anzianità contributiva minima di venti anni. Inoltre, viene eliminato il limite anagrafico per la pensione di vecchiaia (articolo 3).
Si provvede, inoltre, ad estendere l'accesso all'assistenza sanitaria in favore di tutti i minori stranieri, a prescindere dalla regolarità del soggiorno, e agli stranieri indigenti (articolo 6) e a garantire l'accesso alle prestazioni di assistenza sociale a tutti gli stranieri in possesso di regolare permesso di soggiorno (articolo 7).
Infine, la proposta di legge in esame abroga il reato di ingresso e soggiorno illegali, di cui all'articolo 10-bis TU, fermo restando l'applicazione delle norme vigenti in materia di respingimenti ed espulsioni (articolo 8).
Elementi istruttori e dati aggiornati sono stati forniti nel corso delle audizioni svolte presso la I Commissione della Camera sulla proposta di legge (si vedano in proposito i documenti depositati dagli auditi).
In particolare, le macro-caratteristiche della condizione occupazionale dei lavoratori stranieri sono consultabili nel documento semestrale consegnato dall’Anpal, le quote di ingresso dei lavoratori non comunitari sono riepilogate nel documento della Fondazione Leone Moressa.
Quest'ultima ha ricordato in particolare come attualmente il Paese in cui sono autorizzati più ingressi per lavoro è la Polonia, che nel 2018 ha rilasciato oltre 300 mila permessi per lavoro. Dal confronto europeo in relazione alla popolazione residente emerge inoltre come i 13.877 permessi per lavoro dell’Italia sono pari a 0,23 ingressi ogni 1.000 abitanti. In doppia cifra, invece, Malta (21,40 permessi ogni 1000 abitanti), Cipro (11,31) e Slovenia (10,17).
Evidenzia inoltre come, guardando la serie storica, fino al 2010 i nuovi permessi in Italia erano oltre 500 mila all’anno, poi ridotti in maniera rilevanti dal 2011 a seguito della riduzione dei “decreti flussi”. Fino al 2010 la prima componente dei permessi rilasciati era quella per motivi di lavoro (oltre 350 mila) mentre negli ultimi anni sono invece cresciuti gli “altri motivi”, soprattutto i motivi umanitari, per un numero pari a circa 100 mila. I permessi rilasciati per ricongiungimento familiare sono rimasti sostanzialmente costanti, ma a partire dal 2011 sono diventati la prima voce. Dei 14 mila permessi rilasciati nel 2018 per motivi di lavoro, il 40,5% è costituito da lavoratori stagionali e il 10,6% è dato da mansioni altamente qualificate (ricercatori, lavoratori altamente qualificati, Blue card).
Articolo 119
(Ecobonus, sismabonus, fotovoltaico e colonnine elettriche)
L’articolo 119 introduce una detrazione pari al 110% delle spese relative a specifici interventi di efficienza energetica e di misure antisismiche sugli edifici sostenute dal 1° luglio 2020 e fino al 31 dicembre 2021.
L’agevolazione è estesa all’installazione di impianti solari fotovoltaici connessi alla rete elettrica nonché alle infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici.
Tali misure si applicano esclusivamente agli interventi effettuati dai condomini, nonché, sulle singole unità immobiliari adibite ad abitazione principale, dalle persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arti e professioni e dagli Istituti autonomi case popolari (IACP) comunque denominati.
La detrazione è concessa a condizione che la regolarità degli interventi sia asseverata da professionisti abilitati, che devono anche attestare la congruità delle spese sostenute con gli interventi agevolati.
Il comma 1 della disposizione incrementa al 110% (rispetto al 65% e al 50% disposto dall’articolo 14 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63) l’aliquota di detrazione dall’Irpef o dall’Ires spettante a fronte di specifici interventi in ambito di efficienza energetica.
Si ricorda che l’agevolazione per la riqualificazione energetica degli edifici, come prorogata nel tempo da numerosi provvedimenti, consiste nel riconoscimento di detrazioni d’imposta (originariamente del 55 per cento, poi elevata al 65 per cento, da ripartire in 10 rate annuali di pari importo) delle spese sostenute entro un limite massimo diverso in relazione a ciascuno degli interventi previsti. Si tratta riassuntivamente di riduzioni Irpef e Ires che riguardano le spese per:
§ la riduzione del fabbisogno energetico per il riscaldamento; la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con impianti dotati di caldaie a condensazione e contestuale messa a punto del sistema di distribuzione; la realizzazione di interventi su edifici esistenti, parti di edifici esistenti o unità immobiliari, riguardanti strutture opache verticali, strutture opache orizzontali (coperture e pavimenti), finestre comprensive di infissi; l'installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda per usi domestici o industriali e per la copertura del fabbisogno di acqua calda in piscine, strutture sportive, case di ricovero e cura, istituti scolastici e università (articolo 1, commi da 344-347, della legge 27 dicembre 2006, n. 296), l'acquisto e la posa in opera di micro-cogeneratori in sostituzione di impianti esistenti;
§ la sostituzione di scaldacqua tradizionali con scaldacqua a pompa di calore dedicati alla produzione di acqua calda sanitaria (articolo 1, comma 48, legge 13 dicembre 2010, n. 220);
§ l’acquisto e la posa in opera delle schermature solari indicate nell’allegato M del decreto legislativo n. 311 del 2006.
Il comma 175, lettera a), n.1, della legge di bilancio 2020 proroga al 31 dicembre 2020 il termine previsto per avvalersi della richiamata detrazione fiscale.
Per una dettagliata ricognizione delle agevolazioni fiscali per il risparmio energetico si consiglia la lettura della Guida dell’Agenzia delle entrate.
Per una panoramica della materia si rinvia alle pagine web Riqualificazione energetica degli edifici: l'ecobonus e Detrazioni fiscali per interventi di ristrutturazione edilizia e di efficienza energetica consultabili sul Portale della documentazione della Camera dei deputati.
In particolare, la disposizione stabilisce che la detrazione prevista per la riqualificazione energetica degli edifici (articolo 14 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63) si applica nella misura del 110 per cento, per le spese documentate e rimaste a carico del contribuente, sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021, da ripartire tra gli aventi diritto in cinque quote annuali di pari importo, nei seguenti specifici casi:
§ interventi di isolamento termico delle superfici opache verticali e orizzontali che interessano l’involucro dell’edificio con un’incidenza superiore al 25 per cento della superficie disperdente lorda dell’edificio medesimo. La detrazione è calcolata su un ammontare non superiore a euro 60.000 moltiplicato per il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio. I materiali isolanti utilizzati devono rispettare i criteri ambientali minimi di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 11 ottobre 2017.
§ interventi sulle parti comuni degli edifici per la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti centralizzati per il riscaldamento, il raffrescamento o la fornitura di acqua calda sanitaria a condensazione, con efficienza almeno pari alla classe A prevista dal regolamento delegato (UE) n. 811/2013 della Commissione del 18 febbraio 2013, a pompa di calore, ivi inclusi gli impianti ibridi o geotermici, anche abbinati all’installazione di impianti fotovoltaici e relativi sistemi di accumulo ovvero con impianti di microcogenerazione. La detrazione di cui alla presente lettera è calcolata su un ammontare non superiore a euro 30.000 moltiplicato per il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio ed è riconosciuta anche per le spese relative allo smaltimento e alla bonifica dell’impianto sostituito;
§ interventi sugli edifici unifamiliari per la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti per il riscaldamento, il raffrescamento o la fornitura di acqua calda sanitaria a pompa di calore, ivi inclusi gli impianti ibridi o geotermici, anche abbinati all’installazione di impianti fotovoltaici e relativi sistemi di accumulo ovvero con impianti di microcogenerazione. La detrazione è calcolata su un ammontare non superiore a euro 30.000 ed è riconosciuta anche per le spese relative allo smaltimento e alla bonifica dell’impianto sostituito.
Il comma 2 stabilisce che l’aliquota agevolata si applica anche a tutti gli interventi di efficientamento energetico contenuti nel citato articolo 14 del decreto-legge n. 63 del 2013, nei limiti di spesa previsti per ciascun intervento a legislazione vigente e a condizione che siano eseguiti congiuntamente ad almeno uno degli interventi indicati al comma 1.
Il comma 3 indica i requisiti tecnici minimi da rispettare ai fini della spettanza della detrazione con riferimento agli interventi di ecobonus di cui ai commi 1 e 2.
La disposizione chiarisce che ai fini dell’accesso alla detrazione, gli interventi devono rispettare i requisiti minimi previsti dai decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
Nel loro complesso, devono assicurare, anche congiuntamente agli interventi previsti ai successivi commi 5 e 6 (impianti solari fotovoltaici), il miglioramento di almeno due classi energetiche dell’edificio, ovvero se non possibile, il conseguimento della classe energetica più alta, da dimostrare mediante l’attestato di prestazione energetica-A.P.E. (articolo 6 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192) ante e post intervento, rilasciato da tecnico abilitato nella forma della dichiarazione asseverata.
Il comma 4 introduce una detrazione pari al 110% delle spese relative a specifici interventi antisismici sugli edifici (commi da 1-bis a 1-septies dell’articolo 16 del decreto-legge n. 63 del 2013), sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021:
§ adozione di misure antisismiche, su edifici ubicati nelle zone sismiche ad alta pericolosità (zona sismica 1 e 2) con particolare riguardo all'esecuzione di opere per la messa in sicurezza statica, in particolare sulle parti strutturali, per la redazione della documentazione obbligatoria atta a comprovare la sicurezza statica del patrimonio edilizio, nonché per la realizzazione degli interventi necessari al rilascio della suddetta documentazione. Gli interventi devono essere realizzati sulle parti strutturali degli edifici o complessi di edifici collegati strutturalmente e comprendere interi edifici e, ove riguardino i centri storici, devono essere eseguiti sulla base di progetti unitari e non su singole unità immobiliari (attualmente agevolati al 50%);
§ interventi di riduzione del rischio sismico che determini il passaggio ad una (attualmente agevolati al 70% su case singole e al 75% nei condomìni) o due classi (attualmente agevolati al 80% su case singole e al 85% nei condomìni) di rischio inferiori e nelle zone a rischio sismico 1, 2 e 3 anche mediante demolizione e ricostruzione di interi edifici, allo scopo di ridurne il rischio sismico, anche con variazione volumetrica rispetto all'edificio preesistente, ove le norme urbanistiche vigenti consentano tale aumento.
Dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021 per gli interventi sopra citati, in caso di cessione del credito ad un'impresa di assicurazione e di contestuale stipula di una polizza che copre il rischio di eventi calamitosi, la detrazione per i premi delle assicurazioni aventi per oggetto il rischio di eventi calamitosi stipulate relativamente a unità immobiliari ad uso abitativo (articolo 15, comma 1, lettera f-bis), del testo unico delle imposte sui redditi, DPR 917/1986) spetta nella misura del 90 per cento.
Le agevolazioni non si applicano agli edifici ubicati in zona sismica 4.
Il comma 5 estende la detrazione nella misura del 110% anche per l’installazione di impianti solari fotovoltaici connessi alla rete elettrica su edifici, per le spese sostenute dal 1° luglio 2020 al 31 dicembre 2021, fino ad un ammontare non superiore a euro 48.000 e comunque nel limite di spesa di euro 2.400 per ogni kW di potenza nominale dell’impianto solare fotovoltaico, da ripartire tra gli aventi diritto in cinque quote annuali di pari importo, sempreché l’installazione degli impianti sia eseguita congiuntamente a uno degli interventi riqualificazione energetica o di miglioramento sismico (commi 1 e 4).
In caso di interventi di trasformazione degli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, interventi di nuova costruzione, e interventi di ristrutturazione urbanistica (articolo 3, comma 1, lettere d), e) ed f), del DPR 6 giugno 2001, n. 380) il predetto limite di spesa è ridotto ad euro 1.600 per ogni kW di potenza nominale. Il comma 6 stabilisce che tale detrazione è riconosciuta anche per l’installazione contestuale o successiva di sistemi di accumulo integrati negli impianti solari fotovoltaici agevolati, alle stesse condizioni e nel limite di spesa di euro 1.000 per ogni kWh di capacità di accumulo del sistema di accumulo. Il comma 7 stabilisce che la detrazione è subordinata alla cessione in favore del Gestore dei servizi energetici-GSE dell’energia non auto-consumata in sito e non è cumulabile con altri incentivi pubblici o altre forme di agevolazione di qualsiasi natura previste dalla normativa europea, nazionale e regionale, compresi i fondi di garanzia e di rotazione e gli incentivi per lo scambio sul posto (articolo 25-bis del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91).
Il comma 8 riconosce anche per l’installazione di infrastrutture per la ricarica di veicoli elettrici negli edifici la detrazione nella misura del 110 cento, da ripartire tra gli aventi diritto in cinque quote annuali di pari importo, sempreché l’installazione sia eseguita congiuntamente ad uno degli interventi di cui al comma 1.
I commi 9 e 10 circoscrivono l’ambito dei soggetti beneficiari delle agevolazioni fiscali introdotte dall’articolo.
Il comma 9 prevede che le disposizioni contenute nei commi da 1 a 8 si applicano agli interventi effettuati dai condomini, nonché, su unità immobiliari adibite ad abitazione principale, dalle persone fisiche al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arti e professioni e dagli Istituti autonomi case popolari (IACP) comunque denominati nonché dagli enti aventi le stesse finalità sociali dei predetti Istituti, istituiti nella forma di società che rispondono ai requisiti della legislazione europea in materia di in house providing per interventi realizzati su immobili, di loro proprietà ovvero gestiti per conto dei comuni, adibiti ad edilizia residenziale pubblica, nonché dalle cooperative di abitazione a proprietà indivisa per interventi realizzati su immobili dalle stesse posseduti e assegnati in godimento ai propri soci.
Il comma 10 stabilisce le agevolazioni per la riqualificazione energetica degli edifici (commi da 1 a 3) non si applicano agli interventi effettuati dalle persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arti e professioni, in relazione a interventi effettuati su edifici unifamiliari diversi da quello adibito ad abitazione principale.
Ai sensi del comma 11, ai fini dell’opzione per la cessione o per lo sconto di cui all'articolo 121, il contribuente richiede il visto di conformità dei dati relativi alla documentazione che attesta la sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione. Il visto di conformità è rilasciato dai soggetti iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro o nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio (articolo 3, comma 3, lettere a) e b), del DPR 22 luglio 1998, n. 322) e dai responsabili dei centri di assistenza fiscale.
Il comma 12 specifica che i dati relativi all’opzione sono comunicati esclusivamente in via telematica secondo quanto disposto con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, che definisce anche le modalità attuative, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
Il comma 13 stabilisce che ai fini dell’opzione per la cessione o per lo sconto di cui all'articolo 121:
§ per gli interventi di riqualificazione energetica, i tecnici abilitati asseverano il rispetto dei requisiti e la corrispondente congruità delle spese sostenute. Una copia dell’asseverazione viene trasmessa esclusivamente per via telematica all’ Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA). Con decreto del Ministro dello sviluppo economico da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità di trasmissione e le modalità attuative;
§ per gli interventi antisismici, l'efficacia rispetto alla riduzione del rischio sismico è asseverata dai professionisti incaricati della progettazione strutturale, direzione dei lavori delle strutture e collaudo statico secondo le rispettive competenze professionali, e iscritti ai relativi Ordini o Collegi professionali. I professionisti incaricati attestano, altresì, la congruità delle spese sostenute.
Il comma 14 dispone che ferma l’applicazione delle sanzioni penali ove il fatto costituisca reato, ai soggetti che rilasciano attestazioni e asseverazioni infedeli si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a euro 15.000 per ciascuna attestazione o asseverazione infedele resa.
I soggetti responsabili delle attestazioni e asseverazioni stipulano una polizza di assicurazione della responsabilità civile, con massimale adeguato al numero delle attestazioni o asseverazioni rilasciate e agli importi degli interventi oggetto delle predette attestazioni o asseverazioni e, comunque, non inferiore a 500 mila euro., al fine di garantire ai propri clienti e al bilancio dello Stato il risarcimento dei danni eventualmente provocati dall'attività prestata. La non veridicità delle attestazioni o asseverazioni comporta la decadenza dal beneficio e si applicano le sanzioni amministrative previste della legge 24 novembre 1981, n 689.
L’organo addetto al controllo sull’osservanza della presente disposizione è individuato nel Ministero dello sviluppo economico.
Il comma 15 chiarisce che rientrano tra le spese detraibili quelle sostenute per il rilascio delle attestazioni e delle asseverazioni di cui ai commi 3 e 13 e del visto di conformità di cui al comma 11.
Il comma 16 reca la copertura finanziaria degli oneri derivanti dalla disposizione (valutati in 62,2 milioni di euro per l'anno 2020, 1.268,4 milioni di euro per l'anno 2021, 3.239,2 milioni di euro per l'anno 2022, 2.827,9 milioni di euro per l'anno 2023, 2.659 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025 e 1.290,1 milioni di euro per l'anno 2026, 11,2 milioni di euro per l'anno 2031 e 48,6 milioni di euro per l'anno 2032).
Articolo 135
(Disposizioni in materia di giustizia tributaria e contributo unificato)
L’articolo 135 sospende, dall’8 marzo al 31 maggio, il computo delle sanzioni da omesso pagamento del contributo unificato per l’iscrizione a ruolo nei procedimenti civili, tributari e amministrativi (comma 1); inoltre, estende l’ambito di applicazione della disciplina dell’udienza tributaria a distanza o da remoto (comma 2). Infine, con esclusivo riferimento ai procedimenti tributari, e solo per l’anno 2020, l’art. 135 dispone in ordine alla ripartizione delle somme ricavate dal citato contributo unificato tra le Commissioni tributarie (comma 3).
Il comma 1 interviene sull’articolo 62 del decreto-legge n. 18 del 2020, che ha sospeso dall’8 marzo al 31 maggio 2020 molti adempimenti tributari.
In particolare, l’art. 62 del decreto-legge n. 18 del 2020 (convertito dalla legge n. 27 del 2020) ha sospeso gli adempimenti tributari diversi dai versamenti e dall’effettuazione delle ritenute alla fonte e delle trattenute relative all’addizionale regionale e comunale in scadenza dall’8 marzo al 31 maggio 2020. La disposizione riconosce, inoltre, la sospensione dei versamenti da autoliquidazione ai titolari di partita Iva di minori dimensioni nonché a tutti i soggetti delle province maggiormente colpite dal Covid-19 a prescindere dai ricavi o compensi percepiti. Gli adempimenti sospesi dovranno essere effettuati entro il 30 giugno 2020 senza applicazione di sanzioni.
Inserendo il comma 1-bis all’art. 62, il decreto-legge in esame estende tale sospensione al computo delle sanzioni da omesso pagamento del contributo unificato di iscrizione a ruolo, previste dall’articolo 16 del TU spese di giustizia (D.P.R. n. 115 del 2002).
Si ricorda che il contributo unificato di iscrizione a ruolo ha sostituito tutte le altre imposte (imposte di bollo, tassa di iscrizione a ruolo, diritti di cancellaria, ecc.) precedentemente previste per l’instaurazione di procedimenti civili, tributari e amministrativi. In linea generale, il contributo unificato si applica per ciascun grado di giudizio nel processo civile, compresa la procedura concorsuale, e di volontaria giurisdizione, nel processo tributario e nel processo amministrativo (artt. 9-18-bis, TU spese di giustizia).
In particolare, l’art. 16 del TU disciplina l’omesso o insufficiente pagamento del contributo unificato, prevedendo l’iscrizione a ruolo dell’importo dovuto maggiorato degli interessi per il mancato tempestivo pagamento e una sanzione dal 100 al 200% della maggiore imposta dovuta (si applica l’art. 71 del DPR n. 131 del 1986), rinviando per le modalità di riscossione agli articoli 247 e ss. del TU.
Inoltre, con una modifica introdotta dall’art. 29 del decreto-legge n. 23 del 2020, tuttora in corso di conversione alla Camera (cfr. A.C. 2461), l’art. 16, comma 1-ter, consente agli uffici giudiziari di notificare la sanzione derivante da omesso o parziale pagamento del contributo unificato anche tramite posta elettronica certificata nel domicilio eletto o, in mancanza di tale indicazione, mediante il deposito presso l’ufficio di segreteria o di cancelleria dell’autorità giudiziaria competente. La disposizione specifica che la notifica PEC è consentita anche qualora l’irrogazione della sanzione sia contenuta nell’invito al pagamento di cui all’articolo 248 del TU.
Il decreto-legge, dunque, esclude l’applicazione di sanzioni per l’omesso pagamento del contributo nel periodo considerato, contestualmente sospendendo il procedimento disciplinato dall’art. 248 del citato TU, che demanda all’ufficio giudiziario la notifica alla parte l’invito al pagamento.
L’art. 248 del TU disciplina l’invito al pagamento del contributo unificato nei casi di omissione o di insufficiente versamento prevedendo che sia l’ufficio presso il magistrato competente a notificare alla parte l’invito al pagamento dell’importo dovuto, quale risulta tra il valore della causa e il corrispondente scaglione, con espressa avvertenza che si procederà ad iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale, in caso di mancato pagamento entro un mese. L’invito è notificato anche a mezzo posta elettronica certificata nel domicilio eletto o, nel caso di mancata elezione del domicilio, è depositato presso l’ufficio.
Il comma 2 interviene sull’art. 16 del decreto-legge n. 119 del 2018 che, modificando il decreto legislativo n. 546 del 1992 sul processo tributario, ha introdotto disposizioni sulla digitalizzazione e sulla possibilità per le parti di partecipare all’udienza da remoto.
In particolare, tale disposizione ha esteso le possibilità di trasmissione telematica delle comunicazioni e notificazioni inerenti il processo, agevolato le procedure in materia di certificazione di conformità relative alle copie di atti, provvedimenti e documenti, reso possibile la partecipazione a distanza delle parti all'udienza pubblica.
In base al comma 4 dell’art. 16 del decreto-legge n. 119/2018, infatti, le parti possono partecipare a distanza all’udienza pubblica di cui all’articolo 34 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando anche una sola di esse formuli apposita richiesta nel ricorso o nel primo atto difensivo; l’udienza si svolge mediante un collegamento audiovisivo tra l'aula di udienza e il luogo del domicilio indicato dal contribuente, dal difensore, dall’ufficio impositore o dai soggetti della riscossione con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto viene detto. Il luogo dove la parte processuale si collega in audiovisione è equiparato all'aula di udienza. Si demanda poi ad uno o più provvedimenti del Direttore generale delle finanze, sentito il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria e l’Agenzia per l’Italia Digitale, l’individuazione delle regole tecnico-operative per consentire la partecipazione all’udienza a distanza, la conservazione della visione delle relative immagini, e le Commissioni tributarie presso le quali attivare l’udienza pubblica a distanza. Almeno un’udienza per ogni mese e per ogni sezione è riservata alla trattazione di controversie per le quali è stato richiesto il collegamento audiovisivo a distanza.
Il provvedimento in esame sostituisce il comma 4 dell’art. 16 per estendere il campo d’applicazione delle udienze da remoto, con una disciplina che va a regime e che dunque non è circoscritta all’attuale fase emergenziale. Rispetto alla normativa previgente, il decreto-legge:
§ estende l’applicabilità della disciplina sulla partecipazione a distanza alle udienze in camera di consiglio. Il riferimento normativo dell’art. 34 del d.lgs. n. 546/1992, relativo alle udienze pubbliche, è infatti integrato con quello all’art. 33 del medesimo decreto legislativo, relativo alla trattazione in camera di consiglio;
§ consente la partecipazione da remoto non solo alle parti processuali (contribuente, ufficio impositore o agenti della riscossione, difensori), ma anche al giudice tributario e al personale amministrativo delle commissioni tributarie;
§ prevede che la richiesta di udienza da remoto possa essere presentata dalle parti non solo all’atto del ricorso, o nel primo atto difensivo, ma anche successivamente, purché prima dell’avviso di trattazione dell’udienza.
Si ricorda che in base all’art. 31 del d.lgs. n. 546 del 1992 la segreteria della Commissione tributaria deve dare comunicazione alle parti costituite della data di trattazione almeno trenta giorni prima della data stessa.
§ conferma che le regole tecnico operative per le udienze da remoto debbano essere fissate con provvedimenti del Direttore generale delle finanze, sentito il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, ma aggiunge a questo iter il parere del Garante per la protezione dei dati personali. La disposizione, peraltro, elimina dall’art. 16, comma 4, la previsione dell’obbligo di conservazione delle immagini dell’udienza;
§ elimina la previsione che imponeva alle sezioni tributarie di dedicare almeno un’udienza al mese alla trattazione di controversie per le quali fosse stato richiesto il collegamento audiovisivo a distanza;
§ demanda ai Presidenti delle Commissioni tributarie la predeterminazione di criteri in base ai quali i singoli giudici tributari possano individuare le controversie per le quali la segreteria comunicherà alle parti lo svolgimento dell’udienza a distanza.
La riforma aggiunge, dunque, alla possibilità per le parti di richiedere l’udienza da remoto – già prevista dal legislatore – la possibilità per il giudice tributario di disporre, autonomamente, l’udienza a distanza per alcune specifiche controversie.
Trattandosi di una disposizione destinata ad applicarsi anche cessata l’emergenza epidemiologica in atto, si valuti l’opportunità di specificare in quali ipotesi il giudice tributario possa, senza richiesta delle parti, imporre una trattazione da remoto.
Il comma 3 disciplina, per il solo 2020, la ripartizione tra le commissioni tributarie di parte del gettito del contributo unificato di iscrizione a ruolo per le controversie tributarie. In deroga alla disciplina generale, che imporrebbe di ripartire le somme in base all’efficienza dei diversi uffici nello smaltimento dell’arretrato, il decreto-legge prevede una distribuzione alle Commissioni tributarie in proporzione al personale – togato e amministrativo – da loro impiegato.
La disposizione deroga per il 2020 alla previsione generale, di cui all’art. 37, comma 13, del decreto-legge n. 98 del 2011, in base alla quale il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria provvede al riparto annuale delle somme derivanti dal maggior gettito di contributo unificato imputabili all’aumento degli scaglioni del suddetto contributo effettuato nel 2011, tra gli uffici giudiziari che hanno raggiunto specifici obiettivi di smaltimento dell'arretrato, e tenuto conto delle dimensioni e della produttività di ciascun ufficio.
Articolo 151
(Differimento sospensione licenze, autorizzazioni e iscrizione
ad albi e ordini professionali)
L’articolo 151 proroga al 31 gennaio 2021 il termine per la notifica degli atti e per l’esecuzione dei provvedimenti di sospensione della licenza o dell’autorizzazione amministrativa all’esercizio dell’attività, ovvero dell’esercizio dell’attività medesima o dell’iscrizione ad albi e ordini professionali. Tale sospensione non si applica nei confronti di coloro che commettono violazioni successivamente alla data di entrata in vigore del decreto (19 maggio 2020).
Preliminarmente si ricorda che l’articolo 67, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 dispone che sono sospesi dall'8 marzo al 31 maggio 2020 i termini relativi alle attività di liquidazione, controllo, accertamento, riscossione e contenzioso da parte degli uffici degli enti impositori.
Per una ricostruzione dettagliata delle norme introdotte dall’articolo 67 si consiglia la lettura del dossier Misure per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19 (cd. "Cura Italia") realizzato dai Servizi Studi della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
La disposizione in esame (comma 1) proroga al 31 gennaio 2021 il termine per la notifica degli atti e per l’esecuzione dei provvedimenti di sospensione della licenza o dell’autorizzazione amministrativa all’esercizio dell’attività, ovvero dell’esercizio dell’attività medesima o dell’iscrizione ad albi e ordini professionali, emanati dalle direzioni regionali dell’Agenzia delle entrate (articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471).
Si ricorda che l’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (sanzioni accessorie in materia di imposte dirette ed imposta sul valore aggiunto) disciplina la notifica e l’esecuzione degli atti di sospensione della licenza o dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività ovvero dell’attività medesima e i provvedimenti di sospensione dell’iscrizione ad albi o ordini professionali a carico dei soggetti (imprese, commercianti e lavoratori autonomi) ai quali sono state contestate più violazioni degli obblighi di emissione di scontrini, ricevute fiscali, certificazione dei corrispettivi o degli obblighi di regolarizzazione di acquisto di mezzi tecnici per le telecomunicazioni. In particolare l’articolo prevede che:
§ qualora siano state contestate, nel corso di un quinquennio, quattro distinte violazioni dell'obbligo di emettere la ricevuta fiscale o lo scontrino fiscale compiute in giorni diversi, anche se non sono state irrogate sanzioni accessorie è disposta la sospensione della licenza o dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività ovvero dell'esercizio dell'attività medesima per un periodo da tre giorni ad un mese (comma 2);
§ la sospensione è disposta anche nei confronti dei soggetti esercenti i posti e apparati pubblici di telecomunicazione e nei confronti dei rivenditori agli utenti finali dei mezzi tecnici ai quali, nel corso di dodici mesi, siano state contestate tre distinte violazioni dell'obbligo di regolarizzazione dell'operazione di acquisto di mezzi tecnici (comma 2-quinquies);
§ qualora siano state contestate a carico di soggetti iscritti in albi ovvero ad ordini professionali, nel corso di un quinquennio, quattro distinte violazioni dell'obbligo di emettere il documento certificativo dei corrispettivi compiute in giorni diversi, è disposta in ogni caso la sanzione accessoria della sospensione dell'iscrizione all'albo o all'ordine per un periodo da tre giorni ad un mese. In caso di recidiva, la sospensione è disposta per un periodo da quindici giorni a sei mesi (comma 2-sexies).
Nella relazione illustrativa che accompagna il decreto si evidenzia che la proroga al 31 gennaio 2021 deriva del fatto che la gran parte delle attività imprenditoriali, commerciali e professionali hanno dovuto affrontare un lungo periodo di chiusura a seguito dei provvedimenti adottati per l’emergenza sanitaria.
Il comma 2, al fine di evitare che possano essere commesse violazioni degli obblighi sopra citati nella consapevolezza che l’esecuzione della eventuale sanzione accessoria non potrà avvenire prima del 1° febbraio 2021, dispone che la proroga della sospensione non si applica nei confronti di coloro che hanno commesso anche una sola delle violazioni previste dal richiamato articolo 12 successivamente alla data di entrata in vigore del decreto (19 maggio 2020).
Articolo 152
(Sospensioni dei pignoramenti su stipendi e pensioni)
L’articolo 152 stabilisce la sospensione, nel periodo intercorrente tra il 19 maggio e il 31 agosto 2020, degli obblighi di accantonamento derivanti dai pignoramenti presso terzi effettuati dall’agente di riscossione sulle somme dovute a titolo di stipendio, pensione e trattamenti assimilati.
La disposizione prevede inoltre che, durante tale periodo, le somme che avrebbero dovuto essere accantonate non sono sottoposte al vincolo pignoratizio di indisponibilità, anche in caso di intervenuta ordinanza di assegnazione del giudice dell'esecuzione.
L’articolo 152, comma 1, sospende, dalla data di entrata in vigore del decreto al 31 agosto 2020, la possibilità di effettuare pignoramenti presso terzi da parte dell’agente di riscossione del salario, e di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza.
In particolare la norma prevede che fino al 31 agosto 2020 sono sospesi gli obblighi di accantonamento derivanti dai pignoramenti presso terzi effettuati prima della stessa data dall’agente della riscossione e dai soggetti iscritti all’albo per l'accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali (articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446) aventi ad oggetto somme dovute a titolo di stipendi, pensioni e trattamenti assimilati.
Le somme che avrebbero dovuto essere accantonate nel medesimo periodo non sono sottoposte a vincolo di indisponibilità e il terzo pignorato le rende fruibili al debitore esecutato, anche se anteriormente alla data di entrata in vigore decreto (19 maggio 2020) sia intervenuta un’ordinanza di assegnazione del giudice dell'esecuzione.
In tal modo il terzo pignorato, come il datore di lavoro o l’ente pensionistico, dovrà renderle fruibili le somme al debitore esecutato, erogandogli lo stipendio o la pensione senza decurtazioni, anche in caso di avvenuta assegnazione da parte del giudice.
Restano fermi gli accantonamenti effettuati prima della data di entrata in vigore del decreto e restano definitivamente acquisite e non sono rimborsabili le somme accreditate, anteriormente alla stessa data, all’agente della riscossione e ai soggetti iscritti all’albo per l'accertamento e riscossione delle entrate degli enti locali.
Si ricorda che la legge di bilancio 2020 (commi 784 e ss.gg.) ha complessivamente riformato la riscossione degli enti locali, con particolare riferimento agli strumenti per l'esercizio della potestà impositiva, fermo restando l'attuale assetto dei soggetti abilitati alla riscossione delle entrate locali. In sintesi, le norme:
§ intervengono sulla disciplina del versamento diretto delle entrate degli enti locali, prevedendo che tutte le somme a qualsiasi titolo riscosse appartenenti agli enti locali affluiscano direttamente alla tesoreria dell'ente;
§ disciplinano in modo sistematico l'accesso ai dati da parte degli enti e dei soggetti affidatari del servizio di riscossione;
§ introducono anche per gli enti locali l'istituto dell'accertamento esecutivo, sulla falsariga di quanto già previsto per le entrate erariali (cd. ruolo), che consente di emettere un unico atto di accertamento avente i requisiti del titolo esecutivo; l'accertamento esecutivo opera, a partire dal 1° gennaio 2020, con riferimento ai rapporti pendenti a tale data;
§ novellano la procedura di nomina dei funzionari responsabili della riscossione;
§ in assenza di regolamentazione da parte degli enti, disciplinano puntualmente la dilazione del pagamento delle somme dovute;
§ istituiscono una sezione speciale nell'albo dei concessionari della riscossione, cui devono obbligatoriamente iscriversi i soggetti che svolgono le funzioni e le attività di supporto propedeutiche all'accertamento e alla riscossione delle entrate locali;
§ prevedono la gratuità delle trascrizioni, iscrizioni e cancellazioni di pignoramenti e ipoteche richiesti dal soggetto che ha emesso l'ingiunzione o l'atto esecutivo.
Il comma 2 stabilisce la copertura finanziaria degli oneri derivanti dall’articolo.
Articolo 158
(Cumulabilità della sospensione dei termini processuali e della sospensione nell'ambito del procedimento di
accertamento con adesione)
L'articolo 158 reca una disposizione di natura interpretativa finalizzata a chiarire che la sospensione dei termini processuali prevista dall'articolo 83, comma 2, del decreto-legge n. 18 del 2020, debba considerarsi cumulabile in ogni caso con la sospensione del termine di impugnazione prevista dalla procedura di accertamento con adesione.
L'unico comma dell'articolo in esame dispone che, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge n. 212 del 2000, la sospensione dei termini processuali prevista dall'articolo 83, comma 2, del decreto-legge n. 18 del 2020, si intende cumulabile in ogni caso con la sospensione del termine di impugnazione prevista dalla procedura di accertamento con adesione (novanta giorni dalla data di presentazione dell'istanza, ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 218 del 1997).
Si rammenta che l'articolo 1, comma 2, della legge n. 212 del 2000 (Disposizioni in materia di statuto del contribuente), stabilisce che l'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica.
Si rammenta altresì che, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del decreto-legge n. 18 del 2020, dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 è sospeso il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali.
Si intendono pertanto sospesi, per la stessa durata, i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l'adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali.
Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l'inizio stesso è differito alla fine di detto periodo.
Quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l'udienza o l'attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto.
Si intendono altresì sospesi, per la stessa durata indicata nel primo periodo, i termini per la notifica del ricorso in primo grado innanzi alle Commissioni tributarie e il termine di cui all'articolo 17-bis, comma 2, del decreto legislativo n. 546 del 1992, ai sensi del quale il ricorso non è procedibile fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di notifica, entro il quale deve essere conclusa la procedura di cui al presente articolo.
Articolo 180
(Ristoro ai Comuni per la riduzione di gettito dell’imposta di soggiorno e altre disposizioni in materia)
L’articolo 180, comma 1, istituisce un Fondo, nello stato di previsione del Ministero dell'interno per l'anno 2020, per il ristoro parziale dei comuni a seguito della mancata riscossione dell’imposta di soggiorno, del contributo di sbarco o del contributo di soggiorno. Al Fondo è attribuita una dotazione di 100 milioni di euro. Alla ripartizione si provvede con decreto ministeriale (comma 2). Il comma 5 dispone in ordine alla copertura dei relativi oneri.
I commi 3 e 4 novellano alcune disposizioni concernenti il pagamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno (quest'ultimo previsto per Roma capitale). I soggetti che incassano tali imposte o contributi devono successivamente versare al comune i relativi importi. La presentazione della relativa dichiarazione, nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale, deve essere effettuata dal gestore della struttura ricettiva, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi (comma 3). Il medesimo diritto di rivalsa è riconosciuto, ai sensi del comma 4, anche al soggetto che incassa il canone o il corrispettivo - ovvero che interviene nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi - dovuto per locazioni brevi.
Viene quindi dettata la disciplina sanzionatoria relativa ai casi di omessa o infedele presentazione della dichiarazione ovvero per omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta (di soggiorno o di sbarco) o contributo di soggiorno.
Il fondo di cui al comma 1 mira, quindi, a fornire un ristoro parziale ai comuni a fronte delle minori entrate derivanti dalla mancata riscossione dell’imposta di soggiorno a seguito delle misure di contenimento del COVID-19. Come sopra accennato, il medesimo comma 1 attribuisce una dotazione di 100 milioni di euro per il 2020.
Ai sensi del comma 2, si provvede alla ripartizione delle somme con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa in sede Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da adottare entro 30 giorni dall’entrata in vigore del presente decreto-legge.
Il comma 5 dispone che alla copertura dei relativi oneri si provvede ai sensi dell'art. 265 (alla cui scheda si rinvia).
L'articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 ("Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale"), in materia di imposta di soggiorno, dispone che i comuni capoluogo di provincia, le unioni di comuni nonché i comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d'arte possono istituire, con deliberazione del consiglio, un'imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, da applicare, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno. Il relativo gettito è destinato a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali.
Si ricorda, per completezza, che l'art. 46, comma 1-bis, D.L. n. 124 del 2019, dispone che nei comuni capoluogo di provincia che - in base all'ultima rilevazione resa disponibile da parte delle amministrazioni pubbliche competenti per la raccolta ed elaborazione di dati statistici - abbiano avuto presenze turistiche in numero venti volte superiore a quello dei residenti, l'imposta di soggiorno può essere applicata fino all'importo massimo di 10 euro a notte (rispetto al vigente limite massimo di 5 euro).
Il contributo di sbarco, istituito dall'articolo 33 della legge n. 221 del 2015 (cd. collegato ambientale) ha sostituito la previgente imposta di sbarco; esso, come l'imposta di sbarco, è alternativo all'imposta di soggiorno.
Quanto al contributo di soggiorno, esso era stato già introdotto per Roma Capitale a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive della città, secondo criteri di gradualità in proporzione alla loro classificazione, fino all'importo massimo di 10 euro per notte di soggiorno (art. 14, co. 16, lett. e) del D.L. n. 78 del 2010).
I gestori delle strutture ricettive, situate nei territori dei comuni che, in base alla legge (art. 4 comma 1 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23), hanno istituito l’imposta di soggiorno, una volta incassata l'imposta devono versarla al comune, tramite modello F24.
Per un inquadramento di carattere generale, si veda il temaweb "Le entrate delle regioni e degli enti locali" (marzo 2020).
La disposizione di cui al comma 5-ter dell’art. 4 del decreto-legge n. 50 del 2017 già qualifica il soggetto che incassa il canone o il corrispettivo - ovvero che interviene nel pagamento dei predetti canoni o corrispettivi - quale responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno o del contributo di soggiorno, nonché degli ulteriori adempimenti previsti dalla legge e dal regolamento comunale, quando la locazione risponde ai requisiti della locazione breve di cui al comma 1 dell’art. 4 medesimo.
Si intendono per locazioni brevi i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell'esercizio di attività d'impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare.
Novellando tale comma 5-ter dell’art. 4 del decreto-legge n. 50 del 2017, il comma 4 riconosce al soggetto responsabile del pagamento del tributo, il diritto di rivalsa sui soggetti passivi.
Il comma 3, introducendo un nuovo comma 1-ter all'art. 4 del citato decreto legislativo n. 23 del 2011, attribuisce la qualifica di responsabile del pagamento dell’imposta di soggiorno - o del contributo di soggiorno previsto per Roma capitale - al gestore della struttura ricettiva con diritto di rivalsa sui soggetti passivi.
Inoltre le novelle, sia nel caso delle strutture ricettive, sia nel caso delle locazioni brevi, pongono in capo a tale soggetto responsabile la presentazione della dichiarazione. Tale dichiarazione deve essere presentata cumulativamente ed esclusivamente in via telematica entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo. Le modalità di presentazione sono demandate ad un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto-legge.
I medesimi commi 3 e 4 recano poi la disciplina sanzionatoria, valida sia per le strutture turistiche ricettive, sia in caso di locazione breve:
§ in caso di omessa o infedele presentazione della dichiarazione da parte del responsabile si applica la sanzione amministrativa dal 100 al 200 per cento dell'importo dovuto;
§ in caso di omesso, ritardato o parziale versamento dell’imposta di soggiorno e del contributo di soggiorno, si applica una sanzione amministrativa ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997[4].
L’art. 13, rubricato Ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione, prevede, per chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell'imposta risultante dalla dichiarazione, l’applicazione della sanzione amministrativa pari al 30% di ogni importo non versato. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 90 giorni, la sanzione è ridotta alla metà; per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a 15 giorni, la sanzione è ulteriormente ridotta a un importo pari a un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo.
Il decreto-legge, dunque, qualifica tanto l’omessa o infedele dichiarazione, quanto l’omesso, il ritardato o il parziale versamento dell’imposta di soggiorno come illeciti amministrativi, senza alcuna clausola di salvaguardia penale (non è previsto, infatti, che la sanzione amministrativa trovi applicazione “salvo il che il fatto costituisca reato”).
L’intervento legislativo potrebbe dunque dare luogo a una depenalizzazione, posto che attualmente l’omesso versamento dell’imposta riscossa è punito a titolo di peculato.
La Corte dei conti, infatti, ha fino a oggi qualificato il gestore della struttura recettiva non come sostituto d’imposta bensì come agente contabile (cfr. Corte dei Conti, Sezioni Riunite, pronuncia n. 22/2016/QM), riconoscendo dunque, in caso di mancato versamento, una responsabilità per danno erariale.
La Cassazione penale (cfr. Cassazione, sez. VI penale, sent. 19925/2019; sez. VI penale, n. 32058/2018; sez. VI penale, n. 53467/2017) ha stabilito che dalla qualifica di agente contabile discende la qualifica di incaricato di pubblico servizio, e che dunque in caso di omesso versamento dell'imposta incassata, per il gestore della struttura recettiva è configurabile il reato di peculato, di cui all’art. 314 c.p. (“Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da 4 anni a 10 anni e 6 mesi”; primo comma).
Si ricorda che, in base all’art. 9 della legge n. 689 del 1981 (principio di specialità), quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale.
Peraltro, la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla possibilità di sanzionare l’omesso versamento al Comune dell’imposta riscossa tanto a titolo di illecito penale, quanto a titolo di illecito amministrativo, in forza di specifici regolamenti comunali, ha affermato che: non sussiste un rapporto di specialità tra la fattispecie penalmente rilevante di peculato e quella di mancato versamento all'amministrazione comunale dei medesimi importi, sanzionata in via amministrativa - nella specie, da un regolamento comunale -, poiché l'illecito amministrativo concerne il solo dato dell'omesso versamento di tali somme, onde non trova applicazione il principio di cui all'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 681, in mancanza del presupposto costituito dall'identità del fatto. In motivazione la Corte ha, altresì, precisato che il sistema delle sanzioni amministrative non consente a fonti regolamentari di rendere penalmente irrilevanti fatti sanzionati da norme di rango superiore (cfr. Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 28/05/2019) 08-07-2019, n. 29632).
In assenza di una specifica norma transitoria, l’illecito amministrativo si applica ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore della norma; laddove la giurisprudenza qualificasse la disposizione in commento come operante una depenalizzazione, per i fatti commessi prima, non potendo più trovare applicazione la norma penale, sarebbero escluse tanto sanzioni penali quanto sanzioni amministrative.
Per effetto dei commi 3 e 4 in esame, quindi, vengono così allineate le distinte discipline per le locazioni brevi e per le strutture ricettive.
Secondo alcune stime effettuate da uno studio pubblicato dalla Banca d'Italia[5] riferite all'anno 2016, le riscossioni dei Comuni relative alla sola imposta di soggiorno sono state pari a 376 milioni di euro (cui vanno aggiunto ulteriori 11 milioni riferiti alla Provincia autonoma di Trento ove il tributo è riscosso a livello provinciale), in media intorno al 4 per cento del complesso delle entrate tributarie da imposte degli enti interessati, circa 20 euro per abitante e 1,4 euro a pernottamento. Per comparazione, nello stesso anno l’addizionale all’Irpef generava incassi per circa 95 euro pro capite nella media degli stessi enti.
Secondo valutazioni più recenti[6], il gettito complessivo avrebbe registrato un sensibile aumento, raggiungendo, nel 2019, 622 milioni di euro (+13,7% rispetto al 2018). Tale incremento sarebbe dovuto anche all'aumento delle amministrazioni comunali che hanno introdotto l'imposta (72 solamente nel 2019).
Articolo 216, comma 3
(Riduzione dei canoni di locazione per palestre,
piscine e impianti sportivi)
L’articolo 216, comma 3, prevede una riduzione, limitatamente alle mensilità da marzo a luglio 2020, dei canoni di locazione di palestre, piscine e ogni altro impianto sportivo.
La disposizione prevede che la sospensione delle attività sportive si consideri sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468 del codice civile, come fattore di sopravvenuto squilibrio dell’assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di ogni tipo[7]. A motivo di tale squilibrio si riconosce al conduttore il diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito.
L’art. 1256 c.c. stabilisce che l’obbligazione si estingue quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diviene impossibile. L'impossibilità sopravvenuta non imputabile al debitore costituisce un modo di estinzione della obbligazione diverso dall'adempimento, di tipo non satisfattorio. Requisiti della impossibilità sopravvenuta quale causa estintiva della obbligazione sono da un lato la sopravvenienza, nel senso che l'impossibilità deve essere connessa ad eventi che si siano verificati in epoca successiva alla costituzione del rapporto obbligatorio e deve riguardare la prestazione e, dall'altro,
Tra le cause invocabili ai fini della richiamata “impossibilità della prestazione” - che fungono da esimente della responsabilità del debitore a prescindere dalle previsioni contrattuali in essere - rientrano gli ordini o i divieti sopravvenuti dell’autorità amministrativa c.d. “factum principis”, ovvero i provvedimenti legislativi o amministrativi, dettati da interessi generali, che rendano impossibile la prestazione, indipendentemente dal comportamento dell’obbligato. In proposito è opportuno rilevare che secondo la giurisprudenza – l’impossibilità nell’adempimento contrattuale non può essere invocata qualora il factum principis sia «ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto dell’assunzione dell’obbligazione» ovvero «rispetto al quale non abbia sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza della pubblica amministrazione» (Cass. Civ., Sez. III, n. 14915 del 08.06.2018). Nel caso invece, dell’ impossibilità temporanea, l’art. 1256 c.c. si limita ad escludere, fino a quando tale impossibilità persiste, la responsabilità del debitore per il ritardo nell’adempimento. Ne deriva, in via generale, che il debitore, venuta meno la suddetta impossibilità, è obbligato sempre ad eseguire la prestazione, indipendentemente da un suo diverso interesse economico che può, eventualmente, far valere sotto il profilo dell’eccessiva onerosità sopravvenuta.
Se in linea generale (art. 1258 c.c.) l'impossibilità parziale della prestazione non estingue l'obbligazione e il debitore è liberato se esegue la prestazione per la parte che è rimasta, nei contratti a prestazioni corrispettiva l’articolo 1464 del codice civile introduce un correttivo, legittimando il creditore a pretendere una corrispondente riduzione della propria prestazione o a recedere dal contratto, ove non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale.
Ai sensi dell’articolo 1467 del codice civile nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta, al momento dell'esecuzione, eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari o imprevedibili, comunque non imputabili al contraente, la parte tenuta a tale prestazione può domandare la risoluzione, sempre che la sopravvenuta onerosità non rientri nell'alea del normale contratto. L’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, per poter dar luogo quindi alla risoluzione del contratto richiede due requisiti: un intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto e la riconducibilità della eccessiva onerosità ad “eventi straordinari ed imprevedibili”, che non rientrano nell’ambito della normale alea contrattuale. In particolare, il carattere della “straordinarietà” deve essere valutato in modo oggettivo, dovendosi qualificare in base alla frequenza dell’evento, alle dimensioni, all’intensità ecc.; l’“imprevedibilità” ha natura, invece, soggettiva, «facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza» Si vedano Cass. Civ. n. 22396 del 19.10.2006 e Trib. Roma, Sez. II, n. 7407 del 13.04.2017. Ne consegue quindi che la domanda di risoluzione di un contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione deve essere corredata dalla rigorosa prova del fatto la cui sopravvenienza abbia «determinato una sostanziale alterazione delle condizioni del negozio originariamente convenuto tra le parti e della riconducibilità di tale alterazione a circostanze assolutamente imprevedibili» (si veda Trib. Milano, Sez. Spec. Impr., n. 8878 del 03.07.2014).
Nei contratti "con obbligazioni di una sola parte", invece, diversamente dall'articolo1464, il codice civile (art. 1468) concede alla parte eccessivamente onerata come unico rimedio la modifica del regolamento negoziale. Sempre in base all'articolo 1468 c.c. l'eccessiva onerosità deve essere valutata raffrontando il valore originario della prestazione con quello che la stessa ha assunto al momento dell'esecuzione.
Con particolare riguardo ai contratti di locazione, è opportuno ricordare che l’articolo 1571 c.c definisce la locazione come il contratto con cui una parte, il locatore, si obbliga a far godere all'altra parte, il conduttore o locatario, un bene mobile o immobile per un dato tempo verso un determinato corrispettivo (il canone locatizio). Oltre alla disciplina codicistica la materia locatizia è regolata anche dalla normativa speciale dettata dalla legge 27 luglio 1978 n. 392 (cosiddetta “legge sull’equo canone”) e dalla legge 9 dicembre 1998 n. 431 (recante Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo).
Per contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica ad alcuni soggetti esercenti attività d’impresa l'art. 65, comma l il decreto-legge n. 18 del 2020 (conv. legge n. 27 del 2020) ha riconosciuto una agevolazione sotto forma di credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare del canone di locazione, per il mese di marzo 2020 a favore soltanto dei conduttori di locali commerciali rientranti nella categoria catastale C/1, tra cui non rientrano gli impianti sportivi. Il decreto-legge n. 18 ha comunque lasciato impregiudicata la questione se la legge civile attribuisca al conduttore il diritto ad una riduzione del canone (ed eventualmente ad un esonero dal relativo pagamento) relativamente al periodo di tempo in cui egli sia stato costretto, per factum principis, a tenere chiusa la sua attività commerciale.
A legislazione vigente l’indisponibilità dei locali per effetto delle misure di contenimento dell’epidemia, non legittima il conduttore dall’ astenersi dal versare il canone, né dal ridurlo unilateralmente rispetto all’importo contrattualmente convenuto. Secondo la giurisprudenza, infatti, l’autoriduzione del canone da parte del conduttore è un fatto arbitrario ed illegittimo; neppure l’art. 1578 c.c., comma 1, c.c. – che prevede la possibilità del conduttore di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo in presenza di un inadempimento del locatore, consistente in un vizio della cosa locata che ne diminuisca l’idoneità all’uso pattuito – facoltizza il conduttore di operare detta autoriduzione.
A ciò si aggiunga che, con riguardo alla situazione emergenziale attuale, il mancato godimento dei locali oggetto di locazione non è certo ricollegabile ad alcun inadempimento del locatore (come invece presuppone la norma di cui all’art. 1578 c.c), bensì deriva da una causa di forza maggiore, sub specie di factum principis, e dunque non legittima in alcun modo il conduttore a sospendere o ridurre il canone di locazione, avvalendosi dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.
L'articolo 216, comma 3, qui in commento, di fatto - come evidenzia la relazione illustrativa - introduce un rimedio "conservativo" azionabile dal locatore "per ricondurre il rapporto all' equilibrio originariamente pattuito, consistente del diritto alla riduzione del canone locatizio mensile per tutto il periodo in cui, per il rispetto delle misure di contenimento, sono stati di fatto privati del godimento degli immobili locali".
L'assegnazione di un rimedio conservativo "appare giustificato alla luce delle seguenti considerazioni:
a) il conduttore ha un forte interesse a mantenere in vita il contratto in ragione della «specificità ubicativa» dell'impianto sportivo e del rischio di non ricollocabilità altrove della sua attività;
b) il locatore non ha alcun apprezzabile interesse a rifiutare la revisione, poiché da tale rimedio non subisce un pregiudizio che, in questa fase, potrebbe scongiurare ricorrendo al mercato".
Tale disposizione - precisa sempre la relazione - si applica a decorrere dai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi dei decreti legge 23 febbraio 2020, n. 6, e 25 marzo 2020, n. 19, e dunque disciplina effetti di fatti verificatisi (anche) nel passato. La limitata retroattività della disposizione (da marzo 2020 a luglio 2020) appare rispondere ai parametri di riferimento dello scrutinio di non arbitrarietà e ragionevolezza elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, e segnatamente: i) l'esistenza di una inderogabile esigenza normativa; ii) la proporzionalità tra il peso imposto ai destinatari della norma e il fine perseguito dal legislatore (sentenza n. 203 del 2016).
Sulla sospensione delle attività sportive si veda la scheda di lettura relativa all'articolo 216, commi 1 e 2.
Articolo 218
(Disposizioni processuali eccezionali per i provvedimenti relativi all’annullamento, alla prosecuzione e alla conclusione delle competizioni e dei campionati, professionistici e dilettantistici)
L'articolo 218, in considerazione dell’eccezionale situazione determinatasi a causa della emergenza epidemiologica da Covid-19, reca disposizioni straordinarie e temporanee dirette a contenere in tempi certi l'eventuale contenzioso che potrebbe scaturire dalle decisioni che le federazioni sportive nazionali saranno presumibilmente costrette ad adottare, a causa del lockdown, in materia di prosecuzione e conclusione delle competizioni e dei campionati, professionistici e dilettantistici, per la stagione sportiva 2019/2020, e conseguenti misure organizzative per la successiva stagione sportiva 2020/2021.
Il comma 1 conferisce facoltà alle federazioni sportive nazionali, riconosciute dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (Coni) e dal Comitato Italiano Paralimpico (Cip), di adottare - anche in deroga alle vigenti disposizioni dell’ordinamento sportivo - provvedimenti relativi all’annullamento, alla prosecuzione e alla conclusione delle competizioni e dei campionati, professionistici e dilettantistici, ivi compresa la definizione delle classifiche finali, con riferimento alla stagione sportiva 2019/2020.
Le medesime federazioni possono, inoltre, adottare i conseguenti provvedimenti relativi all’organizzazione, alla composizione e alle modalità di svolgimento delle competizioni e dei campionati, professionistici e dilettantistici, per la successiva stagione sportiva 2020/2021.
Il comma 2 prevede che - nelle more dell’adeguamento dello statuto e dei regolamenti del Coni, e, a seguire, degli statuti delle federazioni sportive disciplinati dagli articoli 15 e 16 del decreto legislativo n. 242/1999 - la competenza degli organi di giustizia sportiva sia concentrata, in unico grado e con cognizione estesa al merito, nel Collegio di garanzia dello sport, il quale giudica sulla base di specifiche norme di giustizia sportiva per la trattazione delle controversie aventi a oggetto i provvedimenti di cui al comma 1, redatte in conformità ai criteri e ai requisiti stabiliti dal comma in esame.
Il comma 2, sotto il profilo procedurale, dispone, infatti, che: 1) il ricorso relativo a tali controversie, previamente notificato alle altre parti, sia depositato presso il Collegio di garanzia dello Sport entro 7 giorni dalla pubblicazione dell’atto impugnato a pena di decadenza; 2) il Collegio di garanzia dello sport decida in via definitiva sul ricorso, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, entro il termine perentorio di 15 giorni dal deposito, decorso il quale il ricorso si ha per respinto e l’eventuale decisione sopravvenuta è priva di effetti; 3) la decisione del Collegio di garanzia dello sport sia impugnabile ai sensi del comma 3.
Il decreto-legge n. 220 del 2003 (modificato dal codice del processo amministrativo) reca norme in materia di giustizia sportiva.
In attuazione del principio di autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale (art. 1), l'art. 2 riserva all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni relative all'osservanza e all'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni, finalizzate a garantire il corretto svolgimento delle attività sportive (art. 2, comma 1, lett. a)), nonché la disciplina delle questioni relative ai comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e all'irrogazione ed applicazione delle conseguenti sanzioni disciplinari (art. 2, comma 1, lett. b)).
In tali materie, le società, le associazioni, gli affiliati e i tesserati hanno l'onere di adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del Coni e delle Federazioni sportive nazionali, gli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo (art. 2, comma 2).
Con riferimento a tale disciplina (in particolare all'art. 2, commi 1, lett b), e 2), la Corte costituzionale ha recentemente ribadito la posizione espressa nella precedente sent. n. 49/2011, sulla base della quale le menzionate disposizioni sono frutto del non irragionevole bilanciamento operato dal legislatore fra il principio costituzionale di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale e le esigenze di salvaguardia dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, che trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 Cost. (sent. n. 160/2019).
Il sistema di giustizia sportiva è delineato dagli artt. 12 e sgg. dello Statuto del Coni, che istituisce presso il Coni, in piena autonomia e indipendenza, il Collegio di Garanzia dello Sport e la Procura Generale dello Sport.
Il Collegio di Garanzia dello Sport è organo di ultimo grado della giustizia sportiva, cui è demandata la cognizione delle controversie decise in via definitiva dagli organi di giustizia federale (ad esclusione di quelle in materia di doping, per le quali è istituito il Tribunale Nazionale Antidoping, e di quelle che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di minore rilevanza).
La Procura generale dello Sport ha il compito di coordinare e vigilare le attività inquirenti e requirenti svolte dalle procure federali.
Il Codice della giustizia sportiva (adottato dal Consiglio Nazionale del Coni) regola l’ordinamento e lo svolgimento dei procedimenti di giustizia dinanzi alle Federazioni sportive nazionali e alle Discipline sportive associate, nonché l’ordinamento e lo svolgimento dei procedimenti di giustizia dinanzi al Collegio di garanzia dello Sport e i rapporti tra le procure federali e la Procura generale dello Sport.
Avverso tutte le decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito dell’ordinamento federale ed emesse dai relativi organi di giustizia (ad esclusione di quelle in materia di doping e di quelle che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di durata inferiore a 90 giorni o pecuniarie fino a 10.000 euro) è proponibile ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport, di cui all’art. 12-bis dello Statuto del Coni.
Il ricorso è ammesso esclusivamente per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti.
Il Collegio di Garanzia dello Sport giudica altresì le controversie ad esso devolute dalle disposizioni del Codice, nonché dagli Statuti e dai Regolamenti federali, sulla base di speciali regole procedurali definite d’intesa con il Coni. In tali casi il giudizio può essere anche di merito e in unico grado.
La disposizione in commento interviene, dunque, a limitare temporaneamente l'autonomia dell'ordinamento sportivo, incidendo sia sulla disciplina statutaria del Coni in materia di giustizia sportiva sia sulle disposizioni procedurali recate dal Codice della giustizia sportiva.
Il decreto legislativo n. 242/99 (modificato dal decreto legislativo n. 15/2004) ha provveduto al riordino del CONI ai sensi dell'art. 11 della legge n. 59 del 1997 (successivamente l'art. 8 del decreto-legge n. 138 del 2002 ha costituito una società per azioni con la denominazione «CONI Servizi spa»).
In particolare, l'art. 15 - che reca disposizioni in materia di Federazioni sportive nazionali e discipline sportive associate - ha statuito che le Federazioni sportive nazionali hanno natura di associazione con personalità giuridica di diritto privato, non perseguono fini di lucro e sono soggette, per quanto non espressamente previsto nel decreto legislativo n. 242, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione.
Il successivo art. 16 reca disciplina degli Statuti delle Federazioni sportive nazionali.
Il comma 3 prevede che le controversie sulle decisioni del Collegio di garanzia dello sport rese ai sensi del comma 2, ovvero direttamente sui provvedimenti di cui al comma 1 qualora la decisione dell'organo di giustizia sportiva non sia resa nei termini, siano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e alla competenza inderogabile del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma.
Il comma reca inoltre disposizioni procedurali: 1) il termine per ricorrere decorre dalla pubblicazione della decisione impugnata, ovvero dalla scadenza del termine relativo, ed è di 15 giorni. Entro tale termine il ricorso, a pena di decadenza, è notificato e depositato presso la segreteria del giudice adito; 2) si applicano i limiti dimensionali degli atti processuali previsi per il rito elettorale, di cui all’articolo 129 del codice del processo amministrativo, dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2016; 3) la causa è discussa nella prima udienza utile decorsi 7 giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, senza avvisi; 4) a pena di decadenza, i ricorsi incidentali e i motivi aggiunti sono notificati e depositati, al pari di ogni altro atto di parte, prima dell’apertura dell’udienza e, ove ciò si renda necessario, la discussione della causa può essere rinviata per una sola volta e di non oltre 7 giorni; 5) il giudizio è deciso all’esito dell’udienza con sentenza in forma semplificata, da pubblicare entro il giorno successivo a quello dell’udienza; 6) la motivazione della sentenza può consistere anche in un mero richiamo delle argomentazioni contenute negli scritti delle parti che il giudice ha inteso accogliere e fare proprie; 7) qualora la complessità delle questioni non consenta la pubblicazione della sentenza entro il giorno successivo a quello dell’udienza, entro lo stesso termine è pubblicato il dispositivo mediante deposito in segreteria e la motivazione è pubblicata entro i 10 giorni successivi.
Ai sensi dell'art. 3 del decreto-legge n. 220/2003, in materia di giustizia sportiva, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è affidata un "ulteriore forma di tutela giustiziale" (Corte cost., sent. n. 49/2011) "relativa a tutto ciò che per un verso non concerne i rapporti patrimoniali fra società, associazioni sportive, atleti (e tesserati) - demandati (...) al giudice ordinario - e, per altro verso, pur scaturendo da atti del CONI e delle Federazioni sportive, non rientra fra le materie che, ai sensi dell'art. 2 del decreto-legge n. 220 del 2003, sono riservate - in quanto (...) non idonee a far sorgere posizioni soggettive rilevanti per l'ordinamento generale, ma solo per quello settoriale - all'esclusivo interesse degli organi della giustizia sportiva" (sent. n, 49/2011).
L'art. 3 del decreto-legge n. 220/2003 è stato modificato dall'art. 1, comma 647, della legge di bilancio per il 2019 (legge n. 145/2018), il quale ha in ogni caso riservato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ed alla competenza funzionale inderogabile del tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sede in Roma, le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle competizioni professionistiche delle società o associazioni sportive professionistiche, o comunque incidenti sulla partecipazione a competizioni professionistiche.
E' stabilito che per le dette controversie resta esclusa ogni competenza degli organi di giustizia sportiva, fatta salva la possibilità che lo statuto e i regolamenti del Coni, e conseguentemente delle Federazioni sportive di cui gli articoli 15 e 16 del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, prevedano organi di giustizia dell'ordinamento sportivo che, ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto n. 220/2003 decidono tali questioni anche nel merito ed in unico grado e le cui statuizioni, impugnabili di fronte al Tar Lazio, siano rese in via definitiva entro il termine perentorio di 30 giorni dalla pubblicazione dell'atto impugnato.
Con lo spirare di tale termine il ricorso all'organo di giustizia sportiva si ha per respinto, l'eventuale decisione sopravvenuta di detto organo è priva di effetto e i soggetti interessati possono proporre, nei successivi 30 giorni, ricorso dinanzi al tribunale amministrativo regionale del Lazio.
Il comma 4 prevede che - nei giudizi proposti ai sensi del comma 3 - il giudice provveda sulle eventuali domande cautelari prima dell’udienza, con decreto del presidente, soltanto qualora ritenga che possa verificarsi un pregiudizio irreparabile nelle more della decisione di merito assunta nel rispetto dei termini fissati dal medesimo comma 3.
In ipotesi differenti dalla precedente, il giudice riserva la decisione su tali domande all’udienza collegiale e in tale sede provvede su di esse con ordinanza, a meno che, entro il giorno successivo a quello dell’udienza, non venga pubblicata la sentenza in forma semplificata e la pubblicazione del dispositivo non esaurisca le esigenze di tutela anche cautelare delle parti.
Ai giudizi di cui al comma 3 non si applica l’art. 54, comma 2, del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo n. 104/2010, il quale prevede la sospensione dei termini processuali dal 1° al 31 agosto di ciascun anno.
Il comma 5 dispone che l’appello al Consiglio di Stato sia proposto, a pena di decadenza, entro 15 giorni decorrenti dal giorno successivo a quello dell’udienza, qualora entro tale data sia stata pubblicata la sentenza in forma semplificata, e in ogni altro caso dalla data di pubblicazione della motivazione.
Al relativo giudizio si applicano le disposizioni dei commi 3 e 4.
Il comma 6 prevede che le disposizioni di cui all'articolo in commento si applichino esclusivamente ai provvedimenti, richiamati al comma 1, adottati tra la data di entrata in vigore del decreto in esame e il sessantesimo giorno successivo a quella in cui ha termine lo stato di emergenza dichiarato con la deliberazione del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020.
Articolo 219
(Misure urgenti per il ripristino della funzionalità delle strutture dell’amministrazione della giustizia e per l’incremento delle risorse per il lavoro straordinario del personale del Corpo di polizia penitenziaria, dei dirigenti della carriera dirigenziale penitenziaria nonché dei direttori degli istituti penali per minorenni)
L'articolo 219 reca una pluralità di misure finalizzate a garantire la funzionalità dell'amministrazione della giustizia, assicurando condizioni di sicurezza rispetto al rischio di contagio da Covid-19 all'interno sia degli uffici giudiziari, sia delle carceri, e stanziando le relative risorse economiche.
Il comma 1, prevede una serie di interventi volti a consentire, nell'immediato, lo svolgimento di compiti istituzionali improrogabili ed urgenti da parte degli uffici giudiziari e delle articolazioni centrali del Ministero della giustizia, e, al termine dell'emergenza epidemiologica, la ripresa ordinaria delle attività in condizioni di sicurezza. Per tali misure è autorizzata una spesa complessiva di euro 31.727.516 per l'anno 2020, destinata:
§ all'acquisto di materiale igienico sanitario e dispositivi di protezione individuale per attività di sanificazione e disinfestazione straordinaria degli uffici, degli ambienti e dei mezzi in uso all'amministrazione giudiziaria;
§ all'acquisto di apparecchiature informatiche e delle relative licenze d'uso.
Al comma 2 è altresì previsto uno stanziamento di euro 4.612.454 per l'anno 2020, finalizzato all'acquisto di apparecchiature informatiche (e delle relative licenze d'uso) destinate al personale degli istituti e dei servizi dell’amministrazione penitenziaria e della giustizia minorile e di comunità per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali, tanto in presenza quanto nella modalità da remoto.
Il comma 3 contempla invece l'aumento della spesa già prevista dall'art. 74 del decreto-legge n. 18 del 2020 (c.d. “cura Italia”) per la copertura di interventi in ambito carcerario, che comprendono il pagamento delle ore di lavoro straordinario svolte dal personale dell'amministrazione penitenziaria al fine di assicurare l'ordine e la sicurezza all'interno degli istituti penitenziari e le attività di sanificazione degli ambienti.
In dettaglio, lo stanziamento per l'anno 2020, che passa dai 6.219.625 euro previsti dal d.l. 18 ai 9.879.625 euro del d.l. in esame, è così ripartito:
§ 7.094.500 euro per il pagamento delle prestazioni di lavoro straordinario del personale del Corpo di polizia penitenziaria, dei dirigenti della carriera dirigenziale penitenziaria nonché dei direttori degli istituti penali per minorenni;
§ 1.585.125 euro per gli altri oneri connessi all’impiego temporaneo fuori sede del personale necessario;
§ 1.200.000 euro per le spese di sanificazione e disinfezione degli ambienti nella disponibilità del medesimo personale e a tutela della popolazione detenuta.
L'incremento di 3.660.000 euro è imputato per intero alla copertura di prestazioni di lavoro straordinario, il cui pagamento è corrisposto anche in deroga ai limiti vigenti, in considerazione dell'aumento del carico di lavoro dovuto alle eccezionali misure messe in atto per fronteggiare l'emergenza epidemiologica e garantire la sicurezza e la tutela dei detenuti, oltreché dello stesso personale dell'amministrazione penitenziaria chiamato ad operare.
La relazione tecnica riferisce che gli stanziamenti di cui al comma 3 consentono la retribuzione di ulteriori 10 ore di lavoro straordinario a favore dei 255 dirigenti penitenziari e dei 17 direttori degli istituti per minori individuati nella relazione tecnica del d.l. 18/2020 come destinatari della norma e, per quello che riguarda gli oneri connessi all'impiego di personale fuori sede, la liquidazione dello stesso trattamento già previsto per 500 unità di personale dall'art. 74, comma 7, del d.l. 18/2020 ad ulteriori 800 unità di personale.
Gli oneri complessivi previsti dall'articolo in esame, pari a 40.000 euro per l'anno 2020, sono coperti ai sensi dell'art. 265, comma 7.
Articolo 220
(Disposizioni urgenti in materia di Fondo unico giustizia)
L’articolo 220 destina, soltanto per il 2020, le risorse del Fondo Unico Giustizia al finanziamento di interventi urgenti finalizzati al contenimento e alla gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 o al ristoro di somme già anticipate per le medesime esigenze.
Più nel dettaglio la disposizione prevede che per il solo anno 2020, in deroga alle vigenti disposizioni in materia, le somme versate nel corso dell’anno 2019 all’entrata del bilancio dello Stato sul capitolo 2414 art. 2 e art. 3 (per complessivi euro 116.587.953,25, come ricorda la relazione illustrativa) relative alle confische e agli utili della gestione finanziaria delle quote intestate al Fondo unico giustizia alla data del 31 dicembre 2018, siano riassegnate al Ministero della giustizia e al Ministero dell’interno, nella misura del 49% per ciascuna delle due amministrazioni. Tali somme devono essere destinate prioritariamente al finanziamento di interventi urgenti finalizzati al contenimento e alla gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 nonché al ristoro di somme già anticipate per le medesime esigenze.
Il Fondo Unico di Giustizia è un fondo dinamico in cui confluiscono:
§ i rapporti finanziari ed assicurativi sottoposti a sequestro penale o amministrativo oppure a confisca di prevenzione;
§ le somme non ritirate trascorsi 5 anni dalla definizione dei processi civili e delle procedure fallimentari.
Il Fondo Unico di Giustizia riceve le comunicazioni di sequestro, dissequestro e confisca degli uffici giudiziari o amministrativi i flussi informativi trasmessi dagli operatori finanziari (banche, Poste Italiane, SGR, ecc.) e assicurativi, mediante il sistema Entratel dell’Agenzia delle Entrate (DM 25.09.2009 e DM 07.11.2011).
La gestione delle risorse del Fondo è affidata a Equitalia Giustizia s.p.a. la quale versa allo Stato più nel dettaglio:
§ le somme confiscate dall’Autorità Giudiziaria o Amministrativa (art. 6, comma 1, del DM n. 127/2009);
§ l’utile della gestione finanziaria delle risorse liquide del FUG (art. 2 del DM 20 aprile 2012);
§ una quota delle risorse sequestrate stabilita con decreto ministeriale, in base a criteri statistici che tengono conto delle probabilità di restituzione (cd. «anticipazione») (comma 7 dell’art. 2 del DL n. 143/2008, conv. l. n. 181 del 2008).
Le somme versate allo Stato da Equitalia Giustizia sono destinate alla riassegnazione (art. 2 del DL n. 143/2008, conv. l. n. 181 del 2008):
§ in misura non inferiore a 1/3, al Ministero dell’Interno;
§ in misura non inferiore a 1/3, al Ministero della Giustizia;
§ all’entrata del bilancio dello Stato.
Le quote di riassegnazione sono stabilite annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. I DPCM finora emanati hanno sempre previsto la destinazione del 49% al Ministero dell’Interno, del 49% al Ministero della Giustizia e del 2% all’entrata del bilancio dello Stato. Si precisa che alcuni versamenti residuali vengono eseguiti da Equitalia Giustizia in specifici capitoli di bilancio con differenti ripartizioni.
DATI PATRIMONIALI DEL FUG AL 30.09.2019[8] |
|
Natura della risorsa |
Importo |
Totale Liquide (1) |
2.085.282.257 |
di cui già “anticipate” (2) |
701.880.000 |
DATI PATRIMONIALI DEL FUG AL 30.09.2019[9] |
|
Totale Non liquide
|
2.251.220.978 |
di cui deposito titoli (3) |
1.614.399.719* |
di cui gestioni patrimoniali (3) |
57.884.662 |
di cui gestione collettiva del risparmio (3) |
125.625.840 |
di cui contratti assicurativi (4) |
239.779.211 |
di cui mandati fiduciari (5) |
159.395.268 |
di cui altri rapporti |
54.136.278 |
Totale FUG |
4.336.503.235 |
(*) In tale voce l'importo di 1,16 Miliardi è relativo alla sottoscrizione del prestito obbligazionario ILVA
Natura della risorsa:
1. Conti correnti e depositi a risparmio
2. Somme sequestrate «anticipate» allo Stato da Equitalia Giustizia ai sensi dell’art. 2, comma 7, del DL n. 143/2008
3. Gli operatori finanziari comunicano a Equitalia Giustizia in via telematica (Entratel) il valore dei rapporti alla data di intestazione al FUG (valore «storico»)
4. Gli operatori assicurativi comunicano a Equitalia Giustizia in via telematica (Entratel) il valore del capitale assicurato al momento della stipula del contratto
5. Le società fiduciarie comunicano a Equitalia Giustizia in via telematica (Entratel) l’importo del capitale ad esse affidato per l’esecuzione del mandato. Per il valore dei singoli rapporti finanziari ed assicurativi aperti in esecuzione di tali mandati si rinvia, rispettivamente, alla nota n. 3 e alla nota n. 4. Occorre inoltre considerare che, nell’importo dei mandati sequestrati comunicato dalle società fiduciarie, è ricompreso anche il valore di rapporti aperti all’estero, che, tuttavia, affluiscono effettivamente al FUG soltanto in caso di esito positivo di procedure di cooperazione giudiziaria internazionale.
Articolo 221
(Modifiche all’art. 83 del decreto-legge n. 18 del 2020)
L’articolo 221 interviene sull’articolo 83 del decreto-legge n. 18 del 2020 - che rappresenta la disposizione principale in tema di misure di contenimento degli effetti dell’epidemia, e della quarantena, sul sistema giudiziario nazionale – estendendo la disciplina della sospensione dei termini processuali ai termini previsti per la presentazione delle querele.
In estrema sintesi, l’articolo 83 del DL n. 18/2020 - come convertito dalla legge n. 27 del 2020, e prorogato dal decreto-legge n. 23 del 2020, tuttora in corso di conversione alla Camera (A.C. 2461) - dispone in tutta Italia il rinvio delle udienze e la sospensione dei termini processuali dal 9 marzo all’11 maggio nonché la possibilità, dal 12 maggio al 31 luglio, di adottare misure organizzative - che possono comprendere l’ulteriore rinvio delle udienze - volte a evitare gli assembramenti di persone negli uffici giudiziari.
A partire dal 12 maggio, dunque, spetta ai singoli capi degli uffici giudiziari l'adozione di misure organizzative volte a consentire la trattazione degli affari giudiziari nel rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie dettate per prevenire la diffusione del virus COVID-19. Nei singoli uffici giudiziari sarà possibile:
- limitare l'accesso del pubblico e l'orario di apertura al pubblico, eventualmente prevedendo una previa prenotazione per scaglionare gli ingressi;
- celebrare le udienze a porte chiuse;
- svolgere udienze civili mediante collegamenti da remoto;
- rinviare ulteriormente le udienze civili e penali a data successiva al 31 luglio 2020, nel rispetto delle esclusioni già attualmente previste.
Specifiche disposizioni sono volte a potenziare il processo telematico, anche penale, ed a consentire, nella fase di emergenza, lo svolgimento di attività processuali – dalle indagini alle udienze di trattazione – da remoto.
Il decreto-legge in commento interviene sul comma 2 dell’art. 83, che ha sospeso dal 9 marzo al 15 aprile (termine poi prorogato fino all’11 maggio 2020) il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali: dai termini di durata delle indagini preliminari, ai termini per l’adozione e il deposito di provvedimenti giudiziari, dai termini per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, a quelli per proporre impugnazione.
L’art. 221 inserisce un ultimo periodo al comma 2, per sospendere – per il periodo dal 9 marzo all’11 maggio 2020 – anche il termine per proporre querela, di cui all’art. 124 del codice penale. La disposizione è destinata ad applicarsi retroattivamente, così da rimettere in termini quanti, a causa dell’emergenza epidemiologica, non abbiano potuto esercitare il proprio diritto di querela.
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 124 del codice penale, salvo che la legge disponga diversamente, il diritto di querela non può essere esercitato decorsi 3 mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato.
Si segnala che l’art. 83 testualmente circoscrive la c.d. fase 1 dell’emergenza al periodo 9 marzo-15 aprile mentre la proroga di tale emergenza fino all’11 maggio è contenuta nel decreto-legge n. 23 del 2020, che non modifica espressamente l’art. 83. L’inserimento della previsione, fino all’11 maggio, della sospensione del termine per sporgere querela, fa sì che il comma 2 dell’art. 83 testualmente sospenda tutti i termini processuali fino al 15 aprile e il solo termine per la querela fino all’11 maggio.
Si valuti l’esigenza di coordinare i termini previsti dall’art. 83, aggiornandoli con l’entrata in vigore dei decreti-legge successivi al n. 18 del 2020.
Articolo 237, comma 1
(Disposizioni in materia di esami di abilitazione
all'esercizio di alcune professioni)
L’articolo 237, comma 1, prevede, in relazione agli esami di abilitazione all'esercizio delle professioni di cui al comma 1 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 22 del 2020, le cui prove siano in corso di svolgimento, che il Ministero dell'università e della ricerca possa disporre, con decreto, modalità di svolgimento delle prove diverse da quelle previste dalla normativa vigente, ivi inclusa la possibilità di eliminazione di una prova.
Nel dettaglio il comma 1 dell'articolo 237 prevede che, in relazione agli esami di Stato di abilitazione all'esercizio delle professioni di cui all’articolo 6, comma 1, del decreto legge 8 aprile 2020, n. 22, le cui prove siano in corso di svolgimento alla data del 19 maggio 2020 (data di entrata in vigore del decreto qui in conversione), il Ministro dell’università e della ricerca può disporre, con decreto, su proposta dei consigli o degli organi nazionali, comunque denominati, degli ordini, collegi e federazioni delle professioni interessate, modalità di svolgimento di tali prove diverse da quelle indicate dalle vigenti disposizioni normative.
Le professioni indicate nel comma 1 dell'articolo 6 del d.l. n. 22 del 2020 (attualmente in corso di conversione in Senato - AS 1774) sono quelle di:
§ dottore agronomo e dottore forestale, agrotecnico, architetto, assistente sociale, attuario, biologo, chimico, geologo, geometra, ingegnere, perito agrario, perito industriale, psicologo (queste professioni sono regolamentate dal D.P.R. n. 328 del 2001);
§ odontoiatra, farmacista, veterinario, tecnologo alimentare, dottore commercialista, esperto contabile e revisore legale
è opportuno ricordare che, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 6 del d.l. n. 22, è stato adottato il D.M. 29 aprile 2020, prot. n. 57, recante le modalità di svolgimento della prima sessione dell'anno 2020 degli esami di Stato di abilitazione all’esercizio delle professioni regolamentate dal D.P.R. n. 328 del 2001, nonché delle professioni di odontoiatra, farmacista, veterinario, tecnologo alimentare, dottore commercialista, esperto contabile e revisore legale. Tale decreto ha previsto, in deroga alla normativa vigente, che l'esame di stato per queste professioni sia costituito per la prima sessione dell’anno 2020, da un’unica prova orale svolta con modalità a distanza.
Si ricorda inoltre che con il D.M. 24 aprile 2020, n. 38 è stato disposto il rinvio dell’esame di Stato, a causa dell’emergenza sanitaria, per l'abilitazione alle professioni ricordate. In particolare quanto all’esame per l’iscrizione nella sezione A dell'Albo, per la quale è necessaria la laurea specialistica o almeno quadriennale, la sessione già prevista per il 16 giugno è stata rinviata al 16 luglio. In merito all’esame per l’iscrizione nella sezione B dell'Albo, per la quale è necessaria la laurea triennale, la sessione già prevista per il 22 giugno, è stata invece rinviata al 24 luglio.
Sempre il comma 1 dell'articolo 237 precisa che nei casi in cui sia disposta l'eliminazione di una prova, il decreto ministeriale debba anche individuare le modalità e i criteri per la valutazione finale, salvaguardando criteri di uniformità sul territorio nazionale per lo svolgimento degli esami relativi a ciascuna professione, nonché il rispetto delle disposizioni in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali, dettate dal decreto legislativo n. 206 del 2007.
è appena il caso di ricordare che con riguardo alle professioni disciplinate dal D.P.R. n. 328 del 2001, salvo disposizioni speciali, gli esami consistono in due prove scritte di carattere generale, una prova pratica e una prova orale (art. 5, d.P.R. n. 328 del 2001).
Articolo 252
(Misure urgenti per lo svolgimento di concorsi
per il personale del Ministero della giustizia).
L'articolo 252 prevede le modalità di avviamento delle procedure, già autorizzate, per il reclutamento di personale non dirigenziale da inquadrare nei ruoli dell'amministrazione giudiziaria.
In particolare, il comma 1, prevede che entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge in esame, il Ministero della giustizia possa avviare le procedure per il reclutamento di:
§ 400 unità di personale amministrativo non dirigenziale da inquadrare nei ruoli dell’amministrazione giudiziaria, con la qualifica di direttore - Area III/F3, di cui all’articolo 7 decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 giugno 2019 (comma 1, lettera a);
§ 150 unità di personale amministrativo non dirigenziale di Area III/F1, destinate a coprire le carenze di organico degli uffici giudiziari dei Distretti di Torino, Milano, Brescia, Venezia, Bologna (comma 1, lettera b), presso i quali dovranno prestare servizio per un periodo non inferiore a cinque anni (comma 4);
§ 2.700 unità di personale amministrativo non dirigenziale da inquadrare nei ruoli dell’Amministrazione giudiziaria, con la qualifica di cancelliere esperto - Area II/F3 (comma 5).
Le 150 unità di personale amministrativo non dirigenziale di Area III/F1 sono residue rispetto a quelle previste dagli articoli 3-bis, comma 1, lettera b), e 3-ter, comma 1, lettera b), del decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, del 20 ottobre 2016 (riguardanti, rispettivamente, 200 posti per funzionario giudiziario, area funzionale III, fascia retributiva F1, da coprire mediante scorrimento dalle graduatorie in corso di validità alla data di entrata in vigore della legge 11 dicembre 2016, n. 232, e 100 posti per funzionario giudiziario, area funzionale III, fascia retributiva F1, da coprire mediante scorrimento dalle graduatorie in corso di validità alla data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2017, n. 205) e le procedure per il loro reclutamento possono derogare alle modalità di assunzione previste dal medesimo decreto.
Tutti i concorsi sopraindicati sono per titoli ed esame orale, da tenersi su base distrettuale, e si svolgono secondo le modalità previste dall’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487 e dall’articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Entrambe le norme richiamate disciplinano le modalità di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni. Il regolamento contenuto nel d.P.R. 487/1994 reca le norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi. In particolare, l'art. 1 disciplina le modalità di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni, che possono avvenire per concorso pubblico aperto a tutti, mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento o mediante chiamata numerica degli iscritti nelle apposite liste costituite dagli appartenenti alle categorie protette. Il concorso, che può essere per esami, per titoli, per titoli ed esami, per corso-concorso o per selezione mediante lo svolgimento di prove volte all'accertamento della professionalità richiesta, deve svolgersi in modo che siano garantiti i principi di imparzialità, economicità e celerità di espletamento della procedura.
L'art. 35 del d.lgs. 165/2001, oltre a ribadire le modalità di accesso già indicate nel d.P.R. 487/1994 e a dettare ulteriori principi cui devono conformarsi le procedure di reclutamento del personale (tra i quali il rispetto delle pari opportunità tra lavoratrici e lavoratori, l'adeguata pubblicità della selezione, l'adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti per la valutazione dei candidati, il decentramento delle procedure di reclutamento, la composizione delle commissioni esaminatrici con esperti di comprovata esperienza nelle materie del concorso) introduce la programmazione delle procedure di reclutamento, stabilendo che ciascuna amministrazione o ente debba formulare un piano triennale dei fabbisogni di personale.
Per i concorsi di cui al comma 1, lettere a) e b), è richiesto il possesso della laurea in giurisprudenza o equivalente nonché il possesso di uno tra gli ulteriori titoli indicati al comma 2 ovvero:
a) aver svolto almeno cinque anni di servizio nell’amministrazione giudiziaria, nella qualifica di funzionario giudiziario, senza demerito;
b) aver svolto, per almeno cinque anni, le funzioni di magistrato onorario senza essere incorso in sanzioni disciplinari;
c) essere stato iscritto all’albo professionale degli avvocati, per almeno cinque anni consecutivi, senza essere incorso in sanzioni disciplinari;
d) aver svolto, per almeno cinque anni scolastici interi, attività di docente di materie giuridiche nella classe di concorso A-46 Scienze giuridico-economiche (ex 19/A) presso scuole secondarie di II grado (nel computo sono compresi anche i periodi di docenza svolti come supplenza annuale);
e) essere da almeno due anni ricercatore in materie giuridiche, ai sensi dell’articolo 24, comma 3, lett. b), della legge 30 dicembre 2010, n. 240[10];
f) aver prestato servizio per almeno cinque anni nelle forze di polizia ad ordinamento civile o militare, nel ruolo degli ispettori, o nei ruoli superiori;
g) avere conseguito il titolo di dottore di ricerca in materie giuridiche e avere svolto attività lavorativa per almeno 6 mesi presso una pubblica amministrazione in posizione funzionale per l'accesso alla quale è richiesto il possesso del diploma di laurea.
Il comma 3 stabilisce che il bando di concorso sia adottato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione, e fornisce alcune indicazioni circa il contenuto del bando stesso, relativamente ai punteggi attribuiti ai titoli di cui alle lettere da a) a f) del comma 2, allo svolgimento dell'esame e alla composizione della commissione esaminatrice.
Si osserva che il testo del comma 3 contiene il riferimento ai punteggi per titoli di cui alle lettere da a) a f) del comma 2), mentre manca il riferimento alla lettera g). Andrebbe valutata l’opportunità di integrare il testo comprendendo altresì la suddetta lettera g).
Si prevede in particolare che:
§ i punteggi relativi ai titoli sono cumulabili;
§ i criteri di attribuzione dei punteggi per titoli sono: 1) anzianità di servizio o di iscrizione maturata entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legge in esame; 2) votazione relativa al titolo di studio richiesto per l’accesso; 3) eventuali ulteriori titoli accademici universitari o post universitari in possesso del candidato.
Per la parte riguardante l'esame, è previsto lo svolgimento di un esame orale, anche in modalità videoconferenza, secondo le modalità stabilite dall'art. 248, comma 1 (v. supra), presso ciascun distretto giudiziario; la composizione della commissione esaminatrice, che può essere articolata su base distrettuale, è invece demandata al bando.
I vincitori del concorso per 150 unità di personale amministrativo non dirigenziale di Area III/F1, di cui al comma 1, lett. b), come già sopra ricordato, devono permanere presso l'ufficio giudiziario, situato nei Distretti di Torino, Milano, Brescia, Venezia, Bologna, a cui saranno destinati per un periodo non inferiore a cinque anni, come previsto dall'articolo 35, comma 5-bis, del d.lgs. 1965/2001 (comma 4).
Per il concorso di cui al comma 5 è richiesto il possesso del titolo di studio richiesto per l'accesso all'area funzionale II, fascia retributiva F3, nonché il possesso di uno tra i seguenti titoli indicati al comma 6:
a) aver svolto almeno tre anni di servizio nell’amministrazione giudiziaria, senza demerito;
b) aver svolto, per almeno un anno, le funzioni di magistrato onorario senza essere incorso in sanzioni disciplinari;
c) essere stato iscritto all’albo professionale degli avvocati, per almeno due anni consecutivi, senza essere incorso in sanzioni disciplinari;
d) aver svolto, per almeno cinque anni scolastici interi, attività di docente di materie giuridiche nella classe di concorso A-46 Scienze giuridico-economiche (ex 19/A) presso scuole secondarie di II grado (nel computo sono compresi anche i periodi di docenza svolti come supplenza annuale);
e) aver prestato servizio per almeno cinque anni nelle forze di polizia ad ordinamento civile o militare, nel ruolo degli ispettori, o nei ruoli superiori.
Analogamente a quanto previsto dal comma 3, il comma 7 stabilisce che il bando di concorso sia adottato con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione, e fornisce alcune indicazioni circa il contenuto del bando stesso, relativamente ai punteggi attribuiti ai titoli, allo svolgimento dell'esame e alla composizione della commissione esaminatrice.
Anche per la procedura concorsuale di cui al comma 5, sono previsti:
§ la cumulabilità dei punteggi per i titoli di cui alle lettere da a) a e) del comma 6, per i quali si tiene conto dell'anzianità di servizio o di iscrizione maturata entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, che ecceda il periodo minimo indicato, e della votazione relativa al titolo di studio richiesto per l’accesso e ad eventuali ulteriori titoli accademici universitari o post universitari in possesso del candidato;
§ lo svolgimento di un esame orale, anche in modalità videoconferenza ai sensi dell'art. 248, comma 1 (v. supra), presso ciascun distretto giudiziario;
§ l'eventuale articolazione delle commissioni esaminatrici su base distrettuale.
Il comma 8 dispone circa l'assunzione del personale reclutato di cui al comma 1, lettera a), e al comma 5. Per tali concorsi l'art. 7 del d.P.C.M. 20 giugno 2019 ha concesso esclusivamente l'autorizzazione a bandire, pertanto l'assunzione potrà avvenire in base ai posti disponibili a legislazione vigente e nel rispetto della procedura ordinaria di cui all'art. 35, comma 4, del d.lgs. 165/2001 (che prevede l'adozione del piano triennale dei fabbisogni di personale tramite decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze).
Infine il comma 9 prevede, per tutte le procedure selettive di cui all'articolo in commento, che l’Amministrazione giudiziaria possa attribuire un punteggio aggiuntivo a favore:
§ di soggetti che hanno svolto con esito positivo il tirocinio presso gli uffici giudiziari ai sensi dell'art. 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69;
§ di coloro che hanno maturato i titoli di preferenza di cui all’articolo 50, commi 1-quater e 1-quinquies, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90.
Il tirocinio di cui all'art. 73 del d.l. 69/2013 consiste in un periodo di formazione teorico-pratica della durata complessiva di diciotto mesi, da svolgersi presso gli uffici della magistratura ordinaria o presso quelli della magistratura amministrativa, ed è riservato a laureati in giurisprudenza in possesso dei requisiti di onorabilità e di età inferiore ai 30 anni che abbiano conseguito una media di 27/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo, ovvero un punteggio di laurea non inferiore a 105/110. Costituiscono titoli di preferenza nei concorsi indetti dalla pubblica amministrazione, ai sensi dell’articolo 50 del d.l. 90/2014, lo svolgimento, con esito positivo, di un periodo di perfezionamento presso l’ufficio per il processo (comma 1-quater) o il completamento, con esito positivo, del tirocinio formativo di cui all’articolo 37, comma 11, del d.l. 98/2011, pur in assenza di un ulteriore periodo di perfezionamento nell’ufficio per il processo (comma 1-quinquies).
L’articolo 253 consente fino al 31 luglio, con possibilità di proroga, alla commissione esaminatrice per il concorso per magistrato ordinario di effettuare le operazioni di correzione degli elaborati scritti con modalità telematica.
Il comma 1 dell'articolo 253 – nel rispetto delle prescrizioni sanitarie relative all’emergenza epidemiologica da COVID-19 a tutela della salute dei candidati, dei commissari e del personale amministrativo – consente fino al 31 luglio 2020, alla commissione esaminatrice per il concorso per magistrato ordinario di effettuare le operazioni di correzione degli elaborati scritti con modalità telematica, anche in deroga a quanto previsto dagli articoli 12 e 13 del regio decreto 15 ottobre 1925, n. 1860, ma garantendo comunque la sicurezza e la tracciabilità delle comunicazioni, secondo i criteri e le modalità di cui al comma 7, dell’articolo 247 (si veda la relativa scheda di lettura).
Gli articoli 12 e 13 del R.D. n. 1860 del 1025 disciplinano la procedura di correzione delle prove scritte del concorso.
La commissione esaminatrice, dopo lo svolgimento della prova scritta, inizia, entro cinque giorni, la correzione degli elaborati. Il segretario della commissione, dopo aver verificata l’integrità? delle singole buste, all’atto dell’apertura di queste, appone immediatamente sulle tre buste contenenti gli elaborati il numero già? segnato sulla busta grande. Lo stesso numero sarà poi trascritto, appena aperte le buste contenenti gli elaborati, sia in testa al foglio o ai fogli relativi, sia sulle bustine contenenti il cartoncino di identificazione. La commissione legge nella medesima seduta gli elaborati di ciascun candidato e, dopo aver ultimato la lettura dei tre elaborati, assegna contemporaneamente a ciascuno di essi il relativo punteggio. Nel caso che la commissione sia divisa in sottocommissioni, queste nella medesima seduta procedono all’esame dei tre elaborati di ciascun candidato e, ultimata la lettura degli elaborati, si riuniscono per la comunicazione delle rispettive valutazioni. Subito dopo ogni sottocommissione assegna ai lavori da essa esaminati il punteggio secondo le norme sopra indicate. La commissione - qualora abbia fondate ragioni di ritenere che qualche scritto sia, in tutto o in parte, copiato da altro lavoro ovvero da qualche autore - annulla l’esame del candidato, al quale appartiene lo scritto. Annulla parimenti l’esame dei concorrenti che comunque si siano fatti riconoscere. Delibera definitivamente sulla idoneita? o non idoneita? di un candidato, quando la deliberazione della sottocommissione sia stata presa a maggioranza ed il commissario dissenziente richieda la deliberazione plenaria. Finita la lettura e deliberato il giudizio, il segretario annota immediatamente, a piede di ciascun lavoro, in tutte le lettere, il voto assegnato. L’annotazione e? sottoscritta dal presidente della commissione o della sottocommissione e dal segretario. Terminata la correzione di tutti gli elaborati scritti, la commissione, in seduta plenaria, procede all’apertura delle buste contenenti i nomi dei concorrenti. Sono ammessi alla prova orale i candidati che ottengono non meno di dodici ventesimi di punti (cioè? 6 decimi) in ciascuna delle materie della prova scritta. Ogni deliberazione presa in qualsiasi tempo per modificare i risultati delle votazioni della prova scritta e? nulla. Il risultato completo della prova scritta viene reso di pubblica ragione mediante foglio da affiggersi nei locali del Ministero. Per prassi ormai consolidata, i nominativi dei candidati ammessi alla prova orale sono noti anche prima di procedere all’affissione (che avviene al termine dell’apertura di tutte le buste). Cio? e? possibile in quanto si procede, dapprima, all’apertura delle buste dei candidati che hanno riportato la idoneità? nelle tre materie e, poi, all’apertura delle restanti buste.
La disposizione, è opportuno rilevare, è destinata a trovare applicazione con riguardo al concorso per 330 posti da magistrato ordinario bandito con il decreto ministeriale del 10 ottobre 2018. Le prove scritte del concorso si sono svolte nel mese di giugno 2019. Al 2 marzo 2020 risultavano corretti gli elaborati di 2.710 candidati (su 3.091), 258 dei quali idonei. Successivamente, in data 12 marzo, nel rispetto delle misure di contenimento emanate dal Governo per fronteggiare l’epidemia Covid 19, il Presidente della Commissione esaminatrice ha disposto la sospensione delle correzioni degli elaborati. Di poi, in applicazione dell'art. 87, quinto comma del decreto legge n. 18/2020 (conv. L. n. 27 del 2020), il Presidente della Commissione ha disposto che i lavori di correzione degli elaborati restassero sospesi fino al 15 maggio (per sessanta giorni a decorrere dal 17.3.2020). Sulla scorta della nota 20.4.2020 n. 13673 del Capo di Gabinetto del Ministro della Giustizia in risposta alla nota 16.4.2020 del Presidente della Commissione esaminatrice, al 21 aprile, l'organizzazione logistico-amministrativa della ripresa dei lavori di correzione degli elaborati non risultava ancora compatibile con le rigorose misure di contenimento COVID 19.
È opportuno ricordare che con il decreto ministeriale del 29 ottobre 2019 è stato bandito un ulteriore concorso per 310 posti da magistrato ordinario. Le prove di tale concorso non si sono ancora svolte. Il diario delle prove scritte dopo due rinvii sarà pubblicato nella Gazzetta Ufficiale concorsi ed esami del 24 luglio 2020.
Il comma 2 dell’articolo prevede che il termine del 31 luglio possa essere prorogato con provvedimento motivato del presidente della commissione, ove necessario per la tutela della salute dei candidati, dei commissari e del personale amministrativo.
La disposizione, al comma 3, prevede che le modalità telematiche si applichino anche allo svolgimento delle riunioni riservate dei componenti della commissione.
Ai sensi del comma 4, fino al 30 settembre 2020, il presidente della commissione esaminatrice, con provvedimento motivato, può autorizzare lo svolgimento delle prove orali del concorso per magistrato ordinario mediante videoconferenza (modalità indicata dal comma 3 dell'articolo 247 del decreto legge), garantendo comunque l’adozione di soluzioni tecniche che assicurino la pubblicità delle stesse prove, l’identificazione dei partecipanti, la sicurezza delle comunicazioni e la loro tracciabilità.
Si segnala che con riguardo al concorso notarile e all'esame di abilitazione alla professione forense, l'articolo 254 del decreto-legge, pur consentendo la possibilità di svolgere mediante videoconferenza le prove orali, prevede comunque l'obbligatoria presenza presso la sede della prova di esame, del presidente della commissione o di un componente da questi delegato, del segretario della seduta e soprattutto del candidato da esaminare.
Il comma 5 dell’articolo precisa che il mancato rispetto delle cadenze e dei termini di cui all’articolo 6, commi 1, 2 e 7, del decreto legislativo n. 160 del 2006 con riguardo ai lavori della commissione esaminatrice, dovuto alla necessità di rispettare le norme e le prescrizioni sanitarie relative all’emergenza epidemiologica da COVID-19 a tutela della salute dei candidati, dei commissari e del personale amministrativo non è valutabile ai fini dell’applicazione del comma 8 dello stesso articolo 6.
L’articolo 6 del decreto legislativo n. 160 del 2006 reca una specifica disciplina dei lavori della commissione esaminatrice. Tale disposizione prevede che la commissione esaminatrice, durante la valutazione degli elaborati scritti e durante le prove orali, articola i propri lavori in modo da formare la graduatoria entro il termine di nove mesi a decorrere dal primo giorno successivo a quello di espletamento dell'ultima prova scritta (comma 1) e che l'intera procedura concorsuale sia espletata in modo da consentire l'inizio del tirocinio dei magistrati ordinari entro dodici mesi dalla data di conclusione delle prove scritte del relativo concorso (comma 2). Sempre l’articolo 6 stabilisce che: a) i lavori della commissione sono articolati in ragione di un numero minimo di 10 sedute alla settimana, delle quali 5 antimeridiane e 5 pomeridiane, salvo assoluta impossibilita? della commissione stessa (comma 3); b) per ciascun mese le commissioni esaminano complessivamente gli elaborati di almeno 600 candidati (comma 7). Generalmente: si formano 2 sottocommissioni (ciascuna composta da 9 membri); all’interno di ciascuna sottocommissione, operano 3 collegi (ciascuno composto da 3 membri); ciascuna sottocommissione valuta al giorno gli elaborati di 11-12 candidati, lavorando dal lunedì? al venerdì?. Il mancato rispetto delle cadenze di cui sopra può costituire motivo per la revoca della nomina del presidente da parte del C.S.M. (comma 8).
L’articolo 254 consente l'applicazione delle modalità di collegamento a distanza anche con riguardo alle procedure di correzione delle prove scritte e l'espletamento di quelle orali rispettivamente del concorso notarile bandito con decreto dirigenziale del 16 novembre 2018 e dell'esame di abilitazione all'esercizio della professione forense bandito con decreto del Ministro della giustizia dell'11 giugno 2019.
In particolare la disposizione (comma 1) consente con riguardo al concorso per esame a 300 posti per notaio bandito con decreto dirigenziale 16 novembre 2018 e all’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato bandito con decreto del Ministro della giustizia 11 giugno 2019, la possibilità di correzione degli elaborati scritti con modalità di collegamento a distanza, ai sensi dell’articolo 247, comma 7 (vedi relativa scheda di lettura).
Per quanto riguarda il concorso notarile, bandito con decreto dirigenziale del 16 novembre 2018, le prove scritte si sono svolte nell’aprile 2019. Alla data del 29 febbraio 2020 sono state esaminate le prove di 860 candidati (su 1585), dei quali 572 sono risultati idonei.
Relativamente all’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense, bandito con il decreto del Ministro della giustizia dell’11 giugno 2019, le prove scritte si sono svolte nelle giornate del 10-12 dicembre 2019. Si ricorda inoltre che l’articolo 5 del decreto-legge n. 22 del 2020, in corso di conversione (AS 1774)[11] ha sospeso fino all’8 giugno (60 gg a decorrere dal 9 aprile 2020, data di entrata in vigore del decreto-legge n. 22) lo svolgimento delle procedure concorsuali previste dagli ordinamenti delle professioni regolamentate sottoposte alla vigilanza del Ministero della giustizia e degli esami di abilitazione per l’accesso alle medesime professioni, ivi inclusa, quindi, quella forense[12].
Ai sensi del comma 2 il presidente della commissione notarile (nominata a norma dell’articolo 5 del decreto legislativo 24 aprile 2006 n. 166) e il presidente della commissione centrale su richiesta motivata dei presidenti delle sottocommissioni del distretto di Corte d’appello (nominate a norma dell’articolo 22 del regio decreto 27 novembre 1933 n. 1578) possono autorizzare la correzione da remoto degli elaborati scritti, purché siano mantenuti i medesimi criteri di correzione già adottati dalle commissioni d’esame. In tali casi il presidente della commissione notarile e i presidenti delle sottocommissioni per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato (questi ultimi in conformità ai criteri organizzativi uniformi stabiliti dalla commissione centrale):
§ fissano il calendario delle sedute,
§ stabiliscono le modalità telematiche con le quali effettuare il collegamento a distanza e
§ dettano le disposizioni organizzative volte a garantire la trasparenza, la collegialità, la correttezza e la riservatezza delle sedute, nonché a rispettare le prescrizioni sanitarie relative all’emergenza epidemiologica da COVID-19 a tutela della salute dei commissari e del personale amministrativo.
L'articolo 5 del decreto legislativo n. 166 del 2006 disciplina la composizione della Commissione esaminatrice per il concorso notarile. La commissione esaminatrice (la stessa per esame scritto ed esame orale) è composta da:
a) un magistrato di cassazione, con funzioni direttive superiori, che la presiede;
b) un magistrato idoneo alla nomina in cassazione, con funzioni di vice presidente;
c) sette magistrati con qualifica di magistrato di appello;
d) sei professori universitari, ordinari o associati, che insegnino materie giuridiche;
e) nove notai che abbiano almeno dieci anni di anzianità nella professione.
L’articolo 22 del regio decreto 27 novembre 1933 n. 1578 prevede che entro trenta giorni dalla pubblicazione del bando di esame devono essere, sempre con decreto del Ministro della giustizia, nominati la commissione centrale, con sede presso il Ministero della giustizia (comma 3) e, presso ogni sede di Corte di appello, una sottocommissione avente composizione (per le composizioni della commissione e sottocommissione vedi infra) identica alla commissione centrale (comma 4). Nel caso in cui il numero dei candidati che hanno presentato la domanda di ammissione superi le trecento unità presso ciascuna Corte di appello, con decreto del Ministro della giustizia da emanare prima dell’espletamento delle prove scritte, si prevede che vengano nominate ulteriori sottocommissioni, costituite ciascuna da un numero di componenti pari a quello della sottocommissione nominata ai sensi del comma 4 e da un segretario aggiunto (comma 7).
Lo stesso articolo 254– al comma 3 – stabilisce che il presidente della commissione nominata per il concorso notarile e il presidente della commissione centrale per l’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, su richiesta motivata dei presidenti delle sottocommissioni del distretto di Corte d’appello, possono autorizzare, per gli esami orali delle procedure di cui al comma 1 programmati sino al 30 settembre 2020, lo svolgimento mediante videoconferenza (ex art. 247, comma 3 del decreto legge), ferma restando la presenza, presso la sede della prova di esame, del presidente della commissione notarile o di altro componente da questi delegato, del presidente della sottocommissione per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato, nonché del segretario della seduta e del candidato da esaminare. Devono essere comunque rispettate le prescrizioni sanitarie relative all’emergenza epidemiologica da COVID-19 a tutela della salute dei candidati, dei commissari e del personale amministrativo.
Nel caso in cui l'esame orale sia espletato attraverso modalità telematiche spetta al Presidente impartire, ove necessario, disposizioni volte a disciplinare l’accesso del pubblico all’aula di esame (comma 4).
Si valuti, anche alla luce di quanto specificato nella relazione illustrativa, l'opportunità di specificare che si tratta di un accesso "telematico".
Il comma 5 prevede che la disciplina dettata dai commi 3 e 4 trovi applicazione anche con riguardo alle prove orali dell’esame per l’iscrizione all’albo speciale per il patrocinio dinanzi alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori bandito con decreto dirigenziale 10 aprile 2019.
Per essere ammessi alle sessioni d’esame gli aspiranti candidati devono dimostrare di possedere questi requisiti:
§ essere attualmente iscritti nell’albo degli avvocati
§ avere esercitato la professione per almeno cinque anni dinanzi ai Tribunali e alle Corti di appello, o per almeno un anno qualora già iscritti all’albo degli avvocati al momento dell’entrata in vigore della legge 24 febbraio 1997, n. 27;
§ aver compiuto lodevole e proficua pratica di almeno cinque anni presso lo studio di un avvocato che eserciti abitualmente il patrocinio davanti alla Corte di cassazione.
I candidati che, alla data di entrata in vigore della legge 24 febbraio 1997, n. 27, erano iscritti all’albo degli avvocati da almeno un anno devono aver compiuto lodevole e proficua pratica di un anno, decorrente dalla iscrizione a detto albo, presso lo studio di un avvocato che presti abitualmente il suo patrocinio dinanzi la Corte di cassazione. Inoltre, gli aspiranti candidati devono trovarsi nelle condizioni richieste prima della scadenza del termine stabilito per la presentazione delle domande di ammissione all’esame.
Si ricorda che il superamento dell’esame è uno dei requisiti ai sensi dell’articolo 22 della legge n. 247 del 2012 per l’iscrizione all'Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori.
Con decreto dirigenziale 10 aprile 2019 è stata indetta una sessione di esame per l’iscrizione nell’albo speciale per il patrocinio davanti alla Corte di Cassazione ed alle altre giurisdizioni superiori. Con decreto 18 luglio 2019 è stata nominata la relativa Commissione d’esame. Le prove scritte dell’esame per l’iscrizione nell’albo speciale per il patrocinio davanti alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori, per l’anno 2019, si sono svolte nel novembre 2019.
Il comma 6 reca infine una modifica all'articolo 47 (che disciplina la composizione delle Commissioni di esame), della legge n. 247 del 2012, volta a consentire anche ai professori universitari o ricercatori confermati in materie giuridiche in pensione di far parte (sia come componenti effettivi che come supplenti) delle Commissioni di esame.
L'articolo 47, comma 1, della legge n. 247 del 2012, disciplina la composizione della commissione di esame (vedi supra). Essa deve essere composta da cinque membri effettivi e cinque supplenti, dei quali:
§ tre effettivi e tre supplenti sono avvocati designati dal CNF tra gli iscritti all'albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, uno dei quali la presiede;
§ un effettivo e un supplente sono di regola prioritariamente magistrati in pensione, e solo in seconda istanza magistrati in servizio;
§ un effettivo e un supplente sono professori universitari o ricercatori confermati in materie giuridiche.
Come ha precisato la giurisprudenza (si veda Consiglio di Stato Adunanza Plenaria Ordinanza 12-14 dicembre 2018, n. 18) con l'articolo 47 è venuto meno il principio c.d. di fungibilità dei componenti delle commissioni giudicatrici degli esami di abilitazione all'esercizio delle professioni forensi in precedenza applicabile ex art. 22, comma 5° del R.D.L. n. 1578/1933. Ne consegue che nelle Commissioni, sia centrale che nelle sottocommissioni, deve essere assicurata la necessaria presenza di componenti appartenenti a tutte e tre le diverse categorie (classe forense, mondo accademico e magistratura).
Articolo 255
(Misure straordinarie per la celere definizione e per il contenimento della durata dei procedimenti giudiziari pendenti)
L’articolo 255 autorizza il Ministero della giustizia ad assumere un contingente massimo di 1.000 unità di personale amministrativo non dirigenziale, in aggiunta alla facoltà di assunzioni ordinarie e straordinarie previste a legislazione vigente, con la specifica finalità di dare attuazione a un programma di misure straordinarie per la celere definizione e per il contenimento della durata dei procedimenti giudiziari pendenti, nonché per assicurare l’avvio della digitalizzazione del processo penale.
Il comma 1 autorizza il Ministero della giustizia ad assumere un contingente massimo di 1.000 unità di personale amministrativo non dirigenziale di area II/F1, nel biennio 2020-2021, anche in sovrannumero rispetto all’attuale dotazione organica e alle assunzioni già programmate, con decorrenza non anteriore al 1° settembre 2020 e con contratto di lavoro a tempo determinato della durata massima di ventiquattro mesi.
Finalità della disposizione è dare attuazione a un programma di misure straordinarie per la celere definizione e per il contenimento della durata dei procedimenti giudiziari pendenti, nonché assicurare l’avvio della digitalizzazione del processo penale.
L’assunzione del personale di cui sopra è autorizzata ai sensi dell’articolo 36, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e in deroga ai limiti di spesa di cui all’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122.
Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 "Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche", all'articolo 36, comma 2, prevede che le amministrazioni pubbliche possano stipulare contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, contratti di formazione e lavoro e contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato, nonché avvalersi delle forme contrattuali flessibili previste dal codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro nell'impresa, esclusivamente nei limiti e con le modalità in cui se ne preveda l'applicazione nelle amministrazioni pubbliche. Le amministrazioni pubbliche possono stipulare i contratti di cui sopra soltanto per comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale. I contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato sono disciplinati dagli articoli 30 e seguenti del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, fatta salva la disciplina ulteriore eventualmente prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro (i rinvii operati dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ai contratti collettivi devono intendersi riferiti, per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche, ai contratti collettivi nazionali stipulati dall'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni - ARAN). Il decreto precisa che non è possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l'esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. Per prevenire fenomeni di precariato, le amministrazioni pubbliche possono sottoscrivere contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato.
L'articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 "Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica" dispone il contenimento delle spese in materia di impiego pubblico. Stabilisce al riguardo che, a decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, incluse le Agenzie fiscali, gli enti pubblici non economici, le università e gli enti pubblici, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009. Tali disposizioni costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali sono tenuti ad adeguarsi le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale. Sono in ogni caso escluse dalle limitazioni previste le spese sostenute per le assunzioni a tempo determinato ai sensi dell'articolo 110, comma 1, del testo unico sugli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
Il comma 2 stabilisce che le assunzioni di cui al comma 1 si svolgano secondo le procedure previste dalla legge 28 febbraio 1987, n. 56 "Norme sull'organizzazione del mercato del lavoro", e successive modificazioni (ossia mediante il ricorso ai centri per l’impiego). In alternativa, si procederà mediante colloquio di idoneità e valutazione dei titoli, nel rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza.
Fra i titoli valutabili ai sensi del presente comma sono compresi quelli di cui all’articolo 50, commi 1-quater e 1-quinquies, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, nonché l’esperienza maturata dai soggetti ulteriormente selezionati ai fini dello svolgimento delle attività di tirocinio e collaborazione presso gli uffici giudiziari, come attestato dai capi degli uffici medesimi.
Il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, all'articolo 50, comma 1-quater, stabilisce che, nei concorsi indetti dalla pubblica amministrazione, il completamento del periodo di perfezionamento presso l'ufficio per il processo costituisce titolo di preferenza a parità di merito, ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, e successive modificazioni.
L'articolo 50, comma 1-quinquies, prevede che i soggetti che abbiano completato il tirocinio formativo, di cui all'articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e successive modificazioni, e che non abbiano fatto parte dell'ufficio per il processo, nei concorsi indetti dalla pubblica amministrazione, abbiano comunque titolo di preferenza a parità di merito, ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento di cui sopra.
Ai fini dell'attuazione del presente articolo, il comma 3 autorizza le seguenti spese:
§ euro 12.508.014 per l’anno 2020
§ euro 37.524.040 per l’anno 2021
§ euro 25.016.027 per l’anno 2022
A tali spese si dovrà provvedere:
a) quanto a euro 12.508.014 per l’anno 2020 e a euro 7.877.769 per l’anno 2021, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2020-2022, nell’ambito del Programma Fondi di riserva e speciali della missione « Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2020, allo scopo parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al Ministero dello sviluppo economico per euro 1.700.000 per l’anno 2020, l’accantonamento relativo al Ministero dell’economia e delle finanze per euro 2.500.000 per l’anno 2020, l’accantonamento relativo al Ministero della giustizia per euro 5.500.000 per l’anno 2020 e per euro 7.877.769 per l’anno 2021, l’accantonamento relativo al Ministero della difesa per euro 1.700.000 per l’anno 2020 e l’accantonamento relativo al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per euro 1.108.014 per l’anno 2020;
La missione "Fondi da ripartire" raccoglie alcuni fondi di riserva e speciali, che non hanno, in sede di predisposizione della legge di bilancio di previsione, una collocazione specifica, ma la cui attribuzione è demandata ad atti e provvedimenti successivi adottati in corso di gestione.
b) quanto a euro 15.000.000 per l’anno 2021, a euro 18.000.000 per l’anno 2022, mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282 recante disposizioni urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307;
L’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282 dispone che, al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, è istituito un apposito "Fondo per interventi strutturali di politica economica".
c) quanto a euro 14.646.271 per l’anno 2021 e a euro 7.016.027 per l’anno 2022, mediante corrispondente riduzione del Fondo di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.
La legge 23 dicembre 2014, n. 190 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato" (legge di stabilità 2015) ha previsto, all'articolo 1, comma 200, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, l'istituzione di un Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili che si manifestino nel corso della gestione, con una dotazione di 27 milioni di euro per l'anno 2015 e di 25 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2016. Il Fondo è ripartito annualmente con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.
Articolo 256
(Misure straordinarie per la definizione
dell’arretrato penale presso le Corti di appello)
L’articolo 256 è volto a incrementare di 500 unità il numero dei giudici ausiliari di Corte d’appello, ed a prevedere che gli stessi possano essere destinati anche allo smaltimento dell’arretrato penale.
Si ricorda che il decreto-legge n. 69 del 2013 (agli artt. 62-72) ha introdotto e disciplinato la figura del giudice ausiliario di Corte d'appello, giudice onorario chiamato a concorrere allo smaltimento dell'arretrato civile secondo le priorità individuate dai presidenti delle Corti stesse.
Originariamente, il decreto-legge prevedeva la nomina fino a un numero massimo di 400 giudici ausiliari, che la legge di bilancio 2018 ha ridotto a 350 unità.
Ogni giudice ausiliario è chiamato a definire, nel collegio di corte d'appello in cui è relatore, almeno 90 procedimenti all'anno (per un totale di 36.000 procedimenti definiti all'anno), con una remunerazione di 200 euro a provvedimento e un tetto massimo annuo di 20.000 euro.
L’art. 63 del decreto-legge individua le categorie professionali che possono fare domanda di nomina a giudice ausiliario. Si tratta dei magistrati a riposo (ordinari, contabili e amministrativi), dei professori universitari in materie giuridiche di prima o seconda fascia, anche a tempo determinato o a riposo (da non oltre 3 anni), dei ricercatori universitari in materie giuridiche, degli avvocati (cui l'art. 65 attribuisce preferenza a fini della nomina) e dei notai (per entrambe le ultime due categorie, anche se a riposo). Il procedimento prevede – per l'adozione del decreto di nomina da parte del ministro - una deliberazione del CSM su proposta del Consiglio giudiziario competente per territorio (in composizione allargata ai componenti laici) acquisito il parere - nel caso di domanda da parte di notai - del competente consiglio notarile.
I giudici ausiliari hanno una pianta organica ad esaurimento; una volta nominati sono assegnati alle singole sezioni dal presidente della Corte d'appello e di ogni collegio giudicante non può fare parte più di un giudice ausiliario. Il decreto-legge stabilisce in 10 anni il termine massimo di permanenza nell'ufficio di giudice ausiliario. La nomina ha infatti durata di cinque anni e può essere prorogata per un pari periodo con decreto del ministro della giustizia (l'incarico cessa comunque al compimento dei 78 anni d'età).
Il decreto-legge è stato attuato con il D.M. Giustizia 5 maggio 2014. In base ai dati CSM, sono attualmente coperti 333 posti di giudice ausiliario di Corte d’appello.
L’articolo 256 interviene sulla disciplina dei giudici ausiliari di Corte d’appello, con particolare riferimento alle disposizioni degli articoli 62 e 63 del decreto-legge n. 69 del 2013, introducendo con il comma 1 le seguenti novità:
§ destinazione dei giudici ausiliari non solo alla definizione dei procedimenti civili, compresi quelli in materia di lavoro e previdenza, ma anche dei procedimenti penali;
§ attribuzione ai presidenti delle Corte d’appello del compito di individuare le priorità alle quali destinare i giudici ausiliari all’interno dell’ufficio, anche in attuazione dell’art. 132-bis, comma 2, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura, che demanda al presidente il compito di adottare misure organizzative per assicurare la rapida definizione dei processi per i quali è prevista la trattazione prioritaria;
§ aumento da 350 a 850 del numero massimo dei giudici ausiliari di Corte d’appello.
Il comma 2 demanda a un decreto del Ministro della giustizia, sentiti CSM e consigli degli ordini distrettuali, la determinazione della pianta organica a esaurimento dei giudici ausiliari, con l'indicazione dei posti disponibili presso ciascuna Corte di appello, e delle modalità e dei termini di presentazione delle domande.
Si ricorda che in base all’art. 65 del decreto-legge n. 69 del 2013, espressamente richiamato dal comma 2, il decreto ministeriale dovrà esplicitare anche i criteri di priorità nella nomina, riconoscendo preferenza agli avvocati iscritti all'albo nonché, a parità di titoli, a coloro che hanno minore età anagrafica con almeno 5 anni di iscrizione all'Albo. Della pubblicazione del decreto dovrà essere dato avviso sul sito internet del Ministero della giustizia.
In base al citato art. 65, inoltre, la pianta organica, che sostituirà quella già approvata con il D.M. Giustizia 5 maggio 2014, dovrà essere redatta tenendo conto delle pendenze e delle scoperture di organico in ciascuna Corte, cui potrà essere assegnato un numero di posti complessivamente non superiore al numero di 40 per ciascuna Corte.
Si valuti l’opportunità di intervenire sull’art. 65, comma 1, del decreto-legge n. 69 del 2013 al fine di innalzare il numero massimo di giudici ausiliari assegnabili a ciascuna Corte d’appello, attualmente fissato a 40 unità, a fronte di un contingente complessivo di 350 giudici, coordinando tale previsione con l’aumento della pianta organica dei giudici ausiliari di 500 unità.
Il decreto dovrà essere adottato entro 2 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in commento, e dunque entro il 20 luglio 2020.
I commi 3 e 4 dell’art. 256 recano la copertura finanziaria dell’incremento dei giudici ausiliari, autorizzando la spesa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2024 e prevedendo che a tale spesa di faccia fronte con la corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica.
L’articolo 264, introduce alcune disposizioni tese ad accelerare e semplificare i procedimenti amministrativi, in particolare quelli aventi ad oggetto l’erogazione di benefici economici, avviati in relazione all’emergenza COVID-19.
Alcune misure hanno un’efficacia limitata al 31 dicembre 2020 (comma 1) e riguardano: l’ampliamento della possibilità per cittadini ed imprese di utilizzare le dichiarazioni sostitutive per comprovare tutti i requisiti oggettivi e soggettivi richiesti a corredo delle istanze, anche in deroga alla legislazione vigente in materia (lett. a)); la limitazione dei poteri di autotutela delle PA attraverso l’annullamento d’ufficio, la revoca e i poteri inibitori in caso di SCIA (lett. b) e c) e d)); l’obbligo di adottare entro trenta giorni il provvedimento conclusivo del procedimento nei casi di formazione del silenzio endoprocedimentale tra amministrazioni (lett. e)); semplificazioni per gli interventi, anche edilizi, necessari ad assicurare l’ottemperanza alle misure di sicurezza prescritte per fare fronte all’emergenza sanitaria (lett. f)).
Un secondo gruppo di disposizioni modifica alcune norme del Testo unico di documentazione amministrativa (d.P.R n. 445 del 2000), prevedendo un incremento dei controlli ex post sulle dichiarazioni sostitutive ed un inasprimento delle sanzioni in caso di dichiarazioni mendaci (comma 2, lett. a)). Con ulteriori novelle al Codice dell’amministrazione digitale (d. lgs. n. 82 del 2005) si interviene in materia di fruibilità dei dati delle pubbliche amministrazioni e di gestione della Piattaforma Digitale Nazionale Dati (comma 2, lett. b) e c)).
Si dispone infine che nell’ambito di verifiche, ispezioni e controlli sulle attività dei privati, la pubblica amministrazione “non può richiedere la produzione di informazioni, atti o documenti in possesso della stessa o di altra pubblica amministrazione”. È nulla ogni sanzione disposta nei confronti dei privati per omessa esibizione di documenti già in possesso delle PA (comma 2, lettera d)).
Le disposizioni introdotte dal comma 1 dell’articolo in esame hanno efficacia, per esplicita previsione normativa, dalla data di entrata in vigore del decreto in commento (19 maggio 2020) e fino al 31 dicembre 2020: si tratta di misure volte a semplificare i procedimenti avviati in relazione all’emergenza COVID-19 a sostegno di cittadini e imprese.
La lettera a) del comma 1 dell’articolo in esame dispone che nei procedimenti avviati su istanza di parte, che hanno ad oggetto l’erogazione di benefici economici comunque denominati, indennità, prestazioni previdenziali e assistenziali, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e sospensioni, da parte di pubbliche amministrazioni, in relazione all’emergenza COVID-19, le dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 del DPR 28 dicembre 2000, n. 445 sostituiscono ogni tipo di documentazione comprovante tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla normativa di riferimento.
L’ampliamento della possibilità di utilizzare le dichiarazioni sostitutive (c.d. autocertificazioni) da parte dei privati nell’ambito dei procedimenti ampliativi della sfera giuridica è disposta, in chiave di semplificazione e di accelerazione dei tempi procedimentali, anche in deroga ai limiti previsti dai citati articoli 46 e 47 o dalla normativa di settore, che delimitano il ricorso alle dichiarazioni sostitutive a determinati requisiti soggettivi ed oggettivi.
La dichiarazione sostitutiva di certificazione è un documento sottoscritto dall'interessato senza nessuna particolare formalità e presentato in sostituzione dei certificati: tali dichiarazioni possono riferirsi solo agli stati, qualità personali e fatti tassativamente elencati nell'articolo 46 del D.P.R. 445/2000. La dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà è il documento, sottoscritto dall'interessato, concernente stati, qualità personali e fatti, a sua diretta conoscenza e non ricompresi nell'elencazione dell'articolo 46: in questo caso l'atto deve essere sottoscritto con firma autenticata (articolo 47 del Testo unico).
L’elenco degli stati, dei fatti e delle qualità personali attestabili con dichiarazione sostitutiva di certificazione viene indicato specificamente dall’art. 46 del Testo unico. Si può attestare con dichiarazione sostitutiva di certificazione:
a) data e il luogo di nascita;
b) residenza;
c) cittadinanza;
d) godimento dei diritti civili e politici;
e) stato di celibe, coniugato, vedovo o stato libero;
f) stato di famiglia;
g) esistenza in vita;
h) nascita del figlio, decesso del coniuge, dell'ascendente o discendente;
i) iscrizione in albi, in elenchi tenuti da pubbliche amministrazioni;
l) appartenenza a ordini professionali;
m) titolo di studio, esami sostenuti;
n) qualifica professionale posseduta, titolo di specializzazione, di abilitazione, di formazione, di aggiornamento e di qualificazione tecnica;
o) situazione reddituale o economica anche ai fini della concessione dei benefici di qualsiasi tipo previsti da leggi speciali;
p) assolvimento di specifici obblighi contributivi con l'indicazione dell'ammontare corrisposto;
q) possesso e numero del codice fiscale, della partita IVA e di qualsiasi dato presente nell'archivio dell'anagrafe tributaria;
r) stato di disoccupazione;
s) qualità di pensionato e categoria di pensione;
t) qualità di studente;
u) qualità di legale rappresentante di persone fisiche o giuridiche, di tutore, di curatore e simili;
v) iscrizione presso associazioni o formazioni sociali di qualsiasi tipo;
z) tutte le situazioni relative all'adempimento degli obblighi militari, ivi comprese quelle attestate nel foglio matricolare dello stato di servizio;
aa) di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l'applicazione di misure di sicurezza e di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale ai sensi della vigente normativa;
bb) di non essere a conoscenza di essere sottoposto a procedimenti penali;
bb-bis) di non essere l'ente destinatario di provvedimenti giudiziari che applicano le sanzioni amministrative di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231;
cc) qualità di vivenza a carico;
dd) tutti i dati a diretta conoscenza dell'interessato contenuti nei registri dello stato civile;
ee) di non trovarsi in stato di liquidazione o di fallimento e di non aver presentato domanda di concordato.
La dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà si differenzia da quella sopra descritta per il fatto che con il ricorso ad essa l’interessato non sostituisce una certificazione, ma un atto di notorietà, che appartiene alla categoria delle verbalizzazioni. Ai sensi dell’art. 47 del testo unico, con la dichiarazione sostituiva dell’atto di notorietà possono essere attestati:
§ stati, fatti e qualità personali a diretta conoscenza dell’interessato;
§ stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui si abbia diretta conoscenza, con dichiarazione resa nell'interesse proprio del dichiarante. Tale principio risponde ad esigenze di certezza del diritto e di rispetto della privacy;
§ fatti, qualità personali e stati a conoscenza del diretto interessato, non compresi nell’elenco dei dati autocertificabili con dichiarazione sostitutiva di certificazione;
§ lo smarrimento di documenti di riconoscimento o attestanti stati e qualità personali dell’interessato, ai fini del rilascio dei duplicati di documenti, nei casi in cui la legge non preveda la denuncia all’autorità giudiziaria.
La disposizione conferma il rispetto delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, escludendo pertanto che la deroga possa essere ammessa in relazione a quanto previsto dalla normativa richiamata.
La lettera b) riduce a tre mesi il termine entro il quale le pubbliche amministrazioni possono procedere all’annullamento d’ufficio dei provvedimenti illegittimi, in deroga alla previsione dell’art. 21-nonies, co. 1, della legge generale sul procedimento amministrativo (L. n. 241 del 1990).
La disposizione riguarda esclusivamente i provvedimenti amministrativi illegittimi “adottati in relazione all’emergenza Covid-19” e fino al 31 dicembre 2020.
L’annullamento d’ufficio rimuove il provvedimento di primo grado. Secondo la giurisprudenza consolidata, recepita nella legge 241/1990, i presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d'ufficio, che ha effetti ex tunc, sono l'illegittimità originaria del provvedimento, ex art. 21-octies della legge 241/1990, l'interesse pubblico concreto e attuale alla sua rimozione, diverso dal mero ripristino della legalità e l'assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari. L'esercizio del potere di autotutela è espressione di discrezionalità che non esime l'amministrazione dal dare conto, sia pure in modo sintetico, della sussistenza dei menzionati presupposti.
Ai sensi dell’art. 21-nonies, co. 1, della L. 241 del 1990 l’annullamento d’ufficio va adottato «entro un termine ragionevole». Tale termine non deve essere comunque superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione del provvedimento di primo grado per i casi di annullamento d’ufficio dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, anche ove si tratti di provvedimenti formatisi a seguito di silenzio-assenso.
La disposizione in esame stabilisce invece un termine di tre mesi per l’annullamento d’ufficio. Il termine decorre dall’adozione del provvedimento espresso ovvero dalla formazione del silenzio assenso.
In relazione alla formulazione del testo, la disposizione in esame fa riferimento ai “provvedimenti amministrativi illegittimi ai sensi dell’articolo 21-octies della L. 241 del 1990”, mentre l’articolo 21-novies della L. 241 del 1990 dispone che l’annullamento in via di autotutela è esercitabile solo nei casi ‘classici’ di provvedimento illegittimo per violazione di legge, eccesso di potere e incompetenza, ai sensi dell’articolo 21-octies, comma 1, della legge 241/1990, escludendo al contempo esplicitamente la possibilità di procedere ad annullamento di ufficio nei casi di cui all’articolo 21-octies, comma 2, della legge 241/1990, ossia dei provvedimenti che presentino vizi cd. formali o relativi alla mancata comunicazione di avvio del procedimento (tale modifica è stata introdotta dall’art. 25, co. 1, lett. b-quater, D.L. 133/2014).
In secondo luogo, la disposizione in esame richiama, ai fini dell’annullamento d’ufficio, la “sussistenza delle ragioni di interesse pubblico”, mentre l’articolo 21-novies della L. 241 del 1990 dispone che il provvedimento può essere annullato d'ufficio, non solo in presenza di ragioni di interesse pubblico, ma altresì “tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati”.
Tale disciplina, oggetto di ripetuti interventi normativi, è posta a garanzia della certezza del diritto e della tutela dell’affidamento legittimo di coloro ai quali il provvedimento di primo grado da eliminare abbia recato vantaggio. Ne risulta che per l'annullamento in autotutela degli atti illegittimi, oltre che sussistere un interesse pubblico ulteriore rispetto al ripristino della legalità, è richiesto che l’amministrazione operi un bilanciamento fra gli interessi coinvolti.
Al fine di evitare incertezze in sede di applicazione, si valuti l’opportunità di chiarire se la lettera b) individua un’ipotesi autonoma di annullamento d’ufficio ovvero se prevede un rinvio a tutti i presupposti per l’esercizio del potere di annullamento in autotutela delle PA ex art. 21-novies, L. 241/1990, fatta eccezione per i ridotti limiti temporali all’esercizio del potere.
La disposizione infine fa salva (come previsto in via generale dall’art. 21-nonies, co. 2-bis, L. 241 del 1990) l’annullabilità d’ufficio anche dopo il termine di tre mesi qualora i provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato. In tal caso, è comunque fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonché delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di documentazione amministrativa, adottato con D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445.
Si ricorda che, tra le sanzioni previste dal capo VI, si prevede, qualora dai controlli a campione eseguiti dalle amministrazioni procedenti, emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera (art. 75, D.P.R. 445/2000).
La lettera c) prevede un termine di tre mesi entro il quale la PA può intervenire, con poteri inibitori, repressivi e conformativi, sulle attività in relazione all’emergenza Covid-19 avviate sulla base di una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), ai sensi degli articoli 19 ss. Della L. 241 del 1990.
La segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) è una misura di liberalizzazione dell’attività del privato, in quanto sostituisce al potere autorizzatorio della pubblica amministrazione, finalizzato all’emanazione di un atto di consenso all’esercizio dell’attività, il diritto del privato di svolgere un’attività avviandone l’esercizio previa segnalazione. Resta in capo all’amministrazione un potere di controllo, privo di discrezionalità, della corrispondenza di quanto dichiarato dal privato con i presupposti e i requisiti previsti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale.
In base alla disciplina stabilita dall’articolo 19, L. n. 241 del 1990, come più volte modificato[13], la SCIA sostituisce ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi (comma 1). Il campo di applicazione dell’istituto incontra alcune eccezioni nel caso in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, per una serie di atti rilasciati dalle amministrazioni preposte ad interessi particolarmente sensibili[14], e per gli atti amministrativi imposti dalla normativa europea. Ai fini della segnalazione, è prevista sul segnalante tutta una serie di obblighi e responsabilità relativi all’accertamento della sussistenza dei presupposti e requisiti[15].
L’interessato può iniziare l’attività oggetto della segnalazione dalla data di presentazione della segnalazione all’amministrazione competente (comma 2).
Al soggetto interessato, dunque, si riconosce la possibilità di dare immediato inizio all’attività, fermo restando l’esercizio dei poteri di controllo e inibitori da parte della pubblica amministrazione, ricorrendone gli estremi.
In particolare, il comma 3 dell'art. 19 della L. 241 del 1990 attribuisce alla PA un triplice ordine di poteri (inibitori, repressivi e conformativi)[16], esercitabili entro il termine ordinario di sessanta giorni dalla presentazione della SCIA; mentre il successivo comma 4 prevede che, decorso tale termine, quei poteri sono ancora esercitabili "in presenza delle condizioni" previste dall'art. 21-novies della stessa L. n. 241 del 1990 (annullamento in autotutela degli atti illegittimi): si ritiene che in virtù di questo rinvio tali poteri sono esercitabili entro i successivi diciotto mesi.
Una volta decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti di inibitoria, l’amministrazione può comunque vietare la prosecuzione dell’attività, rimuovendone gli effetti, ovvero chiedere al privato di conformarsi alla normativa vigente (comma 4). La possibilità di agire in tal senso è tuttavia condizionata dalla ricorrenza dei presupposti per l’annullamento d’ufficio ai sensi dell’art. 21-nonies della legge.
Il comma 6-bis dell'art. 19 applica questa disciplina anche alla SCIA edilizia, riducendo il termine di cui al comma 3 da sessanta a trenta giorni e prevedendo, inoltre, che, "restano ... ferme le disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e dalle leggi regionali".
La disposizione in esame riduce a tre mesi, nei casi richiamati in premessa, il termine per l’adozione dei provvedimenti previsti dal comma 4 dell’art. 19 della legge 241 del 1990. Viene specificato che il termine decorre dalla scadenza del termine per l’adozione dei provvedimenti di cui al comma 3 del medesimo articolo 19.
La successiva lettera d) limita la possibilità per le PA di esercitare il potere di revoca in autotutela solo per eccezionali ragioni di interesse pubblico sopravvenuto.
La disposizione, oltre ad avere efficacia temporale limitata (come le altre disposizioni del comma 1, si applica fino al 31 dicembre 2020), riguarda solo i procedimenti avviati su istanza di parte, che hanno ad oggetto l’erogazione di benefici economici comunque denominati, indennità, prestazioni previdenziali e assistenziali, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e sospensioni, da parte di pubbliche amministrazioni, in relazione all’emergenza COVID-19 (di cui alla lettera a) del medesimo comma 1).
L’art. 21-quinquies, L. n. 241/1990 definisce le condizioni di esercizio del potere di revoca del provvedimento amministrativo ad efficacia durevole, da parte dell'amministrazione che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge.
In particolare, si può ricorrere alla revoca:
§ per sopravvenuti motivi di pubblico interesse:
§ nel caso di mutamento della situazione di fatto solo ove tale mutamento fosse "non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento";
§ per nuova valutazione dell'interesse pubblico originario: questa ipotesi è esclusa per i provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici.
La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. Ove la revoca di un atto amministrativo incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico, sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico (comma 1-bis).
Il potere di revoca non è soggetto a revoca.
La lettera e) stabilisce che nei casi in cui la normativa generale prevede meccanismi di silenzio-assenso endoprocedimentale, il responsabile del procedimento è tenuto ad adottare il provvedimento conclusivo del procedimento entro trenta giorni dal formarsi del silenzio. Le ipotesi richiamate dalla norma riguardano:
1) i casi in cui, ai sensi dell’articolo 17-bis, comma 2, L. 241 del 1990, trova applicazione la disciplina del silenzio assenso tra amministrazioni;
La legge 241 del 1990 disciplina il meccanismo di silenzio assenso anche nei rapporti tra amministrazioni pubbliche, nei casi in cui per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi da parte di una pubblica amministrazione sia prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque denominati, di competenza di altre amministrazioni pubbliche ovvero di gestori di beni o servizi pubblici, le amministrazioni o i gestori competenti sono tenuti a comunicare le rispettive decisioni entro il termine di trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento, decorso il quale senza che sia stato comunicato l'atto di assenso, concerto o nulla osta, lo stesso si intende acquisito (art. 17-bis, L. 241/1990, introdotto dall'art. 3, L. 124/2015).
2) i casi di conferenza di servizi semplificata ai sensi dell’art. 14-bis, commi 4 e 5 della L. 241 del 1990;
In proposito, si ricorda che in caso di conferenza semplificata (in modalità "asincrona", ossia senza riunione, mediante la semplice trasmissione per via telematica, tra le amministrazioni partecipanti, delle comunicazioni, delle istanze con le relative documentazioni e delle determinazioni) è stabilito un termine perentorio, comunque non superiore a 45 giorni (90 per le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o alla tutela della salute), entro il quale le amministrazioni coinvolte sono tenute a rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della Conferenza. Inoltre, la mancata comunicazione delle determinazioni da parte delle amministrazioni coinvolte entro il termine perentorio, ovvero la comunicazione di una determinazione priva dei requisiti indicati, equivalgono ad assenso senza condizioni, fatti salvi i casi in cui disposizioni del diritto dell'UE richiedono l'adozione dei provvedimenti espressi (art. 14-bis, co. 4).
Scaduto il termine per la comunicazione delle determinazioni, l'amministrazione procedente, entro 5 giorni lavorativi, adotta la determinazione motivata di conclusione della conferenza. La determinazione di conclusione è positiva nel caso siano pervenuti atti di assenso non condizionati, o qualora le condizioni indicate possono essere accolte senza necessità di apportare modifiche sostanziali alla decisione oggetto della conferenza: in tali ipotesi, la determinazione sostituisce ad ogni effetto tutti gli atti di assenso di competenza delle amministrazioni coinvolte. La determinazione di conclusione della conferenza sarà negativa in presenza di atti di dissenso non ritenuti superabili ed, in tal caso, avrà l'effetto di rigetto della domanda (art. 14-bis, co. 5).
3) i casi di conferenza di servizi simultanea, ai sensi dell’art. 14-ter, comma 7 della L. n. 241 del 1990;
Nei casi in cui è stata indetta una conferenza simultanea (ossia in modalità sincrona, con riunione in presenza delle diverse amministrazioni coinvolte) i lavori della conferenza si concludono non oltre 45 giorni decorrenti dalla data della prima riunione (90 giorni nel caso in cui siano coinvolte amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali o della tutela della salute). Entro il termine predetto, l'amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione della conferenza sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza tramite i rispettivi rappresentanti. Anche in questo caso, sono introdotti meccanismi di silenzio assenso: infatti, si considera acquisito l'assenso senza condizioni delle amministrazioni il cui rappresentante non abbia partecipato alle riunioni ovvero, pur partecipandovi, non abbia espresso la propria posizione ovvero abbia espresso un dissenso non motivato o riferito a questioni che non costituiscono oggetto della conferenza (art. 14-ter, co. 7).
In proposito, la relazione illustrativa sottolinea che la previsione di cui alla lettera d), intende sottolineare la doverosità di andare avanti per adottare il provvedimento conclusivo, in quanto “nella prassi accade di frequente che la formazione del silenzio non “sblocchi” il procedimento ma si attenda ugualmente l’assunzione di un atto da parte dell’amministrazione coinvolta”.
La lettera f) stabilisce, in via generale, che gli interventi, anche edilizi, necessari ad assicurare l’ottemperanza alle misure di sicurezza prescritte per fare fronte all’emergenza sanitaria da COVID-19 sono comunque ammessi, nel rispetto delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di tutela dal rischio idrogeologico e di tutela dei beni culturali.
Nella relazione illustrativa annessa al provvedimento in esame si sottolinea che l’intervento della lettera f) “liberalizza (sottraendoli a ogni forma autorizzativa, anche agile) gli interventi che si renderanno necessari nella fase della ripartenza successiva al lockdown, in forza di provvedimenti dell’amministrazione statale, regionale o comunale, per contenere la diffusione del virus. Questa misura consentirà a cittadini e imprese di non trovarsi nella situazione di dovere affrontare ulteriori spese e ritardi per l’avvio o la ripresa dell’attività culturali e del paesaggio”.
Per approfondire le misure di sicurezza emanate per l’emergenza COVID-19 si rinvia al seguente link.
La lettera f) definisce, nello specifico, detti interventi, come opere contingenti e temporanee, destinate ad essere rimosse con la fine dello stato di emergenza, e stabilisce che si proceda, attraverso una comunicazione all’amministrazione comunale di avvio dei lavori, asseverata da un tecnico abilitato (CILA, art. 6-bis del TUE - D.P.R 380/2001).
La CILA in questione deve, inoltre, essere corredata da una dichiarazione del soggetto interessato (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà - art. 47 del D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445), attestante che si tratta di opere necessarie all’ottemperanza alle misure di sicurezza prescritte per fare fronte all’emergenza sanitaria da COVID-19.
Si specifica inoltre che tali interventi devono essere diversi da quelli disciplinati dall’articolo 6 del Testo unico dell’edilizia (attività di edilizia libera), in quanto quest’ultimi non sono soggetti ad alcuna comunicazione amministrativa.
Attualmente, il TUE prevede cinque regimi amministrativi degli interventi edilizi: l’attività edilizia libera, il permesso di costruire, la segnalazione certificata di inizio attività (Scia), la segnalazione certificata di inizio attività in alternativa al permesso di costruire e la comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila).
Per quanto sopra previsto, a tutti gli interventi edilizi, che qui sono definiti come opere contingenti e temporanee, in relazione alla dichiarazione dello stato di emergenza COVID-19, si applica la CILA (art. 6-bis TUE), escludendo, in sostanza, l’applicazione delle procedure relative al permesso di costruire e alla SCIA (articoli 10 e 22 del TUE).
In sintesi, la CILA, come la SCIA, è di fatto una comunicazione/segnalazione che il soggetto avente titolo (proprietario o altro soggetto) presenta all’amministrazione comunale, corredata da asseverazione di un tecnico; tuttavia, la CILA, non è sottoposta a un controllo sistematico ex post, da espletare sulla base di procedimenti formali e di tempistiche perentorie, ma deve essere soltanto conosciuta dall’amministrazione, in quanto relativa a ristrutturazioni cd. “leggere”.
Tuttavia, la lettera f), specifica che per i detti interventi è obbligatorio, se ravvisata la necessità, ottenere i titoli abilitativi previsti per i beni culturali, di cui alla parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), rimanendo, comunque, nelle facoltà dell'interessato di chiedere il rilascio degli altri prescritti permessi, autorizzazioni o atti di assenso.
Si ricorda che l’art. 21 del D.Lgs. 42/2004 subordina ad autorizzazione del Ministero per i beni culturali, principalmente, i seguenti interventi: la rimozione o la demolizione, anche con successiva ricostituzione, dei beni culturali; lo spostamento, anche temporaneo, dei beni culturali mobili, lo smembramento di collezioni, serie e raccolte e lo scarto dei documenti degli archivi pubblici e degli archivi privati. Fuori dei casi di cui sopra, l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente (art. 21, comma 4). Qualora gli interventi autorizzati ai sensi dell'art. 21 necessitino anche di titolo abilitativo in materia edilizia, è possibile il ricorso ad una comunicazione di inizio attività, nei casi previsti dalla legge. A tal fine l'interessato, all'atto della denuncia, trasmette al comune l'autorizzazione conseguita, corredata dal relativo progetto (art. 23).
La lettera f) dispone, inoltre, la possibilità del mantenimento delle opere edilizie realizzate, che devono essere conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente.
La domanda va presentata entro il 31 dicembre 2020 al comune competente, che si pronuncia con un provvedimento di assenso espresso, da adottare entro sessanta giorni dalla domanda.
È previsto l’accertamento della suddetta conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente e l’esonero dal contributo di costruzione eventualmente previsto.
Le autorizzazioni e gli atti di assenso prescritti sono acquisiti attraverso l’indizione di una conferenza di servizi semplificata (articoli 14 e seguenti della L. n. 241/1990).
L’autorizzazione paesaggistica è rilasciata, ove ne sussistano i presupposti, ai sensi dell’art. 167 del Codice dei beni culturali.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio prevede, all’art. 146, comma 4, il divieto di rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria, successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi di trasformazione degli immobili o delle aree sottoposti a vincolo paesaggistico.
Il citato divieto investe anche la certificazione di assenza di danno ambientale in quanto tale atto si configura, sotto il profilo sostanziale, come atto equipollente all’autorizzazione paesaggistica in sanatoria.
Pertanto, non possono essere più rilasciate autorizzazioni paesaggistiche in sanatoria, né certificazioni di assenza di danno ambientale, intese come atti conclusivi del procedimento sanzionatorio, ma, per le opere realizzate in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, dovranno essere irrogate le sanzioni amministrative previste dall’art. 167 del Codice.
In generale (art. 167, comma 1) è stabilito l’obbligo della rimessione in pristino per “opere” eseguite in assenza/difformità da autorizzazione paesaggistica.
È altresì previsto (art. 167, comma 4) che possa essere accertata la compatibilità paesaggistica esclusivamente nei seguenti casi:
§ per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
§ per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
§ per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Il comma 2 dell’articolo in commento reca alcune disposizioni volte, come esplicitamente richiamato, ad assicurare piena attuazione ai principi di cui all’articolo 18 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (in materia di autocertificazione) e al Testo unico in materia di documentazione amministrativa adottato con DPR 28 dicembre 2000, n. 445 (si cfr. in particolare, art. 43), che non consentono alle pubbliche amministrazioni di richiedere la produzione di documenti e informazioni già in loro possesso (c.d. decertificazione).
In merito, si ricorda che a seguito delle modifiche apportate dall’art. 15, comma 1, della L. 183/2011 (legge di stabilità 2012) all’art. 43 del d.P.R. n. 445 del 2000[17], le singole amministrazioni non possono richiedere atti o certificati concernenti fatti, stati e qualità personali che risultino attestati in documenti già in loro possesso o che esse stesse siano tenute a certificare. Piuttosto, le pubbliche amministrazioni procedenti possono fare ricorso esclusivamente all’accertamento d’ufficio o alle dichiarazioni sostitutive.
Al fine di rendere effettiva questa disposizione e di semplificare realmente i rapporti con la PA, è previsto che le certificazioni rilasciate dalla Pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti siano valide e utilizzabili solo nel rapporto tra privati. Al contrario, in base all’art. 40 D.P.R. n. 445/2000, nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle autocertificazioni.
Come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa “costituisce espressione del fondamentale canone costituzionale del buon andamento a cui deve ispirarsi l'azione amministrativa, il principio generale secondo cui le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi non possono richiedere ai privati atti o certificati relativi a stati, qualità personali e fatti attestati in documenti già in possesso della stessa o di altra Amministrazione” (Consiglio di Stato, V sez., sentenza n. 3231 de 2013).
Ai sensi dell’articolo 18 della legge n. 241 del 1990 in materia di autocertificazione, i documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento, sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L'amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti. Parimenti sono accertati d'ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare.
In relazione agli obiettivi annunciati, la lettera a) del comma 2 introduce tre modifiche ad alcune disposizioni del Testo unico della documentazione amministrativa, di cui al d.P.R. n. 445 del 2000, tese a rafforzare il sistema dei controlli sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà, nonché ad inasprire il regime delle sanzioni previste in caso di dichiarazioni mendaci. In particolare:
1) in relazione al regime dei controlli, si modifica il comma 1 dell’articolo 71, stabilendo che le PA procedenti, che sono tenute ad effettuare idonei controlli, sulla veridicità delle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47, effettuano i controlli anche a campione in misura proporzionale al rischio e all’entità del beneficio, e nei casi di ragionevole dubbio, anche successivamente all’erogazione dei benefici, comunque denominati, per i quali sono rese le dichiarazioni.
Restano confermate le previsioni di cui all’art. 71, co. 2 e 3, in base alle quali i controlli riguardanti dichiarazioni sostitutive di certificazione sono effettuati dall'amministrazione procedente consultando direttamente gli archivi dell'amministrazione certificante ovvero richiedendo alla medesima, anche attraverso strumenti informatici o telematici, conferma scritta della corrispondenza di quanto dichiarato con le risultanze dei registri da questa custoditi. Nel caso in cui le dichiarazioni presentino delle irregolarità o delle omissioni rilevabili d'ufficio, non costituenti falsità, ne viene data notizia all'interessato, che è tenuto alla regolarizzazione o al completamento della dichiarazione; in mancanza il procedimento non ha seguito.
2) per quanto concerne le sanzioni, viene aggiunta una disposizione all’articolo 75 del Testo unico, che attualmente dispone la decadenza dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera, fermi restando gli eventuali profili penali. Con la novella introdotta dal decreto-legge in esame (che aggiunge il comma 1-bis all’art. 75) si dispone che la dichiarazione mendace comporta anche la revoca degli eventuali benefici già erogati nonché il divieto di accesso a contributi, finanziamenti e agevolazioni per un periodo di 2 anni decorrenti da quando l’amministrazione ha adottato l’atto di decadenza. La disposizione precisa che restano comunque fermi gli interventi, anche economici, in favore dei minori e per le situazioni familiari e sociali di particolare disagio.
La norma dell’art. 75 si inserisce in un contesto in cui alla dichiarazione sullo status o sul possesso di determinati requisiti è attribuita funzione probatoria, da cui il dovere del dichiarante di affermare il vero. Ne consegue che la dichiarazione “non veritiera” nell’ambito della disciplina dettata dalla l. n. 445 del 2000, preclude al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata la dichiarazione o comporta la decadenza dall’utilitas conseguita per effetto del mendacio. In tale contesto normativo, in cui la “dichiarazione falsa o non veritiera” opera come fatto, perde rilevanza l’elemento soggettivo ovvero il dolo o la colpa del dichiarante. La novella rafforza le sanzioni ammnistrative per le dichiarazioni mendaci.
3) una terza modifica concerne l’articolo 76, comma 1, che punisce ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso nei casi previsti dal testo unico medesimo. Con la novella introdotta, si prevede l’aumento da un terzo alla metà della pena ordinariamente prevista dal codice penale.
La disposizione del codice penale che viene in rilievo è l’articolo 483 (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) che punisce con la reclusione fino a due anni chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a 3 mesi.
Con l’aumento di pena previsto all’art. 76 del TU, le dichiarazioni mendaci potranno essere punite con la reclusione fino a 3 anni.
La lettera b) del comma 2 introduce alcune modifiche testuali all’articolo 50 del Codice dell’amministrazione digitale, adottato con D.Lgs. n. 82 del 2005, relativo alla disponibilità dei dati delle pubbliche amministrazioni.
Una prima modifica riguarda l’articolo 50, comma 2, del CAD, ai sensi del quale in linea generale e fatte salve alcune eccezioni espressamente indicate, nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali, ogni dato trattato da una pubblica amministrazione è reso accessibile e fruibile alle altre amministrazioni quando l'utilizzazione del dato sia necessaria per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell’amministrazione richiedente, senza oneri a carico di quest'ultima, salvo per la prestazione di elaborazioni aggiuntive.
Nell’ambito di tale disposizione è fatto salvo quando disposto dall’art. 43, co. 4 del DPR 445/2000, che obbliga le amministrazioni certificanti a consentire, senza oneri, alle amministrazioni procedenti la consultazione per via telematica dei loro archivi informatici al fine di agevolare l'acquisizione d'ufficio di informazioni e dati relativi a stati, qualità personali e fatti, contenuti in albi, elenchi o pubblici registri.
In seguito alla novella, viene ora richiamato anche l’articolo 71 sui controlli in materia di autocertificazioni, modificato ai sensi del comma 2, lett. a)).
Si ricorda che ai sensi del comma 1 dell’art. 50 CAD, i dati delle pubbliche amministrazioni sono formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili con l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione che ne consentano la fruizione e riutilizzazione da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dai privati; restano salvi i limiti alla conoscibilità dei dati previsti dalle leggi e dai regolamenti, le norme in materia di protezione dei dati personali ed il rispetto della normativa comunitaria in materia di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico.
Si prevede inoltre che le pubbliche amministrazioni nell'ambito delle proprie funzioni istituzionali procedano all'analisi dei propri dati anche in combinazione con altre amministrazioni (o gestori di servizi pubblici per profili di pubblico interesse o società a controllo pubblico), secondo le linee guida dell'AgID (art. 50, comma 2-bis).
Il trasferimento di un dato da un sistema informativo a un altro non modifica la titolarità del dato.
Una seconda modifica aggiunge al citato articolo 50 del CAD, il nuovo comma 2-ter, il quale prevede la predisposizione di accordi quadro attraverso i quali le pubbliche amministrazioni certificanti detentrici dei dati ne assicurano la fruizione da parte delle pubbliche amministrazioni e dei gestori di servizi pubblici.
Attraverso tali accordi dovranno essere definite anche le modalità attraverso le quali le PA detentrici dei dati assicurano conferma scritta della corrispondenza di quanto dichiarato con le risultanze dei dati da essa custoditi, ove ne venga fatta richiesta da parte dei soggetti privati che vi consentono, ai sensi dell’articolo 2 del DPR n. 445/2000 e con le modalità di cui all’articolo 71, comma 4 del medesimo DPR 445, che disciplina le modalità di controllo delle dichiarazioni sostitutive presentate ai privati che vi consentono.
Ai sensi del citato art. 2, il D.P.R. n. 445 ha le finalità di disciplinare la formazione, il rilascio, la tenuta e la conservazione, la gestione, la trasmissione di atti e documenti da parte di organi della Pubblica Amministrazione; disciplina, altresì, la produzione di atti e documenti agli organi della Pubblica Amministrazione nonché ai gestori di pubblici servizi nei rapporti tra loro e in quelli con l’utenza, e ai privati che vi consentono.
In base all’articolo 71, comma 4 del DPR 445, si dispone già oggi che l'amministrazione competente per il rilascio della relativa certificazione, previa definizione di appositi accordi, è tenuta a fornire, su richiesta del soggetto privato corredata dal consenso del dichiarante, conferma scritta, anche attraverso l'uso di strumenti informatici o telematici, della corrispondenza di quanto dichiarato con le risultanze dei dati da essa custoditi.
Il successivo comma 3 prescrive l’obbligo per le amministrazioni di predisporre gli accordi quadro di cui al nuovo articolo 50, comma 2-ter, del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, entro centoventi giorni dall’entrata in vigore del decreto in esame.
La lettera c) apporta alcune modifiche all’articolo 50-ter del CAD, introdotto dal D.Lgs. n 217 del 13 dicembre 2017 e che istituzionalizza il progetto di Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), già introdotto nel Piano triennale per l’informatica 2017-2019.
La disposizione richiamata disciplina la promozione della progettazione, dello sviluppo e della sperimentazione di una Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), finalizzata a favorire la conoscenza e l'utilizzo del patrimonio informativo detenuto dalle amministrazioni pubbliche, per finalità istituzionali, nonché alla condivisione dei dati tra i soggetti che hanno diritto ad accedervi ai fini della semplificazione degli adempimenti amministrativi dei cittadini e delle imprese, in conformità alla disciplina vigente.
Una prima modifica apportata dalla disposizione in esame riguarda la soppressione del riferimento alla “lettera a)”, ovunque ricorra, dal testo dell’art. 50-ter. Tale modifica ha l’effetto di estendere l’operatività della Piattaforma digitale ai dati detenuti non solo dalle PA di cui all’art. 1, co. 2, del D.Lgs. 165 del 2001 (richiamate ai sensi dell’art. 2, co. 1 lett. a) del CAD), ma anche ai gestori di servizi pubblici, ivi comprese le società quotate, in relazione ai servizi di pubblico interesse (art. 2, co. 1 lett. b)), nonché alle società a controllo pubblico, come definite nel decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, escluse le società quotate (art. 2, co. 1 lett. c)).
Resta invece ferma l’esclusione dal campo di applicazione della Piattaforma per i dati detenuti dalle autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione.
Ulteriori modifiche sono dirette a sostituire il riferimento al Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale con la Presidenza del Consiglio dei ministri ai commi 2 e 3 dell’art. 50-ter, nella parte in cui individua il soggetto deputato a gestire la Piattaforma.
Con un’ulteriore novella, al comma 2, non si parla più di “sperimentazione” della Piattaforma, bensì di “gestione”.
Nella versione previgente, infatti, il comma 2 affidava, in sede di prima applicazione, la sperimentazione della Piattaforma Digitale Nazionale Dati è al Commissario straordinario per l'attuazione dell'Agenda digitale non oltre il 15 settembre 2019.
Ai sensi del successivo comma 3, ai fini dello svolgimento delle funzioni di cui al comma 2, il Commissario straordinario (ora la Presidenza del Consiglio) provvede, nel rispetto dei limiti, delle condizioni e delle modalità stabilite dal Garante per la protezione dei dati personali e dal DPCM di attuazione previsto dal successivo comma 4, ad acquisire i dati detenuti dalle PA, organizzarli e conservarli, nel rispetto delle norme tecniche e delle metodologie idonee a garantire la condivisione dei dati tra le pubbliche amministrazioni stabilite da AgID nelle Linee guida. I soggetti che detengono i dati identificati nel decreto di cui al comma 4, hanno l'obbligo di riscontrare la richiesta del Commissario (ora la Presidenza del Consiglio), rendendo disponibili i dati richiesti senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Tali modifiche fanno seguito all’articolo 8 del D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, che ha trasferito al Presidente del Consiglio dei ministri le funzioni del Commissario straordinario per l'attuazione dell'Agenda digitale dal 1° gennaio 2020.
Si ricorda che il Commissario straordinario per l'attuazione dell'Agenda digitale ha operato fino alla fine del 2019. Le sue funzioni sono state trasferite al Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio. In particolare, a decorrere dal 1° gennaio 2020 sono state trasferite al Presidente del Consiglio dei ministri le funzioni del Commissario straordinario per l'attuazione dell'Agenda digitale (D.L. 135/2018, c.d. decreto semplificazioni, art. 8). Si tratta delle funzioni di coordinamento operativo dei soggetti pubblici, anche in forma societaria operanti nel settore delle tecnologie dell'informatica e della comunicazione e rilevanti per l'attuazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana, con i connessi poteri di impulso e di coordinamento nei confronti delle pubbliche amministrazioni cui competono tali adempimenti, ivi inclusa l'Agenzia per l'Italia digitale, nonché il potere sostitutivo in caso di inadempienze gestionali o amministrative. A seguito dell'approvazione del DL 135/2018, il Governo ha proceduto alla istituzione del Dipartimento per la trasformazione digitale, quale struttura di supporto al Presidente del Consiglio per la promozione ed il coordinamento delle azioni del Governo finalizzate alla definizione di una strategia unitaria in materia di trasformazione digitale e di modernizzazione del Paese attraverso le tecnologie digitali. Esso dà attuazione alle direttive del Presidente in materia e assicura il coordinamento e l'esecuzione dei programmi di trasformazione digitale (DPCM 19 giugno 2019).
La lettera d) dispone, a sua volta, che nell’ambito delle verifiche, delle ispezioni e dei controlli comunque denominati sulle attività dei privati, la pubblica amministrazione “non può richiedere la produzione di informazioni, atti o documenti in possesso della stessa o di altra pubblica amministrazione”.
Si aggiunge inoltre che è nulla ogni sanzione disposta nei confronti dei privati per omessa esibizione di documenti già in possesso dell’amministrazione procedente o di altra amministrazione.
Tale disposizione sembrerebbe trovare applicazione con riferimento all’intero settore dei controlli pubblici (comunque denominati) sull'attività dei privati, nel quale rientrano i controlli che mirano a verificare l'osservanza, da parte di cittadini e imprese del rispetto di obblighi generali (fiscali, antiriciclaggio, ambientali, di sicurezza sul lavoro, di polizia, ecc.), ovvero i controlli conseguenti ad una precedente attività amministrativa ampliativa ovvero a una disciplina negoziale (autorizzazioni, sovvenzioni, concessioni, contratti), ovvero i controlli delle amministrazioni o di altre autorità pubbliche in funzione di vigilanza e regolazione di settore (nei mercati finanziari e in altri mercati regolati).
Tali tipologie di controllo, ivi incluse le relative norme sanzionatorie, trovano disciplina nelle diverse normative settoriali che, di volta in volta, prevedono obblighi per cittadini e imprese, poteri delle amministrazioni e poteri di regolazione e vigilanza.
Relativamente alle previsioni della lettera d), si valuti l’opportunità di precisare il perimetro di applicazione della disposizione, sia in relazione alla tipologia dei controlli ai quali si fa riferimento, sia in relazione all’ambito di applicazione, che viene esteso alla produzione non solo di atti e documenti, ma altresì di informazioni già in possesso delle pubbliche amministrazioni.
Il comma 4 prevede che tutte le disposizioni dell’articolo in commento attengono ai livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione e prevalgono su ogni diversa disciplina regionale.
In proposito, si ricorda come la Corte costituzionale ha più volte ricordato (di recente si veda la sentenza n. 9 del 2019) come la riconducibilità delle norme statali vertenti sul procedimento amministrativo (nel caso di specie la disciplina della conferenza dei servizi quale standard strutturale e qualitativo delle prestazioni) ai livelli essenziali delle prestazioni di cui alla lettera m) del secondo comma dell’art. 117 della Costituzione non implichi l’automatica illegittimità delle norme regionali che differiscano da esse tenuto conto della possibilità, per la disciplina regionale, di discostarsi della norme statali per prevedere ulteriori livelli di tutela o, in ogni caso, per definire previsioni che costituiscano uno sviluppo coerente con il livello di tutela offerto dalle norme statali.
[1] L'Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) serve a fornire una valutazione della situazione economica delle famiglie, tenendo conto del reddito di tutti i componenti, del loro patrimonio (mobiliare ed immobiliare) e di una scala di equivalenza che varia in base alla composizione del nucleo familiare. L'ISEE è necessario per l'accesso alle prestazioni sociali la cui erogazione dipende dalla situazione economica familiare. L'indicatore tiene conto di particolari situazioni di bisogno, prevedendo trattamenti di favore per i nuclei con tre o più figli o dove sono presenti persone con disabilità o non autosufficienti; in tal caso, in sede di calcolo dell’ISEE, viene applicata una maggiorazione della scala di equivalenza che si differenzia a secondo del tipo di disabilità (disabilita? media; disabilita? grave; non autosufficienza). La definizione ai fini ISEE della condizione di disabilità media, grave e di non autosufficienza è recata dall’Allegato 3 al D.pc.c.m. 159/2013.
[2] La definizione ai fini ISEE della condizione di disabilità media, grave e di non autosufficienza è recata dall’Allegato 3 al D.pc.c.m. 159/2013.
[3] Il tavolo è composto da rappresentanti del Ministero dell'interno, del Ministero della Giustizia, del Ministero delle politiche agricole alimentari forestali e del turismo, del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dell'ANPAL, dell'Ispettorato nazionale del lavoro, dell'INPS, del Comando Carabinieri per la tutela del Lavoro, della Guardia di Finanza, delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, dell'ANCI.
[4] "Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi".
[5] L. Conti, E. Gennari, F. Quintiliani, R. Rassu e E. Sceresini, "L’imposta di soggiorno nei Comuni italiani", Questioni di Economia e Finanza (Occasional Papers), Numero 453 – ottobre 2018.
[6] Effettuate da JFC e riportate da organi di stampa (v. Sole 24 Ore del 26 dicembre 2019).
[7] Ai sensi dell'articolo 2 del D.M. 18 marzo 1996 (Norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi) per "impianto sportivo" si intende come l'insieme di uno o più spazi di attività sportiva dello stesso tipo o di tipo diverso, che hanno in comune i relativi spazi e servizi accessori, preposto allo svolgimento di manifestazioni sportive. L'impianto sportivo comprende: a) lo spazio o gli spazi di attività sportiva; b) la zona spettatori; c) eventuali spazi e servizi accessori; d) eventuali spazi e servizi di supporto. Si veda altresì quanto previsto dal Regolamento del CONI 6 maggio 2008, (delibera n. 149).
[8] La tabella viene aggiornata al 30 giugno, al 30 settembre e al 31 dicembre di ogni anno. La situazione al 31 dicembre viene pubblicata all’inizio del mese di maggio dell’anno successivo, tenuto conto dei tempi tecnici necessari alla chiusura contabile annuale del FUG ed all’approvazione del Rendiconto annuale della gestione del Fondo (art. 6, comma 5, del DM n. 127/2009).
[9] La tabella viene aggiornata al 30 giugno, al 30 settembre e al 31 dicembre di ogni anno. La situazione al 31 dicembre viene pubblicata all’inizio del mese di maggio dell’anno successivo, tenuto conto dei tempi tecnici necessari alla chiusura contabile annuale del FUG ed all’approvazione del Rendiconto annuale della gestione del Fondo (art. 6, comma 5, del DM n. 127/2009).
[10] Si tratta di ricercatori con contratti a tempo determinato di durata triennale riservati a coloro che hanno già usufruito dei contratti triennali, prorogabili una sola volta per due anni, previsti dalla lett. a) del medesimo comma 3, ovvero che hanno conseguito l'abilitazione scientifica nazionale alle funzioni di professore di prima o di seconda fascia o che per almeno tre anni, anche non consecutivi, hanno usufruito di assegni di ricerca, di borse post-dottorato o di analoghi contratti, assegni o borse in atenei stranieri.
[11] Si veda amplius il Dossier n. 238.
[12] E’ appena il caso di ricordare che sempre con riguardo alla professione forense il comma 3 dell'articolo 6 del decreto-legge n. 22 del 2020 ha previsto puntuali previsioni in materia di tirocinio stabilendo che il semestre di tirocinio professionale, all’interno del quale ricade il periodo di sospensione delle udienze dovuto all’emergenza epidemiologica determinata dal diffondersi del COVID-19, deve considerarsi svolto positivamente anche nel caso in cui il praticante non abbia assistito ad almeno venti udienze per semestre, con esclusione di quelle di mero rinvio.
[13] L’articolo 19 della legge n. 241 del 1990 è stato oggetto nel corso degli anni di frequenti modifiche e riscritture: l’impianto attuale si deve all’articolo 49, comma 4-bis del decreto-legge n. 78/2010 che, sostituendo integralmente l’articolo, ha previsto la trasformazione della dichiarazione di inizio attività (DIA) in segnalazione certificata di inizio attività (SCIA). La nuova disciplina è stata oggetto – nel successivo quinquennio – di ulteriori modifiche ad opera di 10 atti normativi, gli ultimi dei quali sono stati la legge n. 124 del 2015, che ha modificato i commi 3 e 4 (articolo 6, comma 1, lettera a)) e il d.lgs. n. 126/2016, che ha modificato i commi 2 e 3 (articolo 3, comma 1).
[14] Difesa nazionale, pubblica sicurezza, immigrazione, asilo, cittadinanza, amministrazione della giustizia, amministrazione delle finanze (ivi compresi gli atti concernenti le reti di acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco).
[15] Infatti, la segnalazione deve essere corredata sia con le dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell'atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali, ma anche con le attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati corredate dagli elaborati tecnici, o con le dichiarazioni di conformità da parte dell’Agenzia delle imprese. Tali attestazioni e asseverazioni sono funzionali alle verifiche di competenza dell'amministrazione, che a tal fine si avvale anche degli elaborati tecnici necessari a corredo della segnalazione. Le autocertificazioni, attestazioni e asseverazioni o certificazioni sostituiscono anche l'acquisizione di atti o pareri di organi o enti appositi, stabiliti dalla normativa vigente, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive. La disposizione tuttavia precisa che sono sempre salve le verifiche successive degli organi e delle amministrazioni competenti.
[16] Infatti, l’amministrazione entro 60 giorni dalla segnalazione (30 per la SCIA edilizia), ove accerti la carenza di requisiti o presupposti per l’esercizio dell’attività, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa (comma 3). Qualora vi sia la possibilità di regolarizzazione, l’amministrazione competente invita il privato a conformare l’attività intrapresa alla normativa vigente, mediante un atto motivato, con il quale sono prescritte le misure necessarie ed il termine per provvedere alla regolarizzazione dell’attività non può essere inferiore a 30 giorni. Decorso il termine senza che le misure siano state adottate, l’attività s’intende vietata. L’amministrazione può disporre anche la sospensione dell’attività, ma solo in presenza di attestazioni non veritiere o di pericolo per la tutela dell'interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa nazionale.
[17] D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa.