Camera dei deputati - Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento Giustizia
Titolo: Modifiche al codice civile e alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di affidamento dei minori
Riferimenti: AC N.2047/XVIII
Serie: Progetti di legge   Numero: 190
Data: 16/09/2019
Organi della Camera: II Giustizia


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Modifiche al codice civile e alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di affidamento dei minori

16 settembre 2019
Schede di lettura


Indice

Contenuto|Relazioni allegate o richieste|Necessità dell'intervento con legge|


Contenuto

La proposta di legge A.C. 2047, composta da 4 articoli,  interviene sul  sistema delle tutele del minore nei procedimenti in tema di responsabilità genitoriale definito dal codice civile, nonché sull'attuazione dei provvedimenti giurisdizionali di collocazione extra familiare del minore stesso,

Al riguardo, la proposta (articolo 1) introduce specifici criteri volti ad orientare l'intervento del giudice, perseguendo il fine di limitare quanto più possibile l'allontanamento dei minori dalla propria famiglia di origine, e incide, tra l'altro, sul procedimento di adozione dei provvedimenti con modifiche volte ad ampliare le garanzie del contraddittorio e a definire tempistiche più certe per i provvedimenti provvisori ed urgenti.

Inoltre la riforma interviene (articolo 2) sulla legge n. 184 del 1983 per modificare la disciplina dell'affidamento e della revoca dello stato di adottabilità e disciplina altresì dettagliatamente i presupposti ed i limiti per l'elargizione di contributi pubblici alle comunità di tipo familiare e agli altri istituti di assistenza. Gli articoli 3 e 4 concernono, rispettivamente, le disposizioni finanziarie e quelle finali e transitorie.

 

Con riguardo all'allontanamento del minore dalla propria famiglia, come è noto la Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge n. 176 del 1991, prevede all'articolo 20 che ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato, in conformità con la propria legislazione nazionale.
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), all'articolo 8, sancisce il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza e che non possa esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che essa sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. Va inoltre ricordata  la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, il cui articolo 7 sancisce il diritto di ogni individuo al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni. L'articolo 24 della medesima Carta, riconoscendo il diritto dei bambini "alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere", stabilisce altresì che essi possano esprimere liberamente la propria opinione e che questa venga presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. Si prevede inoltre il principio secondo cui «in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente».

 

Con riguardo agli aspetti relativi al collocamento dei minorenni allontanati dalla propria famiglia di origine, si segnala che la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha svolto, nel corso della XVII legislatura, un'indagine conoscitiva sui minori "fuori famiglia". Per gli profili relativi ai numeri e alle caratteristiche delle strutture di accoglienza presenti nel nostro Paese, al numero di minori che vi transitano, nonché per elementi di conoscenza concernenti il sistema dei controlli, dei finanziamenti delle comunità familiari, si rinvia dunque al Documento conclusivo dell'indagine. Ulteriori dati statistici sui provvedimenti a tutela dei minori adottati nel 2018 sono disponibili sul sito internet del Ministero della Giustizia.


Le modifiche al codice civile

L'articolo 1  è volto a modificare la disciplina contenuta nel codice civile in materia di responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio, che prevede attualmente una serie di norme  (art. 330 e ss. c.c.) atte a tutelare i minori da comportamenti dei genitori considerati pregiudizievoli nei confronti dei figli e idonei a determinare nei casi più gravi la decadenza dalla responsabilità genitoriale e l'allontanamento dalla casa familiare.

In particolare, il comma 1 ridefinisce il sistema delle I provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitorialeforme di intervento del giudice minorile – la cui disciplina è attualmente contenuta negli articoli 330 e 333 del codice civile - nei  casi in cui i genitori non esercitano i loro doveri nei confronti dei figli, ovvero abusano dei relativi poteri, con pregiudizio per i figli medesimi.

Attualmente  l'art. 330 c.c., prevede che possa essere pronunciata la decadenza della responsabilità genitoriale nei confronti di quel genitore che violi o trascuri i propri doveri, ovvero abusi dei poteri inerenti la responsabilità stessa, arrecando grave pregiudizio nei confronti del figlio. Ove il comportamento del genitore non sia tale da giustificare la pronuncia della decadenza della responsabilità, ma sia in ogni caso pregiudizievole per il figlio, potranno essere adottati i più opportuni provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale ex art. 333 c.c. Infatti, quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza della responsabilità genitoriale prevista dall'art. 330 c.c., ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.
 

Decadenza dalla responsabilità genitorialeCon riguardo alla decadenza dalla responsabilità genitoriale la riforma conferma i due presupposti previsti attualmente :

  • la condotta del genitore in contrasto con i doveri inerenti alla responsabilità;
  • il pregiudizio per il figlio, quale conseguenza di quella condotta. L'ambito applicativo di tale presupposto è tuttavia esteso al pericolo concreto e attuale di pregiudizio; è inoltre specificato che deve trattarsi di pregiudizio per la vita, l'incolumità, la salute fisica o la libertà personale o morale.
In tale senso si segnala che la giurisprudenza ha già riconosciuto che il pregiudizio può essere anche meramente eventuale, potendosi applicare la misura nell'ipotesi in cui si sia verificato il mero pericolo di un danno pregiudizievole per il minore, indipendentemente dalla circostanza che il genitore abbia agito con la coscienza di ledere gli interessi della prole, dovendo essere evitato, nei limiti del possibile, ogni obiettivo pregiudizio, non necessariamente attuale, ma anche solo eventuale, per il minore (Corte Cass. 21 febbraio 2004, n. 3529, 2005; Corte Cass. 4 febbraio 2000, n. 1213; Corte Cass. 15 marzo 2001, n. 3765; Corte Cass. 10 maggio 1999, n. 4631).

 

Rispetto alla formulazione attuale dell'art. 330 c.c. la nuova disciplina è più dettagliata, con specifico riguardo alla discrezionalità del giudice. In particolare il provvedimento ablativo o limitativo della responsabilità può essere adottato solo se:

  • siano previsti modalità e tempi strettamente necessari a rimuovere il pregiudizio o pericolo;
  • i presupposti della decadenza risultano da fatti specifici e comprovati e non siano desunti da valutazioni relative la personalità dei genitori;
  • non sia possibile evitarlo o escluderlo mediante l'intervento dei servizi sociali, eventualmente anche con la prestazione di assistenza educativa domiciliare da svolgersi con il consenso del genitore.

 

Allontanamento dal contesto domestico abitualeCon riguardo all'allontanamento del minore dalla casa familiare, la disciplina vigente dell'istituto si limita a prevederne la possibilità per "gravi motivi "(art. 330 c.c., secondo comma) nel caso ricorrano i presupposti della decadenza dalla resposabilità e in alternativa  all'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore, lasciando, in merito,  piena discrezionalità al giudice..

La riforma è invece volta a individuare i criteri secondo i quali orientare la decisione del giudice secondo il " fine preminente della tutela e della salvaguardia dell'unità familiare e della permanenza del minorenne nel proprio contesto domestico abituale".

La citata Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, stabilisce la protezione dell'unità familiare, statuendo che gli Stati parti "vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell'interesse preminente del fanciullo. Una decisione in questo senso può essere necessaria in taluni casi particolari, ad esempio quando i genitori maltrattino o trascurino il fanciullo, oppure se vivano separati e una decisione debba essere presa riguardo al luogo di residenza del fanciullo". In tutti questi casi "tutte le parti interessate devono avere la possibilità di partecipare alle deliberazioni e di far conoscere le loro opinioni". Si prevede inoltre che "gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all'interesse preminente del fanciullo.

Conseguentemente si prevede che il giudice debba:

  • preliminarmente esaminare la possibilità di adottare un provvedimento che salvaguardi l'unità del nucleo familiare;
  • eventualmente adottare un provvedimento di allontanamento del genitore o del soggetto responsabile della condotta che abbia arrecato pregiudizio al minore.

Solo ove le predette soluzioni alternative non siano idonee a rimuovere la situazione di pregiudizio o pericolo può essere adottato il provvedimento di allontanamento del minore dal contesto domestico abituale. Nell'adozione di tale provvedimento la proposta individua i criteri cui il giudice deve attenersi per disporre la collocazione extra familiare del minore. In particolare dovrà essere privilegiata la collocazione del minore stesso presso un parente entro il quarto grado o presso altra persona conosciuta dal minore che accetti di prendere temporaneamente la custodia.

Solo come extrema ratio, in caso le soluzioni alternative per specifiche e comprovate ragioni non siano sufficienti a garantire l'incolumità del minore, può essere disposta la collocazione presso famiglia affidataria o, in subordine, presso casa famiglia o struttura di accoglienza.

 

Specifiche disposizioni regolano le Modalità del provvedimento di allontanamentomodalità di adozione del provvedimento di allontanamento, con riguardo all'obbligo, a pena di nullità, di indicazione della sua durata e della possibilità di proroga.

Con riguardo all'esecuzione del provvedimento:

  • deve essere eseguito da personale specializzato;
  • le modalità non devono essere tali da provocare turbamento nel minore

E' prevista la sospensione dell'esecuzione qualora il minore opponga resistenza o manifesti in modo evidente la volontà di non distaccarsi dal genitori. La sospensione dell'esecuzione non può essere disposta in caso di allontanamento del genitore.

Nel caso di sospensione dell'esecuzione si prevede che il giudice "provvede nuovamente ai sensi dell'articolo 336, quarto comma", c.c. come novellato dalla proposta in esame.

Non appare chiaro il rinvio all'art. 336, quarto comma, che non fa riferimento a provvedimenti del giudice, ma disciplina il collocamento del minore da parte dell'autorità di pubblica sicurezza in ambiente sicuro, qualora il minore si trovi in stato di pericolo.

 

Ulteriori specificazioni riguardano il diritto del minore allontanato dal contesto domestico:

  • di frequentare i genitori e gli altri familiari, senza vigilanza e con rapporti quotidiani. Restrizioni o modalità differenti possono essere stabilite dal giudice ma devono essere specificamente motivate con riferimento ad un comprovato pregiudizio o pericolo e in ogni caso deve esserne stabilita la durata a pena di nullità;
  • di frequentare le persone, diverse dai familiari, con cui abbia stabilito rapporti affettivi prima dell'allontanamento.

L'ultimo comma del nuovo art. 330 c.c. specifica che la mancata indicazione dei termini di durata nei provvedimenti concernenti l'allontanamento del minore dal contesto domestico abituale e in quelli che dispongono modalità restrittive nella frequentazione dei genitori in caso di allontanamento, oltre che rendere nullo il provvedimento, costituiscono fatto rilevante ai fini della responsabilità disciplinare dei giudici che hanno emesso i provvedimenti stessi.

Revoca e modifica dei provvedimentiIl comma 2 dell'articolo 1 sostituisce l'art. 332 c.c. che attualmente prevede la reintegrazione nella responsabilità genitoriale quando siano cessate le ragioni per le quali la decadenza è stata pronunciata ed è escluso ogni pericolo di pregiudizio per il figlio. Il nuovo articolo 332 c.c. – in analogia con quanto previsto dall'attuale art. 333 c.c. -  dispone che i provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale possano essere revocati o modificati su ricorso, proposto al tribunale dei minorenni dal genitore destinatario del provvedimento o dal pubblico ministero. Rispetto alla normativa attuale, la riforma specifica che il ricorso è proponibile in ogni tempo e indipendentemente dalla sopravvenienza di nuovi fatti.

 

La possibilità di revocare il provvedimento ablativo - già prevista dalla disciplina attuale, seppur in presenza di fatti nuovi - ha a lungo interrogato la giurisprudenza circa la possibilità di ricorrere, avverso i medesimi provvedimenti confermati in appello, in Cassazione ex art. 111 Cost. per violazione di legge. La prevalente giurisprudenza aveva escluso tale possibilità per difetto del duplice requisito della decisorietà (intesa come risoluzione di un conflitto su diritti soggettivi o status) e della definitività (ossia come mancanza di rimedi diversi ed attitudine del provvedimento a pregiudicare con l'efficacia propria del giudicato quei diritti o quegli status) (C., S.U., 23030/2007; C. 16296/2015; C., S.U., 911/2002; C., S.U., 729/1999; C., S.U., 4222/1996; C., S.U., 1026/1995; C., S.U., 6220/1986; C. 10291/2014; C. 8225/2012; C. 1480/2007; C. 1920/2004; C. 11026/2003; C. 11582/2002; C. 8633/1999). In altri termini, i decreti in questione sarebbero inidonei ad acquistare l'autorità della cosa giudicata, in quanto modificabili e revocabili in ogni tempo per motivi originari o sopravvenuti di legittimità o di merito. Rispetto a questa interpretazione, le Sezioni Unite hanno recentemente affermato che il provvedimento ablativo o limitativo della responsabilità genitoriale, emesso dal giudice minorile ai sensi degli artt. 330 e 336, ha attitudine al giudicato rebus sic stantibus, in quanto non revocabile o modificabile salva la sopravvenienza di fatti nuovi, sicché il decreto della corte di appello che, in sede di reclamo, conferma, revoca o modifica il predetto provvedimento, è impugnabile con ricorso per cassazione ex art. 111, 7° co., Cost. (C., S.U., 32359/2018).

Il comma 3  sostituisce l'art. 333 c. c. disponendo l'applicabilità delle disposizioni relative ai provvedimenti ablativi o limitativi della responsabilità genitoriale anche nei riguardi dei parenti che svolgano in modo continuativo la funzione vicaria dei genitori.

Come sopra ricordato l'articolo 333 c.c. contiene attualmente la disciplina dei provvedimenti che il giudice può adottare quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio. La riforma di tale disciplina è confluita nel nuovo art. 330 c.c. ( vedi sopra).

Il procedimento per l'adozione dei provvedimenti Il comma 4 sostitusce integralmente l'articolo 336 c.c., che costituisce il paradigma normativo di tutti i procedimenti  che si concludono con provvedimenti incidenti sulla responsabilità genitoriale, applicabile davanti al tribunale per i minorenni

In base all'art. 38 disp. att. la competenza funzionale per l'adozione dei provvedimenti incidenti sulla responsabilità genitoriale è del Tribunale per i minorenni (vedi infra).

 

Con riferimento alla Legittimazione ad agirelegittimazione ad agire la riforma conferma quella che essa spetta all'"altro genitore", ai parenti (specificando però che deve trattarsi di parenti enro il quarto grado) a al pubblico ministero.

La decisione è presa in camera di consiglio sentito il pubblico ministero al termine dell'istruttoria. Rispetto alla disciplina attuale la riforma specifica che la prova delle circostanze che giustificano l'adozione del provvedimento deve essere formata nel contraddittorio delle parti.

La normativa vigente (art. 336, secondo comma) si limita a disporre che il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero; dispone, inoltre, l'ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito

 

Una più articolata disciplina rispetto a quella vigente è prevista (  comma terzo del nuovo art. 336 c.c.) con riguardo alla possibilità per il presidente del tribunale di emettere un Provvedimenti provvisoriprovvedimento provvisorio con efficacia non superiore a 45 giorni dal deposito qualora vi sia fondato motivo di ritenere che il tempo necessario per l'istaurazione del contraddittorio possa nuocere irreparabilmente al minore. Il provvedimento potrà essere confermato ovvero revocato o modificato all'esito del contraddittorio sentite le parti e il pubblico ministero.

Il quinto comma dell'art. 336 si limita a prevedere attualmente che in caso di urgente necessità il tribunale può adottare, anche d'ufficio, provvedimenti temporanei nell'interesse del figlio
 

La riforma modifica significativamente  (commi quarto e quinto del nuovo art. 336 c.c.) l'ipotesi diCollocamento temporaneo e in via di urgenza collocamento temporaneo e in via d'urgenza del minore la cui integrità fisica sia in evidente e attuale pericolo in un ambiente sicuro, attualmente prevista dall'art. 403 c.c.. In tali casi:

  • la competenza è dell'autorità di pubblica sicurezza che procede d'ufficio o su segnalazione da chiunque pervenuta;
  • il collocamento temporaneo dura fino al provvedimento del giudice;
  • l'ambiente sicuro ove effettuare il collocamento è individuato prioritariamente presso un parente entro il quarto grado o presso persona affettivamente legata al minore; ove tale soluzione non sia possibile il collocamento temporaneo sarà effettuato presso una struttura di accoglienza indicata dal comune di residenza del minore;
  • l'autorità di pubblica sicurezza deve comunicare entro 24 ore il provvedimento di collocazione temporanea al pm presso il tribunale dei minorenni.

Si ricorda che l'art. 403 c.c. - la cui abrogazione è prevista dalla proposta in esame - contiene attualmente la disciplina dell'intervento della pubblica autorità a favore dei minori, prevedendo che il minore che è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione .

E' introdotta ex novo la procedura di convalida del provvedimento, secondo la quale il pubblico ministero:

  • in caso di accertata fondatezza conferma il provvedimento, e senza indugio presenta il ricorso volto all'adozione del provvedimento ablativo o limitativo della responsabilità genitoriale (art. 330 c.c.) ovvero, se ricorrano le condizioni, il ricorso volto alla dichiarazione di adottabilità di minore che versi in situazioni di abbandono (ex articoli 9 e 10 della legge n. 184 del 1983).
  • in caso di manifesta infondatezza del provvedimento lo revoca e dispone la restituzione del minore agli esercenti la responsabilità genitoriale.

Una norma specifica (il sesto comma del nuovo articolo 336 c.c.) regola i Competenza del tribunalerapporti tra tribunale dei minorenni e tribunale ordinario prevedendo la trasmissione del fascicolo al tribunale orinario ove il tribunale dei minorenni ne ravvisi la competenza. La declinatoria di competenza può essere contenuta anche nel provvedimento provvisorio adottato dal giudice qualora vi sia pericolo che i tempi per l'istaurazione del contraddittorio pregiudichino irreparabilmente il minore.

In base all'art. 38 disp. att. la competenza funzionale è del Tribunale per i minorenni. Rientrano nella competenza del giudice specializzato le domande finalizzate ad ottenere provvedimenti cautelari e temporanei idonei ad ovviare a situazioni pregiudizievoli per il minore, restando viceversa al giudice ordinario le pronunce di affidamento dei minori che, in fase di separazione o divorzio, mirino soltanto ad individuare quale dei due genitori sia più idoneo a prendersi cura del figlio, al fine di consentirgli una crescita tranquilla ed equilibrata. Ne consegue che la competenza del tribunale per i minorenni resta esclusa ove sia in corso tra le stesse parti un giudizio di separazione, divorzio ex art. 316 c.c..In tali casi, i provvedimenti ablativi e/o limitativi della responsabilità genitoriale, normalmente di competenza del tribunale per i minorenni, dovranno essere chiesti al giudice ordinario davanti al quale penda il giudizio di separazione, divorzio o tra i genitori non coniugati per la determinazione dell'affidamento e mantenimento dei minori

 

 La disciplina dAudizione del minoreell'audizione del minore nel procedimento di adozione dei provvedimenti limitativi o ablativi della responsabilità genitoriale (comma settimo del nuovo  articolo 336 c.c..) sostiutisce  quella attualmente contenuta nell'articolo 336-bis c.c. il quale viene abrogato dalla proposta in esame (articolo 1, comma 5).

Rispetto alla normativa vigente, la riforma:

  • conferma il diritto del minore che abbia compiuto 12 anni, e del minore infradodicenne che sia in grado di esprimere la propria volontà (attualmente si fa riferimento al minore capace di discernimento) ad essere ascoltato dal giudice nel procedimento di adozione dei provvedimenti incidenti sulla responsabilità genitoriale; la riforma fa eccezione dell'adozione dei provvedimenti provvisori e d'urgenza di cui ai nuovi commi terzo e quarto dell'art. 336 c.c.

Si valuti se il riferimento alla capacità di esprimere la propria volontà, in luogo dell'attuale riferimento alla capacità di discernimento, relativo ai minori infradodicenni non sia suscettibile di dar luogo a dubbi interpretativi.

  • rende obbligatoria la presenza dell'esperto all'uopo nominato per coadiuvare il giudice nell'ascolto; attualmente il ricorso ad esperti o ausiliari è facoltativo;
  • introduce la possibilità che l'audizione sia compiuta dall'esperto delegato dal giudice; il giudice vi assiste in presenza delle parti da una sala collegata con vetro specchio o videocollegamento e dirige l'audizione tramite collegamento audiofonico con l'esperto);
Secondo quanto previsto dall' art. 38-bis.dalle disp.att.c.c. (il quale viene abrogato dalla proposta in esame) quando la salvaguardia del minore è assicurata con idonei mezzi tecnici, quali l'uso di un vetro specchio unitamente ad impianto citofonico, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero possono seguire l'ascolto del minore, in luogo diverso da quello in cui egli si trova, senza chiedere l'autorizzazione del giudice prevista dall'articolo 336-bis, secondo comma, del codice civile
  • con riguardo alla possibilità di deroga all'obbligo di ascolto del minore, essa è limitata ai casi in cui non sia disposto l'allontanamento del minore dal suo contesto domestico abituale; non appare chiaro il riferimento ai "casi in cui sia disposto l'allontamento" posto che l'ascolto del minore si inserisce proprio nel procedimento che può concludersi con adozione di un provvedimento di allontanamento, esito non conoscibile ex ante nella fase nella quale il giudice deve decidere se sentire o meno il minore.
  • resta l'obbligo di motivazione da parte del giudice con riferimento alla manifesta superfluità o alla sproporzione tra turbamento del minore e utilità dell'audizione stessa; rispetto alla normativa vigente viene meno il riferimento al "contrasto con l'interesse del minore" quale causa giustificativa di deroga all'obbligo di audizione;
  • si conferma l'obbligo di registrazione audiovisiva dell'audizione (attualmente tale obbligo è alternativo alla redazione di un processo verbale)
  • viene meno l'obbligo, attualmente previsto, di informare sempre il minore sia in merito alla natura del procedimento nel quale è coinvolto, sia in relazione agli effetti che possono scaturire dall'attività di ascolto alla quale è sottoposto

 

Attualmente l'art. 336 bis - in combinato con l'art. 38 bis disp. att. -, disciplina l'àmbito processuale del più generale diritto all'ascolto attribuito al minore, stabilendo che chi abbia compiuto i dodici anni, o comunque capace di discernimento, se di età inferiore, debba essere ascoltato in tutti quei procedimenti implicanti l'assunzione di provvedimenti che lo riguardino. Secondo la Suprema Corte, infatti, l'ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse (C., ord., 12018/2019).
La Suprema Corte ha, inoltre, specificato che l'audizione del minore infradodicenne, capace di discernimento, costituisce adempimento previsto a pena di nullità, e in relazione al quale incombe sul giudice un obbligo di specifica e circostanziata motivazione (tanto più necessaria quanto più l'età del minore si avvicini ai dodici anni, oltre i quali subentra l'obbligo legale dell'ascolto) non solo ove ritenga il minore incapace di discernimento, oppure manifestamente superfluo l'esame, o in contrasto con l'interesse del minore, ma anche qualora il giudice opti, in luogo dell'ascolto diretto, per un ascolto effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che l'ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda, mentre la consulenza è indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali, in primo luogo, la personalità, la capacità di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio (C. 12957/2018).

 

Infine specifiche disposizioni concernono Obbligo di assistenza tecnical'obbligo di assistenza tecnica per la partecipazione al procedimento, già presente nella vigente disciplina.

L'ultimo comma dell'articolo 336 c.c., introdotto con L. 28.3.2001, n. 149, impone l'assistenza del difensore, a favore dei genitori e del minore, nei procedimenti contemplati dalla norma.

La riforma introduce l'obbligo di nomina di un curatore speciale in caso di conflitto di interessi, anche potenziale, tra il minore e i soggetti esercenti la responsablità genitoriale. Anche sul curatore, ove non eserciti la professione forense, grava l'obbligo di farsi assistere da un difensore. Il curatore dovrà dichiarare a pena di inefficacia della nomina, qualsiasi situazione di conflitto di interesse con il minore.

Si segnala, al riguardo che la Cass. civ. Sez. I nell'ordinanza 12 novembre 2018, n. 29001  afferma che nei giudizi de potestate, stante la sussistenza di un conflitto di interessi tra i genitori ed il minore, è necessaria la nomina di un curatore speciale che rappresenti il minore, parte necessaria del procedimento: Inoltre la Cassazione civile, sez. I, ordinanza 13 marzo 2019, n. 7196 afferma che nei giudizi riguardanti l'adozione di provvedimenti limitativi, ablativi o restitutivi della responsabilità genitoriale, riguardanti entrambi i genitori, l'art. 336, quarto comma, c.c., richiede la nomina di un curatore speciale, ex art. 78 c.p.c., ove non sia stato nominato un tutore provvisorio, sussistendo un conflitto d'interessi verso entrambi i genitori. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui non si sia provveduto a tale nomina, il procedimento deve ritenersi nullo ex art. 354 primo comma c.p.c. con rimessione della causa al primo giudice perché provveda all'integrazione del contraddittorio. 

AbrogazioniIl comma 5 provvede all'abrogazione:

  • dell' articolo 336-bis c.c., concernente la disciplina delle modalità di ascolto del minore nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. La nuova disciplina di tale materia è infatti contenuta nell'art. 336 c.c. (comma settimo) così come riformato dalla proposta in esame;
  • dell'articolo 403 c.c. che detta la disciplina dell'intervento della pubblica autorità a favore dei minori, moralmente o materialmente abbandonato o  allevati in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, La nuova disciplina è contenuta nell'art. 336 (commi quarto e quinto) così come riformato dalla propsta in esame.

Il comma 6 abroga l'articolo 38-bis delle disposizioni per l'attuazione del codice civile di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, concernente le particolari modalità di ascolto del minore, la cui nuova disciplina è contenuta nell'art. 336, settimo comma, c.c. così come riformato (vedi sopra).


Le modifiche alla legge sulle adozioni

L'articolo 2 della proposta di legge interviene sulla legge n. 184 del 1983 per modificarne gli articoli 4 e 5 - relativi alla disciplina dell'affidamento - e l'articolo 21 - in tema di revoca dello stato di adottabilità.

In particolare,Durata dell'affidamento (rinvio all'art. 330 c.c.) intervenendo sull'art. 4 della legge n. 184 del 1983, il provvedimento (lett. a) rinvia all'art. 330, quinto comma, del codice civile (come riformato dall'art. 1 p.d.l.) per la disciplina della durata dell'affidamento. Viene dunque eliminato l'attuale parametro dei 24 mesi, prorogabili, rimettendo la determinazione della durata all'esclusiva decisione del giudice (v. sopra).

Si ricorda che attualmente ai sensi dell'art. 4 della legge sulle adozioni, l'affidamento familiare è disposto dal servizio sociale locale e può avvenire:
a) previo assenso dei genitori ovvero del tutore, sentito il minore che abbia compiuto i 12 anni o, in considerazione delle sue capacità di comprensione, anche di età inferiore In questo caso il provvedimento è reso esecutivo con decreto dal giudice tutelare;
b) senza l'assenso dei genitori. In tal caso, provvede il tribunale per i minorenni. In tale ipotesi trova applicazione l'art. 330 c.c.
Nel provvedimento di affidamento devono essere indicate specificamente le motivazioni del provvedimento, anche al fine di consentire il necessario controllo del giudice tutelare, nonché i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario; deve inoltre essere indicata la presumibile durata dell'affidamento. In base all'art. 4, comma 4, tale durata non può eccedere i 24 mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell'affidamento rechi pregiudizio al minore.

Modificando l'art. 5 della legge n. 184 del 1983, inoltre, la riforma disciplina dettagliatamente i presupposti ed i No a contributi economici, solo rimborsi speselimiti per l'elargizione di contributi pubblici alle comunità di tipo familiare e agli altri istituti di assistenza (lett. b) sostituendo la disposizione che oggi consente allo Stato, alle regioni e gli enti locali - nell'ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci - di intervenire con misure di sostegno e di aiuto economico in favore della famiglia affidataria. La proposta prevede, infatti, che coloro che accolgono i minori possano ricevere da soggetti pubblici esclusivamente rimborsi spese da calcolare in relazione al numero di minori ospitati e alle esigenze di gestione della struttura. A tal fine, tutte le spese dovranno essere documentate. Previa presentazione di programmi di spesa, le somme da imputare ai rimborsi potranno essere  anticipate.

La proposta, dunque, sostanzialmente esclude che regioni ed enti locali possano attribuire alle comunità familiari e agli altri istituti di assistenza risorse ulteriori rispetto al mero rimborso spese. Si valuti la compatibilità di questa disposizione con il quadro delle competenze legislative costituzionalmente definito, che assegna alla potestà legislativa esclusiva delle regioni la materia dell'assistenza sociale.

Si ricorda infatti che l'articolo 117 della Costituzione attribuisce alle Regioni competenza legislativa di tipo residuale nella materia dei servizi sociali, come ribadito dalla costante giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha affermato che «tutte le attività,  "relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario", rientrano nel più generale ambito dei servizi sociali attribuito alla competenza legislativa residuale delle Regioni» (tra le altre si vedano le sentenze n. 296 del 2012, n. 121 del 2010, n. 124 del 2009, e n. 287 del 2004).

Il provvedimento aggiunge una dettagliata disciplina dei Ispezioni frequenti e chiusura delle comunitàcontrolli sulle comunità in base alla quale:

  • il PM presso il tribunale per i minorenni, l'autorità garante per l'infanzia e le amministrazioni eroganti i rimborsi spese dovranno - coordinando le reciproche attività - almeno una volta al mese compiere accessi ispettivi, anche a sorpresa, alle strutture per verificare l'effettiva cura dei minori, la salubrità degli ambienti, la completezza della documentazione e la congruità delle spese. Analogamente potrà procedere, in qualsiasi tempo, la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, con l'invio di una propria delegazione;
  • se nel corso dell'accesso ispettivo sono rilevati pregiudizi o pericoli anche per uno soltanto dei minori ospitati, tutti i minori dovranno essere collocati altrove con provvedimento immediato del Presidente del Tribunale per i minorenni.

Si valuti l'opportunità di disciplinare un procedimento che preveda la celere instaurazione di un contraddittorio per l'eventuale revoca della misura.

Infine, la proposta inserisce un ultimo comma all'art. 21 della legge n. 184 del 1983, relativo alla revoca della dichiarazione di adottabilità.

La normativa vigente, non modificata dalla proposta, prevede che lo stato di adottabilità venga meno - oltre che in caso di adozione o di raggiungimento della maggiore età da parte del minore - a seguito di revoca della sentenza che l'ha disposto quando siano venute meno le condizioni che l'hanno determinato. La revoca è pronunciata dal tribunale per i minorenni d'ufficio o su istanza di PM, genitori o tutore. La disposizione precisa che se è in atto l'affidamento preadottivo, lo stato di adottabilità non può essere revocato.

La riforma consente la Revoca di adottabilità (e adozione) in caso di condanna CEDUrevoca della dichiarazione di adottabilità, anche se la stessa abbia già consentito l'affidamento preadottivo o addirittura l'adozione, in presenza di una sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che abbia condannato l'Italia per violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo determinata «da una statuizione dichiarativa dello stato di adottabilità passata in giudicato». In tali casi, entro 3 mesi dalla sentenza europea, può essere domandata la revoca del provvedimento. A seguito della domanda, il giudice:

  • concede la revoca della dichiarazione di adottabilità, che travolge evidentemente anche l'adozione che si sia già perfezionata, a meno che non ritenga tale decisione in contrasto con l'interesse del minore (che dovrà essere valutato alla stregua di circostanze i fatto specifiche e comprovate);
  • se non concede la revoca per i suddetti motivi, ordina il ripristino («immediato o futuro») dei rapporti di fatto tra il minore, i suoi genitori biologici e i parenti biologici, dettandone i tempi e con l'ausilio di sostegni assistenziali e psicologici, a meno che non ritenga che tale decisione possa pregiudicare l'equilibrio psico-affettivo del minore.

La disposizione, che affronta solo in relazione alle adozioni il tema più generale del seguito nel nostro ordinamento delle sentenze della Corte europea dei diritti, pare fare riferimento alle pronunce con le quali la CEDU condanna gli Stati per violazione dell' art. 8 della Convenzione, che tutela il rispetto della vita privata e familiare e che, al comma 2, afferma: «Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui».
Ebbene, la CEDU, nel giudicare della violazione - in caso di dichiarazione dello stato di abbandono finalizzato all'adozione piena di minori - dell'art. 8 della Convenzione, ha progressivamente affermato l'esigenza di presupposti assai stringenti, la cui esistenza è necessaria anzitutto nell'interesse del figlio - per poter sopprimere il legame di filiazione. La dichiarazione di adottabilità dei minori costituisce un'ingerenza nell'esercizio del diritto al rispetto della vita familiare, la quale è compatibile con l'art. 8 solo se soddisfa le condizioni cumulative di essere prevista dalla legge, di perseguire uno scopo legittimo e di essere necessaria in una società democratica: e la nozione di necessità implica che l'ingerenza si basi su di un "bisogno sociale imperioso" e sia "proporzionata", mentre la norma non si limita ad ordinare allo Stato di astenersi da tali ingerenze, prevedendo anche obblighi positivi attinenti ad un effettivo rispetto della vita privata o familiare, perché lo Stato deve agire in modo da permettere al legame di svilupparsi (cfr., Corte eur. diritti dell'uomo 13 ottobre 2015, S.H., punti 38-39; 16 luglio 2015, Akinnibosun; 21 gennaio 2014, Zhou; 29 gennaio 2013, L., punto 80, in tema di tutela effettiva dei cd. diritti relazionali; 3 novembre 2011, S.H. c. Austria, punto 87; 2 novembre 2010, Piazzi; 21 ottobre 2008, Clemeno; 10 gennaio 2008, Kearns c. Francia; 13 luglio 2000, Scozzari).
La CEDU esige, dunque, che le misure che conducono alla rottura dei legami tra un minore e la sua famiglia siano applicate solo in circostanze eccezionali, allorquando, cioè, i genitori si siano dimostrati "particolarmente indegni" (cfr. Corte eur. diritti dell'uomo 13 ottobre 2015, S.H., punto 40; 21 ottobre 2008, Clemeno, punto 60), o quando siano giustificate da un'esigenza primaria che riguarda l'interesse superiore del minore, non essendo il fine dell'adozione quello di individuare ad ogni costo una famiglia "migliore": "il fatto che un minore possa essere accolto in un contesto più favorevole alla sua educazione non può, di per sé, giustificare che egli venga sottratto alle cure dei suoi genitori biologici" (cfr. Corte eur. diritti dell'uomo 13 ottobre 2015, S.I-I., punto 56; K. e T. c. Finlandia, n. 25702/94, punto 173; 10 aprile 2012, Pontes c. Portogallo, punto 74; 16 luglio 2015, Akinnibosun, punto 45).
Inoltre, la CEDU non ha mancato di sottolineare, in più occasioni, che "in questo tipo di cause, l'adeguatezza di una misura si valuta a seconda della rapidità della sua attuazione, in quanto lo scorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili sui rapporti tra il minore ed il genitore che non vive con lui" (cfr. Corte eur. diritti dell'uomo 13 ottobre 2015, S.H., punto 42; 16 luglio 2015, Akinnibosun, punto 63; 21 gennaio 2014, Zhou, punto 48; 29 gennaio 2013, L., punto 81; 6 dicembre 2007, Maumousseau e Washington c. Francia, punto 83; ed altre). Ciò perché, ove sia coinvolto un minore, un ritardo nella procedura rischia sempre di risolvere la controversia con un fatto compiuto, mentre l'effettivo rispetto della vita familiare richiede che non si lasci al mero trascorrere del tempo la soluzione delle relazioni familiari (cfr. Corte eur. diritti dell'uomo 24 febbraio 2009, Errico, punto 56). E stigmatizza l'approntamento - a fronte di cause così delicate e complesse - di misure meramente "automatiche e stereotipate" (cfr. Corte eur. diritti dell'uomo 29 gennaio 2013, L., punto 92).

Clausola di invarianza e norma transitoria

L'articolo 3 della proposta di legge contiene la clausola di invarianza finanziaria. Inoltre gli eventuali risparmi che dovessero derivare dall'art. 5, comma 4,  della riforma, che limita i contributi pubblici alle comunità familiari al rimborso delle spese effettivamente sostenute per l'accoglienza dei minori sono destinati "in via tendenziale" alla pubblica assistenza delle famiglie in condizioni di disagio economico e sociale.

Andrebbe valutata l'opportunità di chiarire il significato normativo della destinazione "in via tendenziale".

L'articolo 4 afferma che:

  • le disposizioni della riforma, «in quanto compatibili», si applicano anche ai procedimenti in corso. Si valuti l'esigenza di specificare quale sia il parametro alla stregua del quale valutare la compatibilità dell'applicazione della riforma;
  • la norma sui contributi pubblici alle comunità familiari non ha carattere retroattivo e dunque le somme già erogate non dovranno essere restituite;
  • le comunità familiari cui sia stata affidata la cura di minori prima dell'entrata in vigore della riforma devono comunicare al Presidente del Tribunale per i minorenni «l'eventuale pendenza del termine di cui al terzo comma dell'articolo 336 del codice civile» che scada nei 3 mesi successivi all'entrata in vigore della legge. Si osserva che il nuovo art. 336, terzo comma, c.c. (v. sopra) non individua termini e dunque è irriferibile alla disposizione in commento.

Relazioni allegate o richieste

La proposta di legge, di iniziativa parlamentare, è accompagnata dalla sola relazione illustrativa.


Necessità dell'intervento con legge

Il provvedimento all'esame della Commissione modifica fonti di rango primario (codice civile e legge n. 184 del 1983); ciò rende necessario l'uso dello strumento legislativo.